Massimo Maresca. La feluca sorrentina del XIX secolo

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1 1 Massimo Maresca La feluca sorrentina del XIX secolo In: NAVI DI LEGNO. Evoluzione tecnica e sviluppo della cantieristica nel Mediterraneo dal XVI secolo a oggi,a cura di Mario Marzari, Grado Nella Penisola Sorrentina le attività di costruzione navale in legno hanno antichissima tradizione. La sua collocazione geografica, che la vede separata dal resto della regione dal massiccio del Monte Faito ad est, ha determinato la vocazione marinara dei paesi costieri. I collegamenti via terra con i territori circostanti si limitavano, fino alla costruzione della strada rotabile Castellammare di Stabia Sorrento nel 1834, a sentieri e mulattiere. Tutta la storia delle relazioni politiche, militari e commerciali di quest area dalla colonizzazione greca alle soglie del nostro secolo ha visto il mare protagonista. 1

2 2 I cantieri sorgevano sugli stretti arenili delimitati dagli strapiombi delle falesie tufacee di origine vulcanica: le marine di Alimuri nella città di Meta, di Cassano in quella di Piano, di Equa in Seiano. Nel Settecento in questi cantieri si costruivano le navi con cui gli armatori sorrentini svolgevano i loro traffici: le polacche per i viaggi in Nord Atlantico e nel Mediterraneo, le tartane per il commercio di cabotaggio con le coste adriatiche del Regno per il rifornimento della città di Napoli. Nel secolo successivo, dopo la fine delle guerre napoleoniche, nell epoca del grande sviluppo del commercio marittimo, vengono varati centinaia di brigantini. Ma il periodo di massimo sviluppo è dopo l unità d Italia: i cantieri si attrezzano per la costruzione dei grandi brigantini a palo oceanici. Nel 1866 a Cassano ed Alimuri si allestiscono venti bastimenti tra le quattrocento e le cinquecento tonnellate di stazza. Le attività rallentano con il progressivo affermarsi delle costruzioni in ferro ed acciaio prima e della navigazione a vapore poi. Nel 1898 viene varata ad Alimuri l ultima nave, la goletta a palo Emilial, anche a Cassano la produzione diminuisce. Accanto alle grandi navi di lungo corso si costruivano le imbarcazioni più piccole per il cabotaggio e la pesca: gozzi, tartane, golette ecc. In questa cantieristica minore si inserisce l imbarcazione di cui parliamo qui, la feluca sorrentina. Il termine feluca ha in penisola sorrentina una storia antica: in un documento del 1718 li Padroni di tartane e felluche del Terziere di Meta e loro marinari rivolgono una supplica per avere il permesso di fondare una Società per il riscatto degli schiavi e le spese mediche degli associati. Che tipo di imbarcazioni fossero queste feluche si può in parte dedurre da un documento redatto a Vico Equense nel 1754 che nell elenco per la valutazione ai fini dell accatastamento le pone subito dopo le barche a due alberi di trafico per Sicilia, Roma ed altri luoghi e prima dei gozzi per la pesca con le reti, definendole barche di questo Golfo seu filuche per il trafico anche di questa predetta Città per Napoli. D altra parte nei resoconti dei viaggiatori stranieri che nel XVIII secolo si recavano da Napoli in Calabria ed in Sicilia si parla spesso di feluche noleggiate come mezzi di trasporto, piccoli battelli a vela e a remi che sostano per la notte nelle insenature. Erano quindi barche per il piccolo cabotaggio costiero, più piccole di quella rappresentata da Baugean,definita feluca napoletana, probabilmente simili a quelle illustrate nei quadri delle marine della penisola di Hackert e di Turpin de Crissè: sottili, pontate, con bittalò e poppa sporgente, un grande albero al centro ed uno piccolo a poppa. 2

3 3 E difficile dire quindi se al termine corrispondeva una tipologia definita, ed ancor più difficile stabilire una relazione con l imbarcazione di cui parliamo qui, se non la somiglianza di dimensioni e soprattutto di utilizzo. Questa infatti fu costruita nell ultimo quarto del XIX secolo e poi fino all inizio della prima guerra mondiale soprattutto nei cantieri della Marina di Cassano a Piano ed, in numero inferiore, in quelli di Marina Piccola a Sorrento e di Marina di Equa a Seiano Era un imbarcazione dalle linee molto sfilate, con cavallino accentuato, poppa a cuneo, ruota di prua arrotondata con caporuota, pontata solo per un quinto nella parte prodiera. Caratteristiche erano l alta falchetta costruita sugli scalmotti, la cui parte poppiera era amovibile per facilitare il carico, ed i quadri di forma trapezoidale che sormontavano la prua e la poppa, detti schiocche. Il quadro di poppa, in legno di noce, era finemente scolpito in bassorilievo e dipinto a colori vivaci da ambedue i lati. In genere la parte esterna raffigurava scene che richiamavano il nome della feluca, mentre la parte interna rappresentava il santo protettore, in genere il patrono del paese di origine. Lungo le murate, in corrispondenza della cinta, due passavanti da prua a poppa permettevano di vogare in piedi. L armamento consisteva in due alberi di uguale altezza, uno circa a metà barca, l altro molto appruato, dotati di antenne e vele latine anch esse uguali, ed in una lunga asta di fiocco su cui si montava un polaccone. Le vele latine erano di forma trapezoidale, con il carro più corto del normale, cosa che agevolava il passaggio dell antenna da un lato all altro dell albero. Alla breve caduta prodiera corrispondeva una mano di terzaruoli da prendere senza ammainare completamente, un altra o più si prendevano sull antenna. L asta di fiocco era fissata all albero di prua ed era facilmente smontabile. Le manovre sembrano, dalle foto allegate, molto semplici: due scotte con paranco a una via per le vele, un grosso paranco a tre vie per le drizze, orze di poppa. Il paranco di mura fungeva anche da ralinga della caduta prodiera della vela. La barca era dotata di un buon numero di remi, sei od otto, con scalmi posizionati nelle zone di prua e di poppa. Il piano di costruzione illustrato (Vedi figura 1 ) è opera del costruttore navale di prima classe Giuseppe Starita (Meta, ), che fu realizzatore di numerosi brigantini a palo oceanici, Professore di disegno al tracciato all Istituto Nautico Nino Bixio di Piano di Sorrento, nonché perito del Registro Navale presso l agenzia di Meta. La scala del disegno è di 1:20 in palmi napoletani (Un palmo = cm. 26), le dimensioni sono: Lunghezza fuori tutto metri 16,90; Lunghezza alle perpendicolari m. 16,50; Larghezza massima fuori ossatura m. 3,45; 3

4 4 Altezza alla sezione maestra m.1,65, Altezza a prua al capodibanda m. 2,45. Un rapporto lunghezza baglio massimo superiore a 4,7 : 1 e un puntale piuttosto basso. L imbarcazione rappresentata nel mezzo modello (Fig. 2) è meno sfilata: il rapporto è circa 4,1 : 1. L accostolato era fitto con ordinate singole: madieri di cm. 14 x 12 al paramezzale con maglie di circa cm. 15, staminali alla cinta di cm.7 x 7.Chiglia e paramezzale erano di notevole sezione, costruiti in quercia, mentre le ordinate erano di olmo, il fasciame di pino ma la prima tavola di pitch-pine. Queste ultime informazioni vengono dalla memoria storica dei mastri d ascia, in particolare della Marina Grande di Sorrento, dove si costruiva senza tracciato con il metodo tradizionale del mezzo garbo, simile a quello di San Giuseppe. E interessante notare come le tecniche di costruzione variassero tra i cantieri a distanza di pochi chilometri: alla Marina Grande di Sorrento, nei secoli un enclave di pescatori fortemente autonoma, si costruivano con il garbo i gozzi da pesca, e poi anche le feluche; a Piano di Sorrento e a Meta la presenza dei cantieri delle grandi navi e della scuola nautica fa si che anche le piccole varchette vengano impostate con il piano tracciato. Le feluche erano dunque imbarcazioni molto sfilate, veloci, con una struttura leggera ma robusta ed un armo rilevante anche se di semplice manovra. Tra le ragioni di queste caratteristiche costruttive, in particolare la grossa chiglia e la leggerezza, vi era la necessità di essere tirate a secco quando non navigavano: alla fine del secolo scorso le strutture portuali della penisola erano pressoché nulle. Solo piccoli moli o scogliere difendevano gli arenili dalle mareggiate. L utilizzo principale era il trasporto giornaliero di merci e persone dalle marine dei paesi della penisola a Napoli. Il viaggio per mare, circa quattordici miglia, era preferibile a quello per la rotabile che durava più di quattro ore. Le barche partivano la mattina presto e tornavano la sera, ma talvolta facevano anche due viaggi. Le merci erano i prodotti tipici del luogo, olio,vino, noci, latte, carni, ed anche manufatti di seta, diretti ai mercati napoletani. Figura particolare era il corriere che si occupava personalmente del trasporto di merci o più semplicemente di pacchi o plichi di corrispondenza per conto di terzi. Altro impiego delle feluche era relativo all attività prevalente della penisola sorrentina: la produzione e commercializzazione degli agrumi. Quando un carico di aranci e limoni doveva essere spedito in Nord Europa o negli Stati Uniti a bordo di un veliero o di un piroscafo, le cassette di frutta accuratamente confezionate venivano trasportate dalle feluche nel porto di Napoli, o, se la nave faceva scalo alla fonda nelle acque della penisola, trasbordate con l ausilio di grossi pontoni denominati 4

5 5 sandali (Fig ).Spesso queste imbarcazioni si spingevano anche a nord ad Anzio e Civitavecchia ed a sud verso la Calabria e la Sicilia seguendo rotte costiere. Quando questi trasporti vennero affidati a battelli a motore, i carichi si fecero più umili : materiali da costruzione, legname. Si disputavano delle vere e proprie regate fra queste imbarcazioni: se ne ricorda una bandita dal Comune di Napoli nel 1910 sul percorso Napoli Ischia Capri Sorrento - Napoli a cui parteciparono undici feluche. Ad alcune, sostengono delle testimonianze, fu aggiunta una deriva mobile, con scassa a lato della chiglia ed un paranco in testa all albero poppiero. I capitani delle feluche erano spesso anche i proprietari, ma già all inizio del 900 sorgono dei piccoli armatori a carattere familiare. Alcune di queste famiglie, come gli Aponte di Sant Agnello, daranno poi vita alle compagnie di navigazione private per i collegamenti del golfo di Napoli. Dopo la prima guerra mondiale le feluche vennero modificate per la motorizzazione. La poppa divenne a specchio, la prua maggiormente stellata, furono aggiunti ponte e sovrastrutture per i passeggeri, gli alberi furono armati con vele ausiliarie Marconi. Rimasero simili le proporzioni ed in parte le linee d acqua. (Vedi disegno). L utilizzo rimase lo stesso e si crearono linee regolari per Napoli e Capri. Alcune di queste motobarche, ulteriormente rimaneggiate nel tempo, hanno navigato fino a pochi anni fa, ed una di esse, costruita nel 1923, si trova ormai in disarmo sulla spiaggetta della Marina Piccola di Sorrento. 5

6 6 Riassunto La feluca sorrentina era una imbarcazione per il piccolo cabotaggio costiero costruita nell ultimo quarto del XIX secolo ed all inizio del XX nei cantieri che sorgevano sugli arenili della Penisola Sorrentina: Marina di Cassano a Piano, Marina Piccola a Sorrento, Marina di Equa a Vico. Lo scafo era con poppa a cuneo, ruota di prua arrotondata con caporuota, cavallino accentuato, non pontato. Era armata con due alberi uguali che portavano due vele latine con una breve caduta prodiera. La feluca aveva linee molto sfilate, un rapporto lunghezza Baglio massimo superiore a 4 : 1. Nel Piano di costruzione illustrato (Fig. 1 ) le dimensioni sono: lunghezza alle PP.: m. 16,50, fuori tutto m. 16,90, larghezza massima fuori ossatura m. 3,45, altezza alla sezione maestra m. 1,65. L impiego prevalente era il trasporto di merci e persone tra la Penisola Sorrentina e Napoli. In particolare venivano utilizzate per trasportare le casse di arance e limoni destinate alla spedizione in Nord Europa e negli Stati Uniti nel porto di Napoli. 6

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