CONSORZIO DI BONIFICA DELLA ROMAGNA CENTRALE
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1 CONSORZIO DI BONIFICA DELLA ROMAGNA CENTRALE VIA A. MARIANI N 26, RAVENNA TEL. 0544/ VIA P. BONOLI N 11, FORLÌ TEL. 0543/30024 PIANO DI CLASSIFICA PER IL RIPARTO DEGLI ONERI CONSORTILI Approvato con Delibera n.37/cda del , controllata senza riscontro di vizi di legittimità dal CO.RE.CO. R.E.R. nella seduta n.27 del C.E.R. C.E.R. OGGETTO: CONSORZIO DI BONIFICA DELLA ROMAGNA CENTRALE RELAZIONE Ravenna, maggio 2000
2 Sommario 1. INTRODUZIONE QUADRO NORMATIVO E LEGISLATIVO L'evoluzione della nozione di bonifica Continuità e discontinuità nella legislazione di riforma della Regione Emilia Romagna Comprensorializzazione e nuovi piani di classifica Le questioni irrisolte del processo di riforma I compiti della bonifica tra tradizione e innovazione Il potere impositivo dei Consorzi La spesa consortile ed il suo riparto Il beneficio Gli immobili soggetti a contributo Natura giuridica del contributo e contributo minimo GLI ASPETTI GENERALI Cenni storici sulle origini della bonifica nel comprensorio La bonifica nel ravennate La bonifica nel forlivese Il Consorzio e il suo comprensorio La delimitazione comprensoriale Scopo del piano di classifica Necessità di riesame dei piani di classifica vigenti IL COMPRENSORIO CONSORZIALE Gli aspetti amministrativi Le caratteristiche climatologiche I bacini scolanti e idrografici Le caratteristiche altimetriche Le caratteristiche dei suoli e loro uso LE OPERE E LE ATTIVITÀ DI BONIFICA E IRRIGAZIONE La bonifica idraulica Gli impianti idrovori L irrigazione Lo stato attuale dei comprensori irrigui Gli impianti irrigui esistenti Gli usi plurimi delle risorse idriche del C.E.R La bonifica montana Il dissesto e gli interventi nel comprensorio I laghetti collinari IL RIPARTO DELLE SPESE CONSORTILI Benefici della bonifica Attività principali e centri di spesa Zone di contribuenza Riparto degli oneri della bonifica idraulica nel distretto di pianura Beneficio di bonifica idraulica Regimazione idraulica e scolo Calcolo delle superfici scolanti degli immobili Calcolo dell indice di beneficio specifico Riparto degli oneri della bonifica montana nel Distretto di Montagna Beneficio di bonifica montana Calcolo delle superfici scolanti degli immobili Calcolo dell'indice di beneficio specifico Riparto degli oneri dell'irrigazione nel Distretto di Pianura Riparto degli oneri per la tutela ambientale nel Distretto di Pianura Individuazione degli immobili che traggono beneficio dall attività consorziale NORME DI APPLICAZIONE ELABORATI DEL PIANO
3 1. INTRODUZIONE Negli ultimi anni sono state emanate disposizioni legislative, sia regionali che nazionali, che hanno interessato direttamente la struttura e l'attività dei Consorzi di bonifica. Provvedimenti quali la classificazione dell'intero territorio della regione (ad esclusione delle aree golenali) come territorio di bonifica, il processo di riordino degli Enti, l'approvazione di nuovi statuti consortili, la soppressione di alcuni consorzi idraulici, di scolo e di irrigazione hanno fatto nascere la necessità di redigere nuovi Piani di Classifica al fine di recepire i mutamenti verificatisi. Il seguente Piano si pone l'obiettivo di determinare i nuovi criteri di riparto delle spese consortili sostenute con il contributo dei consorziati alla luce delle variazioni intervenute sul territorio di bonifica sia per gli aspetti fisici-infrastrutturali che per effetto del riordino giuridico amministrativo dell'ente stesso. Al contributo di bonifica sono assoggettati i proprietari ed i titolari di diritti reali sugli immobili presenti nel comprensorio classificato; in ragione del beneficio che gli immobili stessi traggono dalle opere di bonifica e dalle attività necessarie alla loro pianificazione, vigilanza, manutenzione ed esercizio. Dopo un esame degli aspetti giuridici delle attività di bonifica alla luce del recente processo di riforma, lo studio analizza le caratteristiche del territorio che hanno un impatto sulle attività di bonifica. Sono state pertanto esaminate le modiche intervenute sui confini territoriali del comprensorio per effetto del processo di accorpamento dei vecchi consorzi, delle nuove zone di classifica e dei nuovi limiti consortili connessi al concetto di "unità idrografica". Sono state così esaminate le caratteristiche morfologiche e climatologiche del comprensorio, gli aspetti attinenti la pedologia e gli usi del suolo, nonché le suddivisioni da adottare per le zone assoggettate a contribuenza. Sono state successivamente prese in esame tutte le opere idrauliche, irrigue e di bonifica montana con le caratteristiche tipologiche, al fine di evidenziare gli impegni di spesa connessi alle attività di gestione ed ai servizi offerti dal Consorzio. Sono poi stati fissati i criteri di contribuzione alle spese consortili. Il beneficio tratto dagli immobili è stato cosi considerato proporzionale alla superficie virtuale del bene immobile, cioè alla superficie reale moltiplicata per indici che mettono in conto sia aspetti tecnici o fisici che economici (legati alle rendite catastali e dominicali). Gli indici di beneficio connessi alle caratteristiche del territorio ed alle infrastrutture idrauliche di bonifica sono denominati indici "fisici". Per ciascun tipo di indice fisico sono state individuate le aree del comprensorio aventi eguale valore. L'indice economico dell'immobile provvede invece a rapportare il valore economico di un bene a quello degli altri immobili. La combinazione degli indici fisici e dell'indice economico ha fornito l'indice di beneficio specifico in base al quale suddividere le spese consortili. Per quanto riguarda invece le attività di irrigazione, oltre all'esame delle caratteristiche tecniche degli attuali impianti irrigui sono state considerate le possibilità di sviluppo di questa attività, tenuto conto della imponente risorsa idrica assicurata dal Canale Emiliano Romagnolo. E' stato evidenziato come lo sviluppo degli impianti irrigui che utilizzano le acque del CER sia allo stato attuale ridotto rispetto alle previsioni del Piano CER e che di conseguenza gli oneri relativi al Canale, per il concetto di beneficio "potenziale" tipico delle attività di bonifica, devono essere suddivisi tra gli attuali ed i "potenziali" fruitori, tenendo però conto che una parte degli oneri sono direttamente collegabili ai consumi e, di conseguenza, agli attuali fruitori. Le spese di irrigazione dei singoli impianti sono state invece ripartite separatamente per ciascun impianto o per gruppi di impianti dotati delle medesime caratteristiche tecnico funzionali. La bonifica idraulica non può dirsi conclusa, per effetto della continua trasformazione del territorio che vede progressivamente ridurre la propria sicurezza idraulica. Lo stesso può dirsi per la bonifica montana e per l irrigazione, le cui opere sono in minima parte concluse. Per tali motivi si è data applicazione nel presente Piano alla ripartizione delle spese di bonifica, come ammette la legge, a titolo provvisorio, in ragione cioè di indici tecnici approssimativi e presuntivi del beneficio conseguito. 2
4 2. QUADRO NORMATIVO E LEGISLATIVO 2.1. L'evoluzione della nozione di bonifica La realtà giuridico istituzionale in cui si colloca oggi l'attività di bonifica è in larga misura diversa rispetto a quella in cui essa ebbe origine e si sviluppò. Alla più recente formulazione della nozione di bonifica - intesa come attività volta non solo al perseguimento dei tradizionali obiettivi di valorizzazione del territorio e della produzione agricola, ma anche al perseguimento delle più ampie finalità di difesa del suolo qualunque ne sia la destinazione d uso e di razionale utilizzazione e tutela delle risorse idriche e dell'ambiente - si è infatti pervenuti attraverso un graduale processo di modificazione e di trasformazione, da un lato, e di progressivo ampliamento, dall'altro, del nucleo originario; processo questo intimamente connesso, dapprima, ai fenomeni di industrializzazione e di urbanesimo e, più recentemente, alle problematiche di scarsità e di inquinamento delle acque. Volendo delineare rapidamente un quadro di estrema sintesi di tale evoluzione, quale emerge in particolare dalla legislazione di settore, dobbiamo innanzitutto ricordare la prima legge generale in materia di bonifica (legge 25 giugno 1882, n. 869), emanata allo scopo di sconfiggere il paludismo e quindi circoscritta ad una concezione della bonifica esclusivamente idraulica ed a fini igienici; nel corso di decenni, tale concezione viene lentamente superata (ci si riferisce, fra le molte disposizioni emanate in tale periodo, segnatamente ai testi unici del 22 marzo 1900, n. 195 e 30 dicembre 1923, n. 3256, che finalizzarono gli interventi ad un più generale riassetto idraulico del territorio, estendendo le opere eseguibili ai fini del bonificamento e ricomprendendovi, in particolare, le opere irrigue, nonché al R.D.L. 18 maggio 1924, n. 753 che estese la bonifica ad ogni territorio che si trovasse, per qualsiasi causa, anche non idraulica, in condizioni arretrate di produzione di vita rurale) fino a giungere alla nozione di "bonifica integrale" consacrata nel R. D. 13 febbraio 1933, n Con tale normativa, organica e profondamente innovativa rispetto alle disposizioni precedentemente emanate in materia, vengono disciplinati gli interventi pubblici e privati tesi alla trasformazione od al miglioramento del comprensorio delimitato di bonifica, per il fine primario della produzione dei suoli, ma anche (e per la prima volta) di buon regime delle acque, di difesa del suolo e protezione della natura. Senza soffermarci sulle numerose disposizioni modificative ed integrative del regio decreto intervenute fino ad oggi - in gran parte relative al finanziamento di programmi pluriennali a finalità settoriali o generali - preme sottolineare come esse non contengano mutamenti, almeno fino all'attuazione dell'ordinamento regionale, al sistema delineato con il R.D. 215 e come pertanto il disegno sotteso e i principi fondamentali posti dallo stesso restino sostanzialmente immutati. Con l'attribuzione alle regioni delle competenze in materia di bonifica si accentua il processo di mutamento, iniziato sul finire degli anni sessanta, che vede dilatato il ruolo della bonifica da finalità settoriali (difesa e valorizzazione del suolo agricolo) a finalità di interesse pubblico generale (difesa del territorio, a qualunque uso adibito, e delle sue risorse). Il trasferimento operato con i decreti delegati del 1972 aveva dato luogo, come è noto, ad una frammentazione di competenze fra Stato e regioni che contraddiceva ad ogni esigenza di organicità degli interventi. Dando per note le limitazioni della competenza regionale in materia, superate con l'emanazione del D.P.R. 24 luglio 1977, n. 616, ci si limita a ricordare come dal 1978 le regioni risultino titolari delle funzioni concernenti non solo la bonifica integrale e montana, ma anche di quelle riguardanti la difesa, l'assetto e l utilizzazione del suolo, la protezione della natura, la tutela dell'ambiente, la salvaguardia e l'uso delle risorse idriche. Tali enti assumono cioè un ruolo di governo complessivo sui processi di difesa e trasformazione del territorio e delle sue risorse. Pertanto, il contesto in cui si è inserito il trasferimento delle funzioni in materia di bonifica è venuto necessariamente ad incidere sulla qualità e l'esercizio delle funzioni medesime, caricandole di una nuova significatività. 3
5 2.2. Continuità e discontinuità nella legislazione di riforma della Regione Emilia Romagna La complessa ed organica devoluzione di funzioni sopra accennata ha consentito, come detto, alle regioni una prospettiva di riforma che la regione Emilia Romagna ha colto, in materia di bonifica, con le leggi 2 agosto 1984, n. 42 e 23 aprile 1987 n. 16. Tale normativa si è andata affiancando alla vigente disciplina di principio contenuta nella legislazione statale (in particolare R.D. 215/1933 e L. 991/1952) e va ovviamente letta ed interpretata tenendo conto delle più recenti leggi statali incidenti sul settore della bonifica in tema di acque, suolo, ambiente, paesaggi, aree protette (ad esempio L.431/1985, L.349/1986, L.183/1989, L.305/1989, L.394/1991, D.Leg.275/1993, L.36/1994). In questa sede non si può dar conto delle numerose novità introdotte che hanno inciso su aspetti qualificanti della bonifica ridefinendone le finalità, l organizzazione amministrativa, la trama dei rapporti istituzionali con apparati regionali centrali e decentrati, con gli enti locali territoriali nonché con le autorità di bacino; ci limiteremo pertanto ad una descrizione delle leggi regionali sopra richiamate, e in particolare agli elementi che hanno comportato l'esigenza di rivedere i piani di classifica. Si fa riferimento, in primo luogo, alla definizione stessa della bonifica e delle sue finalità contenute nell'art.1 della l.r.42/84, alla classificazione pressoché completa del territorio regionale sancita dall'art.3 della l.r.16/87, alla ridelimitazione, con riferimento ai principali bacini idrografici, dei comprensori di bonifica di cui agli articoli 5 e 11 della l.r.42/84 e all'art.3 della l.r.16/87, al riordino dei consorzi con la soppressione degli enti di bonifica montana stabilito dall'art.11 della l.r.42/84, alla fusione e all incorporazione ovvero allo scorporo dei restanti, al fine dell'istituzione di un unico soggetto sui nuovi individuati comprensori, emergente dagli articoli 28 della l.r.42/84 e 3 della l.r.16/87, alla soppressione dei consorzi idraulici, di difesa, di scolo e di irrigazione, nonché di ogni altra forma non consortile di gestione della bonifica operata con l'art.4 della l.r.16/87, ai comprensori ed ai consorzi interregionali, per i quali sono state ricercate e in alcuni casi definite delle intese, di cui agli articoli 73 e 8 del D.P.R. 616/1977 e 1 della l.r.16/87. Altri punti specifici sono da individuare nella composizione del Consiglio dei delegati dei consorzi di bonifica, ridenominato Consiglio di Amministrazione, in cui entrano a far parte di diritto rappresentanti nominati dagli enti locali ( art.15 della l.r.42/84), nella ripartizione dell'assemblea dei consorziati in quattro sezioni elettorali, la prima delle quali riservata ai titolari dei soli immobili extragricoli (art.16 della l.r.42/84), nel sistema di elezione ispirato al criterio proporzionale, con l introduzione fortemente innovativa costituita dal voto pro-capite (art.16 della l.r.42/84) e nell'adeguamento degli statuti ad uno schema tipo adottato dalla regione (art.30 della l.r.42/84). Si ricorda ancora la riconfermata abolizione del piano generale di bonifica, già disposta con la legge regionale 47/1978, e la sua sostituzione con programmi poliennali di bonifica e di irrigazione (art.6 della l.r.42/1984), da raccordarsi con gli strumenti di pianificazione territoriale e di programmazione economica; l'individuazione della figura del consorzio speciale (art.21 della l.r.42/1984, da ricondursi peraltro al genus dei consorzi di secondo grado di cui all'art.57 del R.D. 215/1933; il sistema di controlli sugli atti sia di legittimità che di merito, delegato alla Provincia (artt.18 e 23 della l.r.42/1984, sostitutivo e sugli organi mantenuto in capo alla Giunta (art.20), radicalmente modificato dalla recente legge regionale 7 febbraio 1992, n. 7 in tema di controllo sugli enti locali e sugli enti dipendenti dalla regione, che ha ridotto le categorie degli atti soggetti al controllo, abolito quello di merito e conferito detta competenza al Comitato regionale di cui all'art.130 della Costituzione. Per quanto concerne la natura giuridica dei consorzi, sulla quale da tempo ferve un ampio dibattito, (e su cui si è recentemente pronunciata la Corte Costituzionale con sentenza n.326 del 24 luglio 1998) la legislazione regionale ha infine accentuato il carattere istituzionale di tali enti, come si evince dalla richiamata l.r.7/1992, dalla partecipazione negli organi amministrativi dei rappresentanti locali, dal riconoscimento che l'attività dei consorzi reca beneficio all'intera collettività ed al connesso principio della partecipazione pubblica ai costi di gestione, attraverso l'erogazione di contributi in conto manutenzione delle opere. 4
6 2.3. Comprensorializzazione e nuovi piani di classifica Il processo di riforma voluto dal legislatore regionale, tuttora in corso, è stato operativamente avviato nel 1987; fra le principali acquisizioni a tutt'oggi si segnalano la classificazione ai fini di bonifica del territorio regionale non classificato, il riordino degli enti, l approvazione dei nuovi statuti consortili, l'elezione degli organi di amministrazione ordinaria, la soppressione di alcuni consorzi idraulici, di scolo e di irrigazione. Un ruolo fondamentale, per il completamento del disegno riformatore, va peraltro riconosciuto alla redazione di nuovi piani di classifica per il riparto della contribuenza consortile. L'elaborazione di un nuovo piano si rende necessaria, anche per il Consorzio della Romagna Centrale, sia per motivi di fatto che di diritto; i principali vanno individuati nella classificazione dell'intero territorio regionale e nella bacinizzazione del comprensorio. Per quanto concerne il primo aspetto abbiamo già detto come l'art.3 della l.r.23 aprile 1987, n.16 abbia classificato "tutto il territorio della regione" di bonifica di seconda categoria, ad esclusione delle aree golenali riferite ad opere idrauliche di seconda e di terza categoria (artt.5 e 7del R.D. 523/1904), lasciando ferme le classificazioni esistenti alla data di entrata in vigore della legge, già adottate con provvedimenti statali. Tale classificazione è stata disposta " al fine di conseguire il necessario coordinamento degli interventi pubblici e privati per la sistemazione difesa e valorizzazione produttiva dei terreni e delle acque" (art.3, primo comma, l.r.16/1987, allo scopo cioè di rendere possibile un'omogenea azione di bonifica sul territorio regionale. La Corte Costituzionale, con sentenza n. 66 del 1992, ha ritenuto legittima tale classificazione affermando fra l'altro che "il concetto di bonifica particolarmente comprensivo" fatto proprio dalla legislazione della Regione Emilia Romagna giustifica la classificazione dell'intero territorio regionale, ossia la potenziale assoggettabilità del medesimo all'attività di bonifica, senza che peraltro ciò significhi l'automatico assoggettamento al contributo di tutti gli immobili. La norma ha trovato applicazione nel comprensorio del Consorzio della Romagna Centrale, ad esempio, con riguardo all'area di Brisighella, non classificata prima dell'entrata in vigore della l.r.16/1987 ed estesa per circa 129 ha. L'area di nuova classifica ha comportato per il Consorzio un'attività di conoscenza, di acquisizione e gestione dati, di verifica delle interdipendenze con le aree contermini, quanto meno ai fini dell'elaborazione del Piano di Classifica e della redazione delle proposte dei programmi poliennali, nonché specifici interventi a fronte della quale ha dovuto provvedere mediante opportuna spesa. Per quanto concerne il secondo connesso motivo, si sottolinea come la separazione fra le aree montane e le sottostanti aree di pianura, ma soprattutto la mancata coincidenza delle delimitazioni comprensoriali con i bacini dei principali corsi d'acqua, abbia determinato il 1egisIatore regionale a ritenere incongrua la preesistente rete di comprensori, che presentava vuoti proprio nei punti più delicati e vulnerabili per la corretta regimazione idraulica dei terreni, ossia nei punti di congiunzione fra montagna e pianura. La visione unitaria di bacino già adottata con la l.r.42/1984 e 1'imprescindibile necessità di coordinare gli interventi sui terreni di montagna e di pianura hanno condotto alle nuove delimitazioni comprensoriali a scala di bacino idrografico, delimitazioni che, accanto alla classificazione dell'intero territorio, hanno reso necessaria l'adozione di un nuovo piano di classifica. Quello della Romagna Centrale è un comprensorio di carattere interregionale poiché comprende territori inclusi in aree di competenza amministrativa della Regione Toscana in quanto fanno parte morfologicamente del versante Adriatico dell Appennino Tosco Romagnolo. Conviene precisare come, ai fini di bonifica la legge regionale 42/1984 faccia riferimento al criterio di unità idrografica costituita, a mente dell'art.11, secondo comma, da un bacino, più bacini idrografici o parte di essi. Tale concetto - che si rifà a quanto da tempo sostenuto dalla tradizione idraulica circa la necessità di programmare gli interventi avendo riguardo all'intero territorio ricadente entro i limiti di ciascun bacino - già avanzato, nei primi anni 70, in sede di Commissione De Marchi e di Conferenza nazionale delle acque, nonché di indagine conoscitiva sulla difesa del suolo curata dalle Commissioni agricoltura e lavori pubblici del Senato, appare più significativo di quello di bacino idrografico; esso si impernia su due elementi inscindibili costituiti dall'omogeneità idrografica (art.5) e dalla funzionalità riferita, oltre che alla realizzazione degli interventi, all'ampiezza territoriale ed all'operatività dell'ente (artt.5, 11 e 12). Per quanto riguarda il Consorzio della Romagna Centrale, il superamento della nozione di comprensorio omogeneo (sotto il profilo agrario ed economico sociale) e settoriale prefigurato dalla legislazione statale del 1933, ha comportato l'unificazione montagna - pianura, con la soppressione 5
7 del Consorzio di Bonifica di Predappio, il riaccorpamento territoriale dei preesistenti comprensori ed il riordino istituzionale ed organizzativo degli enti esistenti e cioè il Consorzio di Bonifica di Ravenna, il Consorzio Idraulico di Forlì, il Consorzio Idraulico Ausa, il Consorzio Scolo Rio Cosina di Faenza. Si è infatti istituito un solo consorzio di bonifica su di un comprensorio a scala di unità idrografica al quale dovranno anche essere trasferite le funzioni delle sopprimende gestioni atipiche di bonifica Le questioni irrisolte del processo di riforma Mentre ferve nuovamente il dibattito per apportare sostanziali modifiche alla legislazione che regola la materia, il processo di riordino avviato nel 1987, come già rilevato, non risulta essere ancora compiutamente definito. Si segnalano alcuni fra gli interventi ancora inattuati più direttamente incidenti sul ruolo istituzionale dei consorzi di bonifica. In primo luogo l'effettiva adozione degli strumenti di pianificazione e programmazione (i programmi poliennali di bonifica e di irrigazione di cui all'art.6 della l.r.42/1984) ed il loro coordinamento con la pianificazione di sviluppo, tutela ed uso del territorio, sia sotto il profilo di una compatibilità delle rispettive previsioni (ad esempio circa gli assetti idraulici ed idrogeologici), sia sotto il profilo della puntuale definizione delle competenze e delle relative responsabilità fra gli apparati coinvolti (si pensi alla manutenzione delle opere di bonifica interessate da altre infrastrutture pubbliche quali strade, ponti, ecc.., ovvero alla ripartizione, nell'ambito del bacino, delle competenze operative sui corsi d'acqua naturali ed artificiali ed alle connesse funzioni di polizia idraulica), nonché dell'integrazione delle risorse finanziarie pubbliche destinate alla realizzazione dei programmi d'intervento (ad esempio coordinamento degli investimenti pubblici per Parchi e Riserve naturali con quelli per gli interventi programmati per la bonifica, per la difesa del suolo, per la tutela delle acque e dell'ambiente, ovvero per la protezione civile). In secondo luogo l'effettivo ricorso, in via ordinaria, allo strumento opera privata obbligatoria di cui all'art. 8 della l.r.42/1984 (utilizzando, attraverso il consorzio di bonifica, i fondi resi disponibili dalle politiche comunitarie, statali e regionali per le opere infrastrutturali o comuni a più fondi) per far fronte alle situazioni di rischio o di pericolo che attengono ai beni dei privati; gli apparati pubblici di difesa del suolo infatti provvedono esclusivamente alla tutela dei corsi d'acqua naturali e degli immobili a destinazione pubblica, disinteressandosi dei privati che non vengono coinvolti nella realizzazione degli obiettivi di tutela territoriale. Infine, e più in generale, alla razionalizzazione ed all'effettiva attivazione di tutti gli altri numerosi strumenti previsti dalla legislazione che regolano l'esercizio delle competenze tecnico operative: ci si riferisce in particolare al coinvolgimento dei consorzi negli "accordi di programma" per interventi ambientali di cui all'art.4, secondo comma, della legge 305/1989, ovvero nella determinazione del bilancio idrico di bacino e del "deflusso minimo vitale" di cui alla recente legge 36/1994; alla consultazione dei consorzi per i piani di sfruttamento delle cave di cui all'art.11 della l.r.17/1991; alla determinazione delle modalità di coordinamento e collaborazione fra soggetti pubblici competenti prevista dall'art.3, secondo comma, della legge 183/1989; all'attivazione a livello regionale del sistema sanzionatorio per gli abusi commessi in violazione delle norme sulla polizia idraulica previsto dal R.D. 368/ I compiti della bonifica tra tradizione e innovazione Parallelamente all'evolversi della nozione di bonifica, sono andati modificandosi ed arricchendosi le finalità ed i compiti della stessa e quindi l'attività svolta dai consorzi, con una diretta ripercussione sui diversi benefici arrecati dall'attività medesima, i quali, costituendo la principale condizione che legittima l'imposizione contributiva consortile, assumono singolare rilievo nella redazione del piano di classifica. Dall'esame della legislazione statale e regionale, ma anche dagli stessi statuti consortili, emerge, come più sopra accennato, una rideterminazione delle finalità della bonifica nel più ampio concetto della difesa del suolo, dei beni naturali e della tutela ed utilizzazione delle risorse idriche, con conseguente ridefinizione quantitativa delle funzioni affidate ai consorzi, nonché una diversa caratterizzazione qualitativa, dovuta principalmente al mutato contesto territoriale (unità idrografica) e funzionale (piani di bacino, piano paesistico, vincoli ambientali, ecc.). Se nel 1933 e sostanzialmente, come abbiamo visto, fino agli anni settanta, i compiti attribuiti alla bonifica avevano per oggetto principale la progettazione, l'esecuzione, l'esercizio e la manutenzione 6
8 di opere e di interventi pubblici di varia natura, il coordinamento di questi con quelli da effettuarsi a carico dei privati ed il controllo sulla loro effettiva realizzazione, la vigilanza sulle opere e sul territorio comprensoriale, nonché l'assistenza a favore dei consorziati, si può affermare che l'azione assegnata alla bonifica, pur avendo una rilevante incidenza sull'assetto complessivo del territorio e sulla sua infrastrutturazione, fosse sostanzialmente tesa alla conservazione ed alla valorizzazione del suolo a scopi produttivi. Con l'espandersi dell'uso urbano, industriale ed infrastrutturale del territorio e con la trasformazione di quello agricolo, gli equilibri raggiunti, in particolare circa il contenimento dei fenomeni fisici naturali e nelle destinazioni d'uso del territorio extraurbano, iniziano ad incrinarsi. Infatti, il superamento della tradizionale distinzione fra territorio urbano e territorio rurale e la crescente interdipendenza fra i due, nonché la moltiplicazione degli effetti negativi dello sviluppo (degrado ambientale) conducono, da un lato, all'abbandono di alcuni interventi tradizionali della bonifica riconducibili all'attività agricoloforestale, e dall'altro, al progressivo intensificarsi di interventi finalizzati alla salvaguardia di interessi generalizzati sul territorio, a qualunque uso destinato. Abbiamo visto come la legislazione regionale di riforma abbia colto e, per certi aspetti, anticipato gli assetti e gli orientamenti sviluppati e precisati nella successiva legislazione statale in tema di suolo e di acque. Valga, per tutte le considerazioni sopra evidenziate, la formulazione dell'art.1 della legge regionale 42/1984 che, recitando testualmente: La regione Emilia Romagna riconosce, promuove ed organizza l'attività di bonifica come funzione essenzialmente pubblica ai fini della difesa del suolo e di un equilibrato sviluppo del proprio territorio, della tutela e della valorizzazione della produzione agricola e dei beni naturali, con particolare riferimento alle risorse idriche, ben rende il senso dell'evoluzione intervenuta. Con l'emanazione della legge 183/1989 vengono introdotte novità di rilievo al quadro sopra descritto. Ci si riferisce in particolare al ruolo assegnato ai Consorzi quali soggetti realizzatori delle finalità della legge sia sul piano programmatorio sia su quello attuativo degli interventi. I Consorzi vengono infatti configurati come una delle istituzioni principali che concorre alla realizzazione degli scopi della difesa del suolo, del risanamento delle acque, di fruizione e gestione del patrimonio idrico per gli usi di razionale sviluppo economico e sociale. Non di meno, l'impostazione prevalentemente idraulico-naturale tipica della difesa del suolo, così come la sua forte connotazione in chiave di difesa passiva che sembra ricavarsi dalla separata individuazione delle tipologie di intervento indicate dall'art.3 della legge 183/1989, nonché dalla disciplina sul contenuto dei piani di bacino, sembrano marginalizzare la concezione di conservazione dinamica del suolo su cui si fonda la bonifica e la coordinata finalizzazione di una pluralità di interventi volti a modificare i precari equilibri naturali sulla quale la medesima si è sviluppata. La bonifica cioè sembrerebbe, in tale contesto normativo, compressa nel suo ruolo di azione complessiva (integralità). Peraltro, in assenza della normativa regionale di attuazione della 183, non è possibile valutare l'effettiva portata del coinvolgimento dei Consorzi e del ruolo operativo che ad essi sarà assegnato. Diamo da ultimo conto della legge 5 gennaio 1994, n 36 (detta legge Galli) che riforma radicalmente la disciplina delle risorse idriche. Senza soffermarci su aspetti quali la totale pubblicizzazione del patrimonio idrico, il venir meno della piena ed incondizionata disponibilità delle acque esistenti sul fondo agricolo o i limiti imposti al proprietario del fondo sull utilizzazione di tali acque, utilizzazione che rimane comunque condizionata all'adozione di un provvedimento da parte della pubblica amministrazione, ci interessa sottolineare il ribadito essenziale ruolo svolto dai Consorzi di bonifica. Infatti la legge quadro sulle risorse idriche, nel confermare le primarie funzioni dei consorzi nella gestione delle acque ad usi prevalentemente irrigui, affida ai medesimi funzioni in materia di usi plurimi, con riguardo sia alla realizzazione e gestione di impianti per l'utilizzazione delle acque reflue in agricoltura, sia alla possibile utilizzazione delle medesime per altri usi (approvvigionamento di impianti industriali, produzione di energia elettrica, ecc.) all'unica condizione che l'acqua torni indenne all'agricoltura. Si può quindi conclusivamente affermare che i consorzi si trovano oggi ad operare in una realtà giuridico istituzionale profondamente diversa rispetto a quella del passato essendo la bonifica configurata, sia nella legislazione statale sia in quella regionale, come uno strumento ordinario e non speciale di gestione del territorio; ciò si traduce, sul piano operativo, nella necessità di indirizzare la propria attività al di là degli interventi di sicurezza idraulica del territorio e dell'irrigazione, verso 7
9 finalità complessive di protezione dello spazio rurale, di salvaguardia del paesaggio e dell'ecosistema agrario, di tutela della quantità e qualità delle acque Il potere impositivo dei Consorzi Il Consorzio ha il potere di imporre contributi alle proprietà consorziate per far fronte al concreto esercizio dei compiti, come sopra delineati, nonché per il funzionamento dell'apparato consortile. Il legislatore espressamente stabilisce quali siano gli elementi costitutivi dell'obbligo di contribuzione. L'art.10 del R.D. 13 febbraio 1993, n. 215 e l'art. 860 del codice civile, infatti, dichiarano tenuti alla contribuzione di bonifica "i proprietari degli immobili del comprensorio che traggono benefici dalla bonifica". Tali disposizioni sono state altresì confermate dall'articolo 13 della legge regionale dell'emilia Romagna 2 agosto 1984, n. 42. Pertanto, ai fini della legittimazione del potere impositivo del Consorzio, è necessario che ricorrano due soli presupposti: 1) la qualità di proprietario di immobili siti nel perimetro del comprensorio del soggetto passivo del contributo; 2) la configurabilità di un beneficio ai beni medesimi come conseguenza delle opere di bonifica, ossia in derivazione causale con esse. Sul punto si è del resto più volte espressa la giurisprudenza sia della Suprema Corte di Cassazione (cfr., fra le altre, Cass. S. U. 11 gennaio 1979 n.183 e Cass. S. U. 6 febbraio 1984 n.877) sia delle Corti di merito (in particolare cfr. Corte d Appello di Roma 29 novembre 1982 n.1021; Corte d Appello di Venezia, 9 ottobre 1991 n.856) ritenendo, da un lato, necessaria e sufficiente, per l'assoggettabilità al potere impositivo, la configurazione dei due predetti presupposti di legge e, dall'altro - conseguentemente - insufficiente la presenza di uno solo di essi, essendo fra loro in rapporto di imprescindibile concorrenza. Pertanto, se da un lato, l inclusione degli immobili entro il perimetro del comprensorio non implica di per sé l'obbligo di corrispondere i contributi consortili, dall'altro, la giurisprudenza ha ritenuto ininfluente sul potere impositivo del Consorzio la mancata delimitazione del perimetro di contribuenza, ribadendo come tale potere discenda direttamente dalla legge e precisando come la delimitazione in parola non assurga a presupposto né tanto meno a titolo dell'obbligo de quo (cfr. da ultimo Cass. 30 gennaio 1998 n.968) La spesa consortile ed il suo riparto Per quanto riguarda le spese alle quali i proprietari di beni immobili situati nell'ambito di un comprensorio di bonifica sono obbligati a contribuire in ragione del beneficio che traggono dall'attività di bonifica e prescindendo dall'onere imposto per l'esecuzione delle opere (onere attualmente, ad esclusione delle opere private obbligatorie, a totale carico della finanza pubblica) occorre in primo luogo riferirsi, oltre ai già ricordati articoli 860 c.c. e 10 del R.D. 215/1933, agli articoli 17 del R.D. 215/1933 e 27, lett. d), della legge 25 luglio 1952, n La prima norma pone a carico dei proprietari degli immobili situati entro il perimetro di contribuenza la manutenzione e l'esercizio delle opere di competenza statale; analogamente dispone la L.991/1952 per quanto attiene alle opere irrigue di montagna. L'art.59 del R.D. 215/1933 conferisce, inoltre, ai Consorzi il potere di imporre contributi alle proprietà consorziate per l'adempimento dei loro fini istituzionali. Pertanto, accanto alle spese occorrenti per l'esecuzione, la manutenzione e l'esercizio delle opere di bonifica, la legge pone a carico dei proprietari interessati le spese necessarie al funzionamento dell'ente. La giurisprudenza ha peraltro chiarito che, anche per tali spese, l imposizione di contribuzione resta subordinata alla ricorrenza dei presupposti stabiliti dalla legge, essendo detti esborsi comunque riconducibili all'onere economico complessivo che l'opera di bonifica richiede. I fini istituzionali vanno infatti secondo la Corte (Cass. S.U. 6 febbraio 1984 n.877) necessariamente identificati nella realizzazione del piano di bonifica, talché le spese imposte dal Consorzio ex art.59 del R.D. 215/1933 non godono di una disciplina particolare, in deroga ai principi generali dettati dal sistema per le spese occorrenti per l esecuzione, la manutenzione e l esercizio delle opere di bonifica. Pertanto anche gli oneri inerenti all'attività amministrativa ed organizzativa dell'ente sono ripartiti fra i proprietari di beni immobili situati nell'ambito del comprensorio, in ragione del beneficio che traggono dall'attività di bonifica. 8
10 La legge determina direttamente i requisiti per la spettanza del potere impositivo e l'assoggettamento ad esso a carico dei proprietari; viceversa, la quantificazione dei singoli contributi è rimessa dalla legge alle decisioni discrezionali del consorzio, tenuto ad applicare al caso concreto il principio della corrispondenza o della proporzionalità del contributo rispetto al beneficio. Il consorzio è pertanto investito, come vedremo, di funzioni e compiti discrezionali e perequativi che si sostanziano nella valutazione comparativa dei rispettivi vantaggi, attuali o futuri, e della conseguente ripartizione parcellare fra i soggetti chiamati alla contribuenza. Nessuna discrezionalità è viceversa riconosciuta al consorzio in ordine alla determinazione dell'entità delle spese da ripartire: esse devono corrispondere all'effettivo onere sostenuto in corrispondenza alle risultanze della contabilità (cfr. Circolare Ministeriale 7 agosto 1964 n.17). L'art.11 del R.D. 215/1933 prevede peraltro un duplice criterio di riparto, provvisorio e definitivo, delle spese inerenti alla bonifica: in via definitiva la ripartizione della spesa sarà effettuata in proporzione ai benefici effettivamente conseguiti; in via provvisoria, sulla base di indici approssimativi e presuntivi del beneficio conseguibile. Poiché la norma non distingue fra le spese di esecuzione e quelle di manutenzione ed esercizio, si deve ritenere legittimo il riparto provvisorio anche delle spese di manutenzione ed esercizio. Per quanto riguarda in particolare le spese di funzionamento ex art.59 del R.D. 215/1933, l art.8 del DPR 23 giugno 1962, n. 647 impone che esse corrispondano a quelle risultanti dal bilancio di previsione dell'anno cui si riferisce il riparto. Secondo il Consiglio di Stato anche la determinazione dei contributi per la manutenzione e l'esercizio deve ispirarsi ad analogo criterio (cfr. Cons. Stato Sez. VI, 17 dicembre 1968 n.761). Quindi, ai fini della ripartizione provvisoria dei contributi, il Consorzio ha provveduto ad individuare il beneficio conseguibile, sulla base di indici approssimativi e presuntivi, fermo restando il riferimento al bilancio di previsione per il riparto della spesa. Ciò implica ovviamente l'obbligo di ripartire annualmente i contributi consortili, prendendo a base, a seconda della tipologia di spesa, le risultanze della contabilità ovvero le previsioni di bilancio e applicando i criteri fissati per la determinazione del beneficio Il beneficio Si deve in primo luogo rilevare che esiste una definizione normativa di beneficio. La sua nozione, infatti, si è sempre ricavata e si ricava con riferimento alle competenze attribuite ai soggetti preposti alla bonifica, costituendo il medesimo un vantaggio tratto dalla esplicazione di compiti e di funzioni normativamente indicati. In più occasioni la Corte di Cassazione si è espressa in ordine ai caratteri del beneficio, ritenendo che ai fini della configurazione del medesimo sia necessario accertare l esistenza di un vantaggio direttamente riferibile all immobile (Cfr. Cass. Sez.I 9 ottobre 1992 n.11018). Al di là della terminologia usata talvolta impropriamente, le qualificazioni del beneficio che giuridicamente vengono in rilievo e che costituiscono presupposto legittimante la contribuenza, sono secondo l orientamento della giurisprudenza le seguenti: - il beneficio attuale, ossia il beneficio effettivamente conseguito dagli immobili; - il beneficio generale, ossia quello che una o più opere arrecano ad una pluralità di immobili; - il beneficio specifico, ossia quello che una o più opere assicurano al singolo immobile; - il beneficio potenziale, ossia quello derivante dall attività propedeutica (studio, programmazione, progettazione, finanziamento) necessaria all esecuzione di opere di bonifica. Il beneficio attuale, sia di carattere generale come specifico, deve essere diretto e cioè ricollegabile direttamente alla funzione specifica e primaria dell opera di bonifica e tradursi in una utilità per l immobile. I criteri per la determinazione del beneficio rientrano nella sfera discrezionale del Consorzio; l art.11 del R.D. 215/1933 stabilisce che essi siano fissati negli statuti dei consorzi ovvero deliberati successivamente. L'individuazione dei benefici, in linea di fatto, appartiene alla scienza dell'estimo e, in linea di diritto, sembra corretto far riferimento alle funzioni/attività svolte dal consorzio, sopra evidenziate, che consentono di delineare sinteticamente i seguenti benefici: 1) bonifica idraulica; 2) irrigazione; 3) bonifica montana 4) tutela dell ambiente connessa al contenimento della subsidenza. 9
11 Detti benefici sono stati individuati e motivati sulla base di scelte discrezionali amministrative e tecniche improntate a principi di logicità, razionalità, uguaglianza Gli immobili soggetti a contributo Gli articoli 2 e 3 del R.D. 215/1933 prevedono due tipologie comprensoriali: 1) i comprensori soggetti agli obblighi di bonifica (di prima o di seconda categoria), classificati rispettivamente con legge e con decreto del presidente della repubblica (oggi presidente della regione) e delimitati dal Ministero dell'agricoltura e delle foreste con proprio decreto; 2) i comprensori gravati dall'onere di bonifica, delimitati con decreto ministeriale ex art.3 della legge sulla bonifica integrale. Si tratta pertanto di due comprensori distinti, non necessariamente coincidenti. È infatti pacifico, come è stato più volte ribadito dalla dottrina (Jandolo, De Martino, Pescatore, Albano, Greco), che, ai soli effetti dell'addebito dei costi di costruzione, il perimetro di contribuenza possa essere meno esteso di quello di bonifica poiché nel primo sono esclusi gli immobili che traggono vantaggio dalle sole opere a totale carico dello Stato. Era invece controverso in dottrina se il perimetro di contribuenza potesse abbracciare terreni situati al di là del comprensorio di bonifica, e quindi risultare più esteso di questo, nel caso in cui il beneficio delle opere si estendesse ad immobili situati fuori dal comprensorio classificato. La questione peraltro in Emilia Romagna ha perso interesse a seguito dell'emanazione della legge regionale 23 aprile 1987, n. 16 che, come noto, all'art.3 ha classificato di bonifica di seconda categoria l'intero territorio regionale, ad esclusione delle aree golenali riferite ad opere idrauliche di seconda e terza categoria. Per quanto riguarda gli immobili gravati dal contributo, essi sono, come abbiamo visto, quelli ricompresi nel comprensorio e che traggono beneficio dalle opere di bonifica. In relazione al primo presupposto, con riguardo ai beni aventi natura di costruzioni, esso ricorre anche quando il proprietario di esse non sia anche proprietario dei fondi su cui insistono. In applicazione di tale principio, enunciato dalla Cassazione, l'obbligo contributivo grava, ad esempio, anche a carico dell ENEL quale titolare di servitù di elettrodotto sui fondi siti nel comprensorio di bonifica, quando l'ente sia proprietario su detti fondi di impianti ed installazioni (cabine, stazioni, sostegni, ecc.), in relazione ai vantaggi tratti da dette costruzioni dalie opere di bonifica. Poiché la legge non introduce alcuna distinzione fra le categorie di immobili non vi è inoltre dubbio che, come desumibile dal testo stesso dell'art.10 del R.D. 215/1933, anche gli immobili del pubblico demanio siano soggetti alla contribuzione. Né la legge sembra ammettere alcun tipo di esenzione. Un problema, non tanto di esenzione quanto di configurabilità anomala del beneficio, si potrebbe porre per le infrastrutture e gli edifici che, accanto alle opere di bonifica, concorrono al conseguimento delle finalità di bonifica e quindi alla creazione del beneficio. Rispetto a tali immobili, la cui destinazione possa essere considerata strumentale nei riguardi della bonifica, è stata sostenuta (Jandolo) la non assoggettabilità al contributo. Nessuna esenzione è viceversa prevista per gli immobili che adempiono a compiti di servizio pubblico e che possano concorrere alla "civilizzazione del territorio"; rispetto a tali beni tuttavia, proprio in considerazione dell'uso e dell'utilità collettiva, è apparso giustificato adottare parametri di valutazione più attenuati. Per quanto riguarda infine il problema dell'assoggettabilità a contributo degli immobili extra agricoli occorre evidenziare come, fin dalla legge Baccarini del 1882 sia sempre stato pacifico che la contribuenza consortile possa essere agricola ed extra agricola. Tale indicazione è stata ripresa da tutta la legislazione successiva e confermata in particolare dal R.D. 215/1933 (artt.3, 10,1 1,59) e dal codice civile (art.860), norme che, come detto, non introducono alcuna distinzione fra proprietà urbana e proprietà agricola. Dalla legislazione statale emerge chiaramente che l'attività di bonifica non è rivolta solo alla sistemazione, conservazione e valorizzazione delle aree agricole al fine di renderne ottimali l'assetto e la connessa produttività; essa è infatti diretta anche alla regimazione idrogeologica, alla difesa da eventi naturali dannosi, alla valorizzazione economica e sociale dell'intero territorio ricadente nel comprensorio. Tali finalità sono state ribadite ed ampliate dalla più recente legislazione regionale. In particolare la legge regionale dell'emilia Romagna 2 agosto 1984, n. 42, dopo aver connotato l'attività di bonifica come funzione pubblica tesa alla difesa del suolo e ad un equilibrato sviluppo del territorio (art.1), riafferma testualmente - il principio della sottoposizione al contributo di bonifica sia degli immobili agricoli che di quelli extragricoli (artt.13, I comma, e 16, VII comma). Infine pare opportuno evidenziare come la sottoposizione a contributo degli immobili extragricoli - in quanto ricompresi in un comprensorio di bonifica e in quanto traggano da essa un 10
12 beneficio - emerga chiaramente dalle circolari Serpieri degli anni '30 come da quelle più recenti del '60 nonché dalla ormai consolidata giurisprudenza. Mentre per gli immobili agricoli la debenza del contributo non è mai stata messa in discussione e l'unico problema che si è posto in giurisprudenza è stato quello relativo al soggetto passivo dell'onere, recentemente, per quanto riguarda gli immobili extra agricoli si è cercato di far ricorso alla legge Merli per sottrarsi all'obbligo di contribuzione. Gli edifici collocati in aree urbanizzate sono infatti soggetti, come è noto, al pagamento di un canone per il servizio di fognatura. La presenza di un sistema fognario comunale ed il pagamento del relativo canone, peraltro, non esclude affatto la configurabilità di un beneficio tratto dalle opere di bonifica ovvero dall'attività di vigilanza esercizio e manutenzione effettuata dai consorzi, e non esclude pertanto il conseguente obbligo di pagamento del contributo di bonifica. Le funzioni di bonifica e quelle di fognatura non sono infatti fra loro assimilabili. Né sono assimilabili i rispettivi interessi e scopi. I secondi riguardano la raccolta delle acque urbane, la qualità degli scarichi e la tutela dall'inquinamento. I primi invece la difesa del suolo e la corretta regimazione delle acque e quindi la salvaguardia complessiva del territorio e degli insediamenti esistenti, nonché l'allontanamento delle acque, comprese quelle urbane, attraverso i canali consorziali. Diversi sono quindi i servizi e gli enti che vi provvedono, attraverso l'esercizio e la manutenzione di opere anch'esse distinte Natura giuridica del contributo e contributo minimo Quanto alla natura giuridica dei contributi di bonifica, si tratta com è noto, secondo il disposto dell'art.21 del R.D. 215/1933, di oneri reali. Essi, per costante indirizzo giurisprudenziale, costituiscono entrate a carattere tributario e vengono riscossi in base alla normativa che regola l'esazione delle imposte dirette. Il credito del Consorzio nei confronti del proprietario è garantito da privilegio speciale sull'immobile; il privilegio, peraltro, sorge con l'iscrizione nel registro speciale tenuto presso l ufficio dei RR II, ai sensi dell'art.9 della legge 5 luglio 1928, n I contributi di bonifica si risolvono pertanto in obbligazioni pubbliche e cioè in prestazioni patrimoniali di natura tributaria imposte a privati e come tali sono retti dal principio fondamentale contenuto nell'art.23 della Costituzione. A tale proposito la Corte Costituzionale ha precisato l'infondatezza della questione di incostituzionalità degli artt.11 e 59 del R.D. 215/1933 che, come abbiamo visto, consentono l'imposizione del contributo, in riferimento all'art.23 Cost. Per quanto riguarda infine il delicato problema dei minimi di contribuenza, preme in questa sede segnalare come si profilino diversi problemi di ordine giuridico. Il primo riguarda il collegamento fra la contribuzione di bonifica ed il diritto di rilevanza costituzionale al voto; i proprietari dei beni esentati dal pagamento del contributo infatti verrebbero esclusi dall'esercizio del diritto di voto. Un secondo problema si pone, stante il principio di totale copertura della spesa enunciato dall'art.8 del DPR n. 947 del 1962, rispetto agli altri consorziati i quali, per effetto dell'esonero di alcuni proprietari, verrebbero ad essere onerati di una maggiore quota di contribuenza. Per tali ragioni il Consorzio ritiene di dover applicare la contribuenza minima individuandola con delibera annuale e rapportandola alle spese sostenute per la tenuta del catasto, per l'emissione delle cartelle esattoriali e per garantire il diritto di voto ad ogni consorziato. 11
13 3. GLI ASPETTI GENERALI 3.1. Cenni storici sulle origini della bonifica nel comprensorio La bonifica nel ravennate L'intervento dell'uomo ebbe, nei tempi antichi, due scopi ben distinti sotto il profilo tecnico: consolidare, difendere e mettere in coltura i terreni che, per effetto delle portate solide dei corsi d'acqua, man mano emergevano dalla laguna da un lato, e dall'altro conservare l efficienza degli specchi d'acqua retrostanti il cordone litoraneo, che rappresentavano un ottimo rifugio alle flotte navali. Il contrastante fine degli interventi di bonifica appare evidente negli schizzi del Gambi che ricostruisce gli specchi lagunari romagnoli nel periodo imperiale romano. La regione alluvionale è già bonificata, nel senso più completo, essendo state compiute le trasformazioni ed essendo avvenute gli insediamenti rurali di cui ancor oggi restano le tracce nella rete stradale che segue lo schema dell'agro centuriato. La zona lagunare è mantenuta in stato di efficienza e a tal fine è stato costruito, sotto il governo di Augusto, un canale che prende il suo nome, per creare una via fluviale lungo la quale l'acqua del Po pervenisse sino a Ravenna. Ma la continua opera, libera ed efficace, di colmata dei fiumi e la decadenza politica di Ravenna segnarono la fine della difesa della laguna. Le grande opere furono sommerse: scompare la fossa Augusta e del porto di Classe oggi non si è in grado neppure di stabilirne l'esatta ubicazione. Nel Medioevo, proseguendo l'azione naturale della colmata ed essendosi verificate rovinose inondazioni delle acque dei fiumi, ebbero inizio i primi tentativi di miglioramento dei territori privi di scolo. Nel 1303, nel periodo Polentano, si iniziò lo scavo del canale Lama, tuttora funzionante, e di altri fossi colatori. Man mano che i terreni, per effetto del deposito solido, raggiungevano quote che consentivano la loro coltivazioni la rete di canali proseguivano sino a raggiungere lo sviluppo odierno. Tuttavia la rete dei coli era condizionata dal disordinato corso vallivo dei fiumi. Ebbe inizio cosi anche la tormentata storia di questi corsi d'acqua, il cui tracciato fu modificato più volte, sia per correggere e perfezionare quanto già fatto, sia perché talvolta le soluzioni adottate erano conseguenti ai contrastanti interessi delle popolazioni più che a corrette impostazioni tecnico-idrauliche. Fra le prime bonifiche cui si fa cenno nei documenti si trova quella del fiume Montone, le cui acque furono condotte nelle valli di Longana, poi in quelle di Godo e di Villanova, ove si bonificava contemporaneamente con le acque del Lamone. In quella località fu per opera dei veneziani, nel 1451, che venne fatta la divisione delle terre emerse. Nel 1460 il Santerno, che scaricava nelle valli di Filo e Longastrino, fu portato per opera dei Lughesi, riluttanti gli Argentani, nel Po di Primaro, mediante un nuovo cavo; ma già nel 1613 veniva portato a sboccare nuovamente nelle valli da cui era stato bandito, per tornare poi nuovamente nel Po di Primaro nel 1625, finché nel 1781 poté essere condotto a sboccare sul raddrizzamento del Reno, detto di Filo e Longastrino. Il Senio, che aveva bonificato la valle del Passetto, fu introdotto dai ravennati nel Po di Primaro nel 1537 e più tardi, allorché nel 1780 si effettuò la rettifica alla Madonna dei Boschi, l ultimo tratto del Senio fu convertito in alveo nuovo del Reno, poiché cadeva nel drizzagno accennato. Il Lamone che aveva vagato liberamente fino a poco prima del 1500 nelle valli di San Vitale, fu immesso dai ravennati nel 1504 nel Po di Primaro, presso S. Alberto, e vi restò fino al 1599, anno in cui, essendo le valli di Comacchio a rischio a causa delle sue piene, fu nuovamente divertito nelle valli di Ravenna. Nel 1605 il Lamone fu portato nuovamente nel Po di Primaro, ma rinnovandosi i pericoli delle piene, dopo appena due anni, fu ricondotto a bonificare le valli di Savarna. Solo al principio del secolo XVIII il Lamone si avviò solitario a mare, seguendo la linea che poi conservò fino al 1839, anno della famosa rotta alle Ammanite. Il Ronco aveva vagato liberamente nelle paludi a sud di Ravenna, poi, deviando dalla località ancora denominata la Rotta in quel di Forlì, si era spostato verso Castellaccio, S. Pietro in Vincoli e Gambellara, fin presso al lembo delle antiche valli di Masullo. Il fiume, prima ancora del 1300, lambiva le mura meridionali della città di Ravenna e, poco a valle della città, univa le sue acque a quelle del Montone, che le girava a nord, passando nei pressi del Mausoleo di Teodorico, per sfociare a mare a nord di S. Maria di Porto Fuori. Solo nel 1736 fu operata la diversione dei due fiumi, che liberò la città dall'incubo delle frequenti inondazioni, e facilitò la bonifica dei territori compresi fra la destra del Lamone e la sinistra del Savio. 12
14 Quest'ultimo fiume ebbe attraverso i secoli le minori deviazioni, essendo sfociato a mare direttamente fin dall'epoca pre-romana, ed avendo sempre contribuito in misura scarsa alla bonificazione dei territori limitrofi, per il suo regime torrentizio a fortissima pendenza e la grande prevalenza delle acque chiare Intorno a Ravenna, però, pochi furono gli interventi di qualche importanza se non a settentrione e a ponente della città. Procedettero sempre lentamente, con grandi interruzioni e continui mutamenti. Fu tutto un fare e disfare, poiché spesso per la pressione più meno palese di privati interessi o per le contrastanti tendenze dei vari centri si mutarono i progetti, si riconobbero errori commessi si mutò e si rimutò il corso dei fiumi, senza che mai un superiore interesse generale riuscisse a far tacere la voce preminente degli interessi dei privati. Nel frattempo gli spechi lagunari intorno alla città, essendosi alzata la quota di fondo, si erano trasformati da laghi litoranei nei quali prevaleva l'acqua marina, in stagnanti paludi di acqua dolce, con sviluppo della tradizionale vegetazione palustre. Ciò provocò il propagarsi della malaria che dominò per lungo tempo il territorio. Tale situazione non poteva essere ignorata dai Governi e con Papa Clemente VII, si fini con un compromesso denominato "Capitula super beneficatione vallium in territorio Ravennae". In tale piano furono gettate le basi del razionale prosciugamento delle terre soggette a bonifica. Si giunse cosi al famoso breve del 1578 col quale Gregorio XIII decretò l'opera di bonifica, che dal suo nome si chiamò Gregoriana. Detta bonifica riguardava le valli comprese fra il Lamone, il Po di Primaro, il mare e la via Faentina e doveva eseguirsi mediante la costruzione di chiaviche, di cavi e di altre cose necessarie sul fiume di Savarna (Lamone). La spesa doveva essere divisa pro-rata, in modo tale che la bonifica divenne obbligatoria anche fra i proprietari non firmatari del compromesso o riluttanti. Inoltre si davano pieni poteri per le espropriazioni necessarie e per l'esecuzione delle opere. Iniziati i lavori, questi furono più volte interrotti, e furono variati i progetti secondo il prevalere degli interessi. Nel 1578 il Pontefice Pio V, essendo state fatte pressioni a Roma, per ottenere che le torbide del Lamone fossero impiegate a bonificare valli fra detto fiume ed il Po di Primaro, mandò a Ravenna, per compiere tale opera, Giovanni Tommaso Sanfelice di Napoli il quale provvide a scavare canali e ad elevare argini. Ne restano tracce nelle tracce ancore dette degli Argini che, partendo dalla via Reale presso S. Alberto, vanno a Mandriole. Nel 1597, insistendo i Ferraresi per la diversione del Reno per gettarlo nelle valli di S. Martino, finché non si fosse fatta l'escavazione dl Po di Primaro, ebbero il benestare di Papa Clemente VIII, nonostante le proteste vivissime dei Ravennati; e la diversione fu ordinata, coll'intesa che, compiuta l'escavazione del Po di Primaro, il Reno sarebbe stato ricondotto nel suo alveo antico. Per i contrastanti interessi, tuttavia, la bonifica Gregoriana operò nei secoli XVII e XVIII con modesti risultati e lo stato delle cose non si modificò sensibilmente sino al 1839, quando la rotta del Lamone in località Ammanite, di cui si parlerà più avanti, creò una nuova situazione dalla quale ebbero origine le opere che condussero al risanamento. Altrettanto interessante e quasi parallela alla bonifica Gregoriana, fu la bonificazione chiamata Maggiore o Generale in quanto interessava le tre province confinanti di Bologna, Ferrara e Ravenna. Mentre la bonifica Gregoriana operava nei territori compresi fra il Po di Primaro, il Lamone e la via Faentina, la bonificazione Maggiore, iniziata da Clemente VIII nel 1604, si proponeva il risanamento dei territori compresi tra la sinistra del Lamone e la destra del Po di Primaro, su cui correvano il Sillaro, il Santerno ed il Senio. Il complesso delle opere prevedeva: - riportare le acque del Po grande nel Volano e nel Po di Primaro in modo che le acque chiare mantenessero scavate specialmente quest'ultimo che era stato intasato dagli apporti solidi dei fiumi del Bolognese e del Ravennate; - la diversione del Reno nella valle di S. Martino; del Santerno nelle valli di S. Bernardino; del Senio nella valle del Passetto e del Lamone nella valle di Mandriole. E' facile comprendere come un cosi vasto programma urtasse larghi interessi. Nel 1607 Pio V inviò Monsignore Centurione per risolvere la questione. Egli dovette constatare il disordine creato dai lavori iniziati e la necessità di provvedere. Ma, purtroppo, si trattava anche allora di spartire equamente il malcontento, impresa forse più difficile di quella di dividere la ragione e il torto con un taglio netto. La fetta più grossa di malcontento l'ebbero i Ravennati. 13
15 Nel 1620 il Lamone fu tolto dal Po di Primaro, ove si immetteva e mandato a mare della incassatura detta il Cavo dei Ferraresi: Ma tale diversione poco o nulla doveva giovare, anzi doveva recare non pochi danni, se, da quell'anno al 1864, poterono contarsi ben 22 rotte a monte di S. Alberto. Solo molto più tardi fu possibile un accordo fra le tre province; fra il 1767 e il 1816 si poté procedere all'esecuzione di opere di qualche rilievo, con la correzione nel corso di alcuni fiumi; ma sempre con risultati di modesta portata. La bonifica Maggiore fu, insomma, nulla più di un tentativo di impianto di quella grande Bonifica Renana che doveva avere la sua felice e geniale soluzione solo alla fine del secolo XIX, coi grandiosi lavori del Bolognese, e col canale a destra di Reno in provincia di Ravenna. Nel periodo di alcuni secoli in cui operarono le bonifiche Gregoriana e Maggiore, importanti interventi organici si ebbero anche nei territori non contemplati da quelle bonifiche e interessanti i terreni tra il Lamone ed il Savio. Due le opere fondamentali: la diversione dei fiumi Ronco e Montone e la creazione del canale Corsini. La prima aveva lo scopo di liberare la città dalle frequenti inondazioni. Ronco e Montone, che provenivano da sud-ovest, fluendo circa paralleli e a modesta distanza l'uno dall'altro, circuivano Ravenna a nord-est e a sud per riunirsi poi a mezzo chilometro ad oriente della città stessa per protrarsi verso mare con un cuneo che avanzava per effetto delle loro deiezioni, mentre si elevava il fondo dell'alveo. I due corsi, male arginati e con deficienza di sezione rappresentavano un grave pericolo, concretatosi in numerosi allagamenti. Numerosi furono i progetti per la sistemazione parziale o totale: del Bancelli nel 1649; di Stefano Grandi e Gaspare Coccapani nel 1651; del Tassinari nel 1715; del Nadi nel 1717; etc. La soluzione definitiva si raggiunse con l'inizio dei lavori ordinato nel 1729 e su progetto degli idraulici Manfredi e Zendri. I due fiumi vennero condotti a confluire a sud di Ravenna ed arginati direttamente a mare. Ciò permise di iniziare il risanamento del territorio di Classe e di sistemare anche alcuni fossi, tra cui il Lama, che presentava difficoltà di scolo. La seconda opera è altrettanto importante poiché rappresentava l'inizio della costruzione del Porto di Ravenna. La città allora era servita da un piccolo avanzo del porto romano, chiamato porto Candiano e congiunto a Ravenna mediante il canale Panfilio. Essendosi chiuso detto porto gli stessi idraulici Manfredi e Zendri progettarono un nuovo canale a nord dei fiumi Uniti in modo che potesse aversi una diretta congiunzione tra il mare e la città. I1 nuovo porto ebbe la sede che occupa attualmente, unito alla città dal canale Corsini. Per effetto della bonifica Gregoriana il territorio ravennate era risultato suddiviso in sei comprensori con separate competenze. Permaneva, tuttavia, una situazione difficile per il contrasto tra gli interessi privati e quelli della bonifica, non sempre conciliabili in carenza di un deciso intervento statale o di una apposita legislazione. La soluzione si raggiunse con la costituzione del Regno Italico il quale, nello spirito innovatore dell'epoca, stabili tutta una nuova legislazione in materia idraulica. Con la legge 20 aprile 1804, furono determinate le nuove classifiche per i lavori di bonifica, nonché il modo di ripartizione delle spese, informati a criteri sani di giustizia distributiva. Con il decreto 6 maggio 1806 furono stabilite le basi dell'ordinamento amministrativo di tutto ciò che si riferisse ad acque e strade. A carico del Tesoro furono poste tutte le spese dei lavori riguardanti quei fiumi e torrenti che corressero stabilmente tra argini, salvo un concorso per parte degli interessati. Il motu-proprio del 23 ottobre 1807 migliorò la legge italica meglio determinando i contributi per le opere idrauliche, anche per le province di Bologna, Ravenna e Ferrara. Si trattava di quella vasta zona interprovinciale che già fin dal 1606 Papa Clemente VII aveva tentato di sistemare con la Bonifica Maggiore, nonché della zona oggetto della Bonifica Gregoriana. Il concorso dello Stato (contributo camerale) venne stabilito in misura pari al 50% della spesa, mentre la residua parte era per il 10% a carico della provincia (contributo provinciale) e per il 40% ripartito fra i terreni agricoli bonificati, in ragione dei benefici da essi conseguiti (contributo particolare). È così introdotto il concetto di "beneficio", fondamentale poi nel proseguo della bonifica. Il nuovo e moderno indirizzo ebbe poi definitiva codificazione, dopo la scomparsa di Napoleone, nel motu-proprio di Pio VII in data 23 ottobre 1817 che regolava tutta la materia relativa alle acque e alle strade, nonché l organizzazione consortile ripristinando le "Congregazioni consorziali" del Regno Italico, cambiandone soltanto il nome di "Delegazioni", regolandone l'esercizio col Piano Organico del 4 settembre
16 Di grande importanza, nel periodo successivo al nuovo ordinamento della bonifica, la soluzione di due grossi problemi: del Lamone e quello dei territori Lamone e Sillaro. Il Lamone andava a mare con argini altissimi e con terreni sulla destra a quota addirittura di metri inferiore al livello di massima piena. Tale situazione non poteva reggersi ed infatti nel 1839 in località Ammanite, dove il fondo del fiume era pensile per ben due metri, si ebbe una rotta di circa 250 metri di argine con un rovinoso allagamento di tutte le campagne. Con questa rotta del fiume si dimostrò l esigenza della colmata di tutte le bassi valli in destra e cosi, nel 1846, si abbandonò il pensiero di gettare le sue acque nel Po di Primaro, nel quale già correva il Reno, per proseguire invece la bonifica del territorio che assunse il nome di cassa di colmata del Lamone di circa ettari. Più recente, infine, la soluzione del problema dei terreni compresi fra l'argine sinistro del Lamone e il destro del Sillaro: ettari erano assolutamente improduttivi perché non riuscivano a scolare e altre erano a scolo intermittente e perciò di assai rischiosa coltivazione. Dopo molti contrasti fra le due province interessate (Bologna e Ravenna) nel 1895 i Consorzi ravennati (subentrati alle "Delegazioni ) presentarono il progetto per la costruzione del Canale in Destra Reno, lungo circa 35 Km e sottopassante l'alveo del Santerno e del Senio. Risolti cosi i grossi problemi idraulici della zona, restavano ancora vaste superfici non coltivabili, né utilizzabili per altre attività produttive, per essere a quota inferiore a quella necessaria per lo scolo delle acque. Il sistema della colmata usato fin dagli antichi tempi aveva già portato a pregevoli risultati e continuava a produrne. La "Cassa di colmata del Lamone", i cui depositi nell'antico fondo delle valli raggiungono spessori tra i 3 ed i 5 metri, costituisce uno dei mirabili esempi di questo sistema. All'inizio di questo secolo si affacciarono, però, nuove e più urgenti esigenze di carattere sociale, per cui occorreva affrettare i tempi e i nuovi mezzi tecnici lo consentivano. I criteri della bonifica segnarono, infatti, un radicale cambiamento con l'introduzione dello scolo meccanico che offriva immediate possibilità di redimere zone malsane, di acquisire nuove terre alle attività dell'uomo e di procurare nuove fonti di lavoro per le grandi masse bracciantili che, allora, premevano soprattutto nel settore agricolo. Le canalizzazioni e gli impianti idrovori furono costruiti con le caratteristiche tecniche, particolarmente per quanto si riferisce al franco di coltivazione, necessarie e sufficienti per le colture tradizionali che costituivano la base dell'agricoltura di quell'epoca (erba medica, cereali e sarchiate) e per l'insediamento umano in attività extragricole. Ma nel periodo successivo alla seconda guerra mondiale tutto il comprensorio fu pervaso da una rapida trasformazione fondiaria che, con la meccanizzazione dei mezzi di lavoro, con le nuove concimazioni e con la valorizzazione e il più razionale sfruttamento delle favorevoli condizioni agronomiche del terreno, promosse una notevole industrializzazione con impianti di frutteti e di vigneti La bonifica nel forlivese I primi interventi di bonifica nel territorio forlivese risalgono all'età romana. Infatti «all'epoca della colonizzazione romana, gli alvei dei fiumi forlivesi a valle della via Emilia (se pure alvei potevano chiamarsi) dovevano essere assai poco definiti: le correnti dilagavano e si perdevano qua e là su vaste bassure» (Zangheri, 1927). Questo fatto doveva aver ostacolato la centuriazione, il disboscamento o il dissodamento della pianura, che tuttavia si spinse fino a ridosso delle paludi costiere che avanzavano dal basso corso del Savio al Rubicone. Certamente «da quei tempi datano i primi lavori di arginatura per ridurre i corsi in adatti confini ed impedire i dilagamenti e le inondazioni. Manca però qualunque dato o memoria per poter dire qualche cosa di tali bonifiche e per potersi pronunciare sulle epoche nelle quali avvennero le prime notevoli deviazioni artificiali dei basso corso dei nostri fiumi» (Zangheri, 1927). Non solo a valle della Via Emilia, ma anche nella fascia pedemontana si deve essere sviluppata in età romana una prima opera di sistemazione degli alvei fluviali per proteggere le città dalle inondazioni e dalle divagazioni dei corsi d'acqua. Bisogna passare l'anno mille per avere notizie di lavori riguardanti i letti fluviali e il loro inalveamento, come quelli compiuti da Scarpetta Ordelaffi nel 1044, che sistemò la confluenza del Rabbi nel Montone poco a monte della città di Forlì. 15
17 Con la ripresa della vita cittadina e il ritorno dell'agricoltura nelle zone della centuriazione romana dovettero essere progressivamente ripresi i lavori di sistemazione dei fiumi. Di questi lavori, succedutisi in modo discontinuo nel tempo, si trovano varie annotazioni e memorie nelle cronache locali. Nell età moderna invece si hanno le prime notizie di lavori riguardanti le paludi costiere tra il Savio e il Rubicone. La palude verso il Rubicone è ancora menzionata come «palus maior» nell'anno 973 e successivamente (Gambi, 1949). Progressivamente si svilupparono lavori specialmente in difesa delle saline cervesi, con deviazioni e sistemazioni dei corsi d'acqua e con lavori di bonifica. Ad esempio nel 1472 il Pisciatello venne deviato dalla zona delle saline, dopo il 1572 ebbe impulso un piano di bonifica e nel 1747 fu rettilineato il Savio a valle di Castiglione. Per quanto concerne il territorio forlivese bisogna giungere al XIX secolo per vedere affrontato decisamente e risolto il problema della zona paludosa. All'atto dell'annessione al Regno d Italia della Romagna, nella Provincia di Forlì risultavano 2910 ettari di paludi, di cui ben 2230 già bonificati (Pareto, 1865), anche per l impegno dei consorzi idraulici di scolo costituiti nel Forlivese da parte dello Stato Pontificio agli inizi del Nel 1868 i vari rivi del cesenate vengono raccolti in un unico cavo, che da Pisignano va a Montaletto. Le bonifiche vengono intraprese mediante colmate e scoli, cosi il Pisciatello ha bonificato la zona tra Due Bocche e Cesenatico (Rosetti, 1894). Opere di canalizzazione delle acque ad uso industriale, di origine abbastanza antica, sono segnalate da Rosetti (1894), che menziona tra le principali, il canale di Schiavonia, il canale di Ravaldino, il canale Doria o del Ronco, il canale di Cesena, il canale di Viserba, il canale dei Mulini di Rimini e il canale dei Mulini del Conca. Nel 1894, secondo Rosetti, nella Provincia di Forlì esistevano undici consorzi idraulici: associazioni tra privati, costituitisi per asciugare e bonificare i territori della bassa pianura (Consorzi: Arla, Ausa, Cerchia, Lama, Via Cupa, Savio, Rigossa, Rio Salto, Marecchia, Ausa Riminese, Melo). La prima spesa effettuata dalla Amministrazione provinciale di Forlì per opere di difesa idraulica risulta nel bilancio dell'anno 1869 ove è previsto un contributo di per il Consorzio argine sul Montone. Come si può notare, la bonifica del territorio forlivese operò, fino alla prima guerra mondiale ( ), soprattutto nella bassa pianura con fini idraulici ed igienici per il prosciugamento dei terreni paludosi e l'inalveamento stabile dei principali corsi d'acqua. Ciò non esclude che, anche se pur modesta, vi fu una certa attività di sistemazioni montane, infatti in diversi bacini della zona collinare si ritrovano frequentemente opere idrauliche (briglie, difese di sponda, drenaggi, ecc.) che risalgono in genere ai secoli XVIII e XIX. L'intensificarsi dell'intervento statale nell'opera di bonifica, che si determina con una nutrita legislazione dal 1923 fino al testo unico del 1933, produce, anche nella Provincia di Forlì, un'attività che apre ai territori collinari e montani la considerazione dei problemi del dissesto idrogeologico e della incentivazione di una parca economia agricola. È appunto in questo periodo che sorgono il Consorzio di bonifica di Brisighella (interessato alla Provincia di Forlì solo per l'alto bacino del Marzeno), i Consorzi di Predappio, del Torrente Voltre, del Savio-Borello e dell'uso. Questi Consorzi, pur operando soltanto in parte nei territori provinciali classificati comprensori di bonifica riescono ad iniziare e concretare una considerevole attività di bonifica che viene interrotta, ed ovviamente anche in gran- parte compromessa, dalla seconda guerra mondiale ( ). Nel dopoguerra la ripresa dell'attività di bonifica è lenta e difficile e i Consorzi riprendono la loro opera nel con la riparazione dei danni prodotti dalla guerra e con i primi interventi attuati dallo Stato per lo sviluppo agricolo mediante l utilizzazione dei fondi E.R.P. ed U.N.R.R.A.. Nel 1950 la promulgazione della prima legge sulle aree depresse del centro-nord fornisce una (seppur modesta) possibilità finanziaria di intervento coordinato e programmato (un decennio) per l'esecuzione di opere di bonifica in territori collinari. Nel 1952 la legge a favore della montagna apre alla bonifica nuove aree di intervento con la classifica dei territori montani provinciali e con l'estensione ad essi della giurisdizione dei consorzi di bonifica che acquisiscono l'idoneità ad assumere la funzione di consorzi di bonifica montana Il Consorzio e il suo comprensorio Il Consorzio di Bonifica della Romagna Centrale è stato costituito con delibera n. 1667, del Consiglio della Regione Emilia Romagna in data 12 Novembre 1987, in seguito al riordino territoriale dei comprensori di bonifica previsto dalle LL.RR. 2 agosto 1984 n 42 e 23 aprile 1987 n
18 Il Consorzio, Ente di diritto pubblico ai sensi dell'art.12 della sopra citata L.R. 2 agosto 1984 n 42, dell'art.59 del R.D. 13 febbraio 1933 n 215, nonché dell'art.862 del C.C., ha sede in Ravenna. L'attuale comprensorio del Consorzio, ricade nelle province di Forlì e Ravenna in Emilia Romagna e nella provincia di Firenze in Toscana, ed ha una superficie complessiva di ettari ( ettari di pianura e ettari di collina e montagna). Trattasi cioè di un comprensorio interregionale poiché include territori ricompresi in Toscana per ettari nei comuni montani di Dicomano, Marradi e San Godenzo. Il Consorzio deriva dalla fusione di cinque ex-consorzi quali l'ex Consorzio di Bonifica di Ravenna con sede in Ravenna, l'ex Consorzio Idraulico di Forlì con sede in Forlì, l'ex Consorzio Idraulico Ausa con sede in Forlimpopoli, l ex Consorzio Scolo Rio Cosina con sede in Faenza e l ex Consorzio di Bonifica di Predappio con sede in Forlì. Superficie degli ex comprensori del Consorzio della Romagna Centrale Territorio Superficie [Ha] 1 Ex Consorzio di Bonifica di Ravenna Ex Consorzio Idraulico di Forlì Ex Consorzio Idraulico Ausa Ex Consorzio Scolo Rio Cosina Ex Consorzio di Bonifica di Predappio TOTALE Va rilevato che la superficie totale, somma della superficie degli ex Consorzi, è maggiore della superficie totale del Consorzio di Bonifica della Romagna Centrale che è pari a Ha in quanto nella vecchia suddivisione erano presenti delle aree di sovrapposizione territoriale La delimitazione comprensoriale Il comprensorio del Consorzio della Bonifica della Romagna Centrale. comprende la parte orientale della Regione Emilia Romagna fra il Reno ed il Savio. Ha un fronte di circa 34 Km sull'adriatico. I suoi confini sono: - a nord: partendo dal fiume Reno dalla località S. Alberto prosegue lungo l'asta principale fino alla foce; - a est: partendo da nord in direzione sud va dalla foce del fiume Reno segue la costa adriatica fino alla foce del fiume Savio, prosegue lungo l'asta principale del Savio fino al confine amministrativo fra le province di Ravenna e Forlì fino all'immissione del cavo Torricchia nel torrente Bevano, prosegue lungo l'asta del Bevano fino alla strada comunale Colombara, per poi intersecare la strada provinciale n. 65 fino alla località Madonna di Cerbiano, divenendo successivamente lo spartiacque tra il sottobacino montano del torrente Bidente e il bacino idrografico del fiume Savio fino al Passo dei Mandrioli; - a sud: partendo da est in direzione ovest va dal Passo dei Mandrioli e seguendo lo spartiacque tosco-emiliano arriva al Monte Peschiena; - a ovest: partendo da sud verso nord va dal Monte Peschiena, prosegue lungo lo spartiacque fra i bacini idrografici dei fiumi Lamone e Montone fino all'incrocio fra la Via Emilia e la provinciale San Barnaba Reda Albereto, prosegue lungo questa strada fino alla confluenza dello scolo Cerchia nel fiume Lamone, seguendo poi l'asta principale di questo fiume fino alla località Grattacoppa per poi proseguire lungo la strada che da Mezzano giunge fino al Reno presso la località S. Alberto. 17
19 La superficie del comprensorio è ripartita tra 25 Comuni. COMUNI DEL COMPRENSORIO Codice Comune Prov. Sup. inclusa nel comprensorio [Ha] Alitudine minima [m s.l.m.] Alitudine massima [m s.l.m.] Ravenna RA Russi RA Bagno di Romagna FO Bertinoro FO Brisighella RA Castrocaro FO Cesena FO Civitella di Romagna FO Dicomano FI Dovadola FO Faenza RA Forlì FO Forlimpopoli FO Galeata FO Marradi FI Meldola FO Modigliana FO Portico e San Benedetto FO Predappio FO Premilcuore FO Rocca San Casciano FO San Godenzo FI Santa Sofia FO Sarsina FO Tredozio FO TOTALE COMPRENSORIO Scopo del piano di classifica Scopo del presente Piano di Classifica è quello di ripartire fra gli immobili presenti nel comprensorio che traggono beneficio dalla bonifica le spese che il Consorzio sostiene e che per legge sono a carico dei proprietari degli immobili stessi. Esse riguardano fra l'altro: spese annualmente sostenute per l'esercizio, la manutenzione e la vigilanza delle opere pubbliche di bonifica; spese annualmente sostenute per il funzionamento del Consorzio e, in generale, per il raggiungimento di tutti i suoi fini istituzionali; spese annualmente sostenute per l'esercizio, la manutenzione e la vigilanza delle opere irrigue. spese relative all'esecuzione delle opere di bonifica quando non siano a totale carico dello stato o della regione. Tenuto conto delle nuove esigenze che via via si vanno manifestando per effetto dell'evolvere degli ordinamenti colturali e dell'assetto del territorio, gli aspetti tecnici della bonifica sono in costante evoluzione. Pertanto, la presente classifica ha il carattere di provvisorietà previsto dal 1 comma dell'articolo 11 del R.D. n
20 3.5. Necessità di riesame dei piani di classifica vigenti La redazione del nuovo Piano di Classifica è dettata da diversi ordini di motivi, legati non solo al nuovo assetto del territorio, come prima messo in evidenza, ma anche per motivi di ordine giuridicoamministrativo. Due in ogni caso possono indicarsi come i motivi principali che hanno portato alla elaborazione del Nuovo Piano di Classifica e cioè: la classificazione di nuovi territori; la bacinizzazione del comprensorio. Questi due argomenti sono stati ampiamente trattati nell'ambito del capitolo 2 dedicato agli aspetti legislativi. Insieme a questi esistono comunque una serie di aspetti che intendiamo approfondire in questa sede. Il Consorzio di Bonifica della Romagna Centrale deriva, come già rilevato, dall'accorpamento di diversi consorzi, ciascuno caratterizzato da un proprio Piano di Classifica. In conseguenza di ciò esistono allo stato attuale suddivisioni in zone e categorie che hanno sotto il profilo delle modalità di applicazione dei ruoli della contribuenza criteri disomogenei fra di loro. Ciò implica ad esempio che le aziende agricole ricadenti sui territori di confine degli ex consorzi si trovino spesso a pagare, per particelle con le stesse destinazioni colturali, aliquote di contribuenze unitarie differenti. Tra gli elementi attribuibili alla disomogeneità dei diversi Piani di Classifica degli ex consorzi sono da citare quelli relativi alle zone non assoggettate a contribuenza. In particolare, va rilevato che il territorio del centro storico di Forlì risulta non soggetto a contribuenza, e che l ambito territoriale della pianura forlivese non è soggetta alla ripartizione degli oneri C.E.R.. Fra gli elementi di natura geomorfologica che hanno indotto delle variazioni all'assetto attuale del territorio non va neppure dimenticato il fenomeno della subsidenza che, come vedremo, ha modificato lo scolo di alcuni bacini che da naturale si è trasformato in meccanico. Tutti questi elementi inducono alla revisione degli attuali Piani di Classifica relativi al territorio degli ex Consorzi e che, nella loro totalità, formano l attuale Piano di Classifica del Consorzio di Bonifica della Romagna Centrale. Gli obiettivi del nuovo Piano sono pertanto quelli di determinare dei criteri univoci per l'intero territorio del Consorzio, cercando di adattarsi alle mutate condizioni fisiche, territoriali, giuridiche e amministrative ma neppure dimenticando "in toto" l eredità dei passati Piani di Classifica che cercavano di misurare i benefici indotti dalla bonifica su ciascun territorio. 19
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