Collana di Fisica e Astronomia

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1 Collana di Fisica e Astronomia A cura di: Michele Cini Stefano Forte Massimo Inguscio Guido Montagna Oreste Nicrosini Franco Pacini Luca Peliti Alberto Rotondi

2 Giampaolo Cicogna Metodi Matematici della Fisica 123

3 GIAMPAOLO CICOGNA Dipartimento di Fisica "E. Fermi" Università degli Studi di Pisa Springer-Verlag fa parte di Springer Science+Business Media springer.com Springer-Verlag Italia, Milano 2008 ISBN e-isbn Quest opera è protetta dalla legge sul diritto d autore. Tutti i diritti, in particolare quelli relativi alla traduzione, alla ristampa, all uso di figure e tabelle, alla citazione orale, alla trasmissione radiofonica o televisiva, alla riproduzione su microfilm o in database, alla diversa riproduzione in qualsiasi altra forma (stampa o elettronica) rimangono riservati anche nel caso di utilizzo parziale. Una riproduzione di quest opera, oppure di parte di questa, è anche nel caso specifica solo ammessa nei limiti stabiliti dalla legge sul diritto d autore, ed è soggetta all autorizzazione dell Editore. La violazione delle norme comporta sanzioni previste dalla legge. L utilizzo di denominazioni generiche, nomi commerciali, marchi registrati ecc., in quest opera, anche in assenza di particolare indicazione, non consente di considerare tali denominazioni o marchi liberamente utilizzabili da chiunque ai sensi della legge sul marchio. Riprodotto da copia camera-ready fornita dall Autore Progetto grafico della copertina: Simona Colombo, Milano Stampa: Grafiche Porpora, Segrate, Milano Stampato in Italia Springer-Verlag Italia s.r.l., Via Decembrio, Milano

4 Prefazione Questo libro trae la sua origine dagli appunti preparati per le lezioni di Metodi Matematici della Fisica tenute al Dipartimento di Fisica dell Università di Pisa, e via via sistemati, raffinati e aggiornati nel corso dei (molti) anni di insegnamento. Tuttavia, questi appunti sarebbero rimasti nella loro primitiva stesura senza l aiuto di Emilio d Emilio (a cui desidero rivolgere un caloroso e amichevole ringraziamento) che ha voluto ricopiare il manoscritto originale, per conferirgli una veste tipografica presentabile. Ringrazio anche Mariella Loffredo e mia moglie, che hanno riletto con grande cura l intero testo. Un ringraziamento infine a tutti gli studenti che mi hanno segnalato sviste e imprecisioni nelle precedenti versioni. Per alcuni anni il testo è stato stampato e distribuito agli studenti di Pisa dal Servizio Editoriale dell Università; finalmente, grazie anche all incoraggiamento di Giuseppe Gaeta, questo libro, nuovamente riorganizzato e ulteriormente arricchito, è infine approdato alla Casa Editrice Springer Italia. Ringrazio la sig.a Marina Forlizzi per la sua assistenza nella preparazione del testo in conformità agli standard di Springer. La stesura originale di queste lezioni risale al tempo in cui era in vigore il Vecchio Ordinamento degli studi, in cui il corso di Metodi Matematici della Fisica era un unico corso istituzionale che doveva coprire tutta la materia. Con l avvento del Nuovo Ordinamento e la presenza di diversi Moduli di Metodi Matematici, si è presentato il problema di come frazionare e adeguare la materia. È stato subito deciso di mantenere sostanzialmente la vecchia impostazione, preferendo cioè privilegiare una esposizione completa e senza interruzioni di ciascun argomento; la divisione del libro in Prima e Seconda Parte è semplicemente dovuta a comodità di esposizione e non significa nè intende suggerire che gli argomenti da svolgere in un Primo Modulo debbano necessariamente coincidere con la Prima Parte e quelli del Secondo con la Seconda Parte. Anzi, una buona alternativa può essere quella di anticipare la presentazione di alcuni argomenti di base in modo da renderli immediatamente utilizza-

5 VI Prefazione bili,comelaseriedifouriereleprimeproprietà degli operatori negli spazi di Hilbert, insieme con le nozioni preliminari della trasformata di Fourier (i primi paragrafi del Capitolo 2 e del Capitolo 4, rispettivamente). Questi argomenti possono poi venire opportunamente sviluppati e approfonditi, insieme con varie altre nozioni e con tecniche matematiche più raffinate, in Moduli successivi. Un altra scelta, per esempio, può essere quella di anticipare il Capitolo 3, che è dedicato alle funzioni di una variabile complessa e che è sostanzialmente indipendente dai primi due Capitoli. Per quanto riguarda il contenuto degli altri Capitoli, resta solo da specificare che il Capitolo 1 è semplicemente un ripasso guidato e finalizzato agli sviluppi successivi, di nozioni che dovrebbero essere in buona parte già ben note, mentre il Capitolo 5 è dedicato alla teoria e alle applicazioni delle distribuzioni (soprattutto le distribuzioni temperate). L Appendice A infine è una presentazione delle prime nozioni di teoria dei gruppi, delle algebre di Lie e delle simmetrie in vista delle loro applicazioni alla fisica. L intento generale di questo libro è di fornire una presentazione per quanto possibile semplice e diretta dei metodi matematici basilari e rilevanti per la Fisica. Anche allo scopo di mantenere questo testo entro i limiti di un manuale di dimensioni contenute e di agevole consultazione, sono stati spesso sacrificati i dettagli tecnici delle dimostrazioni matematiche (o anzi le dimostrazioni per intero) e anche i formalismi eccessivi, che tendono a nascondere la vera natura dei problemi e la via più adatta per affrontarli. Al contrario, si è cercato di evidenziare per quanto possibile le idee sottostanti ai diversi procedimenti. Anche le applicazioni proposte sono quelle che meglio epiù direttamente illustrano i procedimenti stessi, tralasciando altre applicazioni (Meccanica Quantistica, Elettromagnetismo, Equazioni alle Derivate Parziali, Funzioni Speciali, tanto per fare qualche esempio) che sconfinano in differenti discipline. In conclusione, l obiettivo principale èquellodimettere in condizione chi ha letto questi appunti di acquisire gli strumenti adatti e le conoscenze di base che gli permettano di affrontare senza difficoltà anche testi ben più avanzati e impegnativi. Pisa, Aprile 2008 Giampaolo Cicogna

6 Indice Parte I Strutture vettoriali nella fisica 1 Spazi a dimensione finita Primiesempidistrutturevettoriali Spazivettoriali(adimensionefinita) Matricicometrasformazionilineari Cambiamentidibaseematriciunitarie Autovalorieautovettoridiunamatrice Diagonalizzazione di una matrice hermitiana Problemiagliautovalori:applicazioni Proiettoriedecomposizionespettralediunamatrice Considerazioni geometriche sulle trasformazioni del piano reale Gruppidisimmetrieegruppidimatrici Strutturevettorialieprincipiodisovrapposizione Spazi di Hilbert Equazionedid Alembert.Ondestazionarie Primiproblemiconcernentiglispaziadimensioneinfinita La serie di Fourier nell analisi elementare e le sue difficoltà Evoluzionetemporalediun ondaelastica L equazionedelcalore Prodottoscalareenorma:definizionegenerale Ilconcettodinormacome distanza Alcuneosservazionisullaintegrazionedellefunzioni Lo spazio L 2 (I) LospaziodiHilbert:definizionegenerale Sistemiindipendentieortonormali SeriediFourier Sistemicompleti Spazi separabili e lo spazio l Trasformazionilineari... 59

7 VIII Indice 2.16 Continuitàelimitatezzadiunatrasformazionelineare Una applicazione concernente il problema della corda elastica Operatore aggiunto. Operatori unitari. Proiettori Autovaloriedautovettori.Spettrodiunoperatore Problema di Sturm-Liouville L equazionedid Alembertinduedimensioni Equazione di Sturm-Liouville con punti singolari. Alcunefunzionispeciali EquazionediLaplaceefunzioniarmoniche Equazioniallederivateparziali.Ilmetododid Alembert Funzionali.TeoremadiRiesz Operatore aggiunto Operatorichiusi Varie nozioni di convergenza per successioni di vettori e operatori Operatoricompatti Parte II Funzioni di variabile complessa. Trasformate integrali. Distribuzioni 3 Funzioni di una variabile complessa Primedefinizioni.Condizionidiolomorfia Seriedipotenze Integrazionedellefunzionidivariabilecomplessa TeoremidiCauchy.Esistenzadituttelederivate Sviluppi in serie di Taylor-Laurent Zeridiunafunzioneolomorfa Singolaritàremovibili Puntisingolariisolati Calcolodeiresidui Puntoall infinito Residuoall infinito Puntididiramazione.Tagli IllemmadiJordan Funzioniarmonicheetrasformazioniconformi Trasformate di Fourier e Laplace Ancora sulle serie di Fourier come analisi in frequenza. Il fenomenodellarisonanza DallaseriediFourierall integraledifourier L analisiinfrequenzaeil principiodiindeterminazione La trasformata di Fourier in L 1 (R) ContinuitàdellatrasformatadiFourier DerivazioneetrasformatadiFourier...143

8 Indice IX 4.7 Trasformata di Fourier in L 2 (R) InversionedellatrasformatadiFourier AlcuneosservazionisullatrasformatadiFourier L impedenza dei circuiti elettrici e la trasformata di Fourier Proprietà della funzione di Green Alcune proprietà della delta di Dirac Relazionididispersione:introduzione TeoremadiTitchmarsh.TrasformatediHilbert RelazionididispersionediKramerseKronig Presenza di singolarità nella χ(ω).mezzi conduttori Modellodell elettronelegatoelasticamente Trasformata di Laplace: prime proprietà OlomorfiadellatrasformatadiLaplace InversionedellatrasformatadiLaplace AlcuneosservazionisullatrasformatadiLaplace La funzione Γ dieuleroedaltretrasformatedilaplace Applicazionialleequazioniallederivateparziali Elementi di teoria delle distribuzioni Distribuzionitemperate Convergenza debole fradistribuzioni Derivazionedelledistribuzioni TrasformatadiFourierperdistribuzionitemperate Distribuzioni di Schwartz e distribuzioni a supporto compatto Proprietàeapplicazionidelledistribuzioni Prodottoeconvoluzionefradistribuzioni FunzionidiGreen.Ilpotenzialecoulombiano FunzionidiGreenconcondizionialcontorno FunzionediGreenperilpotenzialenelsemipiano A APPENDICE. Introduzione alla teoria dei gruppi e alle proprietà di simmetria A.1 Alcunedefinizionigenerali A.2 Omomorfismitragruppi.Gruppiquoziente A.3 Rappresentazionidiungruppo A.4 Rappresentazionideigruppifiniti.Caratteri A.5 LemmadiSchur.Lesimmetrienellafisica A.6 Livellivibrazionalidisistemiconsimmetria A.7 GruppidiLie.Definizioniedesempigenerali A.8 AlgebrediLie A.9 GruppiealgebrediLieelororappresentazioni A.10Rappresentazionidifferenziali A.11 Gruppo delle rotazioni ed SU A.12 Alcune proprietà generali delle algebre...228

9 X Indice A.13Rappresentazionitensorialielorodecomposizione A.14Qualcheconseguenzafisica A.15IlgruppodiLorentz Riferimenti bibliografici Indice Analitico...239

10 Parte I Strutture vettoriali nella fisica

11 Questa prima parte è dedicata allo studio dei formalismi e delle strutture vettoriali in dimensione finita e infinita. Il formalismo vettoriale non rappresenta semplicemente una sovrastruttura matematica (magari soltanto elegante) per molte situazioni fisiche, bensì costituisce la vera e propria struttura matematica adeguata a tradurre e descrivere il principio di sovrapposizione o di linearità. Il principio di sovrapposizione è alla base di moltissimi processi fisici e tra l altro è uno dei principi costitutivi della Meccanica Quantistica. Ovviamente non tutti i fenomeni fisici obbediscono a leggi lineari (anzi, gli effetti non lineari stanno ricevendo attualmente sempre maggiore attenzione ma sono purtroppo assai difficili da studiare), tuttavia è ben chiaro che la schematizzazione lineare costituisce una prima (e spesso buona o quanto meno istruttiva) approssimazione dei fenomeni. Dopo alcuni brevi richiami sugli spazi vettoriali a dimensione finita, soprattutto allo scopo di fissare le nozioni (e le notazioni) di base in vista delle successive estensioni, saranno affrontati (Cap. 2) i concetti e gli esempi fondamentali concernenti gli spazi a dimensione infinita, e più precisamente gli spazi di Hilbert. In questi spazi sarà possibile ambientare correttamente il procedimento di sviluppo in serie (trigonometrica) di Fourier, e soprattutto introdurne una generalizzazione astratta che porterà alla importante nozione di set completo di vettori. Verranno poi studiati gli operatori lineari fra spazi di Hilbert, illustrandone le proprietà fondamentali, e introducendo classi di operatori dotati di speciali caratteristiche. Particolare attenzione sarà rivolta ai problemi agli autovalori e alle proprietà spettrali, che rivestono enorme importanza, anche in Meccanica Quantistica. Il caso specialmente interessante dell equazione agli autovalori di Sturm Liouville porterà ad un cenno (necessariamente sommario) ad alcune funzioni speciali spesso incontrate in fisica. Come applicazioni immediate, potremo studiare l evoluzione temporale di oscillazioni elastiche (le vibrazioni di una corda o di una membrana circolare) e della propagazione del calore, descritte rispettivamente dalle equazioni (a derivate parziali) di d Alembert e di Fourier. Un altra applicazione riguarderà le funzioni armoniche (equazione di Laplace), ovvero i problemi di potenziale. Alcuni fra questi problemi verranno poi ripresi, con tecniche diverse, nei Capitoli successivi. 3

12 1 Spazi a dimensione finita 1.1 Primi esempi di strutture vettoriali a) La fisica fornisce esempi naturali di grandezze vettoriali (velocità, campo elettrico etc.). Indicando con e 1, e 2, e 3 i versori degli assi cartesiani dello spazio reale tridimensionale R 3, ogni vettore x di R 3 si può scrivere come èbennoto nella forma x = a 1 e 1 + a 2 e 2 + a 3 e 3 (a 1,a 2,a 3 ). D ora innanzi scriveremo per brevità, con la usuale convenzione di sottintendere la somma sugli indici ripetuti, x = a i e (i) oppure x = a i e i. b) Un esempio meno ovvio: le soluzioni di un equazione differenziale lineare omogenea formano uno spazio vettoriale. Sia L[ y ] = 0 l equazione e n il suo grado. Se e 1 (x), e 2 (x),,e n (x) sono n soluzioni indipendenti, anche ai e i (x) è soluzione dell equazione (e viceversa: ogni soluzione si può scrivere in questa forma). Quindi ciascuna soluzione è individuata da un elemento dello spazio C n,cioè lo spazio costituito dalle n-upledinumericomplessi (a 1,a 2,,a n ). c) Ancora un esempio dalla fisica: gli stati di polarizzazione della luce. Come è noto, per un onda elettromagnetica piana di frequenza ν che si propaga nel vuoto, il vettore di propagazione k, il campo elettrico E e il campo magnetico B formano una terna ortogonale. Indicando con z l asse su cui giace k, il vettore E avrà componenti sul piano x-y. Fissate arbitrariamente le direzioni degli assi x e y, l andamento del campo E si potrà descrivere nel modo seguente ( ) ( ) Ex E1 cos(kz ωt+ φ E = 1 ) = E y E 2 cos(kz ωt+ φ 2 ) ( ) ( ) E1 e = Re iφ1 e i(kz ωt) E1 = Re E 2 e iφ2 E 2 e iφ e i(kz ωt+φ1)

13 6 Spazi a dimensione finita dove k = k =2πν/c=2π/λ; ω = ck; φ = φ 2 φ 1.Comesivedrà, la notazione complessa usata qui sopra è particolarmente comoda. Se, per esempio, E 2 = 0, allora l onda è polarizzata linearmente lungo l asse x; similmente,se E 1 = 0, la polarizzazione èlungoy. Più in generale, con entrambi E 1 0e E 2 0,seè φ =0 cioèseleduecomponentinonsonosfasate,ilcampoe oscilla mantenendo costante la sua direzione, la quale giace lungo una linea che forma con l asse x un angolo θ dato da tan θ = E 2 /E 1.Sitrattaquindi ancora di polarizzazione rettilinea, e in tal caso lo stato ( di polarizzazione ) si E1 può descrivere mediante il vettore a componenti reali,cioè appunto E 2 come una opportuna sovrapposizione dei due stati di polarizzazione lineare lungo x elungoy. Sepoi φ 0, si hanno stati di polarizzazione circolare o ellittica; per esempio, se φ = ±π/2 e E 1 = E 2,siha ( ) ( ) ( ) Ex E1 cos(kz ωt+ φ E = 1 ) E1 cos τ = = ( = Re E y E 1 E 1 e ±iπ/2 E 1 sin(kz ωt+ φ 2 ) ) e i(kz ωt+φ1) = Re ( 1 ±i E 1 sin τ ) E 1 e i(kz ωt+φ1) y E τ x Figura 1.1. Polarizzazioni circolari delle onde e.m. e si vede(fig.1.1)che,al variare del tempo t, il vettore E descrive nel piano x-y una circonferenza in senso orario o antiorario (polarizzazioni circolari). In conclusione, il generico stato di polarizzazione si può descrivere mediante un vettore complesso a due componenti (spazio vettoriale C 2 ) 1 ; d altra par- 1 Si noti che, finché interessi lo stato di polarizzazione di una singola onda, se p èun vettore di C 2 che descrive tale stato di polarizzazione, in realtà anche αp (con α numero complesso qualsiasi diverso da zero) descrive lo stesso stato. In questo senso, quindi non c è corrispondenza biunivoca fra C 2 e gli stati di polarizzazione di un onda. Naturalmente, quando si devono sovrapporre due onde, allora interessano anche i coefficienti relativi dei due stati, che ne forniscono l ampiezza e la fase relativa. Fissato p C 2, l insieme dei vettori αp si chiama raggio.

14 1.2 Spazi vettoriali (a dimensione finita) 7 te, sovrapponendo due onde elettromagnetiche piane polarizzate con uguale direzione di propagazione, uguale frequenza e con stati di polarizzazione p 1 e p 2, si ottiene un onda il cui stato di polarizzazione è ottenuto proprio dalla somma (vettoriale, in C 2 ) dei ( vettori ) p 1 e p 2 (. Una ) base per lo spazio C 2 può 1 0 essere, per esempio E (1) =,E 0 (2) = ; un altra base possibile è ( ) ( ) E (+) =,E i ( ) =. Fisicamente questo corrisponde ad affermare i che ogni stato di polarizzazione si può ottenere sovrapponendo opportunamente le due polarizzazioni rettilinee lungo x elungoy, oppure anche sovrapponendo opportunamente le due polarizzazioni circolari oraria e antioraria E (+),E ( ). 1.2 Spazi vettoriali (a dimensione finita) Come già si vede dai precedenti esempi, ogni vettore x di uno spazio vettoriale V reale o complesso a dimensione finita n si può scrivere - avendo prescelto una base e (1),e (2),,e (n) perlospazio-nelmodoseguente x = x i e (i) (1.1) e quindi individuare (biunivocamente) mediante una n-upla di numeri reali o complessi x (x 1,x 2,,x n ) (1.2) che sono le componenti di x rispetto alla base scelta. Quanto detto qui sopra è la sostanza del noto teorema che assicura appunto che ogni spazio vettoriale V adimensionefinitan èisomorfoac n oar n (a seconda che sia definito sul corpo complesso C osulcorporealer),equindiciconsentedilimitarcia considerare - in dimensione finita - i soli spazi C n o R n.glistessiesempivisti indicano pure chiaramente come la struttura matematica degli spazi vettoriali sia quella adatta a descrivere e tradurre tutti i problemi lineari, cioètuttele situazioni (fisiche o matematiche) in cui è valido il principio di sovrapposizione. Tutto ciò risulterà meglio chiarito nel seguito. La stessa fisica e la geometria suggeriscono di arricchire la struttura di spazio vettoriale con un nuovo concetto, collegato a quello di angolo fra due vettori. Nello spazio ordinario R 3 infatti si introduce l operazione di prodotto scalare fra due vettori x e y, cheè definito, in termini delle rispettive componenti x i e y i,da x y = x i y i. Questa definizione si può generalizzare in C n (o R n ) nel modo seguente: si definisce prodotto scalare di due vettori x, y di C n e si indica con (x, y) il

15 8 Spazi a dimensione finita numero dato da 2 (x, y) =x i y i (1.3) dove x i indica il complesso coniugato di x i.sinoticheimatematiciusano una definizione diversa dalla precedente che è quella di regola usata in fisica: (x, y) mat = x i y i =(x, y) fis. Naturalmente le due definizioni coincidono nel caso di vettori reali. Èutile anche ricordare la definizione di norma di un vettore x, che è il numero reale positivo indicato con x e dato da 2 x = [ n 2]1/2 (x, x) = x i. (1.4) La norma generalizza quindi il concetto di modulo dei vettori di R 3 einsieme quello di modulo dei numeri complessi. Alcune ovvie proprietà sono(λ è un numero complesso qualsiasi): i=1 (x, y) =(y, x) ; (x, y + z) =(x, y)+(x, z) ; (x, λ y) =λ (x, y) ; λx = λ x. (1.5) Un vettore x si dice normalizzato (sottinteso: all unità) se x = 1; due vettori x, y si dicono ortogonali se (x, y) = 0. Un insieme di vettori x (1),x (2),,x (n), si dice infine ortonormale se ( x (i),x (j)) { 0 se i j = δ ij = (1.6) 1 se i = j (il simbolo δ ij ora usato si chiama simbolo di Kronecker). Infine, se la base prescelta per lo spazio vettoriale è ortonormale, allora dalla (1.1), facendone il prodotto scalare per ciascun e (k),siha ( e (k),x ) = ( e (k),x i e (i)) = x k (1.7) che esprime la componente x k tramite appunto il prodotto scalare, generalizzando così un risultato ben noto per i vettori di R 2 o R 3 (da notare che la (1.7) vale solo se la base è ortonormale!). Quindi, invece della (1.1), si può scrivere n x = e (i) ( e (i),x ). i=1 Una base ortonormale (detta anche base canonica) perc n (o R n )è data dai vettori e (1) =(1, 0, 0,, 0), e (2) =(0, 1, 0,, 0),..., e (n) =(0, 0, 0,, 1). (1.8) 2 Per una definizione più generalev. 2.6; si possono infatti introdurre definizioni assai più generali di prodotto scalare e di norma. Le (1.3) e (1.4) sono le definizioni più semplici o canoniche.

16 1.3 Matrici come trasformazioni lineari 1.3 Matrici come trasformazioni lineari 9 Ricordiamo qui alcuni risultati fondamentali concernenti le trasformazioni lineari fra spazi a dimensione finita. Siano dunque V e V due spazi vettoriali a dimensione finita, rispettivamente n e m, sianoe (i) ed e (j) due basi ortonormali scelte in V e V rispettivamente (i =1,,n; j =1,,m)esia T una trasformazione lineare di V in V T : V V (in generale ci servirà il caso V = V ed e (i) = e (i), tuttavia questa maggiore generalità può essere utile). Scelte le basi, è chiaro che per definire la trasformazione T basterà conoscere il suo effetto sui vettori di base e (i) :pertali vettori si potrà scrivere evidentemente Te (i) = α (i) j e (j) (1.9) cioè ogni e (i) verrà trasformato in una combinazione dei vettori di base e (j), con determinati coefficienti α (i) j ; la trasformazione èunivocamentedetermi- nata da tali coefficienti. Infatti, per calcolare il trasformato x di un generico vettore x di V, grazie alla linearità dit, basta osservare che Tx= T ( x i e (i)) = x i α (i) j e (j) = x. Quindi, in particolare, la componente j-esima del vettore trasformato x = Tx è data da x j = α (i) j x i = T ji x i (1.10) dove si è introdotta in modo naturale una notazione matriciale: T ji risulta infatti l elemento di posto ji(cioè rigaj-esima, colonna i-esima) di una matrice che viene a rappresentare la trasformazione T rispetto alle basi scelte. Tale matrice si ottiene dunque ponendo nella prima colonna le componenti α (1) j del trasformato di e (1) etc.: T α (1) 1 α (2) 1 α (3) α (1) 2 α (2) 2 α (1) Si noti la relazione per gli elementi di matrice: ( e (j),te (i)) = T ji. (1.11) Si ricordi ora che, grazie all isomorfismo già visto fra lo spazio V e C n, ogni vettore può essere univocamente individuato dalle sue componenti rispetto alla data base; introducendo inoltre l usuale convenzione di scrivere tali componenti come una matrice colonna di n righe e una colonna

17 10 Spazi a dimensione finita x = l equazione (1.10) può esser vista nel modo seguente, come ben noto x T 1 11 T 12 T 1n x 1 x 2 T. = 21 x 2.. x. m T m1.. x n intendendo di eseguire le moltiplicazioni secondo la regola righe colonne. Senza dover introdurre due notazioni diverse per la trasformazione lineare T e la matrice che la rappresenta, e così pure per il vettore x e la colonna delle sue componenti, potremo quindi indicare con x = Tx sia l operazione vista in astratto fra trasformazione e vettori, che l operazione intesa fra matrici nel senso sopra detto. Nel seguito considereremo di regola trasformazioni lineari (che chiameremo spesso operatori lineari) di uno spazio V in se stesso; le corrispondenti matrici saranno quindi matrici quadrate. Se si ha una catena di trasformazioni lineari secondo lo schema x 1 x 2. x n V T 1 V T 2 V (e analogamente per più di due trasformazioni), la composizione di T 1 e T 2 induce una trasformazione di V in V,definitada Tx= T 2 (T 1 x)=x. È facile verificare che la matrice che rappresenta T è il prodotto righe colonne T = T 2 T 1 delle matrici che rappresentano T 2 e T 1 (e, naturalmente, T 2 T 1 sarà in genere diverso da T 1 T 2 ). Osserviamo infine la seguente proprietà che ci sarà utile in seguito. SiaT un operatore lineare di uno spazio V in sè; si consideri la matrice che rappresenta T rispetto alla base prescelta, si prenda la trasposta di tale matrice e se ne calcoli il complesso coniugato di ciascun elemento. La matrice che si ottiene si chiama hermitiana coniugata oancheaggiunta della matrice data T e si indica con T + oppure con T,cioè (T + ) ij = Tji. (1.12) La matrice T + rappresenterà un altra trasformazione di V in sè (cheèl operatore aggiunto di T ) e che gode della seguente proprietà caratteristica 3, valida per ogni coppia di vettori x, y: 3 In genere, anzi, si definisce T + proprio mediante la (1.12 ) e la (1.12) viene allora di conseguenza.

18 1.4 Cambiamenti di base e matrici unitarie 11 (y, T + x)=(ty,x). (1.12 ) Infatti (y, T + x)=y i (T + x) i = y i (T + ) ij x j = y i T ji x j =(Ty) j x j =(Ty,x). Se,inparticolare,avvieneche T = T + la matrice si chiama hermitiana o autoaggiunta. Se poi la matrice è reale, la condizione di hermiticità diventa T = T t e quindi una matrice reale hermitiana è simmetrica. 1.4 Cambiamenti di base e matrici unitarie Tra le trasformazioni di uno spazio vettoriale V in sè, prendiamo ora in esame quelle trasformazioni M che hanno la proprietà di conservare i prodotti scalari, cioè tali che per ogni coppia di vettori x, y si abbia Ciò avviene se (M x,my)=(x, y). (1.13) (M x,my)=(mx) i (M y) i = M ij x j M ik y k =(M + ) ji M ik x j y k e quest ultima quantità è uguale a δ jk x j y k = x k y k =(x, y) seesolose M + M = I (1.14) dove con I si è indicata la trasformazione identica x x, cui corrisponde, in qualsiasi base, la matrice identità I = Più brevemente si ottiene lo stesso risultato così: (M x,my)=(x, M + My) che è uguale a (x, y) se e solo se vale appunto la (1.14). Una trasformazione lineare (e la corrispondente matrice) si dice unitaria se soddisfa alla condizione (1.14). In particolare, quindi, le trasformazioni unitarie conservano la norma dei vettori e l ortogonalità; pertanto trasformano basi ortonormali in basi ortonormali. Nel caso particolare che lo spazio sia reale, la condizione diventa chiaramente

19 12 Spazi a dimensione finita M t M = I (1.15) e la trasformazione si dice in tal caso ortogonale (ad esempio le rotazioni e le riflessioni nello spazio reale R 3 ). Si noti che le matrici unitarie (od ortogonali) non sono degeneri, infatti det(m + M)= det M 2 =1 e quindi esiste la trasformazione inversa M 1 e si ha anche dalla (1.14), M + MM 1 = M 1 M + = M 1 MM + = I. È anche facile vedere che queste possono essere invertite e si risale così alla (1.14). Immaginiamo ora di eseguire in uno spazio vettoriale V un cambiamento di base mediante una trasformazione unitaria, in modo quindi che la vecchia e la nuova base siano entrambe ortonormali. Ci domandiamo: data una qualsiasi trasformazione lineare di V in sè, rappresentata da una matrice T rispetto alla vecchia base, qual èlamatricet che descrive la stessa trasformazione rispetto alla nuova base? Per rispondere a questa domanda, consideriamo una matrice unitaria U e, per ogni vettore x di V,chiamiamo x = Ux il vettore chesiottieneapplicandou ad x; sia invece y = Tx il vettore che si ottiene applicando ad x la trasformazione T.Sihalasituazionedescrittanelseguente schema: x U x T T =? y U y La matrice richiesta T siottienedunquecosì: y = T x, ma y = Uy = UTx= UTU 1 x,quindi T = UTU 1 = UTU +. (1.16) Per esempio, se T è la rotazione di un angolo θ intorno all asse e 3 nello spazio R 3,lamatriceT è la rotazione del medesimo angolo θ intornoadunaltro asse (che è precisamente Ue 3 ): infatti le due matrici differiscono solo per un cambiamento di base. Più in generale, si possono prendere in considerazione anche basi non ortonormali; naturalmente il passaggio da una base ortonormale ad una non ortonormale sarà descritto da una matrice non unitaria. La condizione affinchè una base qualsiasi venga trasformata in un altra base è che la trasformazione sia invertibile (ovvero che la corrispondente matrice sia non degenere: questo assicura che vettori indipendenti vengano trasformati in vettori indipendenti). Ripetendo il ragionamento fatto sopra, detta S la matrice che opera il cambiamento di base, una generica matrice T si trasformerà, per effetto del cambiamento di base, come segue T T = STS 1. (1.17) Tale tipo di trasformazione si chiama trasformazione per similitudine.

20 1.5 Autovalori e autovettori di una matrice Autovalori e autovettori di una matrice È questo un argomento di particolare importanza perché un ampia classe di problemi (fisici, geometrici etc.) si traduce appunto in un problema agli autovalori ( vedi 1.7 per qualche esempio; moltissimi altri problemi agli autovalori si incontrano negli spazi a dimensione infinita (Cap. 2) ). Sia dunque T una trasformazione di uno spazio vettoriale V (a dimensione finita n) inse stesso. Vogliamo vedere se esiste qualche particolare vettore (non nullo) x di V per il quale Txsia semplicemente proporzionale ad x stesso: si tratta cioè di risolvere l equazione Tx= λx, x 0 (1.18) dove λ è un numero complesso. Se la (1.18) è soddisfatta da un vettore x con un certo λ, sidicecheλ èunautovalore di T echex èunautovettore di T relativo (o corrispondente o ancora appartenente) all autovalore λ. La (1.18) si chiama equazione agli autovalori. Si vede immediatamente che, se x è autovettore di T, anche ogni suo multiplo αx lo è, con lo stesso autovalore; inoltre, se x e x sono due autovettori relativi allo stesso autovalore, anche ogni combinazione lineare αx+ βx èancoraautovettoreconlostessoautovalore. Ne viene che per ogni autovalore esiste un sottospazio di autovettori: la dimensione di tale sottospazio si chiama degenerazione dell autovalore. Se in particolare la dimensione è uno, l autovalore si dice non degenere. Per esempio, prendendo come spazio V lo spazio R 3, la riflessione rispetto al piano x-y ha come autovettori tutti i vettori del piano di riflessione con autovettore 1 (degenere due volte), ed il sottospazio ortogonale unidimensionale (cioè l asse z) con autovalore non degenere 1. Avendo scritto la T in forma di matrice, la (1.18) è un sistema algebrico lineare e omogeneo nelle n componenti incognite x 1,,x n ; la (1.18) si può anche scrivere evidentemente (T λ I) x =0 e, come èbennoto,affinché ci siano soluzioni non nulle, x 0, di tale sistema, occorre e basta che det (T λ I) =0 (1.19) cioè T 11 λ T 12 T 13 T det 21 T 22 λ T 23 T 31 T 32 T 33 λ = L equazione (1.19) è detta equazione secolare. Essa è un equazione algebrica di grado n in λ: possiede quindi n soluzioni complesse λ 1,λ 2,,λ n,ma non necessariamente distinte. Le soluzioni della (1.19) sono gli autovalori di T : infatti andando a sostituire nel sistema (1.18) a λ uno dei valori trovati λ i, il sistema stesso diventa risolubile e determina almeno un vettore v (i)

21 14 Spazi a dimensione finita che è (con tutti i suoi multipli) autovettore relativo a λ i.però, se λ i èuna soluzione dell equazione secolare con molteplicità maggiore di uno, non è detto che si possano trovare in corrispondenza a λ i tanti autovettori indipendenti quanta è appunto la molteplicità diλ i.cioè non è detto che la degenerazione di ciascun autovalore sia uguale alla sua molteplicità algebrica nell equazione secolare, e quindi non sempre una trasformazione lineare possiede esattamente n autovettori indipendenti. Ad esempio la matrice ( ) ha il solo autovalore λ = 1 con molteplicità due nell equazione secolare, ( ma ) 1 non degenere: infatti l unico autovettore è(amenodimultipli)ilvettore. 0 Si deve notare infine che le soluzioni dell equazione secolare sono in generale complesse; pertanto, se lo spazio in considerazione èreale,puòavvenireche alcuni autovalori vengano perduti. Ad esempio, è chiaro che una rotazione di un angolo θ in R 3 (con l asse di rotazione passante per l origine, altrimenti non sarebbe una trasformazione lineare!) ha un solo autovettore, cioè l asse di rotazione, con autovalore 1 (a meno che θ = π, nel qual caso... ). Tuttavia, risolvendo l equazione secolare corrispondente, si trovano altri due autovalori e ±iθ complessi con autovettori pure a componenti complesse Diagonalizzazione di una matrice hermitiana Come caso particolarmente importante di quanto visto nel paragrafo precedente, consideriamo ora l equazione agli autovalori per una matrice hermitiana. Sia T una trasformazione lineare di uno spazio V in sè e, rispetto ad una base ortonormale e (i) di V, la matrice che rappresenta T sia hermitiana. Osserviamo innanzi tutto che T conserva la sua hermiticità anche cambiando comunque la base (purché sempre ortonormale): infatti l hermiticità di una trasformazione lineare si traduce nella proprietà, valida per ogni x, y : (x, T y) =(Tx,y) (1.20) che chiaramente non dipende dalla base (ortonormale) scelta; in altre parole si tratta di una proprietà intrinseca della trasformazione in astratto e non legata alla particolare rappresentazione (cioè alla base) scelta. La verifica di questo fatto è del resto immediata: se T + = T, allora anche T = UTU + è hermitiana: T + = T per qualsiasi matrice unitaria U ( per la verifica si ricordi che (AB) t = B t A t e quindi (AB) + = B + A ) +. 4 Da notare che tali autovettori sono proprio i vettori che descrivono le polarizzazioni circolari ( 1.1) nel piano ortogonale all asse di rotazione. In geometria analitica essi individuano le cosiddette rette isotrope del piano stesso.

22 1.6 Diagonalizzazione di una matrice hermitiana 15 Analogamente, se T ammette un autovettore v con autovalore λ, questo, com è naturale, èvero indipendentemente dalla base scelta. Infatti se Tv = λv, è anche vero che, per qualunque trasformazione unitaria U (si ricordi il 1.4), (U TU + )(U v)=utv= Uλv= λ (U v) (Ovviamente, questa proprietà è vera anche se si passa a basi non ortonormali con una trasformazione per similitudine). Sia allora λ 1 una soluzione dell equazione secolare per la matrice hermitiana T,esiav 1 un autovettore corrispondente. Si immagini ora di eseguire un cambiamento di base in modo che il vettore normalizzato w 1 = v 1 / v 1 sia il primo vettore della nuova base; sia U 1 una qualsiasi matrice unitaria che realizza questo cambiamento. Nella nuova base il vettore w 1 è dato evidentemente da e, posto T 1 = U 1 TU il che implica, come si vede direttamente, λ 1 X T 1 0 =... A1 0,dovrà essere per quanto detto qui sopra ( T 1 )... = λ Ma anche T 1 dev essere hermitiana, quindi X =0,inoltreA 1 èunamatrice (n 1) (n 1) anch essa hermitiana e infine λ 1 è un numero reale. Si immagini di ripetere il procedimento sulla matrice A 1 che opera sul sottospazio dei vettori ortogonali a w 1 :sitroverà un altro autovettore v 2 in questo sottospazio, con autovalore λ 2 (eventualmente potrà anche essere λ 2 = λ 1 ); si eseguirà quindi, sempre in questo sottospazio in modo da non alterare w 1, un altro cambiamento di base per far coincidere il secondo vettore col vettore w 2 = v 2 / v 2,ecosìvia.Sipuò così concludere che per una trasformazione hermitiana (i) gli autovalori sono tutti reali; (ii) gli autovettori costituiscono una base per lo spazio; (iii) gli autovettori sono ortogonali; più esattamente: gli autovettori appartenenti ad autovalori diversi sono ortogonali; se un autovalore è degenere, nel sottospazio corrispondente si possono scegliere autovettori ortogonali fra loro;

23 16 Spazi a dimensione finita (iv) esiste una trasformazione unitaria U (che trasforma la base e (i) nella base ortonormale formata dagli autovettori di T ) tale che la matrice trasformata T = UTU + risulta una matrice diagonale, che nella diagonale presenta gli autovalori: λ 1 T = λ 2. (1.21)... Una matrice hermitiana è dunque completamente diagonalizzabile con una trasformazione unitaria. Si potrebbe infine dimostrare che, più in generale, tutte le matrici N che verificano la condizione NN + = N + N cioè lecosiddettematrici normali (o operatori normali) sono tutte e sole quelle che godono delle proprietà (ii), (iii), (iv), e sono quindi diagonalizzabili con trasformazioni unitarie. Ovviamente le matrici hermitiane e quelle unitarie sono casi particolari di matrici normali, si può invece verificare che la matrice considerata come esempio in fondo al 1.5 non è una matrice normale. Si ha inoltre il seguente: Teorema: Se due trasformazioni normali T ed S commutano, cioè TS= ST (e quindi commutano le matrici che le rappresentano), allora esiste una base di vettori che sono contemporaneamente autovettori sia di T che di S (si dice brevemente che T ed S hanno una base di autovettori comuni). Dimostrazione. Sia v un qualsiasi autovettore di T e sia λ l autovalore corrispondente: Tv = λv. Allora, grazie alla commutatività dit ed S: T (Sv)=S (T v)=λ (Sv) quindi il vettore Svè ancora autovettore di T corrispondente allo stesso autovalore λ. Pertanto, se λ è non degenere, Sv deve essere proporzionale a v, cioè Sv = μv equindiv èautovettoreanchedis. Seinveceλ è degenere, Sv appartiene sempre al sottospazio degli autovettori di T con autovalore λ. Possiamo quindi considerare la restrizione di S a tale sottospazio; è facile vedere che S è normale anche in questo sottospazio e quindi ammette in esso una base di autovettori, che risulta così formata da vettori che sono anche autovettori di T. Il ragionamento si ripete per ogni autovalore di T. Come corollario, le due matrici sono diagonalizzabili simultaneamente,cioè conlastessamatriceunitariau: basta infatti prendere come U una trasformazione che cambia la base e (i) nella base degli autovettori comuni; in questa base T = UTU +, S = USU + sono entrambe diagonali della forma (1.21). Èfacilevederechevaleancheilviceversa: Teorema: Se T ed S hanno una base di autovettori comuni, esse commutano.

24 1.7 Problemi agli autovalori: applicazioni 17 Dimostrazione. Innazitutto T ed S sono diagonalizzabili simultaneamente per mezzo della matrice unitaria U, come fatto sopra. Quindi, sulla base degli autovettori comuni, esse sono della forma (1.21): ma due matrici diagonali evidentemente commutano. Il teorema resta provato osservando che la commutatività diduematriciè, come l hermiticità, una proprietà intrinseca, indipendente dalla base (come è immediato verificare). Infine, può anche avvenire che una matrice T non normale possieda un numero di autovettori indipendenti (non ortonormali) uguale alla dimensione dello spazio, come avviene ad esempio per la matrice ( ) 1 0 ; 1 0 in tal caso gli autovettori possono essere scelti come base non ortonormale dello spazio e la matrice T si può diagonalizzare mediante una trasformazione di similitudine T T = STS 1,doveS è la matrice (non unitaria) che trasforma la base iniziale nella base degli autovettori di T. 1.7 Problemi agli autovalori: applicazioni Passiamo ad analizzare qualche applicazione elementare tipica del problema della ricerca degli autovettori di una matrice. a) Si consideri un sistema lineare di n equazioni differenziali per le n funzioni x i = x i (t), del tipo seguente dx i dt = A ij x j (t), i, j =1, 2,,n (1.22) dove tutti gli elementi A ij della matrice A sono assegnati e costanti. Cerchiamo soluzioni del tipo x i (t) =c i e αt, i =1, 2,,n (1.23) dove le c i sono costanti ed α èlostessoperognii =1, 2,,n; cerchiamo cioè soluzioni (che chiameremo soluzioni fondamentali o normali) nelle quale ogni componente x i varia con t secondo la stessa legge e αt. Sostituendo la (1.23) nel sistema e indicando con c il vettore di componenti c 1,c 2,,c n si ottiene α c = A c (1.23 ) che è appunto un equazione agli autovalori. Se α è un autovalore di A e c l autovettore corrispondente, si ottiene la soluzione x i = c i e αt,cheèappunto del tipo cercato. Se la matrice A possiede n autovettori indipendenti (non è necessario che siano ortogonali) si avranno n soluzioni fondamentali: per ciascun autovalore α k di A si ottiene una soluzione le cui componenti variano tutte con la stessa legge e α k t e sono proporzionali alle componenti del

25 18 Spazi a dimensione finita corrispondente autovettore c (k). Naturalmente, trattandosi di un problema lineare, qualunque combinazione lineare di tali soluzioni sarà pure soluzione. Se il sistema (1.22) descrive un problema in cui t è la variabile tempo (sistema dinamico lineare) 5, gli autovalori α k si diranno costanti di tempo caratteristiche del sistema. In generale, il problema tipico (problema di Cauchy) che si deve risolvere è quello di trovare l evoluzione temporale del sistema, essendo note le condizioni iniziali, cioè il valore delle x i al tempo t =0.A tale scopo, posto a i = x i (0), basterà esprimere il vettore delle condizioni iniziali a (a 1,a 2,,a n ) come combinazione lineare degli autovettori c (k) (e questo è sempre possibile se la matrice A possiede n autovettori indipendenti): a = k b k c (k) ; l andamento temporale sarà dunque dato da x(t) = k b k c (k) e α k t (1.24) in cui ogni termine c (k) varia secondo la propria costante di tempo α k. Osservando d altra parte che, per qualsiasi matrice M, laserie e M n=0 M n n! (1.25) è convergente, è facile verificare che la soluzione del sistema (1.22) si può anche scrivere nella forma x(t) =e At x(0). (1.24 ) Se A possiede n autovettori indipendenti, si ritrova dalla (1.24 ) il risultato appena descritto dalla (1.24); in caso contrario, la soluzione conterrà termini deltipo polinomioint e αt, come è facile verificare. Si consideri per esempio un circuito come in fig. 1.2 (trasformatore), le cui equazioni sono di 1 L 11 dt L di 2 12 dt = R 1 i 1 + V 1 di 1 L 21 dt L di 2 22 dt = R 2 i 2 Sia V 1 = 0: con immediati passaggi le equazioni possono essere riscritte di 1 dt = A 11 i 1 + A 12 i 2 di 2 dt = A 21 i 1 + A 22 i 2 5 Lo studio dei sistemi dinamici non lineari èassaicomplessoeportaarisultati anche sorprendenti, che includono la presenza di soluzioni fortemente irregolari ( caotiche ). Si può vedere p.es. il libro di Ott [30].

26 1.7 Problemi agli autovalori: applicazioni 19 R 1 R 2 V 1 L Figura 1.2. Un trasformatore dove A 11 = R 1 L 22 /(L 11 L 22 L 2 12) etc. (si ricordi che L 12 = L 21 ). Per semplicità supponiamo ora che la matrice A sia del tipo ( ) k k A = k, k,k > 0. k Si verifica facilmente che il sistema possiede le due soluzioni fondamentali: c 1 = c 2 con costante di tempo α 1 = (k k ), e c 1 = c 2 con costante di tempo α 2 = (k + k ). L andamento temporale delle correnti i 1 (t) ei 2 (t) nei due rami del circuito sarà quindi, per la prima soluzione, proporzionale a i (1) (t) = e, per la seconda soluzione i (2) (t) = ( i1 (t) i 2 (t) ) = ( 1 1 ) e (k k ) t ( ) ( ) i1 (t) 1 = e (k+k ) t. i 2 (t) 1 Supponiamo che al tempo t = 0 il sistema si trovi nella condizione i 1 (0) = I 0,i 2 (0) = 0. Per trovare il successivo andamento delle correnti nei due rami basta scrivere la condizione iniziale come combinazione lineare delle due i (1) (0) e i (2) (0), cioè ( ) I0 = I [( ) ( )] E quindi l andamento delle correnti sarà dato da ( ) i1 (t) = I [( ) ( ) 0 1 e (k k ) t 1 + i 2 (t) cioè i 1 (t) = I 0 2 e kt( e k t + e k t ) i 2 (t) = I 0 2 e kt( e k t e k t ). ] e (k+k ) t

27 20 Spazi a dimensione finita Equazioni come in (1.22) si ottengono per esempio studiando l andamento nel tempo delle miscele radioattive: in tal caso x i (t) indica la concentrazione di atomi di tipo i ea ij la probabilità di transizione i j. b) Si consideri un sistema costituito da tre palline che possono muoversi liberamente lungo una retta. La pallina centrale di massa M è legata tramite due molle di uguale costante elastica k alle due palline laterali, ciascuna di massa m. Detti x 1,x 2,x 3 gli spostamenti di ciascuna pallina dalla propria posizione di equilibrio, le equazioni di moto del sistema sono: m ẍ 1 = k (x 1 x 2 ) M ẍ 2 = k (2x 2 x 1 x 3 ) (1.26) m ẍ 3 = k (x 3 x 2 ). Cerchiamo soluzioni di tale sistema del tipo x i (t) =c i sin(ωt+ δ), i =1, 2, 3. (1.27) Si noti che, come nell esempio a), si cercano soluzioni in cui la frequenza ω è la stessa per ciascuna pallina i =1, 2, 3 ; tali soluzioni rappresentano quindi movimenti particolari del sistema, che si chiamano modi normali o armonici di oscillazione, mentre le corrispondenti frequenze si chiamano frequenze proprie o autofrequenze del sistema. Sostituendo le (1.27) nelle equazioni del moto si ottiene un equazione che si può scrivere, analogamente alla (1.23 ), ω 2 c = K c (1.27 ) dove c (c 1,c 2,c 3 )ek èlamatrice k/m k/m 0 K = k/m 2k/M k/m. 0 k/m k/m Anche qui dunque ci si riduce ad un problema agli autovalori. Le autofrequenze che si trovano sono: k ω 1 =0; ω 2 = m ; ω 3 = 2 k M + k m Il primo valore, sostituito nelle (1.26) dà c 1 = c 2 = c 3,checorrispondeal caso in cui il sistema non oscilla, ma trasla rigidamente. La seconda soluzione corrisponde invece all autovettore c 1 = c 3,c 2 =0,cioè al caso in cui le due palline laterali oscillano in opposizione di fase fra loro, mentre M sta ferma. La terza soluzione dà infine c 1 = c 3,c 2 = 2(m/M) c 1 e corrisponde ad oscillazioni in fase delle due palline m, mentrem oscilla in opposizione di fase alle due laterali con ampiezza diversa (in modo da conservare il baricentro!). È immediato verificare che le tre soluzioni trovate sono indipendenti e quindi ogni movimento del sistema si può esprimere come sovrapposizione di questi

28 1.7 Problemi agli autovalori: applicazioni 21 tre modi di oscillazione. Infine, il problema di trovare l andamento temporale del sistema a partire dalle condizioni iniziali è sostanzialmente simile al caso a), solo un po più complicato, poiché ora, trattandosi di equazioni del secondo ordine, occorre assegnare insieme alle posizioni iniziali x i (0) anche le velocità iniziali ẋ i (0), affinché il problema sia determinato. Vale la pena di notare che il sistema ora studiato rappresenta una semplice schematizzazione di una molecola triatomica in cui gli atomi sono allineati, come avviene per esempio per la molecola di CO 2. In tal caso le frequenze sopra trovate si chiamano frequenze molecolari vibrazionali e possono essere sperimentalmente osservate (in emissione o in assorbimento) e misurate. c) Altre situazioni interessanti si ricavano considerando lo spazio C 2 degli stati di polarizzazione della luce (vedi 1.1c). È chiaro intanto che ogni strumento ottico che operi linearmente sugli stati di polarizzazione è descritto da una matrice. Per esempio un nicol (polarizzatore) che filtri la luce polarizzata nello stato E (1) è descritto dalla matrice ( ) 1 0 P =. 0 0 Gli autovettori di un nicol sono rispettivamente lo stato di polarizzazione che esso lascia passare (autovalore 1) e quello ortogonale (autovalore 0). Se, ad esempio, P 1 e P 2 sono le matrici corrispondenti a due nicol tali che le direzioni di polarizzazione che essi lasciano filtrare sono a 45 o fra loro, si vede subito che P 1 P 2 P 2 P 1 : fisicamente questo significa che cambiando l ordine dei nicol, cambia anche lo stato della luce emergente. L unico caso in cui P 1 P 2 = P 2 P 1 si verifica quando i nicol sono incrociati (allora P 1 P 2 = P 2 P 1 =0),ein effetti in tal caso essi hanno i due autovettori in comune. Come altro tipo di esempio, una matrice del tipo ( ) e iα 0 L = 0 ie iα in cui α è un numero reale qualsiasi, descrive una lamina quarto d onda con gli assi paralleli alle direzioni E (1) ed E (2) : due onde con polarizzazioni date rispettivamente da E (1) ed E (2) che incidono normalmente sulla lamina incontrano indici di rifrazione diversi n 1 e n 2, in modo tale che la differenza di cammino ottico δ (n 2 n 1 ) fra le due onde all uscita della lamina (δ èil suo spessore) è pari ad un quarto di lunghezza d onda; quindi lo sfasamento relativo risulta pari a π/2. È facile verificare che un onda incidente normalmente sulla lamina e polarizzata in una direzione formante un angolo di 45 o rispetto agli assi della lamina stessa ne esce polarizzata circolarmente. d) L espressione piùgenerale di una conica a centro (ellisse, iperbole), avente il proprio centro coincidente con l origine delle coordinate x, y è, come è noto, ax 2 + bxy+ cy 2 =1. (1.28)

29 22 Spazi a dimensione finita Indicando con x il vettore di componenti (x, y) econa la matrice simmetrica di elementi A 11 = a, A 12 = A 21 = b/2, A 22 = c (che è detta matrice caratteristica della conica), la (1.28) si può scrivere nella forma (x, A x) =1. Piùingeneralesiconsideranoleforme quadratiche in n variabili reali x 1,x 2,, x n,cioè le espressioni della forma F = A 11 x A 12 x 1 x A 22 x = A ij x i x j =(x, A x). (1.29) Il problema che normalmente si presenta è quello di scrivere la forma quadratica nella sua cosiddetta forma canonica, cioè trovare delle nuove coordinate x 1,x 2,,x n, combinazioni lineari delle x 1,x 2,,x n,inmodotaleche esprimendo nella F le x i mediante le x i, scompaiano dalla forma quadratica stessa tutti i termini misti, cioè che si ottenga un espressione del tipo F = α 1 (x 1) 2 + α 2 (x 2) α n (x n) 2. (1.30) Nel caso della conica questo equivale a cercarne gli assi e quindi fare una rotazione del sistema di coordinate in modo da far coincidere gli assi della conica con gli assi cartesiani. Èchiaroaquestopuntochetaleproblemasi enuncia molto semplicemente in termini di autovettori. L espressione canonica cercata (1.30), infatti, si può scrivere F =(x,a x )dovea èlamatrice diagonale che presenta α 1,α 2,,α n lungo la diagonale: si tratta quindi di diagonalizzare la matrice A; le coordinate x i saranno allora gli autovettori di A e α 1,α 2,,α n i corrispondenti autovalori. Nel caso della conica gli autovettori di A individuano le direzioni dei suoi assi, mentre dagli autovalori si può ottenere la lunghezza dei semiassi (si ricordi che, ad esempio, x 2 /a 2 + y 2 /b 2 = 1 rappresenta un ellisse scritta in forma canonica di semiassi a, b). Inoltre essendo det A il prodotto degli autovalori di A, siottienesubitoda tutto questo che la conica è un ellisse se det A>0, un iperbole se det A< Proiettori e decomposizione spettrale di una matrice Un caso particolarmente interessante di trasformazione lineare è dato dagli operatori di proiezione (ortogonali) o, più brevemente, proiettori. Dato unospaziovettorialev,didimensionen, siav 1 un suo sottospazio, di dimensione n 1 <n,esiav 2 il suo complemento ortogonale, didimensione n 2 = n n 1,cioè il sottospazio dei vettori ortogonali a tutti i vettori di V 1. Si scrive allora V = V 1 V 2 (1.31) e ogni vettore x V si può può sempre decomporre in modo unico nella forma x = x 1 + x 2, x i V i (i =1, 2) (1.32)

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