Comincerò a parlare di flessibilità parlando di rigidità. Nella mia lunga esperienza, il primo
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- Fausto Marconi
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1 Scenari di business, scelte organizzative e flessibilità: un modello di riferimento Comincerò a parlare di flessibilità parlando di rigidità. Nella mia lunga esperienza, il primo impatto con una fabbrica fu quello con la rigidità. Ricordo che tutti i compiti degli operai erano racchiusi in un librone, che si chiamava mansionario. Era stato il primo prodotto dello statuto dei lavoratori ed era alla base di vertenze sindacali basate su una dialettica, per la verità non molto intelligente, che si sintetizzava nel motto: tutto ciò che non è scritto nel mansionario non si può fare!. Il problema era che non si riusciva a scrivere nel mansionario tutto quello che le persone dovevano fare. Quindi ogni tanto c era il cosiddetto sciopero bianco, che portava a fare solo le cose che erano scritte. Eravamo in un contesto in cui spesso si produceva per il magazzino, in cui il cliente era fuori e lontano. L approccio era quindi verso il prodotto e non verso il mercato. Questo era più evidente nelle grandi aziende di processo, ma era vero anche nelle aziende manifatturiere. Successivamente sono cambiate molte cose: dalla fine anni 70 sono cresciute le esigenze della competitività anche su scala internazionale e quindi è emerso il problema della flessibilità, quale strumento per fare funzionare meglio un organizzazione altrimenti rigida. Fino ad allora lo strumento principe della flessibilità era lo straordinario. Prime forme di flessibilità Ma poi la fantasia ha cominciato a galoppare ed è stata la volta dei turni, dei sabati lavorativi, del part-time. Ricordo anche, tra queste prime esperienze di flessibilità, il contratto dei chimici del 1983, che permetteva di lavorare di più in caso di picco produttivo e di lavorare di meno in caso di vallo. Quindi una specie di contrattualizzazione dei picchi e dei flessi, con la necessità di una negoziazione sindacale minima. Questa norma, veramente innovativa per l epoca, la applicai in una fabbrica di vernici. Le vernici per l edilizia hanno un andamento molto stagionale e seguono anche la moda. Significa che non si può produrre per il magazzino perché una parte di questi hanno un ciclo di vita 1
2 molto breve e si alterano con il tempo. Era gioco forza richiedere prestazioni aggiuntive di sabato durante il periodo in cui il mercato tirava, in primavera ed estate. Questo impattava fortemente sulle abitudini individuali: c era disponibilità ed apertura da parte del sindacato, molto meno da parte dei lavoratori, di fronte alla prospettiva di lavorare i sabati estivi e di riposare nei sabati invernali. Per risolvere il problema si mise mano al portafoglio. Questa flessibilità della persona è stata, soprattutto a partire dagli anni 80, accompagnata da forme di flessibilità dell organizzazione, in buona parte collegate ad acquisizioni tecnologiche quali l informatica distribuita, ed il decentramento, che hanno inaugurato quelle strutture organizzative dal linguaggio un po immaginifico che si chiamavano a stella o a margherita. A fianco di queste aziende ce ne sono state altre, sempre di processo, in cui questo fenomeno ha avuto una configurazione diversa, perché chi fabbrica sostanze chimiche non può con facilità dare a terzi parti di impianto, come è avvenuto con facilità per altri settori produttivi, quale il tessile. Ci sono problemi di investimenti, di competenze, di rischi, di natura stessa della produzione di processo. Flessibilità e terziarizzazione Il ragionamento comunque è stato guidato dalla necessità di concentrarsi su quello che sappiamo fare bene, in cui abbiamo davvero un vantaggio competitivo, e terziarizziamo a coloro che hanno specifiche competenze su quello che non è il core business. Si sono quindi terziarizzati i trasporti, la manutenzione in dosi crescenti, molto spesso tutte le attività di coda quali il condizionamento, l imballaggio del prodotto, talvolta anche l amministrazione. La fabbrica, che negli anni 70 si presentava come un qualcosa di chiuso, si è aperta e si è maggiormente integrata, sia con i clienti, sia con i fornitori mirando alla loro fidelizzazione. Il cliente è entrato in fabbrica. Di più, il mondo è entrato in fabbrica. A partire dagli anni 90 lo scenario di riferimento si amplia ulteriormente e la flessibilità diviene un fenomeno su scala mondiale. Il problema diventa la complessità e la ricerca del modello organizzativo che consenta di cogliere le opportunità e gestire al meglio la crescente complessità. Flessibilità e intercultura La complessità è fatta a volte di cose apparentemente banali. Bracco è gruppo che esporta il 90% della sua produzione. I nostri due principali clienti sono l America e il Giappone. Un problema banalissimo è quello di entrare in contatto con le persone in queste due aree superando la differenza di fusi orari, perché dovremmo in teoria avere delle persone disponibili dalle quattro del mattino alle dieci di sera. 2
3 Altri problemi emergono quando si comincia a lavorare in team, con gruppi di ricerca che sono collocati a Milano, a Ginevra, negli Stati Uniti, in Giappone, in Cina, perché nasce il problema della interculturalità. Recentemente sono stato in Giappone dove ho intervistato un manager di una multinazionale, che aveva deciso di lasciare l azienda dopo 25 anni, perché, a seguito di una situazione di difficoltà, l azienda aveva deciso di ridurre il personale. Lui non era toccato da questa riduzione, ma nella sua visione del mondo gli pareva insostenibile che un azienda spezzasse il legame con i manager e con tutto il personale. Come conciliare questa posizione con quella di un Americano, in cui le aziende sembrano degli alberghi a ore? Eppure noi dobbiamo saper lavorare con gli uni e con gli altri. La flessibilità possibile Oggi abbiamo molti strumenti di flessibilità rispetto agli anni scorsi. Ci sono gli stage, contratti a termine con una notevole liberalizzazione e minima pressione sindacale sulla riconferma, ci sono diverse formule di part-time, il telelavoro, il job sharing. Si ha però l impressione che tutto questo non basti. C è da chiedersi se quello che manca non sia già nella nozione stessa di organizzazione. La nozione di modello organizzativo stesso evoca un qualcosa di ben strutturato ed evoca, anche a fronte di stimoli che si ricevono dall esterno, un rapporto di causa-effetto, di risposta di tipo meccanicistico. L individuo riceve uno stimolo, lo elabora, avviene una reazione ed un certo risultato. Ma questo tipo di reazione non è troppo lenta, anche alla luce di eventi che sfuggono alle capacità di previsione? La capacità di previsione è un valore o non è piuttosto un valore la capacità di avere una reattività di tipo quasi biologico agli eventi? Flessibilità della persona Una prima chiave di lettura è che la flessibilità non è solo una caratteristica dell organizzazione, ma è una caratteristica imprescindibile delle persone per lavorare in modo efficace nelle organizzazioni. Accertato che abbiamo bisogno di gente flessibile per governare la complessità, dobbiamo definire in concreto la flessibilità. La flessibilità è il driver di tutte le altre competenze, perché senza la caratteristica della flessibilità le conoscenze sono destinate ad essere obsolete e a non essere in linea con le mutevoli esigenze 3
4 dell azienda, normalmente dettate dalla necessità di essere competitivi sul mercato e di garantire la competitività nel tempo. Come ottenere flessibilità? Quali sono le caratteristiche che consentono la realizzazione di un sistema che la garantisca? Ricette non ce ne sono. Quali sono i requisiti perché una persona sia flessibile? Il primo è che la persona deve avere una ragionevole fiducia in sé: una persona insicura non ha innovazione, creatività, ha paura di sbagliare. E quindi occorre anche una ragionevole assunzione del rischio. In seconda battuta essere capaci di convivere con i propri errori e con un sistema non ben definito, che ha degli elementi di caos. Il terzo elemento è la tolleranza dell errore: un organizzazione che criminalizza chi talvolta sbaglia finisce per generare frustrazioni, sensi di colpa, paralisi e quindi per non ottenere gli obiettivi che si è proposta. Occorre anche una ragionevole stabilità, perché l organizzazione che cambia di continuo in nome di un adattamento alle esigenze mutevoli del mercato è tale da non fornire alla persona alcun punto di riferimento. La flessibilità non è necessariamente una cosa innata e dipende molto dalle persone e dalla loro storia. C è una componente che le aziende possono sviluppare, ma c è una parte che è strettamente correlata al modo di essere di una persona, alle sue caratteristiche. Vi è una certa continuità fra la persona nella famiglia, nei rapporti sociali, in azienda. Sicuramente un ruolo importante lo ha la scuola e c è da chiedersi quale ruolo la scuola giochi veramente. Probabilmente non dovrebbe fornire pacchetti di conoscenza, ma una metodologia, che consenta poi di volta in volta di aggregare i contenuti necessari. Pensate a quanto oggi incidano le competenze relazionali in una organizzazione aperta al mercato, ma nessuno a scuola insegna qualcosa sui lavori strutturati per progetto, in gruppo, in team internazionali, multifunzionali, con delle leadership che cambiano. Flessibilità e ruolo dell azienda Cosa può fare l azienda per rendere flessibili le persone e soprattutto per garantirsi l allineamento dei comportamenti dei singoli con le strategie e gli obiettivi dell azienda? Occorre un sistema integrato, che coglie le persone nell ingresso in azienda, nel loro crescere e nelle dinamiche di ricompensa. Per esempio, sul sistema di inserimento in azienda, ci siamo sempre preoccupati che uno conoscesse bene due lingue, avesse magari preso 110 e lode o avesse fatto un master. Ma quante volte ci siamo preoccupati di inserire in azienda persone curiose, capaci di mettersi 4
5 in gioco, di volere crescere con l azienda, disposte a giocare anche quando cambiano le regole del gioco? Caratteristiche forse anche più difficili da scoprire, ma non banali e senz altro essenziali per avere dei collaboratori di qualità lungo un arco di tempo che diventa sempre più lungo visto che il periodo dell ingresso al lavoro e alla pensione ormai assume delle dimensioni più ampie che in passato. Parliamo di competenze: credo che questa sia la chiave di volta, perché da un lato consente di avere competenze adeguate, ma anche di poterle vivere, vendere e i pubblicizzare come valore. Io credo che avendo un modello di competenze che coglie non solo quello che ci serve oggi, ma anche quello che ci potrà servire domani, si abbia per l azienda un vantaggio importante in prospettiva, perché se è giusta la nostra visione del futuro, i cambiamenti, quando arriveranno, ci troveranno già pronti. E il modello di competenze serve poi per potere colmare lo scarto tra quel che ci serve e ci servirà e quello che abbiamo, perché si tratta poi di fare dei sistemi integrati di sviluppo e di formazione che possono essere tanto individuali, quanto collettivi. Sul sistema di ricompensa io credo che se l innovazione e la creatività sono dei valori, bisogna che questi comportamenti, queste attitudini vengano premiati e ricompensati e questo va fatto con i fatti. Alcuni problemi aperti. La reazione delle aziende alle difficoltà del mercato. La reazione spesso porta a una via che talvolta è indispensabile, ma altre volte non è l unica: il taglio dei costi e la riduzione di personale. Sicuramente nel breve aumenta l efficienza, ma se in prospettiva non fa compiere un salto a quelli che restano, che possono cadere nella sindrome del sopravvissuto e che non saranno disponibili a essere innovativi, creativi, flessibili, si creano nel medio termine le premesse per una perdita di competitività dell azienda. L azienda avrà meno personale, ma avrà il personale che le serve a fronte delle sfide di mercato di oggi e soprattutto di domani? Un altro punto abbastanza critico è l attitudine delle aziende a gestire le diversità. In genere i sistemi aziendali non tengono conto di questi aspetti e non sempre lavorano in trasparenza. D altro canto quando si parla di gestione di creatività, di diversità, quando si parla di flessibilità, non basta dare l ordine di essere flessibili. Inoltre le persone più innovative sono solitamente più difficili da gestire e queste complicanze dobbiamo sobbarcarcele, altrimenti con la massima uniformità di gestione avremo il minimo riconoscimento delle diversità e quindi una situazione meno performante. 5
6 Flessibilità e middle management Un altro aspetto critico è il middle management, che spesso vive queste situazioni come una perdita di potere personale, quindi è poco permeabile alle novità e può avere un atteggiamento di coperchio rispetto alle esigenze di innovazione e di creatività. Questo comporta una riflessione anche sugli attuali metodi di valutazione, di confronto con il mercato delle funzioni. Ad esempio, gli attuali sistemi di MBO sono allineati con queste riflessioni? Perché gli MBO, per essere oggettivi, da un lato contengono quanti più dati quantitativi possibili che li irrigidiscono e dall altro lato si cerca di renderli flessibili mettendo dati qualitativi. Però nella la mia esperienza i dati qualitativi non diventano un vero momento di valutazione tra capo e collaboratore. Abbiamo davanti sicuramente un cambiamento importante, che riguarda ognuno di noi ed una scommessa importante da vincere. Il percorso che porta i nostri collaboratori da travet a creativi rompiscatole richiede un sistema di gestione che consenta di dare a queste persone in tutto l arco della loro vita, gli stimoli giusti per crescere e per sentirsi parte di un progetto condiviso. L obiettivo è di avere una identificazione con l azienda e una grande rapidità di risposta agli stimoli che sempre più ci arrivano da ogni parte. Renzo GROSSO Group Vice President Human Resources Bracco 6
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