Di fronte a interessi contrapposti, spesso l oscillazione del pendolo ben

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1 Privacy e controlli del datore di lavoro un equilibrio possibile N 25 - Maggio 2012 In questo numero Le critiche al datore di lavoro sui social network Le interferenze tra social network e rapporto di lavoro sono sempre più frequenti: da un lato, v'è il fenomeno del c.d. "assenteismo... (Ab)uso del sindacalista dell' aziendale Il Tribunale di Milano (decisione del 17 aprile 2012 n. 1568) ha ritenuto ricorrere l antisindacalità.. Videosorveglianza e attività criminale del dipendente Può accadere che il datore di lavoro decida di installare delle telecamere sul luogo di lavoro per proteggere il... Permessi ex legge 104 e controlli con investigatore privato La questione che qui ci occupa, pone problemi di diversa natura e importanza che meriterebbero... Privacy, investigatori e controllo sulla presunta malattia Sul controllo della malattia del dipendente si fronteggiano interessi contrapposti, ma ugualmente tutelati... 1 Di fronte a interessi contrapposti, spesso l oscillazione del pendolo ben rappresenta l alternan za degli atteggiamenti, anche della giurisprudenza, nei confronti di questi interessi, concentrando l attenzione sulla tutela ora dell uno, ora dell altro, in modo quasi esclusivo. Un esempio di tale fenomeno è il tema trattato in questo numero della newsletter: quali relazioni possano esservi tra le esigenze importanti, riconosciute dal legislatore in termini di tutela della riservatezza del singolo lavoratore e l altrettanto importante esigenza di poter evitare l uso improprio, con danni per l impresa, degli strumenti informatici, o comunque di verificare la correttezza dei comportamenti individuali. Sono certamente interessi diversi, ma entrambi meritevoli di tutela e non inconciliabili. Superata la contrapposizione aprioristica e quasi ideologica tra le due posizioni estreme, gli articoli qui pubblicati dimostrano che una sintesi ed un equilibrio sono possibili. Enrico Cazzulani, Past President - AIDP Gruppo Domicilio informatico del datore di lavoro e responsabilità: gli orientamenti penalistici di Andrea Stanchi Partner, StanchiStudioLegale - Presidente AGI Sezione Lombardia Con tre recentissime sentenze (n del 12 aprile e n e entrambe del 18 aprile del 2012) la Corte di Cassazione penale interviene a confermare, dopo le Sezioni Unite (decisione n. 4694/12), l interpretazione della fattispecie del reato di accesso abusivo a sistema informatico. Con la prima decisione la Corte di legittimità afferma che la conoscenza della password da parte di più persone operanti nello stesso luogo di lavoro, costituisce mera circostanza di fatto, come tale non idonea a legittimare all intervento sul sistema il lavoratore non titolare della password stessa. Ritenuta la natura oggettiva della violazione identificata dalla norma, il requisito soggettivo della fattispecie permane, poiché nell accesso abusivo ciò che conta sono i limiti di utilizzo definiti dal titolare del diritto: l uso della password altrui identifica un utilizzo del sistema da parte di soggetto a ciò non abilitato. Nella seconda e nella terza pronuncia la Corte richiama i principi espressi dalle Sezioni Unite -ed in particolare l irrilevanza delle finalità perseguite dal soggetto agente e invece l importanza determinante dell oggettivo accesso o del trattenimento nel sistema informatico di soggetto a ciò non autorizzato o in violazione delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema ovvero per il compimento di operazioni ontologicamente diverse da quelle per le quali l accesso è consentito- pervenendo però a sottolineare differenti aspetti di rilevanza della condotta, a seconda che ricorra o meno la legittimazione all accesso dei dati da parte dell agente. Sulla scorta di questa prospettiva interpretativa infatti la Corte:

2 a) nella prima decisione (n /2012) ha ritenuto -in caso di accessi effettuati attraverso computer attribuito in uso esclusivo ad altro dipendente, mediate utilizzo di password rilasciata alla ditta che prestava l assistenza tecnica, per mansioni diverse da quelle amministrative del dipendente incriminato- irrilevanti durata degli accessi e difetto di prova della duplicazione dei dati sottolineando che è la visione stessa dei dati a costituire fatto penalmente rilevante in presenza dei connotati di abusività dell accesso; b) nella seconda sentenza (n /2012) ha considerato insufficiente l accertamento di fatto compiuto dal Tribunale di Roma, ribadendo che ciò che andava indagato non era la finalità soggettiva illecita, ma il superamento su un piano oggettivo dei limiti risultanti dal complesso delle prescrizioni impartite dal titolare del sistema. Ovvero l urtilizzo del sistema in violazione delle disposizioni organizzative impartite dal titolare. L informazione utile per le funzioni HR, sempre più chiamate ad essere gli attuatori del meccanismo di sorveglianza del sistema di responsabilità degli Enti (D.Lgs. 231/01), è che il dato essenziale della protezione del domicilio informatico è la delineazione da parte del titolare degli ambiti rispettivi in cui ciascuno degli ammessi ha diritto di accedervi e di usufruirne: mansionari, policy e delimitazioni tecniche sono la via del presidio. Le critiche al datore di lavoro sui social network quali i limiti del potere disciplinare? di Franco Toffoletto* arrow - Fotolia.com Le interferenze tra social network e rapporto di lavoro sono sempre più frequenti: da un lato, v è il fenomeno del c.d. assenteismo virtuale, ossia l utilizzo dei social media durante l orario di lavoro; dall altro, vi sono le dichiarazioni pubblicate sulle bacheche virtuali contenenti giudizi riguardanti il datore di lavoro. L assenteismo virtuale può essere efficacemente contrastato adottando policy che regolamentino in modo chiaro l utilizzo degli strumenti informatici ed, in particolare, vietino oppure limitino l accesso a Facebook, Twitter, ecc. Più complessa è, invece, la definizione dei limiti di legittimo esercizio del potere disciplinare nell ipotesi di esternazioni negative del dipendente nei confronti del datore divulgate sui social network. Anzitutto, è bene chiarire che i wall e le bacheche dei social media costituiscono luoghi pubblici, ai quali, pertanto, non può trovare applicazione l art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. Si pone, dunque, lo stesso problema di bilanciamento tra diritto di critica e dovere di fedeltà e riservatezza già affrontato dalla giurisprudenza relativamente a dichiarazioni diffuse da dipendenti tramite giornali, radio, televisioni e altri mezzi di manifestazione pubblica del pensiero. La Cassazione, al riguardo, ha più volte affermato che il diritto di critica soggiace a penetranti limiti in considerazione degli obblighi di collaborazione e fedeltà del lavoratore: la continenza sostanziale (verità dei fatti) e formale (correttezza espressiva) della critica nonché la sua rilevanza sociale. In altri termini, la sanzione disciplinare potrà riconoscersi come giustificata allorché la critica - pur avendo ad oggetto circostanze obiettive e non essendo palesemente diffamatoria - non sia «civile», non sia improntata a leale chiarezza, abbia un tono sproporzionatamente scandalizzato e sdegnato. Se, poi, a criticare è un dirigente, la potenzialità lesiva delle critiche rivolte all impresa - e la conseguente compromissione del vincolo fiduciario - è, in linea di massima, maggiore, così come la reazione disciplinare può essere più rigorosa. Principî, questi, recentemente applicati dal Tribunale di Roma in una fattispecie di licenziamento per giusta causa di un lavoratore che aveva criticato pubblicamente l azienda utilizzando i social media: segnatamente, il giudice ha ritenuto legittimo il recesso del dipendente che aveva pubblicato sulla propria bacheca virtuale (aperta, tra l altro, per sua scelta, a tutti gli utenti di Facebook) commenti derisori ed offensivi nei confronti del presidente e del direttore generale della società, con tanto di vignette satiriche sui medesimi. Non si tratta di un caso isolato in Europa e, certamente, non sarà l ultimo in Italia. *Presidente, Studio Toffoletto De Luca Tamajo e Soci 2

3 (Ab)uso del sindacalista dell' aziendale le regole per riconoscerlo di Annamaria Pedroni* Julien Eichinger - Fotolia.com Il Tribunale di Milano (decisione del 17 aprile 2012 n. 1568) ha ritenuto ricorrere l antisindacalità del comportamento del datore di lavoro, a fronte di procedimento disciplinare attivato nei confronti di dirigente sindacale, per lo svolgimento di attività sindacale in orario di ufficio, con utilizzazione di strumentazione informatica del datore di lavoro (nel caso la pubblica amministrazione, trattandosi di contestazioni disciplinari mosse dal Direttore dell Ispettorato Territoriale della Lombardia e conclusesi con la sanzione del rimprovero scritto). Il contenuto delle comunicazioni riguardava l indizione di consultazioni con il personale in merito alla riorganizzazione ed ai carichi di lavoro, indizione in merito alla cui necessità il dirigente sindacale (anche a nome e con documento a firma di tutte le sigle sindacali) aveva insistito. Il Tribunale ha ritenuto la legittimità dell uso della aziendale poiché, la trasmissione si inseriva in un flusso di richieste e risposte su tematiche sindacali intercorse con il Direttore da e verso indirizzi di posta elettronica tutti dell ufficio. Il Giudicante ha evidenziato, che nel caso non vi era neppure prova in atti dell elaborazione della da parte del dirigente sindacale nell orario di lavoro e ciò alla luce dei c.d. metadati (ovvero la schermata delle proprietà del file di riferimento), che riportavano riferimenti inattendibili ed incoerenti se incrociati fra loro, senza alcuna prova certa di un lavoro continuativo sul documento nello spazio temporale intercorrente fra la creazione del file e l ultimo salvataggio, ben potendo il dipendente come lo stesso aveva sostenuto- aver trasferito il contenuto del file già elaborato sul pc a mezzo di chiavetta usb, per poi essersi limitato in orario di lavoro ad interventi del tutto contenuti ed allo scambio delle intercorso. Lo schema della decisione che emerge, sostanzialmente corretto anche sotto un profilo della valutazione delle regole di utilizzo dei sistemi informativi, sottolinea però l importanza di regole precise di gestione della strumentazione informativa (l uso promiscuo non disciplinato per finalità private, sindacali e di lavoro, determina poi l impossibilità di lagnarsi dell abuso non preventivamente identificato come tale) e soprattutto solleva un tema delicato (che la decisione non affronta) relativo all utilizzo dei metadati con finalità di verifica e controllo (che si può ricondurre ad un trattamento di dati personali). * Partner, StanchiStudioLegale Videosorveglianza e attività criminale del dipendente di Filippo Capurro* 3 Può accadere che il datore di lavoro decida di installare delle telecamere sul luogo di lavoro per proteggere il patrimonio aziendale da illeciti. In questi casi è legittimo che il datore di lavoro avveduto si chieda: ci sono norme da rispettare per installare le telecamere? Cosa posso fare se, con le registrazioni, scopro che un dipendente pone in essere comportamenti illeciti o reati a danno dell azienda? Le linee guida sul piano giuridico sono le seguenti: - è vietato l utilizzo di sistemi audiovisivi finalizzati al mero controllo a distanza dell attività lavorativa; - l installazione di telecamere è lecita se è richiesta da esigenze organizzative e produttive ovvero dalla sicurezza del lavoro; - non è comunque permesso installare i dispositivi in luoghi riservati ai lavoratori o estranei all attività lavorativa (bagni, spogliatoi, docce, armadietti e luoghi ricreativi - Garante Privacy, 29/4/2004); - se dalle apparecchiature di controllo deriva la possibilità di controllare a distanza l attività dei lavoratori, è necessario raggiungere uno specifico accordo con le rappresentanze sindacali interne ovvero, in assenza, richiedere all Ispettorato del Lavoro apposita auto-

4 rizzazione a pena di sanzioni penali e dell inutilizzabilità a fini disciplinari delle riprese. In mancanza, il datore di lavoro non potrà usare le registrazioni nell ambito di provvedimenti disciplinari a carico dei dipendenti e sarà punibile con specifiche sanzioni penali ai sensi del combinato disposto degli artt. 114 e 171 del D. Lgs. n. 196 del 2003, nonché dell art. 38 L. 300/1970, e la sua violazione può costituire condotta antisindacale ai sensi dell art. 28 della legge n. 300 del Sul piano della privacy, ricordiamo la Newsletter del Garante della Privacy 19/7/2010 che informa del blocco di un impianto di videosorveglianza, installato in un negozio per la tutela del patrimonio aziendale, in quanto non erano state espletate le procedure previste dall art. 4 dello Statuto dei Lavoratori. In relazione ai c.d. controlli difensivi, ossia finalizzati alla sola tutela del patrimonio aziendale e diretti a rilevare non già lo svolgimento della prestazione lavorativa quanto azioni illecite, secondo parte della giurisprudenza (Cass. 3 aprile 2002, n e Cass. 1/6/2010 n Sez. IV relativa una fattispecie di furto aggravato) essi sarebbero leciti. In senso contrario un filone di giurisprudenza, più convincente, che si sta vieppiù consolidando (Cass. 23/2/2012 n e Trib. Milano 18 marzo 2006). Pare invece pacifica l utilizzabilità di registrazioni raccolte tramite apparecchiature di terzi (es. telecamere di aree esterne al datore di lavoro e gestite da altri soggetti Cass. 4/4/2012, n. 5371; n. 2712; Cass. 28/1/2011, n. 2117). La questione è comunque particolarmente complessa e controversa e occorrerà un attenta valutazione caso per caso del contesto disciplinare da affrontare. *Partner, Studio Legale Associato Beccaria e Capurro Privacy, investigatori e controllo sulla presunta malattia di Sergio Barozzi* Sul controllo della malattia del dipendente si fronteggiano interessi contrapposti, ma ugualmente tutelati dall ordinamento: da un lato il diritto alla riservatezza del lavoratore, dall altro si colloca il diritto del datore di lavoro di tutelare il proprio patrimonio e l azienda. Innanzitutto a disciplinare tale materia è intervenuto lo Statuto dei lavoratori, in senso fortemente limitativo dei controlli che il datore può operare, che possono essere effettuati solo attraverso i servizi ispettivi degli enti pubblici. Il codice della privacy, D. Lgs. 30 giugno 2003 n. 196, ha poi provveduto a dettare i principi costituenti i punti cardinali della normativa in tema di privacy e più precisamente ci riferiamo qui ai principi di necessità, proporzionalità e finalità. Nessuna violazione della privacy può avvenire se non per fini leciti, per il tempo strettamente necessario a raccogliere le informazioni necessarie e sufficienti e nel modo meno invasivo fra le varie opzioni possibili. Tuttavia, pur in presenza delle suddette norme ed avendo la tutela della privacy un rilievo particolare, qualora il datore di lavoro decida di far ricorso, nell esercizio del proprio potere di controllo a investigatori privati, non sono affatto da ritenere illegittimi i controlli sullo stato di malattia del lavoratore effettuati tramiti investigatori privati. In senso più ampio con la sentenza n del 2011, la Suprema Corte afferma la legittimità delle investigazioni disposte dal datore di lavoro, purché non sconfinino nella vigilanza dell attività lavorativa vera e propria, riservata, dall art. 3 dello Statuto, direttamente al datore di lavoro e ai suoi collaboratori. L utilizzo dell investigatore privato, pertanto, è ritenuto legittimo sia in caso di compimento di illeciti da parte del lavoratore, sia nel caso in cui il datore di lavoro abbia sospetto in tal senso o ipotizzi che illeciti siano in corso di esecuzione. Da ciò discende che il controllo investigativo può avere un ruolo anche in caso di malattia del lavoratore, nonostante come detto dall entrata in vigore dello statuto dei lavoratori, il controllo sulla malattia sia demandato esclusivamente ai servizi ispettivi degli istituti previdenziali competenti. La Cassazione, con sentenza n del 2001 ha confermato un consolidato orientamento secondo il quale l esclusività disposta dall art. 5 dello Statuto dei Lavoratori non preclude la possibilità di accertare circostanze di fatto che permettano di dimostrare l insussistenza della malattia o, comunque, la non idoneità di quest ultima a determinare uno stato di incapacità lavorativa, quali ad esempio attività lavorative durante il periodo di malattia o anche attività ludiche incompatibili con la dichiarata impossibilità di prestare la prestazione. * Partner, Lexellent Rido - Fotolia.com 4

5 Stefan Rajewski - Fotolia.com Permessi ex legge 104 e controlli con investigatore privato di Giovanni Sozzi* La questione che qui ci occupa, pone problemi di diversa natura e importanza che meriterebbero, ciascuno, un approfondimento di ampio raggio. Un primo tema, ad esempio, è proprio quello della tutela della privacy del lavoratore controllato. Il Garante, con provv. del 21/12/2005, G.U. 03/01/2006, ha autorizzato gli investigatori privati al trattamento dei dati personali per permettere al cliente, che conferisce uno specifico incarico, di far valere o difendere in sede giudiziaria un proprio diritto. Ad una prima lettura, dunque, parrebbe che il datore di lavoro che intenda tutelare un proprio interesse nei confronti di un dipendente abbia tutte le possibilità di controllare quest ultimo attraverso un agenzia di investigazioni. La questione strettamente legata alla c.d. privacy, tuttavia, è marginale. Lo sfondo in cui muoversi è, piuttosto, quello dei controlli occulti; ossia di quelle forme d indagine operate dal datore di lavoro al di fuori delle regole poste dagli artt. 2, 3 e 4 dello Statuto. Come è noto con la L. 104/92 (integrata poi dal D. Lgs 151/2001) il legislatore ha inteso garantire al lavoratore sia la possibilità di assentarsi con regolarità, qualora egli presenti dei gravi handicap, sia il diritto di accudire i propri famigliari qualora siano essi portatori di gravi patologie. Alla tutela di queste posizioni, per contro, si contrappone l interesse del datore di lavoro a verificare che il beneficiario impieghi le ore del permesso in coerenza con la finalità della norma e non per fare altro. In buona sostanza, si tratta di contemperare i limiti posti dallo Statuto ai poteri di controllo del datore con la verifica del rispetto degli obblighi di correttezza, della buona fede, e di fedeltà da parte del prestatore. Il criterio individuato dalla giurisprudenza quale parametro di riferimento per affermare la legittimità in concreto di tali forme di controllo è quello della proporzionalità. Una recente pronuncia del Tribunale di Milano afferma: l attività di controllo effettuata dal datore di lavoro tramite agenzia investigativa può essere ritenuta legittima, alla luce degli art. 2 e 3 SL, solo laddove il ricorso a tale strumento possa ritenersi proporzionato allo scopo perseguito e assistito da gravi ragioni (T. Milano, 28/4/2009). Indipendentemente dal modo in cui il datore di lavoro abbia acquisito la notizia, è stato poi affermato che La consapevole volontà di utilizzare i premessi retribuiti per fini diversi, costituisce un grave comportamento che, per l intensità dell elemento intenzionale e la portata elusiva dell istituto apprestato dalla L. 104/92, viola palesemente i doveri generali di correttezza e buona fede nonché gli specifici obblighi contrattuali di diligenza e fedeltà (T. Milano, 30/12/2010). * Socio, legalilavoro Studio Francioso e Soci Informazioni utili Andrea Orlandini Presidente AIDP Gruppo Enrico Cazzulani Past President AIDP Gruppo Domenico Butera Vicepresidente AIDP Gruppo Paolo Iacci Vicepresidente AIDP e Responsabile Editoria Contatti: Via Cornalia, Milano Tel Fax aidplombardia@aidp.it Autori del numero Sergio Barozzi Lexellent Filippo Capurro Studio Legale Associato Beccaria e Capurro Annamaria Pedroni Stanchi Studio Legale Giovanni Sozzi legalilavoro Studio Francioso e Soci Andrea Stanchi Stanchi Studio Legale Presidente AGI Sezione Lombardia Franco Toffoletto Studio Toffoletto De Luca Tamajo e Soci Newsletter A cura di Paola De Gori Coordinamento redazionale Daniela Tronconi Per iscrizioni newsletter.aidplombardia@aidp.it 5 Grafica e Impaginazione HHD - Kreita.com

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