Il diaframma ottimale
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- Viola Leo
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1 22/04/09 15:22 Pagina 36 TECNOLOGIA L apertura di condiziona la qualità di una fotografia, sia come nitidezza sia come profondità di campo nitido. Vediamo come ricercarne il valore ottimale Il ottimale Si scatta, poi si osserva con occhio critico la fotografia e ci si chiede: sarebbe stato possibile ottenere un risultato tecnicamente migliore? L esperto di turno dice subito che, se avessimo chiuso maggiormente il, la nitidezza sarebbe stata tutta un altra cosa. Normalmente, è proprio così e viene dunque spontaneo chiedersi in quale misura l apertura influisca sul risultato. Non basta: osserviamo, per di più, che l avvento del digitale sorprende perché ci fa constatare che, molto spesso, la profondità di campo nitido appare normalmente molto più estesa. C è dell altro: se osserviamo attentamente molte fotocamere digitali notiamo che la loro scala diaframmi presenta pochi valori, spesso non si spinge oltre f/11. Anche questo fatto aumenta le perplessità: ha dunque ragione chi dice che ciò che conta è scattare sempre con quel ottimale che, si sussurra, deve equivalere a f/9.5? È il momento di provare ad avanzare qualche considerazione sul tema. La nitidezza in profondità. Affrontiamo il tema partendo da lontano. Diciamo che l occhio umano sa valutare bene la nitidezza di una fotografia, sa analizzarla in modo molto critico. Pretende di distinguere bene anche piccoli dettagli. Quanto piccoli? Diciamo che ogni immagine è costituita da un insieme di di Maurizio Capobussi punti che descrivono minuscoli particolari. A bene guardare, però, questi dettagli appaiono nitidi quando sono disegnati da punti che siano davvero tali. La cosa si fa difficile: si sa bene che il concetto stesso di punto è una idealizzazione teorica. Per essere più precisi dovremmo dire che ogni punto è, in realtà, un microscopico e piccolissimo cerchietto che noi interpretiamo come punto. Ne deriva quindi, automaticamente, una domanda: quale misura deve avere il diametro di uno di questi cerchietti, per potere essere ritenuto un punto dall occhio umano? Gli studiosi hanno analizzato attentamente i meccanismi della visione. Sono arrivati alla conclusione che l occhio è in grado di distinguere al massimo 6 coppie di linee per millimetro. È un livello di nitidezza in corrispondenza al quale l occhio riesce a separare distintamente piccoli elementi, affiancati, che si presentino con un contrasto abbastanza vivace. Si tratta di conteggi interessanti. Tra l altro, nella fotografia digitale, sono proprio questi i parametri posti alla base di una decisione chiave: quella che porta ad assumere come risoluzione indispensabile, per realizzare stampe di qualità e lavori editoriali, il valore di 300dpi (dot per inch, punti per pollice). Torniamo al cuore del nostro problema ed esaminiamo alcuni aspetti funzionali, che permettono di descriverlo in modo pratico. In breve: constatiamo che per potere spiegare quanto i cerchietti debbano essere piccoli per potere essere considerati come punti è necessario introdurre un altro elemento. È quello che è stato battezzato circolo di confusione. Lo definiamo come il cerchietto che, sul piano di messa a fuoco, il nostro occhio accetta come punto. Lasciamo agli ottici di professione gli aspetti di analisi matematica di questo problema. Qui, ci limitiamo a considerazioni pratiche. Diciamo quindi che, per comprendere che cosa succede quando si fotografa con diverse aperture di, soprattutto per capire come varia la profondità di campo nitido, si deve valutare il diametro del cono di luce che l obiettivo proietta verso il sensore. A questo scopo analizziamo due casi. Uno, l obiettivo viene adoperato con il tutto aperto. La messa a fuoco viene eseguita con precisione, sul sensore. L immagine proiettata su di esso appare perfettamente nitida. Dunque, un punto appare come punto. Attenzione, però: il cono di luce proiettato sul sensore è molto aperto, ha un angolo molto pronunciato. Ciò significa che quello che 36 MAGGIO 2009 FOTOGRAFIA REFLEX
2 22/04/09 15:22 Pagina 37 A sinistra: per variare la profondità di campo nitido si agisce sull apertura del dell obiettivo. Con il molto chiuso, si ottiene una nitidezza molto estesa, che può andare anche dal primo piano all infinito, come in questa ripresa del gruppo dolomitico del Latemar. appare come un punto, sul sensore, risulta essere un cerchio di diametro abbastanza ampio sui piani, paralleli, che immaginiamo intersecare il fascio di luce prima e dopo il sensore. Insomma: succede che i punti fuori fuoco mostrano circoli di confusione che non possono essere paragonati a punti. È chiaro che questi punti disegnano un immagine che appare sfocata. Due, l obiettivo viene adoperato con un molto chiuso. La messa a fuoco viene eseguita con precisione, sul sensore. L immagine proiettata su di esso appare perfettamente nitida. Dunque, un punto appare come punto. Attenzione: se il valore di è decisamente chiuso, il cono di luce proiettato sul sensore in questo caso è molto stretto. Ne deriva una conseguenza interessante: il diametro dei cerchietti che la luce disegna, sui piani fuori fuoco prima e dopo il sensore, è molto contenuto. È così stretto da riuscire a risultare più piccolo del diametro del circolo di confusione che caratterizza quel determinato obiettivo. Ne deriva anche un altra conseguenza: i particolari della scena inquadrata che sono collocati davanti e dietro il soggetto principale risultano, comunque, descritti con precisione. L occhio li percepisce come nitidi. La profondità di campo appare essere di conseguenza molto estesa. Entrambe le opzioni fotografiche sono valide e utili. Di solito succede che un fotografo paesaggista desidera che tutta la scena risulti nitida, dal primo piano all infinito. Al contrario, può accadere che un fotografo ritrattista desideri sfocare gli elementi distraenti, quelli dietro al soggetto inquadrato. Di conseguenza: il primo preferirà usare diaframmi chiusi, il secondo diaframmi aperti. La situazione fino a qui considerata è tra l altro di interesse generale, perché vale sia per la fotografia su pellicola sia per la fotografia digitale. È normalmente riassunta dalla semplice regola che dice che quando si chiude il si aumenta la profondità di campo nitido, quando invece lo si apre la si diminuisce. Profondità di campo e lunghezza focale. Abbiamo detto che l apertura di condiziona l estensione della profondità di campo nitido, ed è vero. Tuttavia, occorre fare attenzione: un parametro che la condiziona è anche l ingrandimento con il quale si effettua la ripresa. Ciò equivale a dire che, nel gioco, influisce anche la focale dell obiettivo usato. Le immediate conseguenze sono due. Primo, scattare con obiettivi grandangolari, cioè con focali corte, significa potere disporre di una profondità di campo nitido più este- Con un molto chiuso il cono di luce proiettato sul sensore è molto stretto e la profondità di campo si estende dal primissimo piano all infinito. Con un molto aperto, la profondità di campo nitido è di limitata estensione. Risulta a fuoco soltanto l elicottero, un aeromodello stagliato sulle montagne. Il valore di non regola soltanto la quantità di luce che entra nella fotocamera. Cioè non regola soltanto l esposizione. Decide anche il diametro del cono di luce proiettato verso la pellicola o verso il sensore. Se il è molto chiuso, sui piani fuori fuoco il diametro del cono di luce risulta più piccolo del circolo di confusione. Ne deriva che la profondità di campo disponibile appare estesa. Se il è molto aperto, il diametro del cono di luce origina invece un cerchio di grande diametro, sicuramente non paragonabile ad un punto ideale. La nitidezza allora non appare estesa in profondità. FOTOGRAFIA REFLEX MAGGIO
3 22/04/09 15:22 Pagina 38 Lo scatto di riferimento: un anforetta greca del periodo Geometrico. sa. È una regola generale, valida sia per la fotografia analogica sia per quella digitale; Secondo, scattare con focali corte, in questo caso intendendo lunghezze focali di pochi millimetri come quelle che compaiono soprattutto sulle fotocamere digitali compatte e che sono la conseguenza del dovere adeguare l obiettivo alle minuscole dimensioni di un piccolo sensore, porta ad un considerevole aumento della profondità di campo apparente. Questa seconda condizione, che suscita la curiosità e l interesse dei fotografi, merita di essere analizzata in dettaglio. È ciò che facciamo, qui di seguito. Nel mondo digitale. Non c è dubbio che Le decorazioni sull anforetta, in uno scatto con ottica 100mm macro a f/2.8. La nitidezza in profondità è davvero ridotta. A destra, le decorazioni sull anforetta, in uno scatto con ottica 100mm macro a f/32. La nitidezza in profondità è al massimo. anche nel mondo digitale valgono le consuete regole dell ottica, quelle stesse che valgono nel mondo della pellicola. Per un fotografo che disponga di una reflex digitale con sensore full-frame, cioè 24x36mm, è infatti facile constatare che nulla cambia, anche rispetto alla profondità di campo nitido ottenibile ai diversi diaframmi, rispetto a quanto era solito ottenere scattando fotogrammi 24x36mm tradizionali, su pellicola. Attenzione, però. Le cose cambiano, considerevolmente, quando si adoperano fotocamere reflex digitali con sensore ad esempio in formato APS o, ancora di più, fotocamere digitali compatte che sono caratterizzate da sensori molto più piccoli. Ciò che conta, precisiamo, non è il numero di pixel di un sensore ma la sua superficie utile. Il ragionamento chiave che è necessario fare è molto semplice: se un sensore digitale ha una dimensione inferiore a quella di un fotogramma 24x36mm (che assumiamo come riferimento), ne deriva che, per mantenere invariato l angolo di campo che l obiettivo riprende, la focale dell ottica deve essere più corta, in valore assoluto. A questo punto, considerato che le formule di calcolo rimangono invariate, succede che a parità di valore diframma l obiettivo di focale più corta offre una maggiore profondità di campo nitido. LA SCALA DELLA PROFONDITÀ DI CAMPO Quanto è estesa la nitidezza in profondità? Come è possibile controllare la sua estensione? Valutare la profondità di campo che corrisponde ai diversi valori di è facile: basta consultare le tabelle fornite dai fabbricanti, spesso pubblicate sul foglietto di istruzioni degli obiettivi. Un alternativa è poi imparare ad adoperare la scala di profondità di campo, presente su ottiche professionali (purtroppo oggi è raramente riportata su obiettivi economici; è anche volutamente eliminata sulle ottiche per fotocamere digitali compatte, in conseguenza del fatto che queste offrono sempre una nitidezza molto estesa generata dalla presenza di sensori di piccole dimensioni. Ecco come adoperare la scala della profondità di campo nitido. 1 Si esegue come di consueto la messa a fuoco di precisione sul soggetto principale (manualmente o con autofocus); 2 Si decide il valore di da adoperare: chiuso per avere una estesa profondità di campo nitido, aperto per ridurla. 3 - Per ottenere una corretta esposizione si regola, in funzione del scelto, la durata del tempo di esposizione; 4 Si osserva sull obiettivo la scala della profondità di campo. Il valore di che è stato scelto compare in due posizioni. Viene infatti riportato sia prima sia dopo il riferimento centrale Su di un obiettivo supergrandangolare da 14mm si vede la finestrella che copre la scala della profondità di campo nitido. Il puntino rosso è il riferimento per la messa a fuoco infrarossa. presente sulla scala distanze, quello che indica la distanza della messa a fuoco effettuata; 5 In corrispondenza delle due cifre del valore di si leggono, sulla scala distanze che le fronteggia, due valori di distanza. Indicano il punto in cui inizia e il punto in cui finisce la zona che, fotograficamente, possiamo considerare sufficientemente nitida. Esprimono cioè la profondità di campo disponibile. Riteniamo opportuno sottolineare una particolarità che, nella pratica fotografica sul campo, ci sembra che sia abbastanza importante: la scala della profondità di campo incisa sugli obiettivi è di solito calcolata basandosi su di un circolo di confusione abbastanza generoso. Dunque indica un estensione della profondità di campo piuttosto ottimistica, spesso più ampia di quella ottenuta tramite calcoli. Il fotografo particolarmente esigente in questo caso può, per cautelarsi nell ottenere una nitidezza molto estesa, chiudere ulteriormente il di un valore. In questo caso la messa a fuoco è regolata sulla distanza di 0.5m. Leggiamo la scala della scala della profondità di campo ipotizzando di adoperare ad esempio il f/16. L area nitida in questo caso si estende dalla posizione A fino alla posizione B, cioè rispettivamente da poco meno di 0.3m fino all infinito. È notevolmente estesa, anche grazie al fatto che l obiettivo è un grandangolare. 38 MAGGIO 2009 FOTOGRAFIA REFLEX
4 22/04/09 15:22 Pagina 39 Cerchiamo di scoprire perché tutto questo accade. La regola base. Non vogliamo annoiare il lettore con elucubrazioni matematiche. Però, alcune semplici considerazioni meritano la nostra attenzione. La prima è che il valore di è sempre un valore relativo ed è frutto di un semplice calcolo. In pratica, risulta da questo conteggio: si prende la focale dell obiettivo e la si divide per il diametro del foro che corrisponde al che si sta usando. A questo proposito facciamo un esempio. La focale di un obiettivo normale, per un sensore o un fotogramma di pellicola che misura 24x36mm, equivale a circa 43mm. Immaginiamo a questo punto di volere disporre di un valore di pari a f/2. Lo otterremo se il diametro del foro che verrà attuato dalle lamelle poste nell obiettivo sarà pari a 21.5mm. Infatti, 43 diviso 21.5 dà come risultato appunto il valore 2. Ora, spostiamo il ragionamento nel mondo della fotografia digitale. Supponiamo di adoperare, su di una piccola fotocamera compatta, un sensore da 1/8. È decisamente più piccolo di un sensore 24x36mm, perché misura 7.17x5.31mm. In questo caso succede allora che la sua diagonale risulta essere pari a 8.92mm. Questo obiettivo da 1/8 di pollice, per fornire sempre lo stesso angolo di ripresa che caratterizza un obiettivo normale, deve dunque avere una focale pari a circa 13.8mm. È una misura considerevolmente più corta, rispetto a quella del caso precedente. In questa nuova situazione succede, allora, che il diametro effettivo del necessario per fornire un valore f/2 deve essere molto più piccolo. Per la precisione, facendo un semplice conto, deve essere pari a 4.46mm. Infatti: 8.92 diviso 4.46 uguale a 2. Una interessante conclusione. A parità di valore di, che come abbiamo visto in entrambi i casi equivale ad f/2, il diametro effettivo del foro del che viene utilizzato quando si scatta con il piccolo sensore digitale è allora considerevolmente minore rispetto a quello adoperato per il sensore, o per la pellicola, che sia di formato 24x36mm. Ne derivano tre importanti conclusioni. La prima: in entrambi i casi l esposizione fotografica, a parità di sensibilità Iso impostata sulla fotocamera ed anche a parità di tempo di esposizione, non varia. La seconda: il diametro reale del foro del è diventato, nel secondo caso, decisamente più piccolo. La conseguenza è rilevante: risulta molto più stretto il cono di luce proiettato verso il sensore. Sono dunque molto più piccoli, sui piani fuori fuoco posti davanti e dietro il sensore, i diametri del cono che attraversa quelle aree che normalmente appaiono sfocate. Ecco il punto chiave: in questo caso succede, di conseguenza, che esse NON appaiono sfocate. I diametri del cono sono infatti più Lo schema mostra visivamente le differenze dimensionali tra alcuni sensori digitali adottati su fotocamere compatte e reflex, fino alla versione per medio-formato. Due sensori Sony a confronto, entrambi destinati a fotocamere digitali compatte. Uno scatto con una fotocamera digitale compatta, a distanza ravvicinata e 8. La profondità di campo nitido equivale a quella ottenibile con una reflex con sensore 24x36mm con chiuso a f/45. piccoli del circolo di confusione ritenuto accettabile dal fotografo. Il risultato spiega dunque ciò che accade. O meglio ciò che i fotografi constatano, spesso meravigliandosi: l apparente profondità di campo nitido risulta essere decisamente molto, molto più estesa! Una terza conclusione è legata ad aspetti squisitamente di ottica. Riguarda un possibile inconveniente. È infatti vero che diametri di molto stretti portano ad una maggiore profondità di campo. Ma è anche vero che presentano uno specifico inconveniente. È quello che espongono la ripresa al rischio di una perdita di qualità per colpa dell effetto di diffrazione. Si tratta di un difetto ottico che non deve essere sottovalutato e che è capace di rovinare in modo molto visibile la qualità dell immagine fornita dagli obiettivi. Scala diaframmi ridotta. Quando si parla di diffrazione ci si riferisce al fatto che la luce, quando transita attraverso un apertura molto piccola e dal bordo molto sottile, viene deviata e genera un immagine imperfetta, che al fotografo appare meno nitida. È per questo motivo che molti obiettivi superluminosi destinati a fotocamere con sensore 24x36mm, che ad esempio vantano una massima apertura pari a f/1.4, non si spingono a superare una chiusura di pari a f/16. È sempre per questo motivo che ottimi obiettivi per macrofotografia giungono fino a chiusure di pari a f/22 e qualche volta anche f/32, ritenute utili per disporre di una profondità di campo nitido particolarmente estesa, ma non vanno oltre per non perdere eccessivamente qualità d immagine. Infine, è ancora per questo motivo che quasi tutte le fotocamere digitali compatte, o comunque le fotocamere con sensori di piccole dimensioni, normalmente montano obiettivi che non chiudono oltre f/11. Dopo avere fatto questa considerazione, tuttavia, riteniamo opportuno indicarne un altra, che normalmente non viene segnalata FOTOGRAFIA REFLEX MAGGIO
5 22/04/09 15:22 Pagina 40 SCEGLIERE DIAFRAMMI MEDI La possibilità di verificare la resa del proprio obiettivo, ai diversi diaframmi, è alla portata di tutti: con la fotocamera su treppiede si scattano almeno tre fotografie al medesimo soggetto, la prima con il tutto aperto, la seconda con un intermedio, la terza alla massima chiusura. Per comodità di lavoro si può fotografare, molto semplicemente, un oggetto anche posto su di un tavolo, a distanza abbastanza ravvicinata. La messa a fuoco, nei tre scatti, non deve essere modificata. Si confrontano poi i risultati e si nota subito che la profondità di campo nitido varia sensibilmente. Aumenta molto, rispettando le regole dell ottica, in corrispondenza del più chiuso. Attenzione però: ciò che più ci interessa non è la valutazione della profondità di campo ma una verifica della qualità del risultato in termini di nitidezza. Controllarla è facile, soprattutto quando si scatta con una fotocamera digitale, perché basta aprire le tre fotografie con un ingrandimento del 100% sullo schermo del computer ed osservare attentamente un dettaglio fine. Si scoprirà facilmente che un obiettivo di buona qualità saprà fornire un eccellente risultato anche alla massima apertura; poi, che fornirà un risultato ragionevolmente buono alla massima chiusura (ma con una perdita di nitidezza dovuta alla diffrazione!); infine, che fornirà il risultato migliore in corrispondenza di un intermedio. La conclusione che si potrà trarre sarà naturalmente che, a meno che altre esigenze fotografiche non obblighino a scegliere valori di molto aperti o molto chiusi, sarà sempre preferibile scegliere diaframmi medi. Considerando l ampiezza della scala dei diaframmi delle ottiche di oggi, il consiglio dei fotografi navigati è quasi un ritornello: il migliore è pari a f/9.5. Si tratta di un affermazione, un po azzardata, che deriva dal luogo comune che dice che i valori che di solito forniscono i migliori risultati sono f/8 oppure f/11. In essa c è comunque del vero, anche se per amore della verità si dovrebbe tenere conto di volta in volta delle caratteristiche di progettazione di ogni obiettivo, ad esempio valutando se si tratta di un ottica a correzione apocromatica di alta classe, spesso ottimizzata per operare su valori di un poco più aperti (ad es. f/5.6 o f/8). A titolo di conferma, pubblichiamo alcuni scatti ottenuti fotografando una classica mira test con due obiettivi molto differenti tra loro per impostazione generale e nello stesso tempo molto recenti sotto il profilo della progettazione ottica. Sono un Canon EF 100mm f/2.8 Macro USM ed un Canon EF 14mm f/2.8l II- L assetto adottato per il test, con la classica mira ottica. USM, entrambi particolarmente adatti a fornire eccellenti risultati in riprese con fotocamere digitali, anche su sensori di formato 24x36mm (Canon EOS 5D). Il Canon EF 100mm f/2.8 Macro USM, un obiettivo per macrofotografia dotato di in grado di chiudere fino a f/32. La resa ottica ai diversi diaframmi conferma perfettamente la teoria: a f/11 si ha il risultato migliore; a f/2.8 l obiettivo si comporta bene ma la delineazione cala sensibilmente; a f/32 la qualità è elevata ma, per colpa della diffrazione, è sensibilmente inferiore rispetto a quella fornita dal medio. Il Canon EF 14mm f/2.8l II-USM, un supergrandangolare con angolo di campo di 114, lenti asferiche e vetri a bassa dispersione, espressamente progettato per la fotografia digitale. La resa ottica del 14mm consente di trarre conclusioni interessanti. A f/2.8 la qualità appare ridotta e compare anche un poco di aberrazione cromatica; a f/11 la qualità è, al solito, soddisfacente (anche se inferiore rispetto a quella del 100mm macro); a f/22, sorprendentemente, la qualità si mantiene ad un livello elevato, pari e anche superiore alla resa che si riscontra ad f/11. È un risultato pratico interessante, conseguenza anche della progettazione supergrandangolare dell obiettivo. Notiamo che la luminosità massima, su di un grandangolare di questo tipo, è utile soprattutto per facilitare all autofocus una messa a fuoco di precisione; la resa qualitativa elevata a f/22 è invece molto utile anche perché quest ottica ha una scala distanze che scende fino a 20cm dal soggetto e dunque la possibilità di chiudere molto il diviene importante per potere disporre anche in questa condizione di una profondità di campo nitido molto estesa. 40 MAGGIO 2009 FOTOGRAFIA REFLEX
6 22/04/09 15:22 Pagina 41 quando si parla di pratica, sul campo, con la fotografia digitale. È la seguente. Se si tiene conto della dimensione del sensore, della dimensione del circolo di confusione, della dimensione effettiva del foro del che consente il passaggio della luce nell obiettivo, si arriva alla una conclusione che, adoperando un sensore digitale da 1/3, del tipo montato su molte fotocamere digitali molto compatte, a parità di profondità di campo disponibile accade che sulla macchina compatta è necessario re molto meno rispetto a quanto non si debba fare su di una reflex con sensore formato 24x36mm. Supponiamo che entrambe le fotocamere siano dotate di obiettivi che possano essere ritenuti, nei due casi, di focale normale. In particolare, la corrispondenza delle due scale di è quella qui di seguito indicata: Diaframmi sulla reflex 24x36mm: f/11 f/16 f/22 f/32 f/45 f/64 Diaframmi equivalenti su compatta: f/2 f/2.8 f/4 f/5.6 f/8 f/11 Sul piano pratico, possiamo ragionare subito sulle posizioni estreme. In particolare notiamo che l apertura di pari a f/2, sulla fotocamera compatta, consente ad una profondità di campo nitido pari a quella ottenuta con il f/11 sulla macchina reflex. È già molto estesa. All estremità opposta della scala poi, notiamo che il valore f/11 di una compatta equivale addirittura ad un valore f/64 su di una reflex. È una prestazione straordinaria, che fa addirittura raccomandare e magari preferire la compatta per alcune riprese specialistiche, ad esempio per quelle in campo macrofotografico dove la profondità di campo nitido particolarmente estesa è sempre benvenuta. A questo punto, si impongono però due osservazioni. In primo luogo, abbiamo già detto che le equivalenze tra le due scale dei diaframmi sono riferite esclusivamente all estensione della profondità di campo nitido. Non si deve mai dimenticare questa specifica particolarità. Infatti, esaminando la cosa da un altro punto di vista, occorre poi specificare che invece dal punto di vista dei valori assoluti di, l apertura pari a f/64 richiederà un tempo di esposizione molto più lungo (di ben 5 stop) rispetto a quello necessario per scattare ad f/11. La fotocamera compatta sarà dunque avvantaggiata anche in questo campo, sulla reflex (beninteso, sempre a parità di sensibilità Iso impostata), In secondo luogo, la profondità di campo apparirà normalmente molto estesa, operando con una fotocamera digitale compatta, anche quando si scatterà con l apertura di pari a f/2. Il fotografo, sul campo, si troverà dunque a potere riprendere con tempi di esposizione abbastanza brevi, consentiti appunto dalla grande apertura di, DIAFRAMMA E ABERRAZIONI Qui si vede il montato in una fotocamera digitale Sony. Variare l apertura di modifica anche la resa qualitativa dell immagine. Meccanicament e, è importante che il foro del appaia quanto più possibile circolare. La perfetta circolarità permette di mantenere un elevato contrasto anche nei particolari fuori fuoco. Determina quella che viene definita come resa nello sfocato. Variare il valore di modifica la profondità di campo nitido. Ma influisce anche sulla qualità dell immagine? Questa migliora davvero se si chiude il? La risposta è: sì, ma non sempre. Ecco allora come variano alcune aberrazioni ottiche. ABERRAZIONE SFERICA. Diaframma chiuso = miglioramento. La curvatura sferica di una lente fa sì che i raggi che la attraversano in periferia vanno a fuoco su di un piano differente rispetto a quelli che passano dal centro. Chiudere il limita il diametro di lavoro e la resa dunque migliora. È per questo motivo che i progettisti hanno anche percorso, con successo, la strada delle lenti a superficie asferica. ABERRAZIONE DI COMA. Diaframma chiuso = miglioramento. I raggi obliqui, ai bordi dell immagine, disegnano un punto allungato che sembra una cometa o una farfallina. È l aberrazione di coma, spesso presente su ottiche superluminose ed evidente alla massima apertura. Chiudere il neutralizza il difetto. È anche vantaggioso disporre di lenti asferiche. ABERRAZIONE DI ASTIGMATISMO. Diaframma chiuso = non influisce. Punti di immagine lontani dall asse ottico vengono proiettati come segmenti tra loro differentemente orientati e leggermente fuori fuoco. La correzione dell astigmatismo è affidata solo al progettista dell obiettivo. Chiudere il non ha un effetto particolarmente significativo sull immagine finale. CURVATURA DI CAMPO. Diaframma chiuso = influisce parzialmente. È un difetto legato alla progettazione dello schema ottico. Obiettivi per macrofotografia ne sono normalmente esenti. Obiettivi superluminosi ne sono invece spesso affetti. Chiudere il migliora leggermente la situazione perché aumenta la profondità di fuoco sul piano del sensore: non neutralizza l aberrazione ma la fa risaltare di meno. ABERRAZIONE DI DISTORSIONE. Diaframma chiuso = non influisce. È un aberrazione spesso presente su grandangolari o focali corte: le linee rette, soprattutto ai bordi dell immagine, appaiono curvate all infuori (distorsione a botte) o in dentro (distorsione a cuscino). Chiudere il non influisce sul problema. La correzione deve essere eseguita in sede di progettazione dell ottica. ABERRAZIONI CROMATICHE. Diaframma chiuso = non influisce. La regola è semplice: lunghezze d onda diversa, cioè colori differenti, vengono deviate diversamente da una lente. Ne deriva che vanno a fuoco su piani differenti, a scapito della nitidezza. Chiudere il non migliora la situazione. I rimedi sono in una progettazione molto elaborata, con uso di vetri speciali, oppure nell uso di software di correzione cromatica, oggi diffusi su alcune fotocamere digitali. FLARE E RIFLESSI. Diaframma chiuso = influisce parzialmente. Le ottiche più recenti, destinate alla fotografia digitale, dispongono di trattamenti antiriflesso sofisticati anche sulla faccia posteriore delle lenti, molto utili per ridurre l influenza di riflessi parassiti indesiderati. Chiudere il può comunque essere sempre utile per migliorare la situazione e limitare questi inconvenienti. VIGNETTATURA GEOMETRICA. Diaframma chiuso = miglioramento. Accade spesso che ai bordi del sensore giunga meno luce, per colpa di una vignettatura geometrica e cioè perché l obiettivo proietta meno luce ai margini dell inquadratura. Chiudendo il l effetto si riduce, almeno parzialmente. VIGNETTATURA MECCANICA. Diaframma chiuso = peggiora. Con il termine di vignettatura meccanica si intende un effetto di oscuramento ai bordi del fotogramma provocato dalla montatura di un filtro ottici che sia troppo sporgente, oppure da un paraluce inadatto. Adoperando diaframmi molto stretti l effetto viene di solito esaltato. senza rinunciare ad avere la scena tutta nitida. Oppure, accettando di operare con tempi di esposizione più lunghi, potrà riprendere con maggiore facilità in condizione di luce anche molto scarsa. La cosa, come si vede, si è fatta davvero interessante. Se a questa situazione aggiungerà la comodità di un dispositivo di stabilizzazione automatica delle vibrazioni, oggi ampiamente presente in molte fotocamere digitali compatte, ecco che finalmente si spiegherà perché l avvento delle moderne compatte ha fatto fare un concreto passo in avanti alla fotografia eseguita al tramonto ed al crepuscolo, ed anche alla fotografia in interni, in tutti questi casi senza ricorrere al flash. È una fotografia che porta facilmente a risultati affascinanti e che risulta essere davvero un punto di forza per una parte, davvero notevole, della più generale fotografia digitale. l FOTOGRAFIA REFLEX MAGGIO
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