La grande scommessa. Quanto rende investire in cultura sui territori?

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1 Seminario 3. La grande scommessa. Quanto rende investire in cultura sui territori? Sintesi del seminario di Ivana Bosso Introduzione di: Alessandro Hinna, Docente di Organizzazione e cambiamento nelle aziende e amministrazioni pubbliche, Università degli Studi di Roma Tor Vergata Moderazione di: Alessandro Bollo, Responsabile Area Ricerca e Consulenza, Fondazione Fitzcarraldo, Torino Interventi di: Michelina Borsari, Direttore scientifico, FestivalFilosofia, Modena Stefano Cima, Unità Strategica Filantropia Valutazione Attività Erogativa, Fondazione CARIPLO Ivana Iachetti, Responsabile Spettacolo e Attività Culturali, Regione Marche, Ancona Giulia Manassero, Centro Studi, Fondazione CRC Note a margine di: Francesco Palumbo, Direttore, Area politiche per la promozione del territorio, dei saperi e dei talenti,regione Puglia Che cosa valutare quando si parla di Cultura? Come fare la valutazione? Partendo da queste due domande, Alessandro Bollo invita il tavolo a declinare le risposte tenendo presente il presupposto che nella valutazione di un progetto culturale, la complessità deve essere resa attraverso un processo di sintesi dei dati più sensibile al campo in cui si rispecchiano i risultati, per evitare un approccio riduzionista al tema della valutazione della cultura in termini sintetici, parziali, seppur facilmente comunicabili. Invitato a introdurre il tema del seminario, Alessandro Hinna propone quindi di partire da una riflessione sulla domanda quanto rende investire in cultura sui territori?, perché essa contiene in sé una provocazione, declinata nell'analisi dei tre termini che costituiscono la domanda: il verbo rendere, il termine territorio e l'avverbio quanto.

2 Rispetto alle società che ci hanno preceduto nel passato, il verbo rendere, assume oggi una particolare rilevanza: gli antichi romani così come i mecenati rinascimentali non si sarebbero sognati di chiedersi se l'investimento in cultura rendeva ; ma nemmeno la tradizione economica a cui ci riferiamo (basti pensare ad Adam Smith) ha considerato la Cultura da questo punto di vista. Questa tradizione è passata anche nel nostro Welfare State. Per certi aspetti considerare la Cultura per la sua resa economica è una domanda nuova, entrata nel dibattito solo da una quindicina di anni. E con la crisi questa domanda si è ancora più attualizzata: lo Stato non può permettersi troppe spese, le aziende comprimono il proprio sostegno e allora c'è il problema della scelta che porta quindi ad orientarsi verso una valutazione dei rendimenti comparati. Ma in questo momento di crisi si corre un rischio: quello di declinare la valutazione della Cultura solo ed esclusivamente sulla base del rendimento economico, come può essere ad esempio la correlazione al turismo indotto. Il secondo termine importante è territorio. In questi anni si è assistito ad un passaggio da modelli di sviluppo di carattere esogeno (cioè gli investimenti arrivano da fuori) a modelli di sviluppo che guardano al territorio valorizzandone le caratteristiche. Questo ha realmente aperto una finestra interessante sul rapporto tra Economia e Cultura, intendendo quest'ultima come infrastruttura fondamentale rivitalizzata con le caratteristiche di un territorio. In questo modo è allora possibile leggere la Cultura anche sulla base dei rendimenti prospettici e non solo comparativi. La terza parola è l'avverbio quanto. Se dobbiamo fare un ragionamento di rendimento, esso si colloca in quello più ampio riferito allo sviluppo locale, che vede la Cultura come uno dei protagonisti dello sviluppo economico. Il fattore del rendimento degli investimenti in rapporto allo sviluppo locale, apre un quadro completamente diverso di motivazioni, di oggetti e di metodi di valutazione della Cultura, per osservare il quale il parametro turistico rappresenta solo uno degli elementi da utilizzare. Sia la Banca Mondiale sia la Comunità Europea utilizzano gli stessi 5 fattori per motivare gli investimenti in interventi in Cultura: Stimola forme nuove di capacità negli individui; Catalizza nuove risorse sul territorio attraverso l'attrazione di capitale intellettuale; Genera reddito attraverso la fruizione (quello su cui ora siamo tutti concentrati); Rafforza il capitale sociale perché lavora sulle politiche di coesione, sulle relazioni e sul tasso di conflittualità; Sviluppa altri settori produttivi cioè esiste la possibilità di essere un settore che fa crossing con altre filiere produttive. L'attuale tendenza a intendere la valutazione del settore culturale come forma di difesa, viene giocata esclusivamente sulla valutazione del risultato mentre sarebbe altrettanto necessaria una valutazione dei processi. Se si cambia oggetto e motivazione, cambia completamente il portafoglio della prassi di valutazione. È un problema complesso nei confronti dei quali si reagisce con la facile via di fuga del riduzionismo semplificante una realtà più complessa.

3 Per Michelina Borsari esiste una questione molto importante legata all'evento culturale inteso come strumento di marketing che deve avere successo turistico. Il problema attuale è che non esistono reali politiche sul Turismo, non solo nel suo rapporto con la Cultura e questo non consente una valutazione appropriata rispetto all'impatto che la manifestazione deve avere. Questa mancanza di politiche fa male al Turismo stesso. Gli elementi che vengono valutati non sono affatto la qualità e la sostenibilità ma il successo in termine di presenze. L'effetto che vuole la Politica che governa un territorio, sono le piazze piene. Il FestivalFilosofia di Modena continua a raccogliere dati perché ha voglia di sapere cosa sta succedendo, ma un altro aspetto del problema è che non si trova chi gli osserva e la valutazione che ne viene fatta ha per il momento solo un carattere riflessivo: serve per conoscersi oltre che per difendersi. Due sono le grandi domande che bisogna tenere conto nel valutare un'attività culturale: una riguarda una riflessione sullo Spazio e l'altra sul Tempo. Nell'immediato i dati riguardano lo spazio dove la manifestazione si svolge ma qual è il perimetro di un evento culturale? fin dove arriva un festival, come ad esempio quello della Filosofia? Qual è il raggio di azione di eventi che sporgono al di là del proprio distretto perché in grado di produrre denaro altrove? Per quanto riguarda l'arco temporale, la riflessione è sulla durata. Si sente spesso parlare di un festival come effimero, ma anche i teatri sono effimeri se rapportati alla propria stagione di programmazione e di produzione; semplicemente di essi si percepisce la concretezza dei muri che li ospitano. Ma a volte teatri e gallerie fanno molto meno di un festival in termine di programmazione ma anche di distribuzione delle attività nel corso dell'anno. Esiste una miopia legata alle attività culturali e a interpretarne la natura. Esiste un certa tendenza prevenuta nel considerare come permanenti solo le attività dentro a muri, mentre effimere quando sono dentro il carattere fluido dello spazio pubblico. Questo strabismo è già una valutazione a preventivo che ci impedisce di vedere cosa sono le attività culturali. Ad esempio, come si misurano e valutano i cambiamenti e gli effetti che il FestivalFilosofia produce nel tempo nei cittadini rispetto all'accettazione della modernità in campo artistico? Il numero si può adattare a tutto e la misurazione non toglie la qualità a nulla ma la valutazione è un altra cosa, che ci pone nella condizione di domandarci chi deve valutare. Perché i soli attori che concorrono all'attività culturale, siano essi organizzatori e ideatori siano i politici e i finanziatori, non sono in grado di fare una valutazione più complessa e proiettata oltre l'immediata azione spaziale e temporale. Secondo Stefano Cima il temine Valutazione è una calamita semantica a cui si attaccano definizioni diverse a seconda della circostanza. Quello che è chiaro è che non tutto deve e può essere oggetto di valutazione. La questione primaria è sapere su quale attività indirizzare la valutazione, che comunque ha un costo in termini di tempo e denaro. Per quanto riguarda l'attività valutativa di una Fondazione Bancaria come la Cariplo, bisogna distingue tra differenti tipi di valutazione. Ci sono quelle il cui obiettivo valutativo è associato a quello filantropico progettuale e si riferisce in genere ad attività sostenute e finanziate perché meritevoli, il cui giudizio è stato già espresso sulla base della selezione meritoria o sull'importanza riconosciuta a livello territoriale (ad esempio: il sostegno a grandi istituzioni culturali importanti per una città quale

4 può essere La Scala per Milano o i centri per il volontariato). In questo caso è più un rendicontare ciò che viene fatto a livello di intervento. Esiste poi una valutazione che deve servire invece ad alimentare e cambiare una pianificazione strategica testando l'efficacia delle ipotesi innovative di politiche riguardanti settori quali il Sociale o la Cultura. La valutazione deve quindi contenere termini di confronto di carattere contro-fattuale: cioè verificare cosa sarebbe successo se non si fosse fatto quel tipo di intervento. Si tratta comunque di una valutazione che ha un costo anche in termini di periodo di osservazione. Un esempio: Fondazione Cariplo sta valutando per Regione Lombardia un'azione d'accompagnamento dei soggetti con disagio psichico nell'inserimento al lavoro. Il progetto prevede la figura di un coach individuale che si faccia mediatore tra la persona, il centro per l'impiego e il posto di lavoro. La valutazione di questo progetto è costruita su tre anni, durante i quali sono presi in osservazione 300 persone con disagio psichico: 150 di esse saranno accompagnate nel processo lavorativo da questo coach mentre 150 saranno in carico solo del centro. Lo scopo dell'osservazione è di valutare il grado di efficacia di questo trattamento individualizzato nel trovare e mantenere il lavoro. In questo caso la valutazione serve a convincere il decisore pubblico già comunque coinvolto nel progetto fin dall'inizio - ad adottare questa tecnica se ne viene dimostrata la sua efficacia. Vale la pena valutare e spendere soldi se il risultato è il test di una politica innovativa. In questo momento di crisi bisogna rispondere a un problema di allocazione delle risorse, che le stesse fondazioni bancarie vivono. Bisogna quindi cambiare posizione creando un'alleanza con il terzo settore e l'amministrazione pubblica, secondo una logica di filiera nella quale la Fondazione si trova coinvolta sin dall'inizio nella costruzione di una politica pubblica, contribuendone al disegno e assumendosi l'incarico di valutarne quegli elementi innovativi che possano poi essere presi in carico dai decisori pubblici. In che modo valuta i propri interventi una Regione come le Marche? Nel suo intervento Ivana Iachetti sottolinea l'importanza del legame che esiste tra ambiente, cultura, piccola media impresa industriale nello sviluppo del territorio, in quanto le Marche rappresentano bene un distretto culturale evoluto, dove gioca un ruolo importante la tradizione di un artigianato artistico nello sviluppo del settore manifatturiero. Non a caso la Regione è tra le 15 più industrializzate d'italia e conta due poli industriali in più della Lombardia. Non solo, ma le Marche possiedono anche la maggiore densità di musei e pinacoteche per abitanti e vi è un'aspettativa di vita intorno agli 83 anni. All'interno di questa cornice, gli interventi dell'assessorato alla Cultura sono volti a sostenere progetti non solo di valorizzazione turistica ma legati al sostegno della creatività e dell'innovazione rivolgendosi ai giovani, sostenendone borse di studio, al coinvolgimento degli over 60enni nel volontariato culturale attraverso la possibilità di accedere ad abbonamenti teatrali speciali in accordo con i teatri e i festival del territorio. Si è poi avviata una valutazione sul come si spende nel settore Spettacolo regionale secondo parametri che vanno dall'ampliamento della fruizione, alla formazione di un nuovo pubblico, all'occupazione giovanile e femminile, alla coproduzione e alla consociazione tra teatri per fare economia di scala.

5 Giulia Manassero porta l'esperienza della Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo, che per far fronte con sempre meno risorse alle richieste del territorio, ha avviato tavoli di confronto e ascolto, accompagnati da lavori di valutazione in particolar modo nel settore arte e cultura. Sono stati oggetto di valutazione i tre grandi eventi culturali sostenuti con importanti finanziamenti dalla Fondazione CRCuneo: la mostra su Morandi alla Fondazione Ferrero di Alba; la struttura culturale e per esposizioni di arte contemporanea del Filatoio Rosso di Caraglio e il festival letterario a Cuneo Scrittori in città, che esiste ormai da 13 anni. La valutazione ha generato più domande aperte che non risposte. Sicuramente fare valutazione ha un carattere di difesa del proprio operato anche per la Fondazione Cassa di Risparmio di Cuneo. Tuttavia Manassero spiega come sia diventata necessaria in questo momento di contrazione delle risorse, per disegnare nuove prospettive strategiche di sostegno al territorio, che vadano oltre al mantenimento della continuità di attività culturali presenti ormai da anni. Valutare le principali iniziative sostenute, ha permesso alla Fondazione di porsi il problema di come sollecitare forme innovative di produzione e gestione culturale nei soggetti richiedenti finanziamenti, cercando anche di promuovere in loro la capacità di aggregazione a livello locale. Francesco Palumbo tira le somme di questa prima parte del dibattito, identificando 4 concetti chiave per riflettere sulla valutazione. 1. Cosa valutare? Sono almeno tre gli impatti diretti che la Cultura genera: i visitatori e la loro ricadute sul turismo; le filiere che legano la cultura materiale e immateriale allo sviluppo delle imprese creative; il ritorno di immagine che il territorio può avere dal sostegno alla cultura, così come è accaduto per la Regione Puglia. Il punto sostanziale è che se la Cultura viene riconosciuta come un elemento del processo di sviluppo di un territorio, non si può valutare solo turismo e imprese creative, ma deve anche contenere un'analisi del capitale culturale sociale. 2. Quando valutare? Per gli enti pubblici è necessario valutare sempre. 3. Chi valutare? La valutazione non deve solo essere uno strumento per la politica rispetto ai risultati di un progetto culturale ma deve anche sapere valutare i decisori delle politiche pubbliche, i loro obiettivi e i loro strumenti. 4. Valutazione come difesa. Concetto pericoloso perché se non si arriva a prassi uniformi e condivisibili, gli strumenti della statistica sono ad oggi usati come forma di autodifesa delle scelte della politica su un territorio proprio perché i dati sono tanti e aggregabili a seconda della convenienza. Dal pubblico viene chiesto come devono essere valutate le giovani imprese culturali, la cui fase di start up è stata accompagnata da finanziamenti pubblici attraverso bandi, come il caso di Principi Attivi della Regione Puglia. Soprattutto chi deve valutare e cosa deve essere valutato affinché esse possano proseguire il proprio sviluppo sul territorio.

6 Per Palumbo dopo la fase di start up è necessario che le stesse giovani imprese cerchino di uscire da una logica di mantenere al proprio interno la partecipazione pubblica come forma di finanziamento sottovalutando il problema del business plan, che aiuterebbe a individuare fin dagli inizi passaggi ed elementi più chiari per la valutazione da parte degli operatori pubblici. Per Bollo il rischio di avviare processi di start up sul territorio si scontra con il problema della sostenibilità delle numerose nuove imprese culturali nascenti se mancherà la chiarezza nel richiedere gli obiettivi e nell'esplicitare il mandato fin dall'avvio del processo. Il business plan è strumento fondamentale per avviare processi di start up anche secondo Cima, ma diverso è poi valutare gli effetti di un progetto: l'autovalutazione da parte di chi riceve il finanziamento è utile per sapere in che direzione proseguire, ma l'ente pubblico deve valutare gli effetti dell'incentivazione di imprese per capire se l'incentivo ha permesso reali cambiamenti sul territorio. Sicuramente gli obiettivi sono i requisiti necessari perché un progetto possa essere valutato ma il processo di valutazione deve essere già inserito nel disegno del progetto, soprattutto quando il raggio d'azione di quest'ultimo sono aree territoriali, come può essere il caso dei distretti culturali. Si tratta di processi di valutazione con prospettive lunghe, che necessitano l'attribuzione di un nesso causale e termini di paragone secondo una costruzione della valutazione di carattere contro-fattuale. Secondo Hinna non esiste problema di metodi di valutazione quanto invece di saperli scegliere adeguatamente e di combinarli. La domanda fondamentale resta perché valutare. Tre possibili risposte in forma di slogan che usano però metodi valutativi differenti: Valutare per difendersi; Valutare per orientarsi; Valutare per comprendere. Se si valuta per difendersi, le prassi usate si riferiscono alle metriche di valutazione con le matrici input-output di correlazione, ma che non garantiscono un reale fondamento di validità a livello esterno. Se, invece, la valutazione serve per orientare l'investimento in cultura come fattore di sviluppo economico territoriale, bisogna entrare nel cuore delle politiche pubbliche tenendo presente il carattere endogeno di questo tipo di sviluppo rispetto all'azione culturale. Questo pone un problema di confrontabilità delle specificità territoriali, che risultano essere difficilmente comparabili tra loro. Affidarsi, pertanto, esclusivamente al metodo del contro-fattuale, va bene dove è possibile ricreare nessi causali certi mentre la Cultura intesa come sviluppo locale ha troppi elementi di variabili che non permettono di immaginare nessi causali coerenti. In questo caso sarebbe bene coinvolgere tutti i soggetti che concorrono al progetto in una valutazione partecipata dei processi. Questa, infatti, permetterebbe di accorciare la distanza tra i soggetti per costruire insieme il senso di commitment. Rispetto invece al tema della terzietà del valutatore, per Hinna si tratta di un dogma ideologico perché sarebbe più utile richiedere un'inter-soggettività della valutazione. Per Palumbo ci sono stati troppi pochi casi di applicabilità in Italia della valutazione contro-fattuale per ritenerla un metodo non adeguato alla valutazione di impatti complessi, perché ad oggi non si possiede ancora una base dati sufficiente. Non si tratta di rispondere alla complessità di un processo con riduzionismi semplificatori, quanto di tendere alla semplicità di comprensione dell'analisi.

7 In conclusione Bollo ribadisce la profonda esigenza di fare chiarezza quando si parla di valutazione, cercando anche di trovare soluzioni in grado di integrare approcci differenti. Invita poi a interrogarsi su come utilizzare la contro-fattualità in un progetto complesso ma soprattutto a fare sì che i soggetti che concorrono nel progetto a diversi livelli, inizino seriamente a interessarsi a questi tipi di ragionamento.

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