Igiene e sanità pubblica - ASL - Scioglimento organi - Commissariamento prefettizio

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1 SANITA' E SANITARI U. S. L. in genere Igiene e sanità pubblica - ASL - Scioglimento organi - Commissariamento prefettizio Cons. Stato Sez. VI, 4 agosto 2006, n L'art. 146, D.Lgs. n. 267 del 2000, estendendo agli organi comunque denominati delle aziende sanitarie locali le disposizioni degli artt. 143, 144 e 145, D.Lgs. n. 267 del 2000, fa chiaro ed esplicito riferimento anche all'ipotesi del relativo commissariamento prefettizio. Cons. Stato Sez. VI, , n Regione Campania c. Presidente della Repubblica e altri FONTI Massima redazionale, 2006 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 143 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 145 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 14 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 144 ASSOCIAZIONI DI TIPO MAFIOSO SANITA' E SANITARI U. S. L. in genere Cons. Stato Sez. VI Sent., 4 agosto 2006, n. 4765

2 L'art. 146, T.U. 18 agosto 2000, n. 267 estende espressamente agli organi comunque denominati delle aziende sanitarie locali l'istituto dello scioglimento previsto dal precedente art. 143, con la conseguenza che legittimamente sono disposti sia lo scioglimento degli organi di una azienda sanitaria locale per infiltrazioni mafiose o per condizionamenti della criminalità organizzata che la conseguente nomina della commissione straordinaria per l'amministrazione provvisoria. Cons. Stato Sez. VI Sent., , n Regione Campania c. Presidente della Repubblica e altri FONTI Ragiusan, 2007, , 26 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 143 D.Lgs. 18 agosto 2000, n. 267, art. 146

3 REPUBBLICA ITALIANA IN NOME DEL POPOLO ITALIANO Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale (Sezione Sesta) ha pronunciato la seguente DECISIONE sul ricorso in appello proposto dalla REGIONE CAMPANIA in persona del legale rappresentante pro-tempore, rappresentato e difeso dall'avv. VINCENZO BARONI e dall'avv. VINCENZO COCOZZAcon domicilio eletto in Roma, VIA POLI N. 29 presso lo studio del primo, contro il PRESIDENTE DELLA REPUBBLICA, il PREFETTO DI NAPOLI, la PRESIDENZA DEL CONSIGLIO DEI MINISTRI, in persona del legale rappresentante pro-tempore, il MINISTERO DELL'INTERNO, in persona del Ministro pro-tempore, rappresentati e difesi dall'avvocatura GEN. STATO, con domicilio in Roma, VIA DEI PORTOGHESI 12, e nei confronti B.G., non costituito; M.F., non costituito; P.C., non costituita; I.S., rappresentato e difeso dall'avv. ALESSANDRO BIAMONTE, dall'avv. ALFREDO IADANZA, dall'avv. ANTONIO NARDONE, dall'avv. FRANCO IADANZA e dall'avv. INNOCENZO MILITERNI con domicilio eletto in Roma, VIA F.S. NITTI 11 presso INNOCENZO MILITERNI, per l'annullamento della sentenza del Tribunale Amministrativo Regionale della CAMPANIA -NAPOLI: Sezione I n.4/2006, Visto il ricorso con i relativi allegati; Visto l'atto di costituzione in giudizio delle parti appellate; Viste le memorie prodotte dalle parti a sostegno delle rispettive difese; Visti gli atti tutti della causa; Alla pubblica udienza dell'11 luglio 2006 relatore il Consigliere Sabino Luce. Uditi l'avv. Lacatena per delega dell'avv. Baroni, l'avv. dello Stato Vessichelli e l'avv. Medugno per delega dell'avv. Militerni e dell'avv. Nardone; Svolgimento del processo

4 Con sentenza n. 2873, del 10 marzo 2006, il Tribunale amministrativo regionale per la Campania respingeva il ricorso (n. 7294/2005) proposto dalla regione Campania contro la Presidenza del Consiglio dei ministri, il Ministero dell'interno e la Commissione straordinaria dell'asl Na n. 4. per l'annullamento del decreto del Prefetto della provincia di Napoli n. 2132/area II.EE.LL del 24 ottobre 2005 di nomina della commissione straordinaria dell'asl n. 4 e del presupposto d.p.r. applicativo all'asl n. 4 di Napoli dell'art. 146 del D.lgs. n. 267/2000. Contro l'indicata sentenza la regione Campania ha proposto appello al Consiglio di Stato chiedendo, con ricorso notificato il 10marzo 2006, la riforma dell'impugnata decisione con l'accoglimento della domanda proposta in primo grado; ed il ricorso, nella resistenza delle intimate amministrazioni statali, è stato chiamato per l'udienza odierna al cui esito è stato trattenuto in decisione dal collegio. Motivi della decisione 1. Con decreto del 24 ottobre 2005, il prefetto di Napoli nominava il dr. F.M., il dr. G.B. e la d.ssa C.P., già peraltro designati dal Consiglio dei ministri nella riunione del 21 ottobre 2005, commissari per la provvisoria amministrazione dell'asl. n. 4 di Pomigliano d'arco, ai sensi del comma 5, dell'art. 143 del decreto legislativo n. 267/2000. La nomina era disposta in attesa del perfezionamento del (già avviato) iter procedurale del decreto di scioglimento degli organi dell'ente, al fine di evitare il perpetuarsi di situazioni che potessero comprometterne l'azione amministrativa e di salvaguardare il mantenimento dell'ordine e della sicurezza pubblica. Nelle premesse dell'atto si faceva riferimento alla relazione del 30 agosto 2005 di una commissione di accesso presso l'indicata azienda sanitaria nominata dallo stesso prefetto, ai sensi del d.l. n. 629/82 convertito in legge n. 726/82 ed integrato dalla legge n. 486/88, da cui erano emersi elementi di interferenza nella gestione amministrativa dell'ente da parte della locale criminalità organizzata. Se ne faceva derivare una ritenuta incidenza sull'andamento dell'attività amministrativa dell'azienda che ne imponeva - secondo il prefettol'immediato commissariamento, ai sensi del comma 5 dell'art. 143 dell'indicato T.U. n. 267/2000, nonostante fosse intrervenuta nelle more la nomina da parte della giunta regionale di un commissario straordinario nella persona del dr. S.I.: la nomina dell'indicato commissario straordinario regionale aveva, infatti,- per espressa previsione dell'organo di giuntacarattere provvisorio fino al 31 dicembre 2005, ed era dovuta all'avvento azzeramento del management dell'azienda determinato dalle dimissioni rassegnate dal direttore generale e da quelle precedentemente presentate dal direttore amministrativo. Come già rilevato nelle premesse di fatto, l'operato dell'amministrazione, contestato dalla regione Campania, è stato ritenuto legittimo dal Tribunale amministrativo regionale per la Campania il quale, con l'impugnata sentenza, ne ha respinto il ricorso. 2. Con la prima parte dell'appello, la regione ricorrente ripropone le censure relative all'asserita inapplicabilità alle aziende sanitarie locali del disposto di cui agli artt. 143 e seguenti del decreto legislativo n. 267, del 2000, ed all'incostituzionalità della disposizione ove ritenuta, invece, applicabile anche agli enti indicati e nei confronti di

5 organi degli stessi già rinnovati dalla regione. Il T.U. n. 267/2000- secondo la regione appellante era stato emanato in base alla delega contenuta nella legge n. 265/1999, per la disciplina dell'ordinamento dei comuni e delle province. Impropriamente, pertanto sempre secondo l'ente ricorrente il relativo articolo 146 aveva esteso l'applicazione delle disposizioni di cui ai precedenti articoli 143, 144 e 145 agli organi delle aziende sanitarie locali, riproducendo il rinvio fatto dall'art. 15 bis della legge n. 55/90 alle Unità sanitarie locali. Dopo la trasformazione delle unità sanitarie indicate in aziende sanitarie locali, disposta con il decreto legislativo n. 502/92, era venuta meno ogni possibilità di assimilazione delle stesse ai comuni ed alle province. Di modo che sempre secondo la regione appellante e come già rilevatoo si riteneva che il procedimento di scioglimento di cui agli artt. 143 e ss. del T.U. n. 267/2000 non fosse applicabile alle AA.SS.LL., oppure si doveva ritenere che la disposizione fosse viziata da incostituzionalità, per avere il legislatore delegato ecceduto dalla delega ed in ogni caso per avere previsto un meccanismo repressivo interferente con le competenze costituzionali delle regioni. 3. La doglianza è, tuttavia, infondata e correttamente ad avviso del collegio- è stata respinta dal Tribunale amministrativo regionale, con riferimento ad entrambe le indicate prospettazioni. Come, infatti, rilevato dai giudici di primo grado, il dato letterale dell'art. 146 del decreto legislativo n. 267/2000 non consente alcun dubbio interpretativo: esso, estendendo agli organi comunque denominati delle aziende sanitarie locali, le disposizioni dei precedenti articoli 143, 144 e 145, fa chiaro ed esplicito riferimento anche all'ipotesi del relativo commissariamento prefettizio. A ciò va aggiunta la considerazione che, contrariamente a quanto dedotto dalla regione appellante, la trasformazione delle unità sanitarie locali in aziende sanitarie locali non ne ha comportato l'incomparabilità, ai fini dell'applicazione della misura in esame, ai comuni e le province. Anche ad ammettere, infatti, che sono diventate strumento attraverso il quale le regioni svolgono le loro funzioni nell'ambito dell'assistenza sanitaria ed ospedaliera, non per questo le aziende indicate hanno perso l'autonoma dimensione gestionale locale, suscettibile di essere interferita, come i comuni e le province, dalla criminalità organizzata. Di modo che alcuna esorbitanza dalla delega concessa vi è stata da parte del legislatore delegato il quale, dovendo provvedere all'emanazione di un Testo unico concernente l'ordinamento dei comuni e delle province, legittimamente riteneva di inserirvi anche la disposizione di cui all'art. 15 della legge n. 55 del 1999, che tali enti locali specificamente riguardava, adattandone la portata estensiva alla intervenuta trasformazione delle unità sanitarie locali in aziende locali, ed a nulla rilevando che tale legge non fosse stata esplicitamente indicata tra quelle da cui dovevano enuclearsi i principi del redigendo nuovo testo. 4. Né è condivisibile la tesi dell'ente appellante, secondo cui la preclusione all'applicazione della norma richiamata alle aziende sanitarie locali deriverebbe dall'inciso, contenuto nell'art. 146 del T.U. n. 267/2000, in quanto compatibili con i relativi ordinamenti: contrariamente, infatti, a quanto dedotto dalla regione, il potere d'intervento del prefetto, per l'indicata limitazione e per come la stessa è stata formulata, non pare sia stato subordinato al carattere collegiale dell'organo, né all'elettività dello stesso, restando ancorato alla sola possibilità di un condizionamento

6 criminale della relativa gestione. Come ben evidenziato dalla difesa erariale, l'indicazione della clausola di salvaguardia per la norma richiamata aveva il solo obiettivo di omologarne l'applicazione alla peculiarità strutturale degli enti cui si riferiva il rinvio: il legislatore, cioè, consapevole di estendere un impianto normativo modellato su organi elettivi e collegiali ad altri contraddistinti dalla presenza di figure dirigenziali monocratiche, introduceva la clausola di compatibilità, non già (per contraddirsi) e per escluderne l'applicazione agli enti che erano stati, invece, espressamente richiamati, ma solo per consentire il suo adeguamento al diverso modello strutturale di riferimento. Né a conclusione diversaad avviso del collegiopossono indurre i rilievi dell'appellante in ordine alla motivazione con la quale la Corte costituzionale, con la decisione n. 103 del 1993, aveva giustificato la ragionevolezza della scelta legislativa di ancorare la misura sanzionatoria ad un minor grado di spessore probatorio rispetto a quello richiesto per le condanne penali o per l'applicazione delle ordinarie misure di prevenzione. Si era trattato, infatti, di una giustificazione articolata con riferimento al testo originario della norma, che concerneva, specificamente, la sua applicazione agli organi elettivi e collegiali del comune, e che, in quanto tale e non trasfusa nel dispositivo, non poteva ridisegnare la conformazione della disposizione in modo da farne derivare, come pretenderebbe l'appellante, una diversa portata precettiva ed una sua inapplicabilità agli organi monocratici e non elettivi dei diversi enti per quali era disposto, invece, il successivo rinvio. 5. Piuttosto - come ben evidenziato dall'avvocatura erariale - nel giudizio all'epoca espresso dalla Corte costituzionale, non era tanto il carattere collegiale o elettivo dell'organo comunale o provinciale a consentirne il commissariamento prefettizio, quanto, piuttosto, l'impossibilità di rimuovere il pregiudizio al suo funzionamento con misure penali e preventive a carattere personale. A fronte, cioè, di collegamenti o condizionamenti criminali per così dire "strutturali", non direttamente riferiti a singoli gestori e quindi non rimuovibili con le ordinarie misure interdittive personali - come poteva avvenire di regola per gli organi collegiali elettivi - era parsa ragionevole alla Corte costituzionale la previsione di un diverso e straordinario livello di intervento rispetto a quello normalmente utilizzato per la corretta ed efficiente gestione dell'ente locale. Il che, peraltro, come pure ben evidenziato dalla difesa erariale, trovava e trova tuttora piena copertura nel riparto delle competenze tra Stato e regioni come definito nel titolo V della Costituzione. E' evidente, infatti, che il profilo sotto il quale occorre considerare il provvedimento impugnato è quello che attiene alla tutela della sicurezza pubblica e non a quello, diverso e del tutto autonomo dal primo, della organizzazione sanitaria (tutela della salute) che spetta invece alle regioni e che il commissariamento prefettizio non può comunque riguardare. Si può, pertanto, ritenere in base ai medesimi principi espressi dalla Corte costituzionale che la previsione di due livelli differenziati di intervento anche nei confronti della AA.SS.LL. non collide con il principio di ragionevolezza della norma nonostante la loro natura di enti strumentali delle regioni e nonostante le recenti modifiche apportate al titolo V della Corte costituzionale: trattasi, infatti, di interventi sovrapponibili e tra di loro non omologabili, finalizzati (il primo, di competenza della regione) alla tutela del buon andamento, del prestigio, dell'autorevolezza, della credibilità e dell'efficienze dell'amministrazione dell'ente, il secondo (di competenza dello Stato) per la tutela,

7 per i tempi strettamente necessari, della sicurezza pubblica a fronte di fenomeni di grave minaccia all'ordine generale non rimuovibili con le ordinarie misure interdittive personali, salva la straordinarietà e temporaneità dell'intervento, che non può implicare alcuna espropriazione dei poteri dell'ente regionale, deve essere motivato in base a concreti, oggettivi ed adeguati riscontri, anche se non qualificabili come vere prove di reato. Senza contare che l'esaminata fattispecie non lede alcun peculiare interesse regionale tendendo, anzi, a rafforzarne i poteri di intervento atteso che il commissariamento prefettizio e lo scioglimento degli organi di ordinaria gestione dell'ente tendono al presidio della sua autonomia ed all'affrancamento della relativa gestione dal condizionamento della criminalità mafiosa. 6. Con riferimento al caso esaminato, i limiti indicati non sembra siano stati violati, di modo che ad avviso del collegio- è anche infondata la seconda parte dell'appello concernente la veridicità, l'adeguatezza e soprattutto la significatività dei fatti e circostanze esposte nella relazione del ministero dell'interno del 20 ottobre 2005, cui esplicitamente il provvedimento impugnato fa rinvio. Come già rilevato nelle premesse di fatto, la nomina dei commissari straordinari da parte del prefetto è stata disposta in attesa del perfezionamento dell'iter procedurale del decreto di scioglimento del Presidente della repubblica, per la provvisoria amministrazione dell'ente ed al fine di evitare il perpetuarsi di situazioni che potessero compromettere l'azione amministrativa dell'asl e di salvaguardare il mantenimento dell'ordine e la sicurezza pubblica. Stando, pertanto, al testo dell'atto, alcuna finalità surrogatoria dei poteri di controllo spettanti alla regione appare perseguita dal Prefetto, che ha inteso operare, sul piano delle proprie competenze, per la tutela dell'ordine e della sicurezza pubblica per il tempo necessario al suo ripristino, cui è anche funzionale la propria competenza. I dati, inoltre, puntualmente e specificamente riferiti nell'indicata relazione ministeriale del 20 ottobre ad avviso del collegio valutati nei limiti entro i quali ne è consentito il sindacato, costituiscono legittimo presupposto per l'adottato intervento. Si è trattato, all'evidenza, di un provvedimento che è manifestazione di alta amministrazione, connotato da significativa valenza politica, di cui il sindacato del giudice non può che essere ad esso estrinseco, secondo le regole proprie del giudizio di legittimità, senza possibilità di apprezzamenti che ne concernano il merito. Di modo che, considerati e valutati fatti e circostanze di cui all'indicata relazione ministeriale, ed esclusa la possibilità di censurare il merito del relativo apprezzamento e della ritenuta loro significatività, ai fini della dimostrazione dell'esistenza delle condizioni, anche di urgenza e necessità, occorrenti a giustificare il praticato intervento, non pare vi sia spazio per ritenere configurato il vizio di eccesso di potere. 7. In particolare - ad avviso del collegio - anche a voler condividere con la parte appellante i rilievi ai punti di cui a pag. 1, rigo 26 e pag. 2 rigo 105 della relazione ministeriale, ugualmente, non pare che dagli stessi possa farsi derivare un eccesso di potere sotto il profilo del travisamento dei fatti e della violazione del principio ella responsabilità personale degli amministratori. Anche ad ammettere, infatti, che la vicenda riportata al rigo 1 della relazione indicata era riferibile ad una gestione (dr. Di Nuzzo) precedente a quella dell'ultimo quinquennio dell'azienda (ing. Cardone), non per questo la stessa perdeva di significato indiziante e ne era preclusa la valutazione da parte del prefetto la cui indagine, come già precisato, più che comportamenti

8 riconducibili a singole persone, riguardava il condizionamento della gestione complessiva dell'ente che aveva avuto modo di consolidarsi proprio nel tempo. Le stesse considerazioni possono - ad avviso del collegio valere per l'episodio di cui a pag. 2 rigo 105 della relazione ministeriale, riguardante la nomina e successiva revoca del dr. Mancusi Barone a direttore amministrativo dell'ente. Sia la nomina del Mancasi Barone (asseritamente avvenuta per contrastare logiche affaristiche e devianze dell'amministrazione dell'ente), sia la successiva sua revoca (fatta al fine di rispristinare al legalità, come assume, all'opposto, la regione), evidenziavano - indipendentemente da chi avesse veramente ragione - l'esistenza di un'anomalia nella gestione dell'ente che poteva avere oggettivamente rilevanza ai fini dell'indagine del Prefetto; l'averla prese in considerazione (al di là dell'apprezzamento e della valutazione di merito) non può, quindi, portare ad ipotizzare un eccesso di potere sotto il profilo dell'arbitrarietà e della falsificazione delle circostanze di fatto. Lo stesso era a dirsi in ordine ai rilievi di cui alla pagina 2, rigo 105, della relazione ministeriale, ove si legge che anche le verifiche effettuate sul sistema del rilascio di autorizzazioni e di accreditamenti a strutture sanitarie private evidenziavano procedure non conformi a norma e cointeressenze di imprenditori legati a vario titolo con elementi della macrodelinquenza: anche in tal caso, infatti, emerge una situazione di compromissione e di condizionamento esterno all'ente che, indipendentemente dagli esiti dei contenziosi che ne erano scaturiti, riportavano i fatti nell'ambito dell'interesse della commissione ministeriale. E neppure, infine, può valere a far ritenere che il provvedimento impugnato si possa considerare viziato da eccesso di potere sotto il profilo dello sviamento o comunque per eccessività o sproprorzionalità dopo che la regione aveva provveduto a nominare un proprio commissario straordinario, peraltro provvisto di elevatissimo profilo e del tutto idoneo per le pregresse sue esperienze (era stata Procuratore generale di Potenza) a scongiurare qualunque illazione circa il pericolo di condizionamento ambientale. L'intervento del Prefetto, infatti - coma avuto già modo di rilevare - era collegato ad una ritenuta emergenza di carattere straordinario coinvolgente l'ordine e la sicurezza pubblica riconducibile all'ente nel suo complesso e non personalmente ai suoi amministratori in carica, la cui capacità ed onestà professionale non era in messa in discussione; senza contare che l'intervento del prefetto era stato anche giustificato, come già rilevato, dalla limitata durata (fino al 31 dicembre 2005) dell'incarico dello I.. 8. Al rigetto dell'appello può farsi seguire la compensazione tra le parti delle spese processuali in considerazione della peculiarità e della novità della lite. P.Q.M. Il Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, respinge l'appello e conferma l'impugnata decisione. Spese compensate. Ordina che la decisione venga eseguita in via amministrativa.

9 Così deciso in Roma l'11 luglio 2006 in camera di consiglio dal Consiglio di Stato in sede giurisdizionale, sezione sesta, con l'intervento dei sigg. Giorgio Giovannini Presidente Sabino Luce Est. Consigliere Lanfranco Balucani Consigliere Domenico Cafini Consigliere Aldo Scola Consigliere L. 19/03/1990 n. 55, art. 15 D.Lgs. 18/08/2000 n. 267, art. 143 D.Lgs. 18/08/2000 n. 267, art. 144 D.Lgs. 18/08/2000 n. 267, art. 145 D.Lgs. 18/08/2000 n. 267, art. 146

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