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1 zioni (55 ), le Dematerializzazioni ( 56 ), la Fotografia trascendentale (57) e l'incorruttibilità ( 58 ), dovuti a spostamenti e, nell'ultimo caso, ad immobilizzazione di elementi molecolari, atomici e subatomici, causati parimenti a distanza; fenomeni di Telecìnesi macroscopica e microscopica inskme, come gli Apporti e gli Asporti (59) consistenti nel moto, causato a distanza, di grossi oggetti, attraverso la compagine materiale di altri oggetti, per dematerializzazione, sempre a distanza, degli oggetti mossi o di quelli attraversati. Non sono ignoti alla letteratura parapsicologica tentativi di riduzione dei fenomeni soggettivi ed oggettivi entro la schematica spazio-temporale, a mezzo di ipotesi, spesso ingegnose, sul loro meccanismo. Si pensi, ad esempio, per quanto riguarda i fenomeni soggettivi, all'ipotesi del Serbatoio cosmico delle memorie individuali, escogitata dal filosofo-psicologo americano William James (60), per ridurre la Chiaroveggenza nel passato, o Psicometria, alla lettura nel presente sempre attuale di tale serbatoio. Qualcosa di simile aveva ipotizzato, prima di lui, il filosofo tedesco Eduard von Hartmann, con il suo Incosciente universale (61 ). Si pensi, sempre a titolo di esempio, all'ipotesi della Leva psichica, avanzata dal Crawford (62 ), per spiegare la Telecìnesi, riducendola, da moto provocato a distanza, a moto causato meccanicamente da contatto di una propagine invisibile del soggetto. (55) Le formazioni ectoplasmiche possono costituire fantasmi, non soltanto di oggetti o, più spesso, di parti del corpo umano, specialmente mani, che hanno lasciato documento di sè sulle lastre fotografiche o in materia plastica (paraffina, creta, ecc.), ma di interi individui, anatomicamente strutturati e fisiologicamente e psichicamente funzionanti. (De Boni, L'uomo, ecc., cit., pagg ). (56) Alle materializzazioni corrispondono, talvolta, dematerializzazioni di intere parti del corpo e degli indumenti del medium. (D'Espérance, The shadow land, Londra, 1897, trad. it., Verona, 1948, pagg ; Aksakov, Un cas de dématerialisation partielle du corps d'un médium, Parigi, 1896). L'intera questione è ben sintetizzata da G. De Boni, ne L'uomo, ecc., cit., pagg , in cui è riportata una fotografia di medium dematerializzato, a pag (57) Se nepossono considerare due forme: fotografia del pensiero (E. Bozzano, Pensiero e volontà, forze plasticizzanti ed organizzanti, Verona, 1967) e fotografia delle materializzazioni (In: De Boni, L'uomo, ecc. sono riprodotte 4 delle 44 fotografie, scattate da Sir William Crookes, dal 1872 al 1874, al fantasma di Kate King). (58) Si osserva soprattutto nei fenomeni fisici del misticismo. (Thurston, I fenomeni, ecc., cit., Cap. X, pagg ). (59) Studiati in particolare dall'astronomo tedesco Ziillner (Cfr.: Vierte Dimension, ecc., cit.). (60) William James ( ), Études et réflexions d'un psichiste, trad. fr., Parigi, (61) Eduard von Hartmann ( ), Der Spiritismus, Berlino, 1885, Lipsia, 18922; Die Geisterhypothese des Spiritismus und seine Phantome. Lipsia, (62) W. Crawford, The Reality of Psychic Phenomena, Londra 1917, 19192; Experiments in Psychical Science, Londra 1919; The Psychic Structures at the Goliger Circle, Londra,

2 Tali tentativi, quando non sono sfumati nell'atmosfera fantascientifica dell'alta metafisica, come quello del James, si sono rivelati, come quello del Crawford, sperimentabili con successo soltanto in presenza dell'autore, la cui idea, presumibilmente captata per Telepatia e potenziata dal medium, impressionava la lastra fotografica di controllo (63). E il loro fallimento ha confermato, almeno per ora, l'irriducibilità dei fenomeni a schemi spazio-temporali. Di questa irriducibilità era, del resto, convinto lo Zedlner, il quale, limitatamente ai fenomeni di apporto e asporto, che implicano, come si è detto, la penetrazione della materia, ipotizzò il passaggio degli oggetti per una quarta dimensione di tipo riemanniano, in coincidenza con la quale la materia dei medesimi diventasse penetrabile (64). L'ipotesi zeillneriana, quale che sia il suo valore al fine di una spiegazione dei fenomeni paranormali, riveste l'importanza di un'autorevole indicazione della via da seguire per la ricerca di tale spiegazione. Questa via è data dal riesame dei concetti di spazio e tempo. E' parso allo Ziillner che, nelle pieghe del primo dei due quello di spazio fosse contenuto il segreto degli apporti e degli asporti, segreto da lui ipotizzato come quarta dimensione dello spazio. Seguiremo, pertanto, l'illustre astronomo, riesaminando i due concetti, tanto più che questo ci servirà per reperire gli elementi necessari alla costruzione del nostro modello ipotetico di causa adimensionale, cioè aspaziale e atemporale, della fenomenia paranormale. 5 - Dello spazio e del tempo si hanno, grosso modo, tre modelli storici: a) quello classico, in uso da sempre sino all'empirismo inglese, secondo il quale lo spazio è l'ambiente tridimensionale delle cose e il tempo è l'ambiente unídimensionale degli eventi. Si tratta di due entità oggettive, di due «contenitori» dell'universo, fra loro incongrui, in ragione della diversa dimensionalità, eppure inclusi l'uno nell'altro come scatole cinesi, nei quali Euclide, Galileo e Newton, per parlar dei più illustri, hanno collocato i loro strumenti di misura geometrico-fisici; b) quello moderno, inventato da Kant, per salvare la matematica e la fisica dallo scetticismo degli Empiristi, secondo il quale spazio e tempo sono forme «a priori» della sensibilità, non appartenenti alle cose e agli eventi, ossia alla (63 G. De Boni, L'uomo, ecc., cit., pag. 53. (64) L'ipotesi della quarta dimensione, concepita dallo Zeillner come dimensione spaziale, è stata, respinta dal Bozzano come «impensabile». (Cfr. E. Bozzano, Ipotesi «inconcepibili» ed ipotesi «impensabili n, in Indagini sulle manifestazioni supernormali, Serie III, cit., pagg ). In effetti., quantunque presentata e discussa con molto buona volontà dal Barnard (The supernormal - A criticai introduction to psychic science, Londra, 1933, trad. it., Roma, 1949, pagg ), non riesce a farsi accettare, se non come una di quelle costruzioni, cui dà luogo la logica matematica, ma che non trovano conferma nei fatti. 205

3 i realtà oggettiva, ma all'io, che fra esse, come fra le coordinate di un mirino, mette a foto la realtà quando la conosce e per poterla conoscere; c) quello modernissimo di. Minkowski, secondo il quale spazio e tempo riconquistano l'oggettività, loro negata da Kant, ma non la sostanzialità, che avevano nel modello classico. In questo modello, spazio e tempo sono dimensioni della realtà, quindi dimensioni non incongrue fra loro, visto che strettamente le connette la realtà, cui ineriscono: una realtà quadridimensionale il Cronòtopo inquadrata dalle tre dimensioni spaziali e dalla quarta, il tempo (65 ). Sembra che quest'ultimo modello sia il più rispondente all'essenza dello spazio e del tempo, a cui è difficile, dopo le obiezioni kantiane, attribuire la sostanzialità di ambienti delle cose e degli eventi, propria del modello classico; ma a cui è forse più difficile ancora, data l'esperienza pesantemente negativa della metafisica idealistica, che, dopo alcune false partenze da posizioni empiristiche, dal Criticismo ha preso l'avvio (66 ), attribuire la soggettività di forme «a priori» dell'io, propria del modello di Kant. E tale rispondenza lo rende atto ad esprimere chiaramente la relazione di funzionalità che intercorre fra lo spazio e il tempo, relazione per la quale ciascuno dei due varia in funzione del variare dell'altro. Non vi è esempio di divenire dal più semplice moto traslativo, rappresentato dalla caduta di un grave, al più complesso moto metabolico, identificantesi con la crescita di un vivente, in cui le variazioni spaziali non siano funzioni di quelle temporali e viceversa. Ora, quest'interdipendenza fra spazio e tempo trova adeguata rappresentazione nel Cronòtopo, o universo di Minkowski, schematizzabile in un sistema cartesiano, nel quale il tempo s'inserisce come quarta coordinata. Spazio e tempo, ridotti nel modello di Minkowski al ruolo di dimensioni della realtà, in tanto si danno, in quanto si dà la realtà. Questo significa che spazio e tempo come già riteneva Cartesio nei riguardi dello spazio (67) non si danno, laddove la realtà non si dà, cioè nel (65) Hermann Minkowski ( ), nel suo Cronòtopo, sostituisce, alla quarta dimensione spaziale di Ziillner, la dimensione tempo. L'intuizione della congruenza fra spazio e tempo in un tutto unitario è balenata, precedentemente, al Gioberti, il quale l'ha espressa con lo stesso vocabolo: il Cronòtopo. Il Cronòtopo di Minkowski è l'universo, in quanto quadruplicemente dimensionato dalle tre dimensioni spaziali e dalla quarta: il tempo. (Cfr. H. Minkowski, Das Relativifdtsprinzip, Lipsia, , trad. ingl., Londra, 1923). Il Cronbtopo di Gioberti è Dio, non in quanto sostanza divina, ma in quanto infinita possibilità creativa, mediante la quale Dio stesso, cioè l'ente, giusta la nota formula giobertiana, crea l'esistente, ossa il mondo, che ne risulta, appunto, dimensionato, spazio-temporalmente. (Cfr.: V. Gioberti, Della Protologia, ed. Massari, Torino-Parigi, 1857, Vol. I, pagg , ). (66) Cfr.: C. Ottaviano, Critica dell'idealismo, Padova, , trad. ted., Miinster, E cfr. anche, dello stesso A., Metafisica dell'essere parziale, Napoli , nella quale la «reductio ad absurdum» dell'idealismo, condotta serratamente nella prima opera attraverso la critica del principio d'immanenza, trova ampio respiro, in un suggestivo, quanto nitido, panorama di storia del pensiero filosofico. Trad. rum., Bucarest, (67) Cfr.: Principia philosophiae, II, 4, in Oeuvres, Parigi

4 vuoto metafisico, cioè nel nulla: è la realtà che li sostiene nell'essere. E significa, ancora, che non hanno un essere proprio, ma fruiscono di quello della realtà: sono la realtà stessa e, per esser precisi, due aspetti della realtà. Ciò stante, il quesito circa l'essenza dello spazio e del tempo può essere concretamente formulato come domanda circa l'essenza della realtà in relazione a tali suoi aspetti, o modi di prospettarsi. Ed appunto in questa forma deve essere proposto, se si vuole che la sua soluzione dia, dei concetti di spazio e tempo, il contenuto concreto. Si deve parlare, cioè, non di spazio e di tempo, dimensioni della realtà; ma di realtà, dimensionata spazialmente e temporalmente, e si deve, poi, accertare che cosa significhi, per la realtà, questo suo esser dimensionata nelle due direzioni suddette. Consideriamo, dunque, in concreto, la realtà dimensionata spazialmente e temporalmente e vediamo quale significato sia da attribuire al dimensionamento, in genere, ed a quello spaziale e temporale, in specie. Esser dimensionata è per la realtà la medesima cosa che esser misurata, perché dimensione è sinonimo di misura. E, siccome la misura è rapporto, o proporzione, di alcunché ad un termine assunto come unità di misura, nel senso che esprime il numero di tali unità contenute nell'alcunché misurato, dire che la realtà è dimensionata significa dire che è rapportata, o proporzionata, a molte unità di misura, ossia che ne contiene molte. Ma, se contiene molte unità, la realtà s'identifica con una molteplicità, cioè con l'insieme unitario di tali molte unità. Ed è proprio questa sua costituzionale molteplicità, questo suo essere un'unità di molti ché tale è la molteplicità la ragione profonda del suo atteggiarsi come dimensionata. Per converso, l'atteggiamento in questione non è che la «facies» fenomenica della molteplicità. Si può, dunque, concludere che la realtà è genericamente dimensionata, in quanto consta di una molteplicità. Vediamo, ora, che cosa significhi, per la realtà, essere dimensionata spazialmente e temporalmente; che cosa significhi, cioè, dopo quanto si è detto, essere una molteplicità spaziale e temporale. La molteplicità, in quanto unità di molti, è data dalla convenienza fra i molti e l'uno. Si tratta di convenienza dialettica: il concetto di molteplicità risulta dalla sintesi dei due concetti, quello dei molti e quello dell'uno, ciascuno dei quali non si pone assolutamente, ma solo in opposizione all'altro, come tesi sul proprio sfondo antitetico. Ma si tratta anche di convenienza reale, od ontologica, ossia di una relazione fra i molti e l'uno, di cui la realtà, nel suo complesso ed in ogni sua anche minima parte, ci offre continuo spettacolo. Invero, tutto ciò che esperimentiamo fuori di noi ed in noi, sia esso considerato globalmente (realtà), o parzialmente (cosa o elemento di cosa ), esibisce un duplice processo di unificazione dei molti 267

5 ( consistente nel divenire uno di quelli che son molti) e di moltiplicazione dell'uno ( consistente nel divenire molti di ciò che è uno ). I due processi si integrano a vicenda e ne costituiscono uno solo: una sorta di universale palpito, che ha, per sistole, l'unificazione, per diastole, la moltiplicazione e, per sede, la realtà, considerata nella sua interezza ed in ogni suo elemento, anche infinitesimo. Si integrano, i due processi, perché ciascuno fornisce all'altro il proprio risultato, quale fulcro imprescindibile onde l'altro si verifichi. Non può darsi unificazione, se non dei molti, risultanti dall'inverso processo di moltiplicazione; né può darsi moltiplicazione, se non dell'uno, che risulta dall'inverso processo di unificazione. Sotto il profilo ontologico, la molteplicità rivela, dunque, un intimo dinamismo, dato dalla tensione fra i molti e l'uno, dinamismo che si esprime: a) staticamente, in coincidenza con ogni fase di instabile equilibrio fra le due opposte tendenze che lo costituiscono quella verso i molti e quella verso l'uno, allorché assume, appunto, quell'aspetto intermedio fra i molti e l'uno, che si indica come unità di molti, o molteplicità; b) cineticamente, nella continua, universale e capillare vicenda, nella quale le unificazioni si alternano alle moltiplicazioni, le une traendo alimento dalle altre, e viceversa, nel senso sopra indicato. Queste due espressioni del dinamismo insito nella molteplicità atteggiano la medesima e, quindi, la realtà che con essa s'identifica in termini di spazio e di tempo. In particolare, la prima espressione la atteggia spazialmen te, perché, prospettandosi come statica convenienza fra i molti e l'uno, realizza la concomitanza dei molti elementi della realtà nell'unità di quest'ultima. E lo spazio è, appunto, concomitanza di molti. La seconda espressione atteggia la realtà temporalmente, perché si prospetta come vicenda di unificazioni e moltiplicazioni, continuamente, universalmente e capillarmente incidenti nella realtà, che ne risulta articolata in una successione di eventi. E il tempo è, appunto, successione di eventi. Si perviene, così, ad una visione della realtà, dimensionata secondo spazio e tempo, in quanto sintesi dinamica dei molti e dell'uno, esplicantesi in un'alterna vicenda di conversione dei molti nell'uno o unificazione e dell'uno nei molti o moltiplicazione ( 68 ). (68) Questa nostra visuale ha un albero genealogico, che, dai presocratici si ricorda Empedocle giunge fino alla speculazione dei nostri giorni. Si richiama, come esempio di quest'ultima, la teoria unitaria del mondo fisico e biologico, a cui è pervenuto l'illustre matematico italiano Luigi Fantappié ( ), partendo da un'esigenza d'interpretazione delle soluzioni dei potenziali anticipati». (L. Fantappié, Principi di una teoria unitaria del inondo fisico e biologico, Roma, 1944; Visione unitaria del mondo e della vita, in Sophia Rivista internazionale di Filosofia e Storia della Filosofia, Padova, luglio-dicembre 1947, pagg ). La teoria del Fantappié trova un'interessante applicazione psicologica nella «Psicoenergetica di Primo Sacripanti. (Cfr.: R Sacripanti, Dal dinamismo primario della psiche alla nascita delliperlo, con prefazione di Nicola Pende, in Quaderni di Fraternità Nord-Sud, Roma, 1957). 268

6 Il contenuto di questa visione è problematico. La realtà, che essa ci prospetta, intimamente dilaniata dall'alternativa fra l'uno e i molti, non riesce, infatti, a fondare la propria sussistenza e, poiché di fatto sussiste, indica nella trascendenza la sede del proprio fondamento. Seguire questa indicazione, in una ricerca più ampia, esorbita dalle finalità del presente lavoro. Qui conviene notare come la trascendenza, mentre si profila, all'esterno della realtà, sede indiziaria del fondamento della realtà medesima, all'interno condizioni la realtà, sintesi dinamica dell'uno e dei molti. E' indubbio, infatti, che codesta sintesi implichi la reciproca trascendenza dei suoi fattori. La implica sul piano logico, dove si afferma come sintesi dialettica di due antitetici concetti l'uno e i molti, sintesi condizionata «a priori» dalla loro opposizione, che è trascendenza logica. Ma la implica con più convincente evidenza sul piano ontologico, dove, come si è visto, fra l'indubbia concretezza dei molti e l'indubbia concretezza dell'uno, tale trascendenza è colmata da una tensione dinamica altrettanto concreta, attuantesi come vicenda di unificazioni e moltiplicazioni. Se l'uno e i molti ontologicamente non si trascendessero, tale vicenda non avrebbe luogo e la realtà non presenterebbe la dimensione temporale, che invece presenta. In tal caso, dovremmo considerarli reciprocamente immanenti, cioè tutt'una cosa, al punto da non consentire quella visione prospettica del loro insieme, nella quale concorrono, non s'identificano, e che dicesi molteplicità in concomitanza. La realtà, ciò stante, non presenterebbe neppure la dimensione spaziale. L'uno e i molti si trascendono ontologicamente, il che significa che non si trascendono spazialmente ossia interponendo, fra le loro due entità, spazio, né temporalmente ossia interponendo, fra le entità medesime, tempo, bensì interponendo essere. Se, infatti, la loro trascendenza fosse di natura spaziale o temporale, sarebbero lo spazio e il tempo a determinarla; mentre avviene, appunto, il contrario: è la suddetta trascendenza, come condizione «a priori» della struttura moltiplicitario-cinetica della realtà, a determinare lo spazio e il tempo, quali dimensioni della realtà stessa. L'uno e i molti si trascendono ontologicamente, in senso assiologico, proponendosi, cioè, sul piano comune dell'essere, con diverso valore (69). Fra i due, è l'uno che prevale sui molti. All'uno, infatti, compete, nella costituzione della realtà, che pur effettua con il contributo necessariamente complementare dei molti, quella preminenza, (69) Si adotta, qui, il concetto oggettivo di valore, fondato sull'identificazione scolastica» dell'essere col bene: «ens et bonum convertuntur». Valore, secondo questa concezione, è il grado di realizzazione di una cosa, grado che, stante l'identità su riferita fra essere e bene, coincide col grado di bene, ossia di vigenza attiva e attivante, presentato dalla cosa stessa. 269

7 per la quale l'antica «scolastica» lo identificava addirittura con la stessa realtà, secondo l'adagio: «ens et unum convertuntur». E tale preminenza si manifesta nell'attività concretizzante ed organizzatrice, svolta dall'uno nei confronti dei molti, che ad essa si prestano passivamente. Non si tratta soltanto dell'espressione meccanicistica di energia unificante insita nell'uno, giacché le entità, che ne risultano, mostrano strutture organiche, implicanti altri due titoli di preminenza dell'uno rispetto ai molti, e cioè l'esemplarità, per cui quello si propone a questi come esemplare da attuare, ed il finalismo, per cui l'azione del primo sui secondi non è cieca, ma illuminata da un fine: l'attuazione, appunto, del modello proposto. In tutta la realtà, dalla sua globalità all'infimo degli elementi e dal più alto livello, quello della razionalità, al più basso, quello della natura cosiddetta inorganica, l'uno si manifesta ben distinto dai molti, centro animatore, ossia concretizzante, organizzante, vitalizzante della realtà stessa (70) e di qualunque ente (71). La vita, infatti, pervade tutta la realtà ed ogni sua parte, non tanto come espressione biologica riservata ai livelli più alti della realtà stessa, quanto come coesione di elementi in concomitanza e successione, onde le dimensioni spazio-temporali del mondo che ci circonda. E questa vita prova la presenza ai molti (ossia la trascendenza rispetto a questi) dell'uno, da cui dipende. Prova ciò, perché sconfina nella morte, che, essendo, ad ogni livello di realtà (72 ), soluzione della coesione interelementare, prospetta, come più probabile ipotesi esplicativa, quella della cessazione di tale presenza. Se, infatti, la vita non fosse partecipata ai molti dall'uno, ma ad essi ilozoisticamente appartenesse, non cesserebbe d'un solo tratto, come in effetti avviene; bensì in tanti tratti, quanti sono gli elementi dell'ente che via via si separerebbero dalla compagine di esso. E sparirebbero, per questa graduale sepa- (70) Si tenga presente, al riguardo, il concetto di anima del inondo, che, dall'antico pitagorismo ( Timeo di Locri, Perì psychàs kósmo kai fysios, ed. J. J. De Gelder, Leida, 1936). attraverso il Timeo platonico (34 B) e il De anima aristotelico (I, 3, 407), passa allo stoicismo, secondo il quale diventa «Pneuma», fuoco organizzatore, intelligente (Stobeo, Eclog., 1,56; Cicerone, De natura deorum, I, 3, 35, II, 8), e giunge al neoplatonismo plotiniano (Enn. III, 2, 5). Nel Medio-evo, il concetto è riesumato, a seguito della ripresa degli studi platonici, e consegnato al Rinascimento (Agrippa di Nettesheim, Paracelso, G. van Helmont, G. Bruno, H. More). Nella filosofia moderna, ne dà una definizione Schelling (Salmi. Werke, I, parte II, pag. 569). (71) Da ciò, la concezione animistica, ancora viva nei popoli primitivi, concezione, che, con varie oscillazioni di contenuto, dall'ilozoismo dei presocratici al pampsichismo di E. Haeckel ( ), si può dire che attraversi tutta la storia del pensiero. (72) La morte non riguarda solo le creature che consideriamo viventi, ma tutte le cose. Se, per le prime, consiste nella cessazione dei fenomeni biologici, per tutte le cose consiste nella cessazione della coesione interelementare. E' recente la notizia della progettata rimozione dei cavalli di Bisanzio dalla facciata di S. Marco a Venezia, a causa di una sorta di necrosi del bronzo in cui sono fusi. Ma lo spettacolo della fatiscenza e della disintegrazione mortale di cose, quale che sia la materia che le costituisce, è uno dei più abituali. 270

8 razione, gli stessi elementi via via separantisi, senza lasciare i cosiddetti resti mortali (salma, ecc.). Ora, quest'uno, che, da una posizione di trascendenza assiologica, condiziona la realtà ed ogni parte di questa nella loro dimensionalità spazio-temporale, non può essere, a sua volta, dimensionato, almeno sotto i profili spaziale e temporale, di cui costituisce l'«a priori». Se, infatti, lo fosse a parte la contraddittorietà notata non varrebbe ad unificare in concomitanza e successione gli elementi della realtà e di ogni parte di essa; non varrebbe, cioè, ad espletare la funzione unificante, che svolge nei confronti dei molti, perché presenterebbe ad essi non uno, ma più centri di convergenza. L'uno, dunque, quale fattore condizionante la dimensionalità spazio-temporale della realtà e delle parti di essa, si prospetta adimensionalmente strutturato. 6 - L'analisi della dimensionalità spazio-temporale della realtà offre, con il fattore suddetto, all'indagine parapsicologica e, in particolare, all'ipotesi da noi avanzata di una causa adimensionale dei fenomeni paranormali, un modello di codesta causa. Si prospetta, tale modello, sotto le specie di quello che Barnard chiama «principio integrativo», ossia principio cui è raccomandata l'integrità della realtà e di qualunque cosa ed evento in essa compresi (73 ). Se, in linea generale, ne argomentiamo la presenza attiva nella realtà ed in ogni sua parte, dalla sopra notata coesione delle dette entità; in particolare, possiamo dire d'intuirne la presenza in noi, appercettivamente. Lo intuiamo, innanzi tutto, come centro del complesso psico-somatico, con cui s'identifica la nostra persona, ossia come il nucleo, al quale fanno capo tutti gli elementi concomitanti, che rendono la nostra persona dimensionata spazialmente (soma) e tutte le successive disposizioni di tali elementi, che rendono la nostra persona dimensionata temporalmente (psiche). Lo intuiamo, in secondo luogo, come il titolare, di cui la persona è una pertinenza, un oggetto di dominio, una sorta di veste e, soprattutto, è lo strumento o il mezzo della conoscenza e dell'azione. Lo intuiamo, in terzo luogo, come ciò con cui ci identifichiamo, in quanto soggetti della conoscenza e dell'azione, che, tramite la persona, ci collegano alla realtà esterna. E lo chiamiamo Io. L'Io è adimensionale, ossia è aspaziale ed atemporale. E' aspaziale, tanto è vero che non consta di una molteplicità di elementi concomitanti, come, ad esempio, la persona nel suo aspetto somatico, ma di un'unità puntuale. Infatti, nel rapportarsi alla persona, non inerisce ad ogni (73) G. C. Barnard, The supernomal, cit., trad. it., pag

9 singola parte di questa con una propria parte corrispondente, ma è tutto in ogni singola parte della persona. E' atemporale, tanto è vero che non consta di una molteplicità di stati successivi, come, ad esempio, la persona nel suo aspetto psichico, ma di un'unità istantanea. Infatti, nel rapportarsi alla persona, non s'immedesima con i successivi stati di questa, declinando con essi nel passato o provenendo con essi dal futuro; ma permane fisso nell'istante del presente, lasciando, per dir così, scivolare su di sé il divenire della persona. In esso, dunque, sembra potersi ravvisare l'agente sconosciuto dei fenomeni paranormali, per il fatto che ha con questi in comune il carattere dell'adimensionalità spazio-temporale. L'Io può conoscere ed agire, prescindendo dalle condizioni che spazio e tempo impongono alla conoscenza e all'azione normali, perché la sua essenziale adimensionalità lo affranca da tali condizioni. Ma, affinché questa possibilità si renda attuale e l'io, in effetti, conosca ed agisca in guisa paranormale, l'io medesimo deve passare dallo stato di integrazione nella persona stato di adimensionalità potenziale, in cui conosce ed agisce normalmente in un definitivo o provvisorio stato di disintegrazione dalla persona o di adimensionalità attuale, con la morte o, rispettivamente, con il sonno naturale, l'ipnosi, l'auto-ipnosi medianica (volgarmente: «trance»), o yogica, ecc. Sono gli stessi fatti a suggerire tale ipotesi, ossia, in primo luogo, l'atteggiamento spiritoide, che i fenomeni paranormali hanno sempre assunto ed assumono, nella stragrande maggioranza, atteggiamento particolarmente probativo, quand'è del tutto spontaneo ed inaspettato (74 ); in secondo luogo, le condizioni ipnoidee, in cui, tranne casi eccezionali, versano, più o meno profondamente, i produttori dei fenomeni in questione ( medium consapevoli, o non, della loro medianità). Ma è anche la logica a suggerirla. L'Io, finché è integrato nella persona, costituisce tutt'uno con essa e ne adotta, in particolare, la dimensionalità spaziotemporale, rapportandosi ai molti elementi, per tenerli uniti in concomitanza e successione, sicché formino, appunto, il complesso fisio-psichico personale. Tutt'uno con la persona, il suo conoscere e il suo agire sono il conoscere e l'agire della persona, cioè di un ente spazio-temporale, il cui conoscere s'identifica con il reagire all'incidenza di un oggetto che, per inciderlo, deve essergli, ovviamente, presente nello spazio e nel tempo e il cui agire s'identifica con l'incidere in un oggetto ovviamente ad esso presente nello spazio e nel tempo. Solo con la disintegrazione, definitiva o provvisoria, dalla persona disintegrazione possibile, data la trascendenza assiologica dell'io, rispetto agli elementi (74) E' da ricordare, a questo proposito, il caso Fox, in cui l'entità supposta ed interpellata era il demonio, mentre quella, che si dichiarò presente e i cui resti mortali furono rinvenuti casualmente, dopo 56 anni, nello scantinato di Hydesville, era un disincarnato. 272

10 fisio-psichici che unisce l'io può spogliarsi della dimensionalità, che è connaturata alla persona, non ad esso. Ora, la fenomenia paranormale, nelle sue due grandi categorie, quella dei fenomeni soggettivi e quella dei fenomeni oggettivi, offre ciò, che appare come l'esempio più calzante della conoscenza e dell'azione di soggetti o Io liberi da dimensionalità spazio-temporale. La schematica dei fenomeni è dualistica, come quella della conoscenza e dell'azione normali, nel senso che la conoscenza paranormale si prospetta come alterazione del soggetto, avente contenuto oggettivo, e l'azione paranormale, come alterazione dell'oggetto, avente contenuto soggettivo. Ma, entro questa schematica, identica a quella della conoscenza e dell'azione normali, i fenomeni si producono secondo una meccanica, che differisce da quella della normalità teoretico-pratica, per l'abolizione dello spazio e del tempo, quali condizioni dell'interazione fra soggetto ed oggetto. Questo significa che, sia la conoscenza, sia l'azione paranormali si verificano indipendentemente dalla coesistenza spazio-temporale del soggetto e dell'oggetto: indipendentemente da quell'o hic et nunc», a cui soggetto e oggetto sono legati, come ad imprescindibile denominatore comune, nella conoscenza e nell'azione normali E significa anche qualcosa di più. La rapida rassegna fenomenologica sopra tracciata ha messo in luce come, ad una fenomenia paranormale macroscopica, se ne affianchi una microscopica. L'ipotesi dell'adimensionalità dell'io, che abbiamo proposta, sembra getti una luce anche su questo aspetto della problematica parapsicologica. Invero, ad un Io, cui siano indifferenti le condizioni spazio-temporali della conoscenza e dell'azione, sono indifferenti, evidentemente, anche le dimensioni spazio-temporali dell'oggetto, sicché la fenomenia microscopica non può destare maggiore meraviglia, di quella macroscopica. LUIGI PIZZIGHELLI 3 - LA ZAGAGLIA 273

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