SOLUZIONI ESAME PARERE DI DIRITTO PENALE. Parere n.1
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- Amando Gasparini
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1 SOLUZIONI ESAME PARERE DI DIRITTO PENALE Parere n.1 Tizio, in passato fidanzato di Caia, non accettando la fine della relazione sentimentale decisa dalla donna, e desideroso di continuare ad incontrarla, iniziava a seguirne sistematicamente gli spostamenti quando Caia usciva per andare a lavoro ovvero per attendere alle ordinarie attività quotidiane. Lungo la strada la molestava cercando di fermarla e di parlarle, dicendole che non intendeva allontanarsi da lei. Iniziava altresì a farle continue telefonate, anche notturne, e ad inviarla sms telefonici contenenti vere e proprie minacce di danno alle cose finalizzate ad ottenere una ripresa delle frequentazioni tra i due. Le condotte moleste e persecutorie avevano inizio nel novembre Caia, esasperata per la situazione, dapprima cambiava alcune delle proprie abitudini di vita per sottrarsi agli incontri con Tizio, poi alla metà di marzo del 2009 decideva di sporgere querela contro tizio. Tizio decideva quindi di recarsi da un avvocato per conoscere le possibili conseguenze della propria condotta. Il candidato, assunte le vesti del legale di Tizio rediga parere motivato illustrando la o le fattispecie configurabili nel caso di specie, con particolare riguardo alla tematica della successione delle leggi penali nel tempo e agli istituti del reato abituale e continuato. Parere n. 1 La traccia proposta richiede di affrontare il tema della successione di leggi nel tempo con specifico riferimento ai reati abituali ed alla fattispecie di atti persecutori (stalking) introdotta all art. 612bis del codice penale dal decreto legge n. 11 del 25 febbraio A tal riguardo, occorre sottolineare come le condotte di tizio si sostanzino in molestie (art. 660 c.p.) e minacce (art. 612 c.p) ed abbiano avuto inizio nel novembre 2008, dunque prima dell entrata in vigore della novella, per poi concludersi in una data imprecisata (presumibilmente successiva) e posteriore all entrata in vigore del decreto, costringendo Caia, esasperata, a modificare le proprie abitudini di vita ed a presentare querela. E bene partire dall analisi della norma di parte speciale. Come noto, l art. 612bis c.p. disegna una fattispecie abituale, per la precisione abituale «impropria»: costruita cioè su plurimi frammenti di condotte (la fattispecie si riferisce ad esse al plurale) già di per sé costituenti reato (minaccia e/o molestia) che assumono una nuova valenza criminosa, aggravatrice, in ragione della reiterazione delle stesse e dell evento cagionato, che deve consistere alternativamente - nel grave stato di ansia o di paura, nel fondato timore per l incolumità propria o di un prossimo congiunto o di persona legata al soggetto passivo da una relazione affettiva oppure, infine (e soprattutto, in relazione al caso di specie) nell alterazione delle proprie abitudini di vita. Da questo punto di vista, la consumazione del reato viene in essere con il cagionarsi di uno almeno di detti eventi ove questi siano conseguenza della condotta reiterata di minaccia e/o di molestia. Si tratta dunque di una norma che aggrava il trattamento sanzionatorio previsto per fattispecie concrete già di per sé punite, con richiamo dunque, per le condotte poste in essere prima della sua entrata in vigore, alla disciplina di cui all art. 2 c. IV c.p. A mente di tale ultimo comma, qualora la norma in vigore al momento del fatto e quella successiva siano diverse, si applica quella che, concretamente, sia più favorevole al reo. Riferendosi al fatto, occorre aver riguardo al momento consumativo del reato, che nel reato abituale coincide con il momento in cui cessano le condotte integrative della fattispecie, prefezionatasi nel momento in cui viene posto in essere l atto che, unito al precedente, conferisce agli episodi la particolare rilevanza giuridica. Da questo punto di vista, in materia di successione di leggi nel tempo e di reato abituale in generale, v è da ritenere che se gli atti proseguiti dopo l entrata in vigore della legge più favorevole sono tali da integrare il delitto abituale, il soggetto dovrà essere punito in base alla nuova legge. Venendo alla fattispecie in oggetto, se sicuramente, sulla scorta del principio di irretroattività della norma penale, così come previsto, oltre che dalla norma appena richiamata, dal combinato disposto dell art. 25, comma 2, Cost, e dall art. 2, comma 1 c.p., non è dunque punibile ai sensi dell art.
2 612bis c.p. una condotta persecutoria commessa prima dell entrata in vigore del decreto legge n. 11/2009 (condotta che rileverà invece ai sensi degli artt. 612 c.p e 660 c.p.) occorre domandarsi come ci si debba comportare nel caso in cui, a fronte di una pluralità di condotte, queste vengano commesse in parte prima e in parte dopo tale momento. Orbene, come già si è detto analizzando la fattispecie degli atti persecutori, le condotte di minaccia o molestia devono essere reiterate, così da costringere il soggetto passivo a modificare le proprie abitudini di vita. Il termine reiterare denota la ripetizione di una condotta una seconda volta ovvero più condotte con insistenza. Se ne deve evincere che anche due sole condotte sono sufficienti a concretare quella reiterazione cui la norma subordina la configurazione dell elemento materiale del reato. Dando rilievo al dato letterale del primo comma dell art. 612bis c.p laddove utilizza il termine condotte intendendolo al plurale il reato di atti persecutori potrà ritenersi perciò integrato qualora si rinvengano almeno due azioni moleste e/o persecutorie commesse successivamente all entrata in vigore del citato decreto e causalmente collegate all evento richiesto. Sul punto è intervenuta di recente anche la Suprema Corte, che in relazione proprio ai presupposti dell elemento oggettivo del reato ha chiarito: «Integrano il delitto di atti persecutori, di cui all art. 612bis c.p., anche due sole condotte di minaccia o di molestia, come tali idonee a costituire la reitazione richiesta della norma incriminatrice» (Cass. pen. sez. V, 21 gennaio 2010 n. 6417, ma anche Cass. pen. sez /10). Qualora ricorrano dunque tali condizioni ovvero residuino anche solo due condotte minatorie o moleste successive all entrata in vigore della novella - il reo risponderà per queste del delitto di cui all art. 612bis c.p, e per le eventuali condotte pregresse, concernenti fattispecie già perfette, ai sensi dell art. 612 c.p e 660 c.p., con applicazione in tal caso dell articolo 81 cpv c.p, ravvisandosi un identico disegno criminoso. In caso contrario, come già si diceva, l agente risponderà solo di minacce e molestie (in relazione alle prime, qualora sussista la condizione di procedibilità rappresentata dalla querela). Tornando dunque alla traccia proposta, si tratterà di collocare temporalmente i singoli atti molesti o minatori posti in essere da Tizio, al fine di valutare se questi si siano verificati (e in che misura) prima o dopo l entrata in vigore della novella che ha introdotto l art. 612bis c.p.: da ciò discenderà il concreto trattamento sanzionatorio da applicare nel caso di specie. Nell un caso, Tizio risponderà di quest ultimo delitto, in continuazione con i delitti di cui agli art. 612 c.p e 660 c.p, in ragione della loro autonomia criminale; nell altro, solo di questi ultimi, avvinti anch essi dal vincolo della continuazione. A tal riguardo, si segnala tuttavia una giurisprudenza di merito, (vedasi Uff. Gip del Tribunale di Milano, 1 luglio 2009), secondo la quale, qualora le condotte siano state poste in essere sia prima che dopo l entrata in vigore della novella, le prime, già punibili ex art. 612 c.p e 660 c.p sono da considerarsi assorbite nel delitto di cui all art. 612bis c.p a quel punto unica norma contestabile. Sulla stessa lunghezza d onda Trib. Mantova 2009, che a tal riguardo valorizza, ai fini della contestabilità dell art. 612bis c.p. anche il compimento di un solo atto successivo all entrata in vigore della nuova norma Parere n.2 (La traccia contempla una questione giuridica già trattata su altra fattispecie al corso Ius&Law 2010 come atto giudiziario di diritto penale n. 21 bis) Caio, alcolista, al fine di procurarsi denaro per l'acquisto di vino e liquori, minacciava la madre Mevia ed il padre Tizio di mettere a soqquadro la casa al fine di farsi consegnare il denaro. Nonostante il diniego dei genitori, riusciva ad impossessarsi di euro 200,00, denaro contenuto nel cassetto del comodino della camera da letto dei genitori. Quindi, al fine di uscire di casa con il denaro, vincendo l'opposizione del padre, si scagliava contro quest'ultimo facendolo cadere a terra e procurandogli delle escoriazioni ad un braccio. La madre Mevia non assisteva all'aggressione perché, affranta per la situazione, si era ritirata in cucina.
3 I genitori, esasperati per la situazione, essendosi fatti analoghi ripetuti anche in passato, sporgevano denuncia nei confronti del figlio. Il candidato, assunte le vesti del legale di Caio, rediga motivato parere, analizzando la fattispecie configurabile nel caso esposto, con particolare riguardo alla individuazione delle parti offese ed alle conseguenze sanzionatorie. Commento Il quesito richiede una valutazione delle condotte di Caio da effettuarsi nei confronti di ogni singola persona offesa e in questa ottica risulta opportuno iniziare la disamina da quelle poste in essere nei confronti del padre Tizio in quanto esse consentono di riscontrare la configurabilità di due reati. Il primo di essi è il reato di rapina impropria di cui all'art. 628, 2 comma c.p. infatti Caio si impossessa del denaro dei genitori e poi al fine di assicurarsi il suddetto possesso nonchè l'impunità fugge scagliandosi sul padre e facendolo cadere. Caio dovrà rispondere poi del reato di lesioni di cui all'art. 582 c.p. in quanto la caduta del padre ha causato escoriazioni ricadenti nel concetto di malattia. Le lesioni non sono assorbite nel reato di rapina in quanto, come noto, la rapina assorbe in sé solo le percosse (art. 581, secondo comma c.p.) ma non i fatti criminosi che superino in entità il predetto reato. A questo punto resta da valutare la restante condotta (temporalmente antecedente a quelle sopra esaminate) che Caio tiene nei confronti sia della madre sia del padre. Essa consente in astratto di configurare il tentativo di estorsione poiché da un lato i genitori si rifiutano di consegnargli il denaro dopo avere ricevuto le minacce così evitando la consumazione del reato estorsivo e dall altro, però, il contegno di Caio permette di riconoscere gli atti diretti in modo non equivoco richiesti dalla fattispecie del tentativo. Per l effettiva contestabilità dei reati di rapina impropria e del tentativo di estorsione occorre però prima fare i conti con la particolarità soggettiva della vicenda data dal fatto che le persone offese sono i genitori dello stesso Caio e, quindi, diventa necessario affrontare in modo completo l ambito di applicabilità dell esimente prevista dall art. 649 c.p. Come è noto, per effetto di tale disposizione i rapporti di parentela, di affinità e coniugio possono escludere la punibilità dei delitti contro il patrimonio, previsti nel titolo XIII del libro II del codice penale - ad eccezione dei casi espressamente indicati dalla legge - ovvero condizionarla alla presentazione della querela. Quanto alla ratio delle ipotesi considerate deve ritenersi che all'origine del trattamento di favore si trovi il particolare significato attribuito alla famiglia come unione contraddistinta da una comunanza di vita e di valori tale da accordare al «fatto un carattere ben diverso da quello che esso assume quando è commesso a danno di estranei»; in altri termini, in presenza di esigenze di tutela riferibili a interessi particolari quali quelli del nucleo familiare, la scelta del legislatore è stata quella di astenersi dall'intervenire o, nei casi in cui il significato del nucleo familiare tenda ad attenuarsi (si pensi all'ipotesi del secondo comma), di rimettere tale scelta al titolare dell'interesse leso. Ora, a mente dell art.649 c.p. ultimo comma, l esimente è esclusa in relazione ai delitti previsti dagli articoli 628, 629 e 630 c.p «ed in ogni altro delitto contro il patrimonio che sia commesso con violenza alla persona» e, quindi, possiamo fin da subito riscontrare che tale esclusione vale anche per la rapina impropria di cui, quindi, certamente dovrà rispondere Caio. Meno scontato invece è l esito per lo stesso Caio in merito della sua originaria condotta nei confronti di entrambi i genitori: al fine di giungere alla soluzione del problema, occorre porsi un duplice interrogativo. a) se l esclusione dell esimente sia da considerare tale anche in relazione alle fattispecie tentate di cui agli articoli in questione; b) se la clausola generale prevista nell'ultima parte della disposizione in questione faccia riferimento anche ai fatti posti in essere mediante minaccia. Riguardo alla prima questione la giurisprudenza ha manifestato posizioni contrastanti: secondo una prima impostazione, pur essendo il reato tentato una figura criminosa autonoma, quando la legge fa riferimento, senza alcuna distinzione o limitazione, all'ipotesi tipica, deve considerarsi in questa ricompresa anche la minore ipotesi del tentativo, con la conseguenza che anche il tentativo dei reati di cui agli artt. 628, 629 e 630 c.p. deve ritenersi incluso nella previsione dell'art. 649, ult. comma, c.p. La stessa giurisprudenza ha poi precisato che proprio la mancata distinzione tra delitto tentato e consumato consente di interpretare l'ultimo comma dell'art. 649 c.p. nel senso più conforme alla sua ratio che è quella di escludere l'applicabilità dei due commi precedenti in tutte le ipotesi in cui all'offesa al patrimonio si aggiunga l'offesa alla persona, sia pure quando questa derivi
4 da un solo delitto tentato. Sulla stessa lunghezza d'onda sembrano orientarsi del resto anche quelle sentenze in cui si afferma che «quando il codice fa riferimento ad un determinato trattamento penale (non importa se in favore o in danno) considera il delitto tentato come compreso in tale trattamento» (Cass. pen. sez. VI, 18 dicembre 2007 n ). A ben vedere però una simile soluzione non appare l unica possibile; sul punto infatti altra giurisprudenza è pervenuta a risultati diametralmente opposti. Più precisamente si è riconosciuta l'inapplicabilità dell'esclusione prevista nell'ultima parte dell'art. 649 c.p. proprio argomentando sul decisivo rilievo della natura di titolo autonomo della fattispecie tentata rispetto a quella consumata; il che impedirebbe, secondo quest'impostazione, nei casi in cui il legislatore fa riferimento "nominativamente" ad un determinato reato, di ricomprendervi per ciò solo anche il corrispondente tentativo: si tratterebbe infatti di un'applicazione analogica in malam partem, come tale preclusa in materia penale. Del resto, negli stessi termini le Sezioni unite della Corte di cassazione hanno risolto la questione, per certi versi analoga, sorta in materia di cause oggettive di esclusione dell'amnistia e dell'indulto. Tale soluzione di rigore troverebbe, secondo la Cassazione, ulteriore riscontro nel principio del favor rei che, in caso di ambiguità della norma da applicare, imporrebbe comunque la scelta dell'interpretazione più favorevole (ex multis Cass. pen. sez. II, 27 febbraio 2009 n ). Detto ciò, ed esclusa quindi la riconducibilità delle fattispecie di tentata rapina, estorsione, sequestro a scopo di estorsione, alla prima parte dell'art. 649, ult. comma, c.p. non vi è dubbio che queste, a loro volta, debbano farsi rientrare nella seconda parte del comma citato là dove si fa riferimento «ad ogni altro delitto contro il patrimonio» - e quindi anche a quelli rimasti allo stadio del tentativo - «commesso con violenza alle persone». Il problema da chiarire riguarda allora la corretta delimitazione del concetto di «violenza», per verificare se il legislatore abbia inteso riferirsi alla sola violenza fisica o anche a quella morale. Anche in su questo punto la giurisprudenza appare divisa. Secondo un primo orientamento con la nozione di «violenza alla persona» di cui all'art. 649 c.p. il legislatore avrebbe inteso utilizzare un'accezione "omnicomprensiva", modulabile sulla falsariga dell'art. 610 c.p., così «da ricomprendervi qualsiasi atto o fatto posto in essere dall'agente che si risolva comunque nella coartazione della libertà fisica del soggetto passivo indipendentemente dall'esercizio su di lui di un vero e proprio costringimento fisico»; in altri termini, l'espressione in questione si riferirebbe «ad un concetto che comprenda in sé, non soltanto la violenza fisica ma anche la violenza morale». In particolare, a sostegno di tale assunto si è osservato che la minaccia sarebbe non solo parificata alla violenza nella descrizione di numerose fattispecie incriminatrici, ma soprattutto inclusa nella rubrica del Capo I del Titolo XIII del Libro II del codice penale - titolo cui rinvia espressamente lo stesso art. 649 c.p. - che si riferisce genericamente ai «delitti contro il patrimonio mediante violenza alle cose o alle persone»: il che dimostrerebbe inequivocabilmente la volontà del legislatore di utilizzare «una nozione categoriale» di violenza «comprensiva di ogni atto di coercizione diretto verso la persona» (Cass. pen. sez. VI, 18 dicembre 2007 n ). In questo caso quindi Caio risponderebbe dei reati di rapina impropria, lesioni e di estorsione nella forma tentata, tutti legati dalla continuazione. Quanto all individuazione delle persone offese come richiesto dalla traccia premesso che la tentata estorsione vede pacificamente come soggetti passivi entrambi i genitori, in relazione alla rapina, occorre sottolineare come tale delitto sia da considerare plurioffensivo in quanto lede sia l interesse patrimoniale al pacifico possesso delle cose mobili sia la libertà personale, ossia l interesse all autodeterminazione del proprio comportamento e la stessa integrità fisica. Se così è qualora i due interessi lesi (quello patrimoniale e quello personale) facciano capo anche a soggetti diversi, potrà esservi una duplicazione di soggetti passivi, nel caso di specie, dunque, sia il padre che la madre di Caio. Quanto infine al delitto di lesioni (di cui non si conosce la prognosi e dunque l eventuale necessità di una querela da affiancare alla denuncia già sporta) è del tutto evidente che di questo sarà persona offesa il solo Tizio. Secondo una diversa tesi, la violenza va tenuta ben distinta dalla minaccia, autonomamente considerata dal codice (cfr. artt. 385, 386, 391 e 507 c.p) quale forma aggravata di reati. Occorre, ai fini penali, effettuare una distinzione ontologica, tra i termini di violenza (alla persona o alle cose) e di minaccia". La "violenza" implica il dispiegamento di un'energia fisica sopraffattrice verso una persona o una cosa, tale da cagionare una coazione personale, assoluta o relativa, ovvero la modificazione di una cosa, sempre attraverso l'uso, appunto, di una forza fisica diretta; "la minaccia" è, invece, l'annuncio, anche con gesti, di un male ingiusto futuro dato ad altra persona, con scopo intimidatorio diretto a restringerne la libertà psichica o a turbarne la tranquillità. La dizione dell'art. 649 ultimo comma, seconda parte, si riferisce esclusivamente alla "violenza" in
5 senso tecnico e specifico e non può essere confusa con la minaccia. A confermare l'assunto sembrerebbe inoltre lo stesso ultimo comma dell'art. 649 c.p., dal momento che, se realmente dovesse accogliersi la nozione "unitaria" di violenza, non si vedrebbe l'utilità del richiamo - ai fini dell'esclusione dal beneficio - ai reati di cui agli artt. 628, 629 e 630 c.p., che sarebbero comunque ricompresi nella clausola generale. La necessità di una loro specifica indicazione, salvo non voler sottoporre l'inciso ad un'interpretazione abrogante, può invece cogliersi là dove si tengano nettamente distinti i due concetti: con la conseguenza che solo i reati espressamente richiamati nella prima parte dell'ultimo comma della disposizione in questione - stante la loro maggiore intrinseca gravità - saranno punibili nell'ambito familiare, qualora consumati e non semplicemente tentati, pur se realizzati mediante semplice minaccia (Cass. pen. sez.ii, 27 febbraio 2009 n ). Da ciò non può che desumersi l applicabilità dell esimente di cui all art. 649 c.p. al delitto di tentata estorsione commesso per il tramite di minaccia e pertanto, più favorevolmente, Caio risponderebbe dei soli delitti di lesioni volontarie (qualora ricorrano le condizioni di procedibilità) e rapina impropria (sebbene aggravato dall essere stato commesso in un domicilio, ex art. 628, terzo comma n. 3bis): sotto il profilo sanzionatorio, l eventuale venir meno della contestazione relativa alle lesioni volontarie (ad esempio in assenza di querela qualora necessaria) consentirebbe peraltro, nel caso di specie, di evitare l aumento fino al triplo previsto per il reato più grave ex art art. 81 cpv c.p. Non sembrano invece richiamabili altre fattispecie, quali i maltrattamenti in famiglia, stante l assoluta carenza di elementi forniti dalla traccia, dalla quale non si evince né il tempo né la cadenza né tanto meno la natura degli episodi subiti dai due coniugi.
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