Le chiese africane di fronte al dramma dell AIDS. Carlo Casalone S.J. Vice Direttore della rivista Aggiornamenti Sociali

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1 Le chiese africane di fronte al dramma dell AIDS Carlo Casalone S.J. Vice Direttore della rivista Aggiornamenti Sociali 1. Premessa Se osserviamo quali sono le attuali modalità con cui l epidemia della Sindrome di immunodeficienza acquisita (AIDS) si diffonde nel mondo ci rendiamo conto che una prospettiva solamente centrata sulla singola persona e sui suoi comportamenti è insufficiente per interpretare adeguatamente il fenomeno. Di questo si è resa conto la riflessione nel campo dell etica (teologica): dopo il primo periodo negli anni 80 in cui si sono soprattutto sottolineati i comportamenti individuali e quindi l etica della persona, è subentrata una seconda fase in cui l accento si è spostato sulle dimensioni sociali e culturali. È così emerso che la povertà e l ingiustizia hanno una notevole rilevanza nella trasmissione del contagio. Si possono ben comprendere le ragioni di una tale evoluzione. Quanto legato ai comportamenti della singola persona è venuto subito alla ribalta perché la diffusione dell AIDS dipende dai comportamenti personali: se non si tengono certe condotte non ci si espone al rischio e quindi non si contrae l infezione. Pertanto l AIDS dipende dagli stili di vita molto più di altre malattie, che pur ne dipendono, ma in cui giocano un ruolo maggiore la predisposizione del singolo soggetto e i fattori ambientali. Inoltre il fatto che l infettività sia legata al sangue o comunque a liquidi biologici di profondo valore simbolico connessi con la vita e quindi a comportamenti che ne consentano il contatto su un piano che tocca la sfera privata del soggetto, richiede di tenere in equilibrio i diritti e i doveri della persona da una parte e l interesse della collettività dall altra. Si tratta di articolare il rispetto della libertà del singolo con eventuali restrizioni tese a salvaguardare la salute di tutti I riferimenti etici e il loro contesto I riferimenti etici fondamentali per valutare possibili strategie sanitarie o eventuali misure di ordine pubblico rivolte alla lotta contro l AIDS sono: 1 Cfr CATTORINI P. MORELLI D., AIDS, in LEONE S. PRIVITERA S. (edd.), Nuovo Dizionario di Bioetica, Città Nuova Istituto Siciliano di Bioetica, Roma Acireale (CT) 2004,

2 - il rispetto della dignità e della libertà personale, in particolare il diritto del singolo a sapere e a dare il proprio consenso informato riguardo ad azioni conoscitive, informative, diagnostiche o terapeutiche intraprese nei propri confronti; - il rispetto della salute e della persona altrui, che può comportare eventuali restrizioni della libertà della persona ammalata in ragione del danno che può procurare a terzi; - i valori della giustizia e della solidarietà, che sulla linea del punto precedente evidenziano, da una parte, la valenza sociale dell azione della singola persona e, dall altra, i rischi di emarginazione e di discriminazione di cui chi contrae l infezione può essere vittima. I contesti specifici in cui questi riferimenti generali si giocano sono: - il test diagnostico e le responsabilità nella comunicazione che ne conseguono; - il rapporto medico-paziente: il segreto professionale (deroghe possibili) e la disponibilità ad assumere del rischio connesso alla cura, secondo la tradizionale posizione dell etica professionale; - la sperimentazione clinica e le politiche sanitarie, in particolare per quanto riguarda l accesso alle cure in un contesto di risorse limitate e i criteri di una ricerca concretamente praticabile; - l impegno educativo e comunicativo in ordine soprattutto alla cura e alla prevenzione: si tratta di vincere pregiudizi e promuovere la solidarietà nel rispetto dei contesti culturali in cui ci si colloca. È su questo ultimo punto in particolare che desidero soffermarmi, nel quadro della riflessione etica più recente che abbiamo più sopra menzionato, dove anche i temi della prima fase più centrata sulla persona assumono una nuova fisionomia. 3. Il ruolo controverso del profilattico nella prevenzione Prendiamo come esempio tipico la discussa tematica dell uso del profilattico nella prevenzione. Vorrei partire dalla riflessione sviluppata dal card. Martini nel suo dialogo sulla vita con il prof. Ignazio Marino, che ha fatto discutere l estate scorsa 2. Il cardinale, tenendo conto delle enormi proporzioni dell epidemia e della sofferenza che essa suscita, soprattutto nei Paesi in via di sviluppo, si esprime nei termini seguenti: «Certamente l uso del profilattico può costituire in certe situazioni un male minore». 2 Cfr MARTINI C. M. MARINO I., «Dialogo sulla vita», in L Espresso, 27 aprile 2006, Riprendo qui quanto già esposto in CASALONE C., «Dialogo sulla vita. In margine alla recente intervista del card. Martini», in Aggiornamenti Sociali, 7-8 (2006)

3 Proviamo ad esaminare la questione più da vicino. Dal punto di vista sanitario va subito precisato che il profilattico è un mezzo che presenta dei limiti. Se già come contraccettivo non è totalmente affidabile (e comunque in misura inferiore ad altri metodi), a maggior ragione non lo è nell impedire la trasmissione del virus (discussione sulla porosità del latice). Occorre quindi sfatare il mito del «sesso sicuro», poiché il profilattico riduce il rischio, ma non lo elimina: una sottovalutazione di questo fatto potrebbe addirittura favorire comportamenti falsamente percepiti come privi di pericolo, con il risultato complessivo di incoraggiare pratiche a rischio e di peggiorare la situazione. Per correttezza quindi bisogna parlare, al massimo, di «sesso più sicuro» 3. Un secondo limite consiste nel lasciar intendere che una membrana di lattice possa costituire la risposta adeguata a una malattia che si trasmette attraverso gesti altamente simbolici e affettivamente carichi, in cui l uomo e la donna mettono in comune al massimo livello di intimità le loro persone esprimendosi nel linguaggio della corporeità. È illusorio immaginare di avere a portata di mano uno strumento igienicosanitario che risolve comodamente il problema evitando la fatica di mettere in discussione il proprio comportamento sessuale. Un tale approccio riduttivo non consente di toccare le ragioni autentiche del problema e quindi di conseguire risultati duraturi. È solo considerando le relazioni sessuali nella profondità e importanza dei loro significati sia personali sia sociali, favorendo un serio impegno coniugale e genitoriale, che si potrà sviluppare un processo formativo efficace che includa lotta alla povertà, promozione della giustizia e integrale educazione umana 4. A questo punto rimane però la domanda se nel quadro di un impegno educativo più vasto e a lungo termine, non possano tuttavia darsi situazioni in cui il mancato uso del profilattico conduca a danni maggiori, mentre il suo impiego possa costituire uno strumento dentro una logica di progressiva assunzione di responsabilità, per farsi carico dell altro proprio nel suo essere vulnerabile. Ciò non significa dare per scontata l impossibilità della continenza e della fedeltà nella coppia, ma predisporre i passi che vi conducono in modo sempre più compiuto, a partire dalla situazione in cui le persone effettivamente si trovano. Per esprimersi nei termini del papa Giovanni Paolo II, non si tratterebbe di gradualità della legge, ma di legge della gradualità 5, calibrando con pazienza la propria parola sulla capacità 3 Cfr SUAUDEAU J., «Sesso sicuro», in PONTIFICIO CONSIGLIO PER LA FAMIGLIA, Lexicon. Termini ambigui ediscussi su famiglia, vita e questioni etiche, EDB, Bologna 2003, Cfr CZERNY M. F., «AIDS: la maggiore minaccia per l Africa dai tempi del traffico degli schiavi», in La Civiltà Cattolica, II (2006) Cfr GIOVANNI PAOLO II, Esortazione apostolica Familiaris consortio (1991), n

4 degli interlocutori di accoglierla e di praticarla, e contemporaneamente tutelando al meglio il bene della vita e della salute propria e/o altrui. Presentando un messaggio completo ed equilibrato, che includa sia le informazioni sanitarie sia la loro rilevanza etica 6, sembra effettivamente possibile ottenere progressi consistenti e durevoli. Emblematici sono i casi della Costa d Avorio e dell Uganda, dove si è assistito a un calo della diffusione dell epidemia grazie non solo a un maggior uso del profilattico ma anche, e forse soprattutto, a una minore frequenza di relazioni sessuali nell età dell adolescenza e fuori della coppia 7, cioè a una migliore attuazione del valore della fedeltà, favorendo la crescita in libertà rispetto alle proprie pulsioni sessuali e sottoponendo a discernimento l esercizio della sessualità rettamente compresa. Ora, come vi dicevo, la riflessione etica contemporanea ha messo maggiormente in rilievo la rete di relazioni reali e il contesto sociale e culturale in cui la persona vive. Questo ha permesso di considerarla in modo meno astratto. Ci si interroga sulle condizioni che rendono possibili alle persone degli stili di vita virtuosi, tesi a valori come la fedeltà coniugale e più in generale a un esercizio umanizzante della sessualità (che potremmo anche chiamare castità propria allo stato di vita di ciascuno). Qui emerge in tutta chiarezza come L Aids è una malattia non solo dei singoli ma di un intero popolo e di intere società. Giovanni Paolo II spesso sottolineava che essa esprime una «patologia dello spirito» 8. In altre parole, la pandemia, nella sua estensione e profondità, non solo è una malattia della persona, ma in modo indistinto riguarda il profondo malessere dell Africa e più ampiamente un assetto problematico dei rapporti internazionali. Considerare l Aids nella sua complessità culturale aiuta a comprendere meglio il modo in cui la Chiesa affronta le cause che sono alla base della pandemia 9. 6 Linea sostenuta per es. dalla COMMISSION SOCIALE DES EVÊQUES DE FRANCE, Sida. La société en question, Bayard-Centurion, Paris 1996, 144, e dalla UNITED STATES CONFERENCE OF CATHOLIC BISHOPS, The many faces of AIDS. A Gospel Response (1987), in < A quest ultimo documento rispose l allora card. J. Ratzinger con una lettera del 29 maggio Cfr RATZINGER J., «On Many faces of AIDS», in < 7 Cfr SUAUDEAU J., «A proposito dell espansione dell HIV/AIDS», in L Osservatore Romano, 5 aprile 2000, 7; per dati più recenti cfr il sito della Organizzazione Mondiale della Sanità: < 8 GIOVANNI PAOLO II, Messaggio per la Giornata Mondiale del Malato (11 febbraio 2005), n Per quanto segue mi avvalgo in particolare della riflessione di CZERNY M., «AIDS: la maggiore minaccia per l Africa dal tempo degli schiavi», in La Civiltà Cattolica, 2 (2006)

5 4. Malattia ed effetti sociali Anzitutto c è il legame tra malattia e vergogna. In molte società africane alcune malattie un esempio classico è la lebbra sono per tradizione considerate ignominiose e impure. Il che vale anche per il Nord del mondo, anche se come vedremo con modalità differenti. Queste malattie vengono tenute nascoste e questo impedisce di prendere misure che ne impediscano la diffusione. Il virus Hiv, essendo incurabile e trasmesso sessualmente, assume una particolare forza quando diffonde anche la vergogna e il marchio d infamia. Come dice un biblista africano «Nonostante il numero degli infetti dal virus Hiv sia sconvolgente, la vergogna e il marchio d infamia che vengono associati all Aids li spingono sempre più a negare il suo impatto sulle loro vite e ad ignorare l imperativo di modificare il loro comportamento. Si è sentito parlare di persone che hanno tentato il suicidio, prima che il male li portasse via. Essi hanno sofferto più la vergogna che la malattia; hanno avuto più paura della vergogna che della morte; sono morti tutti semplicemente a causa della vergogna piuttosto che dell Aids vero e proprio» 10. Alcuni esempi possono aiutare a capire la sofferenza, l isolamento e il rifiuto che tale malattia comporta 11. Ad Abidjan, Jacques, che vive con le sue quattro mogli, si ammala con una sintomatologia di febbre, tosse e perdita di peso. Si reca all ospedale con la moglie più giovane. Dal test risulta che ha la TBC e che è anche sieropositivo. Gli vengono fatte raccomandazioni sul suo stato di sieropositivo e viene incoraggiato a dirlo alle altre mogli. Lui non solo non lo fa, ma continua ad avere con loro rapporti sessuali. Un sieropositivo racconta al suo gruppo di supporto ad Accra: «Le infermiere adoperano due pesi e due misure, e non c è alcun rispetto per i pazienti sieropositivi. Per loro, se qualcuno lo è, si tratta di una persona che non è più un essere umano». Egli continua a spiegare perché non vuole rendere manifesto il suo stato, affermando che verrebbe sfrattato dal suo appartamento in affitto e gli verrebbe impedito di viaggiare sui trasporti pubblici. A Nairobi, a una religiosa che rivela alla sua comunità di essere sieropositiva vengono dati tazza, piatti, bicchiere e posate personali. Nello Swaziland, il 10 G. TSHIKENDWA Matadi, «De l absurdité de la souffrance à l espérance: Une lecture du livre de Job en temps du Vih/Sida», Kinshasa, MediasPaul, 2005, 254, cit. in CZERNY M., op. cit. 11 Tutte le storie sono tratte da JACKSON H., «AIDS Africa: Continent in Crisis, Zimbabwe», Safaids, 2002, 347, cit. in CZERNY M., op. cit.. 5

6 principe Tfohlongwane parla in favore della segregazione dei sieropositivi e dei malati di Aids: «Non si devono tenere le mele marce nello stesso cesto di quelle buone, altrimenti anche esse alla fine si guasteranno». In Nigeria, si dice che un amministratore militare abbia ordinato l arresto e l imprigionamento di tutti i malati di Aids nel suo Stato, affermando che tale decisione avrebbe aiutato a impedire il diffondersi del virus Hiv. In Sudafrica la comunità di Gugu Dhlamini ha ucciso una donna soltanto perché aveva reso pubblica la propria sieropositività. Le persone temevano che il fatto che vivesse tra loro avrebbe gettato un marchio d infamia sull intera comunità. Il risultato del marchio d infamia e della discriminazione è una dannosa e distruttiva separazione: i puri dagli impuri, i normali dagli anormali e, sempre, «noi» da «loro». Sono meccanismi che i sociologi conoscono bene e conducono a una distorsione della percezione del proprio gruppo e degli altri gruppi, accentuando i tratti positivi del primo rispetto ai secondi. Questa dinamica è al servizio dell autostima: ciascuno tende a valutare positivamente il gruppo a cui appartiene perché questo favorisce un immagine positiva di sé. Comunque sia, una volta che le persone sono state separate da ciò che si considera familiare e accettabile, allora le si tratta secondo regole diverse, in generale in modo crudele e disumano. Puniamo «loro» per quello che non possiamo sopportare in «noi». Siamo davanti a un potente fenomeno culturale, che conduce a porre un etichetta su alcuni, in base a caratteristiche percepite in modo negativo. Individui o gruppi vengono così posti al di fuori del normale contesto civile. Alcuni attribuiscono il marchio d infamia ad altri e li discriminano; questi ultimi, dal canto loro, lo accettano e si comportano di conseguenza. Si innesca un circolo vizioso. I vescovi dell Africa si sono impegnati a «lavorare instancabilmente per cancellare il marchio d infamia e la discriminazione e a opporsi a qualsiasi norma e pratica sociale, religiosa, culturale e politica che perpetui tale marchio e tale discriminazione» 12. Occorre quindi individuare quali norme e quali pratiche siano distruttive, distinguendole da ciò che appartiene alla tradizione autentica: un compito non facile, come del resto è laborioso cambiare gli elementi responsabili del marchio senza distruggere inutilmente la cultura tradizionale. Ci vuole una grande onestà per riconoscere le proprie paure e i propri sentimenti più nascosti, nonché un clima comunitario capace di sostenere una tale volontà. I vescovi dell Africa Orientale 12 Symposium of Episcopal Conferences of Africa and Madagascar (SECAM), «La Chiesa in Africa di fronte alla pandemia dell Hiv/Aids», 2003, Piano d azione III, 2. 6

7 «fanno appello a tutti i cristiani e alle persone di buona volontà affinché rispettino la piena dignità e gli eguali diritti di tutti coloro che sono affetti dal virus Hiv e dall Aids. Ci rivolgiamo ai fedeli cattolici perché siano un luminoso esempio nel rispettare la dignità umana e nel prendersi speciale cura delle persone che sono affette dal virus Hiv e dall Aids» Diversa genesi dello stigma nelle culture Un aspetto che non può essere ignorato nella battaglia condotta dalla Chiesa contro l Hiv e l Aids è la differenza tra le culture, che appare evidente nel modo in cui gli africani e gli occidentali considerano alcune questioni chiave. Ad esempio, in Europa e in America la ragione principale del marchio è la paura della sofferenza e il rifiuto della morte. Al contrario, la cultura africana e in questo essa è vicina alla fede cristiana accetta la sofferenza come parte della vita, non è tanto preoccupata della malattia, della sventura, dell agonia e della morte ed è di grande sostegno nei confronti di coloro che soffrono. Lo stigma deriva piuttosto dalla confusione, dall ignoranza e dalla vergogna nei confronti della sessualità. Per gli occidentali, in seguito alla rivoluzione sessuale degli Anni Sessanta, l atteggiamento prevalente nei confronti della sessualità è cambiato, come pure la definizione di comportamenti e valori che ora sono esportati in tutto il mondo, sotto l impulso della globalizzazione. È un paradigma incentrato sull individuo e sulla sua autonomia. I suoi sviluppi sono stati per alcuni aspetti positivi: ha permesso alle donne di giocare un ruolo più importante al di fuori delle mura domestiche e nella società; ha aiutato molti uomini ad apprezzare la complementarità fra i sessi e a superare visioni maschiliste; ha consentito una comunicazione più sincera sulle pratiche sessuali, pur non priva di tensioni. Gran parte dello sforzo dispiegato dalla Chiesa per combattere l Aids è diretto ad aiutare le donne a opporsi agli abusi a cui sono spesso soggette: prostituzione, violenze, richieste sessuali di un coniuge infedele, con la possibilità di essere contagiate. L atteggiamento occidentale nei confronti della sessualità ha però anche un lato oscuro, e la Chiesa è impegnata senza sosta nel porvi rimedio. Nella cultura dominante e globalizzata, le persone tendono a essere valutate non per ciò che sono, ma per ciò che hanno e che consumano. Anche la sessualità può essere sottoposta alla logica del consumo, diventando solo una cosa 13 Messaggio della quindicesima Assemblea Plenaria dell Association of Member Episcopal Conferences in Eastern Africa (AMECEA), Chiamati a essere buoni samaritani, 2005, n. 5, con riferimento a Lc 17,

8 «da avere»: oggetto di scambio e di mercato, secondo le preferenze individuali di ciascuno. L esperienza africana è molto diversa, anche se per gli occidentali non è facile comprenderla. «Ci sono tabù che incoraggiano il controllo di sé in materia di sessualità. Alcune tradizioni sono contrarie alle relazioni sessuali durante la gravidanza e l allattamento e in caso di adulterio. In molti gruppi etnici, la verginità prima del matrimonio è obbligatoria. Invece di considerare tali comportamenti fuori moda, come accade in Occidente, bisognerebbe impegnarsi per studiare il modo di incoraggiare tali pratiche attribuendo valore a questi elementi positivi della cultura africana» 14. Nelle società tradizionali, un certo numero di pratiche aiutava e sosteneva nel promuovere un buon comportamento e a mantenere la fedeltà e l integrità nel matrimonio: ragazze e giovani donne per proteggere la loro verginità, giovani uomini per controllare il loro desiderio sessuale 15. Il cammino verso una sessualità autentica, integrale e responsabile, viene tradizionalmente definito «castità», cioè finalizzazione della propria sessualità a relazioni interpersonali capaci di promuovere il bene dell altro nel rispetto delle differenze. È una risorsa molto potente al servizio della comunione con gli altri, dell amore e dell amicizia. Essa indica un compito molto personale che richiede tutta la vita, implicando anche uno sforzo culturale: «Esiste una interdipendenza tra il miglioramento personale e il progresso della società» 16. Se non si pratica una sorta di castità fra le culture, non si praticherà neanche la castità tra le persone. «La soluzione autentica dice un teologo africano, l unica che può essere duratura e soddisfacente, sta nel cambiamento del comportamento interiore nei confronti della sessualità, senza doverci affidare, in maniera ingenua e magica, a soluzioni tecniche. Questo cambiamento non riguarda soltanto i singoli individui come soggetti morali, ma è importante che l intera comunità si impegni al suo conseguimento» 17. I Paesi ricchi hanno criticato duramente la Chiesa africana per aver resistito alla distribuzione di profilattici come strumento di prevenzione. A parte il fatto che il dibattito è ricco di sfumature che denotano una ricerca e una riflessione in corso, i vescovi hanno comunque insistito sulla necessità di riconoscere e valorizzare le culture africane, che non giustificano il «sesso libero» né la sessualità come merce di 14 B. Bujo, «What morality for the problem of Aids in Africa?», in M. CZERNY (ed.), AIDS and the Church in Africa, cit., cit. in CZERNY M., op. cit. 15 Cfr T. H. Muzeta, Consecrated Celibacy in the Twenty-First Century: An African Perspective, Dublin, Milltown Institute of Theology and Philosophy, 2003, 12, cit. in CZERNY M., op. cit. 16 Gaudium et spes, n B. Bujo, «What morality for the problem of Aids in Africa?», cit. 8

9 consumo 18. La campagna a favore dei profilattici sa di imperialismo culturale e, in tale frangente, la posizione della Chiesa sarà sempre dalla parte dei poveri. 6. Conclusioni Possiamo quindi tenere presenti alcune coordinate per la lotta all epidemia secondo quanto abbiamo fin qui detto, sia per chi vive in Africa sia per chi vive in altri Paesi, perché mostri una solidarietà ben informata e non calata dall alto. Anzitutto un impegno non solo a parole, ma capace di operare in contatto con gli esclusi e i marginalizzati. Si tratta certo di denunciare il marchio, ma anche di accettare, amare e porre al centro chi è messo al bando. In questo la tradizione di santità della Chiesa è una testimonianza ricca di significato. Ricordiamo S. Francesco che bacia e abbraccia il lebbroso. Combattere la discriminazione significa stendere le proprie mani, toccare, fare: in questo è di grande importanza quello che la vostra associazione compie e opera. Un fare che anche capisca le cause dell esclusione e sia capace di agire sui motivi di fondo. Inoltre, occorre dire un «sì» radicale alla sessualità umana e al suo principale valore di aspirazione a relazioni umane profonde, responsabili, ricche di significato. Affermare la dignità delle persone significa formare la loro coscienza, accompagnarle verso la vita e la libertà. A tale proposito i vescovi africani insistono sulla dignità della persona e sul valore della vita come dono 19. Le culture africane offrono risorse che possono essere sottoposte a discernimento e valorizzate. Infine va sottolineata l importanza della giustizia distributiva e della solidarietà generosa. Spesso ci si domanda perché l Aids si manifesti in modo così grave in Africa. La risposta è: povertà. Non è una risposta facile da ascoltare e ancor meno da recepire. Eppure i membri poveri ed emarginati della società africana non hanno accesso all educazione di base, all informazione relativa all Hiv e all Aids, alla cura della salute, al lavoro, alla pensione. Una simile situazione di ingiustizia rende più persone maggiormente vulnerabili alla minaccia dell Hiv e alle tragiche conseguenze dell Aids di quanto non accadrebbe se avessero uno standard di vita meno compromesso. Nel 2000, il presidente sudafricano Thabo Mbeki ha provocatoriamente 18 Il Vicepresidente della Conferenza Episcopale del Sudafrica, mons. Coleman, ha dichiarato in proposito in una intervista televisiva: «il Paese è saturo di profilattici ed tuttora abbiamo il tasso più alto di trasmissione di AIDS nel mondo», in Il Regno-att., 16 (2001) 553. Peraltro, in questi anni non sono mancati interventi di esponenti della Chiesa (anche a livello gerarchico) che sottolineano le condizioni che potrebbero rendere lecito l uso del preservativo (cfr Il Regno-att., 20 (2005) 672). 19 SECAM 2003, par. II. 9

10 affermato che la vera causa dell Aids è la povertà piuttosto che l Hiv 20. C è una buona parte di vero nella sua controversa affermazione, e i vescovi africani hanno identificato e articolato ciò che c è di valido nella sua intuizione: il virus si sviluppa in modo direttamente proporzionale alla povertà. «La povertà procede di pari passo con l Hiv e l Aids. Ci preoccupa che le nostre già fragili economie debbano essere ulteriormente indebolite a causa della perdita di buona parte della forza lavoro specializzata dovuta all Hiv e all Aids. La povertà facilita la trasmissione dell Hiv, rende inaccessibile un trattamento adeguato, accelera la morte dovuta a malattie connesse all Hiv e moltiplica l impatto sociale dell epidemia» 21. Qui risulta pertinente il richiamo alle strutture di peccato, come ci indica l insegnamento sociale della Chiesa. Una nozione coniata da Giovanni Paolo II per indicare l effetto strutturale di un esercizio distorto delle libertà, che a sua volta condiziona le libertà altrui e le rende più disposte a compiere il male, ad agire in modo dannoso. I ministri della Chiesa, nella loro lotta contro l Aids, hanno pertanto bisogno di incrementare il coordinamento con altri soggetti, non solo ecclesiali, per sradicare la povertà, combattere il male e sostenere lo sviluppo umano integrale, a partire dai bisogni più elementari: cibo, acqua, salute, educazione, occupazione 22. Per combattere l Aids e promuovere ogni valore di cui abbiamo parlato (il rispetto per il fondamentale valore della vita e il corretto approccio alla sessualità) non si possono ignorare le condizioni spesso estremamente difficili in cui vivono le persone in Africa e la destrutturazione dei riferimenti tradizionali che si sta realizzando, a partire dalla famiglia «allargata»: significherebbe insistere sempre sulle buone intenzioni e sul solo potere della volontà, trascurando quelle forze e quelle strutture che opprimono letteralmente i poveri. La lotta per la giustizia è irrinunciabile. Offrire compassione senza considerare le strutture di peccato, o predicare la morale e la prevenzione senza combattere la povertà significa disprezzare la tradizione della Chiesa, in cui annuncio del Vangelo e promozione della giustizia sono strettamente connessi. 20 3rd Inter-Africa Youth Alive Conference held at Saints Hospitality Centre, Durban, gennaio SECAM, The Church in Africa in face of the Hiv/Aids Pandemic: «Our prayer is always full of hope», 2003, M. J. Kelly, «Why is there so much Aids in Zambia?», in Jesuit Centre for Theological Reflection Bulletin, July

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