La comunicazione del/nel fashion retail

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1 Marcello Sansone Professore Associato di Economia e Gestione delle Imprese; professore incaricato di Marketing Università degli Studi di Cassino marcello.sansone@inwind.it La comunicazione del/nel fashion retail 1. Finalità e impostazione dell analisi Il lavoro prende in considerazione la comunicazione realizzata nello store e tramite lo store dai distributori al dettaglio di prodotti fashion e, più in generale, di prodotti non food ad elevata specificità e ad alto contenuto simbolico e di immagine (beni di lusso ecc.). Obiettivo della trattazione è quello di delineare i profili evolutivi e più innovativi del retail marketing con particolare riferimento alla comunicazione del e nel punto vendita, assunto quale vero e proprio «prodotto» dell offerta dell operatore commerciale al dettaglio. A livello concettuale, il focus sulla comunicazione dello e nello store partecipa alle politiche di innovazione e di riposizionamento competitivo dei retailer, in un contesto contraddistinto dalla maggiore consapevolezza dell importanza del momento distributivo negli scambi di mercato e dalla consistente interazione tra industria di marca, operatori commerciali, cliente-consumatore e canali di formazione dell opinione pubblica (mass media e media non convenzionali). In sostanza, nel contributo si è inteso appurare se e con quale intensità la caratterizzazione del punto vendita secondo precise logiche comunicazionali possa favorire la percezione innovativa dell offerta commerciale, ponendosi dunque come elemento significativo, se non centrale, della value proposition dell operatore commerciale per il cliente-visitatore dello store. Particolare attenzione è stata dedicata all impiego della tecnologia (rectius delle nuove tecnologie digitali e similari) nella qualificazione degli ambienti di vendita dei prodotti della moda e nella comunicazione nel e del punto vendita. Si è inteso così esplorare il ruolo che la tecnologia può assolvere nell ambito della strategia del distributore di proporre al pubblico punti vendita contraddistinti da una capacità attrattiva ed evocativa peculiare, idonea a favorire il conseguimento di fondamentali vantaggi in termini di: richiamo nel punto vendita e/o presso l insegna; stimolazione della propensione all acquisto e al consumo; orientamento tra l assortimento; fiducia nel sistema di scambio veicolato dal «sistema moda»; fedeltà più o meno consapevole al punto vendita in quanto tale e/o all insegna. Nell analisi condotta, l evoluzione recente e le tendenze prefigurabili con riguardo alla valorizzazione della comunicazione nei tentativi dei retailer di innovare/rinnovare le superfici di vendita e di caratterizzare sino all ipotesi limite della differenziazione la rispettiva insegna sono state interpretate alla luce di un framework concettuale articolato ma organico, al cui interno sono state ricercate consonanze e punti di contatto, in ordine all obiettivo di delineare una proposta interpretativa coerente e solida. I momenti fondanti della review letteraria sono stati individuati nelle diverse formulazioni dottrinali idonee ad illustrare e spiegare i più recenti dinamismi nel retailing. Senza dimenticare le più risalenti e consolidate teorie sulla distribuzione commerciale, si è fatto dunque riferimento a linee di pensiero concernenti: MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

2 la modernizzazione e rivoluzione commerciale del commercio al dettaglio 1 ; l evoluzione del marketing concept in relazione alla progressiva sofisticazione e differenziazione dell offerta di consumo nei Paesi occidentali ad elevato sviluppo economico, in coerenza con la crescente saturazione dei mercati e l evoluzione del rapporto tra i diversi bisogni umani; la «medializzazione» dell azione di marketing quale forma di superamento del tradizionale iato fra marketing e tecnologia, ossia tra logica market driven e resource based ed approdo ad una concezione del marketing come unitaria attività di comunicazione volta alla costruzione di senso per e con il cliente; l orientamento delle politiche e degli strumenti di marketing verso l esaltazione dell immaterialità e dell intangibile, operata però attraverso le capacità umane di percezione e rappresentazione più immediate, basiche e fisico-figurative (sensorial marketing, visual marketing). Si tratta di proposte teoriche che collegano la sistematizzazione e l intensificazione qualiquantitativa delle politiche e degli strumenti di retail marketing alla crescente consapevolezza del distributore circa il proprio ruolo nell interazione tra offerta industriale e momento del consumo ed all affermarsi di orientamenti di pensiero tendenti a superare la tradizionale polarizzazione, nella concezione del mercato, tra razionalità e comportamentismo. In estrema sintesi, dalla trattazione compiuta paiono emergere alcune argomentazioni di fondo, particolarmente importanti in sede di riflessione sulle tendenze evolutive del marketing dei servizi: i consumatori attuali non sono diversi né tantomeno presentano caratteri di assoluta superiorità rispetto ai consumatori del passato 2, al massimo è la più agevole e tempestiva circolazione informativa a consentire loro una maggiore capacità di pressione. Si deve dunque parlare non di mutamento del comportamento di consumo, quanto invece di arricchimento e aggiornamento del patrimonio di conoscenze e di schemi interpretativi delle imprese, tale da consentire una migliore comprensione della realtà del consumo o, quantomeno, una percezione più ispirata al principio di complessità 3 ; l adozione della teoria della comunicazione e della prospettiva esperienziale-esistenziale per una concezione del punto vendita come vero proprio «prodotto» non segna una novità assoluta negli studi di marketing distributivo e negli orientamenti delle insegne verso l innovazione dello shop, ma consente una comprensione più organica dei percorsi imprenditoriali in atto o prefigurabili nel retailing e facilita nel management la formulazione di condotte più consapevoli e coerenti 4 ; la scelta di osservare il ruolo dello store come fondamentale momento di comunicazione con il consumatore nel contesto dei prodotti fashion e di lusso, pur se condizionante, appare opportu- 1 Con la locuzione di «rivoluzione commerciale» si intende il processo, iniziato nei Paesi anglosassoni verso la fine degli anni Settanta, di modernizzazione del commercio al dettaglio tramite l affermazione delle grandi superfici despecializzate basate sul servizio libero e sull impiego di moderne tecnologie per la meccanizzazione di talune attività di stoccaggio, logistica e vendita. Una delle prime riflessioni è in BLUESTONE, HANNA, KUHN, MOORE (1981). BATES (1989) spiega le innovazioni nel dettaglio come alternanza di più brevi periodi di rivoluzione (comparsa di concept del tutto nuovi in risposta a fattori ambientali) e periodi più lunghi di evoluzione (diffusione territoriale, lieve adattamento, contaminazione e ricombinazione). In Italia, v. FORNARI (1994). 2 HOLBROOK (2000). Non è ben chiaro se a questa prevalente posizione aderisca o al contrario si opponga il filone del postmodernismo o del consumatore postmoderno (BROWN, 1995; FABRIS, 2003; COVA, 2003), sebbene taluni dei suoi assunti (la logica di clan, l inedita combinazione di modernità e fuga nel passato ecc.) possano essere ancora una volta intesi non come caratteri distintivi dell attuale consumatore, ma come consapevolezza nuova presso gli operatori industriali che offrono soluzioni di consumo. 3 Sulla complessità come frutto dell interazione tra oggetto di analisi e soggetto dell osservazione, GOLINELLI (2005). 4 Come si vedrà nel prosieguo, l ottica odierna al design strategico dello store postula una visione di fondo del punto vendita, ma sull importanza dei fattori intangibili nello store scriveva già KOTLER (1973) parlando di «atmosfera» del punto vendita. MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

3 na. Infatti, la moda presenta già condizioni che consentono di osservare o prefigurare la ricerca, nella prospettiva del cliente. Pertanto, ferme restando la specificità della moda e la cautela con cui derivare implicazioni manageriali per i retailer operanti in altri settori (grocery, elettronica di consumo, abbigliamento in senso stretto, giocattoleria, beni durevoli ecc.), l analisi dello shop quale fondamentale vettore di comunicazione con il consumatore di prodotti fashion offre una prospettiva interpretativa privilegiata nel delineare strategie innovative e originali del distributore, ma estendibile ad altre categorie di intermediazione commerciale al dettaglio. 2. Quadro teorico sul cambiamento e l innovazione distributiva L andamento delle performance delle imprese distributive al dettaglio e il dinamismo che si registra nei rapporti tra industria e distribuzione e tra consumatori ed imprese sono evidenze empiriche che sottolineano il crescente peso economico e negoziale del retail nel sistema economico di scambio, almeno nei paesi più industrializzati 5. Tali fenomeni, indagati sotto il profilo squisitamente manageriale, inducono a considerare le logiche di innovazione e rinnovamento che le imprese distributive sembrano perseguire nell interazione con gli altri attori del mercato. Le logiche suddette sembrano corroborare, in particolare, taluni assunti emergenti nella riflessione scientifica sul retail marketing, ossia l importante valenza comunicativa e mediale dell ambiente e delle strutture di vendita e il sempre più evidente atteggiarsi del punto vendita a vero e proprio «prodotto» dell operatore commerciale, sottoposto a processi innovativi che ne consentono l affermazione e la permanenza sul mercato. Pertanto, l analisi sistematica della comunicazione dello e nello store trova il proprio fondamento nella considerazione dei processi di cambiamento e di innovazione nel retail, osservabili sul piano teorico a partire da diverse prospettive concettuali, tra di loro compatibili e convergenti. Più precisamente, ai fini del presente lavoro, appare fondato richiamare le costruzioni concettuali idonee a spiegare i processi di innovazione distributiva, raggruppandole in almeno quattro ampie prospettive di analisi: teorie sul cambiamento dei complessivi sistemi distributivi; teorie sull evoluzione del marketing concept; teorie della comunicazione; teoria sul punto vendita e il design strategico di prodotto. La riflessione teorica sul cambiamento e sull innovazione nel retail conduce tipicamente all individuazione di almeno due prospettive di analisi, tra loro complementari: una prospettiva macro, concernente le caratteristiche dei sistemi distributivi qualificanti un determinato paese o un area più o meno definita sul piano spaziale; una prospettiva micro, inerente ai caratteri propri delle strategie e delle azioni adottate dai singoli retailer per acquisire/sostenere il rispettivo vantaggio competitivo in senso ampio. Sebbene nel presente lavoro si intenda focalizzare l attenzione sulla seconda direttrice di analisi, all uopo di derivare indicazioni utili alla ricerca scientifica e alla prassi aziendale sui percorsi disponibili per il marketing distributivo, non è sempre agevole in letteratura operare una netta distinzione tra l ottica micro e macro. Novità e cambiamenti sperimentati da singoli imprenditori si impongono nel tempo, trovando diffusione e affermazione nel resto del sistema di offerta, in presenza di adeguata circolazione informativa e in relazione alla loro capacità di imprimere rendimenti tecnico-economici crescenti al sistema di offerta e di ricevere apprezzamento da parte del pubblico 6. 5 Sul retail negli USA, LYNCH (2004, pp ). 6 La teoria dell innovazione si articola in almeno due grandi correnti di ricerca: la ricerca e formulazione dell innovazione e la sua affermazione/diffusione sul mercato. Quest ultimo aspetto è generalmente spiegato tramite modelli di propagazione del cambiamento (cd. teorie epidemiologiche), in forme consensuali (trasferimenti di know how, partnership, collaborazioni ecc.) o meno (imitazione e altro). MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

4 2.1. Teorie sul cambiamento dei sistemi distributivi Nell inquadramento del dibattito sull innovazione distributiva, un fondamentale percorso di analisi è rappresentato partendo da una sistematizzazione delle teorie impiegate solitamente per interpretare il cambiamento dei sistemi distributivi 7. Un primo nucleo concettuale è rappresentato dalle teorie cicliche (teorie della ruota del dettaglio, della price e non price competition o della diversità, della fisarmonica del dettaglio, del ciclo di vita del commercio, del ciclo di vita del prodotto ecc.), le quali interpretano l evoluzione del commercio al dettaglio in termini di alternanza di tendenze contrapposte secondo logiche costanti e predicabili. Tale corpus teorico è stato criticato per la genericità degli assunti, l eccesso di positivismo e la non considerazione dei fattori ambientali specifici e di lungo periodo, come la richiesta di una più ampia varietà di prodotti e servizi da parte della domanda finale. All ottica macro del precedente filone si contrappone la visione analitica delle teorie antagonistico-conflittuali (teoria della dialettica del cambiamento istituzionale, dell azione-reazione in quattro stadi, della modernizzazione indotta dalla difformità dimensionale verticale ecc.), che concepiscono il cambiamento nel commercio come frutto dell interazione intra e interistituzionale: le nuove tipologie distributive emergono come risposta via via consolidata alle problematiche nei rapporti specifici tra categorie di operatori economici a diretto contatto transazionale (tipicamente, industria e trade, con l influenza spesso della regolamentazione pubblica). Il limite di fondo è anche qui la mancata considerazione del fattore ambientale e, soprattutto, il contenimento dell analisi alla sola dimensione economica 8. Diversamente, le teorie ambientali o ecologiche (teoria della selezione naturale, del comportamento adattivo ecc.) correlano l evoluzione commerciale ai mutamenti sociali, al progresso tecnologico, ai vincoli legali e normativi e comunque a pressioni esogene che, pur variando di importanza per i singoli operatori distributivi, sono però comuni ad uno o più ambienti geografici 9. Permane tuttavia l assenza di una organica spiegazione di come le dinamiche tra consumatore e distributore influiscono sull innovazione e il cambiamento dello specifico retail e della complessiva industria distributiva. Neppure risolutive sono le teorie combinative, che operano un integrazione dei precedenti schemi concettuali, senza però chiarire o superare definitivamente le debolezze o approssimazioni degli assunti di partenza. Rientra in questo ambito la corrente strategica, che interpreta l innovazione distributiva come effetto della capacità dell impresa di lettura e anticipazione di esigenze e mutamenti del contesto. Si alternano così nell industria distributiva periodi brevi di rivoluzione commerciale, con la nascita di tipologie radicalmente innovative, e periodi più lunghi di evoluzione e consolidamento delle nuove forme. La costante sottesa a questa visione è però la caduta tendenziale del ritorno dell innovazione, da cui la ricerca da parte dei retailer di nuovi modi di interpretare il proprio ruolo, ad esempio coinvolgendo e interagendo più strettamente con il consumatore. Da ultimo, alcune più recenti teorie che possiamo qualificare ex post come «teorie consumeristiche» 10 operano la rivalutazione del ruolo dell interazione con il consumatore finale nell innesco dei processi di cambiamento commerciale. Alcune di queste proposte (teoria del po- 7 I primi tre raggruppamenti teorici indicati sono stati individuati da BROWN (1988). Per aggiornamenti e approfondimenti, v. anche PIOCH, SCHMIDT (2000). 8 CLARKE (1996) sottolinea che le teorie marxiste finiscono per pervenire, con un interesse e un giudizio evidentemente opposto, alle stesse conclusioni delle teorie conflittuali di stampo neoliberista, ossia la scomparsa delle imprese commerciali minori e la concentrazione del mercato. Sono così trascurati fattori ambientali specifici e consumatore come soggetto attivo. 9 La teoria dello sviluppo evolutivo di DAVIES (1998) descrive il cambiamento nel commercio come interazione tra «spazi di impostazione del retail» derivanti, per un verso, dalla tecnologia e, per un altro verso, dai dinamismi locali di tipo sociale, culturale e istituzionale. 10 Per una rassegna più dettagliata su questo gruppo teorico, v. anche SAMPSON, TIGERT (1994) e MILLER et alii (1998). MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

5 stmodernismo, della nuova geografia umana ecc.) hanno il merito di interpretare il consumo come un processo che parte da prima e va oltre il mero atto isolato, individuale e momentaneo di acquisto 11, incorrendo però in un eccesso di relativismo e di ambiguità. Altre visioni di derivazione marxista e adorniana (teoria critica, neo-marxismo, produzione del consumo, sistema verticale di previsioni ecc.) spiegano sia la modernizzazione e l ingigantimento dei retailer, sia l impiego di tecniche di marketing iperbolico con la ricerca della «quantificazione» e della «standardizzare» anche del valore simbolico e culturale sotteso agli atti di consumo, ma incorrono nel limite di postulare la definitiva tendenza verso un omologazione della cultura di massa 12. Un tentativo di superamento di questo limite si compie con le rivisitazioni della tesi del capitale duale 13, le quali pongono le premesse che conducono alla piena affermazione del cd. marketing esperienziale-esistenziale, inteso come evoluzione generale del complessivo marketing concept alla base degli studi di marketing e delle pratiche aziendali. In sostanza, l attuale enfasi sulla visione esperienziale giace su una concezione dualistica del consumo, inteso come aspirazione inesausta alla creazione o alla trasgressione di vincoli-privilegi sociali, connessi con il processo di identificazione e realizzazione tipico di ogni individuo: processo che è sempre contestualmente di inclusione/associazione e di esclusione/distinzione 14. Essa presuppone altresì un riconoscimento del ruolo attivo, critico e creativo del consumatore 15, storicamente anteriore alla definitiva affermazione del paradigma esperienzale. In ogni caso, sulla base di questi sviluppi teorici, i retailer assumono la qualificazione di intermediari non solo economici, ma anche culturali 16, contribuendo al continuo processo di trasformazione dei valori alla base degli orientamenti di consumo. In questo modo, emergono alcune importanti proposizioni che spiegano le tendenze innovative nel retailing, specialmente in chiave di comunicazione e interazione rivolta al mercato finale. Tra queste, la tendenza alla figurazione della cultura comporta il crescente peso nelle società occidentali di soggetti impegnati in fashion, design, media, advertising e information: è questo un punto che interessa da vicino la presente trattazione, perché coglie le condotte aziendali e le analisi dottrinali più recenti in tema di innovazione nel dettaglio. Infatti, la constatazione della forte rilevanza, nelle società occidentali, di professioni ed interessi sociali connessi alle attività economiche rese possibili o potenziate dal progresso tecnologico pone in luce l emergere di quelle premesse culturali e sociali che, prima ancora delle economiche, sono alla base dell attuale enfasi sulla visione esperienziale-esistenziale Evoluzione del marketing concept Una seconda prospettiva di interpretazione e spiegazione delle più recenti tendenze evolutive ed innovative delle strutture di vendita al dettaglio e del connesso patrimonio di strumenti di marketing è legata alla coniugazione dell evoluzione del marketing concept con la tesi del sistematico «ritardo» della distribuzione rispetto all industria manifatturiera nel processo secolare di industrializzazione e, quindi, di adozione delle più avanzate logiche di marketing management 17. Come emerge dalle considerazioni sinora svolte e dalla letteratura precedentemente richiamata, il ritardo tra industria e distribuzione sembra invero ridursi sempre di più o, quantomeno, è note- 11 JACKSON, THRIFT (1995, p. 205). 12 V. per tutti BATES (1989). 13 BOURDIEU (1979), ripreso da BOCOCK (1993, in specie pp ). 14 V. per tutti FEATHERSTONE (1991, pp ). Conferma la tesi della tensione alla differenziazione sociale DU GAY (1996, p. 98). 15 Tale riconoscimento è ascrivibile a CAMPBELL (1995). Ne discende la critica di CLARKE (1996) alle teorie tradizionali, inclini a concepire i valori culturali connessi al consumo come pre-determinati anziché scaturenti dall interazione tra imprese e individui. 16 PIOCH, SCHMIDT (2000, pp ). 17 Sui motivi del presunto ritardo di industrializzazione e «scientificazione manageriale» dell impresa commerciale rispetto alla manifatturiera, cfr. per tutti BACCARANI (1995, cap. 1). MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

6 volmente cresciuto il grado di modernizzazione del commercio al minuto. In questo senso, considerazione dei più recenti sviluppi in tema di marketing concept risulta decisivo per comprendere i dinamismi nel retail, giacché sia i retailer che gli studi sul retailing sono già intenti alla piena applicazione in ambito distributivo degli ultimi avanzamenti nelle formulazioni del marketing management. La piena applicazione al retail dell evoluzione del marketing concept consente, peraltro, di condurre l analisi su un piano più propriamente micro e manageriale rispetto alla linea di pensiero vita nel precedente paragrafo. In estrema sintesi, l evoluzione del marketing concept può essere e- splicitata nelle seguenti tendenze: transizione da approcci di mass marketing a logiche di one-to-one e/o di tribal marketing 18 ; passaggio dalla logica del transactional marketing a quella del relationship marketing 19 ; consolidamento della sequenza storica che vede la progressiva emergenza e sofisticazione, tanto nella prassi manageriale quanto negli studi economici, prima del product marketing in chiave eminentemente industriale, poi del trade marketing, quindi del consumer marketing e, da ultimo, del retailing in un ottica sempre più orientata all interazione con il frequentatore del punto vendita; superamento degli approcci cognitivi e comportamentisti con l experiential marketing. Queste macrotendenze evolutive del marketing, sul piano sia dottrinale che della prassi manageriale, hanno un diretto impatto e riflesso sul retailing. È proprio al grado di rivisitazione degli assunti logici e degli strumenti di marketing a disposizione degli operatori commerciali che può essere ricollegata l evoluzione più recente della distribuzione e quella prefigurabile negli anni a venire. In particolare, la prima direttrice evolutiva attiene alla omogeneità e consistenza del pubblico di riferimento nelle analisi e nelle azioni di marketing: essa riflette dinamiche sociali di frammentazione della domanda, individualismo nei consumi e discontinuità degli stili di vita 20. L orientamento alla specificazione, alla particolarizzazione appare oggi significativo non soltanto dal punto di vista dell analisi, ma anche da quello dell azione di marketing da parte del retailer: esso trova corrispondenza, dal lato della domanda, nella teoria del consumer entitlement, ossia nell aspirazione individuale a ricevere uno speciale trattamento nelle attività sociali (ivi comprese le economiche) e, quindi, anche negli ambienti di vendita come il retail 21. La seconda direttrice inerisce all intensificazione della competizione nel presidio di un mercato del consumo tendenzialmente maturo e soggetto a saturazione, per cui la ritenzione del cliente diventa fattore critico di successo, implicando una crescente attenzione alla gestione continuativa del rapporto con il consumatore nel tempo e nello spazio 22. Nel contesto del retail, questa ricerca di continuità spazio-temporale può indurre a superare sia la visione della multicanalità nell accezione di diversificazione del business, sia il dualismo tra retailing ed e-tailing, perlustrando la possibilità nel caso dello store fisico di concepire il canale virtuale come un estensione e un arricchimento del contatto con il cliente 23. La terza direttrice risponde all acuirsi della competizione tra gli attori delle filiere produttive e dei canali distributivi e della capacità di pressione del consumatore, con il conseguente tentativo dell industria di ridurre il ruolo della distribuzione di quest ultima di sfruttare appieno il «privilegio» del proprio contatto diretto con la domanda finale. A questo livello, fermo restando la possibilità per l industria e la distribuzione di adottare soluzioni, rispettivamente, di product e customer 18 Sul marketing one-to-one, D. e M. Rogers; invero, le origini di tale visione sono da ricercarsi nel concetto di «relazione e fedeltà diatica», già tratteggiata in WILSON (1975). Sul tribal marketing, COVA (2003). 19 GRONROOS (1994). 20 Conferma già BATES (1989, p. 384). 21 Oltre alla nozione di customer lifetime value in SLYWOTZKY, SHAPIRO (1994), un inquadramento e un primo tentativo di misurazione consumer based, MASON (2005). 22 In tema di marketing relazionale: Sul marketing esperienziale come approccio al mercato, piuttosto che semplice impostazione manageriale, cfr. SCHMITT, ROGERS, VROTSOS (2003). 23 V. per tutti OTTO JAMES, CHUNG (2000). MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

7 marketing e di retailing antagonistiche e contrapposte, alcune prassi dimostrano come scelte di retailing avanzato possano essere compatibili con interessi dei produttori, con un bilanciamento del potere negoziale di volta in volta diversamente distribuito fra i due poli 24. La quarta ed ultima direttrice evolutiva attiene al mutamento delle conoscenze sul comportamento del consumatore e, quindi, alle sue implicazioni per il retailer. Come anticipato, molteplici sono le correnti che tendono a prefigurare una visione inedita del consumatore, compendiabile nel paradigma esistenziale-esperienziale. L experiential economy supera la tradizionale visione cognitivista del processo di scelta del consumatore, così come quella comportamentista, la quale esalta i processi inconsapevoli, le dissonanze cognitive o le miopie valutative sottese alle decisioni di consumo. Essa si pone anche oltre i tentativi di combinazione e integrazione della dicotomia tra razionalità e irrazionalità 25. In questa sede, si fa riferimento al paradigma esperienziale per indicare lo sviluppo più compiuto del pensiero esperienzialista, il quale origina da formulazioni che rischiavano di limitarsi alla considerazione della dimensione emozionale, edonistica e intuitiva 26 per giungere ad una nozione più articolata e problematica di «esperienza», anche tesaurizzando assunti derivanti dalle teorie i- dentitarie sui processi di immedesimazione e appropriazione culturale e dalle teorie della cognizione sociale sul consumo come processo di realizzazione del progetto culturale comunale prioprio o- gni individuo, alla ricerca di sé e di socialità. L applicazione al retailing di quest ultimo versante evolutivo del marketing concept, ossia della prospettiva esperienziale, consente di porre in luce la possibilità di una ridefinizione così delle strategie del distributore nella costruzione della propria immagine di insegna e di store, come delle concrete azioni di marketing in e out store: con riguardo al punto vendita, di rilievo è l esigenza di definire adeguati approcci di progettazione e di intensificare la comunicazione non verbale. Inoltre, la suddetta applicazione consente di addivenire ad una proposta interpretativa inedita circa l innovazione nel commercio e l importanza del ruolo dello store nella teoria esperienziale: alla base di questa interpretazione, vi è la considerazione del rapporto di potere tra industria e distribuzione. Infatti, la declinazione di politiche di marketing in chiave esperienzialista offre all industria l opportunità di conseguire nuovi vantaggi rispetto sia al trade che al consumatore, perché la letteratura esperienziale: da un lato, tende a considerare generalmente il rapporto tra il prodotto-bene e il consumatore, sino a confrontarsi con le strategie e politiche di valorizzazione del brand 27 ; dall altro lato, nelle sue prime formulazioni segna sul piano epistemologico un ritorno dell attenzione dall atto d acquisto alla percezione del consumo (che non coincide con l atto di consumo vero e proprio), offrendo almeno in astratto al produttore un vantaggio. 24 HOTCH (1992) riporta che alcuni produttori hanno adottato macchinari ad alta tecnologia da proporre come chioschi ai retailer, specie di piccole dimensioni, per consentire al cliente di visionare superfici e prodotti residenti direttamente presso il produttore o il grossista. In altri casi, simili attrezzature sono adottate dall insegna facendo sostenere il costo a fornitori e produttori, i quali hanno interesse a curare il software installato nei sistemi touch-screen come forma di comunicazione e advertising al pubblico. È il caso della R. Stevens Express, che ha creato «Debbie the photo counselor», un personaggio di fantasia che appare sullo schermo sensibile al tocco per illustrare opportunità e scelte al frequentatore del punto vendita con prodotti non necessariamente di largo consumo. 25 V. ad esempio il tentativo di mediazione operato dalla teoria culturale del consumatore, richiamata in ARNOULD (2005), la quale però presenta già assunti relativi alla cognizione sociale, propria del filone esperienziale. 26 Cfr. HOLBROCK, HIRSCHMAN (1982). 27 Sul rapporto tra brand e customer esperienze, cfr. SMITH, WHELLER (2002). In concreto, tra gli indirizzi che il produttore può intraprendere verso il consumatore, figurano: l enfasi su attributi del prodotto, come il design; eventi di presentazione del prodotto in contesti, orari e con attività per gli intervenuti inusuali; azioni di viral marketing, tendenti a favorire il senso di comunità, ma anche il dibattito e la condivisione di esperienze sul prodotto, tra i clienti; anche in connessione al punto precedente, uso combinato di mass media e new media; eventualmente, persino azioni di de-marketing. MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

8 Considerando le due motivazioni precedenti, si può comprendere come la lezione esperienziale sia stata oggetto di profonda attenzione da parte dell industria, nella continua ricerca di stabilire e rafforzare rapporti con il mercato finale in cui l interferenza e l influenza del retail potessero essere contenute o, comunque, controllabili. Paradossalmente, però, proprio per questa ragione, il paradigma esperienziale finisce per offrire anche al retailer un incentivo al cambiamento e all intensificazione della competizione di canale, inducendolo gli operatori commerciali a ricercare la traslazione del paradigma dal momento del consumo a quello anche dell acquisto. La combinazione di profili teorici e logiche competitive fattuali ha segnato così, nella nostra ottica, un importante caso di ulteriore sviluppo e avanzamento del marketing concept in esame: laddove l industria può vedere nel costrutto esperienziale un tentativo di recupero/accrescimento del suo ruolo nel canale, il trade tende sempre di più a scorgervi un modo per potenziare il proprio. Ovviamente, ciò richiede al retail la capacità di declinare politiche di marketing innovative, idonee a rendere l esperienza uno degli elementi essenziali dell offerta rappresentata dallo store 28. Dunque, l emergere e il consolidarsi del paradigma esperienziale e la sua interazione con le dinamiche fattuali di canale hanno favorito, nella nostra visione, un avanzamento concettuale all interno del paradigma stesso, con il progressivo affiancamento della shopping experience alla consumption experience. Da ciò un riequilibrio del complessivo approccio esperienziale per industria e distribuzione e la stimolazione ulteriore dell innovazione di marketing, in questa sede perlustrata eminentemente dal lato del commercio al dettaglio Marketing communication theory Un ulteriore prospettiva di indagine delle dinamiche innovative nel retailing è rappresentata dall evoluzione del concetto di comunicazione in ambito di marketing. Invero, l esaltazione della comunicazione nel marketing non è una novità, bensì rappresenta un tratto costante alla base della complessiva visione market driven. La centralità della comunicazione intesa in senso ampio nel rapporto tra organizzazioni e mercato deriva da almeno due basilari correnti di pensiero, ormai consolidati negli studi economico-sociali: l economia istituzionale, la quale si basa sui lavori di Hayek, Hurwicz, Grossman e Stiglitz e interpreta i mercati stessi come sistemi comunicazionali tendenti alla costituzione di un clima di fiducia e trasparenza tra gli attori in grado di massimizzare lo scambio di risorse nel tempo; la teoria della comunicazione umana e nelle organizzazioni, che origina dalle teorie di Shannon e Weaver, di matrice tecnico-ingegneristico e matematico-cibernetica, per poi svilupparsi arricchendosi di contributi ampiamente interdisciplinari (linguistici, psicologici, sociologici ecc.) 29. Neppure appare fondato ritenere che la comunicazione d impresa, in specie di marketing, possa costituire un fattore di promozione dell innovazione nelle condotte degli operatori economici per una qualche sorta di «scoperta recente» del ruolo dell intangibile e dei simboli nel funzionamento aziendale e nel rapporto con il mercato. Infatti, il simbolismo nella comunicazione, anche con riguardo all attività d impresa, è un aspetto da tempo considerato dagli studiosi Cfr. la teoria del mito dell eccellenza in MATHEWS, CRAWFORD (2004), secondo cui il successo del retailer discenda dall attenta considerazione dei cinque fondamentali elementi qualificanti il punto vendita (accessibilità, esperienza, prezzo, assortimento, servizio), ricercando il primato in almeno uno, una certa differenziazione in almeno un altro e il mantenimento a livelli tra di loro omogenei degli altri tre. Sebbene non esista una graduatoria di preferenza tra gli elementi, l esperienza (cd. fattore «oh» o «wow») risulta onnipresente e significativo. 29 Per una visione d insieme e approfondimenti, ANOLLI (2002) e BUTTLE (1995). HAWKINS (1973) definisce la comunicazione una «disciplina eclettica» proprio per l eterogeneità dei suoi fondamenti e la ricchezza di impostazioni. 30 V. per tutti HAWKINS (1973), il quale definisce semplicemente il simbolo come «qualcosa che sta per qualcos altro» ed è determinato ma non controllato (quindi è condizionato) dalla sorgente e dalle condizioni modali del messaggio. MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

9 È dunque opportuno precisare in quale senso la comunicazione possa rappresentare un fattore e un ambito innovativo per le imprese, in particolare del retail. Sul punto, emergono almeno tre argomentazioni: in coerenza con l affermarsi del marketing concept incentrato sulla relazionalità, si profila una distinzione concettuale sempre più consistente fra il tradizionale concetto di «comunicazione di marketing» 31 e una visione dell intero processo di marketing come comunicazione tra l impresa e il mercato. In questo modo, l intera filosofia di marketing trasla dal piano degli oggetti, delle azioni e degli strumenti a quello dei segni, del messaggio e di tutti gli altri aspetti che la teoria comunicazionale prende in esame; esiste un certo iato tra il dibattito dottrinale e la prassi manageriale in tema di comunicazione, per cui non di rado la comunicazione di marketing tende ad appiattirsi sull informazione o ad incorrere in un sovrappiù di retorica, anche quando impiega forme (slogan, aforismi ecc.), senza considerare appieno il contatto compartecipativo tra gli interlocutori e il coinvolgimento delle personalità individuali e collettive 32. Diversamente, sul piano scientifico, la nozione di comunicazione è andata affrancandosi da quella di informazione e ha allargato il proprio contenuto, superando la dimensione verbale più o meno interattiva (conversazione) e includendo anche la dimensione non verbale. Persiste poi una difformità di vedute sull intenzionalità della comunicazione o, in contrapposizione, sulla sua inscindibilità dal comportamento, che è onnipresente 33 ; la possibilità di particolari sinergie tra alcuni indirizzi della teoria comunicazionale, come la semiotica, e il paradigma esperienziale. Dunque, l enfasi sulla comunicazione e la rivisitazione delle logiche comunicative possono rappresentare un versante di miglioramento e innovazione per il marketing distributivo, quando si consideri la comunicazione come momento pervasivo nel marketing e in connessione con l esigenza di declinare le politiche di marketing in coerenza con le consapevolezze offerte dall approccio esperienziale. I recenti dibattiti sull impiego della semiotica nel marketing (cd. marketing semiotico) si muovono proprio lungo questa direzione: va però notato che la semiotica non esaurisce la teoria della comunicazione e può non rappresentare la prospettiva più avanzata per impostare logiche comunicazionali allineate alla visione esperienziale Concezione strategica dello store concept L ultima prospettiva di indagine delle dinamiche innovative nel retailing è rappresentata dall elezione dello store concept ad un rango strategico, per il tramite della concezione dello store come prodotto in senso stretto dell impresa commerciale e la conseguente valorizzazione delle problematiche di design strategico. Prima ancora di esaminare il fondamento dottrinale del punto ven- 31 Tale ambito della comunicazione d impresa rientra nella comunicazione con cui l organizzazione presenta gli elementi finali della sua attività, segnalandone valore, efficacia, utilità e rendimento (BETTETINI, 1993, p. 64). 32 BETTETTINI (1993, pp ). 33 Quest ultima tesi, tipicamente relazionale e legata alla Scuola di Palo Alto, risale ai lavori di Watzlawick, Beavin e Jackson, i quali sostengono che non vi possa essere una non-comunicazione e che la stretta connessione con il comportamento impedisce persino di analizzare disgiuntamente la comunicazione. Per approfondimenti, BETTETINI (1993, p. 13), che sembra propendere per la tesi dell intenzionalità. 34 La semiotica si occupa del segno, inteso come sintesi di significato e significante. Il segno è un fenomeno che significa qualcos altro rispetto al fenomeno stesso. È un sostituto significante di qualcosa, che non necessariamente deve esistere, sicché non vi è un rapporto, neppure di rappresentazione, con le cose. Secondo CIMATTI (1999, p. 86), la semiotica è implicita nella comunicazione, essendo quest ultima semplicemente la trasposizione a livello semiotico della più antica (evolutivamente parlando) e generale capacità non semiotica di percepire e spostarsi nello spazio, con la differenza che, nella comunicazione, lo spazio fisico diventa uno spazio mentale. Nondimeno, sul piano epistemologico, la semiotica è uno dei diversi approcci che qualificano la teoria comunicazionale, che contempla approcci matematico-cibernetici, emerneutici, pragmatici o del contesto, relazionali, psicologicorelazionali, sociologici e loro combinazioni. Per un inquadramento e una critica della semiotica nel marketing, v. MICK (1986) e LAWES (1994). MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

10 dita come componente assolutamente critico e decisivo del processo di acquisto e consumo da parte del cliente finale, giova sottolineare come, ancora una volta, la lezione esperienziale non è priva di interferenze con la visione accennata 35. Anche tenendo conto della menzionata reazione competitiva della distribuzione alla possibilità per l industria di impiegare la concezione esperienziale per ridurre/contrastare il potere di mercato del retail, l experiential view non è estranea al progressivo emanciparsi del punto vendita già unità del sistema di offerta più prossima e contigua al consumatore da concezioni riduttive e comunque strumentali all idea del bene-prodotto intermediato, per assurgere allo status di vero e proprio «prodotto», suscettibile di inedite strategie e politiche di marketing. Nell interazione tra retailer e cliente si consuma infatti l acquisizione e contestuale fruizione del prodotto «shopping experience». Questa rilettura del ruolo e della natura del punto vendita fornisce nuove prospettive di osservazione della tensione tra brand loyalty e store loyalty, originariamente formulata con riguardo agli equilibri di potere tra industria e distribuzione all interno del canale commerciale 36. Soprattutto, amplia il quadro delle analisi sull innovazione distributiva e sul rapporto tra industria e distribuzione e, ancor di più, tra distribuzione e consumatore alla luce della multicanalità distributiva e delle possibilità offerte della tecnologia. Sul piano concettuale, l idea del punto vendita come prodotto, ossia oggetto organico e in sé compiuto proposto al consumatore per l acquisto e il consumo, rappresenta lo stadio terminale di un percorso evolutivo (Fig. 1) che vede lo store affrancarsi da una condizione del tutto passiva, strumentale e marginale per aspirare ad una ben più attiva, dinamica e influente sulle concrete dinamiche di incontro della domanda e dell offerta. Fig. 1 Evoluzione paradigmatica del concetto di punto vendita per l impresa commerciale lo store come luogo fisico di scambio paniere, contenitore di beni servizio commerciale prodotto commerciale tempo Implicazioni manageriali tattico-operative: Normale coordinamento logistico con il produttore Implicazioni manageriali strategiche: Focus sull assortime nto per categorie e marche Integrazione di servizi. Enfasi su location, accesso, private label Crescente dematerializzazione (non delocalizzazione) Esperienza d acquisto. Enfasi su design interno e visual merchandising Traslazione del negozio da mezzo a oggetto dello scambio Fonte: ns. elaborazione 35 Non a caso, WOODGER (1997, p. 16), trattando del design in chiave strategica dello store, propone l equazione «Corporate Identity = Customer s Experience». 36 La concorrenza tra brand e store loyalty è stata introdotta per la prima volta in studi come quello di STEINER (1988), secondo i quali il potere relativo dei retailer risulta superiore a quello dei produttori qualora i consumatori siano disposti a sostituire marche industriali in luogo di cambiare negozio anziché il viceversa. MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

11 Il fondamento dell itinerario concettuale delineato e dei connessi riflessi sul rinnovamento e la sistematizzazione delle logiche e degli strumenti di retailing è rappresentato almeno dalle seguenti impostazioni teoriche: l impiego, nella letteratura di marketing distributivo, delle nozioni di stampo kotleriano di prodotto come entità composita e complessa per l inquadramento dell attività commerciale, se non proprio dello shop 37 ; la tesi del sistematico «ritardo» della distribuzione rispetto all industria manifatturiera nel secolare processo di industrializzazione e, quindi, di adozione delle più avanzate logiche di marketing management 38. Tale formulazione spiega il perché della tardiva e non semplice maturazione negli studi e nella prassi distributivi della rigorosa interpretazione dello store in chiave di prodotto dell impresa commerciale, la quale deriverebbe pur tenendo conto delle rispettive specificità dai più recenti sviluppi del marketing industriale in ottica customer based 39, tendenti a prefigurare il prodotto come complessivo «sistema d offerta», come unitaria product offering, dotata di una capacità comunicativa e inclusivo del bene fisico e delle connesse azioni comunicazionali e promozionali poste in essere dal produttore 40 ; il dibattito dottrinale in tema di strategic design. Questa locuzione sottende una duplice accezione: da un lato, qualifica il momento più alto dell impostazione e progettazione del prodotto e dei processi aziendali, ivi compresa la valutazione dell opportunità e dei fattori critici di successo di un nuovo prodotto; dall altro lato, indica la crucialità della concezione del prodotto nella complessiva business strategy aziendale, in genere in un ottica di ricerca della differenziazione ovvero di una particolare coerenza con l identità di marca/insegna o di corporate; dall altro, qualifica la rivalutazione di taluni attributi del prodotto precedentemente relegati ad una condizione non direttamente rilevante sul piano strategico 41. Con specifico riguardo al retailing, lo strategic design pare rivestire particolare significato, poiché: l esigenza di impostare punti vendita in grado di offrire esperienze di acquisto attrattive e convincenti va coniugata con l ingente mole di investimenti che l allestimento di una struttura di vendita al dettaglio richiede, da cui la peculiare rigidità degli investimenti relativi allo store concept rispetto alla mutevolezza delle condizioni ambientali e delle inclinazioni del consumatore 42. È proprio di fronte a questa rigidità che si delinea come attrattiva la proposta concettuale del design strategico, che è stato definito come l approccio più adeguato al perseguimento di 37 Cfr. per tutti BACCARANI (1995, cap. 1), che prefigura il punto vendita come stratificazione di servizi e utilità intangibili attorno a un «nucleo solido e tangibile», rappresentato dall assortimento. 38 V. ancora BACCARANI (1995, cap. 1), che pone come limite alla definitiva o piena industrializzazione del commercio (almeno in comparazione alla manifattura) l esigenza di «scientificazione» del modo produttivo in ambito manifatturiero. In ottica customer based, cfr. anche la critica di CLARKE (1996, pp ) alle teorie cicliche neoliberiste e a quelle marxiste, cui viene rimproverato di predire il definitivo affermarsi del grande e moderno dettaglio a scapito del piccolo commercio indipendente, senza considerare il ruolo del consumatore. 39 NAUMANN, SHANNON (1992). 40 MATTIACCI (2003). Similmente, il retail offre una potenzialità di consumo che si traduce in senso attuale al momento dell interazione tra punto vendita e acquirente. 41 Per approfondimenti sulla nozione di strategic design, originariamente sviluppatosi in ambito manifatturiero, v. MRAZ (1999), che ne contesta in parte il contenuto e l uso, CLANCY (1998). Per un esperienza di impiego nel gestione complessiva dell impresa, v. METZ (2000). DUNNE (2004), quasi in contrapposizione a Mraz, distingue tra design tattico (craft design) e strategico (strategic o business design), essendo quest ultimo chiamato ad individuare e valutare un esigenza/opportunità, prima di esplicitarla ed esprimerla. 42 V. le considerazioni in WOODGER (1997, pp ). Il fondamentale limite di questo contributo sullo store design risiede nel fatto di considerare tale aspetto, quand anche posto sul piano strategico, come un input, ossia come una componente della strategia di gestione delle risorse, laddove il patrimonio immobiliare delle imprese può assurgere ad output del processo strategico, in termini di particolare componente della complessiva business strategy e di investimento nel mercato immobiliare: v. la corporate real estate strategy e la concezione degli edifici dell impresa come prodotti, BROWN (2001, pp , ove riferimenti al pensiero di Nourse e Roulac). MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

12 risultati distanti nel tempo ma molto positivo quando la forma del prodotto finale non può essere determinata in anticipo o in modo relativamente agevole 43 ; presenta un assoluta peculiarità, consistente nella sovrapposizione delle logiche sia di product design che di environment design, le quali differiscono fondamentalmente tra di loro. Infatti, il punto vendita incorpora al contempo proprietà del prodotto industriale, in un ottica market driven, e i tratti delle realtà architettoniche e immobiliari (grande dimensione, immobilità e attitudine a contenere persone e attività umane) 44. Non mancano le conferme dirette della fondatezza ed opportunità di una rivisitazione degli assunti e delle impostazioni di marketing distributivo, a partire dall effettiva qualificazione del punto vendita del retailer: la tesi dell «innovazione sistematica» da parte dell impresa commerciale suppone proprio l applicazione al retail di un ottica industriale nella concezione dello store come prodotto dell impresa. Tale impostazione, basata sul modello market driven della concorrenza allargata e della catena del valore di Porter, constata l ampiezza e profondità dei processi dinamici circostanti la distribuzione, includendo i nuovi comportamenti di acquisto/consumo (o le nuove consapevolezze sugli stessi), la crescente attesa su crescita e profitti del settore distributivo, le nuove sensibilità sociali su valori ecologici e collettivi, nonché le tecnologie comunicative e l internazionalizzazione dei mercati di acquisto e vendita. A fronte di questo quadro, l innovazione distributiva appare affetta da una certa «miopia» e da una visione relativamente strumentale del commercio rispetto al prodotto industriale: ciò può precludere l intraprendimento di innovazioni radicali, idonee a rispondere e anticipare le tendenze ambientali 45. Il motivo di questa carenza è appunto la diversa concezione dell innovazione rispetto al produttore industriale, che sottende evidentemente una certa difficoltà nell approdare ad una visione organica dello shop come prodotto. Ancora, la già richiamata teoria del mito dell eccellenza sottolinea come le più recenti strategie di valorizzazione del punto vendita tendono a spostare il focus dalla tradizionale enfasi sulla posizione e la dimensione dello store alla sua possibilità di essere «navigato» dal consumatore conseguendo un esperienza significativa 46. Infine, la teoria della coerenza culturale (cultural continuum theory) sottolinea che la percezione dell esperienza di acquisto è influenzata significativamente dalla continuità tra obiettivi del cliente e proprietà della display information resa disponibile nello shop, sicché assumono rilievo strategico aspetti quali l apparenza visiva, l entertainment e il servizio Store concept innovativi e tecnologie multimediali 3.1. Tra esperienza e modernità: alcuni esempi di nuovi concept nel non food Le tendenze evolutive del retailing richiamate in precedenza pongono in luce processi di ridefinizione sia delle strategie del distributore nella costruzione della propria immagine di insegna e di store, sia nelle concrete azioni di marketing in e out store. In particolare, con riguardo al punto vendita, la più accurata progettazione di spazi e forme e l intensificazione della comunicazione anche non testuale sembrano essere priorità manageriali rilevanti per il prossimo futuro (Fig. 2). 43 Cfr. NUTT (1988) in ambito architettonico. 44 BROWN (2001) sottolinea che il design architettonico differisce da quello del prodotto di consumo in senso stretto perché sono diverse le fasi del processo decisionale, non è possibile un test se non in condizioni molto più riduttive rispetto al caso del bene di consumo e la comparazione è l unico metodo di valutazione di costruzioni e interni. 45 LIEBMAN, FOSCHT, ANGERER (2003, in particolare p. 57). 46 V. nota 28 e anche TORTOLA, MCGONIGLE (2004). 47 MATHWICK, MALHOTRA, RIGDON (2002). MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

13 Fig. 2 Tendenze del retailing secondo il report «Retail Innovation: Ten Opportunities for 2010» di Retail Forward Catch a Wave: Solve My Problem: Do It for Me: Help Me Choose: Come to Me: Enhance the Experience: Make It Easy: Do It My Way: Help Me Connect: Speed It Up: Fonte: CHAIN STORE AGE (2005, p. 34) respond to demographic or societal trends such as the aging population add services to bring competitive differentiation for example, provide installation services or home-mealreplacement options utilize on-demand information kiosks connect with consumers wherever they are, at home, at work or in the car bring the brand to life save consumers time and effort through process, service and design turn to customers for help in the development of new products and services foster a community spirit among customers respond to the customers who want things now È sulla base di questi assunti concettuali che il panorama distributivo sembra accentuare la propria attenzione verso le nuove tecnologie comunicative e la caratterizzazione in senso modernista degli ambienti di vendita Il ruolo della multimedialità nello store concept Una delle manifestazioni dei più moderni approcci alla definizione degli ambienti di vendita è il ricorso alle nuove tecnologie multimediali sia come strumenti di comunicazione sia come veri e propri componenti dello store. Molte, se non tutte, le fasi del retail dall approvvigionamento dei prodotti fino alla fidelizzazione dei clienti, passando attraverso i processi di gestione, organizzazione e comunicazione del punto vendita e dei prodotti in assortimento sono sempre più interessate dall IT; anche l ambientazione e la comunicazione innovativa possono ricevere contributi dalle tecnologie digitali. Queste consentono di cambiare il modo di operare e, soprattutto, quello di comunicare: ad e- sempio, la gestione centralizzata dei prezzi visualizzabili su display LCD permette politiche di differenziazione in base al giorno o in funzione delle diverse fasce orarie. In questa sede, per device tecnologico intendiamo, in senso ampio, ogni moderno impianto impianto multimediale e attrezzatura in grado di contribuire alla comunicazione al frequentatore del punto vendita attraverso effetti apprezzabili sul piano sensoriale (vista, udito, olfatto, tatto) e cambiamenti del proprio stato più o meno direttamente influenzabili dal comportamento del cliente stesso nell ambiente di vendita (strumenti digitali di comunicazione testuale, grafica e sonora, impianti di illuminazione, superfici mutevoli ecc.). In concreto, il ricorso alle tecnologie avanzate e dei new media nello store per il suo design e la comunicazione innovativa si traduce nell utilizzo di ambienti olfattivi, display al plasma di grandi dimensioni, sistemi di proiezione su cortine d aria o d acqua, fog screen e water screen, sistemi di diffusione sonora localizzati, hypersound system applicati sulle vetrine, whispering windows ecc. Tali soluzioni sono controllate e integrate fra di loro per via informatica e il progresso tecnologico contribuirà a fornire soluzioni in grado di stimolare ulteriormente i sensi e le altre fonti della percezione umana, che è alla base della comunicazione e dell esperienza. La crescente visualizzazione delle logiche di ambientazione e merchandising del punto vendita è dimostrata dal graduale passaggio dalle radio in store alle TV in store, accessibili anche all uso da parte del pubblico. Ne- MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

14 anche il senso dell olfatto può essere dimenticato, essendo molto diretto e capace di fornire informazioni indelebili all umana cognizione, interagendo strettamente con vista ed udito 48. I device tecnologici e multimediali sono caratterizzati dalla grande capacità di esporre in forma digitale ogni forma di comunicazione testo, dati, immagini, suoni di interrelarsi con i mezzi di comunicazione tradizionali (computer, telefonia, TV, editoria cartacea) integrandoli in un quadro unitario e di offrire un livello di interattività inedito, consistente nella possibilità di rispondere in modo rapido e differenziato al messaggio trasmesso da una fonte comunicativa prossima o remota. Essi, pertanto, qualificano un tentativo più di convergenza di significati cioè come tensione verso una comprensione reciproca che di mera trasmissione di contenuto, favorendo l esaltazione delle possibilità comunicativa in ogni loro dimensione (ipermedialità) 49. L uso delle nuove tecnologie contribuisce all esaltazione della valenza simbolica dell assortimento veicolato e, ancora di più, delle caratteristiche estetico-architettoniche dell interno dello store, con cui l insegna tenta di «spostare a valle» del canale l esperienza d acquisto e consumo significativa per il consumatore, proponendosi come experience provider in grado di contendere il ruolo all industria. Si offre così un interazione nello store non più soltanto tra persone o tra persone e prodotti-bene in assortimento, ma anche tra le persone e il punto vendita come prodotto compiuto e fondamentale elemento della relazione con il distributore. Lo store subisce processi di qualificazione e caratterizzazione concettuale idonei a segnalarne il contenuto simbolico, la «capacità socializzante» e i caratteri evocativi ed emozionali, in modo da influenzare positivamente le sensazioni e l attenzione del cliente. Questi non ricerca sempre l ottimizzazione del rapporto qualità-prezzo, né la massima convenienza di prezzo né una shopping expedition rapida e funzionale ad esigenze di acquisto strettamente definite ex ante: in specie, il prezzo può essere considerato non come «vincolo» da rispettare per entrare in possesso di un bene finalizzato a soddisfare un certo bisogno, bensì quale «riconoscimento» della presenza di opportunità di soddisfazione dei propri bisogni 50. Giova precisare che l esaltazione della multimedialità e della modernità tecnologica (in termini di materiali, strumenti di comunicazione e idee estetiche) nell ambito dello store concept: non significa necessariamente ricerca di grandissime dimensioni espositive, adozione di politiche di differenziazione dell assortimento (premium price) o impostazioni orientate all idea di shopping come occasione ricreativa, edonistica e di entertainment. Intendere la progettazione esperienziale del punto vendita in termini di enfasi obbligata sull irrazionalità del cliente appare riduttivo, strumentalizzante e fuorviante, essendo invece prioritario ricercare un coinvolgimento emozionale (che supera la semplice emotività ed implica la più ampia stimolazione della sfera percettiva, affettiva e ideale del visitatore) da declinare nelle forme più opportune, tendendo conto dei target e della coerenza con le diverse dimensioni logiche dello store (assortimento, posizionamento di prezzo, promozioni pice e non price, immagine d insegna ecc.) 51 ; 48 Il ruolo dell olfatto nello shopping risulta ancora poco appurato sul piano empirico, soprattutto per la difformità delle impostazioni di ricerca: BONE PAULA FITZGERALD, ELLEN PAM SCHOLDER (1999). 49 Tra i primi contributi in materia di ICT e impiego aziendale, RICE (1984) e ROGERS (1986). Sull interattività v. RAFAELI (1988), mentre la definizione dell hypermedia computer mediated environment (HCME) come forma comunicativa in cui sono possibili interazioni intertestuali (con il media) e interpersonali (attraverso il media) si deve a HOF- FMAN, NOVAK (1995), che distingue tra internet, altre reti e servizi connessi da new media come video on demand e cd-rom. 50 Sul limite delle politiche di convenienza esasperate per attrarre e fidelizzare il pubblico di moderni store, v. le considerazioni in TORTOLA, MCGONIGLE (2004). 51 Esistono casi di store design in senso esperienziale tesi ad agevolare la comprensione dell offerta nel punto vendita ed esaltare l offerta di marche sempre più rinomate e raffinate. Altrove si critica la tesi della presunta contrarietà del cliente a forme e ambienti anticonvenzionali, inusuali e apparentemente di difficile comprensione. Ancora, uno store concept esperienziale può sottendere una concezione del visitatore come «spettatore» cui va offerto una realtà spettacolarizzata, teatralizzata, in grado di segnalare il valore simbolico delle marche e dei beni proposti. In altri casi, il punto vendita è concepito per rendere il frequentatore uno «spett-attore», in grado di interagire più attivamente. V. al rigardo FORCHETTI (2003), ove la distinzione tra: MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

15 è una prospettiva perseguibile in ogni settore del commercio. Storicamente, essa origina dall esperienza delle più grandi catene multinazionali come Wal Mart e sta trovando progressiva affermazione in comparti ritenuti ad elevata intensità simbolica ed immateriale, come il fashion o più in generale i beni di lusso. Nondimeno, non mancano esperienze e interessamenti nel settore dei beni durevoli in generale (come abbigliamento, elettronica di consumo, giocattoli, automobili, complementi per l arredo) e nello stesso settore food e del largo consumo 52. Nell approccio esperienziale al punto vendita, sono importanti la polisensorialità e la fruizione sinestetica del negozio, aspetti che permettono da un lato di ribadire i valori della marca senza rappresentarli né tantomeno ripeterli verbalmente e dall altro producono un intensificazione del messaggio che agevola la memorizzazione. Rilevante è pure il ritorno immediato di informazione reso possibile soprattutto dall interattività. Queste condizioni sono ben supportate ed enfatizzate dalla multimedialità, che offre bidirezionalità della interazione, qualità ed efficacia delle interazioni con il cliente e un ampia varietà di strumenti di rappresentazione rispetto ai sensi umani. La multimedialità può rappresentare, dunque, un valido strumento per politiche di customer relationship management e di one to one marketing, nonché per inedite collaborazioni di canale, in quanto: agevola il tentativo di abilitare l interazione, stimolare la personalizzazione e favorire esperienze significative; crea un ambientazione virtuale integrata, se non parallela ed assorbente, rispetto all ambientazione fisica, con un controllo in tempo reale almeno dei messaggi veicolati dal retailer; permette anche la rilevazione interattiva e tempestiva delle abitudini e dei desideri dei clienti, donde la possibilità di richiamare l interesse dei produttori industriali. Va però chiarito che la multimedialità non può essere l unico versante di innovazione dello store design in ottica strategica ed esperienziale, non garantisce alcun automatismo in ordine alla coerenza (mapping o fit) tra concept di punto vendita, propensioni del cliente e valorizzazione di marche/assortimento e può non essere priva di effetti controproducenti. Infatti, sussiste sempre il rischio di comunicare valori che non corrispondono alle intenzioni dell insegna o alle valenze delle marche da esaltare. I supporti di comunicazione hanno tempi di sedimentazione diversi nel vissuto e nell immaginario del pubblico e, poiché medium comunica innanzitutto se stesso e solo in secondo luogo i contenuti veicolati, è possibile che i visitatori provino esperienze negative o estranianti e si product oriented store; brand oriented store; user oriented store. 52 Un esempio recente è, nel comparto food, il Gruppo UNES, presente in Lombardia, Piemonte ed Emilia Romagna con 152 punti vendita di cui 90 di proprietà e 62 in franchising. Unes contempla diverse tipologie di punto vendita, ai quali corrispondono altrettante e differenti insegne: supermercati Unes di prossimità con insegna «U! Come Tu Mi Vuoi»; convenience store con insegna «U2 Doppia Convenienza»; supermercati affiliati/somministrati con insegne «U! Come Tu Mi Vuoi», «U2 Doppia Convenienza» e «Tutto OK» (superette di prossimità). Unes ha elaborato negli ultimi anni un nuovo concept di vendita, realizzato attraverso punti di vendita che prevedono un sistema di comunicazione incentrato su insegna, layout, display, luci, colori, forme, suoni e personale. Per quanto riguarda l interno del punto vendita, Unes propone colori di fondo tenui e caldi in grado di creare un ambiente piacevole e sereno. Per l illuminazione degli ambienti vengono utilizzate luci morbide e ovattate, utili alla creazione dell atmosfera, e luci dirette sui prodotti per enfatizzare i cromatismi ed agevolare la selezione delle referenze. Il reparto dei freschi è più invitante, più luminoso e più caratterizzato; le forme delle testate di gondola e della barriera casse sono caratterizzate da contorni morbidi per evocare calore, sicurezza e protezione. La presentazione delle merci è stata razionalizzata e resa più tematica. I materiali di merchandising sono coordinati ed uniformi nello stile. Nell ambiente viene diffusa una musica di atmosfera. Sistematicamente, la catena effettua interviste dirette ai clienti abituali ed anche a quelli occasionali per raccogliere le loro percezioni. MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

16 trasformino in «free rider» che ripagano, con la stessa moneta virtuale, i loro fornitori di esperienze di consumo. Per queste ragioni, l uso di multimedia device nello store richiede pur sempre una progettazione adeguata. Questa dovrebbe proporsi che le tecnologie non sortiscano un effetto invasivo, si inseriscano nel più ampio quadro di una determinata strategia di design del punto vendita tramite raccordi in termini di contiguità o contrapposizioni con altri aspetti dell ambiente (come materiali, forme architettoniche, luci, abbigliamento del personale ecc.) e supportino azioni, processi e attività nello store individuate e analizzate dal punto di vista dell user, del cliente. 4. Il flagship store Manhattan Epicentre di Prada Il sistema della moda presenta spesso concept di vendita con investimenti incentrati sull impiego di nuove tecnologie e di device multimediali, che consentono al retailer ora di «teatralizzare» l assortimento veicolato, ora di stabilire un interazione attiva con il visitatore. Un interessante e- sempio di flagship store orientato all interazione e all esperienza del visitatore è il PRADA Manhattan Epicentre 53. L identità del marchio Prada si fonda sulla riconoscibilità di uno stile contemporaneo e distintivo, su un estetica minimalista e sull innovazione di prodotto. Al posizionamento attuale del marchio hanno contribuito in maniera rilevante la superiorità qualitativa dei prodotti, il prestigio di un marchio storico e l accurata pianificazione di strategie di marketing focalizzate sulla comunicazione e sulla distribuzione. Alla luce di tali considerazioni, anche Prada, nell evoluzione delle strategie distributive, ha seguito il percorso che porta oggi a focalizzare l attenzione sull apertura di flaghip store a forte contenuto tematico o concettuale. Fig. 3 Comunicazione della brand identity nei flagship store Prada Elementi hard location layout esterno layout interno atmosfera tematizzazione Fonte: ns. elaborazione Elementi soft intrattenimento interazione (coinvolgimento) personale di vendita All interno del flagship store, i manichini occupano gli stessi spazi calpestabili dai visitatori e si mescolano con loro, in modo da sollecitare sensazione di accessibilità, piena disponibilità del retailer e immedesimazione del cliente nell ambiente di vendita. I prodotti rientrano nella gestione dello spazio e non vengono solamente esposti, ma contribuiscono alla definizione dei luoghi e dei percorsi, sì da favorire il contatto tra il visitatore ed i prodotti stessi. Lo spazio è stato progettato per risultare di alto impatto estetico e spettacolare, con un architettura ardita e con l obiettivo di modernizzare l immagine di Prada, legando la marca ai concetti di sfida e sperimentazione. Al fine di raggiungere tale obiettivo di comunicazione, all interno di tale struttura vengono utilizzate diverse applicazioni: applicazioni di relazione o service device (customer cards, staff device, i-label,dressing rooms interattive), funzionali al supporto delle relazioni reali fra lo staff ed i visitatori; 53 Nell ambito del «sistema moda», Prada opera nel mercato del lusso, composto dai prodotti che costituiscono «l alto di gamma» dii abbigliamento, calzature, pelletteria, occhiali, profumi, cosmesi, gioielli ed orologi. MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

17 applicazioni di comunicazione o multimedia device (ubiquitous screen, triptych, touch screen, sezione personalizzata del sito web Prada), funzionali al supporto delle relazioni virtuali fra la marca e i visitatori. Tra le prime tipologie di applicazioni, giova richiamare l importanza della customer card, che rende possibile l interazione wireless con gli altri dispositivi presenti nel punto vendita, come le staff device, consente di leggere dal database centrale tutta una serie di informazioni relative ai clienti, riporta un codice numerico che consente l accesso ad una sezione personalizzata del sito web e permette, all uscita, di assolvere alle formalità in modo più rapido. Ancora, l etichetta interattiva consente di seguire i prodotti nell arco della loro vita e dei vari spostamenti, funge da certificato di autenticità, è programmata come dispositivo di sicurezza e sostituisce la ricevuta. La dressing room interattive consiste, invece, in un ambiente di 2 mq con pareti in vetro che passano da trasparente a traslucido quando la stanza è occupata, all interno del quale il cliente può cambiare il colore e l intensità della luce per poter osservare i capi scelti in differenti atmosfere. Infine, sono presenti scanner wireless e monitor touch screen, nonché il magic monitor in alternativa al tradizionale specchio. Tra i multimedia device, figurano i touch screen che funzionano attraverso un sensore a infrarossi in grado di rilevare la posizione della mano dell utente e di interpretare, sulla base di questa, le sue scelte. La superficie di questo device multimediale non è uno schermo, bensì un sistema che riceve le immagini da un proiettore. Casi come i Prada Epicentre di New York e Tokio offrono scenari davvero speciali, dove la tecnologia digitale svolge un ruolo primario nel rapporto con il visitatore. Assistenti personali in forma di computer palmari, specchi simili a grandi schermi al plasma, touch screen e molteplici altri sistemi hi-tech perfettamente integrati con il sistema classico del punto vendita guidano il cliente/spettatore all interno di un esperienza multisensoriale. 5. Il concept store di Tad a Roma I flagship store sono tra le espressioni più avanzate della capacità della distribuzione di atteggiarsi a momento decisivo di realizzazione dell esperienza per il consumatore. Tuttavia, essi sottendono ancora un idea di fondo del momento distributivo come subalterno al prodotto-bene e, trattandosi quasi sempre di ambienti monomarca, possono implicare una concezione strumentale dell ambiente di vendita rispetto all immaginario valoriale della marca. Accanto a queste realtà, è dunque opportuno considerare i concept store, un altra tipologia distributiva dalle connotazioni forti e distintive, la quale può meglio evidenziare il ruolo del retailer indipendente. Se flagship e concept store sono accomunati dal fatto di perseguire obiettivi non di vendita immediata e occasionale, bensì di transito prolungato e fidelizzazione dei clienti, il concept store si configura come uno spazio mono o multimarca che contempla il potere della marca, comunque significativo, nel più ampio quadro di una proposta di beni interconnessi solo marginalmente da relazioni funzionali e più intensamente da nessi di complementarità simbolica, compendiati nel «tema» o «nel concetto» alla base dell ambiente di vendita. Ciò comporta che l assortimento veicolati dal concept sia composto da beni selezionati per il fatto di avere un vissuto comune e da personalità di marca compatibili e non distoniche. Il concept store è ormai presente in Italia con diverse realtà significative 54. Tali store propongono l enfatizzazione estrema della logica dello shop in shop, con la creazione di una pluralità di ambienti legati tra loro sul piano ideale, prima che estetico o contenutistico; molto più spesso, si sostanziano di strutture complesse che offrono, oltre ad un ampia scelta di griffe, anche autonome realtà interconnesse, come librerie, parrucchieri, fioristi e beauty center, nonché bar, laboratori artistici e angoli del collezionismo. 54 V. ad esempio Open, Ethic, Universo Sanchez, Lizard e Luisa Via Roma situati a Firenze. MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

18 È possibile interpretare il concept store come un «salotto», un luogo a metà tra lo shopping e sensazioni che variano (a seconda dei casi) dallo svago al divertimento alla concentrazione mentale. Le proposte commerciali vengono valorizzate dalla componente sociale e culturale, attraverso attività rilassanti e ricreative, rappresentate ad esempio dall organizzazione di mostre, di concorsi, di serate a tema volte a promuovere l attività di vendita. Sono anche possibili eventi più indirettamente legati all attività commerciale e che coinvolgono la musica, l editoria e l arte in tutte le sue declinazioni. Lo scopo è quello di definire un contesto più o meno distintivo, originale ed esclusivo, in cui il cliente può trascorrere ore in compagnia di musiche coinvolgenti ed effetti visivi particolarmente stimolanti, sentendosi parte di una situazione dinamica e mutevole, in grado di suscitare sensazioni differenti da store a store. Nel campo del fashion, elemento costante di tali ambientazioni è la connessione con l estetica, la moda e l immagine, nonché con l idea stessa di partecipare ad un ambiente «di tendenza». Un esempio significativo in merito è il «Tad conceptstore» di TAD, situato a Roma in via del Babuino, 155a. Si tratta di una struttura disposta su due piani per oltre mq di estensione complessiva. Il distributore è presente con un altro concept store a Knightsbridge, Londra, all interno del secondo piano di Harrod s. Lo store sito a Roma presenta un vasto assortimento, composto da prodotti utili alla cura del corpo, ma anche da ulteriori merceologie relative all abbigliamento, agli accessori, alla musica, ai complementi per l arredo. È persino possibile reperire terriccio, piante rare e mediterranee: il tutto è proposto in modo singolare, attraverso l utilizzo di luci, colori, suoni e musiche che caratterizzano la filosofia di vita che il concept desidera trasmettere ai clienti/visitatori. Il Tad store in questione, inoltre, mette a disposizione della clientela anche un hair stylist e un ristorante, in cui si può gustare una cucina fusion mediterranea. Tra i servizi aggiuntivi volti a soddisfare i bisogni di svago e di divertimento figurano anche gli eventi in grado di arricchire l esperienza d acquisto e quella di consumo. Anche in Tad a Roma l atto di acquisto aspira ad essere un esperienza ricca di significati simbolici, caratterizzata dall aspetto ludico e ricreativo, in grado di coinvolgere sia la dimensione razionale e funzionale, sia quella emozionale ed edonistica. In definitiva, le considerazioni svolte e gli esempi richiamati dimostrano come la comunicazione in forme innovative e supportate da strumenti hi-tech desti l interesse di svariate insegne sia del food che del non food. Un aspetto centrale di tale tendenza è l evoluzione dell impiego di tecnologie da logiche di processo e di cura della qualità del servizio (in termini di continuità, affidabilità e riduzione sistematica dei tempi) a logiche di vero servizio percepito dal cliente, con il dischiudersi di una prospettiva di reale multimedia merchandising 55. Questa tendenza raggiunge livelli di particolare originalità, intensità e spettacolarizzazione nel fashion, ove si cerca al contempo di valorizzare ancora di più l immaginario di marca ovvero costituire nessi cognitivi ed emozionali in grado di rivitalizzare, ampliandola o approfondendola, l immagine del brand. 6. Bibliografia consultata ARNOULD E. (2005), Animating the big middle, in Journal of Retailing, n. 2, 2005, pp BACCARANI C. (1995), Imprese commerciali e sistema distributivo. Una visione economicomanageriale, Giappichelli, Torino. BATES A. D. (1989), The Extended Specialty Store: A Strategic Opportunity for the 1990s., in Journal of Retailing, n. 3, pp BEATTIE J., DITTMAR H., FRIESE S. (1999), Gender identity and material symbols: objects and 55 Conferma già HOTCH (1992). MIB School of Management e Società Italiana Marketing, Trieste, 2-3 dicembre

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