GEOMETRIA I: TERZA DISPENSA

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1 GEOMETRI I: TERZ DISPENS MPI FINITI L anno scorso avevo dato un applicazione del concetto di base di uno spazio vettoriale che quest anno non ho invece fatto Dal momento che però avevo inserito, nella prima raccolta di esercizi, alcune domande su campi con quattro e sei elementi, può valere la pena di raccontarvela comunque in questi appunti ll inizio del corso ho mostrato degli esempi di strutture di campo su un numero finito di elementi, come i campi F p, con p primo Negli esercizi vi ho chiesto di controllare che non possono esservi campi con sei elementi on le poche cose fatte di algebra lineare, è ora pronta una dimostrazione esauriente di questo fatto Ve la racconto in dettaglio In generale, in un campo K, gli elementi,, +, + +, ecc non sono necessariamente distinti In questo caso, esisterà un più piccolo intero positivo n con la proprietà che {z } =, nvolte che è detto caratteristica di K Se invece i multipli di sono tutti distinti, diciamo che la caratteristica di K è Lemma Se la caratteristica di K è non nulla, è allora un numero primo Dimostrazione E comodo introdurre la notazione {z } mvolte mx = x + x + + x Si mostra facilmente che (m) (n) = (mn) Ma allora il gioco è fatto: sia p la caratteristica di K bbiamo sicuramente che p = Se p non è primo, allora possiamo scrivere p = ab, con a, b positivi, strettamente minori di p Ma allora = p = ab = (a)(b), e quindi a = oppure b =, il che contraddice la minimalità di p La caratteristica di un campo finito non può essere zero, altrimenti i multipli di sarebbero un sottoinsieme infinito Ogni campo finito ha quindi caratteristica prima p uesto fatto ha conseguenze immediate e profonde In effetti se p =, allora px = per ogni scelta di x K Possiamo quindi definire su K una struttura di spazio vettoriale su F p, in cui la somma è data dalla somma in K, ed il prodotto per [m] F p è dato da [m]x = mx Tutto funziona, dal momento che px = (dimostratelo per esercizio) L insieme composto da tutti gli elementi di K lo genera come spazio vettoriale su F p uesto non è molto illuminante, ma da ogni insieme finito di generatori possiamo estrarre una base! llora K ammette una base finita (diciamo di n elementi) come spazio vettoriale su F p Per quanto detto prima, una base finita fornisce un isomorfismo (F p-lineare) con (F p) n, che ha p n elementi bbiamo quindi fatto vedere che Teorema 2 Se K è un campo finito, la sua caratteristica è un numero primo p, ed il numero dei suoi elementi è una potenza di p Dal momento che 6 non è potenza di un primo, non esistono campi con esattamente 6 elementi on qualche idea in più, si può mostrare che per ogni primo p, ed intero n, esiste un campo con esattamente p n elementi 2 SISTEMI LINERI E DIPENDENZ LINERE Un sistema di equazioni lineari si dice omogeneo se i termini noti sono tutti nulli, e non omogeneo altrimenti Sappiamo già che le soluzioni di un sistema omogeneo sono un sottospazio vettoriale, perché rappresentano il nucleo dell applicazione lineare individuata dai primi membri del sistema di

2 2 GEOMETRI I equazioni Se sto risolvendo invece un sistema non omogeneo, le sue soluzioni non formano un sottospazio vettoriale In ogni caso, la differenza di due qualsiasi soluzioni è, per linearità, una delle soluzioni del sistema omogeneo corrispondente (stessi primi membri, termini noti tutti nulli); nella stessa maniera la somma di una soluzione di un sistema non omogeneo e di una del sistema omogeneo associato è ancora soluzione dello STESSO sistema non omogeneo uesto ci ha permesso di concludere che, una volta nota una soluzione particolare 2 di un sistema non omogeneo, le altre soluzioni sono tutte e sole quelle che si scrivono come somma della soluzione particolare e di una qualche soluzione del sistema omogeneo associato Geometricamente, questo vuol dire che le soluzioni di un sistema non omogeneo si ottengono traslando le soluizoni del sistema omogeneo associato (che è un sottospazio vettoriale) di una traslazione pari ad una soluzione particolare Dal momento che questo risultato in realtà immediato sembra sufficientemente interessante, lo scrivo per bene Proposizione 2 Sia L : U V un applicazione lineare tra spazi vettoriali, ed u U, f V elementi tali che Lu = f llora le soluzioni dell equazione Lu = f sono tutte e sole quelle della forma u + φ, dove φ appartiene al nucleo di L Dimostrazione Se φ ker L, allora L(u + φ) = Lu + Lφ = f, e quindi u + φ è soluzione dell equazione data Se viceversa Lu = f, allora L(u u ) = Lu Lu = f f = e quindi u u = φ è un elemento del nucleo di L Ma allora u = u + φ uesto ci permette di concludere che gli insiemi di soluzioni hanno tutti la stessa struttura Se la soluzione del sistema omogeneo associato è unica, un sistema non omogeneo non può avere più di una soluzione 3 Se le soluzioni del sistema omogeneo associato formano una retta, un sistema non omogeneo ha per insieme delle soluzioni quella stessa retta traslata, e così via Lo studio della molteplicità delle soluzioni di un sistema si riduce quindi allo studio delle soluzioni del sistema omogeneo associato Dobbiamo rispondere a due domande fondamentali: quante soluzioni ha un dato sistema lineare omogeneo? ome faccio a capire se un sistema non omogeneo ha soluzioni? lezione ho risposto alla prima domanda mostrando che la dimensione del nucleo di una applicazione lineare T : V W (leggi: la dimensione dello spazio delle soluzioni di un sistema lineare omogeneo) è pari a dim V dim Im T (leggi: il numero di incognite meno il rango della matrice dei coefficienti) Vediamo come Lemma 22 Se u,, u n generano lo spazio vettoriale U, e T : U V è lineare, allora T (u ),, T (u n) generano il sottospazio Im T Dimostrazione Se v Im T, allora esiste u U tale che v = T (u) Dal momento che u,, u n sono generatori di U, possiamo scrivere u = α u + + α nu n Ma allora v = T (u) = α T (u ) + + α nt (u n), e quindi ogni elemento dell immagine di T è combinazione lineare di T (u ),, T (u n) Proposizione 23 Sia T : V W un applicazione lineare tra spazi vettoriali di dimensione finita llora dim V = dim ker T + dim Im T Dimostrazione Prendiamo un applicazione lineare T : V W Il nucleo di T è un sottospazio vettoriale di V Posso scegliere una base {v,, v n} del nucleo di T (sarà formata da vettori di T linearmente indipendenti) e completarla ad una base {v,, v n, w,, w r} di V Siccome ogni vettore di V si scrive come combinazione lineare di questi n + r vettori, ogni vettore dell immagine di T si scrive come combinazione lineare dei vettori T (v ),, T (v n), T (w ),, T (w r) Ora, i vettori T (v ),, T (v n) sono chiaramente tutti nulli, perché abbiamo scelto v,, v n all interno del nucleo di T Perciò l immagine di T è generata dai vettori T (w ),, T (w r) Ora voglio mostrare che questi r vettori sono necessariamente linearmente indipendenti Prendiamo una combinazione lineare α T (w ) + + α rt (w r) uguale al vettore nullo Voglio far vedere che tutti i coefficienti α i sono nulli T è lineare, e riesco a scrivere = α T (w ) + + α rt (w r) = T (α w + + α rw r) perciò il vettore w = α w + α rw r appartiene al nucleo di T Ma siccome Ovviamente suppongo di mettere nel primo membro di ciascuna equazione le incognite, e nel secondo membro i termini noti 2 he posso scegliere come mi pare 3 Fermo restando che potrebbe non avere soluzioni Però quando ne ha, la soluzione DEVE essere unica

3 GEOMETRI I 3 v,, v n formano una base del nucleo w si scrive anche come combinazione lineare dei soli v,, v n Se gli α i non sono tutti nulli, w si scrive in due modi diversi come combinazione lineare dei vettori v,, v n, w,, w r, il che è impossibile, perché formano una base di V Ricapitolando, l immagine di T è generata dai vettori T (w ),, T (w r) che sono linearmente indipendenti uesti vettori sono quindi una base di Im T, e quindi dim Im T = r Inoltre V ha una base v,, v n, w,, w r costituita da n + r vettori, quindi dim V = n + r llo stesso modo, il nucleo di T ha una base v,, v n di n vettori, e quindi ha dimensione n oncludiamo che dim V = n + r = rg T + dim ker T 4 uesto fatto va letto nella seguente maniera, che lo rende utile per i nostri conti geometrici: se mi trovo in uno spazio vettoriale di dimensione n, ed impongo k relazioni lineari linearmente indipendenti tra loro, l insieme degli elementi che le soddisfano è un sottospazio vettoriale di dimensione n k Prima di passare ad altro, concludo con la formula di Grassmann Proposizione 24 Sia U uno spazio vettoriale, e V, W suoi sottospazi vettoriali di dimensione finita llora dim V + dim W = dim(v + W ) + dim(v W ) Dimostrazione Scegliamo una base u,, u r dell intersezione V W Possiamo completarla ad una base u,, u r, v,, v m di V llo stesso modo, possiamo costruire una base u,, u r, w,, w n di W Voglio mostrare che u,, u r, v,, v m, w, w n è una base di V + W Intanto, gli elementi sopra elencati generano V + W In effetti, ogni elemento di V si scrive come combinazione lineare di u,, u r, v,, v m, mentre ogni elemento di W è combinazione lineare di u,, u r, w,, w n di W Gli elementi di V + W sono quelli che si scrivono come somma di un elemento di V e di uno di W, e si scrivono quindi come combinazione lineare degli elementi u,, u r, v,, v m, w, w n sommando le due espressioni In effetti, sono anche linearmente indipendenti: supponiamo che Possiamo allora scrivere α u + + α ru r + β v + + β mv m + γ w + + γ nw n = α u + + α ru r + β v + + β mv m = γ w + + γ nw n Il primo membro è un elemento di V, mentre il secondo giace in W Di conseguenza, entrambi i membri sono elementi di V W Ma un elemento di V W si scrive già come combinazione lineare dei soli vettori u, u r Se uno tra β,, β m fosse diverso da zero, avremmo un elemento che si scrive in due modi diversi come combinazione lineare di elementi linearmente indipendenti, e quindi un assurdo uesto mostra che β = = β m = Scambiando i ruoli di V e W, otteniamo anche che γ = = γ n = Ma allora abbiamo α u + + α ru r =, e per indipendenza lineare di u,, u r abbiamo anche α = = α r = questo punto dim(v W ) = r, dim V = m + r, dim W = n + r Ma abbiamo mostrato che V + W ammette una base di m + n + r elementi Pertanto dim(v + W ) = m + n + r, da cui dim(v + W ) = dim V + dim W dim(v W ) hi ha lo sguardo acuto si sarà accorto che questa dimostrazione è simile, in spirito, a quella della proposizione precedente qualcuno, a ricevimento, ho dato una dimostrazione diversa, che mette in evidenza le inevitabili analogie tra i due enunciati Però utilizzava il concetto di somma diretta di spazi vettoriali, che a lezione non abbiamo mai visto 3 RNGO DI MTRII ED PPLIZIONI LINERI 3 Il rango Del procedimento di eliminazione di Gauss su di una matrice per risolvere un sistema di equazioni lineari abbiamo già parlato nell ultima dispensa lezione abbiamo però fatto vedere che questo procedimento può essere sfruttato per svariate finalità, come ad esempio il calcolo della dimensione del sottospazio vettoriale generato da alcuni elementi di R n In effetti, abbiamo visto a lezione che le mosse elementari del procedimento non cambiano lo spazio vettoriale generato dalle righe della matrice Inoltre, a procedimento concluso, quelle tra le righe che non sono identicamente nulle sono chiaramente linearmente indipendenti 5, e costituiscono quindi una 4 Gli articoli di ricerca sono solitamente scritti in inglese, e l abbreviazione tradizionale di Nucleo è sorprendentemente ker 5 Siccome vi risultava un po ostico, l ho mostrato a lezione almeno tre o quattro volte Se non siete ancora convinti, fatelo per esercizio

4 4 GEOMETRI I base dello spazio vettoriale generato dalle righe della matrice iniziale L eliminazione di Gauss fornisce quindi anche un sistema per calcolare la dimensione dello spazio vettoriale generato dalle righe di una matrice, nonché una base esplicita di questo spazio vettoriale lezione abbiamo applicato questo doppio utilizzo dell eliminazione di Gauss per dimostrare un risultato che ci è servito in seguito nella dimostrazione del teorema dell orlato Proposizione 3 Sia una matrice m n Il sottospazio di R m generato dalle colonne di ed il sottospazio di R n generato dalle righe di hanno la stessa dimensione, che è uguale al rango, cioè al numero dei pivot della matrice a gradoni ottenuta da per mezzo dell eliminazione di Gauss Dimostrazione bbiamo appena visto che la dimensione dello spazio generato dalle righe è uguale al rango Per mostrare che anche lo spazio generato dalle colonne ha la stessa dimensione, risolviamo per mezzo dell eliminazione di Gauss il sistema omogeneo di equazioni lineari la cui matrice dei coefficienti sia data da Il procedimento di eliminazione è lo stesso, e conduce alla stessa matrice a gradoni uesta volta, però, concludiamo che l insieme delle soluzioni del sistema ha dimensione n r, ed è parametrizzato linearmente per mezzo delle incognite relative alle colonne nelle quali non è presente un pivot In altre parole, abbiamo dimostrato che il nucleo dell applicazione lineare di matrice ha dimensione n r In precedenza abbiamo mostrato che la somma delle dimensioni del nucleo e dell immagine di un applicazione lineare è pari alla dimensione dello spazio vettoriale di partenza Dal momento che rappresenta un applicazione lineare da R n a R m, la dimensione dell immagine di tale applicazione sarà r E ora sufficiente ricordare che l immagine di un applicazione lineare tra spazi R k è proprio il sottospazio vettoriale generato dalle colonne della matrice associata oncludiamo che anche il sottospazio di R m generato dalle colonne della matrice ha dimensione r, e che quindi le due dimensioni coincidono 32 Il teorema di Rouché-apelli Il teorema di Rouché-apelli ci fornisce una condizione necessaria e sufficiente affinché un sistema di equazioni lineari ammetta soluzioni Il criterio è semplice Teorema 32 Il sistema di equazioni a x + + a n x n = b a 2 x + + a 2n x n = b 2 a m x + + a mnx n = b m ammette soluzioni esattamente quando i ranghi delle due matrici coincidono a a 2 a n a 2 a 22 a 2n a m a m2 a mn a a 2 a n b a 2 a 22 a 2n b 2 a m a m2 a mn b m Dimostrazione E bene ricordare che il rango di una matrice coincide con la dimensione dello spazio vettoriale generato dalle sue colonne Si vede subito che il rango della seconda matrice è uguale a quello della prima quando la colonna dei termini noti è combinazione lineare delle altre, ed è invece uno in più del rango della prima quando non lo è E sufficiente ora notare che le soluzioni del sistema descrivono le maniere in cui la colonna dei termini noti si scrive come combinazione lineare delle altre Infatti, α,, α n è una soluzione del sistema se a a 2 α + α 2 a m a 2 a αn a m2 a n a 2n = a mn b b 2 b m

5 GEOMETRI I 5 E chiaro che avremo un metodo veloce per controllare se un sistema abbia soluzioni non appena avremo un modo rapido per calcolare il rango delle matrici Iniziamo introducendo il gruppo simmetrico S n 4 PERMUTZIONI Definizione 4 Una permutazione (degli elementi) di un insieme X è un applicazione invertibile σ : X X Il modo più intuitivo di pensare una permutazione è quello di visualizzare gli elementi dell insieme X allineati di fronte a noi Una permutazione non è altro che un modo di rimescolare gli oggetti che abbiamo davanti, e l applicazione σ che la descrive associa a ciascun elemento di X quello che ha preso il suo posto originario hiaramente gli oggetti sono gli stessi di prima è solamente cambiata la loro posizione e l applicazione σ è quindi invertibile Una permutazione che scambi solo due elementi, lasciando gli altri inalterati, è detta trasposizione L insieme delle permutazioni di un insieme X è un gruppo rispetto all operazione di composizione In effetti la composizione è associativa, e componendo applicazioni invertibili si ottengono applicazioni invertibili l inversa di φ ψ è ψ φ L elemento neutro è chiaramente l applicazione identica id : X X, e l inversa di un applicazione invertibile è ancora, chiaramente, invertibile Il gruppo di tutte le permutazioni di un insieme X si indica con S X, ed è un gruppo finito se X è un insieme finito E frequente abbreviare, e ci adegueremo a questa convenzione, S {,2,,n} in S n Per individuare un elemento σ di S n è necessario indicare quale sia l immagine σ(i) di ciascun i =, 2,, n Una notazione chiara, ma non molto compatta per fare questo, è quella di scrivere ad esempio 2 σ = per l applicazione σ : {, 2, 3} {, 2, 3} tale che σ() = 2, σ(2) = 3, σ(3) = La composizione di permutazioni espresse secondo tale notazione non presenta alcuna difficoltà Il gruppo S n possiede n! elementi Ogni permutazione è infatti determinata dalla successione delle immagini σ(), σ(2),, σ(n), che devono essere scelte, senza ripetizioni, tra i numeri,, n Le possibilità sono appunto n (n ) 2 = n! L ordine di S n cresce molto rapidamente 6 al crescere di n resce inoltre anche la complessità della sua struttura, come vedremo in seguito Esempio 42 I 3! = 6 elementi di S 3 sono le permutazioni id : Parità di una permutazione Ogni permutazione si può esprimere 7 come prodotto di trasposizioni (non disgiunte) hiameremo una permutazione pari se il numero delle trasposizioni che la esprimono come prodotto è pari, e dispari altrimenti uesta definizione presenta in realtà qualche problema: è possibile, in teoria, che riusciamo ad esprimere una permutazione in modi diversi come prodotto di trasposizioni, e che la parità del numero dei fattori dipenda dalla particolare fattorizzazione uesto non accade, ma per mostrarlo bisogna un po sudare Definizione 43 Il segno sgn(σ) di una permutazione σ S n è il risultato del rapporto i<j (x σ(i) x σ(j) ) i<j (x i x j ) Un commento sulla definizione: è chiaro come sia a numeratore che a denominatore ciascun fattore x i x j compaia a meno del segno una ed una sola volta I due polinomi che vengono divisi differiscono quindi complessivamente per un segno, ed il risultato sgn(σ) può essere soltanto o Ho fatto notare a lezione come il segno di una permutazione possa essere calcolato controllando la 6 lezione vi ho ricordato che, per la formula di Stirling, n! vale più o meno (n/e) n 2πn 7 Dimostratelo per esercizio

6 6 GEOMETRI I parità del numero di inversioni della permutazione Una inversione di σ S n è una coppia i < j tale che σ i > σ j llora una il segno di una permutazione è + se il numero totale delle sue inversioni è pari, mentre è se è dispari Proposizione 44 Valgono le seguenti proprietà: sgn(id) = ; sgn(τ) =, se τ è la trasposizione degli elementi e 2; sgn(τσ) = sgn(τ)sgn(σ) Dimostrazione Le prime due proprietà sono immediate Per mostrare la terza, basta notare che i<j (x στ(i) x στ(j) ) i<j (x = i x j ) i<j (x στ(i) x στ(j) ) i<j (x τ(i) x τ(j) ) i<j (x τ(i) x τ(j) ) i<j (x i x j ) Il secondo fattore nel secondo membro è sicuramente sgn(τ), mentre il primo lo diventa dopo aver rinumerato le variabili x i Ma questo non può influire sul risultato, che è una costante lezione ho dato una dimostrazione diversa, che era forse più semplice Se compongo una permutazione σ con la trasposizione di due elementi adiacenti, il numero di inversioni sale o scende esattamente di uno, e quindi il numero di inversioni cambia parità uindi se esprimo una permutazione come composizione di trasposizioni di elementi adiacenti, la parità cambia tante volte quante sono le trasposizioni, e quindi la parità della permutazione coincide con la parità del numero delle sue inversioni Per rendere i conti più veloci, vi ho anche mostrato che una qualsiasi trasposizione può essere espressa come composizione di un numero dispari di trasposizioni di elementi adiacenti, quindi se conto anche le trasposizioni di elementi non adiacenti come dispari, non sbaglio orollario 45 Il segno di una permutazione coincide col segno della sua inversa Dimostrazione Da = sgn(id) = sgn(σσ ) = sgn(σ)sgn(σ ) segue che sgn(σ ) = sgn(σ) Ma l inverso di ogni elemento in {±} coincide con se stesso Oppure, come fatto a lezione, se scrivo σ come composizione di trasposizioni, σ come composizione delle stesse trasposizioni, ma nell ordine inverso E quindi la parità è la stessa Definizione 46 Una permutazione σ S n si dice pari (rispettivamente dispari) se sgn(σ) = (rispettivamente ) Lemma 47 Il segno di ogni trasposizione è Dimostrazione bbiamo già verificato questo fatto per la trasposizione che scambia con 2 Indichiamo ora con τ ij la trasposizione degli elementi i e j E chiaro che τ j = τ 2j τ 2 τ 2j Ma allora sgn(τ j ) = sgn(τ 2j )sgn(τ 2 )sgn(τ 2j ) = sgn(τ 2j ) 2 Ma il segno di ogni permutazione vale ±, e quindi il suo quadrato è sicuramente uesto mostra che ogni trasposizione τ j ha segno E sufficiente ora ripetere l argomento nel caso di τ ij = τ i τ j τ i vendo fatto i conti con le inversioni, questo fatto non adrebbe neanche dimostrato (lo abbiamo accennato prima) In ogni caso, abbiamo mostrato con due tecniche diverse la correttezza della definizione inizialmente data della parità di una permutazione: se ogni trasposizione è dispari, la parità del prodotto di trasposizioni sarà uguale al numero delle trasposizioni moltiplicate E solo il caso di notare che la metà esatta degli elementi di S n è pari, mentre l altra metà è dispari 5 DEFINIZIONE SSIOMTI DEL DETERMINNTE Per noi la funzione determinante è una applicazione det : Mat n n (R) R, dalle matrici al campo degli scalari, che soddisfa le tre proprietà: det(id) =, det è separatamente lineare nelle righe, det è alternante per scambi di righe

7 GEOMETRI I 7 Solitamente, nel definire una funzione, diamo un espressione esplicita che calcola il valore dati gli argomenti uesto si può fare anche per il determinante, per il quale un espressione esplicita è data da: (5) det = X σ S n sgn(σ)a σ a 2σ2 a nσn Tuttavia, questo non è strettamente necessario Se ho un procedimento di calcolo che mi permette di giungere al valore della mia funzione, dati i suoi argomenti, questa è una definizione perfettamente legittima della funzione Ricapitolando: ho spiegato a lezione per quale motivo mi aspetto che esista una funzione che soddisfi le tre proprietà di sopra In effetti questo è il comportamento che ci attendiamo dalla funzione che calcola l area del parallelogramma individuata da due vettori in R 2 oppure il volume del parallelepipedo individuato da tre vettori in R 3 ueste tre proprietà mi permettono di calcolare il valore del determinante della matrice come segue: eseguo l eliminazione di Gauss sulla matrice che mi viene data d ogni passaggio so come varia il valore del determinante: se ho scambiato due righe, il determinante cambia segno; se ho sommato ad una riga un multiplo di un altra, il determinante rimane invariato l termine dell eliminazione di Gauss possono accadere due cose: se le righe della matrice originaria erano linearmente dipendenti, la matrice conclusiva ha (almeno) una riga completamente nulla In questo caso, per linearità, il valore del determinante è nullo Se invece le righe della matrice originaria erano linearmente indipendenti, otterrò una matrice con esattamente n pivot, che abbiamo chiamato triangolare superiore In tal caso il valore del determinante, sempre per linearità, e per la normalizzazione fornita sull identità, è uguale al prodotto degli elementi sulla diagonale principale Vale la pena di far notare che, a questo punto, la matrice n n di partenza ha rango n se e solo se il suo determinante è non nullo (infatti se la matrice ha rango n, possiede allora n pivot non nulli sulla diagonale, alla fine del procedimento di eliminazione) Poiché riusciamo a calcolare il valore della funzione det su qualsiasi matrice a partire solo dalle sue proprietà, ne concludiamo che c è al più una applicazione che abbia le tre proprietà riportate Stiamo dando una definizione assiomatica dei determinanti uesto mostra l unicità della funzione determinante, ma non la sua esistenza L esistenza si mostra, ad esempio, esibendo una funzione che abbia le nostre tre proprietà uesto è il motivo per il quale ho fornito anche l espressione esplicita del determinante in (5) Non utilizzerò mai questa espressione per calcolare il determinante, perché è scomodissima Però è facile mostrare che soddisfa le tre proprietà lezione l ho fatto in maniera un po confusa, quindi provo a fare le cose per bene in questi appunti Lemma 5 La funzione definita dall espressione (5) è lineare nelle righe della matrice argomento Dimostrazione Siano,, le matrici seguenti: = = a + a a 2 + a 2 a n + a n a 2 a 22 a 2n a n a n2 a nn a a 2 a n a 2 a 22 a 2n, = a n a n2 a nn, a a 2 a n a 2 a 22 a 2n a n a n2 a nn Dobbiamo mostrare che det = det + det Se utilizziamo la definizione data in (5), otteniamo X det = sgn(σ)(a σ + a σ )a 2σ2 a nσn σ S X n X = sgn(σ)a σ a 2σ2 a nσn + sgn(σ)a σ a 2σ2 a nσn σ S n σ S n = det + det L altra parte della linearità cioè la motiplicazione per uno scalare è persino più semplice (fatela per esercizio) In questo modo ho controllato la linearità sulla prima riga: per quanto riguarda quella rispetto alle altre righe, potete farla come semplice esercizio

8 GEOMETRI I Lemma 52 La funzione definita dall espressione (5) è alternante per scambio di righe Dimostrazione Sia = a a 2 a n a 2 a 22 a 2n, a n a n2 a nn ed = (a ij ) la matrice ottenuta da scambiando la iesima e la jesima riga In questa situazione si ha che a rs = ars se r i, j, a is = a js, a js = a is E immediato verificare che a rs = aτr s, dove aon τ ho indicato la trasposizione di i con j pplicando la (5) abbiamo: X det = sgn(σ)a σ a nσ σ S X n n = sgn(σ)a τ σ a τnσn σ S X n = sgn(σ)a (σ τ) a n (σ τ)n σ S X n = sgn(φ)a φ a nφn = det, φ S n dove nell ultimo passaggio abbiamo indicato con φ il prodotto σ τ, ed abbiamo sfruttato che sgn(φ) = sgn(σ τ) = sgn(σ)sgn(τ) = sgn(σ) Lemma 53 La funzione definita da (5) vale sull identità Dimostrazione Se id = (a ij ) è la matrice identità, il prodotto a σ a 2σ2 a nσn vale zero a meno che σ non sia la permutazione identica Di conseguenza det id = a a 22 a nn = bbiamo quindi dimostrato che Proposizione 54 La funzione definita da (5) possiede tutte le proprietà richeste alla funzione determinante Una conseguenza importante di questo risultato è la seguente orollario 55 det t = det Dimostrazione Innanzitutto, vi ricordo che t è la matrice le cui righe sono le colonne di In altre parole se = (a ij ), allora t = (a ji ) P La dimostrazione è semplice: sappiamo che det t = σ S n sgn(σ)a σ a σ2 2 a σn n E importante notare che in ognuno dei fattori del prodotto a σ a σ2 2 a σn n il secondo indice si ottiene applicando al primo la permutazione σ uindi possiamo scrivere det t = X σ S n sgn(σ)a σ a σ2 2 a σnn = X sgn(σ)a σ σ S n a 2σ a 2 nσ n Se a questo punto scriviamo τ = σ e ricordiamo che sgn(σ ) = sgn(σ), otteniamo l espressione per det Poiché la trasposta di una matrice ha per colonne le righe della matrice, da questo segue che ogni affermazione che leghi il determinante di una matrice a proprietà delle sue colonne lo lega anche alla stessa proprietà delle sue righe, e viceversa d esempio, dal momento che il determinante di una matrice è zero se e solo se le sue righe sono linearmente dipendenti, sappiamo anche che questo accade se e solo se anche le sue colonne sono linearmente dipendenti Sappiamo anche, senza bisogno di ulteriori dimostrazioni, che la funzione determinante è separatamente lineare ed alternante NHE come funzione delle colonne della matrice argomento Un altra proprietà dei determinanti è che det = det det uesta si chiama formula di inet, e ve ne ho dato una giustificazione attraverso le proprietà intuitive dei volumi n-dimensionali In altre parole, il determinante di una matrice è (l inverso de) il rapporto tra il volume di una regione di R n e quella ottenuta applicando l applicazione R n R n che ha per matrice lla composizione di applicazioni corrisponderà allora il prodotto dei determinanti

9 GEOMETRI I 9 Una maniera di dimostrare la formula di inet è di far vedere che se det, allora la funzione det()/ det ha le stesse proprietà di linearità ed alternanza della funzione determinante, ed il suo valore sull identità è Una funzione di questo tipo non può essere che il determinante, e quindi det()/ det = det Nel caso in cui det =, questa dimostrazione non funziona Però, in tale caso, le colonne della matrice sono linearmente dipendenti, e quindi l applicazione lineare associata non è iniettiva Ma allora anche rappresenta un applicazione lineare non iniettiva: infatti, tutto ciò che manda a zero viene mandato a zero anche da Se non è iniettiva, allora le sue colonne sono linearmente dipendenti, e det = uindi det = det det è vera anche quando det =, perché entrambi i membri valgono zero Se un giorno vi sentite perversamente masochisti, provate a dimostrare det = det det utilizzando direttamente l espressione (5) 6 LO SVILUPPO DI LPLE Un altro sistema per calcolare il determinante di una matrice è quello di utilizzare lo sviluppo di Laplace, che permette di calcolare determinanti (n + ) (n + ) una volta che si sappiamo calcolare determinanti n n Il sistema è questo: si sceglie una colonna (ad esempio la jesima), e si calcola l espressione (6) nx i= ( ) i+j a ij ij, dove ij è il cosiddetto complemento algebrico: è il determinante della matrice n n che si ottiene da cancellando l iesima riga e la jesima colonna Mi capita spesso di indicare con ij sia la matrice che il suo determinante: confido nella vostra indulgenza nel caso che questo causi confusione Per far vedere che l espressione (6) calcola effettivamente il determinante della matrice, abbiamo mostrato a lezione che questa espressione verifica le tre proprietà caratterizzanti del determinante che abbiamo dato Il fatto che faccia uno se calcolata sull identità è una sciocchezza La linearità rispetto alle righe l abbiamo fatta vedere (convincentemente) a lezione Mancava solo l alternanza, che ho mostrato nel caso di scambio della prima riga con la seconda Vi avevo lasciato il caso generale per esercizio, ma forse è il caso di svolgerlo qui Lemma 6 L espressione in (6) è alternante per scambio di righe nella matrice Dimostrazione Lo faccio vedere soltanto per scambio di righe adiacenti, dal momento che ogni trasposizione si ottiene come composizione di (un numero dispari di) trasposizioni di elementi adiacenti Sia = (a ij ) la matrice che si ottiene da scambiando la resima e la r + esima riga Se i r, r +, allora l espressione a ij ij è uguale ad a ij ij : in effetti a ij = a ij perché lo scambio di righe non tocca la iesima riga, mentre ij = ij perchè il complemento algebrico della matrice si ottiene dall altro scambiando due righe, e cambia quindi segno Entrambe le espressioni sono moltiplicate in (6) per ( ) i+j, e quindi questi addendi cambiano segno passando da det a det Per quanto riguarda invece il contributo della resima e della r + esima riga, bisogna essere più precisi: in effetti, a rj = a r+,j ed anche rj = r+,j (perché?) llo stesso modo a r+,j = a rj e r+,j = rj Ma allora, ( ) r+j a rj rj + ( ) r++j a r+,j r+,j =( ) r++j a rj rj + ( ) r+j a r+,j r+,j = (( ) r+j a rj rj + ( ) r++j a r+,j r+,j ) uesto termina la dimostrazione di det = det ome esercizio su quello che sappiamo dei determinanti, vi mostro come calcolare il determinante di Vandermonde, e cioè il determinante della matrice (62) a a a n (a ) 2 (a ) 2 (a n) 2 (a ) n (a ) n (a n) n Io non l ho mai fatto, e credo di aver preso la giusta decisione

10 GEOMETRI I Nulla di più facile Sottraiamo dall ultima riga a volte la penultima, dalla penultima a la terz ultima e così via La matrice così ottenuta avrà chiaramente lo stesso determinante della matrice di partenza Ma tramite queste manipolazioni avremo ottenuto la matrice a a a n a (a ) 2 a a (a n) 2 a a n (a ) 3 a (a ) 2 (a n) 3 a (a n) 2 che possiamo riscrivere come (a ) n a (a ) n (a n) n a (a n) n (a a ) (a n a ) (a a ) a (a n a ) a n (a a ) (a ) 2 (a n a ) (a n) 2 (a a ) (a ) n (a n a ) (a n) n questo punto può valere la pena di sviluppare col metodo di Laplace secondo la prima colonna Otteniamo che il determinante di Vandermonde della matrice (62) di ordine n + è (a a ) (a 2 a ) (a n a ) volte il determinante di Vandermonde della matrice a a 2 a n (a ) 2 (a 2 ) 2 (a n) 2 (a ) n (a 2 ) n (a n) n Ripetendo il ragionamento, si concluderà che il determinante della matrice di partenza è il prodotto di tutti i fattori (a i a j ), i > j presi ognuno una ed una sola volta E importante osservare che, dal momento che il determinante di una matrice è uguale a quello della sua trasposta, lo sviluppo di Laplace si potrà eseguire anche rispetto ad una riga, invece che ad una colonna, 7 IL METODO DI RMER Possiamo talvolta evitare i controlli del teorema di Rouché-apelli, ad esempio quando il rango della matrice dei coefficienti dei primi membri è uguale al numero delle righe, cioè delle equazioni Poiché il rango della seconda matrice non potrà essere superiore al numero delle righe, il sistema sarà necessariamente compatibile Il caso più eclatante di questo fenomeno si ha per i sistemi quadrati, queli cioè per i quali il numero delle equazioni è pari al numero delle incognite Se le colonne della matrice dei coefficienti sono linearmente indipendenti, allora le condizioni del teorema di Rouché-apelli sono automaticamente soddisfatte In questo caso però, oltre all esistenza delle soluzioni, abbiamo anche l unicità Infatti, un applicazione lineare da R n a R n è iniettiva se e solo se è suriettiva Il metodo di ramer ci fornisce una descrizione esplicita della soluzione unica che abbiamo: Teorema 7 Sia la matrice a a 2 a n a 2 a 22 a 2n a n a n2 a nn

11 GEOMETRI I llora, se det, l unica soluzione del sistema di equazioni lineari: x = è data da: b a 2 a n b 2 a 22 a 2n b n a n2 a nn det a x + + a n x n = b a 2 x + + a 2n x n = b 2, x 2 = a m x + + a mnx n = b m a b a n a 2 b 2 a 2n a n b n a nn det,, x n = Dimostrazione Sia α,, α n la soluzione del sistema uesto vuol dire che: b b 2 b m = α a a 2 + α 2 a m a 2 a αn a m2 a a 2 b a 2 a 22 b 2 a n a n2 b n a n a 2n a mn det Possiamo allora calcolare i determinanti a numeratore sottraendo alla colonna dei termininoti la somma delle colonne, nella combinazione lineare appena scritta, diverse dalla prima, seconda,, n-esima rispettivamente uesta manipolazione non cambia il valore del determinante, ma lo rende manifestamente uguale ad α i volte det Pertanto la formula di ramer fornisce il risultato desiderato: x i = α i det det = α i PPLIZIONI GEOMETRIHE bbiamo sviluppato il macchinario dell algebra lineare per riuscire a descrivere gli spazi lineari, cioè gli oggetti geometrici diritti Nel piano e nello spazio, questi sono punti, rette e piani, con i quali abbiamo sempre descritto i fenomeni geometrici che ci sono familiari Il nostro compito attuale è quello di capire quali siano le descrizioni che siamo in grado di fornire di questi spazi, e come utilizzare queste descrizioni per ricavare informazioni geometriche In altre parole, vogliamo dare un nome ai nostri oggetti geometrici, e ricavare informazioni dal nome che abbiamo assegnato Per non cadere nell esoterismo più spinto, inizio subito a spiegare quali siano gli oggetti geometrici, e che tipo di nomi siamo in grado di assegnare Spazi e sottospazi affini Gli spazi geometrici che meglio conosciamo, e che abbiamo trattato finora, sono gli spazi vettoriali hiamiamo rette quelli di dimensione uno, piani quelli di dimensione due, ed indichiamo con la loro dimensione in mancanza di terminologia migliore gli altri bbiamo visto che i sottospazi vettoriali di R 2 ed R 3 corrispondono a rette e piani per l origine; tuttavia hanno interesse geometrico anche rette e piani che non passano per l origine In realtà, con R 3, abbiamo indicato all inizio dell anno l insieme delle traslazioni dello spazio tridimensionale piuttosto che quello dei suoi punti 9 In questo contesto + è l operazione di composizione delle traslazioni, ed abbiamo verificato che definiva, assieme al prodotto per scalare, una struttura di spazio vettoriale sull insieme di tutte le traslazioni bbiamo anche notato che una traslazione era determinata una volta che fosse noto l effetto su un qualche punto P d esempio, esiste un unica traslazione che manda il punto P in un altro punto, e la notazione che abbiamo utilizzato rappresenta questa traslazione con la freccia che unisce P con ual è la corrispondenza che lega un piano per l origine nello spazio tridimensionale con gli insiemi di traslazioni? Se π è un piano per l origine, tra tutte le traslazioni che posso effettuare sullo spazio tridimensionale, prendiamo soltanto quelle che mandano i punti di π in altri punti di π In altre parole, consideriamo tutte le traslazioni dello spazio tridimensionale che conservano π Se indichiamo queste 9 Si sta diffondendo l uso di piuttosto che nel senso di come anche Per me continua ad avere significato avversativo

12 2 GEOMETRI I traslazioni per mezzo di frecce centrate nell origine, otterremo tutte e sole le frecce che arrivano in punti del piano π La particolare rappresentazione geometrica che abbiamo utilizzato fa corrispondere i punti del piano con le traslazioni che lo conservano Facciamo la stessa cosa con un piano che non passi per l origine, prendendo un piano π parallelo a π uali sono le traslazioni dello spazio tridimensionale che conservano π? Sono ovviamente le stesse di prima In altre parole, anche se π non passa per l origine, l insieme delle traslazioni che lo conservano, cioè che operano su di esso, sono uno spazio vettoriale, ed esattamente quello che abbiamo identificato con il suo traslato π per l origine Uno spazio affine è un insieme le cui traslazioni hanno la struttura di spazio vettoriale I sottospazi affini di R n sono, per quanto detto prima, tutti e soli quelli che si ottengono traslandone i sottospazi vettoriali Se un sottospazio affine di R n contiene lo, allora è un sottospazio vettoriale Esistono delle definizioni più intrinseche di queste nozioni, ma rischiano di farci perdere la comprensione intuitiva di quello che sta succedendo In ogni caso, ho fatto notare a lezione che, se ho un sottospazio affine (cioè il traslato di un sottospazio vettoriale) in R n, allora le operazioni su R n non inducono operazioni su tale sottospazio affine (a meno che non passi per l origine), perché sia la somma che il prodotto per uno scalare forniscono risultati che giacciono, in generale, al di fuori del sottospazio affine Le uniche operazioni che forniscono risultati all interno del sottospazio affine, sono anche quelle che non dipendono dalla scelta dell origine per essere calcolate, e si chiamano combinazioni (lineari) affini ueste sono quelle particolari combinazioni lineari nelle quali la somma dei coefficienti è uguale ad La cosa promessa, ma non dimostrata, e che comunque è probabilmente fuori dal nostro interesse, è che su un insieme nel quale siano definite le combinazioni affini, e nel quale queste combinazioni abbiano tutte le buone proprietà che possiamo attenderci, possiamo definire una famiglia di traslazioni che è effettivamente uno spazio vettoriale Se il nostro insieme è un sottospazio affine di R n, la famiglia delle traslazioni sarà data dalle traslazioni che lo conservano, e sarà quindi un sottospazio vettoriale di R n La nostra interpretazione delle cose è la seguente: ad ogni punto di uno spazio vettoriale (ad esempio R 3 ) sappiamo associare il vettore (la freccia) che lo congiunge con l origine Sappiamo eseguire le operazioni di somma e prodotto sulle frecce (che rappresentano traslazioni, che sappiamo sommare, cioè comporre) e non sui i punti Se i nostri punti appartengono ad un sottospazio vettoriale, la somma dei corrispondenti vettori congiunge l origine ad un altro punto del sottospazio vettoriale Se invece i nostri punti appartengono ad un sottospazio affine, questo non accade, perché lo spazio vettoriale delle traslazioni soggiacente non unisce i nostri punti all origine, ma ad altri punti del sottospazio affine uindi, sommando vettori che traslano punti del sottospazio affine in altri punti del sottospazio affine, otterremo come risultato un vettore che fa la stessa cosa E più semplice fare un disegno che spiegarlo, ma visto che disegno male, sono costretto a raccontarlo a parole In conclusione, un sottospazio affine dello spazio n-dimensionale è un sottoinsieme π per il quale i vettori che cominciano e finiscono su π formano un sottospazio vettoriale dello spazio vettoriale R n di tutte le traslazioni dello spazio n-dimensionale I sottospazi affini si ottengono tutti traslando sottospazi affini che passano per l origine, che spesso abbiamo identificato con i sottospazi vettoriali di R n Gli oggetti geometrici che vogliamo poter descrivere sono esattamente i sottospazi affini dello spazio n-dimensionale, e cioè i traslati dei sottospazi vettoriali di R n : da questo momento in poi, questi saranno gli unici spazi affini che prenderemo in considerazione 2 Equazioni parametriche di sottospazi vettoriali ed affini Degli spazi vettoriali abbiamo già imparato a descrivere gli elementi in maniera compatta ed irridondante Se v,, v n è una base di V, allora la combinazione lineare α v + + α nv n descrive, al variare di α,, α n R, tutti gli elementi di V una ed una sola volta bbiamo fornito una parametrizzazione lineare degli elementi di V Sono in principio possibili altre parametrizzazioni, che dipendono dai parametri in maniera non lineare (o addirittura nemmeno continua), ma queste non sono interessanti dal nostro punto di vista, perché nascondono la natura lineare dei nostri spazi geometrici Potremmo inoltre anche parametrizzare linearmente uno spazio vettoriale in maniera ridondante (ad esempio scegliendo un insieme di generatori linearmente dipendenti, che rappresentano ogni elemento dello spazio vettoriale in più di una maniera), ma cercheremo di evitare anche questa possibilità In effetti, ogni parametrizzazione che sia ridondante da questo punto di vista cela quantomeno la dimensione del sottospazio vettoriale che stiamo descrivendo Ricordate: dimensione = numero minimo dei parametri necessari ad una parametrizzazione lineare

13 GEOMETRI I 3 La parametrizzazione di uno sottospazio affine π di R n avviene in modo simile Sappiamo che l insieme delle traslazioni che conservano π sono uno sottospazio vettoriale π di R n, del quale sappiamo dare una parametrizzazione scegliendo una base I punti di π si otterranno scegliendone un punto qualsiasi P = (p, p 2,, p n), ed applicando a questo punto le traslazioni di π Se una parametrizzazione di π è data da: α v + + α rv r, una parametrizzazione di π sarà data da P + α v + + α rv r d esempio, una tipica parametrizzazione di un piano nello spazio tridimensionale è data da: x = 2 +3t +2s y = 2t +s z = 5 +t 3s che indica come il nostro piano si ottenga dal punto P di coordinate P (2,, 5) muovendolo per mezzo delle traslazioni generate da v = (3, 2, ) e v 2 = (2,, 3), cioè dalle loro combinazioni lineari La parametrizzazione si può scrivere anche come (x, y, z) = P + tv + sv 2, che ne svela meglio la natura lineare Se siamo interessati a descrivere la geometria del piano e dello spazio, ci limitiamo soltanto allo studio di rette e piani Per ricapitolare, una retta in R 2 ha rappresentazione parametrica del tipo ( x = x + at y = y + bt dove P = (x, y ) è un punto appartenente alla retta, e v = (a, b) un vettore parallelo alla retta; allo stesso modo, una retta in R 3 è descritta da > < x = y = z = x + at y + bt z + ct dove P = (x, y, z ) è il punto sulla retta, e v = (a, b, c) il vettore parallelo (anche detto vettore direttore) Un piano in R 3 è invece dato da x = y = z = x + at + a s y + bt + b s z + ct + c s dove ancora P = (x, y, z ) è un punto del piano, ed i vettori (a, b, c), (a, b, c ) sono i vettori direttori del piano, ovvero vettori linearmente indipendenti paralleli al piano Notiamo che per una retta abbiamo bisogno di un parametro, mentre per un piano di due, cosa che testimonia il fatto che una retta ha dimensione uno, mentre un piano ha dimensione due In generale, un sottospazio affine di dimensione r avrà espressione parametrica che utilizza linearmente r parametri, ed r vettori direttori linearmente indipendenti 3 Equazioni cartesiane di sottospazi vettoriali ed affini Un altra maniera di individuare un sottospazio vettoriale o affine è quella di fornire delle relazioni soddisfatte esclusivamente dalle coordinate dei punti che appartengono al sottospazio d esempio, i soli punti P (x, y) del piano che soddisfano l equazione x y = sono quelli della forma (t, t), t R, che costituiscono un sottospazio vettoriale di dimensione, e cioè una retta per l origine nche in questo caso conviene limitarsi ad equazioni di primo grado, perché equazioni di altra forma nasconderebbero la natura lineare degli oggetti che vogliamo descrivere In generale, le equazioni necessarie ad individuare un sottospazio affine saranno più di una d esempio un equazione (di primo grado) che lega le coordinate di un punto nello spazio tridimensionale individua (ne abbiamo già parlato) un piano in R 3 Se vogliamo descrivere una retta, un equazione non può bastare Possiamo però individuare una retta intersecando due piani, dando due equazioni he tipo di insieme si ottenga prendendo le soluzioni comuni di un sistema di equazioni lineari è stato l argomento principale delle lezioni passate volte non ci sono soluzioni, ed allora le nostre

14 4 GEOMETRI I equazioni cartesiane non descrivono nulla (descrivono l insieme vuoto, il che non è che ci interessi granché) volte il sistema possiede invece soluzioni, ed abbiamo mostrato qualche tempo fa che queste soluzioni si ottengono sempre sommando ad una qualche soluzione comunque scelta (la soluzione particolare) le soluzioni dell equazione omogenea corrispondente uesto suona familiare I primi membri delle equazioni cartesiane date descrivono un applicazione lineare tra R m ed R n Se i termini noti sono tutti uguali a zero, le soluzioni delle equazioni cartesiane sono gli elementi del nucleo dell applicazione lineare, e le equazioni descrivono quindi un sottospazio vettoriale Se invece i termini noti non sono tutti uguali a zero, le soluzioni si ottengono traslando una soluzione particolare per mezzo delle traslazioni contenute nel nucleo Un insieme di equazioni cartesiane individua quindi sempre un sottospazio affine di R n Può essere comodo trovare un modo per passare dalle equazioni cartesiane ad una rappresentazione parametrica uesto modo è dato dalla risoluzione del sistema, che abbiamo ottenuto in svariati modi (eliminazione di Gauss, Rouché-apelli seguito da ramer, ecc ) In effetti, ciascun metodo di risoluzione fornisce soluzioni come espressione lineare in un numero di parametri pari alla dimensione del sottospazio affine individuato Da questo punto di vista, passare da equazioni cartesiane a parametriche è un gioco da ragazzi Non è ancora tuttavia evidente se ogni sottospazio affine possieda equazioni cartesiane La risposta è ovviamente sì, e dipende dal fatto che è facile passare anche da un espressione parametrica alle corrispondenti equazioni cartesiane d esempio, le coordinate dei punti di un sottospazio affine π espresso parametricamente da: x = x 2 = x n = a + v t + + v r tr a 2 + v 2 t + + v r 2 tr a n + v n t + + v r n tr sono tali che (x a, x 2 a 2,, x n a n) è combinazione lineare degli r vettori linearmente indipendenti v i = (v i,, v i n) Ma allora (x, x 2,, x n) è un punto dello sottospazio affine π se e solo se rg x a x 2 a 2 x n a n v v 2 v n v 2 v 2 2 v 2 n v r v2 r vn r = r Non spaventatevi se a lezione ho scritto tutto secondo le colonne, e non secondo le righe, perché tanto il rango di una matrice è uguale a quello della sua trasposta Non abbiamo ancora imparato a calcolare il rango per mezzo dei determinanti, ma in ogni caso sappiamo calcolare il rango di questa matrice eseguendo l eliminazione di Gauss, ed imponendo che il numero dei pivot sia r uesto è equivalente all annullarsi di determinate quantità dipendenti da x,, x n, che ci forniscono equazioni cartesiane del sottospazio affine Vale soltanto la pena di accennare al fatto che né le equazioni cartesiane, né la rappresentazione parametrica di un sottospazio affine sono uniche I metodi descritti esibiscono una particolare rappresentazione parametrica ed una particolare equazione cartesiana, non l unica a disposizione 4 Equazioni cartesiane ed ortogonalità Prima di concludere, un breve commento su un informazione che è facile estrarre dalle equazioni cartesiane di un sottospazio affine di R n Inizio con un esempio, che è però tipico L equazione cartesiana di un piano in R 3 è del tipo ax + by + cz + d = Se il piano passa per l origine, d = In questo caso, l equazione si può scrivere anche come (a, b, c) (x, y, z) =, ed è evidente come le soluzioni di tale equazione siano i punti la cui congiungente all origine è perpendicolare al vettore (a, b, c) Il piano di equazione cartesiana ax + by + cz = è quindi il piano per l origine perpendicolare al vettore (a, b, c) In questo caso l equazione cartesiana mi fornisce una descrizione geometrica immediata del sottospazio affine (anzi, vettoriale) corrispondente

15 GEOMETRI I 5 Per il discorso fatto prima, è chiaro che i sottospazi di equazione ax + by + cz + d = si ottengono traslando il sottospazio vettoriale precedentemente considerato La traslazione non cambia la proprietà di ortogonalità, ed anche questo piano è quindi perpendicolare al vettore (a, b, c) In generale, ciascuna equazione dell espressione cartesiana di un sottospazio affine fornisce un vettore ortogonale al sottospazio affine corrispondente d esempio, la retta in R 3 di equazioni ( 2x + y 3z = 5 x y + 4z = sarà perpendicolare ai vettori (2,, 3) e (,, 4) e a tutte le loro combinazioni lineari Non smetterò mai di ripeterlo, e lo dico quindi ancora una volta: le cose appena dette si applicano nel caso in cui il sistema di coordinate fissato in R 3 sia stato scelto ortonormale: i tre assi devono essere perpendicolari tra loro, e le unità sui tre assi devono essere di lunghezza uno Solo in questo caso il prodotto scalare tra vettori in R 3 si ottiene moltiplicando le coordinate corrispondenti e sommando i risultati (ricordate il primo esercizio del primo esonero?) In ogni caso, anche se a lezione tendo a dimenticare queste cose, negli esercizi e negli esoneri cercherò sempre di menzionare l ortonormalità del sistema di riferimento (si dice cartesiano ortogonale, mi pare) ogni qual volta sia necessario DIPRTIMENTO DI MTEMTI, UNIVERSITÀ DEGLI STUDI DI ROM L SPIENZ address: dandreamatuniromait

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