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1 LAVORO (RAPPORTO) Dimissioni Indennità :in genere Licenziamento :in genere Riferimenti Normativi CC Art CC Art La Corte Suprema di Cassazione Sezione Lavoro Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Sergio MATTONE - Presidente Dott. Paolino DELL'ANNO - Consigliere Dott. Giancarlo D'AGOSTINO - Consigliere Dott. Grazia CATALDI - Consigliere Dott. Filippo CURCURUTO - Consigliere ha pronunciato la seguente: Sentenza Sul ricorso proposto da: società per azioni Tre Esse Finanziaria, elettivamente domiciliata in Roma in largo Lepoldo Fregoli 8, presso lo studio dell'avvocato Rosario Salonia, che la rappresenta e difende giusta delega in calce al ricorso; contro Calvelli Francesco, elettivamente domiciliato in Roma in via Lungotevere dei Mellini 39 presso lo studio dell'avvocato Claudio D'Angelantonio, che lo rappresenta e difende giusta delega a margine del controricorso; per l'annullamento della sentenza della Corte d'appello di 4 Roma del 15 marzo 2001, depositata il 23 agosto 2001, numero 1276, r.g. 1395/2000; Udita la relazione svolta nell'udienza del 22 dicembre 2003 dal Consigliere Dr. Paolino Dell'Anno; Sentiti gli avvocati Fabio Massimo Cozzolino, per delega del procuratore della ricorrente, e Claudio D'Angelantonio; Udito il Pubblico Ministero in persona del sostituto procuratore generale Dottor SORRENTINO Federico, che ha concluso per il rigetto del ricorso; Svolgimento del processo Con ricorso del 10 marzo 1998, Calvelli Francesco - premesso che in data 26 luglio 1996 aveva presentato le dimissioni dalla società Tre Esse Finanziaria presso la quale prestava attività di lavoro con la qualifica di dirigente dando preavviso e con la richiesta di usufruire delle ferie residue, che aveva invitato la società a revocare le procure conferitegli, che l'amministratore delegato della stessa aveva fatto pressioni perché restasse al suo posto, che aveva quindi finito per aderire all'invito e aveva continuato nello svolgimento delle proprie mansioni, che in data 11 marzo 1997 gli era stata consegnata a mano una lettera con la quale gli si comunicava che la società aveva accettato le dimissioni e che il rapporto di

2 lavoro era da considerarsi risolto con effetto immediato per essere trascorso il periodo di preavviso, che nessun effetto avevano avuto le sue rimostranze, che gli era stato detto che era stato lui a volere prorogare il periodo di preavviso - convenne in giudizio la società avanti il giudice del lavoro di Roma, chiedendo che, configurandosi nella specie un ingiustificato licenziamento in tronco, la stessa venisse condannata a pagargli l'indennità sostitutiva del preavviso, quella supplementare e altra somma per retribuzioni non corrispostegli. La società, costituitasi, contestò la fondatezza delle pretese. Con pronuncia del 3 dicembre 1999, il tribunale accolse le sole domande concernenti il trattamento di fine rapporto e la retribuzione non corrisposta, mentre rigettò le altre. L'impugnazione proposta dal Calvelli è stata accolta dalla Corte di appello di Roma con la sentenza indicata in epigrafe. Il giudice di secondo grado ha rilevato che era rimasto dimostrato che il rapporto di lavoro era proseguito - restando identiche le mansioni, le prerogative e le responsabilità dirigenziali - per oltre cinque mesi dopo la data del 26 ottobre 1996 nella quale era scaduto il periodo di preavviso, il che, in assenza di una qualsiasi prova in ordine alla asserita prosecuzione consensuale di questo, portava incontestabilmente a ritenere che fosse di fatto intervenuta una revoca delle dimissioni alle quali entrambe le parti non intesero dare esecuzione, conseguendone la ravvisabilità del licenziamento ingiustificato. Della decisione la società chiede la cassazione. Il Calvelli resiste con controricorso. Motivi della decisione La società ricorrente, con il primo motivo, denuncia violazione e falsa applicazione degli art. 2118, 1334, 1335 e 2697 c.c. Deduce che la decisione del giudice di merito, secondo il quale la prestazione della attività lavorativa resa dal Calvelli successivamente al 26 ottobre 1996 (data in cui era venuto a scadere il periodo di preavviso), si sarebbe dovuta ricondurre a una intervenuta revoca consensuale delle dimissioni presentate, è fondata su una erronea applicazione dei criteri regolanti l'onere della prova. E ciò in quanto, non essendo controversa la circostanza oggettiva della avvenuta ricezione, da parte del datore di lavoro, della manifestazione di volontà del lavoratore di risolvere il rapporto, incombeva sul lavoratore l'onere di fornire la dimostrazione della sopravvenienza di un fatto giuridicamente idoneo a determinare la inefficacia delle dimissioni stesse. Con il secondo motivo, si espone che - con motivazione inficiata da errori e violazione e falsa applicazione dell'articolo 23 del contratto collettivo nazionale di lavoro dei dirigenti di aziende industriali - la Corte di appello di Roma ha tratto che l'assunto del Calvelli, di una prosecuzione dell'originario rapporto di lavoro pur dopo la avvenuta presentazione delle dimissioni, fosse rimasto dimostrato dalla circostanza che il contenuto del rapporto stesso era rimasto inalterato durante l'intero arco temporale successivo, non tenendo in alcun conto che nel corso del periodo di preavviso non è concesso modificare le mansioni affidate al dipendente. Si aggiunge che, nonostante che la Corte abbia concluso nel senso che le emergenze acquisite avrebbero consentito di ritenere che nella specie fosse

3 proseguito l'originario rapporto o ne fosse insorto altro, ha poi apoditticamente accolto la prima delle alternative, avendo commisurato l'indennità sostitutiva del preavviso a nove mensilità retributive, mentre la norma contrattuale prevede che l'indennità stessa sia pari, per i dirigenti con anzianità di servizio inferiore ai due anni, a otto mensilità. Con il terzo motivo, la società lamenta che, con motivazione viziata e in violazione degli art c.c. e seguenti, il giudice di merito ha desunto la presunta revoca delle dimissioni accettata dal datore di lavoro non già da elementi fattuali che consentissero di ritenere comprovato che tra le parti fosse intervenuto un accordo in tale senso ma da mere presunzioni prive di un qualsiasi significato oggettivamente idoneo a ricostruire la volontà delle stesse, non avendo in alcun modo valutato le circostanze di fatto, che pure erano state documentate, circa la sopravvenuta situazione di crisi aziendale, che fornivano la dimostrazione della totale mancanza di interesse della società a una accettazione della revoca stessa, omettendo altresì di pronunciarsi sulla istanza istruttoria di ordinare all'ente previdenziale di esibire la domanda di pensione presentata dal Calvelli. Inoltre, si aggiunge, è stata liquidata l'indennità supplementare a seguito della ritenuta assenza di giustificatezza del licenziamento senza che si fosse compiuta la doverosa indagine diretta ad accertare la non arbitrarietà del comportamento del datore di lavoro, e ciò sebbene si fosse fornita la prova che il recesso era da ritenersi giustificato per avere la società raggiunto il proprio scopo sociale con conseguente cessazione dell'attività aziendale. Con il quarto motivo, svolto sotto il profilo della violazione e falsa applicazione dell'art c.c., si sostiene che si è liquidata una somma a titolo di indennità per ferie maturate durante il periodo di preavviso senza il preventivo doveroso accertamento di una prestazione lavorativa. Le prime tre ragioni di censura - il cui esame va compiuto congiuntamente, avendo le stesse sostanzialmente per oggetto, come loro nucleo centrale, la identica questione della erroneità della decisione impugnata nella parte in cui si è ritenuto che sia stata fornita la prova in tema di intervenuta perdita di efficacia dell'atto contenente la manifestazione di volontà del lavoratore di recesso unilaterale dal rapporto di lavoro - sono infondate. Al proposito occorre preliminarmente rilevare che è certamente esatto che le dimissioni del lavoratore costituiscono un atto unilaterale recettizio idoneo a determinare la risoluzione del rapporto nel momento in cui pervengono a conoscenza del datore di lavoro e indipendentemente dalla volontà di quest'ultimo, sicché la loro successiva revoca è assolutamente inidonea a eliminare l'effetto risolutivo che si è già prodotto, restando limitata la prosecuzione di questo al solo periodo di preavviso. Pur tuttavia però, in applicazione del principio generale della libertà negoziale, nulla leva a che le parti possano, consensualmente, stabilire nel senso della messa nel nulla dell'atto stesso con conseguente prosecuzione a tempo indeterminato del rapporto stesso. Evidentemente, nella ipotesi di controversia giudiziale che insorga tra lavoratore e datore di lavoro circa la sopravvenuta inefficacia dell'atto unilaterale di recesso, è sul primo che incombe l'onere di fornire la dimostrazione del contrario accordo

4 intervenuto, che peraltro non esige, così come per le dimissioni, salva una diversa espressa previsione contrattuale, una forma scritta. Nella specie, non è contestato che il Calvelli ebbe a comunicare alla società resistente, con lettera del 26 luglio 1996, la sua volontà di recedere unilateralmente dal rapporto che sarebbe continuato fino alla data del 26 ottobre dello stesso anno quando sarebbe scaduto il periodo di preavviso e che invece il rapporto si protrasse fino al giorno li marzo 1997 in cui la società a sua volta notificò la accettazione delle dimissioni con conseguente risoluzione del contratto con decorrenza immediata. In contestazione era invece il fatto che fosse intervenuto, immediatamente dopo la comunicazione delle dimissioni o contestualmente alla scadenza del periodo di preavviso, un accordo tra le parti che avesse previsto che il lavoratore non avrebbe concretizzato la manifestata volontà di recesso unilaterale dal rapporto con la prosecuzione dello stesso e se quindi, la lettera di comunicazione della società potesse configurarsi come intimazione di licenziamento, o se, invece, come era stato opposto dalla società Tre Esse Finanziaria, la permanenza in servizio del dipendente fosse dovuta a un consensuale accordo prevedente una proroga del periodo di preavviso. Orbene, il giudice di merito ha ritenuto che nel primo senso si fosse fornita la prova, e cioè che le parti effettivamente avessero convenuto che alle dimissioni il Calvelli non avrebbe dato corso, proseguendo nella prestazione della attività lavorativa a tempo indeterminato. E a questa conclusione la Corte di appello di Roma è pervenuta con argomentazioni che si presentano giuridicamente e logicamente corrette e che non vengono in alcun modo scalfite dall'atto di ricorso. E invero, a questo fine si è osservato che militavano in favore della domanda del lavoratore non già mere presunzioni inidonee alla ricostruzione della volontà delle parti (come la ricorrente pretenderebbe qualificarle) ma circostanze di natura oggettiva e aventi forza pienamente probatoria, che sono state analiticamente indicate nella motivazione della sentenza impugnata, e cioè: a) l'essere il Calvelli rimasto in servizio oltre la scadenza del termine di preavviso e per il lungo periodo di circa cinque mesi; b) l'avere il Calvelli continuato, durante tutto questo tempo, a mantenere intatte le mansioni e la responsabilità dirigenziale e senza restare privato dei poteri di rappresentanza esterna; c) la assoluta assenza di un qualsiasi riscontro a quanto si era meramente asserito dal datore di lavoro circa l'accordo che sarebbe intervenuto per la protrazione del periodo di preavviso, cui neanche si era fatto cenno nella comunicazione di accettazione delle dimissioni. A fronte di un tale diffuso argomentare, l'atto di impugnazione si ferma a opporre, in maniera totalmente assertoria, una non corretta valutazione delle emergenze acquisite al processo senza in alcun modo indicare quali siano i pretesi errori di apprezzamento delle stesse che inficierebbero il giudizio espresso dalla Corte territoriale, apoditticamente denunciando una illegittima inversione dell'onere della prova circa la sussistenza del fatto costitutivo della pretesa azionata: inefficacia delle dimissioni. Al proposito sembra sufficiente obiettare che, avendo il lavoratore (attore) fornito la prova in ordine alla prosecuzione delle prestazioni ben oltre la scadenza del periodo di preavviso e ben potendo da questa circostanza

5 logicamente discendere la conferma della fondatezza della domanda formulata, incombeva sul datore di lavoro (convenuto) provare le circostanze che deponevano nella opposta direzione e non limitarsi a una generica contestazione. La ricorrente lamenta che il giudice di appello non ha preso in considerazione la documentazione comprovante la circostanza della crisi aziendale in cui essa versava e l'intervenuto raggiungimento dello scopo sociale, circostanze dalle quali ben poteva desumersi una assenza di interesse alla accettazione della proposta del lavoratore di revoca delle dimissioni e, senza fornire spiegazione delle ragioni che vi ostassero, non ha accolto la istanza istruttoria che si ordinasse all'ente di previdenza dei dirigenti di aziende la esibizione presentata dal Calvelli allo scopo di individuare la causa allo stesso dichiarata che aveva determinato la cessazione del rapporto di lavoro. Ma, quanto alla prima doglianza deve osservarsi che nessuna precisazione viene fatta circa la data di insorgenza della asserita crisi e della conseguente influenza di questa ai fini della decisione della causa, che anzi dallo stesso motivo risulta che la cessazione della attività era avvenuta "nel corso del 1997" e perciò successivamente alla data in cui si era resa inefficace la revoca delle dimissioni. Né appare decisiva la seconda questione per la assenza di indicazione di un qualsiasi ulteriore elemento che potesse riferirsi al comportamento delle parti dedotto nel giudizio. Relativamente poi al fatto che, nella parte finale della motivazione, il giudice del merito abbia prima affermato che "si deve ritenere o l'originario rapporto di lavoro proseguito o l'insorgere di un nuovo rapporto" e successivamente abbia invece privilegiato, senza fornire spiegazione della scelta, la prima delle ipotesi come si desumerebbe dalla misura della indennità sostitutiva del preavviso liquidata, è da rilevare che la stessa è assolutamente ininfluente a inficiare il giudizio circa la sussistenza della prova in ordine all'accordo intervenuto tra le parti di non darsi esecuzione alle dimissioni che erano state presentate. In ogni caso la affermazione risulta con tutta evidenza formulata all'esclusivo fine di dare ragione del perché della riscontrata violazione dell'articolo 19 del contratto collettivo nazionale di lavoro per essere stato il recesso datoriale intimato in assenza di una ragione che lo giustificasse. Dall'intero contesto della motivazione della sentenza impugnata si trae, in ogni caso, che, secondo la ricostruzione operata dal giudice di merito, non già di un nuovo rapporto si era trattato ma della ordinaria prosecuzione di quello originario. Infine, con riferimento alla denuncia di mancata valutazione della sussistenza della giustificatezza del motivo richiesta per 11 licenziamento di un dirigente, essendo essa fondata sulla omessa valutazione dei documenti comprovanti la situazione di crisi aziendale, valgono le ragioni già sopra illustrate. Deve in primo luogo osservarsi che pur sempre la circostanza avrebbe dovuto essere espressamente indicata nell'atto di recesso. In ogni caso, deve aggiungersi che questa Corte, a questo specifico proposito, ha già avuto modo di affermare il principio che l'indennità supplementare al trattamento di fine rapporto prevista per i dirigenti di azienda industriali dall'accordo interconfederale 16 maggio 1985 deve essere riconosciuta al dipendente anche nel caso in cui il licenziamento sia obiettivamente dovuto alla cessazione di ogni attività produttiva da parte del

6 datore di lavoro in conseguenza di una situazione di crisi aziendale (Cass., 23 settembre 2000, n ). Inammissibile è il quarto motivo del ricorso, involgendo lo stesso una questione che non risulta essere stata dedotta avanti il giudice del merito. Del ricorso si impone pertanto il rigetto con la condanna della sua proponente al rimborso, in favore del resistente, delle spese del giudizio nella misura che si indica nel dispositivo. P. Q. M. La Corte rigetta il ricorso e condanna la ricorrente società Tre Esse Finanziaria a rimborsare al resistente Calvelli Francesco le spese del giudizio che liquida in euro tre euro tremila per onorari di difesa. Così deciso in Roma, il 22 dicembre Depositato in Cancelleria il 12 maggio 2004.

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