LA PROGRAMMAZIONE NEL TEMPO DELLE INFRASTRUTTURE IDRICHE IPOTESI DI EVOLUZIONE

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1 LA PROGRAMMAZIONE NEL TEMPO DELLE INFRASTRUTTURE IDRICHE IPOTESI DI EVOLUZIONE Rappresentativa della metodologia di programmazione dell'infrastrutturazione idraulica basata sull'approccio alla soluzione delle problematiche di larga scala è stata l'attività che in passato è stata svolta nel Meridione, con i suoi Progetti Speciali, dalla Cassa per il Mezzogiorno, la cui soppressione, intervenuta alla fine degli anni 80, ha certamente determinato un notevole rallentamento, e in alcuni casi l interruzione, di programmi che conferivano un notevole valore aggiunto al settore dell infrastrutturazione idrica, in quanto basati su criteri di programmazione costruttivi e strategici per l'intero Mezzogiorno del nostro Paese. Ciò è, ad esempio, particolarmente riscontrabile nel territorio pugliese, che per lungo tempo si è avvalso dei positivi risultati di tale metodologia di programmazione che ha portato alla realizzazione sul territorio di grandi sistemi idrici, alimentati solo in piccola parte da risorse locali. Tale programmazione di ampio respiro ha portato oltre che alla loro realizzazione, anche all'interconnessione tra i suddetti grandi sistemi il che ha comportato, tra l altro, una maggiore elasticità nella gestione dell'infrastrutturazione idrica, consentendo l utilizzo ottimale della risorsa idrica, disponibile in quantità sempre più scarsa, e per giunta in massima parte proveniente da diverse e lontane fonti di approvvigionamento. Uno dei punti di forza dell azione consentita alla ex Casmez, trasformata poi in Agenzia per il Mezzogiorno, sotto il profilo dell incisività degli interventi e dei risultati raggiunti in termini di reale potenziamento del sistema di adduzione e distribuzione della risorsa idrica, è stata la capacità di operare scelte ad ampio raggio, a valenza spesso multiregionale, guardando come finalità unitaria della programmazione al soddisfacimento delle necessità di tutto il Mezzogiorno e non settorialmente e frammentariamente a quella di singole limitate aree. Tale metodologia ha assunto particolare importanza per regioni caratterizzate da una struttura geologica del territorio prevalentemente pianeggiante e carente di disponibilità di 1

2 risorsa idrica superficiale, ma il cui territorio richiede, comunque, per il proprio sviluppo un costante incremento delle dotazioni idriche. In tale quadro territoriale, infatti, risulta determinante, ai fini del soddisfacimento della domanda, il ricorso all approvvigionamento extra regionale con l attuazione di programmi di infrastrutturazione di vasta area. La chiusura della Cassa per il Mezzogiorno, e di seguito della Agenzia per lo Sviluppo per il Mezzogiorno, nonchè l'approvazione di più recenti normative nel settore, ha determinato, di fatto un cambiamento delle politiche programmatorie nel settore idrico, e, per ciò che concerne il completamento e la prosecuzione degli interventi sugli schemi idrici dei Programmi Speciali avviati, ha significato un diverso approccio alla problematica dell approvvigionamento idrico, con lo spostamento dell asse decisionale verso le amministrazioni territoriali (Regioni). Con l'approvazione della cosiddetta Legge Galli (L. 36/94) e con il ricorso sempre più intenso a strumenti di concertazione Stato-Regioni, quali le Intese Istituzionali di Programma e gli Accordi di Programma Quadro, contemporaneamente al mutare dello scenario idrico regionale è mutato radicalmente anche quello generale del settore. Molti sono gli stravolgimenti determinati nelle politiche idriche e nelle strategie di settore con l avvento della legge Galli: da una maggiore attenzione all uso ed alla tutela razionale della risorsa idrica, alla gestione unitaria ed integrata, per l'uso idropotabile, dell intero ciclo dell acqua attraverso la riorganizzazione dei servizi idrici con la comparsa di nuovi soggetti quali gli ATO ed il Gestore d Ambito, nonché la separazione dei ruoli tra Soggetto Istituzionale e Soggetto Gestore con una maggiore attenzione agli aspetti tariffari. Se da un lato, quindi, lo spirito della riforma attuata ha contribuito a portare alle luci della ribalta l importanza strategica del corretto uso della risorsa idrica, quale motore di sviluppo per le politiche regionali, dall altro l estrema complessità congiunta alla frammentazione delle competenze insita nell'attuazione della Legge Galli ha, di fatto, determinato un rallentamento di quella programmazione di vasta area che a livello territoriale ampio aveva dimostrato una valenza fondamentale. Probabilmente, con una verifica all'attualità degli effetti ingenerati dalla succitata norma, oggi può ritenersi che non vi sia stata una adeguata concezione delle previsioni normative in rapporto alla molteplicità di realtà territoriali esistenti, caratterizzate da differenti 2

3 livelli di complessità, accompagnata da un impatto sul territorio di innovazioni quali il Gestore Unico, non sempre in sintonia con i processi di sviluppo locali. Tali fattori hanno sinora compromesso il buon fine della riforma del settore che ancora oggi, ad oltre 10 anni dalla sua emanazione, stenta a decollare nella sua integrità. Non sono da sottovalutarsi le conseguenze che derivano oggi, con sempre maggiore evidenza, dalla parziale attuazione della Legge Galli. Il considerevole ritardo nella collocazione degli investimenti previsti da parte dei Gestori, fenomeno diffuso in gran parte delle regioni, la difficoltà o, in taluni casi, l impossibilità di recepire importanti direttive Comunitarie nel settore della tutela delle acque e dell inquinamento e la mancata adozione di tariffe idriche normalizzate sono solo alcuni dei sintomi che hanno contribuito a delineare una situazione di stallo da cui traspare la sempre più imminente necessità di rivedere le attuali politiche di settore. Ciò che oggi desta particolare preoccupazione sono i ritardi accumulati nell attuazione di quegli interventi cofinanziati con fondi di natura Comunitaria (QCS ), e il conseguente rischio di definanziamento degli stessi, ovvero il ridotto ricorso agli Accordi di Programma ex art.17 della Legge Galli per il trasferimento di risorsa idrica tra Regioni, ai quali è stata in qualche modo delegata la concretizzazione di quella visione interregionale degli interventi, requisito indispensabile in un ottica di gestione condivisa delle risorse: basti pensare che l'unico Accordo di tale tipo attualmente raggiunto è quello tra le Regioni Puglia e Basilicata. Il quadro illustrato evidenzia, in sintesi, una situazione difficile che si riflette nella lentezza, se non addirittura nella stasi che oggi caratterizzano il settore idrico, e non solo nel Sud del Paese. La necessità di affidare il Servizio Idrico Integrato a gestori privati per Ambiti Territoriali Ottimali, prevista dagli aggiornamenti della normativa, non sembra, infatti, avere risolto la situazione, ciò, soprattutto in quanto tale affidamento è stato possibile esclusivamente con l'effetto indotto di un notevole incremento tariffario, ovviamente sopportato malvolentieri da parte degli utenti o, in alcuni casi, oggetto di forti opposizioni da parte degli stessi, mentre, di contro, dove si è inteso evitare tale effetto, le gare bandite per la ricerca del gestore privato ovvero del socio privato, nel caso di scelta di affidamento a società miste, frequentemente sono andate deserte. 3

4 In realtà, la difficoltà non risiede solo nelle modalità di affidamento e nelle caratteristiche del gestore, ma anche, per non dire soprattutto, nella difficoltà di attuazione dei programmi di investimento, nell insufficiente garanzia di copertura tariffaria e, più in generale, nella non bancabilità dei Piani d'ambito. Tale realtà rischia di diventare endemica e per evitare ciò si rende necessaria una revisione, da attuare al più presto, delle politiche di settore, nell ambito delle quali le regioni, sulla scorta dell esperienza accumulata, potranno sicuramente fornire un significativo contributo in termini di proposte ed iniziative anche per un migliore utilizzo di strumenti quali la legge Obiettivo (L. 443/2001), che appare come una delle sedi privilegiate nell ambito delle quali potere inserire, in termini di programmazione, quelle opere di infrastrutturazione ad ampio respiro che l'attuale programmazione, relativa ai singoli Ambiti, non consente. Risulta chiaro, però, che per pervenire ad una soluzione delle problematiche che nel settore interessano gran parte delle Regioni Meridionali, ma non solo, è necessario il raggiungimento di una preliminare comunione di intenti che veda contemporaneamente partecipi tutte le Regioni interessate, mettendo da parte ogni campanilismo, perchè si possa tendere ad un miglioramento complessivo dell'approvvigionamento idrico, che, indubbiamente, è condizione necessaria per uno sviluppo condiviso e comune. A riprova di quanto appena affermato, basti considerare l'intricata situazione di scambi di risorsa idrica tra Regioni centrali e meridionali, ad oggi non ratificata e regolamentata da alcun Accordo di Programma. La Regione Campania, ad esempio, cede risorsa idrica alla Puglia e ne riceve dal Molise e dal Lazio che, a sua volta, ne riceve dall'abruzzo, il quale utilizza la risorsa di un invaso interamente realizzato in territorio Molisano; molti dei succitati trasferimenti di risorsa idrica, attualmente sono alla base di notevoli disaccordi che, se non risolti, possono sfociare in contenziosi che, evidentemente, potrebbero dare luogo, con notevole probabilità, esclusivamente ad un danno per le popolazioni servite. L auspicio è quello di riuscire nell ardua, ma non impossibile, impresa di garantire, in particolare a tutte le regioni meridionali, la possibilità di uscire da un perdurante stato di emergenza idrica che si prolunga ormai da un decennio. Uno dei fattori fondamentali per raggiungere tale risultato è, sicuramente, quello dell attivazione di una sinergia interistituzionale, sia a livello regionale che a livello centrale, 4

5 connessa con l applicazione di una rinnovata politica di settore che mira ad una gestione condivisa della risorsa idrica. La strada per conseguire tale ambizioso risultato passa attraverso la programmazione e la realizzazione di idonei interventi infrastrutturali che, rendendo interconnettibili la maggior parte dei bacini appartenenti a quelli che si auspica possano diventare i distretti idrografici, riescano a produrre vantaggi dalla riserva idrica accumulata a regime negli invasi, comuni a tutte le aree facenti capo ai distretti, per consentire di affrontare gli inevitabili futuri periodi di scarsa piovosità con sufficiente tranquillità, senza richiedere agli utenti i grossi sacrifici che hanno dovuto affrontare nel più recente passato e che oggi anche le regioni settentrionali stanno affrontando. Se, quindi, al fine di raggiungere la necessaria sinergia delle varie regioni tra di loro e con lo Stato, è indispensabile che la programmazione, la realizzazione e la gestione di tali grandi infrastrutture debba restare di competenza del Pubblico e non possa essere trasferita al Privato, è d'altro canto necessario che lo standard qualitativo del servizio agli utenti raggiunga il livello esistente in altri paesi europei e ciò, va riconosciuto, data la capillarità del servizio richiesto, non viene, in genere, garantito da una gestione pubblica. Il problema, quindi, si sposta all'individuazione delle modalità con le quali si possa sollecitare l'interesse del privato all'investimento di capitali nella gestione di un servizio idrico che abbia origine a monte dei serbatoi e si completi, in generale con l'erogazione agli utenti e, nel caso del Servizio Idrico Integrato, con lo scarico dell'effluente degli impianti di depurazione. Primo passo su questa strada è prioritariamente l'accettazione di un principio accettato da tempo nella maggior parte dei paesi occidentali: non è tramite l'imposizione normativa di obblighi per gli Enti locali, nella fattispecie le AATO, che si può attrarre l'attenzione degli investitori privati, ma solo con l'offerta di un investimento che si dimostri sufficientemente remunerativo se comparato al rischio dello stesso. Non è pensabile, cioè, ritenere di imporre con interventi normativi l'appetibilità per un investitore privato di un'attività che richieda investimenti rilevanti, a lungo termine, ad alto rischio e per giunta con un ridotto tasso di remuneratività degli stessi. E' quello che oggi si richiede al Gestore privato; gli si richiede, infatti, di assumersi l'onere di investire nella realizzazione delle opere previste dai Piani d'ambito, di gestire, e 5

6 quindi di manutenere tali opere e quelle già esistenti sul territorio per un trentennio, con la grossa incognita di quello che può essere lo stato delle opere esistenti e, quindi, dei connessi costi di manutenzione, di vedersi ristorare degli investimenti e remunerare attraverso le tariffe per le quali viene previsto un andamento che, giustamente, le deve mantenere ad un livello sopportabile da parte degli utenti e quindi con un tasso di redditività, in genere abbastanza ridotto. Se a tutto ciò si aggiunge che spesso, a seguito di una non oculata individuazione degli ambiti territoriali ottimali, le dimensioni degli stessi non sono tali da consentire un'adeguata economia di scala, non vi è da meravigliarsi se i capitali privati vengano investiti in altri settori. Quali i possibili correttivi all'attuale situazione; evidentemente tutti quelli possibili per rendere più appetibili gli investimenti del privato e cioè, quanto meno: una nuova perimetrazione degli ambiti ottimali con dimensioni tali da garantire una sufficiente economia di scala; individuazione di una curva tariffaria sopportabile per l'utenza; individuazione di un tasso di redditività appetibile per l'investitore; individuazione dell'entità dell'investimento del privato remunerabile con tale tasso di redditività, attraverso la tariffa ritenuta sostenibile; finanziamento da parte del pubblico della differenza tra l'investimento complessivo per il piano d'ambito e quello richiesto al privato, cui va affidata anche l'attuazione degli interventi finanziati dal pubblico. richiesta e rigoroso controllo, da parte del pubblico, a fronte di tali finanziamenti, di un livello di eccellenza nell'erogazione dei servizi affidatigli da parte del Gestore. Il DIRETTORE GENERALE (prof.ing. Roberto Sabatelli) 6

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