f r A g ANALISI DI BILANCIO I A.A. 2010/2011 F. Giunta LEZIONE 18 L ANALISI DELLA LIQUIDITÀ L ANALISI DEGLI STOCK PATRIMONIALI Dispensa

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1 f r A.A. 2010/2011 A g ANALISI DI BILANCIO I F. Giunta LEZIONE 18 L ANALISI DELLA LIQUIDITÀ L ANALISI DEGLI STOCK PATRIMONIALI Dispensa

2 1. LE CONDIZIONI DI SOLVIBILITA E LA LIQUIDITÀ 2 Con il termine solvibilità si intende la capacità dell impresa di far fronte ai propri impegni di pagamento. La solvibilità può essere apprezzata su due piani: liquidità; solidità patrimoniale. Il concetto di liquidità si ricollega alla capacità dell impresa di far fronte istante per istante ai propri impegni di pagamento; si tratta, dunque, di una solvibilità di breve termine. Il termine solidità patrimoniale si intende, invece, come all attitudine dell impresa di far fronte agli impegni di pagamento complessivamente e definitivamente, in un futuro non a breve. L analisi della solvibilità mira a determinare il grado di rischio che corre chi presta soldi all impresa. Tale rischio è definibile come rischio finanziario, inteso nell accezione specifica di rischio di credito. In questa accezione, il rischio finanziario esprime la probabilità che l impresa non riesca a rimborsare i propri debiti nei tempi e/o negli importi stabiliti. Guardando al rischio finanziario nei termini indicati, esso si precisa lungo due dimensioni: probabilità che l impresa non riesca ad adempiere puntualmente, alla scadenza, agli impegni di pagamento. Si tratta, dunque, di un rischio relativo ai tempi e riconducibile al profilo della liquidità. E questo il I argine di rischio per il finanziatore; probabilità che l impresa non riesca a rimborsare i capitali complessivamente ricevuti, indipendentemente dalla puntualità del rimborso. Si tratta, dunque, di un rischio relativo agli importi e legato al profilo della solidità. E questo il II argine di rischio per il finanziatore. Il secondo argine assorbe il primo. Esso, infatti, configura la condizione di rischio estrema nella quale parte dei (o tutti i) capitali con vincolo di debito non possono comunque essere rimborsati causando, per il finanziatore esterno, una perdita secca del denaro prestato. Ciò non toglie che l economico funzionamento dell impresa presupponga la capacità di questa di far fronte con le proprie entrate alle uscite derivanti dagli impegni di pagamento. La mancanza di questa condizione qualifica sicuramente l impresa come insolvente. La liquidità, infatti, è una occorrenza tecnica imprescindibile, un presupposto perché la gestione si possa svolgere; da qui, la necessità di ricercarla costantemente, anche mediante il ricorso al contributo dei finanziatori. Questi ultimi, in ogni caso, se da un lato guardano al grado di solidità patrimoniale dell azienda, dall altro sono sicuramente interessati alla capacità futura dell impresa di generare i mezzi monetari necessari per assicurare il servizio dei capitali che essi hanno fornito all impresa. L analisi delle condizioni di liquidità dell impresa può essere condotta seguendo due vie: analisi statica; analisi dinamica.

3 L analisi statica si basa sul confronto di stock patrimoniali opportunamente individuati; quella dinamica si traduce, invece, nell esame dei flussi e deflussi di cassa nel corso del tempo LO STATO PATRIMONIALE FINANZIARIO L analisi di liquidità condotta mediante l esame delle relazioni fra stock patrimoniali presuppone di sottoporre lo Stato Patrimoniale a una riclassificazione finalizzata a tale scopo che si traduce in uno Stato Patrimoniale configurato in senso finanziario. A tal fine, le poste dello Stato Patrimoniale vengono rilette guardando alla facilità con la quale possono dare luogo a movimenti di moneta. In altre parole: le poste di attivo, ossia, gli investimenti, vengono esaminati considerando la loro attitudine a procurare mezzi finanziari; le poste del passivo, ossia i finanziamenti, vengono esaminati considerando la loro attitudine a richiedere mezzi finanziari. E evidente una sorta di inversione rispetto alla logica di costruzione dello Stato Patrimoniale del bilancio ordinario di esercizio; lì, infatti, gli investimenti sono visti come le determinanti del fabbisogno finanziario, mentre i finanziamenti rappresentano le fonti alle quali si è fatto ricorso per fronteggiare tale fabbisogno. Nello Stato Patrimoniale finanziario, al contrario, è l esigenza di rimborso dei finanziamenti che genera fabbisogno finanziario, fabbisogno per coprire il quale si guarda alla possibilità di conversione in moneta degli investimenti. Le attività diventano, così, la potenziale fonte di copertura delle passività. In concreto, muovendosi in un ottica di liquidità, facilità di trasformazione in moneta significa: in tempi brevi; mantenendo l impresa in funzionamento. Quanto ai tempi, l equilibrio di liquidità dovrebbe essere verificato istante per istante. Indubbiamente, però, una misurazione istante per istante dei tempi di conversione monetaria delle poste patrimoniali non è realisticamente possibile utilizzando i dati di bilancio. Si ripiega, pertanto, su un intervallo di tempo convenzionalmente breve, il quale costituisce un approssimazione dell istantaneità. Il tempo breve è di solito fatto pari a 12 mesi. Secondo questo criterio, la separazione fra poste facilmente o difficilmente ritrasformabili in moneta avviene considerando facilmente trasformabili in moneta quelle poste il cui ciclo di ritorno in forma monetaria è inferiore o al più uguale all anno. Si tratta di un periodo di riferimento del tutto convenzionale, così come spesso convenzionale è l identificazione delle poste che vengono ritenute facilmente monetizzabili. Ad esempio, le scorte di magazzino sono generalmente

4 considerate investimenti facilmente monetizzabili; questo perché si parte dal presupposto che normalmente le materie prime siano trasformate in prodotti e i prodotti finiti siano venduti, e quindi ricondotti in moneta, una o più volte nell arco dei dodici mesi. La più o meno agevole trasformabilità in moneta, quale che sia il tempo breve assunto a riferimento, deve avvenire mantenendo l impresa in funzionamento; la trasformazione, cioè, non deve pregiudicare la possibilità dell impresa di continuare a funzionare in modo economico. E questa la logica detta del going concern. La questione sollevata è rilevante sul piano applicativo. Essa riguarda in particolar modo la riclassificazione delle poste di Attivo. Fra queste, infatti, vengono considerate facilmente ritrasformabili in moneta quelle che: 4 ritornano naturalmente in tale forma entro il periodo di riferimento prescelto. Naturalmente nel senso che il ciclo di ritorno in moneta della posta è di suo pari o inferiore all intervallo temporale prescelto; possono essere forzatamente trasformate in moneta entro lo stesso periodo. Forzatamente nel senso che si tratta di poste che hanno un ciclo naturale di ritorno in moneta superiore all anno. Tale ciclo, tuttavia, attraverso uno specifico intervento diretto, può essere abbreviato. L accorciamento forzato del tempo di ritorno in monetario non deve, tuttavia, pregiudicare la capacità dell impresa di continuare a svolgere in futuro la sua funzione produttiva in modo economico. Così, ad esempio, se l impresa ha impiegato parte delle sue disponibilità liquide in obbligazioni, queste sono, nel complesso, investimenti con un ciclo monetario naturalmente superiore all anno. Tuttavia, se le obbligazioni sono state emesse da una società quotata e sono largamente negoziabili, il ciclo di ritorno dell investimento può essere accorciato forzatamente mediante l alienazione sul mercato mobiliare. Se invece di obbligazioni si trattasse di partecipazioni di controllo in altre aziende, aventi importanza strategica, le cose cambiamo profondamente. Anche se possono essere trasformate in moneta in tempi brevi (perché, ad esempio, tali partecipazioni sono molto redditizie e hanno un largo mercato), il problema critico è quello dei gravi danni che la vendita di un tale componente patrimoniale presumibilmente recherebbe all economia dell impresa, pregiudicandone il futuro funzionamento. Seguendo la logica illustrata, i valori di Stato Patrimoniale vengono raccolti all interno di alcune macro-classi o zone. Ogni zona rappresenta una sorta di contenitore dentro il quale collocare valori con caratteristiche omogenee rispetto al criterio guida che ispira il modello, ossia valori che possono dar luogo, più o meno facilmente, a entrate o uscite monetarie. In questo senso, i valori di attivo patrimoniale sono ripartiti in due grandi zone che riflettono i diversi orizzonti temporali di trasformazione monetaria delle poste, in condizioni di funzionamento: attività correnti (AC) o capitale circolante lordo. Sono formate da tutti quei valori di attivo patrimoniale che rappresentano investimenti facilmente convertibili in moneta; attività immobilizzate (AI) o capitale fisso. Sono formate da tutti quei valori di attivo

5 patrimoniale che rappresentano investimenti difficilmente convertibili in moneta. 5 Per quanto concerne il passivo patrimoniale, in accordo con la logica seguita per i valori attivi, questo è, a sua volta, distinto in due zone: passività correnti (PC). Sono formate da tutti quei valori di passivo che rappresentano finanziamenti, diretti o indiretti, destinati a essere rimborsati nel breve termine o aventi scadenza indeterminata, ma soggetti a revoca ; capitali permanenti (CP). Sono formati da tutti quei finanziamenti durevolmente vincolati all impresa e che, come tali, non suscitano impegni di rimborso nel breve termine All interno dei capitali permanenti, volendo, è possibile operare un ulteriore distinzione fra: passività differite (PD) o consolidate. Sono formate da valori di passivo in senso stretto, ossia valori patrimoniali i quali esprimono, sostanzialmente, debiti contratti dall impresa. Le PD rappresentano, pertanto, impegni di pagamento che l impresa è chiamata a fronteggiare nel medio-lungo termine; capitale netto (CN). Il capitale netto non è passivo in senso stretto. Esso rappresenta, invece, il concorso del soggetto economico al finanziamento dell impresa. Pertanto, non esprime capitale acquisito con vincolo di debito bensì con vincolo di pieno rischio. Per tale finanziamento non è previsto, se non in casi del tutto particolari e limitati, il rimborso durante il funzionamento dell impresa. Da qui, la sua collocazione a pieno titolo fra i capitali permanenti La tavola 1 riassume ed esemplifica il modello di Stato Patrimoniale sin qui sinteticamente descritto. Le zone possono essere disposte secondo un criterio di liquidità decrescente (current first) o di liquidità crescente (fixed first). 3. IL CAPITALE CIRCOLANTE NETTO FINANZIARIO E LA LIQUIDITÀ GENERALE L esame dello Stato Patrimoniale finanziario rivela che le zone chiave di tutto il modello di ricalssificazione, nell ottica della liquidità sin qui seguita, sono costituite dalle Attività Correnti (AC) e dalle Passività Correnti (PC). Infatti, all interno di queste due zone sono contenuti i valori patrimoniali che, nell impresa in funzionamento, daranno (o potranno dare) luogo in tempo breve a flussi di entrate e uscite monetarie; l equilibrata dinamica di quei flussi è il presupposto della liquidità aziendale. Diventa naturale, allora, procedere al confronto fra queste zone. Laddove il volume delle AC fosse inferiore al volume delle PC l impresa, non sarebbe capace di far fronte nel tempo breve (approssimazione convenzionale di istante per istante ) ai propri impegni di pagamento; in altre parole, si paleserebbe un rischio di liquidità.

6 Il confronto fra AC e PC si traduce nel calcolo di un margine finanziario molto noto: il capitale circolante netto finanziario (CCNf). Il CCNf rappresenta il baricentro dello Stato Patrimoniale finanziario letto in termini di liquidità; a sua corretta determinazione è l obiettivo alla luce del quale considerare tutte le poste patrimoniali quando ci si muove in tale prospettiva. 6 Tavola 1 Lo Stato Patrimoniale finanziario L importanza del CCNf ai fini del giudizio sulla liquidità aziendale nasce dal fatto che le grandezze da cui esso deriva rappresentano valori già liquidi o suscettibili di tradursi in entrate ed uscite in tempi brevi; attività e passività correnti, in sostanza, vengono considerate come le matrici delle disponibilità liquide e delle esigibilità che, nell impresa in funzionamento, derivano dall ordinario svolgersi della gestione. La presenza di condizioni di equilibrio è segnalata, pertanto, da un valore positivo del CCNf. E bene, tuttavia, ricordare i molti limiti del CCNf inteso come segnale delle condizioni di liquidità. Anzitutto, un valore elevato del CCNf può nascere dalla presenza di ingenti valori di Attività Correnti difficilmente liquidabili, quantomeno nel breve termine. Il problema si pone soprattutto per le rimanenze di magazzino. La loro liquidabilità dipende, infatti, largamente dalle dinamiche di mercato. Pertanto, un impresa il cui magazzino, ma anche i cui crediti, fossero di fatto immobilizzati presenterebbe un CCNf positivo evidenziando una liquidità che in concreto manca, proprio per essere i valori delle AC non prontamente convertibili in entrate monetarie. Inoltre, il CCNf non considera l aspetto temporale della situazione di liquidità. Il confronto è fra masse di attività e di passività che potrebbero dare luogo a movimenti di moneta nel breve termine. Il breve termine però è, per convenzione, pari a un anno; se le AC si convertono in moneta al termine dell anno, mentre le PC danno luogo a uscite monetarie nei primi periodi dell anno la liquidità è solo apparente. Infine, i valori di attivo corrente e di passivo corrente esprimono solo una parte dei futuri flussi di entrate e uscite monetarie nel breve; mancano all appello tutte le entrate e le uscite che deriveranno dalle operazioni di gestione futura e che,

7 pertanto, non sono ancora riflesse nello Stato Patrimoniale. I limiti indicati, specie l ultimo, a ben vedere sono intrinseci alla natura del documento sulla base del quale il CCNf viene costruito. Il bilancio, infatti, indica soltanto i mezzi finanziari disponibili, in un dato istante, per fronteggiare possibili esigibilità rilevate, anche queste, con riferimento sempre a un dato istante. La vicenda delle entrate e uscite monetarie della gestione è, invece, sicuramente più ampia e complessa. Una sua piena comprensione richiede la conoscenza della dinamica monetaria futura e dei tempi precisi nei quali effettivamente tutte le entrate e uscite avranno luogo. A causa dei limiti indicati, il CCNf può essere considerato solo un indicatore di massima dell equilibrio di liquidità, che esprime solo una condizione di liquidità contabile. Di contro, però, se il CCNf è negativo suona un chiaro campanello di allarme; anche se i tempi fossero fasati, in ogni caso le entrate nel breve si prospettano di importo inferiore alle uscite nel breve. Pertanto: 7 AC>PC = CCNf >0, presenza di condizioni di liquidità contabile; AC<PC = CCNf <0, condizioni di pericolo per rischio di liquidità. Insomma, un CCNf positivo è condizione necessaria ma non sufficiente per un equilibrata situazione di liquidità. Indicazioni analoghe al CCNf sono fornite dal quoziente di liquidità generale (altrimenti detto di liquidità corrente o di disponibilità) così costruito: attività correnti/passività correnti I limiti segnaletici del quoziente di liquidità corrente sono indubbiamente gli stessi del margine al quale può essere ricondotto. Proprio per questo, la situazione di liquidità dell impresa viene giudicata positivamente quando il quoziente di disponibilità è maggiore di due; come dire che se le AC sono il doppio delle PC i limiti insiti nel confronto fra queste grandezze vengono smorzati. Infatti, se il margine fra i potenziali volumi di incassi e volumi di pagamenti è alto, l impresa può godere di una certa tranquillità sul piano monetario. 4. IL MARGINE DI TESORERIA E LA LIQUIDITÀ IMMEDIATA L interpretazione del CCNf e dell indice di liquidità generale si basa sul presupposto che i valori delle AC e delle PC siano tutti potenzialmente capaci di produrre movimenti monetari nel tempo breve convenzionalmente preso a riferimento. L esame delle diverse componenti del CCNF rivela, però, che i valori raccolti fra le AC e le PC presentano, pur nell ambito del convenzionale breve termine, durate dei cicli di realizzo fra loro diverse. Sul versante delle AC si pensi, ad esempio, alle scorte di magazzino. Queste, infatti, costituiscono un investimento non sempre destinato a convertirsi in moneta in tempi brevi.

8 Anzitutto, le scorte comprendono, in molti casi, una componente vincolata. Inoltre, anche la parte non vincolata presenta vario grado di liquidabilità nel breve. Le materie prime, infatti, devono passare attraverso stadi successivi di trasformazione tecnica ed economica prima di poter diventare moneta: lo stadio della lavorazione, con la trasformazione in prodotti finiti; lo stadio della commercializzazione, legato alla vendita effettiva ed alla formazione del credito di regolamento; lo stadio delle vera e propria liquidazione, ossia dell incasso del credito sorto nella fase di commercializzazione. Seguendo questa logica, anche le scorte di prodotti finiti presentano un profilo di liquidità diverso rispetto ad altri investimenti operativi quali le materie prime, da un lato, e i crediti commerciali dall altro: dai crediti commerciali li separa lo stadio della commercializzazione; dalle materie prime, lo stadio della lavorazione. Da qui, l opportunità di evidenziare i valori del magazzino distinguendoli, a loro volta, fra disponibilità tecniche (materie prime e semi-lavorati) e disponibilità commerciali (prodotti finiti). Passando alle PC, si considerino i debiti verso le banche per operazioni a breve, tipicamente gli scoperti di c/c. Come noto, si tratta di finanziamenti a breve di nome ma non di fatto; salvo revoca, essi non impegnano monetariamente l impresa. Guardando, allora, all effettiva liquidabilità/esigibilità nel breve termine delle diverse poste correnti, possiamo individuare, all interno del CCNf, alcune aree di valori con diversa urgenza in termini di liquidità. Assumendo questa prospettiva, i valori delle AC possono essere utilmente distinti in tre categorie, caratterizzate da tempi diversi di passaggio alla condizione liquida. Le categorie sono le seguenti (cfr. tavola 2): 8 disponibilità: - disponibilità tecniche (es. scorte di materie prime e semilavorati) - disponibilità commerciali (es. scorte di prodotti finiti) liquidità differite: - commerciali (es. crediti verso clienti) - finanziarie (es. crediti finanziari; titoli non immediatamente liquidabili); liquidità immediate (es. disponibilità di cassa e banca; titoli immediatamente vendibili). Una distinzione concettualmente analoga si può proporre anche per le PC: passività a breve, ma di fatto a scadenza indeterminata (es. aperture di credito in c/c); passività che si rinnovano per rotazione (es. debiti verso fornitori); passività a breve in senso stretto (es. rate di mutui in scadenza nel breve, versamenti tributari; dividendi). Dall esame di questa ripartizione, appare chiaro come, avvicinandosi alle ultime porzioni di AC e PC, si incontrano i valori con il massimo impatto monetario sulla gestione. Tali valori pongono, in sostanza, un problema di solvibilità immediata, riverberandosi profondamente sulle

9 complessive condizioni di liquidità dell impresa. Ciò suggerisce di concentrare l analisi sui valori che presentano la maggiore urgenza monetaria. 9 Tavola 2 Il grado di urgenza monetaria delle componenti del CCN finanziario Muovendosi in questa direzione, e sempre ragionando in termini di margini finanziari, si procede al calcolo del margine di tesoreria, il quale risulta dalla differenza fra valori di liquidità immediate e differite (= cassa, banche, titoli e crediti) e indebitamento a breve termine. Un impresa in condizioni di equilibrio di liquidità dovrebbe presentare un margine di tesoreria positivo. Questo perché l indebitamento a breve potrebbe, in ipotesi teorica, anche non essere rinnovato. L impresa dovrebbe, allora essere in grado di passare da una posizione di scambi a termine a una posizione di scambi per contanti, pur mantenendo la sua dotazione di scorte. L equilibrio indicato è proposto, inoltre, come presupposto per un ideale pareggio fra oneri e frutti di interesse impliciti ed espliciti che si ricollegano al passivo e all attivo a breve. Il divario di tesoreria potrebbe essere negativo, dunque, solo in ipotesi di temporanea eccedenza delle scorte rispetto alla misura normale. Di diretta derivazione dal margine di tesoreria è il quoziente di liquidità secca o immediata (quick ratio) così costruito: (attività correnti scorte di magazzino)/passività correnti Anche per questo indice vengono suggeriti valori parametrici. Si ritiene, infatti, che il suo valore non dovrebbe essere inferiore a uno. Parte delle critiche mosse all indice di disponibilità, comunque, si può avanzare anche all indice di liquidità secca. E vero, infatti, che abbiamo eliminato le scorte, ma è anche vero che restano i crediti commerciali; tali crediti, prima di diventare moneta, devono passare attraverso lo stadio della riscossione. Si pone, pertanto un problema di tempi effettivi di incasso, senza dire delle possibili insolvenze dei clienti. D altro canto, è vero anche che talune importanti voci di PC comprese nel margine di

10 tesoreria non impegnano monetariamente l impresa nel breve termine. Si pensi agli scoperti di C/C bancario. Questi esprimono debiti che si rinnovano a scadenza e si caratterizzano, normalmente, per una rilevante stabilità. Interpretando, nella loro sostanza più autentica, le motivazioni che spingono a calcolare il margine di tesoreria, appare, allora, utile il calcolo di un margine opportunamente rettificato, che potremmo chiamare II margine di tesoreria. In sostanza, tale margine nasce dalla differenza fra liquidità immediate e passività a breve in senso stretto. Vengono, pertanto, escluse, dal calcolo del margine, da un lato tutte le AC che si rinnovano per rotazione e quindi stabili (es. crediti commerciali) e, dall altro, tutte le PC che si rinnovano a scadenza, come gli scoperti di c/c bancario, in quanto debiti anch essi sostanzialmente stabili che non creano urgenze monetarie nell impresa; il confronto, dunque, è solo fra cassa e cash equivalent e passività a breve in senso stretto. 1 Sulla scorta di questa lettura ristretta del margine di tesoreria, viene costruito un ulteriore indicatore di liquidità detto indice della prova acida o indice di cassa (cash ratio). L indice è così composto: 10 liquidità immediate/passività correnti a breve in senso stretto Il significato dell indice è tale da non richiedere particolari commenti. 5. LA DURATA DEL CICLO MONETARIO Il calcolo dell indice di liquidità secca cerca di eliminare alcune distorsioni proprie dell indice di liquidità generale. Tuttavia, resta ancora aperta una questione di fondamentale importanza: liquidità generale e liquidità secca si basano sempre sul confronto fra masse di valori monetari o potenzialmente monetari; così facendo, però, si trascura la dimensione temporale della situazione di liquidità, ossia i tempi effettivi di incasso delle AC e pagamento delle PC. Da qui, la necessità di integrare l analisi di liquidità con l esame degli indici di durata. Gli indici di durata cercano di determinare il tempo medio di ritorno in forma monetaria delle poste di bilancio. L attenzione si concentra sulle poste critiche per la liquidità aziendale, quelle direttamente legate alla quotidiana attività di acquisto-trasformazione-vendita dei prodotti (beni o servizi) che costituiscono l oggetto tipico della gestione dell impresa. Si tratta, quindi, delle poste relative al ciclo operativo: scorte di magazzino; crediti commerciali; debiti commerciali. Da esse, infatti, deriva la gran parte degli incassi e dei pagamenti della gestione. In pratica, si cerca di determinare: da un lato, la durata del ciclo attivo, ossia il tempo medio che intercorre dal momento dell acquisto dei fattori produttivi impiegati nel ciclo al momento dell incasso monetario delle vendite dei prodotti ottenuti; 1 Le passività in senso stretto possono contenere, per prudenza, i debiti verso i fornitori in quanto tali debiti, pur rinnovandosi per rotazione, alla scadenza devono essere estinti con esborsi monetari.

11 dall altro, la durata del ciclo passivo, ossia il tempo medio che intercorre dal momento dell acquisto dei fattori produttivi 2 (momento che segna in ogni caso l avvio del ciclo) impiegati nel ciclo al momento del pagamento monetario di tali fattori. 11 Ricostruendo le durate del ciclo attivo e passivo si cerca, in sostanza, di ricostruire il ciclo monetario sotteso al ciclo operativo, ossia l intervallo di tempo che separa, in media, i tempi di incasso da quelli di pagamento (cfr. tavola 3). E, infatti, evidente che quanto più il tempo medio di monetizzazione della produzione è posteriore al tempo medio di pagamento dei fattori acquistati per realizzare tale produzione, tanto più si viene a creare un buco monetario e, quindi, tanto più forti saranno le tensioni di liquidità avvertite dall impresa. Tavola 3 La ricostruzione del ciclo monetario Sul piano operativo, la determinazione del ciclo monetario si basa sul calcolo degli indici di durata delle componenti del capitale circolante operativo; infatti: gli indici di durata della giacenza di magazzino segnalano il tempo che intercorre fra il momento dell acquisto di materie e servizi da immettere nella produzione e il momento in cui la produzione ottenuta viene venduta ai clienti; gli indici di durata dei crediti verso clienti segnala il tempo che intercorre fra il momento in cui la produzione ottenuta viene venduta ai clienti e il momento in cui i clienti pagano il loro acquisto; gli indici di durata dei fornitori segnalano quanto tempo intercorre fra il momento dell acquisto delle materie prime e dei servizi impiegati nel processo produttivo e il 2 Ciclo attivo e ciclo passivo hanno entrambi lo stesso momento di inizio rappresentato dall acquisto dei fattori di consumo, momento che segna l avvio dell intero ciclo operativo.

12 momento del loro effettivo pagamento. 12 Sommando le durate così ottenute si ottiene quella del ciclo monetario sotteso alla rotazione del capitale circolante operativo, ossia: giorni giacenza scorte + giorni dilazioni clienti - giorni dilazioni fornitori = giorni ciclo CCNc La durata in giorni del capitale circolante netto commerciale esprime la durata del ciclo monetario della gestione operativa corrente dell impresa intesa come il periodo di tempo mediamente intercorrente fra le uscite monetarie derivanti dall acquisto dei fattori produttivi di esercizio e l entrata monetaria derivante dalla vendita dei beni e servizi prodotti. Nella misura in cui la durata fornitori non riesce a coprire la durata di magazzino e crediti, il buco temporale che si manifesta deve essere coperto negoziando opportuni finanziamenti. Attraverso gli indici di durata, l analisi di liquidità viene a saldarsi con quella della redditività. Il collegamento è fin troppo evidente; tanto più numerosi e rapidi sono i cicli investimentodisinvestimento che si realizzano nell ambito della gestione operativa e tanto più: da un lato, si moltiplica il margine lucrato su ogni ciclo; dall altro, si recupera rapidamente moneta che può così essere nuovamente utilizzata per far fronte agli impegni di pagamento che ogni ciclo gestionale determina. 6. IL FABBISOGNO FINANZIARIO DEL CICLO OPERATIVO E LE MODALITA DI SUO FINANZIAMENTO. La ricostruzione del ciclo monetario ha naturalmente condotto a concentrare l attenzione sul ciclo operativo. E da tale ciclo, infatti, che derivano i principali flussi di incasso e pagamento che scandiscono la gestione aziendale. Questa relazione fra dinamiche di incasso e pagamento riconducili al ciclo operativo trova la sua espressione di sintesi nel CCNc: cicli attivi sfasati rispetto a quelli passivi determinano la formazione del CCNc. In questa prospettiva, l analisi di liquidità, condotta mediante margini e indici, può essere utilmente integrata mediante un set di indicatori che consentano di tenere sotto controllo l andamento del CCNc che del CCNf è la componente principale, salvo durate particolarmente lunghe delle dilazioni a clienti e fornitori (cfr. tavola 4). L attenzione dovrebbe essere in primo luogo concentrata sulle relazioni che legano variazioni del fatturato e consistenza del CCNc, date certe politiche commerciali adottate dall impresa. Tale relazione è sintetizzata dal rapporto:

13 CCNc/fatturato Questo indice, denominato tasso di intensità del CCNc o anche aliquota di circolante, rappresenta il reciproco del turnover del CCNc e, di fatto, misura il fabbisogno finanziario corrispondente a un dato volume di fatturato. Ogni aumento dell indice va considerato con cautela, essendo tendenzialmente espressione di inefficienza nel governo monetario del ciclo operativo. 13 Tavola 4 Capitale circolante netto finanziario e commerciale A questo proposito, tuttavia, è opportuno integrare l analisi del tasso di intensità del CCNc con i valori assunti dagli indici di durata. Come in precedenza accennato, un confronto nel tempo e, più ancora, nello spazio, con imprese comparabili, aiuta ad apprezzare la sostenibilità delle politiche commerciali imposte/subite dall impresa. In questo senso, il desiderio di comprimere il fabbisogno finanziario generato dai cicli operativi potrebbe spingere l impresa ad adottare politiche di dilazione ai clienti troppo restrittive, tali da spingerla fuori mercato, con gravi ripercussioni sulla redditività e, da qui, sulla liquidità futura. Nella stessa prospettiva di sostenibilità delle condizioni sottese al CCNc si colloca l analisi del quoziente di durata dei fornitori. Un CCNc contenuto, ma caratterizzato da una dilazione fornitori inusualmente (o patologicamente) lunga, specie nell ambito di imprese di piccola dimensione e perciò con scarso potere negoziale in fase di acquisto, può essere spia di difficoltà di pagamento e, quindi, di prossime interruzioni nel flusso delle forniture con regolamento dilazionato; da cui, evidenti gravi ripercussioni sul fabbisogno finanziario corrente e sulle correlate condizioni future di liquidità dell impresa. Oltre a controllare la consistenza del fabbisogno finanziario suscitato dal ciclo operativo, l analista deve prestare attenzione alle modalità seguite per finanziare tale fabbisogno. Il finanziamento mediante ricorso all indebitamento bancario a breve termine è la via più frequentemente utilizzata dalle imprese italiane, ma è anche la soluzione più onerosa e quella

14 potenzialmente in grado di causare i maggiori appesantimenti nelle condizioni di solvibilità. L indice idoneo a segnalare il livello di finanziamento bancario del CCNc è dato dal rapporto: 14 banche c/c passivo/ccnc Valori superiori a uno di questo indicatore devono richiamare l attenzione dell analista. Infatti, finché l indebitamento bancario a breve, vuoi nella forma del largo di cassa, vuoi del salvo buon fine, si limita a coprire il CCNc, ossia il fabbisogno corrente, esso svolge la sua funzione tecnica precipua. In corrispondenza della rotazione del CCNc, l indebitamento si estinguerà e si riformerà ciclicamente, assumendo così un carattere tendenzialmente autoliquidante. Laddove, invece, l indebitamento bancario superi l ammontare del circolante, il collegamento con l andamento ciclico del fabbisogno corrente in parte si viene a perdere, determinando un potenziale irrigidimento dell indebitamento a breve e una conseguente riduzione del grado effettivo di liquidità. I due indicatori focalizzati sul CCNc, ossia il tasso di intensità del CCNc e il grado di finanziamento bancario a breve del CCNc, sono chiaramente correlati fra loro. Vale, infatti, la relazione: (CCNc/fatturato) x (banche c/c passivo/ccnc) = banche c/c passivo/fatturato La relazione indica che maggiore è il fabbisogno corrente per unità di fatturato, ossia più lenta è la rotazione del CCNc, e quanto più tale fabbisogno viene coperto mediante indebitamento bancario a breve, tanto più alto sarà il tasso di intensità di tale forma di finanziamento. L aumento dell incidenza del finanziamento bancario a breve sul fatturato, espresso dal rapporto banche c/c passivo/fatturato, è destinato a generare una crescita del peso degli oneri finanziari sul fatturato, peso misurato dall indice: oneri finanziari/fatturato Il significato di tale indice, e quindi la sua importanza, è chiaro: esso misura quanta parte della ricchezza lorda (i ricavi) creata dall impresa viene mangiata dal costo dell indebitamento. In poche parole, più alto è il valore assunto dall indice, minore è la capacità dell impresa di sopportare il peso degli oneri finanziari mantenendo la gestione in condizioni di equilibrio economico. Quella stessa pratica che a questo indice fa largo ricorso propone anche valori parametrici rispetto ai quali formulare un giudizio: la soglia di pericolo è fissata al 5%. Al di là della significatività che realisticamente può avere ogni valore parametrico, il problema che si pone all analista è piuttosto quello di individuare i fattori causali responsabili della maggiore o minore incidenza degli oneri finanziari sul Conto Economico dell impresa. Muovendosi in questa direzione, il rapporto fra oneri finanziari e fatturato è il risultato della seguente relazione:

15 oneri finanziari/fatturato = oneri finanziari/debiti finanziari x debiti finanziari/fatturato 15 Dalla relazione prospettata è immediato desumere che l incidenza degli oneri finanziari sul fatturato, e quindi sulla redditività, è funzione del: costo medio dell indebitamento finanziario. Espresso dal primo membro del prodotto, l indice viene comunemente denominato Return On Debt (R.O.D.); rapporto fra indebitamento finanziario e fatturato. Quest ultimo indicatore, denominato tasso di intensità dell indebitamento riveste grande importanza per una compiuta analisi delle condizioni di rischio finanziario dell impresa. E infatti evidente che esso svolge un azione frenante sul costo dell indebitamento fin quando presenta valori inferiori all unità, cioè fin quando i debiti sono inferiori al fatturato. Per valori superiori all unità, invece, ossia con debiti maggiori del fatturato, si viene a creare una situazione viziosa, nella quale il peso degli oneri finanziari sul fatturato è maggiore del costo medio dell indebitamento. Un tasso di intensità dell indebitamento crescente segnala, dunque, una progressiva difficoltà dell impresa ad onorare, con i flussi derivanti dalla vendite dell esercizio, gli impegni connessi al rimborso dei debiti. E in questo senso che l indice in parola viene spesso definito con l infausta locuzione di punto di non ritorno. Ciò risulta più chiaro se si tiene presente che il tasso di intensità dell indebitamento può essere letto anche come il reciproco di un tasso di rotazione. In quest ottica, esso esprime quante volte l azienda sarebbe in grado di rimborsare i debiti attraverso le entrate derivanti dalla vendite. Ragionando in questi termini, si comprende agevolmente che, in presenza di valori elevati del rapporto in parola, ogni riduzione del volume di fatturato, dovuta a condizioni interne di azienda o esterne di mercato, rende di fatto l indebitamento più rigido e, quindi, esercita sulle passività finanziarie un pericoloso effetto di consolidamento. Per l impresa diviene, pertanto, sempre più difficile reggere il peso dei debiti contratti. Le tensioni di liquidità si vengono così a riverberare sul grado di solidità patrimoniale, innescando un circolo vizioso, a conferma delle ineliminabili relazioni sistemiche che avvincono le diverse dimensioni dell operare aziendale. Questa chiave di lettura suggerisce di integrare l analisi del tasso di intensità dell indebitamento con il calcolo di un indice più specifico e circoscritto, il tasso di intensità dell indebitamento a breve termine, dal quale, appunto, abbiamo preso le mosse. L analisi congiunta dei due indicatori, condotta alla luce degli altri indici finanziari esaminati, offre preziose informazioni per valutare: la composizione per scadenze dell indebitamento finanziario e la sua trasformazione in relazione alle diverse dinamiche gestionali; la capacità dell impresa di sostituire i propri finanziatori, condizione prima dell effettiva

16 liquidabilità di ogni rapporto di finanziamento; l attitudine dell impresa a ottimizzare la propria struttura finanziaria, tenuto conto del peso dei relativi oneri finanziari; le relazioni esistenti fra costo dell indebitamento, struttura finanziaria e redditività aziendale. 16

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