Gli enti non commerciali: aspetti generali (1)

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1 Articolo pubblicato su FiscoOggi ( Attualità Gli enti non commerciali: aspetti generali (1) 5 Dicembre 2006 Le agevolazioni previste per tali soggetti sono ricollegabili alla caratteristica fondamentale degli stessi che è quella di svolgere attività che altrimenti sarebbero demandate alla Pubblica amministrazione Il settore del non profit comprende una vasta gamma di attività, svolte solitamente da soggetti collettivi (societari, non societari, associativi, eccetera), aventi finalità diverse rispetto a quella (tipica del mondo dell'impresa) della produzione di profitti. L'espressione non profit deriva dal termine anglosassone "not for profit organization", che indica tutti gli enti che, senza scopo diretto di lucro, svolgono attività tradizionalmente demandate allo Stato. Prescindendo dall'esame "civilistico" della veste giuridica sotto la quale tali attività possono essere svolte, si intende qui rivolgere l'attenzione direttamente al trattamento fiscale a essi riservato, in quanto enti non commerciali (categoria ricomprendente anche gli enti associativi) od Onlus (categoria, quest'ultima, di origine squisitamente tributaria, fortemente agevolata in ragione della sua strettissima finalizzazione a obiettivi socialmente "meritevoli"). Sostanzialmente, le agevolazioni previste per i soggetti in esame sono ricollegabili alla caratteristica fondamentale degli stessi, che è quella di svolgere attività che altrimenti sarebbero demandate alla Pubblica amministrazione. Enti commerciali e non commerciali: criteri di distinzione Gli enti non societari residenti, che restano "unitariamente" soggetti all'ires e non all'irpef, a 1 di 5

2 dispetto delle previsioni contenute nella decaduta delega per la riforma fiscale "Tremonti" - che invece voleva ricondurre gli enti non commerciali al campo applicativo dell'imposta per le persone fisiche (articolo 3, comma 1, lettera a), legge 7/4/2003, n. 80) - sono individuati in base a criteri distintivi "reciproci", in base al carattere discriminante costituito, appunto, dalla commercialità - o non commercialità - dell'attività esercitata, secondo un'accezione fiscale e non civilistica del termine. Enti commerciali residenti La lettera b) dell'articolo 73, comma 1, del nuovo Tuir, comprende tra i soggetti passivi dell'ires gli enti residenti non societari, pubblici e privati, che hanno quale proprio oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali. Si tratta di una categoria di soggetti alquanto vasta, il cui criterio distintivo rispetto agli enti non commerciali risiede nell'oggetto dell'attività esercitata. Come sottolineato dal paragrafo 1.2 della circolare ministeriale 12/5/1998, n. 124/E, che commenta il vecchio articolo 87, commi 4 e 4-bis, del Tuir, come modificato dal Dlgs 4/12/1997, n. 460 (attuale articolo 73, commi 4 e 5): l'oggetto esclusivo o principale dell'ente è determinato (se esistenti in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata) in base all'atto costitutivo o allo statuto in mancanza, l'oggetto esclusivo o principale è determinato in base all'attività effettivamente svolta nel territorio dello Stato (in ogni caso, tale regola è adottata per gli enti non residenti). La commercialità dell'ente - ai fini della perdita della qualifica di ente non commerciale - risulta, oltre che dalla prevalenza dell'attività commerciale nel periodo d'imposta(1), da alcuni parametri individuati nell'articolo 149 del Tuir, di seguito individuati: prevalenza delle ammortamenti, immobilizzazioni rispetto alle relative rimanenti all'attività attività; il commerciale, raffronto va al netto effettuato degli tra le immobilizzazioni (materiali, immateriali, finanziarie) relative all'attività commerciale e gli investimenti relativi alle attività istituzionali, compresi gli investimenti relativi alle attività decommercializzate prevalenza dei ricavi derivanti da attività commerciali rispetto al valore normale delle cessioni o prestazioni relative alle attività istituzionali 2 di 5

3 prevalenza dei redditi derivanti da attività commerciali rispetto alle entrate istituzionali, intendendo per queste ultime i contributi, le sovvenzioni, le liberalità e le quote associative; il raffronto va effettuato tra i componenti positivi del reddito d'impresa e le entrate derivanti dall'attività istituzionale prevalenza delle componenti reddituali negative riferite all'attività commerciale rispetto alle rimanenti spese. Se accertati, in capo a un ente che formalmente si qualifica come non commerciale, i descritti parametri non comportano automaticamente la perdita di qualifica di ente non commerciale, ma sono particolarmente significativi e inducono a un complessivo giudizio (in concorso con altri elementi significativi) sull'attività effettivamente esercitata. Enti non commerciali residenti Ai fini del trattamento fiscale, che risulta agevolato rispetto a quello degli altri soggetti Ires, la categoria degli enti non commerciali si distingue da quella degli enti commerciali in base a criteri "reciproci" rispetto a quelli illustrati sopra (criteri che sono stati dettati dal legislatore fiscale per demarcare i confini dell'area "meritevole" di attenzioni e speciali tutele). Nel novero degli enti pubblici e privati diversi dalle società, che non hanno per oggetto esclusivo o principale l'esercizio di attività commerciali, rientrano le associazioni non riconosciute, i consorzi, i comitati, i circoli, le congregazioni, le casse mutue. In estrema sintesi, l'ente è non commerciale se il suo oggetto esclusivo o principale non è commerciale, esulando dalle previsioni dell'articolo 55 del Tuir, relativo al reddito d'impresa, mentre non assumono alcuna rilevanza la natura pubblica o privata dell'ente, né la rilevanza sociale delle finalità perseguite, né, infine, l'assenza del fine di lucro o la destinazione dei risultati. Per i criteri dirimenti rispetto alla diversa tipologia degli enti commerciali, si fa rinvio a quanto affermato poco sopra, precisando che: per gli enti residenti, l'oggetto esclusivo o principale dell'attività è determinato in base alla legge (di norma, per gli enti pubblici), all'atto costitutivo o allo statuto, se esistente in forma di atto pubblico o di scrittura privata autenticata o registrata; se tali atti (o tali forme) mancano, l'oggetto principale dell'ente è determinato in base all'attività concretamente esercitata per gli enti non residenti, l'esame dell'oggetto principale dell'attività deve essere, in ogni caso, svolto sulla base dell'attività effettivamente esercitata nel territorio dello Stato. 3 di 5

4 Una particolare tipologia di enti non commerciali è costituita dagli enti di tipo associativo, i quali sono destinatari di uno speciale regime fiscale di favore, sia ai fini delle imposte sui redditi che dell'iva. Dal punto di vista civilistico, si dovrà far riferimento: per le associazioni riconosciute (disciplinate congiuntamente alle fondazioni), agli articoli 1435, cc per le associazioni non riconosciute, agli articoli 36-38, cc. In relazione a tali enti, l'articolo 148 del Tuir stabilisce che, in via generale: non è considerata commerciale l'attività svolta nei confronti degli associati o partecipanti, in conformità alle finalità istituzionali, dalle associazioni, dai consorzi e dagli altri enti non commerciali di tipo associativo; le somme versate dagli associati o partecipanti a titolo di quote o contributi associativi non concorrono a formare il reddito complessivo si considerano, invece, effettuate nell'esercizio di attività commerciali le cessioni di beni e le prestazioni di servizi agli associati o partecipanti verso pagamento di corrispettivi specifici, compresi i contributi e le quote supplementari, determinati in funzione delle maggiori o diverse prestazioni alle quali danno diritto; tali corrispettivi concorrono alla formazione del reddito complessivo: se le relative operazioni hanno carattere di abitualità, come componenti del reddito d'impresa se le stesse prestazioni sono occasionali, come redditi diversi per le associazioni politiche, sindacali e di categoria, religiose, assistenziali, culturali, sportive dilettantistiche, di promozione sociale e di formazione extra-scolastica della persona, non si considerano commerciali le attività svolte in diretta attuazione degli scopi istituzionali, effettuate verso pagamento di corrispettivi specifici nei confronti degli iscritti, associati o partecipanti, di altre associazioni che svolgono la medesima attività e che per legge, regolamento, atto costitutivo o statuto fanno parte di un'unica organizzazione locale o nazionale, dei rispettivi associati o partecipanti e dei tesserati dalle rispettive organizzazioni nazionali, nonché le cessioni anche a terzi di proprie pubblicazioni cedute prevalentemente 4 di 5

5 agli associati. Il comma 4 dell'articolo 148 contiene l'elencazione di una serie di cessioni e prestazioni che fanno venir meno la presunzione di non commercialità a favore delle associazioni politiche, sindacali, religiose, eccetera, indicate al comma 3; ulteriori condizioni e limiti sono poi contenute nei commi 5, 6 e 7. Infine, i commi 8 e 9 dello stesso articolo recano precisazioni sulle clausole che devono essere inserite negli atti costitutivi o negli statuti associativi, per poter ottenere l'applicazione del regime di favore riservato alle associazioni. 1 - continua. La seconda puntata sarà pubblicata mercoledì 6 NOTE: 1) La richiamata circolare ministeriale 12/5/1998, n. 124/E, chiarisce che il riferimento all'intero periodo d'imposta costituisce soltanto una proiezione temporale di osservazione dell'attività dell'ente, essendo poi sufficiente, per valutare la prevalenza dell'attività commerciale, che tale prevalenza sussista per la maggior parte del periodo d'imposta (pertanto, in presenza di attività commerciale prevalente per la maggior parte del periodo d'imposta, l'ente perde la qualifica di ente non commerciale a decorrere dall'inizio del medesimo periodo). di Fabio Carrirolo URL: 5 di 5

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