La successione per causa di morte nei rapporti contrattuali facenti capo al de cuius

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1 Successioni La successione mortis causa La successione per causa di morte nei rapporti contrattuali facenti capo al de cuius di Luisa Pascucci (*) Lo studio indaga le conseguenze della morte di una delle parti sul vincolo contrattuale, onde appurare se la regola generale sia quella della trasmissibilità agli eredi dei rapporti giuridici patrimoniali facenti capo al defunto, o se, al contrario, la morte valga come causa di cessazione del rapporto. Indipendentemente da una enunciazione espressa del precetto con specifico riferimento ai rapporti contrattuali, può ritenersi immanente al sistema la regola in virtù della quale le posizioni contrattuali si trasmettono in capo agli eredi. Ma è comunque ampio il novero di deroghe legali al regime ordinario di prosecuzione del rapporto, e molteplici le fattispecie contrattuali per le quali la soluzione legale (espressa o implicita) è nel senso ora della intrasmissibilità del vincolo per morte di una delle parti, ora della continuazione del rapporto, ma con soggetti diversi rispetto agli eredi. A fronte dell ampio ventaglio di soluzioni che l ordinamento appresta in punto di trasmissibilità/intrasmissibilità dei rapporti contrattuali in caso di morte di una o entrambe le parti, l Autrice indaga, da ultimo, se, ed entro quali limiti, sia dato all autonomia privata incidere sul regime legale di volta in volta vigente, prevedendo pattiziamente lo scioglimento di un rapporto destinato per legge a proseguire alla morte di una delle parti o la continuazione di un vincolo destinato per legge a sciogliersi, oppure disponendo per testamento un legato di specie avente per oggetto un bene determinato, con deviazione rispetto al principio di trasmissibilità in capo agli eredi. 1. La sorte dei contratti dopo la morte di una delle parti: la trasmissibilità come regime legale ordinario Nel codice civile del 1865, la sorte dei rapporti contrattuali in caso di morte di una delle parti trovava espressa regolamentazione. L abrogato art c.c., fedele riproduzione dell art del Code Napoléon, prevedeva infatti: «si presume che ciascuno abbia contrattato per sé e per i suoi eredi ed aventi causa quando non siasi espressamente pattuito il contrario, o ciò non risulti dalla natura del contratto». Costituiva, dunque, regola generale la trasmissibilità agli eredi dei rapporti contrattuali facenti capo al defunto, salvo i casi in cui la trasmissibilità fosse impedita dalla natura del contratto (indipendentemente da una espressa previsione di intrasmissibilità), ove lo specifico interesse di una delle parti alla prestazione personale di controparte si opponesse alla trasmissione del rapporto in capo agli eredi (contratti tipicamente detti intuitu personae), ovvero dall autonomia delle parti, le quali, con patto espresso, potevano escludere la successione in qualsivoglia rapporto, non essendo positivamente individuati limiti alla loro facoltà di deroga, purché la deroga fosse chiara ed univoca («espressamente») (1). Di tale norma (art abr.) non vi è più traccia nel codice civile vigente; né la Relazione ministeriale che ha accompagnato la stesura del codice ha reso esplicite le ragioni della mancata riproduzione. Tuttavia, la regola della trasmissibilità agli eredi dei rapporti giuridici patrimoniali facenti capo al defunto può ritenersi immanente al sistema e desumibile, sia pure indirettamente, da norme variamente collocate, indipendentemente da una enunciazione espressa del precetto con specifico riferimento ai rapporti contrattuali. Quasi che la trasmissione dei rapporti contrattuali sia effetto connaturato al rico- (*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee. (1) Sul punto si vedano Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, Milano, 1990, 7 ss.; Caccavale, Contratto e successioni, in Trattato del contratto, diretto da V. Roppo, VI, Interferenze, Milano, 2006, 605 ss. Famiglia e diritto 5/

2 Successioni noscimento del fenomeno della successione mortis causa quale successione nella generalità delle situazioni soggettive facenti capo al defunto (2): «se vi è trasferimento di questa somma di situazioni, vi dev essere anche la prosecuzione dei vincoli contrattuali ad esse collegati» (3). In particolare, fra le norme in materia ereditaria da cui si è soliti evincere il principio di trasmissibilità mortis causa dei rapporti contrattuali meritano attenzione l art. 460 c.c., «che riconosce al chiamato il potere di compiere atti di amministrazione temporanea, così lasciando indirettamente intendere che la successione possa comprendere anche rapporti contrattuali» (4); e l art. 490 c.c., che nel descrivere gli effetti derivanti dall accettazione con beneficio di inventario, ossia la separazione del patrimonio dell erede rispetto a quello del defunto, utilizza il termine «patrimonio» proprio per ricomprendere l insieme delle situazioni soggettive facenti capo al soggetto, comprese quelle di natura contrattuale. Ma è, ancor più, la disciplina codicistica in materia di contratti e, in particolare, la parte speciale dedicata ai singoli contratti a contenere previsioni che regolano specificamente le conseguenze della morte di una delle parti sul vincolo contrattuale, improntandola al principio della continuazione. Così, una nutrita serie di norme che, pur accordando poteri di recesso agli eredi o alla controparte del defunto, postulano, per il caso di mancato esercizio del diritto potestativo, la prosecuzione automatica del rapporto: le ipotesi in cui la legge attribuisce un potere di recesso agli eredi del defunto o alla parte sopravvissuta vanno, infatti, riguardate quali casi di trasmissibilità attenuata, non già quali deroghe alla regola generale di successione a causa di morte dei rapporti contrattuali, giacché la morte non vale come causa di cessazione del rapporto, bensì quale titolo di recesso facoltativo. In tal senso dispongono l art c.c. per il caso di morte del conduttore di fondi urbani (5); l art c.c. per l ipotesi di morte dell affittuario (6); l art c.c. per la morte dell appaltatore (7); l art. 1722, n. 4, ult. parte, c.c. per la morte di una delle parti del contratto di mandato avente ad oggetto l esercizio di impresa (8); l art c.c. per la morte del comodatario (9); l art. 1833, comma 2, c.c. per il caso di morte di una delle parti del contratto di conto corrente (10). «La somma di queste regole ribadisce, insomma, la perdurante immanenza nel sistema della regola in virtù della quale le posizioni contrattuali si trasmettono in capo agli eredi con la prosecuzione del rapporto già costituito dal defunto» (11). Regola che trova puntuale affermazione anche nella giurisprudenza di legittimità (12). (2) Sul contenuto della successione in generale v. Calvo, Commento all art. 456 c.c., 1 e 3-7, in Codice delle successioni e donazioni, a cura di M. Sesta, vol. I, 2011, 562. (3) Così Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 32. Sui rapporti giuridici trasmissibili nella successione mortis causa v. anche Rescigno, La successione a titolo universale e particolare, in Trattato breve delle successioni e donazioni, diretto da Rescigno, coordinato da Ieva, I, 2. ed., Padova, 2010, 3 ss.; Caccavale, Contratto e successioni, cit., 605 ss.; Albanese, sub artt. 456 e 457 c.c., in Codice della famiglia, a cura di M. Sesta, I, 2. ed., Milano, 2009, 1852; Liserre, sub art. 457 c.c., in Commentario del Codice civile, diretto da E. Gabrielli, Delle successioni - vol. I: Artt , a cura di V. Cuffaro e F. Delfini, Torino, 2009, 24 ss. (4) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 30. (5) Per un commento v. Pascucci, Commento agli artt. 1607, 1614 c.c., in Codice delle successioni e donazioni, I, cit., (6) Pascucci, Commento all art c.c., in Codice delle successioni e donazioni, cit., (7) Pascucci, Commento agli artt c.c., cit., (8) Pascucci, Commento agli artt. 1722, 1723, 1726, 1728, 1729, 1730 c.c., in Codice delle successioni e donazioni, cit., (9) Pascucci, Commento all art c.c., in Codice delle successioni e donazioni, cit., (10) Pascucci, Commento all art c.c., in Codice delle successioni e donazioni, cit., (11) Padovini, Le posizioni contrattuali, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, diretto da Bonilini, I, La successione ereditaria, Milano, 2009, 528. Cfr. anche Galgano, Trattato di diritto civile, I, 2. ed., Padova, 2010, 673 ss.; Bonilini, Diritto delle successioni, Bari-Roma, 2004, 14 ss. (12) Nella giurisprudenza più risalente v. Cass., 22 luglio 1963, n. 2011, in Foro it., 1964, I, 122; Cass., 12 aprile 1983, n. 2583, in Vita not., 1985, 596, con nota di Triola, Alienazione da parte dell erede di immobile già venduto dal de cuius e principio della priorità della trascrizione; Cass., 4 maggio 1985, n. 2800, in Giur. agr. it, 1985, 471; Cass., 13 febbraio 1988, n. 1552, in Vita not., 1988, 256; contra, Trib. Padova, 28 novembre 1985, in Riv. giur. edilizia, 1986, 550, secondo cui non vige nell ordinamento un principio generale di trasmissibilità «iure hereditatis» di tutti i diritti soggettivi. Fra le pronunce più recenti, «per la considerazione, del tutto pacifica, che l erede ( ) subentra al defunto in tutti i pregressi rapporti giuridici, sostanziali e processuali», Cass., 2 marzo 2009, n. 5018, in Giust. civ. Mass., 2009, 3, 361; nello stesso senso già Cass., 1 luglio 1997, n. 5875, in Giust. civ. Mass., 1997, 1103, per la quale «nella successione universale avviene una sostituzione nella titolarità di tutti i suddetti rapporti», che «si ricollegano alla persona del successore così come si ricollegavano alla persona del de cuius, senza alcun mutamento, a parte la modificazione soggettiva», e Cass., 20 febbraio 2003, n. 2563, in Giust. civ. Mass., 2003, 363, che recepisce «l ovvio principio secondo il quale l erede, succedendo al disponente», continua «la personalità del de cuius», «divenendo così parte degli atti conclusi dallo stesso». E ancora - ancorché con specifico riguardo alla trascrizione - Cass., 6 giugno 2011, n , in Vita not., 2011, (segue) 514 Famiglia e diritto 5/2012

3 Successioni 2. Deroghe legali al regime ordinario di prosecuzione del rapporto in capo agli eredi Il principio di trasmissibilità dei rapporti contrattuali in capo agli eredi non costituisce una regola monolitica ed ammette numerose eccezioni (13): sono, invero, molteplici le fattispecie contrattuali per le quali la soluzione legale, espressa o implicita, è nel senso della intrasmissibilità del vincolo per morte di una delle parti. In particolare, il rapporto cessa per morte del donante nella donazione di prestazioni periodiche (art. 772 c.c.); per morte dell associato (art. 24 c.c.); per morte dell appaltatore, quando la considerazione della sua persona (rectius, della sua abilità tecnica e capacità professionale) sia stata motivo determinante del contratto (art c.c.); per morte del mandante o del mandatario (art. 1722, n. 4, c.c.); per morte dell agente, come è dato desumere dall art. 1751, comma 7, c.c. (14); per morte del beneficiario nella rendita vitalizia costituita per la durata della sua vita (art c.c.); per morte del lavoratore subordinato, come può evincersi dagli artt. 2118, comma 3 e 2122 c.c.; per morte del prestatore d opera manuale, ove l intrasmissibilità del contratto non è fissata da norme espresse, ma può comunque desumersi in via interpretativa «dall applicazione delle regole in ordine alla sopravvenuta impossibilità della prestazione, cui va ricondotto quanto disposto dall art c.c.» (15); per morte del prestatore d opera intellettuale, ove dalla personalità dell adempimento di cui all art c.c. sia dato desumere la regola dello scioglimento del rapporto; per morte del mezzadro, del colono e del soccidario, nella misura in cui si ritengano questi contratti ancora esistenti nel nostro ordinamento (artt. 2158, 2168 e 2179 c.c.). Le predette ipotesi di intrasmissibilità legale vengono tradizionalmente ricondotte (anche sotto la vigenza dell abrogato art c.c.) alla categoria dei rapporti a carattere personale, altrimenti noti come rapporti intuitu personae (16), per la peculiare rilevanza che assume la persona (rectius, le qualità soggettive) di una o di entrambe le parti e che, di regola, si risolve nella pretesa dell una (o di ciascuna) parte all esecuzione personale della prestazione da parte dell altra (17). Ma al di là di classificazioni generiche e omnicomprensive, meglio è, su un piano più analitico, individuare le concrete esigenze sostanziali che stanno alla base dei casi di intrasmissibilità legale. Del resto, è ormai pacificamente condivisa l eterogeneità dei contratti qualificati come intuitu personae e la mancanza di un «trattamento normativo uniforme» (18) che possa far assumere alla categoria una funzione unificante. E lo stesso carattere dell intuitus è, per questi contratti, soltanto normale, non già essenziale, dal momento che gli effetti giuridici ad esso ricollegati sono derogabili per volontà delle parti; così come, simmetricamente, l autonomia delle parti ben può attribuire rilevanza alla considerazione della persona di una di esse, contribuendo a colorare di intuitus tipi legali che ne sarebbero privi. Appare, dunque, corretto (19) prendere atto della molteplicità delle ragioni giustificatrici che stanno alla base dei casi di intrasmissibilità legale contenuti nel codice e di come la scelta legislativa a favore dello scioglimento non sempre sia riconducibile al carattere personale del vincolo, ma talora risieda nell «esigenza di preservare interessi di diverso tipo, nemmeno necessariamente esclusivi dei contraenti, (continua nota 12) 3, 1590, per cui «l erede, continuando la personalità del de cuius, diviene parte del contratto concluso dallo stesso, per cui egli resta vincolato al contenuto del contratto medesimo, ancorché questo non sia stato trascritto» (principio già espresso da Cass., 15 maggio 1997, n. 4282, in Riv. notar., 1998, 345, poi ribadito da Cass. 13 novembre 2009, n , in Guida al dir., 2010, n. 1, 49 e da Cass., 16 giugno 2009, n , in Giust. civ. Mass., 2009, 6, 931). (13) V. sul punto Gazzoni, Manuale di diritto privato, 14. ed., Napoli, 2009, 439. (14) Cfr. Pascucci, Commento all art c.c., in Codice delle successioni e donazioni, cit., (15) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 112. (16) La giurisprudenza suole, infatti, affermare che gli eredi subentrano soltanto nei rapporti giuridici facenti capo al defunto che siano trasmissibili, e non nei diritti ed obbligazioni intuitu personae: così Cass., 10 novembre 2011, n , in Giust. civ. Mass., 2011, 11, 1587; in senso conforme Cass., 4 maggio 2010, n , in Giust. civ., 2011, 9, I, 2148 e Cass., 28 novembre 2001, n , in Foro it., 2002, I, 2110 e in Riv. notar., 2002, 980, con nota di Vocatura. Già in questo senso, ancorché meno esplicita, Cass., 1 luglio 1997, n. 5875, cit., che circoscrive ad «oggetto della delazione ereditaria ( ) il complesso dei rapporti giuridici trasmissibili, dei quali era titolare il defunto». (17) Cfr. Palazzo Le successioni, in Trattato di diritto privato, diretto da Iudica e Zatti, I, Milano, 2000, 186; Capozzi, Successioni e donazioni, a cura di A. Ferrucci e C. Fermentino, vol. I, 3. ed., Milano, 2009, 32-33; AA.VV., Le successioni e le donazioni, in Diritto Civile, diretto da N. Lipari e P. Rescigno, coordinato da A. Zoppini, II, 1, Milano, 2009, 11. (18) Grandi, La prestazione di lavoro subordinato e la persona del lavoratore, in Riv. dir. lav., 1969, 436 ss. (19) Così come autorevolmente proposto da Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 43 ss. Famiglia e diritto 5/

4 Successioni ma in taluni casi di portata più generale» (20). In particolare, le esigenze di tutela che vengono in rilievo sono legate ora agli interessi di una o di entrambe le parti, ora alla condizione degli eredi, ora ad interessi sovraordinati e generali. Riprendendo l ordine di trattazione di cui sopra, la ratio sottesa all art. 772 c.c., che stabilisce l estinzione dell obbligo di eseguire prestazioni periodiche in adempimento di una donazione, pare potersi ravvisare «nell intento legislativo di rispettare una presumibile volontà del donante, corrispondente alla natura personale dell animus donandi» (21), tutelando, così, la norma un interesse della parte deceduta, oltre che, indirettamente, la condizione degli eredi (22). È invece protetta la condizione della parte diversa da quella deceduta nel caso delle associazioni, dove l art. 24 c.c. sancisce il principio (comunque derogabile) di intrasmissibilità della qualità di associato: viene, con ciò, protetto l interesse dell associazione (rectius, degli associati superstiti) a che non divengano socie persone non gradite. Al contempo, la norma tutela la libertà degli eredi nello scegliere se aderire o meno ad un determinato rapporto associativo. Lo stesso è a dirsi rispetto all art c.c., che regola gli effetti della morte di un socio nella società di persone e che sottende una doppia funzione di tutela: da un lato, l interesse dei soci originari a non vedere mutata la compagine dei partecipanti, prevedendo come necessario il loro consenso all ingresso degli eredi del socio defunto; dall altro, l interesse degli eredi del socio defunto a non entrare automaticamente, e indipendentemente da un atto di spontanea e consapevole adesione, in una società in cui verrebbero ad assumere responsabilità illimitata per le obbligazioni sociali (23). Ancora, a tutela della controparte della persona deceduta - nella specie, a tutela del committente - è dettato l art c.c., che nell inciso finale contiene un eccezione alla regola della prosecuzione del rapporto espressamente sancita nella prima parte della disposizione: il contratto di appalto si scioglie per morte dell appaltatore ove la considerazione della sua persona sia stata motivo determinante del consenso. Lo scioglimento del rapporto è invece previsto come regola generale, e non in via di eccezione, in caso di morte del mandante o del mandatario (art. 1722, n. 4, c.c.). La norma tutela, in caso di morte del mandante, la libertà degli eredi di scegliere le modalità e i criteri di amministrazione del patrimonio e, in caso di morte del mandatario, accanto a una funzione di tutela della parte sopravvissuta per il caso di inidoneità dei successori, l inesigibilità da parte degli eredi di una prestazione di fare, essendo impossibile «sapere se gli eredi avranno oppure no capacità e volontà di darvi esecuzione» (24). Alla stessa ratio sembra improntata la regola di intrasmissibilità desumibile dall art. 1751, comma 7, c.c., che riconosce agli eredi dell agente il diritto di percepire l indennità dovuta dal proponente per il caso di scioglimento del rapporto: anche in questo caso non è dato sapere se gli eredi avranno la capacità, e ancor prima la volontà, di continuare lo svolgimento dell attività agenziale. Non diversamente, nel contratto di lavoro subordinato la regola dell intrasmissibilità legale in caso di decesso del dipendente, che può desumersi agevolmente dal combinato disposto degli artt. 2118, comma 3, e 2122 c.c., tutela, oltre all interesse del datore di lavoro ad un esecuzione personale della prestazione, la libertà degli eredi del dipendente nello scegliere la propria attività lavorativa, essendo inesigibile, da parte loro, l esecuzione di una prestazione di fare che non è dato sapere se avranno capacità e volontà di adempiere. Tuttavia, rispetto alle fattispecie sopra menzionate, non solo la funzione di tutela è duplice - essendo tutelati gli interessi di ambedue le parti del contratto -, ma vengono altresì in gioco esigenze di tutela di interessi sovraordinati, in particolare quello costituzionalmente garantito di uguaglianza nell accesso al mercato del lavoro (art. 4, comma 1, Cost.). Parimenti, nel contratto d opera professionale, la regola dello scioglimento del rapporto per morte del professionista, che viene desunta dalla personalità dell adempimento di cui all art. (20) Caccavale, Contratto e successioni, cit., 607. (21) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 43. (22) Padovini, Le posizioni contrattuali, cit., 534. La giurisprudenza tende, invece, a giustificare l intrasmissibilità mortis causa della donazione sulla base di una generica riconduzione del vincolo alla categoria dei contratti intuitu personae, in quanto «atto personalissimo di disposizione patrimoniale che trae ragione dalla spontanea ed autonoma determinazione del suo autore»: così Cass., 10 novembre 2011, n , cit.. Analogamente Cass., 4 maggio 2010, n , cit. e Cass., 28 novembre 2001, n , cit., per le quali gli eredi non subentrano nei diritti ed obbligazioni intuitu personae, tanto più se si tratti di dichiarazioni negoziali eminentemente personali, nella cui categoria rientra la donazione. (23) Con specifico riferimento alla successione nel contratto di società v. Caccavale, Contratto e successioni, cit., 611 ss. (24) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., Famiglia e diritto 5/2012

5 Successioni 2232 c.c., appare talora ispirata ad un esigenza di tutela di interessi che vanno al di là degli interessi di parte: si pensi all art. 301 c.p.c., in cui l interruzione del processo a seguito della morte del difensore risponde al precipuo fine di garantire l effettività del contraddittorio e il pieno esercizio del diritto di difesa da parte di chi risulti colpito dal fatto interruttivo, perseguendo, con ciò, la norma l interesse generale al corretto svolgimento della funzione giurisdizionale (25). Può, dunque, rilevarsi come sia ampio il ventaglio di soluzioni apprestate dall ordinamento in ordine alla trasmissione dei rapporti contrattuali per causa di morte; in particolare, come la varietà delle ipotesi di deroga legale al regime ordinario di prosecuzione del rapporto dipenda dalla selezione di interessi volta per volta rilevanti, piuttosto che da una generica riconduzione alla categoria dei contratti intuitu personae (26). Ebbene, pur non essendo riconducibili ad un unico ed identico principio, ma espressione di ragioni di tutela ben diverse tra loro, ognuna di queste deroghe contribuisce alla individuazione della disciplina (inespressa) con cui risolvere le fattispecie contrattuali prive di puntuale regolamentazione: il regime ordinario di trasmissibilità sarà destinato a cedere all opposta regola legale ogni qual volta, alla luce di una valutazione da compiersi caso per caso, emergerà la presenza, in capo ad una o a entrambe le parti, di un interesse assimilabile a quelli - sopra individuati - su cui poggiano i divieti legali di prosecuzione del rapporto. Così, esemplificando, la morte del comodante non sarà causa di scioglimento del rapporto, «giacché nessun interesse rilevante pare emergere a giustificare una soluzione addirittura più rigida di quella dettata per la morte del comodatario - la quale si giustifica in ragione della gratuità dell uso consentito al beneficiario -, dove il comodante può recedere dal rapporto, chiedendo agli eredi l immediata restituzione della cosa» (27). Ancora, alla morte del prestatore d opera nel contratto d opera manuale potrà applicarsi una soluzione modellata sulla disciplina dettata in materia di appalto (art. 1674), così riconoscendo al committente la facoltà di provocare lo scioglimento del rapporto ove gli eredi del prestatore non diano affidamento per l esecuzione dell opera oggetto del contratto (28). 3. Segue. Le vocazioni anomale legali La trattazione delle ipotesi di intrasmissibilità legale dei rapporti contrattuali per morte di una delle parti non può ancora ritenersi esaurita. Un ulteriore serie di deroghe legali alla tendenziale prosecuzione del rapporto in capo agli eredi proviene da quelle disposizioni che, pur confermando il principio di continuazione del rapporto contrattuale, individuano i soggetti a cui favore opera la successione secondo criteri almeno in parte divergenti rispetto a quelli ordinari: talora, subordinando la trasmissione alla presenza di determinati presupposti di fatto o qualità personali; talaltra, attribuendo il diritto di proseguire il rapporto a persone diverse dai successibili indicati dall art. 565 c.c. È evidente, dunque, come da queste previsioni derivi un significativo vulnus alla regola di principio che vuole la prosecuzione dei rapporti contrattuali in capo agli eredi del contraente defunto, ancorché sotto un profilo diverso rispetto a quello sino ad ora considerato: non già uno scioglimento del rapporto, bensì una continuazione del rapporto con soggetti diversi rispetto agli eredi o subordinata a determinati presupposti. È un aspetto del più generale fenomeno delle vocazioni anomale legali, da riguardarsi quali ipotesi di deviazione soggettiva o oggettiva rispetto alle regole successorie ordinarie - in particolare, rispetto al principio di unità della successione, in base al quale l intero patrimonio del de cuius è sottoposto ad una disciplina unitaria che, in assenza di legati, comporta la successione nella posizione contrattuale del defunto di tutti i suoi eredi - e nel cui ambito trovano collocazione molteplici ed eterogenee figure (29). (25) Sul punto si rinvia a Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 50; v. anche Finocchiaro, voce Interruzione del processo (diritto processuale civile), in Enc. dir., XXII, Milano, 1972, 428. (26) Come invece preteso dalla giurisprudenza (v. note 16 e 22). (27) Padovini, Le posizioni contrattuali, cit., 536. In argomento v. anche Pascucci, Commento all art c.c., in Codice delle successioni e donazioni, cit., (28) V. Padovini, Le posizioni contrattuali, cit., 536. In argomento v. anche Pascucci, Commento agli artt c.c., in Codice delle successioni e donazioni, cit., (29) In argomento v. Santoro-Passarelli, Appunti sulle successioni legittime, in Rivista italiana per le scienze giuridiche, 1930, 672 ss.; De Nova, Il principio di unità della successione e la destinazione dei beni alla produzione agricola, in Riv. dir. agr., 1979, I, 509 ss.; Carraro, La vocazione legittima alla successione, Padova, 1979, 221 ss.; Cattaneo, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, Sez. IV: Le vocazioni anomale, in Trattato di diritto privato, diretto da Rescigno, 5, Successioni, t. 1, Torino, 1997, 509 ss.; Mengoni, Successioni per causa di morte, Parte speciale, Successione legittima, in Trattato di diritto civile, diretto da Cicu e Messineo, XLIII, t. 1, 6. ed., Milano, 1999, 241 ss.; Bianca, Diritto civile, II, La famiglia. Le successioni, Milano, (segue) Famiglia e diritto 5/

6 Successioni Limitando, in questa sede, l analisi alle vocazioni anomale che incidono sulla trasmissione dei rapporti contrattuali, e avendo cura di precisare come le stesse, di regola, afferiscano a rapporti aventi ad oggetto diritti personali di godimento su beni immobili, meritano attenta considerazione l art. 6, comma 1, l. 27 luglio 1978/392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), rubricato «Successione nel contratto» (30), il quale, per le locazioni di immobili ad uso abitativo, prevede che in caso di morte del conduttore «gli succedono nel contratto il coniuge, gli eredi ed i parenti ed affini con lui abitualmente conviventi»; l art. 37 della medesima legge (31), che per le locazioni di immobili adibiti ad uso non abitativo dispone, al comma 1, che «in caso di morte del conduttore, gli succedono nel contratto coloro che, per successione o per precedente rapporto risultante da atto di data certa anteriore all apertura della successione, hanno diritto a continuarne l attività», e, al comma 3, che «se l immobile è adibito all uso di più professionisti, artigiani o commercianti e uno solo di essi è titolare del contratto, in caso di morte gli succedono nel contratto, in concorso con gli aventi diritto di cui ai commi precedenti, gli altri professionisti, artigiani o commercianti». Non diversamente accade nella legislazione in materia di rapporti agrari (l. 3 maggio 1982, n. 203), ove l art. 49 dispone la prosecuzione del contratto agrario a favore di determinati soggetti, positivamente individuati, ed esclude l applicazione residuale della regola di trasmissibilità agli eredi prevedendo che il rapporto si sciolga ove manchino i soggetti dalla norma menzionati. In particolare, le esigenze di garantire la continuità ed integrità dell impresa agricola anche dopo il decesso del titolare hanno giustificato una deroga alle regole successorie ordinarie tanto per la successione al proprietario-imprenditore quanto per la successione nel rapporto di affitto di fondo agrario, per le quali l art. 49, l. n. 203/1982, rispettivamente ai commi 1 e 4, individua i chiamati alla successione secondo criteri almeno in parte divergenti rispetto a quelli ordinari (32). Accanto alle fattispecie testé elencate, riconosciute quali principali ipotesi di vocazione anomala, esistono ulteriori figure. Il riferimento è alla successione nei rapporti di assegnazione di alloggi popolari, alla successione nella posizione di socio assegnatario di un immobile in una cooperativa a proprietà indivisa (33) ed alla successione nel maso chiuso (l. prov. Bolzano 28 nov. 2001, n. 17). Rientra, ancora, nel novero delle vocazioni anomale (34), ma non fra quelle che afferiscono a rapporti aventi ad oggetto diritti personali di godimento su beni immobili, la fattispecie disciplinata dall art c.c., che in caso di morte del lavoratore individua gli aventi diritto alle indennità di cui agli artt e 2120 c.c. in soggetti diversi dai successibili designati nell ambito della successione legittima (35). Fissati i presupposti ed i contenuti delle principali fattispecie di vocazioni anomale che incidono sulle posizioni contrattuali, è possibile constatare come le stesse risultino accomunate da una ratio di tutela di esigenze, per così dire, primarie, facenti capo a soggetti ritenuti specialmente meritevoli indipendentemente dalla qualità di eredi, giacché legati da vincoli familiari o di convivenza o, in senso lato, imprenditoriale con la parte deceduta (si considerino l esigenza abitativa sottesa all art. 6, l. 392/1978, o quella lato sensu imprenditoriale di cui agli artt. 37, (continua nota 29) 2005, 723 ss.; Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 56 ss.; De Nova, voce Successioni anomale legittime, in Dig. disc. priv., Sez. civ., XIX, Torino, 1999, 182 ss.; Palazzo, Le successioni, cit., 23 ss.; Bonilini, Introduzione (Parte IV, Le successioni legittime anomale), in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, diretto da Bonilini, III, Milano, 2009, 967 ss.; Recinto, Le successioni anomale, in Diritto delle successioni, a cura di Calvo e Perlingieri, I, Napoli, 2008, 647 ss.; Mandrioli, Successioni legittime anomale: un fenomeno sempre meno anomalo, in Vita not., 2003, II, 1100 ss.; Iannaccone, Le successioni legittime anomale fra diritto privato e interesse pubblico economico, in Vita not., 1998, II, 551 ss.; Ieva, Rastello, Le successioni anomale, in Trattato breve delle successioni e donazioni, diretto da Rescigno, coordinato da Ieva, I, Padova, 2010, 697 ss.; Calvo, Commento all art. 457 c.c., in Codice delle successioni e donazioni, cit., 571. (30) V. Pascucci, Commento agli artt. 6 e 37, l. 27 luglio 1978, n. 392 (Disciplina delle locazioni di immobili urbani), in Codice delle successioni e donazioni, a cura di M. Sesta, vol. II, Milano, 2011, 609 ss. (31) Cfr. Pascucci, Commento agli artt. 6 e 37, l. 27 luglio 1978, n. 392, cit., 622 ss. (32) Sul punto Mandrioli, Successioni legittime anomale: un fenomeno sempre meno anomalo, cit., 1116 ss.; Valenza, La successione nei rapporti agrari, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, diretto da Bonilini, III, Milano, 2009, 1083 ss.; Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 65 ss.; Carrozza, Commento all art. 49 della l. 3 maggio 1982, n. 203, in Le nuove leggi civili commentate, 1982, (33) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 69, 70, 71. (34) Come forma di successione anomala separata, non già speciale : per la cui distinzione si rinvia a Ieva, Rastello, Le successioni anomale, cit., 697 ss. (35) In argomento, cfr. Mora, La successione nelle indennità ex art c.c., in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, diretto da Bonilini, III, Milano, 2009, 975 ss.; Mandrioli, Successioni legittime anomale: un fenomeno sempre meno anomalo, cit., 1103 ss.; Ieva, Rastello, Le successioni anomale, cit., 706 ss. 518 Famiglia e diritto 5/2012

7 Successioni l. 392/1978 e 49, l. 203/1982). In particolare, nell ambito del complesso fenomeno delle vocazioni anomale si è soliti distinguere (36) tra fattispecie derogatorie che trovano giustificazione nell esigenza di fornire adeguata protezione a soggetti considerati deboli in ragione della particolare situazione in cui si trovano, e, dunque, tali da poter subire maggiore pregiudizio dalla morte del de cuius (è la ratio sottesa all art. 6, l. n. 392/1978, il cui intento è quello di assicurare a chi già viveva nell immobile la stabilità della permanenza in esso); e fattispecie in cui, invece, la deviazione dagli schemi successori ordinari è preordinata al perseguimento di un interesse di natura pubblicistica (quale l interesse alla salvaguardia e all incentivazione delle attività economiche perseguito dall art. 37, l. n. 392/1978). Quanto alla natura dell attribuzione in capo ai destinatari di legge, è opinione prevalente che non si tratti di un acquisto iure proprio, in cui il beneficiario acquista un diritto personale di godimento autonomo rispetto al precedente titolare, bensì di una trasmissione ereditaria in senso tecnico, giacché i successibili derivano il loro diritto di godimento sull immobile dalla posizione del loro dante causa. Conferma si rinviene nella lettera delle succitate disposizioni, là dove risultano formulate attraverso la terminologia tipica dei meccanismi ereditari, ma soprattutto nell elemento sostanziale, «rappresentato dalla successione in un rapporto che era compreso nel patrimonio del defunto e che prosegue inalterato» (37). La nuova parte si trova, cioè, in una situazione identica a quella del defunto. Nello specifico, prevale poi la qualificazione delle vocazioni anomale come attribuzioni a titolo particolare di fonte legale, aventi ad oggetto i diritti ricompresi nella qualità di parte di un contratto, talora con riferimenti espliciti alla figura del legato ex lege traslativo di contratto (38). Coerentemente con la natura ad esse riconosciuta, si ritiene che l acquisto del successore avvenga ipso iure senza bisogno di accettazione, salva la facoltà di rinunciare in conformità al disposto di cui all art. 649 c.c. (39). 4. Derogabilità convenzionale del regime legale vigente: clausole di intrasmissibilità mortis causa del rapporto A fronte dell ampio ventaglio di soluzioni che l ordinamento appresta in punto di trasmissibilità/intrasmissibilità dei rapporti contrattuali in caso di morte di una o entrambe le parti, diventa lecito chiedersi se, ed entro quali limiti, sia dato all autonomia privata incidere sul regime legale di volta in volta vigente (40) pattuendo ora lo scioglimento di un rapporto destinato per legge a proseguire (clausole di intrasmissibilità), ora la continuazione di un vincolo destinato per legge a sciogliersi alla morte di una delle parti (clausole di trasmissibilità (41)). Limitiamo per ora l analisi agli accordi (più propriamente, clausole accessorie) con cui i privati, rovesciando il regime legale vigente, intendano escludere la trasmissione legale del rapporto contrattuale in caso di morte di una o di entrambe le parti (clausole di intrasmissibilità) (42). Della loro ammissibilità non si è mai dubitato nel vigore del codice civile (36) V. riferimenti in Rando, sub art. 37, l. 27 luglio 1978, n. 392, in Codice delle locazioni, a cura di M. Trimarchi, con il coordinamento di A. La Spina, Milano, 2010, (37) Così Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 74; ed ancora Padovini, Le posizioni contrattuali, cit., 532: «la posizione contrattuale viene trasmessa nella sua interezza, senza cesure né iati rispetto alla situazione anteriore all apertura della successione». (38) Sul punto si leggano Mengoni, Successioni per causa di morte, Parte speciale, Successione legittima, cit., 259; Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 74-75; Padovini, Le posizioni contrattuali, cit., 530 ss.; Cattaneo, La vocazione necessaria e la vocazione legittima, Sez. IV: Le vocazioni anomale, cit., 512; Ieva, Rastello, Le successioni anomale, cit., 699. Sul legato di contratto, e per una sua distinzione dal legato di posizione contrattuale, v. Alvisi, Commento all art c.c., 5-10, in Codice delle successioni e donazioni, I, cit., 2180 ss. (39) Ieva, Rastello, Le successioni anomale, cit., 699. (40) In argomento v. ampiamente Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 81 ss., che propone per questi accordi la denominazione di convenzioni «semplici» in ragione del contenuto elementare con cui le stesse si limitano a prevedere, in deroga al regime legale di volta in volta vigente, la prosecuzione di un rapporto destinato per legge a sciogliersi ovvero l estinzione di un rapporto di cui la legge preveda la continuazione con gli eredi. L Autore definisce, invece, «complesse» (p. 139 ss.) le convenzioni dal contenuto più articolato, che non si limitano a stabilire la trasmissibilità o meno del contratto, ma contengono diverse opzioni in relazione alla ricorrenza di specifici presupposti o al verificarsi di determinate condizioni, ovvero rimettono l esito della vicenda alla richiesta esplicita di una delle parti o ad un successivo accordo tra le medesime; o, ancora, prevedono che, in caso di morte di una delle parti, il contratto subisca uno scioglimento parziale e contestualmente continui soltanto con alcuni dei successori, ovvero che, nell ipotesi di parte plurisoggettiva, alla morte di uno dei contraenti il contratto continui soltanto tra alcuni dei superstiti. (41) Su cui v. infra, 5. (42) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 81 ss., propone per questi accordi la denominazione di «convenzioni semplici di intrasmissibilità», terminologia modellata su quella generalmente proposta con riguardo alle convenzioni matrimoniali, ove semplici sono le convenzioni tipiche riconosciute dalla norma dell art. 215 c.c., che danno vita ad un semplice regime di separazione dei beni, e complesse sono le convenzioni atipiche, le quali instaurano un regime comunitario strutturalmente diverso rispetto a quello legale. Famiglia e diritto 5/

8 Successioni previgente, il cui art. 1127, come già rilevato (43), riconosceva ai contraenti il potere di pattuire la intrasmissibilità del rapporto purché la deroga risultasse in modo espresso ed inequivoco. Rinnovata attenzione merita la questione dopo la scomparsa, nel codice vigente, di un riferimento normativo generale ed espresso alla sorte dei contratti a seguito di morte di una delle parti, anche se è prevalsa l interpretazione per cui le deroghe alla regola della trasmissibilità, giudicata principio immanente al sistema, si giustifichino con riguardo ai rapporti intuitu personae, compresi i rapporti configurati come tali dalle parti anche se naturalmente privi di questa connotazione. In realtà, al di là di un generico ed acritico riconoscimento di ammissibilità, meglio è procedere - seguendo l autorevole dottrina che ha trattato diffusamente l argomento (44) - ad un inquadramento concettuale delle clausole in esame, per poi poterne individuare i limiti di operatività e di liceità. In generale, la clausola di intrasmissibilità limiterà temporalmente l efficacia del rapporto, decretandone la perdurante vigenza sino all apertura della successione in ragione della sua tendenziale irretroattività (45). Ma ecco che, se il decesso di una parte ben può rappresentare un termine finale, un primo limite che i privati possono incontrare nel convenire lo scioglimento del rapporto riguarda i casi in cui l ordinamento vieti l apposizione di termini a specifici contratti (46). Così è a dirsi del contratto di lavoro subordinato, ove le parti ne concordassero la cessazione a seguito della morte del datore di lavoro, giacché la legge consente la stipulazione di rapporti di lavoro a termine soltanto nei casi tassativamente previsti (47). Ma si pensi anche ai casi in cui la legge prevede una durata minima del rapporto, al fine di garantire una delle parti dal rischio di uno scioglimento imprevedibile ed improvviso per fatti estranei alla sua volontà. È ciò che accade nelle locazioni di immobili urbani e nell affitto di fondi rustici, ove regolati dalle leggi speciali: l esigenza di stabilità della posizione conseguita dal conduttore non potrebbe, dunque, essere pregiudicata da una clausola che prevedesse lo scioglimento del rapporto per morte del locatore (48). In definitiva, la pattuizione di clausole di intrasmissibilità risulterebbe impedita dall esistenza di norme imperative inderogabili, quali i divieti di apposizione di termini e le previsioni di una durata minima del rapporto. Non diversamente è a dirsi della disciplina delle vocazioni anomale, governate da regole almeno in parte divergenti rispetto al principio legale di trasmissibilità in capo agli eredi e che di certo possono costituire un limite ulteriore all autonomia contrattuale delle parti. È, infatti, pacifico tra gli interpreti il riconoscimento della natura inderogabile di queste norme, in funzione della finalità di tutela che le stesse perseguono, volte, come sono, a soddisfare l esigenza abitativa o, in senso lato, imprenditoriale di soggetti già legati da vincoli familiari o di convivenza con la parte deceduta e per questo giudicati meritevoli indipendentemente dalla loro qualità di eredi. Talora, l inderogabilità è positivamente sancita, o è inequivocabilmente presupposta da norme che colpiscono di nullità ogni pattuizione contraria alla disciplina legale delle vocazioni anomale: così è per le locazioni di immobili urbani ad uso non abitativo (per le quali rimane in vigore l art. 79, l. n. 392/1978) e per la successione nei rapporti agrari ex art. 58, l. n. 203/1982. E quand anche un espressa qualificazione in tal senso manchi, è comunque il carattere (parzialmente) pubblicistico delle norme che regolano alcune ipotesi di vocazioni anomale a consentire una valutazione in termini di imperatività e inderogabilità (49): così è con riguardo alle regole di successione nei rapporti relativi ad alloggi popolari o ad immobili realizzati da cooperative edilizie a proprietà indivisa (50). In definitiva, tutte le norme che prevedono la trasmissione del rapporto (43) V. supra, 1. (44) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 85 ss. (45) Padovini, Le posizioni contrattuali, cit., 537. (46) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 93. (47) È quanto in origine prevedeva la l. 18 aprile 1962, n. 230, poi sostituita dal d.lgs. 6 settembre 2001, n Sul punto v. Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 94, che rileva come una soluzione diversa, nel senso della liceità della clausola di intrasmissibilità, potrebbe valere per il lavoro domestico, ove la durata del rapporto può essere commisurata alla vita di chi è unico e diretto beneficiario della prestazione. (48) Padovini, Le posizioni contrattuali, cit., (49) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 104, rileva come in tutti questi casi «il momento pubblicistico dell assegnazione non può non riflettersi direttamente sulla disposizione che regola le conseguenze derivanti dal decesso dell assegnatario» e pare rendere meno evidente la necessità di un esplicito riconoscimento di inderogabilità. (50) Nel senso dell inderogabilità, con riguardo ad una cooperativa a proprietà divisa, v. in giurisprudenza Cons. Stato, 3 maggio 1957, n. 58, in Cons. Stato, 1957, I, 582; Cass., 21 aprile 1964, n. 947, in Giust. civ., 1964, I, Famiglia e diritto 5/2012

9 Successioni contrattuale secondo regole in parte divergenti rispetto ai principi della successione ereditaria hanno carattere inderogabile, e la conseguente nullità delle clausole in contrasto con il limite legale così posto permette di soddisfare a pieno la finalità di tutela perseguita dal legislatore. 5. Segue. Clausole di trasmissibilità mortis causa del rapporto Problema specularmente inverso - postosi all attenzione della più attenta dottrina occupatasi dell argomento (51) - è se i privati possano prevedere pattiziamente la prosecuzione in capo agli eredi di un rapporto che, per espressa (ed eccezionale) disposizione di legge, è destinato a sciogliersi con la morte di uno dei contraenti (clausole di trasmissibilità). Ora, sotto il profilo della qualificazione, sembra potersi leggere la clausola di trasmissibilità nei termini di un patto volto ad escludere l efficacia di un termine legale, costituito dal decesso di una o di entrambe le parti (si pensi ai contratti di mandato o di appalto) (52). Più complesso è individuare i limiti che l autonomia privata incontra nel pattuire accordi di tal fatta. Anzitutto, occorre chiarire se e quale incidenza abbia in materia il tradizionale divieto dei patti successori istitutivi (art. 458 c.c.) (53), tenuto conto che la trasmissibilità ha qui, evidentemente, fonte contrattuale. Al riguardo, è stato autorevolmente rilevato che la funzione perseguita dal divieto dei patti successori non è propriamente unica: «alla volontà di dare prevalenza alla successione legittima e di contrastare la devoluzione contrattuale dei patrimoni ( ) si è venuta sostituendo ( ) la tutela della libertà testamentaria» (54), sì che, da un lato, sta la finalità di impedire la trasmissione integrale di ingenti patrimoni e di ostacolare disparità di trattamento fra gli eredi, dall altro, quella di tutelare la libertà testamentaria attraverso il riconoscimento di un pieno ed incondizionato potere di revoca delle disposizioni già formate (55). Ebbene, nessuna delle due finalità pare contraddetta dal risultato cui tendono le clausole di trasmissibilità, che, per un verso, non attribuiscono diritti su beni, limitandosi ad escludere lo scioglimento del contratto a seguito della morte di una parte; e, per altro verso, non attentano alla libertà del testatore, «giacché l ereditando non ha, in linea di principio, il potere di decidere circa la successione in un rapporto intrasmissibile, essendo indispensabile, per escluderne l estinzione a seguito di decesso, il consenso dell altra parte» (56). Non può non rilevarsi, dunque, il discrimen fra patto successorio e clausola di trasmissibilità: nel primo, atto mortis causa, la morte di una parte è causa dell attribuzione patrimoniale e ne comporta un autonoma qualificazione; nella seconda, la morte non è causa della continuazione del rapporto - che conserva inalterate la durata e le obbligazioni che ne derivano -, ma determina soltanto un mutamento del soggetto destinato a rivestire la qualità di parte (57). D altro canto, la clausola di trasmissibilità non incide sui criteri di devoluzione del patrimonio per causa di morte: gli eredi rimangono pur sempre quelli a favore dei quali opera la devoluzione legittima o la devoluzione testamentaria (58). Vero è che affermata la liceità sul piano ereditario, delle convenzioni di trasmissibilità - per non esservi contrasto con il divieto dei patti successori - occorre ancora procedere ad una disamina dei casi di intrasmissibilità legale e degli interessi di volta in volta rilevanti, al fine di valutare la derogabilità o meno di ciascuna previsione. Si è, invero, già posto l accento sulla peculiarità della ratio che ispira ogni singolo divieto legale di trasmissione e sull inesigibilità di una generica riconduzione delle ipotesi di intra- (51) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 109 ss. (52) Padovini, Le posizioni contrattuali, cit., 541. (53) In argomento v. Albanese, Ieva, Commento all art. 458 c.c., in Codice delle successioni e donazioni, I, cit., 595 ss. (54) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 114. In argomento v. anche Caccavale, Il divieto dei patti successori, in Trattato breve delle successioni e donazioni, diretto da Rescigno, coordinato da Ieva, vol. I, 2. ed., Padova, 2010, 25 ss.; AA.VV., Le successioni e le donazioni, cit., 12 ss.; Balestra, Martino, Il divieto dei patti successori, in Trattato di diritto delle successioni e donazioni, diretto da Bonilini, I, Milano, 2009, 63 ss.; Ieva, sub art. 458 c.c., in Commentario del Codice civile, diretto da E. Gabrielli, Delle successioni - vol. I: Artt , a cura di V. Cuffaro e F. Delfini, Torino, 2009, 29 ss. (55) Indirizzo che trova sostanzialmente concordi gli interpreti: per riferimenti bibliografici sul punto cfr. Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 114, nota 92. Ad analoghe conclusioni v., in giurisprudenza, Cass., 22 luglio 1971, n. 2404, in Giust. civ., 1971, I, 1536, con nota di Cassisa; Cass., 29 maggio 1972, n. 1702, in Giur. it, 1973, I, 1, c. 1594, con nota di De Giorgi; Cass., 21 aprile 1979, n. 2228, in Rep. Foro it., 1979, voce Successione ereditaria, n. 55; Cass., 14 luglio 1983, n. 4827, in Vita not., 1984, 829, con nota di Lepri. (56) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 115. (57) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 118 ss. (58) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., Famiglia e diritto 5/

10 Successioni smissibilità legale alla supposta categoria unificante dell intuitus personae. Un primo limite è rappresentato dai casi in cui la regola legale della intrasmissibilità sia riconducibile alla tutela di interessi sovraordinati, come è a dirsi per lo scioglimento del contratto di lavoro subordinato a seguito di morte del prestatore (desumibile dal combinato disposto degli artt. 2118, comma 3, e 2122 c.c.), che tutela il principio costituzionale di uguaglianza nell accesso al lavoro; e per certi contratti d opera professionale: si pensi all art. 301 c.p.c., in cui l interruzione del processo a seguito di morte del difensore risponde al precipuo fine di garantire l effettività del contraddittorio e il corretto svolgimento della funzione giurisdizionale. Di qui, l inderogabilità della regola legale che prevede lo scioglimento del rapporto e la conseguente nullità delle convenzioni di trasmissibilità con essa in contrasto (59). Viceversa, in assenza di esigenze di protezione di interessi generali da cui far discendere l inderogabilità della norma, pare potersi riespandere il principio di autonomia privata (60). È il caso in cui la previsione dello scioglimento del rapporto sia legata a ragioni di tutela della sola parte sopravvissuta, tanto da ammettere (talora espressamente) una contraria volontà delle parti: così la donazione di prestazioni periodiche non si estingue alla morte del donante, se così risulta dall atto di liberalità (art. 772 c.c.); la morte dell appaltatore non determina lo scioglimento del rapporto, se la considerazione della sua persona non sia stata motivo determinante del contratto per il committente (come è dato leggersi dall art. 1674, comma 1, c.c.), ossia se nella pattuizione le qualità dell impresa siano state dedotte come prevalenti rispetto a quelle dell appaltatore; il che non significa altro se non convenire la trasmissione automatica del vincolo obbligatorio in capo agli eredi dell appaltatore (61). Più complessa diventa l indagine in relazione ai casi in cui l intrasmissibilità legale risulti ispirata dall esigenza di apprestar tutela, anche se non in via esclusiva, alla condizione degli eredi, anche se parrebbe doversi prediligere la tesi della inderogabilità della regola legale (62), venendo qui in gioco esigenze di protezione di interessi - talora anche costituzionalmente rilevanti - che trascendono la sfera soggettiva delle parti. Si pensi al contratto di mandato, la cui estinzione per morte del mandatario, prevista dall art. 1722, n. 4, c.c., discende dall inesigibilità da parte degli eredi di una prestazione di fare, data dall impossibilità di prevedere se vi saranno eredi capaci e disponibili a proseguire il rapporto. La funzione perseguita dalla norma diviene allora duplice: tutelare la parte sopravvissuta per il caso di inidoneità dei successori; garantire agli eredi piena libertà nello scegliere la propria attività. Una libertà, quest ultima, di sicuro rilievo costituzionale, vista la norma di cui all art. 4, comma 2, Cost., sì da potersi riconoscere alla regola legale di intrasmissibilità carattere inderogabile, con conseguente nullità delle convenzioni in violazione del divieto (63). Alla stessa ratio di tutela (libertà individuale degli eredi) sembra improntata la regola dello scioglimento del vincolo per morte dell agente, desumibile dall art. 1751, comma 7, c.c., non essendo dato sapere se gli eredi avranno la capacità, e, ancor prima, la volontà, di continuare lo svolgimento dell attività agenziale; sì che, anche in tal caso, la norma pare dover assumere carattere inderogabile. Certo è che ogni qual volta il mandatario o l agente abbiano assunto l incarico nell ambito dell esercizio di un impresa commerciale non piccola, la regola dello scioglimento torna ad essere pienamente derogabile, mancando l esigenza di proteggere la libertà individuale degli eredi, sì che risulta possibile convenire la trasmissione del rapporto in capo agli eredi del mandatario o dell agente. In definitiva, nelle ipotesi sin qui considerate, in cui si è raffrontato il contenuto delle convenzioni di trasmissibilità con la natura e la ratio di ciascuna delle norme che vietano la prosecuzione del rapporto, la (59) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., Sulla sanzione della nullità conseguente alla inosservanza di norme poste a tutela di interessi generali, indipendentemente da un espressa previsione di legge, v. Cass., sez. un., 21 agosto 1972, n. 2697, in Giust. civ., 1972, I, 1914; Cass., 4 dicembre 1982, n. 6601, in Giust. civ., 1983, I, 1172, con nota di Costanza; Cass., 17 giugno 1985, n. 3642, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, 283, con nota di Mineo; Cass., 11 dicembre 1985, n. 6271, in Nuova giur. civ. comm., 1986, I, 469, con nota di Lago. (60) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 127. (61) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 128. (62) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 128 ss. (63) Così Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., Deve comunque darsi atto della diversa posizione di quegli interpreti (v. per tutti Dominedò, voce Mandato (diritto civile), in Noviss. Dig. it., X, Torino, 1964, 134) che, qualificando il mandato secondo la tradizione, nei termini di un rapporto intuitu personae, ritengono pienamente derogabile la regola legale di intrasmissibilità, senza distinguere tra morte del mandante e morte del mandatario. 522 Famiglia e diritto 5/2012

11 Successioni valutazione sull ammissibilità della clausola è stata fatta discendere dalla natura, derogabile o inderogabile (imperativa o dispositiva), dell opposta regola legale, in ragione delle esigenze di protezione di volta in volta perseguite: ove venga in rilievo un interesse generale (talora anche costituzionalmente tutelato) o un interesse che trascenda la sfera soggettiva delle parti, la convenzione di trasmissibilità stipulata in violazione del divieto sarà da considerarsi nulla per violazione di norma imperativa. Salvo poi discutere sulla natura di questa nullità, ossia sulla sua riconducibilità, in ragione della finalità di protezione che la stessa persegue, alla categoria delle nullità relative, come tali destinate ad operare solo su richiesta del soggetto a tutela del quale la nullità risulta posta, nella specie gli eredi chiamati a succedere nel rapporto. Si è però obiettato che, così facendo, oltre ad alterarsi la disciplina ordinaria dell azione di nullità in assenza di una norma di legge che a ciò autorizzi, si finisce per tutelare un soggetto che non è parte dell accordo vietato e che, di conseguenza, non ha riposto alcun affidamento sull efficacia della convenzione (64). Va, da ultimo, considerato che, talora, la clausola di trasmissibilità, più che un patto volto ad escludere l efficacia di un termine legale costituito dal decesso di una o di entrambe le parti, è diretta ad escludere ogni potere di recesso che la legge accorda all una o all altra parte a seguito della successione per causa di morte - come accade nei contratti di locazione (artt e 1627 c.c.), comodato (art c.c.), conto corrente (art c.c.), appalto (art c.c.), mandato (art c.c.) - sì da garantire una piena e sicura prosecuzione del rapporto (65). Ora, se nessun dubbio si pone circa la liceità di simili clausole ove il recesso di cui le parti dispongano sia attribuito dalla legge a favore della parte sopravvissuta, meno agevole appare la soluzione allorquando il recesso sia attribuito dalla legge (anche) agli eredi del defunto, venendo allora in gioco esigenze di protezione di interessi che trascendono la sfera soggettiva delle parti e che, in coerenza con quanto sopra osservato, importano l inderogabilità della disciplina legale (è il caso del decesso del mandatario che abbia agito nelle vesti di imprenditore ex art. 1722, n. 4, c.c.; è il caso del decesso dell affittuario ex art c.c.) (66). 6. Derogabilità del regime legale per disposizione testamentaria Le deroghe che l autonomia privata può apportare al regime legale di trasmissibilità/intrasmissibilità dei rapporti contrattuali non si esauriscono tutte in fattispecie convenzionali, ossia in pattuizioni - di regola, accessorie - che disciplinano la sorte del contratto a seguito di morte di una o di entrambe le parti in difformità dalle previsioni legali. Un ulteriore deroga alla regola generale della trasmissibilità dei rapporti contrattuali in capo agli eredi opera in presenza di una disposizione testamentaria con cui si attribuisca un legato di specie avente per oggetto un bene determinato: nei limiti in cui si ammetta la trasmissibilità mortis causa della posizione contrattuale, segnatamente con legato (67), si evita il subingresso degli eredi legittimi nei rapporti contrattuali riferibili alla cosa assegnata, che si trasmettono al legatario. Nel qual caso, la deroga non costituirebbe tanto un eccezione alla regola generale di trasmissibilità mortis causa dei rapporti contrattuali, quanto, piuttosto, una deviazione rispetto alla trasmissibilità in capo agli eredi: il rapporto continuerebbe, ma con soggetti diversi rispetto agli eredi. Ebbene, è alla stregua dell interpretazione estensiva di talune previsioni codicistiche che possono giustificarsi siffatte ipotesi di deviazione soggettiva rispetto alle regole ordinarie (68). Una prima regola che può utilmente invocarsi per risolvere la questione interpretativa posta è l art c.c., che al ricorrere di certe condizioni sancisce l opponibilità del contratto di locazione al terzo acquirente. La norma, così come genericamente formulata («terzo acquirente») e rubricata («Trasferimento a titolo particolare della cosa locata»), si presta ad essere estesa agli acquisti per causa di morte, di talché può ritenersi che «il legato di una cosa determinata comporta la successione in capo al legatario del rapporto di locazione eventualmente concluso dal precedente titolare del bene, sia questi l ereditando ovvero un terzo» (69). Analogamente è a dir- (64) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 136. (65) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 136 ss. (66) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., (67) Sul legato di posizione contrattuale v. Alvisi, Commento all art c.c., 5-10, cit., (68) Ferma, in ogni caso, la liceità di clausole che vietino la trasmissione della posizione contrattuale al legatario di bene determinato: così Padovini, Le posizioni contrattuali, cit., 539. (69) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 53; Padovini, Le posizioni contrattuali, cit., 529. Famiglia e diritto 5/

12 Successioni si per il legato di azienda. Invero, una volta ammessa l applicazione delle disposizioni generali sul trasferimento di azienda anche alle successioni mortis causa e, in particolare, l operatività dell art c.c., che regola con formulazione ampia e omnicomprensiva la successione nei contratti in capo all acquirente («l acquirente dell azienda subentra nei contratti stipulati per l esercizio dell azienda stessa che non abbiano carattere personale»), deriva il subentro anche del legatario nei contratti stipulati per l esercizio dell impresa che non abbiano carattere personale. Ciò che accade anche per il contratto di assicurazione relativo alla cosa oggetto di legato: la norma di cui all art c.c., in virtù della quale «l alienazione delle cose assicurate non è causa di scioglimento del contratto di assicurazione» e «i diritti e gli obblighi dell assicurato passano all acquirente», può infatti ritenersi applicabile anche al legato testamentario della cosa assicurata, prevedendo un meccanismo che ben si adatta ad erede e legatario (70). In ogni caso, gli interpreti sono soliti attribuire alle norme appena richiamate carattere eccezionale, di talché non può ritenersi che ogni contratto avente per oggetto il bene attribuito si trasmetta al legatario (71). In mancanza di una disposizione espressa che assegni al legatario di beni determinati la titolarità di singoli rapporti obbligatori già facenti capo al defunto, il rapporto contrattuale continuerà con gli eredi, in forza della regola di principio. Come del resto risulta confermato dall art. 1372, comma 2, c.c., il quale rende il contratto efficace rispetto ai terzi «nei casi previsti dalla legge», e, altresì, da norme più puntuali, come gli artt. 671 e 756 c.c., che limitano la responsabilità del legatario per legati e oneri (art. 671) e per debiti ereditari (art. 756) (72). (70) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., 54. (71) Padovini, Le posizioni contrattuali, cit., 530. (72) Padovini, Rapporto contrattuale e successione per causa di morte, cit., Famiglia e diritto 5/2012

13 Lavoro Prestazioni assistenziali L indennità di paternità negata al padre avvocato di Valerio Sangiovanni (*) La legge riconosce l indennità di maternità alla libere professioniste donne, non disponendo invece nulla per i padri. In materia è intervenuta recentemente la Corte costituzionale, asserendo che non vi sono profili di illegittimità costituzionale nell art. 70 d.lgs. n. 151/2001, in quanto questa disposizione tutela (non solo il bambino ma anche) la madre nella sua funzione biologica. La motivazione del giudice delle leggi può apparire fondata, ma una soluzione del genere relega in secondo piano il ruolo del padre, al quale viene - di fatto - ostacolato l accudimento del neonato. Inoltre viene impedito alla famiglia di effettuare libere scelte economiche in piena autonomia. In un ottica di riforme legislative sarebbe opportuno pensare alla possibilità di prevedere l indennità di maternità come diritto liberamente usufruibile in alternativa, e a scelta degli interessati, dalla madre oppure dal padre, se non addirittura in forma congiunta. 1. Introduzione Come è noto, la disciplina della tutela della maternità e della paternità è contenuta nel d.lgs. n. 151/2001, testo legislativo che reca testo unico delle disposizioni legislative in materia di tutela e sostegno della maternità e della paternità. Tale testo legislativo cerca di realizzare, seppure con declinazioni diverse, almeno tre forme di eguaglianza: quella fra genitori biologici e adottivi, quella fra madre e padre e quella fra lavoratori dipendenti e autonomi. Come avremo modo di esaminare nel corso di questo articolo, l eguaglianza raggiunta sotto tali profili non è assoluta e permangono alcune differenze di trattamento. Se non giustificate, tale disparità rischiano di essere costituzionalmente illegittime: di qui i numerosi interventi della Corte costituzionale. Due mi paiono i punti salienti che dovranno essere affrontati dal legislatore oppure da nuovi sviluppi giurisprudenziali: il diritto della famiglia alla propria auto-determinazione economica, nel senso di poter scegliere liberamente chi fra madre e padre debba avvalersi dell indennità; il diritto(-dovere) del padre di accudire il neonato nei casi in cui madre e padre così desiderino e quando tale scelta sia nell interesse del bambino (1). Oltre che il rapporto padre-madre pare squilibrata, nell attuale disciplina normativa, anche la relazione fra lavoratori dipendenti e autonomi. Tale distinzione trova espressione addirittura già nelle definizioni fornite dalla legge in apertura del testo legislativo. Fra le definizioni contenute nell art. 2 del d.lgs. n. 151/2001 si trovano difatti quelle di lavoratrice e lavoratore, prevedendosi che - salvo che non sia altrimenti specificato - con tali espressioni si intendono i dipendenti, compresi quelli con contratto di apprendistato, di amministrazioni pubbliche, di privati datori di lavoro nonché i soci lavoratori di cooperative. I lavoratori autonomi sono pertanto esclusi, in linea di principio, dalle tutele apprestate dal d.lgs. n. 151/2001. Esistono peraltro diverse disposizioni che disciplinano la posizione dei liberi professionisti in tale testo legislativo, fornendo loro generalmente una protezione leggermente differenziata (e inferiore) rispetto a quella di cui godono i dipendenti. Un area di speciale interesse, sulla quale vogliamo soffermarci in questo articolo, è quella concernente (*) Il contributo è stato sottoposto, in forma anonima, alla valutazione di un referee. (1) In materia di eguaglianza fra coniugi cfr. E. Al Mureden, Crisi del matrimonio, famiglia destrutturata e perduranti esigenze di perequazione dei coniugi, in questa Rivista, 2007, 233 ss.; G. Giacobbe, Eguaglianza morale e giuridica tra i coniugi e rapporti familiari, in Riv. dir. civ., 1997, I, 899 ss.; F. Prosperi, L eguaglianza morale e giuridica dei coniugi e la trasmissione del cognome ai figli, in Rass. dir. civ., 1996, 841 ss.; N. Scannicchio, L affidamento congiunto a quindici anni dalla riforma tra uguaglianza dei coniugi e interesse del minore, in Familia, 2003, I, 919 ss.; M. Sesta, Verso nuovi sviluppi del principio di eguaglianza fra coniugi, in Nuova giur. civ. comm., 2004, II, 385 ss.; R. Villani, Interesse del minore e uguaglianza dei coniugi : la Cassazione precisa ulteriormente i criteri guida per l attribuzione del cognome al figlio naturale, in Nuova giur. civ. comm., 2008, I, 1074 ss. Famiglia e diritto 5/

14 Lavoro la spettanza del congedo di paternità e della corrispondente indennità ai padri liberi professionisti. Il problema è forse passato sottotraccia negli ultimi anni, nonostante la sua rilevanza sociale. Si considerino difatti l alto numero di soggetti che esercitano libere professioni nonché il fatto che, anche a causa della crisi economica, una parte di essi - soprattutto nei primi anni di professione - non raggiunge redditi elevati. In caso di filiazione, la madre e il padre - in assenza di un adeguata assistenza economica - potrebbero trovarsi in difficoltà finanziarie: ai costi della vita necessari per il mantenimento di due persone si aggiungono difatti le spese per il bambino. La possibilità di usufruire di un indennità di maternità (e, se del caso, di paternità) anche per le libere professioniste rappresenta un importante tutela per la famiglia, che viene così posta nelle condizioni di accogliere il bambino con la dovuta serenità. Anche al fine di garantire un appropriata tutela economica alla madre, il nostro legislatore disciplina la spettanza alle libere professioniste dell indennità di maternità (artt d.lgs. n. 151/2001) (2). Il problema principale deriva dal fatto che la legge si esprime al femminile ( libere professioniste ), non occupandosi invece del padre, e l interprete deve capire se si tratti di una scelta effettuata consapevolmente e a ragione dal legislatore oppure di una svista che necessità di un interpretazione correttiva, costituzionalmente orientata. Dopo una prima sentenza del 2005 favorevole al riconoscimento dell indennità ai padri libero professionisti adottivi, la Corte costituzionale è infine intervenuta nel 2010 sul punto dando risposta negativa per i padri biologici: l indennità viene riconosciuta solo alle madri, e non ai padri, in quanto tutela la maternità come atto biologico ed è finalizzata a consentire alla madre di riprendersi dalle fatiche della gravidanza e del parto. Questa interpretazione - però - inevitabilmente attribuisce un valore preminente a determinati beni certamente meritevoli di tutela, ma finisce con il trascurare altri beni che dovrebbero essere anch essi oggetto di adeguata tutela. Non è un caso che la giurisprudenza sul punto non sia univoca e che almeno un giudice di merito (il Tribunale di Firenze) abbia deciso in senso difforme dalla Corte costituzionale. In via preliminare si può rilevare come sia certamente apprezzabile il fatto che il legislatore abbia inteso disciplinare la spettanza dell indennità di maternità anche per le libere professioniste. Chi esercita un lavoro libero-professionale, diverso da quello dipendente, non per questo può essere ragionevolmente posto su un piano di disparità con riferimento all evento maternità, comune a qualsiasi donna indipendentemente dal lavoro che svolge. Come vedremo però in dettaglio nel corso di questo articolo, l uguaglianza uomo-donna non può dirsi raggiunta completamente nell ambito della libera professione. 2. Alcune osservazioni sugli obiettivi di tutela del congedo e dell indennità di maternità Al fine di un appropriata comprensione della materia del congedo di maternità e della corrispondente indennità nonché del significato dei diversi interventi della giurisprudenza che si sono succeduti su queste tematiche dobbiamo dapprima soffermarci su quelli che sono gli obiettivi di tutela perseguiti dalla disciplina (3). Va premessa la necessità di tenere distinto il congedo di maternità dalla indennità di maternità: il congedo tutela essenzialmente la salute della madre, impedendo che - continuando il lavoro - venga esposta a situazioni potenzialmente pericolose per l incolumità sua e del bambino nel periodo delicato poco prima e poco dopo il parto, mentre l indennità mira a garantire sostegno economico alla madre. La differenza di fondo dell attuale normativa è che per le madri libere professioniste non si prevede alcun congedo, ma solo un indennità in caso di maternità. Anzi: alle madri libere professioniste viene espressamente consentito di continuare l attività lavorativa (così l art. 71, comma 1, d.lgs. n. 151/2001: indipendentemente dall effettiva astensione dall attività ). Come avremo modo di esaminare in dettaglio, non (2) Sulle disposizioni che disciplinano l indennità di maternità per le libere professioniste cfr. L. Calafà, Commento agli artt d.lgs. n. 151/2001, in Commentario breve al diritto della famiglia, a cura di A. Zaccaria, Padova, 2011, 2125 ss.; E. Gragnoli, Commento agli artt d.lgs. n. 151/2001, in Codice ipertestuale della famiglia, a cura di G. Bonilini-M. Confortini, Torino, 2009, 2987 ss. (3) In tema di congedo e indennità di maternità cfr., fra gli interventi più recenti, I. Cairo, Padre libero professionista e diritto di percepire l indennità di maternità in alternativa alla madre, in Fam. pers. succ., 2010, 181 ss.; L. Calafà, Nuove flessibilità del congedo di maternità, in Dir. rel. ind., 2011, 739 ss.; A. Dodaro, Riconoscimento dell indennità di maternità anche ai padri, in Giur. mer., 2009, 495 ss.; M. G. Greco, Congedo di maternità e parto prematuro: una nuova pronuncia della Consulta, in Fam. pers. succ., 2011, 736 ss.; P. Perucco, Anche al padre libero professionista spetta l indennità di maternità, in Riv. crit. dir. lav., 2008, 1296 s.; V. Scalambrieri, Congedo per maternità e contratto a termine: computo ai fini del calcolo dell anzianità di servizio, in Riv. crit. dir. lav., 2010, 134 ss.; Y. Serafini, Parto prematuro seguito da ricovero del neonato: estensione e differimento del congedo obbligatorio post partum, in Riv. crit. dir. lav., 2011, 510 ss.; L. Tebano, La Consulta inietta una nuova dose di flessibilità nel congedo di maternità, in Riv. it. dir. lav., 2011, II, 760 ss. 526 Famiglia e diritto 5/2012

15 Lavoro pare appropriato parlare di singola ratio della normativa in materia di congedo e indennità di maternità (e paternità), dovendosi invece identificare una pluralità di obiettivi che le disposizioni intendono perseguire. A ciò si aggiunga che i soggetti coinvolti - direttamente o indirettamente - negli istituti del congedo e della indennità di maternità sono tre: la madre, il bambino e il padre. Proviamo ad analizzare separatamente le loro posizioni. Con riferimento alla madre, l obiettivo di tutela che viene perseguito dal congedo di maternità è quello del mantenimento della sua salute (integrità fisica e psicologica). La gravidanza e il parto, per quanto eventi naturali, implicano un certo profilo di rischio per la madre e determinano comunemente una notevole spossatezza. Negli ultimi decenni le condizioni di lavoro (soprattutto di quello manuale) sono migliorate in modo significativo: rispetto al passato vi è dunque una minore esigenza di tutela della salute della madre. Ciò nonostante può risultare difficoltoso per una donna in avanzato stato di gravidanza oppure subito dopo il parto prestare attività lavorativa, anche se solo moderatamente faticosa. Per questa ragione di tutela della madre (e, durante la gravidanza, anche del bambino che porta in grembo) la nostra legislazione impone alla madre di assentarsi dal lavoro nel periodo immediatamente precedente e immediatamente successivo alla nascita e le riconosce un indennità durante tale assenza. Al riguardo bisogna sgombrare il campo da un possibile equivoco: la tutela della salute della madre viene realizzata soprattutto con l obbligo di astensione dall attività lavorativa e non tanto con il riconoscimento di una corrispondente indennità: quest ultima ha invece una funzione economica. L art. 16 d.lgs. n. 151/2001 disciplina la materia prevedendo che è vietato adibire al lavoro le donne durante i due mesi precedenti la data presunta del parto nonché durante i tre mesi dopo il parto. Senza voler entrare nei dettagli tecnici della normativa in materia, quello che conta ribadire ai nostri fini è che la tutela della salute della madre è assicurata da un istituto diverso (il congedo di maternità) e non dall indennità di maternità (questa ha invece una funzione essenzialmente economica). Per le libere professioniste non vi è - quale condizione per percepire l indennità di maternità - l obbligo di astensione effettiva dal lavoro. Il legislatore pare dunque contraddirsi (o quantomeno non osservare stretta coerenza) dal momento che non reputa le esigenze di tutela della salute della madre così importanti da vietare di prestare l attività lavorativa, come invece avviene per le lavoratrici dipendenti. In parte tale differenza di trattamento può reputarsi giustificata. Il lavoratore subordinato ha bisogno di maggior tutela in quanto, nello svolgimento del suo lavoro, è assoggettato alla direttive del datore di lavoro. Al contrario il libero professionista non è assoggettato alle istruzioni di alcun datore di lavoro e può organizzare in modo flessibile il proprio lavoro. La madre libero-professionista potrà pertanto di decidere di lavorare, nel periodo in cui riceve l indennità di maternità, occasionalmente (magari anche solo qualche ora alla settimana, quando riesce a ritagliarsi del tempo rispetto alle pressanti esigenze di cura del bambino). Sotto un secondo profilo si deve riflettere sul fatto che - in genere - le libere professioni comportano prevalentemente un lavoro intellettuale e non manuale. Ciò però non avviene sempre, dal momento che certi lavori libero-professionali possono implicare uno sforzo fisico (si pensi al caso degli infermieri). A ciò si aggiunga che esistono lavoratori dipendenti (la categoria impiegatizia) in cui lo sforzo fisico è del tutto limitato. Sotto un terzo profilo, bisogna considerare che il lavoratore dipendente, al termine del congedo, ritrova il proprio posto di lavoro. Al contrario il libero professionista potrebbe subire dei danni ingenti in caso di congedo obbligatorio, rischiando di perdere una parte del proprio avviamento. Sotto un quarto profilo va rilevato che, a voler imporre un obbligo di astensione ai liberi professionisti, si dovrebbero poi creare dei meccanismi di controllo dell effettivo rispetto di tale obbligo: nella prassi può risultare molto difficile realizzare efficacemente questo risultato. Complessivamente la differenza di trattamento fra lavoratori subordinati e liberi professionisti (nel senso che i primi devono astenersi dal lavoro, mentre i secondi possono astenersi) ha dunque una sua base di ragionevole giustificazione. Il secondo (non per ordine di importanza) obiettivo di tutela delle disposizioni sul congedo di maternità è il bambino. Al riguardo si possono distinguere i due profili della protezione del nascituro e del neonato. Per quanto riguarda l integrità della salute del nascituro, questa può essere messa a rischio se la madre fosse costretta a lavorare subito prima del parto (soprattutto nel caso di lavori pesanti o addirittura usuranti). Anche qui però si può ripetere l osservazione che si è svolta sopra: la tutela della integrità fisica del nascituro viene garantita dalle disposizioni sul congedo di maternità (mentre quelle sull indennità rivestono una funzione economica). Sotto un altro profilo vi è poi l esigenza di accudimento del neonato, che nei primi mesi di vita necessita di costanti cure e, dunque, della presenza fisica di una Famiglia e diritto 5/

16 Lavoro persona quasi a tempo pieno. In realtà, a ben vedere, anche questo obiettivo di tutela è maggiormente garantito dall astensione dal lavoro piuttosto che dalla previsione di un indennità di maternità: l indennità garantisce solo la serenità economica per dedicarsi al bambino. La funzione di accudimento può poi, entro certi limiti, essere svolta anche dal padre: in particolare laddove l allattamento sia artificiale, madre e padre sono relativamente intercambiabili. Il terzo soggetto coinvolto nell evento-nascita del figlio è evidentemente il padre. Costui viene però ampiamente trascurato nel sistema indennità di maternità previsto dal d.lgs. n. 151/2001. Per il padre non rileva la tutela della sua salute, in quanto non subisce le conseguenze fisiche della gravidanza e del parto. Sotto un altro profilo, si può peraltro evidenziare che il padre potrebbe avere l aspirazione di accudire il neonato nei primi mesi della sua vita. Questo possibile desiderio viene frustrato dall attuale sistema normativo previsto per i liberi professionisti. In altre parole andrebbe enucleato non solo un dovere, ma anche un diritto, del padre di accudire il bambino. Diversamente dal congedo di maternità, l indennità di maternità assolve un importante funzione di tutela economica della madre. Grazie all indennità, alla madre viene consentito di affrontare gravidanza e puerperio in serenità, senza l assillo di trovarsi in difficoltà economiche. A ben vedere questo aspetto è in realtà di comune interesse per tutto il nucleo familiare (madre, padre e bambino), dal momento che le risorse che confluiscono nell ambito familiare vengono destinate in primis alla soddisfazione dei bisogni fondamentali del nucleo familiare medesimo. L attuale normativa (avallata dall interpretazione giurisprudenziale) appare trascurare questo aspetto economico, con riferimento ai liberi professionisti. Il d.lgs. n. 70/2001 mostra difatti a questo riguardo tratti di rigidità, con l effetto di non tenere in adeguato conto le esigenze di tutela economica della famiglia. Mi riferisco al fatto che, potendo esistere delle differenze di reddito - talvolta anche considerevoli - fra madre e padre, l interesse del nucleo familiare potrebbe essere quello che continui l attività lavorativa il soggetto che guadagna di più. L attuale sistema, che consente solo alla donna libera professionista di usufruire dell indennità di maternità, trascura di dare rilevanza a questo aspetto. Forse il legislatore teme che le parti, trascurando la cura del bambino e continuando a lavorare, si facciano pagare l indennità più elevata fra quelle loro spettanti al solo fine di massimizzare il beneficio economico. Questo pericolo naturalmente sussiste, ma deve essere affrontato in altro modo. Anzi, a ben vedere il rischio finanziario per le casse è già tenuto in conto dalla legge nel passaggio in cui (art. 70, comma 3- bis, d.lgs. n. 151/2001) prevede un limite massimo all indennità di maternità. 3. L indennità di maternità per le libere professioniste (art. 70 d.lgs. n. 151/2001) Il dato normativo da cui partire è l art. 70 d.lgs. n. 151/2001 concernente l indennità di maternità per le professioniste. Qui si prevede che alle libere professioniste, iscritte a un ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza di cui alla tabella allegata al testo unico, è corrisposta un indennità di maternità per i due mesi antecedenti la data del parto e i tre mesi successivi alla stessa. La disposizione interessa anzitutto le libere professioniste, con espressione letterale al femminile. È proprio l uso del femminile a determinare i principali problemi interpretativi: più avanti ci occuperemo della possibilità di estendere tale indennità al padre, possibilità negata dalla Corte costituzionale. Dal momento che la libera professione può essere esercita in forma individuale oppure in forma collettiva, deve ritenersi che la disposizione che concede l indennità di maternità trovi applicazione indipendentemente dal fatto che la professione venga esercitata da sola oppure congiuntamente ad altre persone. L art. 70 d.lgs. n. 151/2001 fa inoltre riferimento a professioniste iscritte a un ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza (4). Non è difficile individuare tali enti, in quanto sono elencati in una tabella allegata al testo unico. Vi rientrano in sostanza le diverse professioni intellettuali, quali quella di notaio, avvocato, farmacista, veterinario e medico (5). Le altre libere professioniste non sono prive di (4) Sugli enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza cfr. G. Prosperetti, L autonomia delle casse dei liberi professionisti, in Lav. prev. oggi, 2010, 935 ss.; S. Ponzo, Gli enti gestori di forme di previdenza obbligatorie come organismi di diritto pubblico, in Urb. app., 2007, 1353 ss. (5) Più precisamente gli enti che gestiscono forme obbligatorie di previdenza in favore dei liberi professionisti sono i seguenti: Cassa nazionale del notariato, Cassa nazionale di previdenza ed assistenza forense, Ente nazionale di previdenza ed assistenza farmacisti, Ente nazionale di previdenza ed assistenza veterinari, Ente nazionale di previdenza ed assistenza dei medici, Cassa nazionale di previdenza ed assistenza dei geometri liberi professionisti, Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei dottori commercialisti, Cassa nazionale di previdenza ed assistenza per gli ingegneri ed architetti liberi professionisti, Cassa nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei ragionieri e periti commerciali, Ente nazionale di previdenza ed assistenza per i (segue) 528 Famiglia e diritto 5/2012

17 Lavoro tutela, ma la disciplina è diversa: ai sensi dell art. 64 d.lgs. n. 151/2001 le lavoratrici sono iscritte alla gestione separata. Con riferimento al periodo nel quale può essere percepita l indennità, si tratta di cinque mesi, i due precedenti la data del parto e i tre successivi al parto. Questo dato testuale è significativo, in quanto collega direttamente la determinazione del periodo d indennità alla data del parto. I mesi immediatamente precedenti la nascita tendono a essere quelli maggiormente gravosi per la donna incinta, considerato il peso del feto. Allo stesso modo i mesi immediatamente successivi al parto costituiscono il periodo più gravoso per la donna, in quanto si deve riprendere dalle fatiche del travaglio e contemporaneamente deve assistere un neonato. Si cumulano pertanto, almeno nella parte immediatamente successiva al parto, due elementi: la necessità di riprendere le forze fisiche e la fatica di assistere il neonato. Per quanto riguarda l ammontare dell indennità, la legge lo stabilisce nella misura dell 80% di cinque dodicesimi del solo reddito professionale percepito e denunciato ai fini fiscali come reddito da lavoro autonomo dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello dell evento (art. 70, comma 2, d.lgs. n. 151/2001). Non viene pertanto riconosciuto interamente il reddito maturato in precedenza, ma solo nella misura dell 80%. Bisogna considerare che l ammontare dell indennità di maternità deve essere sostenibile, dal punto di vista finanziario, per le casse. Il parametro di riferimento è il reddito della professionista: non avendo però i professionisti un reddito identico ogni mese, ma un reddito del tutto variabile in dipendenza di numerose circostanze, si fa riferimento alla media mensile del reddito annuale percepito. Il reddito rilevante per il calcolo dell indennità di maternità non è tutto il reddito di cui può aver goduto, per diversi titoli, la madre nel periodo di riferimento, ma solo - letteralmente - il reddito da lavoro autonomo. Questa limitazione si giustifica con il fatto che il soggetto che corrisponde l indennità è l ente previdenziale di riferimento ed esso può fare affidamento solo sui contributi versati dagli iscritti, contributi che sono collegati ai risultati economici dell attività professionale. I redditi di tipo diverso, ad esempio quelli percepiti a titolo di diritto di autore oppure per canoni di locazione, non rientrano nel calcolo. Qualche problema interpretativo si pone quando la professione viene esercitata in forma d impresa. Attualmente la legge pare chiara al riguardo consentendo di computare solo il reddito da lavoro autonomo (con esclusione dunque del reddito da attività d impresa). Nel regime previgente, tuttavia, il tenore del testo legislativo era diverso. L art. 1, l. n. 379/1990 faceva difatti riferimento, tout court, al reddito percepito e denunciato ai fini fiscali : non vi era pertanto alcuna limitazione basata sulla provenienza del reddito. In applicazione della vecchia normativa, la Corte di cassazione ha affermato che il criterio di determinazione dell indennità di maternità spettante alle libere professioniste è applicabile a prescindere dalla forma di esplicazione dell attività professionale e in particolare anche quando tale reddito abbia natura mista, professionale e di impresa, come si verifica per le farmaciste titolari di farmacia (6). Va altresì notato che la legge richiede che si tratti di reddito denunciato ai fini fiscali. Nel caso in cui il reddito non sia stato denunciato, non sarà possibile ottenere un indennità maggiore. Si immagini il caso in cui le autorità fiscali accertino successivamente che il reddito percepito in un precedente anno sia in realtà stato maggiore di quello denunciato: tale accertamento posteriore non consente alla madre (contribuente infedele) di ottenere un integrazione dell indennità. Il principio enunciato dalla disposizione è che il contribuente infedele non può trarre un vantaggio lecito da un comportamento illecito, mentre rimangono ovviamente ferme le conseguenze negative derivanti dall accertamento (obbligo di pagare le tasse non precedentemente corrisposte oltre alle sanzioni previste). Per comodità di calcolo l anno di riferimento è quel- (continua nota 5) consulenti del lavoro, Ente nazionale di previdenza ed assistenza per gli psicologi, Ente di previdenza dei periti industriali, Ente nazionale di previdenza ed assistenza a favore dei biologi, Cassa di previdenza ed assistenza a favore degli infermieri professionali, assistenti sanitarie e vigilatrici d infanzia, Ente di previdenza ed assistenza pluricategoriale, Istituto nazionale di previdenza dei giornalisti italiani G. Amendola limitatamente alla gestione separata per i giornalisti professionisti, Ente nazionale di previdenza per gli addetti e gli impiegati in agricoltura, limitatamente alle gestioni separate dei periti agrari e degli agrotecnici. (6) In questo senso Cass., 31 maggio 2010, n Vi sono tuttavia più sentenze su questa materia. Sempre in applicazione della normativa previgente, ad esempio, Cass., 4 maggio 2010, n , ha deciso che la determinazione dell indennità di maternità spettante alle libere professioniste è basata sul reddito percepito e denunciato ai fini fiscali dalla libera professionista nel secondo anno precedente a quello della domanda a prescindere dalla forma in cui in concreto sia esercitata l attività professionale e anche quando il reddito conseguito abbia natura mista, professionale e di impresa. Si trattava del caso di una farmacista che gestiva insieme al padre una farmacia in regime di impresa familiare. Per questa ragione i redditi della farmacista non rappresentavano un reddito da lavoro autonomo-professionale, ma una quota di utili dell impresa familiare. Cfr. altresì, in termini analoghi, Cass., 28 maggio 2009, n Famiglia e diritto 5/

18 Lavoro lo di due anni precedente l evento (si supponga che il parto avvenga nel 2012; il reddito di riferimento è allora quello del 2010). Tale scelta presenta qualche svantaggio per la professionista, in quanto generalmente i redditi dei professionisti tendono ad aumentare con il passare degli anni e dunque verosimilmente il reddito dell anno immediatamente precedente il parto è più elevato rispetto a quello di due anni prima. Sotto un altro profilo bisogna però anche facilitare i calcoli dell indennità dovuta e il riferimento al reddito dell anno immediatamente precedente può non essere disponibile al momento dell evento rilevante. Si immagini il caso del bambino nato a gennaio 2012: la dichiarazione dei redditi del 2011 non sarà ancora pronta; è pertanto opportuno fare riferimento all anno precedente. A ciò si aggiunga che il reddito della professionista nell anno immediatamente precedente il parto potrebbe essere inferiore nella misura in cui ha dovuto ridurre l attività lavorativa in previsione dell imminente parto: ad esempio nel caso il bambino sia nato nel gennaio 2012, è improbabile che nei mesi immediatamente precedenti la mamma abbia potuto dedicarsi sempre a tempo pieno all attività professionale. L indennità viene corrisposta per un periodo di cinque mesi, e non per periodi più lunghi, in quanto deve essere garantita la ragionevole sostenibilità finanziaria dell operazione. È certamente meritevole di particolare tutela la maternità, ma - ovviamente - l indennità non può assumere caratteri tali da non poter essere corrisposta senza mettere a repentaglio la stabilità finanziaria dell ente di riferimento. Ragionando in termini di importo massimo (e minimo) dell indennità meritano di essere menzionate altre due disposizioni della legge che si occupano proprio di questi profili. Da un lato la legge prevede che l indennità non può essere inferiore a cinque mensilità di retribuzione calcolata nella misura pari all 80% del salario minimo giornaliero stabilito dalla l. n. 537/1981 (art. 70, comma 3, d.lgs. n. 151/2001). Questa disposizione vuole affrontare il caso della madre il cui reddito sia particolarmente basso: percependo l 80% del reddito precedente, la somma potrebbe risultare estremamente bassa e inidonea anche a coprire i bisogni fondamentali della madre. Si prevede pertanto un indennità minima che gli enti previdenziali di settore sono obbligati a corrispondere. In un ottica esattamente opposta, la legge si preoccupa anche di garantire che l indennità di maternità non sia eccessivamente alta. Si prevede difatti che l indennità non può essere superiore a cinque volte l importo minimo derivante dall applicazione del meccanismo indicato sopra (art. 70, comma 3-bis, d.lgs. n. 151/2001). Questa disposizione è importante al fine di garantire gli equilibri finanziari delle casse. 4. I termini e le modalità della domanda (art. 71 d.lgs. n. 151/2001) La legge disciplina anche, con un certo dettaglio, i termini e le modalità di presentazione della domanda d indennità di maternità. Più precisamente si prevede che l indennità è corrisposta, indipendentemente dall effettiva astensione dall attività, dal competente ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza in favore dei liberi professionisti, a seguito di apposita domanda presentata dall interessata a partire dal compimento del sesto mese di gravidanza ed entro il termine perentorio di 180 giorni dal parto (art. 71, comma 1, d.lgs. n. 151/2001). L osservazione più importante da farsi su questa disposizione è che, per le libere professioniste, l astensione effettiva dall attività non è obbligatoria. La legge recepisce sul punto un intervento della Corte costituzionale, pronunciato peraltro prima dell entrata in vigore della legge in esame, in cui si era affermato che il libero professionista - pur percependo l indennità - non è obbligato ad astenersi effettivamente e per tutto il periodo dall attività lavorativa (7). L art. 71, comma 1, d.lgs. n. 151/2001 crea dunque una situazione di disparità fra la madre libero professionista e quella che svolge lavoro dipendente: la prima può continuare a lavorare, mentre la seconda deve obbligatoriamente astenersi. Tale differenziazione ha una sua ragion d essere. Si consideri anzitutto che la libera professionista vive grazie al fatturato che realizza con i clienti, ai quali è legata da un rapporto fiduciario. La professionista sviluppa nel corso degli anni un avviamento, che - in caso di assenza prolungata dall attività lavorativa - può andare (almeno in parte) perso. Costringere la libera professionista, soprattutto quando esercita da sola l attività, a interrompere qualsiasi contatto con i clienti significa determinare in capo alla medesima un danno che può essere ben maggiore rispetto a quello direttamente conseguente a cinque mesi di assenza dal lavoro: se alcuni clienti vengono persi, la libera professionista può subire un nocumento destinato a ripercuotersi nei mesi e, addirittura, negli anni successivi. Esprimendo il concetto in altro modo, si può affermare che la professionista che non lavora danneggia solo sé stessa, non percependo reddito (e ri- Nota: (7) Corte cost., 29 gennaio 1998, n Famiglia e diritto 5/2012

19 Lavoro schiando di non percepirne nemmeno in futuro), mentre il lavoratore dipendente che non lavora danneggia soprattutto il suo datore di lavoro. Per evitare una possibile perdita di future occasioni di guadagno, il legislatore consente alla madre libera professionista di continuare a lavorare, pur percependo l indennità. Anche sotto altri profili la ratio della disposizione che non impone l astensione dal lavoro della madre libera professionista è comprensibile. Uno dei vantaggi del lavoro libero-professionale è la flessibilità con cui può essere svolto il lavoro. Per alcune libere professioni l attività viene addirittura svolta parzialmente da casa e non dalla postazione di lavoro collocata in ufficio. A ciò si aggiunga che l attività lavorativa del libero professionista non può essere ragionevolmente assoggettata a controlli di presenza, per tacere del fatto che andrebbe stabilito chi debba effettuare tali controlli. Tale assenza di controlli permane anche durante il periodo in cui viene percepita l indennità di maternità. Un divieto rigido di effettuare attività libero professionale durante il periodo in cui la madre percepisce l indennità mal si concilia con la tendenziale flessibilità del lavoro libero-professionale. Anche per un ulteriore aspetto la previsione di un obbligo di astensione in capo alle libere professioniste si caratterizzerebbe per rigidità. Mi riferisco al fatto che non per tutto il periodo di cinque mesi in cui è riconosciuta l indennità vi è la stessa esigenza fisica di riposo: questa necessità è forte nei periodi più vicini al parto, mentre scema progressivamente man mano che ci si allontana da tale data. Pare pertanto ragionevole consentire alla madre di svolgere, almeno in parte, l attività di libera professione in tali periodi (8). L indennità viene riconosciuta sulla base di una domanda che deve essere presentata dall interessata: l ente previdenziale non necessariamente viene a conoscenza dell evento nascita ed è dunque necessario che l accadimento gli venga comunicato. La domanda deve essere presentata nell immediatezza dell evento nascita. Più precisamente sul punto la legge stabilisce che l istanza deve essere presentata nel periodo intercorrente fra il compimento del sesto mese di gravidanza ed entro il termine perentorio di 180 giorni dal parto. Decorsi sei mesi di gravidanza, le probabilità che si giunga alla nascita del bambino sono elevate. La madre, però, non può attendere più di sei mesi dal parto per presentare la domanda: così come per l esercizio di ogni diritto, esso deve essere fatto valere con celerità, dovendosi altrimenti concludere nel senso che la madre vi rinuncia. La legge prevede altresì che la domanda, in carta libera, deve essere corredata da certificato medico comprovante la data di inizio della gravidanza e quella presunta del parto, nonché della dichiarazione attestante l inesistenza del diritto ad altre indennità di maternità (art. 71, comma 2, d.lgs. n. 151/2001) (9). 5. Il caso particolare delle adozioni e degli affidamenti (art. 72 d.lgs. n. 151/2001) Per le lavoratrici dipendenti il diritto al congedo di maternità in caso di adozione o affidamento viene riconosciuto dall art. 26 d.lgs. n. 151/2001. L art. 31 estende tale diritto anche al padre. Nell ambito del lavoro dipendente vi è dunque una sostanziale uguaglianza di diritti di madre e padre in caso di adozione e affidamento. Nel contesto delle libere professioni il principio di legge è nel senso che l indennità spetta altresì per l ingresso del bambino adottato o affidato, a condizione che non abbia superato i sei anni di età (art. 72, comma 1, d.lgs. n. 151/2001). Sussiste dunque un limite di tempo: il superamento dei sei anni del bambino. Nell ottica del legislatore pare pertanto avere rilievo l elemento della maggiore o minore autosufficienza del bambino: nel caso di bambino in età scolare, l indennità non viene riconosciuta. Quando il bambino ha almeno sei anni, ha meno bisogno della mamma per il soddisfacimento dei suoi bisogni fisiologici e psicologici. Bisogna peraltro dire che questa limitazione temporale è stata criticata (8) Ad avviso tuttavia di chi scrive, il fatto che l astensione dal lavoro non debba essere effettiva per le libere professioniste pone qualche dubbio sul rigore della motivazione addotta dalla Corte costituzionale, nella sentenza del 2010 (che analizzeremo in dettaglio successivamente), per negare al padre l indennità. In altre parole il legislatore pare contraddirsi, in quanto nega che lo stato di spossatezza della madre sia tale da impedirle di lavorare. Se è vero che l adeguato accudimento del figlio nei primi mesi di vita costituisce un altra ragione di tutela della legislazione, si deve peraltro rilevare che tale ruolo può essere svolto anche dal padre in sostituzione della madre. (9) La domanda può essere presentata in carta libera: sotto questo profilo il legislatore tiene conto del fatto che la madre, nel periodo che precede e segue il parto, ha una minore disponibilità economica (sta proprio chiedendo un aiuto economico consistente nell indennità) e appare sensato non onerarla di costi aggiuntivi. La domanda va inoltre corredata di certificato medico: questa documentazione è necessaria in quanto altrimenti gli enti previdenziali avrebbero difficoltà a verificare il presupposto per la concessione dell indennità (nel caso in cui la domanda venga presentata dopo la nascita, appare maggiormente corretta la presentazione del certificato di nascita). Occorre infine che la madre dichiari di non percepire indennità di maternità di tipo diverso, per evitare un effetto-cumulo che si porrebbe in contraddizione con la funzione di assistenza economica (e non di arricchimento) dell indennità di maternità. Famiglia e diritto 5/

20 Lavoro dalla Corte costituzionale, la quale ha affermato l illegittimità costituzionale dell art. 72 d.lgs. n. 151/2001 nella parte in cui non prevede che, nel caso di adozione internazionale, l indennità di maternità spetti nei tre mesi successivi all ingresso del minore adottato o affidato anche se abbia superato i sei anni di età (10). In altre parole la ratio della limitazione ai primi sei anni di età non è stata reputata sufficiente dal giudice delle leggi per giustificare una disparità di trattamento rispetto ai bambini più grandi. Ai fini del nostro ragionamento, peraltro, ciò che conta rilevare è che l art. 72, comma 1, d.lgs. n. 151/2001 afferma che l indennità compete anche al di fuori dell evento parto biologico del bambino. Se però così è, si può mettere in dubbio che la ratio di tutela del complesso delle disposizioni che stiamo esaminando sia solo la protezione della madre nella sua funzione biologica: nel caso di adozione e affidamento, la madre non mette al mondo il bambino. Qual è allora la ratio di una disposizione come quella che attribuisce l indennità di maternità in caso di adozione o affidamento? Direi che si tratta di assicurare alla madre sostegno economico, per il periodo a ridosso dell adozione, affinché possa adempiere al suo ruolo nel migliore dei modi. Dal punto di vista procedurale, la legge prevede che la domanda, in carta libera, deve essere presentata dalla madre al competente ente che gestisce forme obbligatorie di previdenza in favore dei liberi professionisti entro il termine perentorio di 180 giorni dall ingresso del bambino e deve essere corredata da idonee dichiarazioni attestanti l inesistenza del diritto a indennità di maternità per qualsiasi altro titolo e la data di effettivo ingresso del bambino nella famiglia (art. 72, comma 2, d.lgs. n. 151/2001). 6. La sentenza della Corte costituzionale del 2005 sulla filiazione adottiva Abbiamo visto come l art. 72 d.lgs. n. 151/2001 disciplini, per il caso di adozione o affidamento, l indennità di maternità di cui all art. 70 (e cioè l indennità prevista per le libere professioniste). Dal punto di vista testuale, il richiamo è alle sole donne, con conseguente esclusione degli uomini. Si è dunque posto il problema se tale indennità potesse essere riconosciuta - in alternativa alla madre - al padre che riceve un bambino in adozione o affidamento. Nel 2005 la Corte costituzionale ha riconosciuto al padre libero professionista che adotta il diritto a fruire dell indennità, in alternativa alla madre, rimettendo al legislatore l individuazione del meccanismo attuativo destinato a consentire anche al padre un adeguata tutela (11). Non essendoci nell affidamento preadottivo parto naturale da parte della madre che prende il bambino in affidamento, non vi è esigenza di tutela della sua integrità biologica e fisica. In questo contesto il bene da tutelarsi è prioritariamente lo sviluppo armonico del bambino, sia dal punto di vista materiale sia da quello affettivo, ma - in linea di principio - tale obiettivo può essere realizzato anche dal padre. La sentenza della Corte costituzionale del 2005 ha evidenziato l esistenza di una lacuna normativa: essa afferma da un lato l incostituzionalità dell art. 72 d.lgs. n. 151/2001, ma contemporaneamente chiede un intervento del legislatore per dettare disposizioni che disciplinino l assegnazione di un indennità di paternità al padre libero professionista. Tecnicamente si tratta di una sentenza additiva di principio, da tenersi distinta rispetto alla sentenza additiva in senso proprio : secondo la Corte di cassazione a differenza che nelle additive di principio, che sono prive di efficacia auto-applicativa, nelle sentenze costituzionali additive in senso proprio la pars constuens della decisione non ha valenza meramente persuasiva, bensì (al pari della parte demolitoria) efficacia immediatamente precettiva, senza necessità di una interpositio legislatoris, risolvendosi automaticamente la dichiarazione d illegittimità dell omissione in quella - speculare - di necessità costituzionale dell inclusione del quid omissum nel testo normativo così emendato (12). Dal punto di vista sostanziale, tuttavia, affermare che una disposizione è incostituzionale in quanto non parifica il padre alla madre si avvicina molto a dire che anche il padre ha diritto all indennità. Si potrebbe dunque argomentare anche nel senso che i giudici, ancor prima di un intervento legislativo di riforma, sono legittimati a riconoscere l indennità ai padri. Per questa ragione nel periodo fra il 2005 e il 2010 vi sono state sentenze che si sono occupate della spettanza dell indennità al padre libero professionista. Alcuni liberi professionisti, vista la pronuncia della Corte costituzionale, hanno chiesto alle rispettive casse che fosse assegnata loro l indennità di paternità in sostituzione di quella che sarebbe spettata alla madre. Le casse hanno assunto una posizione di rifiuto, richiamandosi talvolta esclusiva- (10) Corte cost., 23 dicembre 2003, n (11) Corte cost., 14 ottobre 2005, n. 385, in Giust. civ., 2005, I, 2912 ss., con nota redazionale, in Lav. giur., 2006, 870 ss., con nota di A. Lacarbonara. (12) Cass., 15 giugno 1994, n Famiglia e diritto 5/2012

21 Lavoro mente al principio che la declaratoria d incostituzionalità non significa immediata estensibilità dell indennità ai padri, ma solo che il legislatore deve intervenire in materia dettando una normativa che vada a coprire la lacuna. È difficile tuttavia negare come dietro questo atteggiamento delle casse si celi in realtà anche il tentativo di evitare di dover erogare prestazioni assistenziali ulteriori. L approccio può reputarsi condivisibile dal punto di vista della sostenibilità finanziaria dei conti delle casse. Rimangono però perplessità alla luce degli interessi dei padri che, in definitiva, risultano trascurati rispetto alle madri. 7. La giurisprudenza di merito nel periodo A fronte dell atteggiamento di rifiuto delle casse di riconoscere l indennità di paternità ai liberi professionisti iscritti alle medesime, alcuni liberi professionisti hanno avviato azioni in giudizio. Le azioni hanno interessato prevalentemente il caso, più frequente nella prassi, di filiazione biologica. In altre fattispecie l azione in giudizio concerneva il riconoscimento dell indennità di paternità al padre adottivo: in questo caso le azioni sono state accolte alla luce dei principi enunciati dalla Corte costituzionale nella sentenza del 2005 (13). Ai nostri fini è particolarmente interessante rilevare che, in un caso deciso dal Tribunale di Firenze, la domanda presentata dal padre avvocato di ottenere l indennità di paternità è stata accolta, nonostante si trattasse di filiazione biologica (e non adottiva) (14). Nella fattispecie un padre avvocato aveva chiesto di godere dell indennità di maternità in sostituzione della madre e si era rivolto alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense. Tale cassa rigettava però la domanda ritenendo che la sentenza del 2005 non potesse trovare applicazione in quanto additiva di principio e dunque senza un immediata efficacia precettiva: sarebbe stato necessario uno specifico intervento del legislatore a disciplinare la materia. Il Tribunale di Firenze accoglie invece la domanda, ricostruendo le molteplici ratio di tutela della disposizione. La sentenza del Tribunale di Firenze è bene argomentata: essa pone l accento in particolare sul fatto che l art. 71, comma 1, d.lgs. n. 151/2001 non impone l astensione effettiva dal lavoro. Ciò dimostra che, nell ottica del legislatore, la tutela della salute fisica e psichica della madre nel periodo immediatamente precedente e successivo al parto non è lo scopo (o almeno l unico scopo) di tutela perseguito. Ulteriore (e principale) obiettivo è quello di garantire la migliore cura possibile del nascituro prima e del neonato poi e questa finalità può, in sostanza, essere realizzata anche dal padre in alternativa alla madre. Bisogna però dire che la giurisprudenza prevalente fra il 2005 e il 2010 ha negato il diritto del padre libero professionista di ottenere l indennità in alternativa alla madre in caso di filiazione biologica. In questa direzione meritano di essere menzionate un paio di sentenze di merito. Secondo il Tribunale di Rovigo spetta al legislatore prevedere e regolamentare i casi e le modalità di godimento dell indennità di paternità per i professionisti padri a seguito dell intervento della Corte costituzionale con la sentenza del 2005 (15). Nel caso di specie l azione in giudizio venne proposta da un avvocato nei confronti della Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense (anche la madre del bambino era un avvocato, iscritta alla medesima cassa). Il ricorso viene tuttavia rigettato dall autorità giudiziaria, la quale si rifiuta anche di sollevare questione di legittimità costituzionale. Il Tribunale di Rovigo afferma che la sentenza della Corte costituzionale è una sentenza additiva di principio, in cui il giudice delle leggi statuisce in ordine all illegittimità costituzionale di una norma senza tuttavia spingersi a riempire esso stesso il vuoto legislativo individuato, ritenendo tale attività di esclusiva competenza del legislatore. Anche il Tribunale di Milano ha affermato che l indennità di maternità prevista per le libere professioniste dall art. 70 d.lgs. n. 151/2001 può essere sì riconosciuta alle lavoratrici madri, come prevede espressamente la legge, ma non anche ai padri liberi professionisti (16). Nel caso di specie il padre svolgeva la professione di avvocato e, alla nascita del figlio (filiazione biologica), si era rivolto alla Cassa nazionale di previdenza e assistenza forense ottenen- (13) Ad esempio Trib. Savona, 23 febbraio 2009, in Fam. pers. succ., 2010, 181 ss., con nota di I. Cairo, ha affermato che, a seguito della sentenza della Corte costituzionale del 2005, il padre libero professionista (nel caso di specie si trattava di un medico) che abbia adottato un minore ha diritto a godere dell indennità di maternità per i tre mesi successivi al parto in alternativa alla madre, nella parte in cui detto beneficio non sia stato oggetto di fruizione da parte dell altro genitore. (14) Trib. Firenze, 29 maggio 2008, in Giur. mer., 2009, 491 ss., con nota di A. Dodaro, in Riv. crit. dir. lav., 2008, 1291 ss., con nota di P. Perucco, in Riv. giur. lav., 2009, II, 140 ss., con nota redazionale, in Riv. it. dir. lav., 2009, II, 363 ss., con nota di F. Savino. (15) Trib. Rovigo, 20 febbraio 2008, in Prev. for., 2008, 280 ss., con nota di M. Bella. (16) Trib. Milano, 16 gennaio 2009, in Riv. it. dir. lav., 2009, II, 930 ss., con nota di F. Savino. Famiglia e diritto 5/

22 Lavoro do però un rifiuto alla richiesta di riconoscimento dell indennità di paternità. Il legale ha allora tentato la via giudiziaria, al fine di estendere il principio affermato dalla Corte costituzionale nel 2005 per la filiazione adottiva all ipotesi della filiazione biologica. Il Tribunale di Milano rifiuta però questo approccio, non ritenendo perfettamente equivalenti le posizioni di madre e padre: in particolare il padre non partorisce fisicamente il figlio e, sotto questo profilo, pare iniquo concedergli un beneficio destinato invece a ristorare la madre dalle fatiche della gravidanza e del puerperio. 8. La sentenza della Corte costituzionale del 2010 sulla filiazione biologica Gli interventi della giurisprudenza che abbiamo appena illustrato si sono concentrati sulla questione se il diritto all indennità di maternità possa diventare diritto all indennità di paternità, nel senso che il padre libero-professionista possa - in alternativa alla madre - usufruire di un periodo di cinque mesi parzialmente retribuito immediatamente prima e dopo il parto. Per quanto riguarda i lavoratori dipendenti il diritto al congedo di paternità è riconosciuto espressamente dall art. 28 d.lgs. n. 151/2001, secondo cui il padre lavoratore ha diritto di astenersi dal lavoro per tutta la durata del congedo di maternità o per la parte residua che sarebbe spettata alla lavoratrice, in caso di morte o di grave infermità della madre ovvero di abbandono, nonché in caso di affidamento esclusivo al padre (17). L art. 29 gli riconosce il trattamento economico. Come si può notare, il diritto del padre al congedo di paternità viene però riconosciuto solo in casi eccezionali, ed essenzialmente quando la madre non può o non vuole occuparsi dal bambino. Nel contesto dei lavoratori che svolgono una libera professione la legge invece tace: non esistono disposizioni simili agli artt. 28 e 29 d.lgs. n. 151/2001. È stata pertanto sollevata questione di legittimità costituzionale. Bisogna subito segnalare che, di recente, la Corte costituzionale ha negato il diritto all indennità di paternità ai padri libero-professionisti (18). In una sentenza del 2010 il giudice delle leggi ha affermato che non è fondata la questione di legittimità costituzionale dell art. 70 d.lgs. n. 151/2001, nella parte in cui, nel fare esclusivo riferimento alle libere professioniste, non prevede il diritto del padre libero professionista di percepire, in alternativa alla madre biologica, l indennità di maternità. Secondo la Corte costituzionale l uguaglianza fra i genitori è riferita a istituti in cui l interesse del minore riveste carattere assoluto o, comunque, preminente, e, quindi, rispetto al quale le posizioni del padre e della madre risultano del tutto fungibili tanto da giustificare identiche discipline; diversamente, le norme direttamente a protezione della filiazione biologica, oltre a essere finalizzate alla protezione del nascituro, hanno come scopo la tutela della salute della madre nel periodo anteriore e successivo al parto, risultando, quindi, di tutta evidenza che, in tali casi, la posizione di quest ultima non è assimilabile a quella del padre. La posizione della Corte costituzione è, per certi aspetti, condivisibile. Il congedo di maternità svolge diverse funzioni e una di esse consiste certamente nella possibilità per la madre biologica di riposarsi prima e dopo il parto; grazie poi all indennità di maternità, la madre conserva una sufficiente indipendenza economica (che trova riscontro nel riconoscimento dell 80% del reddito). L obiettivo di tutela della salute non può in linea di principio valere per il padre, il quale - non dando alla luce di persona il figlio - non subisce gli effetti fisico-biologici del parto. Sotto altri aspetti peraltro la posizione assunta dalla Corte costituzionale può essere criticata. Per capire i limiti della pronuncia della Corte bisogna passare in rassegna i beni che vengono tutelati dal congedo e dall indennità di maternità. Si è visto sopra che esistono altri interessi che gli istituti del congedo e dell indennità dovrebbero proteggere e che, nell attuale regime, non vengono invece tutelati in modo paritario. Si può anzitutto porre l accento sul principio della libertà di scelta delle persone, riconoscendo ai genitori la possibilità di scegliere la via che preferiscono, senza interferenze obbligatorie da parte dell ordinamento. In un sistema liberale si tratta della scelta migliore, in quanto maggiormente rispettosa dalla volontà delle parti. L unico vero limite è quello dell interesse del neonato a non essere trascurato. Un (17) In materia di congedo e indennità di paternità cfr. M. Bracaloni, Il congedo di paternità, in Lav. prev. oggi, 2010, 1249 ss.; L. Calafà, Sull autonomia del congedo di paternità del lavoratore subordinato, in Riv. giur. lav., 2010, II, 323 ss.; E. Gragnoli, Principio di uguaglianza, libere professioni e tutela della posizione del padre, in Fam. pers. succ., 2008, 978 ss.; R. Nunin, Congedo di paternità e diritti del padre adottivo coniugato con una lavoratrice autonoma, in Riv. it. dir. lav., 2002, II, 862 ss.; M. Pulice, Chiarimenti sul congedo di paternità, in Lav. giur., 2010, 488 ss.; F. Savino, Congedo di paternità e tutela dei diritti dei padri liberi professionisti, in Riv. it. dir. lav., 2009, II, 363 ss.; F. Savino, Ancora su congedo di paternità e tutela dei diritti dei padri liberi professionisti, in Riv. it. dir. lav., 2009, II, 930 ss. (18) Corte cost., 28 luglio 2010, n. 285, in Foro it., 2010, I, 2581 ss., con nota redazionale, in Giur. cost., 2010, 3582 ss., con nota redazionale, in Giust. civ., 2011, I, 573 ss., con nota redazionale. 534 Famiglia e diritto 5/2012

23 Lavoro altro problema potrebbe sorgere nel caso in cui i genitori non riescano ad accordarsi: nel senso che ambedue vogliono l indennità oppure nel senso che nessuno di essi la vuole (per continuare a lavorare). Questa ultima possibilità non può realisticamente trovare tutela nell ordinamento, in quanto priverebbe totalmente di tutela il nascituro e il neonato: come accudirlo se nessuno si assenta, almeno per un breve periodo di tempo dopo la nascita, dal lavoro? Anche la prima possibilità cui si accennava (ambedue i genitori vogliono l indennità) non è ragionevolmente sostenibile, nella misura in cui i costi per le casse diventano troppo elevati. Astrattamente, in un modello che punta alla perfezione, si potrebbe pensare di riconoscere ad ambedue i genitori un periodo di congedo congiunto in cui si possono dedicare insieme alla cura del nascituro e soprattutto del neonato. Ho voluto accennare al principio della libertà di scelta perché, a ben vedere, sono i genitori medesimi i soggetti posti nella condizione migliore per valutare chi fra essi sia più adatto ad accudire il bambino nei primi mesi di vita. I genitori potrebbero, per ragioni diverse di volta in volta, ritenere opportuno che sia il padre ad accudire il neonato nei primi mesi. Non mi riferisco al caso (verosimilmente e auspicabilmente residuale) in cui vi è una divergenza di visioni fra madre e padre, ma all ipotesi - lineare - in cui ambedue i genitori desiderano che sia il padre a curarsi del neonato. Un esempio (per quanto estremo) può forse rendere evidente quanto cerco di esprimere: si immagini il caso del padre che lavora come medico in un reparto neonatale e che dunque, per ragioni di esperienza professionale, è in condizioni ottimali per assistere il neonato nei primissimi mesi di vita, mentre la madre svolge una professione che non ha alcuna relazione con il mondo dei bambini, è ben retribuita (godendo di redditi maggiori di quelli del padre) e - mantenendo per intero il proprio reddito - garantisce alla famiglia un maggiore aiuto economico. Sotto un ulteriore profilo la sentenza della Corte costituzionale è criticabile in quanto trascura gli interessi economici della famiglia. Si pensi al caso della madre che dispone di un reddito molto più elevato del padre: non si vede per quale ragione madre e padre non possano decidere che debba essere il padre ad assentarsi dal lavoro, al fine di mantenere un reddito familiare più elevato. La legge infine trascura il diritto del padre a svolgere la funzione fisica e psicologica di accudimento del neonato. Il testo legislativo (con l intervento di avallo della Corte costituzionale) si espone a critica in quanto rende difficile al padre che lo desideri, a maggior ragione se in perfetto accordo con la madre, svolgere egli medesimo la funzione di accudimento del figlio neonato. In altre parole non si vede per quale ragione si debba di fatto impedire al padre che lo desidera di svolgere una funzione così importante e unica nel corso della vita di un essere umano. Qui è al centro dell attenzione l interesse del padre al raggiungimento della sua realizzazione e soddisfazione personale. Chi scrive è consapevole che questa prospettiva interpretativa costituzionalmente orientata deve fare i conti con la sua sostenibilità finanziaria (e con il rischio di abusi, nel senso che si possano far prevalere gli interessi economici della famiglia rispetto a quelli di tutela del neonato). Verosimilmente, nel caso di genitori ambedue liberi professionisti, la tendenza sarebbe in diversi casi quella di scegliere il congedo e l indennità in capo a quello fra essi con i redditi maggiori. Dal momento che non vi è obbligo di astensione effettiva dal lavoro, teoricamente tutti e due potrebbero continuare a lavorare, percependo dalla cassa di uno di essi l indennità. Non è casuale che la sentenza della Corte costituzionale del 2005 sulla filiazione adottiva non sia stata bene accolta dalle casse, che si sono rifiutate di estendere il principio al caso - più diffuso - di filiazione biologica. In conclusione si può affermare che la sentenza del Tribunale di Firenze costituisce un caso sostanzialmente isolato e deve ormai reputarsi superata, in quanto la Corte costituzionale - nella sentenza del ha negato l illegittimità costituzionale dell art. 70 d.lgs. n. 151/2001. Rimangono tuttavia fermi alcuni dubbi, essenzialmente riconducibili a delle esigenze che l attuale sistema normativo frustra: il diritto della famiglia di scegliere chi fra madre e padre debba accudire il neonato, il diritto anche del padre di accudire il neonato, il diritto della famiglia di fare una scelta che sia vantaggiosa economicamente. Famiglia e diritto 5/

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