Corso di alta formazione sul Gioco Pubblico. Tesina. Candidato: Dott. Raffaele Salerno

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1 Corso di alta formazione sul Gioco Pubblico Tesina Il processo di tutela e di valorizzazione del tempo nei rapporti tra privati e pubbliche amministrazioni con particolare riferimento alla risarcibilità del danno causato dalla tardiva conclusione del procedimento amministrativo (comma 1 art. 2bis della 241/90) Candidato: Dott. Raffaele Salerno

2 Il processo di tutela e di valorizzazione del tempo nei rapporti tra privati e pubbliche amministrazioni, con particolare riferimento alla risarcibilità del danno causato dalla tardiva conclusione del procedimento amministrativo (comma 1 art. 2bis della 241/90) A 15 anni dalla prima legge generale italiana sul procedimento amministrativo, la 241 del 1990, il Parlamento ha approvato la legge del 18 giugno 2009 n. 69, che apporta un serie di modifiche alla disciplina del procedimento amministrativo, modifiche ispirate ai principi di semplificazione e velocizzazione dell azione della P.A. in linea con l aspirazione a un evoluzione verso una maggiore democraticità dei rapporti tra cittadino e poteri pubblici e in continuità con il percorso già tracciato dalla duplice riforma apportata solo qualche anno fa, con la legge 11 febbraio 1995, nr. 15, e col decreto legge 14 marzo 2005, nr. 35, convertito con modificazioni nella legge 14 maggio 2005, nr. 80. E così la legge del giugno scorso 69/2009 stringe il torchio nei confronti dell amministrazione inerte e la costringe a pagare. Se il tempo ha un valore economico allora anche la p.a. ne deve prendere atto. E inutile dire che il processo è stato reso lento e difficile dalle resistenze opposte in modo particolare dalle pubbliche amministrazioni, ritrose per natura ad accettare l imposizione di un qualsiasi obbligo di fare entro un tempo predeterminato. Tanto che molte amministrazioni non hanno ancora adottato un regolamento che individui i termini entro cui provvedere. Pertanto la ratio della legge n. 69 con particolare attenzione all articolo 7, è volta a spezzare tali resistenze; pertanto, occorrerà concentrare l attenzione su questa norma, sottolineando subito che essa assume rilievo per due ragioni. In primo luogo, perché, nel riscrivere integralmente l art. 2 della legge n. 241 del 1990, individua un termine finale di conclusione dei procedimenti amministrativi applicabile all attività di tutte le pubbliche amministrazioni. In secondo luogo, perché codifica le conseguenze del mancato rispetto dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi. 1) L individuazione del termine finale di conclusione di tutti i procedimenti amministrativi L art. 7, e. I, lett. b) della legge n. 69, come si è detto, riscrive interamente l art. 2 della legge n L impianto complessivo della nuova norma non è molto diverso rispetto al passato. La novella lascia inalterato, infatti, il generale obbligo di provvedere mediante l adozione di un provvedimento espresso entro termini prestabiliti, limitandosi soltanto a specificare che l obbligo si applica a tutte le pubbliche amministrazioni, ivi comprese le autorità di vigilanza e di garanzia, e che il termine entro cui lo stesso deve essere adempiuto decorre «dall inizio del procedimento di ufficio o dal ricevimento della domanda, se il procedimento è ad iniziativa di parte».allo stesso modo, la novella lascia immutato il procedimento di formazione del silenzio rifiuto e il meccanismo di individuazione dei tempi di conclusione di ogni procedimento, confermando l esistenza di «tre tipi di fonti» alle quali riferirsi per stabilire il termine entro cui le amministrazioni devono provvedere: le leggi di settore, in mancanza, i regolamenti che ciascuna amministrazione è obbligata ad adottare e, residualmente, il c. 2 dell art. 2 della legge n. 241, che, ritornando al passato, individua il termine in trenta giorni. A ben vedere, tuttavia, lo nuova norma, che peraltro restringe le ipotesi di legittima sospensione dei termini procedimentali al solo caso in cui

3 essa sia strumentale ad acquisire «informazioni o... certificazioni relative a fatti, stati o qualità non attestati in documenti già in possesso dell amministrazione o non direttamente acquisibili presso altre pubbliche amministrazioni» contiene una novità di assoluto rilievo. Si tratta dell imposizione di un limite preciso alla discrezionalità tradizionalmente attribuita a ciascuna pubblica amministrazione nella individuazione dei tempi di conclusione dei procedimenti di propria competenza. Limite che probabilmente deriva dalla intenzione del legislatore di porre fine all inadempimento da parte di molte amministrazioni dell obbligo di autodeterminare i tempi di svolgimento della propria attività, nonché di eliminare le asimmetrie esistenti nei regolamenti finora adottati. Stabilisce, infatti, il nuovo art. 2 della legge n. 241 che i regolamenti delle pubbliche amministrazioni, di regola, non possono individuare un tempo di conclusione dei procedimenti superiore a novanta giorni, i quali possono essere elevati fino ad un massimo di centottanta giorni «nei casi in cui, tenendo conto della sostenibilità dei tempi sotto il profilo dell organizzazione amministrativa, della natura degli interessi pubblici tutelati e della particolare complessità del procedimento» è indispensabile prevedere un termine superiore. La novità è evidente e consiste nell avere finalmente individuato, in via legislativa e con poche eccezioni, un termine finale di conclusione di tutti i procedimenti amministrativi. A differenza del passato, quando la norma sarà a regime e le regioni e gli enti locali avranno adeguato i loro regolamenti alle nuove disposizioni, e cioè tra un anno decorrente dalla data di entrata in vigore della legge n. 69, non potrà infatti esistere un procedimento di durata maggiore di novanta giorni, fatti salvi i casi eccezionali previsti direttamente dalla legge n. 241, dalla legge n. 69, da specifiche leggi di settore ovvero da puntuali norme regolamentari, alle quali è comunque impedito di prevedere un termine finale superiore a centottanta giorni. 2)Le conseguenze del mancato rispetto dei tempi di conclusione dei procedimenti amministrativi: Consapevole che una previsione di questo genere, non assistito da misure correttive, ben difficilmente sarebbe stata percepita come cogente all interno degli apparati amministrativi, il legislatore ha infatti deciso di prevedere espressamente le conseguenze derivanti dal mancato rispetto dei termini di conclusione dei procedimenti amministrativi. Pertanto due sono le conseguenze di cui parleremo, con particolare attenzione alla seconda: La prima, che ha una efficacia giuridica interna all amministrazione procedente, attiene agli effetti - evidentemente negativi - che la mancata emanazione del provvedimento nei tempi prestabiliti produce sulla responsabilità dirigenziale e sulla corresponsione ai dirigenti della retribuzione di risultato; La seconda, che ha invece una efficacia giuridica esterna all amministrazione procedente giacché prefigura una forma di tutela in capo ai titolari di una situazione giuridica lesa dall inosservanza dei tempi procedirnentali, attiene invece alla risarcìbilità del cosiddetto danno da ritardo. Vista la diversità degli effetti, conviene che le due conseguenze siano esaminate separatamente, ad iniziare da quella che incide all interno dell amministrazione. 2.1 Le conseguenze interne all amministrazione:

4 Le conseguenze interne all amministrazione procedente e connesse al mancato rispetto dei termini procedimentali riguardano direttamente i dirigenti. Secondo le nuove norme, infatti, «la mancata emanazione del provvedimento nei termini costituisce elemento di valutazione della responsabilità dirigenziale» e «il rispetto dei termini per la conclusione dei procedimenti rappresenta un elemento di valutazione», di cui «si tiene conto al fine della corresponsione della retribuzione di risultato» La prima e la seconda disposizione arricchiscono gli elementi di valutazione della responsabilità dirigenziale, valutazione che, ai sensi dell art. 5, c. I del d.lgs n. 286/1999, ha ad oggetto le prestazioni e le competenze organizzative dei dirigenti e che, ai sensi del c. 4 del predetto arr. 5, costituisce presupposto per l eventuale applicazione delle conseguenti misure attualmente previste dall art. 21, c. 1 dei d.lgs n. 165/2001. Il rispetto dei termini di conclusione del procedimento diviene, così, un elemento aggiuntivo agli altri elementi da tenere presenti ai fini della valutazione - e quindi dell accertamento - della responsabilità dirigenziale, i quali, non a caso, sono indicati dall art. 5 del d.lgs n. 286 «con formule meramente esemplificative», suscettibili di essere integrate finanche con atti organizzativi e clausole contrattuali. E diviene, inoltre, uno dei presupposti per disporre, «ferma restando l eventuale responsabilità disciplinare secondo la disciplina contenuta nel contratto collettivo», il mancato rinnovo dell incarico dirigenziale, la revoca dello stesso oppure il recesso dal rapporto di lavoro. Non solo. Il rispetto dei termini di conclusione d1 procedimento diviene anche un elemento di valutazione per la corresponsione della retribuzione di risultato, la quale dovrebbe quindi diminuire nel caso si accerti il loro mancato rispetto. 2.2 Le conseguenze esterne all amministrazione. La risarcibilità del danno da ritardo: Si tratta dell obbligo imposto dal nuovo art. 2 bis della legge n. 241 alle pubbliche amministrazioni e ai soggetti privati preposti all esercizio di attività amministrative di risarcire il danno ingiusto cagionato dall inosservanza, dolosa o colposa, del termine di conclusione del procedimento. La novità di assoluto rilievo consiste proprio nel fatto che non ha mai trovato ingresso nel nostro sistema di tutele, quindi, salvo rare eccezioni, il riconoscimento del c.d. danno da mero ritardo, ossia del danno che possa derivare al privato dalla semplice inosservanza del termine per l adozione di un provvedimento, indipendentemente dal la natura dell interesse ad esso sotteso e dall esito del procedimento. Alla luce della nuova previsione contenuta nell art. 2 bis della legge n. 241, la situazione pare ora rovesciata. La norma individua, infatti, nel fattore tempo, di per sé considerato, il bene della vita la cui violazione fonda l azione risarcitoria promossa nei confronti della pubblica amministrazione inadempiente, a prescindere da ogni valutazione, anche solo probabilistica, sulla spettanza dell utilità finale cui l istante mirava al momento dell avvio del procedimento. D ora in poi, dunque, come è stato correttamente rilevato, il giudice adito in sede risarcitoria condurrà il giudizio prognostico sulla spettanza al privato dell utilità finale avuta di mira ai soli fini della

5 determinazione del quantum debeatur,posto che tale valutazione non potrà più incidere sull an ie1ia pretesa azionata. Sembra perciò di potersi concludere che il danno da mero ritardo ha oggi una piena autonomia strutturale dalla fattispecie procedimentale da cui scaturisce. Rimangono ancora aperte, tuttavia, alcune questioni, in merito alle quali l art. 2 bis della legge n. 241 non fornisce risposte sicure. Tuttavia, tale impostazione va a scontrarsi con l ormai consolidata giurisprudenza (Vedi l Adunanza Plenaria del Consiglio di Stato n. 7 del 2005) che di fatto ha sempre escluso la risarcibilità del c.d. danno da ritardo puro, riaffermando il principio che può parlarsi di danno ingiusto solo qualora emerga la spettanza del bene della vita, non essendo diversamente risarcibile il pregiudizio derivante dal mero decorso del tempo. Tale posizione giurisprudenziale è stata da ultimo ripresa dal Consiglio di Stato 2008, n. 248 con ampia e articolata motivazione basandosi sulla ben nota sentenza del 500/99 della cassazione. All indomani della novella del 2009, ci si è chiesti come l introduzione nella legge n. 241 dell art. 2 bis sia destinata a incidere sui principi enunciati dalla giurisprudenza appena richiamata; il problema è di non facile soluzione anche a causa della genericità della norma, che introduce la previsione del danno da ritardo senza specificazioni. Tuttavia, è vero che questo silenzio del legislatore lascia aperto quanto meno uno spiraglio per una rinnovata considerazione del tempo come bene della vita meritevole di autonoma dignità, e quindi alla volontà di aprire alla tutela risarcitoria del danno da mero ritardo, dove il giudice investito di una richiesta di risarcimento del danno da ritardo non sarebbe più tenuto ad alcuna indagine in ordine all effettiva spettanza del bene della vita o dell utilità finale cui il richiedente aspira, dovendo solo accertare l illegittimità del ritardo nel provvedere e il suo carattere pregiudizievole per il ricorrente. A fronte di queste ipotesi dottrinarie, non si può però sottacere che non priva di solidi fondamenti si presenta l opposta opinione, secondo cui il neo-introdotto art. 2 bis, proprio per il suo carattere anodino rispetto al problema della risarcibilità del danno da ritardo puro, non è idoneo a indurre un mutamento degli ormai consolidati indirizzi giurisprudenziali in materia. A favore di tale conclusione milita innanzi tutto un elemento storico-testuale, che documenta la scelta consapevole del legislatore del 2009 di abdicare dalla possibilità di riconoscere una più incisiva tutela delle posizioni degli amministrati: nella scorsa legislatura, un tentativo esplicito di risolvere il problema de quo si era avuto col c.d. disegno di legge Nicolais (Atto Senato 1859), il quale conteneva una norma analoga a quella del comma 1 dell odierno art. 2 bis, accompagnata però dall inciso indipendentemente dalla spettanza del beneficio derivante dal provvedimento richiesto, nonché da un ulteriore previsione che prevedeva, indipendentemente dalla sussistenza degli elementi del danno ingiusto, l obbligo della p.a. di corrispondere al privato una somma forfettaria per il solo fatto del ritardo. In quella sede, dunque, il legislatore si era fatto carico di differenziare la situazione descritta sopra sub 1), e comunque di sanzionare il mero ritardo nella conclusione del procedimento amministrativo. Tuttavia, il disegno di legge non ha avuto seguito per l interruzione anticipata della legislatura e di quella previsione, evidentemente, non si rinviene traccia nell intervento del 2009: infatti, rispetto alla formulazione originaria del disegno di legge A.C. 1441, in cui la norma del precedente progetto di legge era stata riprodotta fedelmente, nella versione finale della norma sono scomparsi proprio gli incisi in discorso. Non si tratta di questione di poco conto, giacché anche i fautori dell interpretazione dell art. 2 bis nel senso dell ammissibilità del risarcimento del danno da ritardo puro sono però costretti ad ammettere che, così come formulata, la norma lascia aperti molti problemi in ordine all accertamento ed alla quantificazione del danno risarcibile, col

6 rischio di rendere di fatto ineffettiva la tutela del cittadino che si dica danneggiato dall inerzia della p.a. Al di là di ciò, si è rilevato come anche l assetto normativo attuale lasci decisamente insoddisfatti sul piano dell effettività della tutela riconosciuta al privato: in particolare, la risoluzione del conflitto attraverso un ristoro per equivalente si risolve certamente nell attribuzione al cittadino di un minus rispetto all utilità che gli sarebbe spettata. Più in generale, si lamenta l inadeguatezza e perfino l incostituzionalità dell applicazione di un rimedio (il risarcimento del danno) tipico dei rapporti paritetici a un rapporto, quello tra cittadino e p.a., che è invece diseguale. Sul punto, potrebbe ritenersi che il legislatore abbia rinunciato a priori a escogitare meccanismi e modalità idonei ad assicurare un effettivo reintegro del privato nelle utilità pregiudicate dal decorso del tempo; tuttavia, non ci si può esimere dal rilevare che la scelta del legislatore del 2009 si inserisce nel solco di un più generale depotenziamento dell istituto della restitutio in integrum nel processo amministrativo, che connota il trend normativo e giurisprudenziale di questi ultimi anni (a partire dal divieto di restituzione specifica sancito dall art. 246, comma 4, del d.lgs. 12 aprile 2006, nr. 163, per le controversie relative agli appalti di grandi infrastrutture, fino ad arrivare alla nota giurisprudenza in ordine all inesistenza di effetti sul contratto di appalto dell eventuale annullamento dell aggiudicazione) e che verosimilmente corrisponde a un opzione non si sa fino a che punto consapevole intesa a ritagliare all azione della p.a. delle zone franche al riparo dall invadenza del potere giurisdizionale. In conclusione, le novità introdotte con l articolo 2 bis sono ancora troppo recenti per poter valutare in concreto l incidenza nell ambito del processo di tutela e di valorizzazione del fattore tempo nei rapporti tra privati e pubbliche amministrazioni.

7 Infine altri aspetti dell art 2 bis riguardano: 1. la cognizione esclusiva del giudice amministrativo per quel che concerne la domanda risarcitoria. E ciò in considerazione del fatto che l illecito non è connesso all illegittima attività provvedimentale della p.a. ma generato da un comportamento omissivo che fonda il diritto al risarcimento del danno. Che poi l inerzia o il ritardo della p.a., in quanto collegati a poteri autoritativi rientrassero nella giurisdizione del g.a., era stato già in precedenza chiarito sin dalla ricordata Ad. Plenaria 7/2005 secondo cui in tali casi non si è di fronte a comportamenti della pubblica amministrazione lesivi di diritti soggettivi del privato, ma in presenza della diversa ipotesi del mancato tempestivo soddisfacimento dell obbligo dell autorità amministrativa di assolvere adempimenti pubblicistici, aventi ad oggetto lo svolgimento di funzioni amministrative; 2. la prescrizione del danno in cinque anni. A tal riguardo, la dottrina ha evidenziato che la soluzione da dare al problema varia a seconda che si acceda alla natura paritaria o autoritativa del rapporto tra amministrazione e cittadino. Infatti, nell ipotesi tradizionale, per la quale l amministrazione risponde del danno da ritardo a titolo di responsabilità extracontrattuale, il termine di prescrizione è quinquennale, ma tale termine comincerà a decorrere a partire dal momento in cui il privato effettivamente abbia subito un pregiudizio a causa del ritardo o dell'inerzia della p.a.: è possibile, cioè, che nel momento in cui spira il termine per provvedere, il privato ancora non abbia subito alcun danno, e pertanto non è a partire da tale evento che può essere collegato il decorso del tempo per l instaurazione del giudizio risarcitorio, ben potendo tale danno verificarsi anche a distanza di tempo (ovviamente, spetterà al privato che instaura il giudizio risarcitorio la prova del pregiudizio subito e del tempo in cui tale pregiudizio sia stato prodotto). Viceversa, nel caso in cui si accolga la tesi che scorge nel rapporto tra amministrazione e cittadino un vincolo obbligatorio, l inerzia dell amministrazione costituisce un ipotesi di inadempimento del vincolo (ovvero di ritardo nell adempimento): stavolta a partire dal momento in cui scade per l amministrazione il termine per provvedere, essa è inadempiente, ed è evidente che in tal caso la stessa p.a. risponde del ritardo (o del radicale inadempimento) a titolo di responsabilità contrattuale (con la conseguenza che, in applicazione dell art c.c., dovrebbe essere essa a provare che il ritardo è dovuto a causa ad essa non imputabile); in questo caso, il termine di prescrizione comincerebbe a decorrere dallo spirare deltermine assegnato all amministrazione per provvedere e sarebbe quello ordinario pari a dieci anni.tuttavia, si è visto come quest ultimo orientamento sia oggi definitivamente tramontato, non essendo possibile ammettere la sussistenza dei presupposti per costruire in termini paritetici il rapporto tra p.a. e cittadini nell ambito del procedimento amministrativo: il termine di conclusione di quest ultimo ha natura acceleratoria e non perentoria; la sua scadenza non priva la p.a. del potere di provvedere; il dovere dell amministrazione di concludere il procedimento nel termine non è inquadrabile nei termini di un rapporto obbligatorio con i cittadini, ma risponde a principi di buona amministrazione; correlativamente, i privati interessati dal procedimento non sono titolari di un diritto soggettivo, ma di un mero interesse legittimo al rispetto del predetto termine. 3. Tra queste, assume un rilievo decisivo, ai fini dell importo che la norma avrà sui rapporti tra pubbliche amministrazioni e privati, quella relativa alle allegazioni probatorie di cui è onerato Il privato che intenda convenire in giudizio l amministrazione inadempiente per il risarcimento del danno ingiusto subito.il tenore della disposizione è tale da riecheggiare apertamente il modello di illecito aquiliano di cui all art c.c. Senza voler affrontare in questa sede tutti i problemi connessi alla trasposizione nel diritto amministrativo del modello di responsabilità extracontrattuale disegnato dal codice civile, preme soltanto rilevare che l applicazione rigida di tale modello (li tutela, con particolare riferimento alla ripartizione tra le parti in causa dell onere della prova, rischierebbe di deprivare la norma dei suoi effetti più innovativi. Occorre perciò attendere le prime applicazioni

8 giurisprudenziali dell art. 2 bis per poter valutare, in particolare, in quali condotte sarà ravvisato il presupposto del dolo o (più verosimilmente) della colpa dell amministrazione inadempiente, e in che misura l onere di tale dimostrazione sarà posto in capo al privato. Sotto il primo profilo, appare ragionevole ritenere, anche alla luce della ratio ispiratrice dell intero intervento legislativo del giugno 2009, che in sede pretoria sarà considerato imputabile a titolo di colpa dell amministrazione non già e non soltanto l inerzia ascrivibile al singolo funzionario preposto all ufficio procederìte, quanto piuttosto il deficit organizzativo rispetto agli standards generali di efficienza esigibili dall apparato amministrativo unitariamente considerato. Tanto sembra potersi trarre, infatti, dalla previsione di cui all art. 23 della legge n. 69/2009, laddove innovativamente prevede che ogni amministrazione pubblica statale individui nel proprio ambito gli uffici che provvedono «con maggiore tempestività ed efficacia all adozione di pro-vvedimenti o all erogazione di servizi, che assicurano il contenimento dei costi di erogazione delle prestazioni, che offrono i servizi di competenza con modalità tali da ridurre significativamente il contenzioso e che assicurano il più alto grado di soddisfazione degli utenti e faccia in modo che tali «buone prassi» siano adottate anche dagli altri uffici. In relazione a ciò, è auspicabile, sotto il secondo profilo, che, alla luce dei nuovi standards di efficienza richiesti alle amministrazioni, in caso di mancato rispetto dei termini per l adozione provvedimento, venga posta in capo ad esse una sorta di presunzione di colpa, superabile soltanto mediante la dimostrazione, da fornirsi in giudizio, della non riconducibilità del ritardo all inefficienza dei modelli di organizzazione adottati dai propri uffici.

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