La dottrina cattolica sull'inizio della vita umana

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1 Ateneo Pontificio "Regina Apostolorum" Roma, 14 novembre 2001 La dottrina cattolica sull'inizio della vita umana Il tema dell'inizio della vita ha sempre interessato la ricerca dell'uomo, sia da un punto di vista scientifico, sia da un punto di vista filosofico e teologico, o più genericamente culturale. Oggi l'argomento assume un significato e un'urgenza del tutto singolari di fronte ad uno sviluppo scientifico e tecnico che rende possibile tutta una serie di interventi sull'uomo e sulla sua vita in epoca sempre più precoce. Ricordiamo, a titolo d'esempio, la fertilizzazione, la fecondazione assistita, la selezione embrionale, il prelievo di cellule staminali da embrione, ecc. In un simile contesto la questione del vero inizio della vita umana diviene una questione fondamentale, nel senso etimologico del termine, in quanto tale inizio decide della liceità o meno di taluni interventi biologici e medici. Mi si chiede di affrontare la questione dal punto di vista della dottrina cattolica. Com'è noto, tale dottrina è offerta dal Magistero della Chiesa e viene giustificata e approfondita dalla riflessione teologica. E' una dottrina che si sviluppa - per usare le parole della costituzione conciliare Gaudium et spes - sub luce Evangelii et humanae experientiae (n. 46): alla luce, dunque, di un criterio originale e nuovo di lettura e di interpretazione della realtà quale quello del Vangelo, inteso come sintesi e vertice della Rivelazione di Dio e della fede cristiana che l'accoglie, e insieme alla luce del criterio universale della ragione umana. Si tratta di due criteri epistemologici distinti, ma non separati, soprattutto non contrapposti, come invece non poche volte si intendono da parte di chi oppone l'etica cristiana all'etica laica, o più radicalmente le esigenze della fede a quelle della ragione. In realtà la fede non distrugge né depotenzia la ragione umana, ma la presuppone, la conferma e la perfeziona. In questo senso si può comprendere perché nella sua Lettera Novo millennio ineunte Giovanni Paolo II scriva: "E' importante fare un grande sforzo per spiegare adeguatamente i motivi della posizione della Chiesa (nell'ambito delicato e controverso delle biotecnologie), sottolineando soprattutto che non si tratta di imporre ai non credenti una prospettiva di fede, ma di interpretare e difendere i valori radicati nella natura stessa dell'essere umano" (n. 51), quei valori che sono oggetto di discernimento da parte della ragione umana. Per questo, per comprendere la posizione della Chiesa sulle questioni riguardanti la vita nelle sue fasi iniziali non occorre richiamare argomenti fideistici o posizioni teonome fondate su principi di fede: la strada è molto più semplice e lineare perché si tratta di porsi in ascolto della scienza (in particolare la biologia) per cogliere quei momenti nodali, i quali possono essere ripresi in sede filosofica e teologica per giungere ad un giudizio etico vero, cioè capace di garantire l'autentico bene per l'uomo. Nello stesso tempo per una lettura e interpretazione integrali, aperte quindi ad ogni apporto com'è quello del magistero della Chiesa e ad ogni scienza com'è quella teologica, è dovere e interesse di tutti conoscere adeguatamente anche la posizione della Chiesa che viene illuminata dal Vangelo di Gesù Cristo e dalla fede cristiana. Circa l'inizio della vita umana, tra le altre, si possono porre tre domande, precisamente sul "quando", sul "come" e sul "perché" ha inizio la vita umana. Dunque: - Quando inizia la vita umana? - Come può iniziare la vita umana? - Quale è il significato del comunicare la vita umana?

2 1. Quando inizia la vita umana? Parliamo qui non semplicemente della "vita", ma precisamente della vita "umana", della vita cioè propria dell'essere umano. Con questa importante precisazione comprendiamo che la domanda sul "quando" si riferisce a due livelli, di per sé distinguibili anche se non separabili tra loro: il livello della scienza biologica e quello della riflessione filosoficoteologica. a) Quanto al dato biologico, non è questo il momento per riesporre tutto il delicato processo che dalla gametogenesi giunge alla fecondazione: è sufficiente mettere in evidenza il fatto centrale, servendoci del prezioso e tuttora attuale contributo del Centro di Bioetica dell'università Cattolica del Sacro Cuore Identità e statuto dell'embrione umano (22 giugno 1989). Tale contributo rileva, in particolare, due ordini di dati. - Il primo ordine di dati deriva dallo studio dello zigote e della sua formazione. Da questi dati risulta che, durante il processo di fertilizzazione, appena l'ovulo e lo spermatozoo - due sistemi cellulari differentemente e teleologicamente programmati - interagiscono tra loro, immediatamente prende inizio un nuovo sistema, che ha due caratteristiche fondamentali. Anzitutto, il nuovo sistema non è una semplice somma dei due sottosistemi, ma un sistema combinato, il quale, a seguito della perdita da parte dei due sottosistemi della propria individuazione e autonomia, incomincia a operare come una 'nuova unità', intrinsecamente determinata, poste tutte le condizioni necessarie, a raggiungere la sua specifica forma terminale. Di qui la classica e ancora corrente terminologia di 'embrione unicellulare' (one-cell embryo). Inoltre, il centro biologico o struttura coordinante di questa nuova unità è il 'nuovo genoma' di cui l'embrione unicellulare è dotato. Ed è questo 'genoma' che identifica l'embrione unicellulare come biologicamente 'umano' e ne specifica l'individualità. E' questo 'genoma' che conferisce all'embrione enormi potenzialità morfogenetiche, che l'embrione stesso attuerà gradualmente durante tutto lo sviluppo attraverso una continua interazione con il suo ambiente sia cellulare che extracellulare, dai quali riceve segnali e materiali. - Il secondo ordine di dati deriva dall'esame dello sviluppo dell'embrione unicellulare: si tratta di uno sviluppo che possiede tre precise proprietà biologiche. La prima è la coordinazione, ossia un susseguirsi di attività molecolari e cellulari sotto la guida dell'informazione contenuta nel genoma e sotto il controllo di segnali originati da interazioni che si moltiplicano incessantemente ad ogni livello, entro l'embrione stesso e fra questo e il suo ambiente. Precisamente da questa guida e da questo controllo deriva l'espressione rigorosamente coordinata di migliaia di geni strutturali che implica e conferisce una stretta unità all'organismo che si sviluppa nello spazio e nel tempo. La seconda proprietà biologica è la continuità. Il 'nuovo ciclo vitale' che inizia alla fertilizzazione procede - se le condizioni richieste sono soddisfatte - senza interruzione. I singoli eventi, per esempio: la replicazione cellulare, la determinazione cellulare, la differenziazione dei tessuti e la formazione degli organi, appaiono ovviamente successivi. Ma il processo in se stesso della formazione dell'organismo è continuo. E' sempre lo stesso individuo che va acquisendo la sua forma definitiva. Se questo processo si interrompesse, a qualsiasi momento, si avrebbe la 'morte' dell'individuo. Infine la proprietà biologica della gradualità. E' legge intrinseca al processo di formazione di un organismo pluricellulare che questo acquisisca la sua forma finale attraverso il passaggio da forme più semplici a forme sempre più complesse. Questa

3 legge della gradualità dell'acquisizione della forma terminale implica che l'embrione, dallo stato di una cellula in poi, mantenga permanentemente la sua propria identità e individualità attraverso tutto il processo. Alla luce dei dati ora ricordati è legittimo concludere come segue: "Questi due ordini di dati, scientificamente esaminati, conducono ad un'unica conclusione, alla quale - in una logica biologica - non pare si possa sfuggire, cioè, che alla fusione dei gameti una 'nuova cellula umana' dotata di una nuova struttura informazionale, incomincia a operare come una unità individuale tendente alla completa espressione della sua dotazione genetica, che si manifesta in una totalità costantemente e autonomamente organizzantesi fino alla formazione di un organismo umano completo. Questa 'nuova cellula umana' è quindi un 'nuovo individuo umano' che inizia il 'suo proprio ciclo vitale' e, date tutte le condizioni interne ed esterne sufficienti e necessarie, gradualmente si sviluppa attuando le sue immense potenzialità secondo una legge ontogenetica e un piano unificatore intrinseci". b) Passiamo ora dal dato biologico a quello della riflessione filosofico-teologica, così come la dottrina cattolica la assume e la ripropone. Sono due, in particolare, gli orientamenti seguiti dalla Chiesa: il primo è una rilettura delle conclusioni della scienza biologica in chiave propriamente "umana"; il secondo è la scelta di non schierarsi nelle discussioni filosofiche teoriche sull'inizio della vita specificamente umana, ma di situarsi su di un piano pratico, in riferimento cioè al comportamento moralmente corretto da assumere. Per il primo orientamento risulta interessante e significativo un brano della Dichiarazione sull'aborto procurato della Congregazione della Dottrina della Fede, che nel 1974 così si esprimeva: "Dal momento in cui l'ovulo è fecondato, si inaugura una nuova vita che non è quella del padre o della madre, ma di un nuovo essere umano che si sviluppa per proprio conto. Non sarà mai reso umano se non lo è stato fin da allora. A questa evidenza di sempre... la scienza genetica moderna fornisce preziose conferme. Essa ha mostrato come dal primo istante si trova fissato il programma di ciò che sarà questo vivente: un uomo, quest'uomo-individuo con le sue note caratteristiche già bene determinate. Fin dalla fecondazione è iniziata l'avventura di una vita umana, di cui ciascuna delle grandi capacità richiede tempo per impostarsi e per trovarsi pronta ad agire". Per il secondo orientamento leggiamo in Donum vitae, altro documento della Congregazione della Dottrina della Fede del 1987, quanto segue: "Certamente nessun dato sperimentale può essere per sé sufficiente a far riconoscere un'anima spirituale; tuttavia le conclusioni della scienza sull'embrione umano forniscono un'indicazione preziosa per discernere razionalmente una presenza personale fin da questo primo comparire di una vita umana: come un individuo umano non sarebbe una persona umana?". Come si vede, viene qui ribadita la lettura tipicamente "umana" dei dati della scienza biologica; il testo poi entra decisamente nel secondo orientamento, quello operativo-pratico sotto il profilo della moralità, e così si esprime: "Il Magistero non si è espressamente impegnato su un'affermazione d'indole filosofica, ma ribadisce in maniera costante la condanna morale di qualsiasi aborto procurato. Questo insegnamento non è mutato ed è immutabile. Pertanto il frutto della generazione umana dal primo momento della sua esistenza, e cioè a partire dal costituirsi dello zigote, esige il rispetto incondizionato che è moralmente dovuto all'essere umano nella sua totalità corporale e spirituale. L'essere umano va rispettato come una persona fin dal suo concepimento e, pertanto, da quello stesso momento gli si devono riconoscere i diritti della persona, tra i quali anzitutto il diritto inviolabile di ogni essere umano innocente alla vita".

4 L'enciclica Evangelium vitae, riproponendo questo insegnamento e dando ad esso ulteriore autorità magisteriale, lo giustifica appellandosi alla posizione classica dei teologi moralisti: "Tale è la posta in gioco che, sotto il profilo dell'obbligo morale, basterebbe la sola probabilità di trovarsi di fronte a una persona per giustificare la più netta proibizione di ogni intervento volto a sopprimere l'embrione umano". E conclude: "Proprio per questo, al di là dei dibattiti scientifici e delle stesse affermazioni filosofiche nelle quali il Magistero non si è espressamente impegnato, la Chiesa ha sempre insegnato, e tuttora insegna, che al frutto della generazione umana, dal primo momento della sua esistenza, va garantito il rispetto incondizionato che è moralmente dovuto all'essere umano nella sua totalità e unità corporale e spirituale" (n. 60). Da quanto precede risulta chiara la posizione della Chiesa di fronte alle teorie circa il cosiddetto pre-embrione (cfr. il Rapporto Warnock che negli anni '80 stabiliva la liceità della sperimentazione sull'embrione fino al 14 giorno; come pure il Rapporto Donaldson circa la liceità del prelievo delle cellule staminali). 2. Come può iniziare la vita umana? La grande novità degli ultimi decenni rispetto al passato consiste nella possibilità di intervenire sui meccanismi biologici, fino a riprodurre artificialmente l'inizio di una vita umana. Sono ormai più di vent'anni che viene praticata la fecondazione in vitro o assistita: la data significativa al riguardo è quella della nascita nel 1978 di Louise Brown, la prima bambina concepita in provetta. Da quel giorno la procreazione artificiale è stata presentata, soprattutto in chiave sociale e culturale, come il rimedio più efficace per risolvere i problemi di sterilità della coppia. Si aggiunga, poi, che con il passare del tempo l'attenzione della scienza e della tecnica si è spostata dalla procreazione al servizio della coppia o semplicemente di chi vuole ad ogni costo un figlio alla produzione di embrioni ai fini della ricerca, della sperimentazione e dell'utilizzazione per i più diversi fini (cfr. il prelievo delle cellule staminali dall'embrione). Per fermarci alla fecondazione in vitro al servizio di una nuova vita, sono note le precise e gravi riserve morali della Chiesa, in quanto tale fecondazione non rispetta ma altera la natura originale tipicamente umana e personale (meglio: interpersonale) della trasmissione della vita (su questo ritorneremo nel numero successivo). E' questo l'argomento centrale (che coglie il dato "oggettivo" o "di per sé") sul quale si fonda la posizione morale della Chiesa. Forse non è inutile soffermarci anche su argomenti in qualche modo "periferici" o legati alle risultanze ("per accidens"), tanto più che, ultimamente, nello stesso campo scientifico si registrano alcune autorevoli voci che invitano a riconsiderare il reale successo e le conseguenze non poco problematiche di tali interventi. Così, ad esempio, alcuni studi psicologici denunciano il grave stress sopportato dalla coppia: le procedure di prelievo dei gameti sessuali dall'uomo e dalla donna, l'impianto in utero di almeno tre embrioni - perché difficilmente il primo attecchisce nell'endometrio - e le forti spese economiche segnano fin da subito i coniugi. Inoltre, in vent'anni la FIVET ha causato il grave problema degli embrioni soprannumerari, cioè degli ovuli fecondati e non impiantati in utero. La situazione è quanto mai seria, non solo perché sono centinaia di migliaia in Italia e milioni nel mondo, ma perché - secondo l'istituto per la Scienza e la Tecnologia di Chicago - il 50 per cento degli embrioni congelati sono in realtà inservibili. Che cosa farne? L'estrema complessità di una risposta plausibile fa sorgere, al minimo, gravi dubbi sulla validità della strada intrapresa.

5 Ancora, il mondo scientifico denuncia l'alto insuccesso della fecondazione assistita. Secondo statistiche recenti, che provengono dagli Stati Uniti, l'87 per cento delle donne che ricorrono alle varie tecniche di riproduzione artificiale - la più frequente è la FIVET, ma sono state studiate anche la GIFT, l'icsi - sono destinate a veder frustrato il loro desiderio di maternità. Detto con altri numeri, la fecondazione assistita registra solo il 13 per cento di successi: una percentuale davvero bassa. Davanti a questi dati poco incoraggianti una parte del mondo scientifico manifesta le proprie perplessità sull'opportunità di continuare la ricerca per favorire l'industria della fecondazione assistita. Cosi si è espresso un Gruppo di Lavoro dell'istituto per la Scienza e la Tecnologia di Chicago (ISLAT) Riserve nascono anche da parte degli psicologi. Gli alti fallimenti delle tecniche di fecondazione assistita lasciano sempre gravi conseguenze psichiche nella coppia, dovute in gran parte alla frustrazione di non poter vedere esaudito un proprio desiderio, nonostante la grande fiducia suscitata da chi propone tali pratiche. Anna Oliverio Ferraris, docente di psicologia alla Sapienza di Roma, ha dichiarato che per questo stress "spesso la coppia si sfascia oppure ha la necessità di un'assistenza psicologica prolungata finalizzata a ricostruire le ragioni di un rapporto tutto fondato sulla ricerca del figlio ad ogni costo" ("Avvenire", 25/08/00). Altre riserve si aggiungono se consideriamo il versante del figlio. Secondo Anna Olivero Ferraris il vero problema comincia quando il bambino, precedentemente nato in provetta, comincia ad interrogarsi circa il suo passato. Si potrebbe pensare di non rivelare nulla? "No, i segreti in ambito familiare non sono mai positivi - risponde l'esperta - e poi anche senza volerlo i genitori comunicano al bambino che c'è qualcosa nella loro storia che non si può rivelare. È un meccanismo di comunicazione non verbale che il piccolo percepisce, anche se non sa di cosa si tratta". Allora perché non rivelare tutta la verità? Anche in questo caso i problemi non mancano: in settembre la rivista inglese "Human reproduction", il mensile della Società europea di riproduzione umana ed embriologia, ha dedicato una ricerca sulla psicologia dei figli della provetta, nati con il seme di un donatore. Ciò che ha scoperto è un intrigo di insoddisfazioni e paure, dovute alla mancata conoscenza della propria origine. Intervistati sedici ragazzi, tutti hanno dichiarato che, appresa la verità sulla loro nascita, si sono trovati davanti ad un vero e proprio shock ed hanno percepito la loro vita come una bugia. Queste testimonianze scientifiche ci conducono inevitabilmente al piano etico e mostrano chiaramente come il forzare la natura possa avere conseguenze negative per la coppia e per l'eventuale figlio. Ora lo studio delle conseguenze ci porta, ancora una volta, a considerare da un punto di vista etico l'intervento in sé: esso si configura come una reale sostituzione dell'atto coniugale. Restano quanto mai attuali le parole della Dichiarazione Donum Vitae: "L'origine della persona umana è in realtà il risultato di una donazione. Il concepito dovrà essere il frutto dell'amore dei suoi genitori. Non può essere voluto né concepito come il prodotto di un intervento di tecniche mediche e biologiche: ciò equivarrebbe a ridurlo a diventare l'oggetto di una tecnologia scientifica". Davanti ad una tecnica che ha influenzato la mentalità comune al punto da ritenere che si abbia un diritto al figlio, siamo invitati - direi addirittura "sfidati" - a promuovere una sensibilità etica che sappia riconoscere e affermare sempre più convintamente il "diritto del figlio". Sì, il "diritto del figlio" a venire al mondo in un modo umano. 3. Quale è il significato del comunicare la vita umana? La riflessione etica, prima che giungere a determinare la liceità o meno di un intervento, ha un altro compito più impegnativo e decisivo: quello di ricercare il significato, il valore,

6 il fine che l'uomo intende raggiungere e vivere mediante le sue decisioni e scelte. In ultima analisi il valore in gioco è l'uomo stesso. E in alcuni casi lo è in una maniera particolarmente forte. Così, fermandoci all'ambito della comunicazione della vita umana, è evidente che non possiamo rispondere alla domanda cosa è lecito fare, come agire scientificamente, se prima non ci chiediamo chi è il figlio, chi è l'uomo ( ) In misura maggiore rispetto al passato, abbiamo bisogno di conoscere la verità sulla persona umana, perché questa non sia minacciata, ma sia promossa. Il primo compito morale è dunque quello di suscitare la domanda etica di base: "che senso ha avere un figlio?", meglio "che senso ha generare un figlio?". Ora un simile cammino di riflessione è spesso laborioso, lento. Esige non poca pazienza. Rientra nello sforzo di chi vuol educare le persone alla moralità, non semplicemente esprimendo divieti o fornendo prescrizioni, ma aiutandole ad aderire ai valori. Tale percorso sarà fruttuoso nella misura in cui è animato e accompagnato dallo stupore, dalla meraviglia suscitati dalla venuta in questo mondo di una nuova creatura. E' in questione lo "sguardo contemplativo" di cui parla Giovanni Paolo II nelle sue encicliche Centesimus annus ed Evangelium vitae (cfr. il mio intervento Per un nuovo 'sguardo' sulla vita umana nascente al Congresso Internazionale degli Ostetrici e dei Ginecologi Cattolici, Roma 20 giugno 2001). La riflessione morale appare così impegnata in due momenti: certamente quello applicativo, che deve opportunamente valutare la liceità dei mezzi scelti per raggiungere lo scopo di dare un figlio alla coppia. Ma, ancora prima, l'etica chiede che si rifletta sul "perché" generare un figlio. Ambedue i momenti appartengono ugualmente alla morale ed entrambi sono necessari. Forse più urgente è il secondo versante morale, quello del senso. Quale è, allora, il senso autentico del procreare? In termini elementari, ma non per questo meno veri e profondi, possiamo affermare che il procreare umano è un'esperienza eminentemente umana e personale, un'esperienza di due persone nei riguardi di una terza, dei genitori nei riguardi del figlio. In particolare, nell'atto umano del procreare la persona viene coinvolta secondo diverse prospettive: nella sua totalità unificata, nella sua dinamica specifica, nella sua finalità e, infine, nella sua trascendenza. E' necessario considerare più da vicino queste prospettive, le quali nella loro profonda unità dicono la verità sul procreare umano. Innanzitutto, la persona è coinvolta nella sua totalità unificata. Secondo l'antropologia cristiana l'uomo è insieme elemento spirituale e corporale (corpore et anima unus, come scrive la costituzione conciliare Gaudium et spes, 14) e l'amore dei coniugi non appartiene soltanto alla sfera spirituale, perché, come ricorda Giovanni Paolo II, "l'amore abbraccia anche il corpo umano e il corpo è reso partecipe dell'amore spirituale" (Esortazione apostolica Familiaris consortio,. 11). Di conseguenza, il procreare umano - frutto dell'amore coniugale - non è un fatto né puramente biologico né puramente spirituale, ma investe la persona nella sua interezza e unità. Ancora, la persona è coinvolta nella sua dinamica specifica, cioè nella sua caratteristica propria che è quella di divenire dono per l'altro. Come ha ricordato il Concilio, l'uomo "in terra è la sola creatura che Iddio abbia voluto per se stessa" e che non può "ritrovarsi pienamente se non attraverso un dono sincero di sé" (Gaudium et spes, 24). Questa donazione, iscritta in ogni persona, si manifesta in modo singolare all'interno della relazione coniugale e, in particolare, nell'ambito dell'atto coniugale, espressione specifica concreta dell'amore dei coniugi. Infatti, "Nell'atto che esprime il loro amore coniugale - dice Giovanni Paolo II -, gli sposi sono chiamati a fare di se stessi dono l'uno all'altro: nulla di ciò che costituisce il loro essere persona può essere escluso da questa donazione".

7 Inoltre, la persona è coinvolta nella sua finalità, cioè è chiamata ad esprimere la motivazione, la ragione del desiderio di procreare: perché avere un figlio? L'unico motivo specificamente umano risiede nel fatto di volere il figlio sempre e solo come fine e mai come mezzo. Il figlio, infatti, possiede l'identità e la dignità di persona e secondo questa stessa identità e dignità ha diritto di essere accolto e trattato. Dev'essere voluto per amore e trattato con amore. In tal senso, i genitori non hanno diritto al figlio. Infine, la persona è coinvolta nella sua trascendenza, cioè nella sua relazione con Dio: il procreare è, in definitiva, un atto religioso. La realtà prima da cui scaturisce la vita umana non è l'amore dei genitori, ma l'amore stesso di Dio, Creatore e Padre; di tale amore quello dei genitori è un'eco vivente e una partecipazione reale. La capacità procreativa è dunque una collaborazione che Dio offre all'uomo e alla donna perché si trasmetta lungo il tempo della storia la vita umana. Si comprende così la ricchezza del termine usato dalla teologia, ma presente anche nel linguaggio comune, per indicare il processo generativo: si parla correttamente di procreazione. In questa parola composita si ritrovano insieme due elementi: quello della creazione - perché il procreare umano è riflesso e continuazione del creare proprio di Dio - e il pro, in quanto i genitori partecipano all'amore di Dio Creatore e Padre, diventando suoi "ministri" (secondo la terminologia dell'enciclica di Paolo VI, Humanae vitae). Da questo ricco significato antropologico del procreare umano scaturisce l'istanza etica fondamentale di comunicare, anzi di donare la vita in modo conforme alla natura del matrimonio e dei suoi atti (cfr. Humanae vitae, 10). Conclusione Al termine possiamo comprendere meglio il significato di "provocazione", di vera e propria "sfida" che la dottrina cattolica sull'inizio della vita umana possiede e rivolge alla società e alla cultura d'oggi. Circa il "quando" ha inizio la vita umana, la dottrina della Chiesa non rimane timidamente al di fuori di questo contesto culturale, ma vi entra apertamente e vuole instaurare un sincero dialogo con le posizioni attuali, specie con quelle che parlano di un inizio "ritardato" della vita umana (le varie teorie circa il cosiddetto "pre-embrione"). Vi entra con una grande saggezza, lasciando libertà al dibattito scientifico e filosofico, e insieme con un fortissimo senso di responsabilità, in spirito di servizio ad ogni essere umano e di amore per la sua dignità di persona, invitando tutti alla piena onestà intellettuale di fronte alla verità scientifica e al comportamento morale che rifiuti anche solo di correre il "rischio" di eliminare una vita umana (pars tutior est sequenda). Circa poi il "come", ossia la modalità procreativa, resa oggi possibile dalla tecnica, la dottrina della Chiesa sollecita tutti a non cedere, né alla tentazione di una lettura esclusivamente biofisiologica della vita umana e pertanto della sua comunicazione, né alla tentazione di una tecnocrazia insindacabile in un campo nel quale, invece, devono essere assolutamente salvati il primato della persona e il rispetto dei suoi diritti, a cominciare dal diritto alla vita. E tutto ciò per un'esigenza umana, razionale. E per il bene di tutti, nel contesto di un'autentica e matura democrazia, che accoglie, difende e promuove in primis gli "ultimi". Infine, circa il "perché" del comunicare la vita umana, la dottrina cattolica spinge decisamente a superare i rischi: della possessività egoistica, riscoprendo la realtà del figlio come "dono"; della banalizzazione nel trasmettere la vita, educando alla paternità e maternità veramente e pienamente "responsabili"; della secolarizzazione o laicizzazione del comunicare la vita, facendone cogliere l'innata e indistruttibile "sacralità": quest'ultima poi, se è "glorificazione" di Dio Creatore e Padre, è

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