LA PSICHIATRIA E LA TERZA ÈTÀ : L ESPERIENZA NEL CENTRO SALUTE MENTALE DI PONTE SAN GIOVANNI * di Luca Natalicchi psichiatra ULS n 2

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1 LA PSICHIATRIA E LA TERZA ÈTÀ : L ESPERIENZA NEL CENTRO SALUTE MENTALE DI PONTE SAN GIOVANNI * di Luca Natalicchi psichiatra ULS n 2 ABSTRACT In linea con i recenti dati relativi all andamento demografico in Italia, anche nella nostra regione la popolazione mostra un progressivo e preoccupante invecchiamento: la speranza di vita alla nascita è in Umbria di 77.6 per gli uomini e 83,6 per le donne e nell anno 2001 le persone con più di 65 anni rappresentavano il 22,3% pari a un valore assoluto di 187 mila 772 persone (censimento Istat 2001). Scopo del lavoro è quello di valutare come l andamento demografico si ripercuota sugli aspetti qualitativi e quantitativi della assistenza sanitaria e come a partire da una lettura analitica dei dati sia possibile ipotizzare nuovi e più adeguati modelli di intervento. I dati del Centro Salute Mentale di Ponte S. Giovanni relativi triennio , mostrano che i soggetti con età superiore a 65 anni che si sono rivolto al Srvizio è passato dal 6% a più del 20 % della utenza-adulti totale. In particolare le richieste hanno riguardato il trattamento di Disturbi dell umore di tipo depressivo (circa 70%) e di Disturbi non cognitivi in corso di sdr. dementigene (25%). Si ritiene utile proporre una riflessione sulle problematiche del sistema curante a partire dalla quale definire in maniera più ampia il problema del rapporto tra assistenza psichiatrica e terza età. Si sperimenta una modalità di organizzazione e di intervento sanitario, più aderente agli effettivi bisogni della terza età, centrata sulla territorialità della risposta e sulla cultura di equipe allargata. PAROLE CHIAVE Psichiatria, terza età, modelli di intervento, equipe integrata, equipe allargata, formazione del personale. I recenti dati ISTAT indicano che l età media della popolazione italiana è in costante aumento e che nell anno 2001 si è attestata a 76,8 per gli uomini e 82,9 per le donne. Nella nostra regione il processo di invecchiamento della popolazione ha assunto un preoccupante andamento configurando la nostra una fra le regioni con maggior presenza di soggetti in terza età. La speranza di vita alla nascita è in Umbria di 77.6 per gli uomini e 83,6 per le donne e nell anno 2001 le persone con più di 65 anni rappresentavano il 22,3% pari a un valore assoluto di 187 mila 772 persone (censimento Istat 2001). Un recente rapporto del Censis stima che nel 2040, in Italia, ci saranno circa 16 milioni di ultrasessantacinquenni, pari al 36% della intera popolazione. Come naturale l andamento demografico si riverbera sugli aspetti qualitativi e quantitativi della assistenza sanitaria costringendo gli operatori a pensare, organizzare e progettare nuovi modelli di intervento. Nel campo della salute mentale il problema dei pazienti di terza età è relativamente recente e conseguenza di un aumento di attenzione per la popolazione anziana innescato dalla drammatica comparsa sulla scena sanitaria dei problemi rappresentati dalla gestione e dal trattamento delle sindromi dementigene e in particolare modo della malattia di Alzheimer.

2 Infatti, questa e il singolare divenire demografico, hanno costretto la comunità scientifica e le istituzioni socio-sanitarie a un rinnovato interesse per la terza età, in un crescendo di riflessione che ha coinvolto anche il mondo della psichiatria. A riprova di ciò il fiorire di ricerche, pubblicazioni scientifiche, seminari e incontri dedicati e, per lo specifico della salute mentale, l istituzione in molte regioni di Servizi di Psicogeriatria. Sensibile al problema la Azienda ULS n 2 ha dato mandato per una prima ricognizione finalizzata alla eventuale ridefinizione dei modelli di intervento territoriale a favore dei soggetti terza età con sintomatologia psichiatrica. Il Centro di Salute Mentale di Ponte S. Giovanni ha un bacino di utenza di circa 60 mila abitanti con una popolazione over sessantacinque pari circa al 20%: in linea con quanto osservabile in altri parti d Italia sembrava rappresentare un terreno ideale per valutare l impatto del problema terza età sulle dinamiche organizzative e gestionali del Servizio. Il primo passo è stato quello di rielaborare e leggere in maniera analitica i dati in nostro possesso a partire dalla disponibilità derivante dalla recente informatizzazione dei Servizi per la salute mentale. Focalizzando la nostra attenzione sul gruppo nuovi utenti è possibile evidenziare: Nel triennio la percentuale di soggetti con età superiore a 65 anni, era passata dal 6% a circa il 20%. Da un punto di vista diagnostico il 70% dei soggetti era inquadrabile nel gruppo dei Disturbi dell umore di tipo depressivo, il 25% in quello dei Disturbi non cognitivi in corso di sdr. dementigene e il 5% in quello dei Disturbi psicotici propriamente detti. La richiesta riguardava nel 95% dei casi, il trattamento farmacologico della sintomatologia e nel 92% dei casi questo era già impostato da altri sanitari. Il nostro Servizio veniva interpellato e coinvolto in una fase già avanzata del progetto terapeutico e principalmente per problemi relativi al trattamento farmacologico o inerenti alla gestione territoriale dei soggetti mentre si osservava un basso utilizzo per problemi di inquadramento diagnostico. Interessanti indicatori a proposito erano i dati relativi ai rapporti con i MMG: si osservava infatti una bassa percentuale di invio da parte del MMG (30%) e un basso numero di richieste di consultazione (20%). Ciò suscitava perplessità circa la correttezza dell invio in quanto se un accesso diretto al Servizio (qui pari al 50%), poteva essere considerato indicatore del buon livello di penetrazione territoriale del Servizio, nel caso particolare dei soggetto terza età, esso si accompagnava inevitabilmente a una scarsità di dati relativi alla storia clinica globale. La consapevolezza, suffragata da una ampia letteratura, che l approccio psichiatrico a tali soggetti non poteva prescindere dal riconoscimento e dal confronto con una globale fragilità degli stessi (leggi Sindrome da fragilità dell anziano ), ci portava a riflettere sulla correttezza del nostro approccio e delle nostre risposte. I semplici dati hanno quindi costituito il pretesto per una più analitica. Il soggetto anziano più di ogni altro paziente mette in discussione quel modello lineare che in Medicina conduce al progetto terapeutico e che idealmente si definisce attraverso la anamnesi, l esame obiettivo, la valutazione strumentale e quindi la diagnosi. Questi soggetti per le loro specifiche caratteristiche impongono al sistema curante una flessibilità del pensare, una capacità di integrare conoscenze e una poliformità di atti terapeutici che in ultimo li fa percepire come scomodi e poco desiderabili. Essi sembrano mettere in scacco il sapere e l agire proprio della Medicina attraverso la provocazione costituita dal presentarsi come portatori del limite. Essi costituiscono il paradossale esempio di come la normalità (la vecchiaia) possa diventare patologia e non per un semplice accidente, ma come espressione dell ineluttabile destino dell uomo. Inscritti nel classico registro della Medicina che cura, essi si dimostrano soggetti altamente frustranti partecipi di dinamiche di emarginazione e abbandono.

3 Dice Edgar Morin (2001), citando La Rochefould, che l uomo non può guardare in faccia nè il sole nè la morte. Le riflessioni sul problema terza età come si presentava ai nostri occhi ci costringevano a focalizzare il nostro sguardo non tanto e solo sulle caratteristiche cliniche dei soggetti, quanto su quelle che potevano essere le problematiche che il sistema curante viveva nel momento dell incontro con tali soggetti. Il nostro gruppo di lavoro composto dalla totalità delle figure professionali che definiscono un Centro di Salute Mentale (medici, psicologi, assistente sociale e infermieri) si è interrogato sulla propria esperienza, ipotizzando che questa riflessione potesse costituire il punto di partenza per la individuazione dei punti critici e per una successiva ridefinizione delle modalità operative. La nostra ipotesi di lavoro era che solo avendo ben presente i problemi del sistema curante potevamo proporre un modello di intervento che in maniera sintetica potevamo definire quello del passaggio dal curare al prendersi cura. Potevamo sperare che il modello si rivelasse utile per chiarire non tanto le nostre competenze quanto i nostri limiti, a partire dai quali ridefinire effettive possibilità e ambiti di intervento. Riporterei di seguito i punti più interessanti della nostra riflessione condivisibili, a mio parere, anche da altri sistemi curanti. A partire dalla non desiderabilità di tali soggetti, venivano evidenziate alcune delle dinamiche che il sistema curante utilizzava /creava al fine di proteggersi da essi: Iperattivismo terapeutico (ottimismo non realistico, iperstimolazione, aspettative esagerate) Pessimismo terapeutico Stile di lavoro rigido (privilegiare i pti con cui si può lavorare rispetto a quelli per i quali non si nutrono speranze; privilegiare il momento ambulatoriale rispetto a contesti differenti) Difficoltà teorica ad accogliere il paziente (ricorso a criteri elettivamente nosografici) Mancato riconoscimento di bisogni diversi da quelli squisitamente sanitari Saturazione obiettiva o soggettiva del terapeuta e dell'équipe Scarsa attenzione alla individuazione e alla successiva elaborazione delle dinamiche psichiche che tali soggetti suscitano Scarsa attenzione alla costruzione di una collaborazione terapeutica attiva che superi la semplice compliance Mancanza di continuità nel trattamento, a partire dalle difficoltà di compliance Polimorbilità, polifarmacoterapia e difficoltà di trattamento farmacologico Alta incidenza di effetti farmacologici avversi Mancato coinvolgimento del paziente, della famiglia e di altri Servizi socio-sanitari nella programmazione e gestione della terapia Mancanza di una cultura dell equipe integrata Mancanza di una cultura dell equipe allargata. Dalla riflessione siamo poi passati a ipotizzare un modello di intervento centrato su alcuni piccoli, ma significativi punti: Definizione di procedure di accoglienza specifiche per gli over 65 Definizione di specifici percorsi interni al Servizio Definizione di limiti e responsabilità dei membri della equipe Riflessione periodica sui problemi del sistema curante Formazione del personale Definizione di modalità comunicative con altri punti della rete dei Servizi In particolare appariva indispensabile che i soggetti terza età avessero una facilità di accesso al Servizio, ma nel contempo potessero utilizzare spazi di accoglienza appositamente pensati al fine

4 di proteggerli dalle dinamiche poco sopra evidenziate. Altro elemento era rappresentato da nuove e più efficaci modalità di comunicazione con gli altri punti della rete dei Servizi, ipotizzando che proprio a partire dalla definizione di esse, ci si potesse muovere verso il raggiungimento dei seguenti obiettivi: Mantenere i livelli quantitativi di prestazione Migliorare i livelli qualitativi attraverso: 1. Ridefinizione della domanda/offerta 2. Cultura della equipe allargata 3. Implementazione dell intervento territoriale 4. Sostegno e formazione del contesto familiare 5. Incremento delle prestazioni di consultazione Il nuovo modello, applicato nel CSM di Ponte S. Giovanni a partire dal 2002, sta dando buoni risultati, non tanto perché i dati in nostro possesso ci confermano il raggiungimento degli obiettivi prefissati, quanto per la diffusa sensazione che il lavoro sin qui svolto stia contribuendo a modificare l atteggiamento nei confronti del lavoro sanitario con i pazienti anziani. Riconosciamo inoltre che esso, definendo con maggiore chiarezza la nostra posizione all interno della rete dei Servizi coinvolti nelle problematiche sanitarie dei soggetti terza età, ci rende più visibili e ci obbliga a una crescente efficienza organizzativa e a una maggiore aderenza agli effettivi bisogni della collettività. In conclusione ci sembra utile riportare l analisi critica del nuovo modello sperimentato a Ponte S. Giovanni evidenziando: Punti di forza 1. Territorialità della risposta 2. Equipe multidisciplinare 3. Bassi costi Opportunità 1. Maggior aderenza ai bisogni 2. Aumento della soddisfazione (degli operatori, degli utenti) 3. Implementazione cultura territoriale Debolezze 1. Rischio di disomogeneità territoriale dei modelli di intervento 1. Limiti di comunicazione/interazione con altri Servizi Rischi 1. Isolamento (del Servizio, del Paziente) 2. Litigiosità tra Servizi Bibliografia AAVV: "Psichiatri e medicina di base". Atti del Workshop Bologna marzo Editrice compositori AAVV a cura di P. Pancheri: Uso atipico degli antipsicotici atipici. Scientific Press 2003 American Psichiatric Association : DSM IV TR. Masson 2001 T.M. Brown, A. Stoudemire: Effetti collaterali neuropsichiatrici dei farmaci. Centro Scientifico Editore 1999 J. Cambier, M.Masson,H. Dehen: Neurologia. Masson 1984 C. gala, G. Invernizzi: Psicogeriatria medica. Mc Graw-Hill 1996 L. Ploton: La persona anziana. Raffaello Cortina 2003 M.Trabucchi: Le demenze. UTET 1998

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