recensioni teatrali Ronconi/ Una casa di bambola Il crepuscolo della regia

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1 recensioni teatrali Ronconi/ Una casa di bambola Il crepuscolo della regia Il Teatro Stabile di Genova ha prodotto un adattamento di Una casa di bambola di Ibsen, con la regia di un maestro della regia, Luca Ronconi, attrice protagonista Mariangela Melato. Il titolo vero dello spettacolo è Nora alla prova, immaginando una sorta di prova teatrale: fondale nero di una scena vuota, sedie pieghevoli da teatro e poco più. Va bene lo stesso. Non sono così angustamente tradizionalista da pretendere sempre il testo tutt intero. Anzi, apprezzo l idea di lavorare sul testo. Con gli attori che recitano le didascalie (così capitali in Ibsen, sicché il fatto di sentirle dire dagli interpreti giova agli spettatori che non leggono Ibsen, li reintegra di una ricchezza testuale considerevole). Ma soprattutto con l intervento molto ronconiano ma sempre illuminante dei pochi effetti scenografici: case in miniatura che calano dall alto (appunto, casine di bambola), regali natalizi o manichini dei tre bambini che entrano in scena su dei carrelli radiocomandati (bella la slitta che entra con i tre bambinibambolotti, in finale dell atto primo), ecc. Non si può negare che ci sia gusto, finezza, intelligenza. A rileggere Una casa di bambola, oggi, non possono non colpire 1

2 spiacevolmente alcuni elementi che fanno della pièce un testo un po datato: per esempio il dispotismo maritale grazie al quale Nora non può intercettare la lettera indirizzata a Torvald, carica di disgrazie per lei. La povera signora borghese del tempo non aveva diritto ad avere copia della chiave della cassetta delle lettere. Cosa fa Ronconi? Per un paio di volte fa entrare in scena la cassetta di un verde splendente in cima a un asta: la prima volta entra da destra (qui e sempre, destra e sinistra rispetto allo spettatore), la seconda da sinistra, con effetto spiazzante (e antinaturalistico) per lo spettatore. La cassetta (e la lettera minacciosa nella cassetta) si svelano per quello che sono, banali artifici di una drammaturgia ottocentesca, molto commerciale, da cui Ibsen parte per costruire quella che resta, comunque, una splendida pièce bien faite. Anche i tre bambini sono una bella scocciatura, e Ronconi si diverte a presentarceli sotto forma di bambolotti, anziché sopprimerli, come fanno solitamente le compagnie teatrali che devono fare i conti con i costi di produzione. Più in generale come si sarà capito è chiaro che Ronconi punta per questa via a svuotare il testo della sua buccia naturalistica, che è indubbiamente un altro elemento che rende l opera leggermente datata. Deliziosi alcuni passaggi che riguardano la povera domestica fattorina, incaricata dapprima di recapitare a Krogstad la lettera di licenziamento, e poi nel cuore della notte di andare a ricevere alla porta la lettera di pentimento dello stesso Krogstad. Siccome davanti a noi è una semplice prova di Una Casa di bambola, è ovvio che gli attori che non recitano stiano ai bordi del palcoscenico. Ed ecco la prima trouvaille: la cameriera, in proscenio, a estrema destra, riceve dalle mani di Torvald la lettera di licenziamento ( Ecco, prenda 2

3 questa lettera e la porti giù subito, dice Torvald), e subito la vediamo con la lettera tesa comicamente in avanti fare pochi passi, attraversare orizzontalmente il palcoscenico, per metterla nelle mani dell attore che interpreta Krogstad, seduto ai margini, a estrema sinistra del proscenio. Ancora più divertente l altra immagine, quando la domestica entra, sbadigliando vistosamente, su una sedia a rotelle radioguidata, che taglia egualmente la scena da sinistra a destra, consegna la lettera a metà strada, e prosegue la corsa, uscendo a estrema destra, per tornare a dormire beatamente. Egualmente carino (sebbene incongruo, rispetto alla matrice ibseniana) il Rank cadaverico che si muove velocemente per lo spazio scenico sulla sua carrozzella con motorino incorporato, da invalido di lungo corso. Scelta curiosa e graziosa ma, appunto, completamente scentrata rispetto al cuore del testo. Il dottor Rank è condannato a morte ma, per il momento, ha ancora tutti i suoi sensi e i suoi desideri ben caldi: Nora opera con lui (per lui, su di lui) la bellissima scena di seduzione delle calze di seta color carne, ma proprio perché sa benissimo che è ancora reattivo. Anche il suo irrompere nel cuore del terzo atto,a disturbare la notte d amore (presunta) di Torvald rivela il gusto 3

4 segreto della vendetta dell innamorato deluso. Ronconi, invece, lo trasforma in un handicappato e dunque lo mette fuori gioco: cancellata la scena di seduzione delle calze, cancellata la provocazione del suo indiscreto battere alla porta dell amico dopo il ballo. Cancellato tutto. Pazienza. E pazienza anche per Mariangela Melato, che fa due parti in commedia, Nora e l amica di Nora, Kristine. Quando si dice fare due parti in commedia si vuol indicare una cosa che non si può fare, che non è né bene né opportuno fare. Nemmeno il Grande Attore ottocentesco si è mai avventurato su questo terreno di impossibilia. Ma lui, normalmente, era impacciato dai cascami naturalistici, come si dice. Ronconi opta per la forma laboratorio: siamo alle prove, in scena ci sono due giovani attrici, Barbara Moselli (Nora) e Orietta Notari (Kristine), tutt e due in abiti ottocenteschi, con tanto di goffo paniere sulle natiche. Recitano in modo scolastico, dice Masolino D Amico, e dunque è ragionevole che Mariangela Melato in pantaloni e maglione nero, scarpe basse, cioè moderna, non in costume intervenga a sovrapporsi alle due colleghe più giovani e più inesperte. Ciò che non immaginava di poter fare il Grande Attore ottocentesco, lo fa il Grande Attore novecentesco, con il rinforzo del Grande Regista novecentesco. E tanto peggio per i critici sempre osannanti il Maestro (ma lettori distratti di Ibsen) che annuiscono compiaciuti, discettando sulla genialità della trovata, come se Nora e Kristine fossero due facce di una stessa figura femminile. 4

5 S intende che, per arrivare a questa reductio ad unum, Ronconi è costretto a sopprimere una battuta capitale di Kristine ( Ascoltami, Nora; in molte cose tu sei ancora una bimba ), a eliminare il décalage che distingue la donna infantile (Nora) dalla donna matura (Kristine). E tuttavia, a essere onesti, ci potrebbe anche essere, in questa forzatura ronconiana, un barlume di verità, ma solo un barlume. Kristine, nel passato, si è venduta, ha sposato un uomo che non amava, rinunciando all uomo che amava (Krogstad) perché doveva mantenere la madre e i fratelli minori; Nora, non troppo dissimilmente, nel passato, è stata venduta: dal padre che era contabilmente un po mariuolo, salvato dallo scandalo grazie all ispettore ministeriale Torvald, che ha chiuso un occhio, anzi due, per amor della bella Noretta. Ibsen adopera il bisturi in modo delicato ma va a fondo: questo sottotesto ce lo spiattella con dovizia. Come ci mostra il gioco delle due coppie posizionate in modo simmetrico ma opposto: Kristine e Krogstad vengono da un passato di infelicità ma costruiscono nel presente la loro felicità perché hanno il coraggio di dirsi la verità; Nora e Torvald vengono da un passato di felicità ma costruiscono nel presente la loro infelicità perché non sono mai stati capaci di dirsi la verità, la quale appena salta fuori spacca la coppia, almeno sul breve periodo (direbbe Groddeck, ma lascio perdere, per non complicarci la vita). Il fatto, però, è che Ronconi non evidenzia questo snodo, non dà rilievo al gioco delle coppie uguali ed opposte. Carica semplicemente il duetto delle due donne, come se davvero fossero due facce della stessa medaglia. Al termine 5

6 del dialogo con Krogstad, a inizio di terzo atto, Kristine dice: Aver qualcuno per cui lavorare per cui vivere; una casa in cui portare la felicità (cito dalla traduzione di Anita Rho, Einaudi, usata da Ronconi). Melato Nora, in finale di dramma, sul punto di andarsene di casa, ripete la battuta di Kristine. Come dire che davvero Kristine è dentro la pelle di Nora. Non basta. Ronconi rispolvera dall armadio dei cultori ibseniani un particolare del tutto secondario (una attrice tedesca si rifiutò di recitare una Nora che abbandonava i figli; Ibsen, drammaturgo cinico e baro, per non perdere i diritti d autore, approntò una variante in cui Nora, alla vista dei figli, non scappa più di casa, con una battuta splendida: Commetto peccato contro di me, ma non posso abbandonarli [i figli] ). Non si sentiva per nulla bisogno di questo particolare dotto, che ha finito per mettere in imbarazzo qualche cronista teatrale non troppo ferrata di cose ibseniane 1, ma tant è. Ronconi inizia il suo laboratorio con la Nora di Barbara Moselli che prova prima l uno e poi l altro scioglimento. Al termine del laboratorio la Nora di Mariangela Melato ripete mentalmente tutt e due le soluzioni, poi ripete la battuta di Kristine di cui si è detto e chiude rompendo la maquette della casina di bambola scesa dall alto, dando un calcio alla piattaforma su cui sono i manichini dei suoi tre bambini (così rispediti nella loro stanzina), e se ne va da casa Helmer, come da copione. È chiaro che Ronconi punta a quello che è sempre stato almeno tradizionalmente lo zoccolo duro di Una casa di bambola. Ha un bel dire Mariangela Melato che questo non è uno spettacolo femminista ; se non è zuppa, è pan bagnato. Il richiamo all epilogo happy end, e il raddoppio di Kristine, nonché la costruzione dell allestimento che comincia 6

7 dalla fine, con la decisione, per quanto sofferta, di Nora di abbandonare il marito, duplicato poi in finale di spettacolo mostrano ad abundantiam che il nodo dell allestimento è qui, e solo qui. Diciamolo in un altro modo. È come se ci fossero tre possibilità: la donna subalterna che non lascia la casa, prigioniera del ricatto dei figli, i quali non possono essere abbandonati; la proto femminista che sbatte la porta e parte; la donna che accetta la terza via, attenta a comprendere che c è del giusto nella battuta Aver qualcun per cui lavorare per cui vivere; una casa in cui portare la felicità. Peccato che la traduzione scelta da Ronconi sia imprecisa e finisca per pasticciare e confondere: il testo non dice lykke (felicità) bensì hygge (conforto). Kristine e Krogstad si sono amati, ma quando erano giovani; adesso, il loro, è un matrimonio d interesse, una sistemazione: due naufraghi attaccati insieme a una zattera in comune è meglio che ogni naufrago per conto suo, attaccato a una distinta zattera. Lo dice Kristine, papale papale, con disincantata lucidità, e possiamo crederle. S intende che Mariangela Melato viene da gravi problemi di salute, e la solidarietà nei suoi confronti è doverosa, e, dunque, se fare due parti in commedia è una potente iniezione di vita, perché no? Ma senza esagerare la portata dell operazione. E avendo ben chiari tutti i limiti della lettura ronconiana, che sono poi quelli di sempre (cioè di tutti i suoi spettacoli ibseniani), e che dunque non 7

8 c entrano con Mariangela Melato. A Ronconi interessa qualcosa che in Ibsen non c è, e non gli interessa assolutamente quello che in Ibsen c è. È doloroso dirlo, ma alla fine arriva il tempo in cui non c è più tempo, in cui dunque bisogna dirsi tutto. Va bene purificare il testo da alcuni legami artificiosi che dice Ronconi in un intervista costituiscono la parte più caduca della drammaturgia ibseniana, ma non è possibile buttare via il bambino con l acqua sporca. In Ibsen ci sono porte socchiuse dietro cui origliano i ragazzacci (per esempio Osvald in Spettri, che non per nulla Ronconi realizzava a Spoleto nel 1982 senza porte, con uno spazio continuo tra sala da pranzo e salotto), e soprattutto c è moltissimo eros che preme e che spesso fuoriesce con effetti devastanti. Ronconi cancella la scena di seduzione delle calze di seta di Rank, e pazienza; cancella la prova della tarantella in finale di secondo atto, anch essa traboccante di esibizionismo e di sguardi desideranti, e ancora pazienza; ma cancella anche il semplice ricordo delle tarantella eseguita al ballo mascherato nel terzo atto. Ibsen ci mostra Torvald che ritorna dal ballo mezzo ubriaco di champagne e tutto sessualmente infoiato. Le avances alla povera Nora sono di una brutalità macho terrificante, peggio delle fantasie di Arcore (dopo otto anni di matrimonio è ancora lì che fantastica nell assaporare il gusto sadico della deflorazione nuziale!). La critica (un po troppo) servile finge di non accorgersene, salvo Masolino D Amico che annota: Si ascolta una versione con drastici tagli (niente tarantella!). Ma il peggio non è l omissione della tarantella. Il peggio non è la figura di Nora che perde di fascino seduttivo. Il peggio sono i deliri erotici di Torvald che ci vengono risparmiati, come se 8

9 fossimo in una realizzazione offerta a suorine di clausura. Cosa dice Ronconi nell intervista? Al centro del teatro di Ibsen non sta il realismo sociale, ma la rappresentazione simbolica della verità. Come in L anitra selvatica, Ibsen muove anche qui da posizioni che rinviano a Rousseau: l uomo nasce naturale ed è la società che lo rovina. Per questo, apro lo spettacolo con lo strepito degli uccelli. Nora e Torvald sono rappresentati all inizio come due persone allegre e gioiose, piene di vita. È solo nel procedere dell azione che l allegria di Nora si scopre essere imposta dall esterno; mentre Torvald, all inizio così seducente e sensuale, si trasforma in modo del tutto innaturale in corrispondenza con la sua scalata sociale. Spiace dirlo, ma è difficile essere d accordo con il Maestro. Se è vero che Ibsen è il fratello gemello di Freud, diventa improbabile il riferimento a Rousseau. La drammaturgia di Ibsen svela continuamente pulsioni profonde immonde. Non c è che l imbarazzo della scelta. Dall elogio involontario della pedofilia accertabile ne Il costruttore Solness a Il piccolo Eyolf, dove una donna sposata è pervasa da un tale desiderio erotico nei confronti del marito (alquanto frigido) da considerare il figlioletto handicappato una sorta di barriera fra lei e il consorte, e fino al punto di desiderare la morte del figlio, che poi puntualmente si toglie di torno morendo annegato. Ancora più discutibile l idea ronconiana di una perdita di sensualità da parte di Torvald, collegata per qualche verso alla sua scalata sociale. È vero esattamente il contrario. Basta sentirlo parlare, Torvald, proprio nel cuore del terzo atto diventato ormai direttore di banca, quando resta solo con Nora: Uhm però è magnifico essere in casa propria esser solo con te mia deliziosa affascinante 9

10 donnina! [ ] Perché non dovrei guardare il mio tesoro? Non contemplare lo splendore che mi appartiene, a me, a me solo, unicamente ed esclusivamente? (cito sempre da Anita Rho). La cupidigia erotica di Torvald che qui propriamente inizia, e che crescerà sino a vette da autentico predatore sessuale si radica nella esaltazione borghese della proprietà privata, del possesso. Nora è il suo ejendom, che vale appunto proprietà (piuttosto che tesoro, come traduce la Rho). Ronconi ci presenta nel finale un Torvald iroso, violento, di un maschilismo egoistico caricaturale, con risate di gioia da scimmione e piccoli orgasmi di compiacimento quando legge e poi strappa i documenti che gli invia Krogstad, liberandolo felicemente da ogni ricatto. Il guaio è che Torvald non è questo che ci offre Ronconi. È peggio di così, molto peggio, ma non così. Il buonismo ronconiano (il suo bislacco mito di un Ibsen Rousseau) gli impedisce di evidenziare la brutalità sessuale, al limite del sadismo, che Ibsen ha disegnato nel personaggio. Due parole sulla traduzione scelta da Ronconi. Da almeno vent anni gli studiosi di teatro hanno chiarito la totale inaffidabilità delle traduzioni della Rho. Il vidunderlig così genialmente utilizzato da Groddeck nella sua lettura eversiva di Una casa di bambola è reso a volte con prodigio (o prodigioso), altre volte con meraviglioso, anche all interno di una stessa pagina. Ma i registi hanno il diritto di usare le traduzioni che vogliono, e capisco che Ronconi ce le ha nell orecchio le traduzioni ibseniane della Rho, perché è in quelle versioni che l artista ha letto Ibsen la prima volta, trenta/quaranta anni fa. La stessa cosa capita a Massimo Castri, anche lui fedele alla poco fededegna Anita Rho. Però l uno e l altro Luca Ronconi e 10

11 Massimo Castri dovrebbero almeno operare qualche minimo ritocco, pur nella piena libertà di far recitare Ibsen con le cadenze melodiose, piacevolmente arcaiche, della Rho. Cioè nel caso in questione almanco uniformare le concordanze di vidunderlig, nonché restituire il prezioso chiasmo con cui Ibsen sigilla il finale crudele, quando Nora ridà al marito il proprio anello nuziale e chiede la restituzione del suo. Non già (come traduce la Rho, e come traducono quasi tutti i traduttori, francesi, inglesi, ecc.): TORVALD Anche questo? NORA Anche questo. bensì: TORVALD Anche questo? NORA Questo anche. Non insisto sul fatto che Ibsen è questo, che la sua lingua è questa martellante ossessiva contorta, una lingua non naturalistica. (r.a.) 1. Lei, la moglie Nora, un po ci fa, ma, come sono le donne, non la racconta tutta e ha i suoi segreti. Nel suo lato oscuro c è un prestito di soldi chiesto (peraltro per far felice il suo uomo) scostumatamente a un mezzo delinquente, Krogstad, che ora la ricatta per avere un posto in banca dal marito (Anna Bandettini, La Melato conquista il mondo delle donne, in La Repubblica, 2 aprile 2011). Un po eccessivo definire un mezzo delinquente Krogstad, il quale, comunque, non 11

12 ricatta per avere un posto in banca dal marito, ma, semplicemente, per conservare il posto in banca che già ha. Del tutto fantasioso, comunque, il lato oscuro di Nora, che ha chiesto soldi in prestito per la salvare la vita del marito, e non già per far felice il suo uomo. Si direbbe che Anna Bandettini non abbia letto Una casa di bambola. Parla dunque del finale alternativo, predisposto per la scena tedesca, come se fosse una cosa seria, in qualche modo legittimata da Ibsen: Ragione per cui Nora/Kristine, ferita, impaziente, se la dà a gambe con la benedizione di Ronconi, nonostante il secondo finale di Ibsen, prudentemente, la trattenga a casa. Sul rifiuto da parte di Ibsen di questo secondo finale cfr. Franco Perrelli, Prefazione a Henrik Ibsen, Una casa di bambola, BUR/Rizzoli, Milano, 2007, p

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