L ITALIA UNITA. Scuola Secondaria di I Grado M. Polo, via Leopardi 60, Pramaggiore (VE)

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1 L ITALIA UNITA Scuola Secondaria di I Grado M. Polo, via Leopardi 60, Pramaggiore (VE)

2 Data 17/03/2011 Numero Unico Il 17 marzo 2011 ricorre il centocinquantesimo anniversario dell Unità d Italia e in tutto il paese stanno fiorendo proposte ed eventi per celebrare questo avvenimento. Noi ragazzi della classe IIIB del comune di Pramaggiore (VE), cogliendo anche l invito a partecipare ad un concorso proposto dalla provincia di Venezia, abbiamo deciso di festeggiare a modo nostro questa ricorrenza. Quando il nostro insegnante di storia ci ha chiesto se avevamo delle proposte, stavamo terminando lo studio dell unificazione italiana. Dopo averne discusso insieme, tra l entusiasmo di alcuni, lo scetticismo di altri e la neutralità di altri ancora, abbiamo scelto di celebrare questa data attraverso un giornalino che raccontasse il Risorgimento Italiano. Molti ci diranno che esistono già i manuali di storia per questo, ma noi volevamo qualcosa di più volevamo ricordare come, nel cammino della nostra storia, molti uomini abbiano rischiato la vita e ogni avere per rendere possibile un Italia Unita. Ripercorrendo fatti e personaggi, ci ha sorpreso scoprire come questi uomini fossero in realtà per lo più dei giovani, dei ragazzi pronti a morire per un ideale, chi diffondendo semplici volantini, chi incitando alla ribellione, chi tramando, chi scrivendo, chi combattendo con le armi tutti uniti da un comune desiderio: opporsi a dei governi assoluti e reazionari al fine di ottenere libertà, giustizia ed uguaglianza. Abbiamo scelto di descrivere oltre agli eventi storici, anche le vite, le imprese e le curiosità di alcuni personaggi. Certo, non abbiamo potuto parlare di tutti, visto il gran numero di patrioti che l Italia ha avuto; la nostra scelta è quindi ricaduta principalmente su quelli che vengono considerati i padri fondatori dell Italia, senza però dimenticare che dietro di loro ci furono migliaia di altri eroi che hanno dato la vita per il nostro paese. Questo è il nostro piccolo contributo per ricordare un Grande Paese, per raccontare la Nostra Storia una storia lunga 150 anni. Buona lettura. SOMMARIO Buon compleanno Italia 150 anni insieme pag. 1 L Italia è pag. 2 L Italia s è desta.. pag. 3 Quella volta in cui successe un 48.. pag. 4-5 Eran trecento eran giovani e forti pag. 6 La Seconda Guerra di Indipendenza pag. 7-8 La spedizione dei Mille... pag Garibaldi fu ferito. pag. 13 La Terza Guerra di Indipendenza pag. 14 Da Mentana alla Questione Romana... pag Vittorio Emanuele II, il Re Galantuomo.. pag Giuseppe Mazzini pag. 19 La segretezza prima di tutto Giuseppe Garibaldi pag. 20 pag. 21 Anita Garibaldi pag Il culto di un eroe... pag Curiosità garibaldine.. pag Caprera: l isola di Garibaldi. pag La statua della discordia.. pag. 30 Carta di identità della bandiera italiana pag. 31 I colori della bandiera. pag. 32 La nostra scuola nel Risorgimento... pag. 32 L arma in più del Risorgimento. pag. 33 Armi ed eserciti pag. 34 Immagini dal Risorgimento. pag. 35 1

3 L ITALIA E E formata dal sangue di italiani che hanno dato vita ad un Paese libero Carlo E stata unita da uomini come Garibaldi e i Savoia e non smetterò mai di ringraziarli Ilenia E come la pizza piace a tutti! Marika E una Repubblica Democratica fondata sul lavoro Filippo E un Paese molto interessante, ma confuso Gian David E la mia casa Alessandro E il nostro Stato Leonardo E il Paese dove sono nato, cresciuto e dove vivrò per sempre Michele E un paese da capire e scoprire Ionel E sinonimo di unicità Miriana E la mia patria Mauro E una repubblica fondata sull arte, sulla cultura e non si può non innamorarsene Linda e Francesca E un Paese libero Dario E l insieme delle diverse persone e culture che la compongono Giorgia E cultura per il mondo Alice E uno Stato in cui si vive bene e si possono ammirare bellezze straordinarie Luca E uno stivale elegante Elia e Samuele E un Paese unico al mondo per la sua forma e la sua origine Giulia Mazzini, Cavour e Garibaldi E un Paese unito da 150 anni Elisabetta Mi piacciono le scarpe e gli stivali come fa a non piacermi l Italia? Angelica 2

4 L ITALIA S E DESTA Al termine dell età napoleonica si svolse il congresso di Vienna ( ) allo scopo di restaurare l'assetto territoriale europeo e rimettere sul loro trono i sovrani deposti da Napoleone. In quell occasione l'italia fu suddivisa in nove stati e assoggettata quasi totalmente all'egemonia straniera. La maggior parte della penisola si trovò sotto il dominio dell'impero Austriaco, che controllava direttamente il Lombardo-Veneto e indirettamente i Ducati di Parma, Modena e Reggio, Massa e Carrara, Lucca e il Granducato di Toscana. Al Papa fu restituito nel centro Italia lo Stato Pontificio, mentre il Regno delle Due Sicilie fu riconsegnato alla dinastia dei Borbone. L unico stato italiano che manteneva una propria autonomia era il Regno di Sardegna (comprendente Sardegna, Valle d Aosta, Piemonte, Liguria), governato dai Savoia. Per combattere e ostacolare i regimi repressivi che erano stati restaurati, i patrioti italiani si riunirono in società segrete (la più importante delle quali fu la Carboneria) che però non riuscirono a coinvolgere le classi popolari. Nel fallirono infatti le insurrezioni di Napoli, della Sicilia e del Piemonte, mentre nel Lombardo-Veneto molti carbonari furono imprigionati (tra questi Silvio Pellico e Pietro Maroncelli). Giuseppe Garibaldi, chiamò il primo figlio Menotti ed il quarto Ricciotti in onore dei due patrioti italiani, morti durante il Risorgimento. Con Risorgimento si intende il periodo della storia durante il quale la nazione italiana conseguì la propria unità, riunendo in un solo Stato (il Regno d'italia) i precedenti Stati preunitari. L Italia dopo il congresso di Vienna ( ) Altri moti ci furono nel 30-31, tra cui quello di Modena guidato dall avvocato Ciro Menotti, successivamente arrestato e impiccato. In quegli anni divenne importante l'operato di Giuseppe Mazzini il quale riteneva che solo una rivoluzione popolare potesse unificare il paese, dando vita a una repubblica democratica. Egli fondò la Giovine Italia, che diffuse come mai fino ad allora lo spirito patriottico e le idee di unità e libertà. Le prime imprese dei mazziniani furono degli insuccessi (tentata sommossa in Piemonte e a Genova 1833, spedizione in Savoia 1834, spedizione dei Fratelli Bandiera e di Nicola Ricciotti 1844), ma rimase nel cuore l'ideale di un'italia unita. 3

5 QUELLA VOLTA IN CUI SUCCESSE UN 48 Con il termine Primavera dei popoli si intende l'ondata di moti rivoluzionari borghesi che sconvolsero l'europa nel Il suo impatto storico fu così tanto profondo che nel linguaggio comune è entrata l'espressione "fare un quarantotto" per sottintendere un'improvvisa confusione e scompiglio. La prima agitazione europea del 1848 è rappresentata dalla rivoluzione siciliana in gennaio: l'insurrezione portò l'isola all'indipendenza dal Regno di Napoli e costrinse i Borbone a concedere una Costituzione. L esempio fu a breve seguito da Carlo Alberto di Savoia e da Leopoldo II di Toscana, i quali concessero anch essi una Costituzione (quella piemontese fu chiamata Statuto Albertino ). La rivoluzione che accese il continente fu però quella di Parigi (22-24 febbraio) che in seguito si propagò a tutta Europa. In marzo rivolte contro i regimi autoritari scoppiarono infatti anche a Berlino, Budapest, Praga, Vienna e nelle maggiori città europee. In Italia la prima città del nord ad insorgere fu Venezia che, il 17 marzo 1848, cacciò i soldati austriaci proclamando la rinata Repubblica di San Marco. A capo furono messi Daniel Manin e Niccolò Tommaseo, prigionieri politici liberati in quell occasione. Il 18 marzo a sollevarsi fu Milano guidata dal patriota Carlo Cattaneo: durante cinque giornate (le famose Cinque giornate di Milano ) la popolazione insorse contro gli austriaci, combattendo strada per strada e innalzando barricate. Gli scontri in città proseguirono sino al 23 marzo quando i soldati austriaci, nel timore di rimanere tagliati fuori dalle vie di rifornimento, iniziarono una ritirata verso le cosiddette fortezze del quadrilatero (Mantova, Peschiera, Verona e Legnago). Li guidava il maresciallo Josef Radetzky, comandante militare del Lombardo Veneto. Lo stesso 23 marzo Carlo Alberto di Savoia, re di Sardegna, accolse gli inviti dei patrioti lombardi e, alla guida di uomini, scese in guerra contro l'austria: iniziò così la Prima Guerra di Indipendenza. A lui si unirono contingenti di volontari guidati da Giuseppe Garibaldi, soldati inviati dalla Toscana, dal Papa e dal Regno di Napoli. Inizialmente la guerra fu favorevole alle truppe guidate da Carlo Alberto che vinsero scontri però non decisivi a Pastrengo, Goito, Curtatone e Montanara. Questi successi preoccuparono però gli altri Stati italiani che iniziarono a sospettare che i piemontesi volessero solo annettere la Lombardia. Fu così che, a causa di dissapori interni, la maggior parte dei sovrani italiani ritirò il proprio appoggio all'impresa, lasciando il solo regno di Sardegna a combattere contro l'austria. L esercito di Radetzky, dopo aver ottenuto forti rinforzi, sconfisse i piemontesi a Custoza il 25 luglio 1848 costringendo Carlo Alberto a firmare un armistizio il 9 agosto a Vigevano (esso passò alla storia con il nome di armistizio di Salasco, dal nome del generale piemontese che lo firmò). Carlo Alberto di Savoia La famosa Marcia di Radetzky è una marcia militare, opera di Johann Strauss padre. Fu composta in onore del maresciallo Radetzky per celebrarne il ritorno a Milano dopo la vittoria sui moti rivoluzionari del in Italia. 4

6 QUELLA VOLTA IN CUI SUCCESSE UN 48 Nell inverno del 1848, mentre nel Sud i Borbone sopprimevano la rivolta, a Roma fu proclamata la Repubblica: Papa Pio IX venne cacciato il 24 novembre 1848, tacciato di aver tradito la causa italiana ritirando gli aiuti inviati a Carlo Alberto. Il governo della città fu affidato ad un triumvirato composto da Mazzini, Saffi ed Armellini; della difesa fu invece incaricato Giuseppe Garibaldi. Roma resistette per mesi all assedio delle truppe pontificie, rinforzate da soldati francesi e da contingenti borbonici. Fu in questa circostanza che morì il giovane Goffredo Mameli, autore dell inno d Italia Il canto degli italiani. Nella primavera del 1849 Carlo Alberto ruppe la tregua firmata un anno prima e attaccò di nuovo l Austria: il 23 marzo fu però pesantemente sconfitto a Novara e nella successiva pace di Milano, lasciò il trono al figlio Vittorio Emanuele II. La Repubblica Romana, dopo eroici scontri, fu invece costretta alla resa il 2 luglio. Garibaldi, con la moglie Anita e alla testa di volontari, attraversando gli Appennini, si diresse da Roma verso Venezia, ultima città che ancora combatteva per l indipendenza. Prima di potervi giungere però, inseguito dagli eserciti austriaco, francese e pontificio, Garibaldi e i pochi volontari rimasti furono intercettati presso le valli di Ravenna. Anita, febbricitante e incinta, morì tra le braccia del marito in un casolare. Garibaldi non ebbe neanche il tempo di seppellire la moglie a causa dell arrivo delle truppe austriache. Sfuggito miracolosamente all arresto, riuscì a giungere in Liguria, dove si imbarcò per gli Stati Uniti. Dopo una lunghissima resistenza, ultima tra tutte le città italiane, anche Venezia, bombardata e stremata dalla fame e da un'epidemia di colera, dovette arrendersi, sottoscrivendo la resa il 23 agosto Goffredo Mameli Goffredo Mameli nacque a Genova il 5 settembre Studente e poeta di sentimenti liberali e repubblicani, aderì al mazzinianesimo nel 1847, anno in cui compose Il Canto degli Italiani, futuro inno d Italia. Da quel momento la vita del poetasoldato sarà dedicata interamente alla causa italiana: nel marzo del 1848, a capo di 300 volontari, raggiunse Milano insorta, per poi combattere gli Austriaci sul Mincio col grado di capitano dei bersaglieri. Dopo l'armistizio di Salasco tornò a Genova e collaborò con Garibaldi; in novembre raggiunse Roma dove il 9 febbraio 1849 venne proclamata la Repubblica. Nonostante la febbre, fu sempre in prima linea nella difesa della città assediata dai Francesi. Nei combattimenti del 3 giugno, fuori Porta San Pancrazio, Mameli, allora aiutante di campo di Garibaldi, venne ferito alla gamba sinistra durante un assalto alla baionetta. Fu il suo stesso compagno, un bersagliere della legione Manara, a colpirlo involontariamente nel trambusto dell'attacco. La ferita sembrava leggera, ma subentrò un'infezione che aggravò l'infermità del malato. Il 10 giugno "in vista della bravura e coraggio mostrate nel fatto d'armi del 3 giugno" Mameli fu promosso al grado di capitano dello stato maggiore. Le sue condizioni però peggiorarono: per evitare la cancrena il giorno 3 gli venne amputata la gamba, ma il 6 giugno alle 7 e mezzo, a soli 22 anni, Goffredo Mameli morì. 5

7 ERAN TRECENTO ERAN GIOVANI E FORTI Carlo Pisacane nacque a Napoli il 22 agosto 1818, da una nobile famiglia che lo avviò alla carriera militare. Pur non essendo un mazziniano puro strinse un solido rapporto con Giuseppe Mazzini. I due concordavano sulla necessità di promuovere azioni militari che, facendo leva sul malessere dei contadini, potessero far scoccare la scintilla rivoluzionaria. Nel 1857 Pisacane come meta della spedizione scelse il Cilento, precisamente la zona di Sapri (provincia di Salerno). Era un territorio arretrato e oppresso dal punto di vista economico e politico: la speranza di Pisacane era quindi che le masse contadine si sarebbero accese e unite a lui al grido di rivolta. Il 25 giugno Pisacane s imbarcò a Genova sul piroscafo Cagliari diretto a Tunisi: ad accompagnarlo c erano 24 patrioti. Impossessatosi della nave e di un carico di fucili e munizioni presenti a bordo, Pisacane fece rotta verso l isola di Ponza allo scopo di liberare i detenuti politici presenti nel locale carcere borbonico. L azione fu condotta velocemente e la guarnigione si arrese senza reagire. Pisacane e i suoi requisirono altre armi e liberarono 323 detenuti, gran parte dei quali però delinquenti comuni poco interessati alla spedizione: solo una trentina erano infatti gli oppositori politici. Il piroscafo dei trecento giunse a Sapri la sera del 28 giugno, quando le autorità di Gaeta erano già state avvertite dei fatti di Ponza. Dopo lo sbarco a Sapri, Pisacane e i suoi, contrariamente alle previsioni, non si trovarono di fronte masse esultanti pronte a seguire la rivolta, ma una popolazione ostile: le autorità borboniche avevano astutamente diffuso la notizia che si trattava di una banda di ergastolani senza scrupoli, nemici di Dio, pronti a rubare e saccheggiare ogni bene. La situazione volse ben presto al peggio ed il grido Viva l Italia, Viva la Repubblica lanciato dai patrioti non riuscì a fare seguaci. Carlo Pisacane Pisacane decise di puntare su Padula dove il 1 luglio vi fu un primo scontro con i soldati borbonici: più di 50 patrioti rimasero uccisi, mentre gli altri decisero di ripiegare. Presso il paese di Sanza finirono però accerchiati da masse popolari inferocite, armate di forconi e ogni genere di arma, che aiutarono i soldati nella repressione. Molti patrioti furono massacrati da quegli stessi uomini che credevano avrebbero combattuto dalla loro parte. Pisacane, affranto da quella situazione paradossale e ormai consapevole della sconfitta, rivolta la pistola su se stesso si suicidò, imitato dal patriota Falcone. Il suo sogno di una grande insurrezione contadina che doveva giungere fino alla liberazione di Napoli svanì miseramente nel sangue. Alla fine del 1857 Luigi Mercantini dedicò a questa sfortunata spedizione un famosa poesia La spigolatrice di Sapri, studiata a scuola da generazioni di italiani: Eran trecento, eran giovani e forti, e sono morti! Me ne andavo un mattino a spigolare quando ho visto una barca in mezzo al mare: era una barca che andava a vapore, e alzava una bandiera tricolore.. 6

8 LA SECONDA GUERRA DI INDIPENDENZA (26 aprile-12 luglio 1859) Nel 1852 Camillo Benso conte di Cavour fu eletto primo ministro del Regno di Sardegna, dando avvio ad uno sviluppo economico e istituzionale del paese. In politica estera Cavour si rese conto che senza l'appoggio di una potenza straniera, l'impero asburgico non avrebbe mai potuto essere sconfitto. Negli anni cinquanta, dopo intense trattative, riuscì a finalmente a stringere i primi contatti con l imperatore francese Napoleone III e a tal fine utilizzò come sua ambasciatrice una delle donne più belle del tempo, la contessa di Castiglione, di cui Napoleone III ben presto si invaghì. Cavour formalizzò l'alleanza antiaustriaca con Francia in un incontro segreto a Plombieres (21 luglio 1858): il trattato era di tipo difensiva e prevedeva l'intervento francese a fianco dei Savoia, solo se questi ultimi fossero stati attaccati prima dall Austria. In caso di vittoria, l Italia sarebbe stata divisa in 4 blocchi: al Regno di Sardegna sarebbero spettati il Lombardo-Veneto, i ducati di Parma, Modena e l Emilia; il centro Italia (Toscana, Marche e Umbria) sarebbe stato guidato da un principe francese; Roma ed il Lazio sarebbero andati al Papa; il Sud sarebbe rimasto sotto i Borbone; alla Francia in cambio sarebbero andate la regione della Savoia e Nizza (appartenenti al Piemonte). Napoleone III, imperatore di Francia Era evidente che questo trattato non mirava all unità della penisola, ma solo ad eliminare la presenza austriaca in Italia, allargando i domini di casa Savoia. Ottenuto l alleato che voleva, Cavour cercò di far scoppiare la guerra con l Austria, in modo che fosse quest ultima a dichiararla per prima. Il ministro piemontese iniziò quindi una serie di provocazioni: fece spostare truppe lungo il confine simulando esercitazioni militari; affidò a Garibaldi il compito di organizzare un corpo di volontari, i Cacciatori delle Alpi, consentendo anche l'arruolamento di fuoriusciti dal Lombardo- Veneto; finanziò monumenti in ricordo dei patrioti morti a Milano e Venezia nel L'Austria, che non conosceva l esistenza degli accordi di Plombieres, alla fine cadde nella trappola e fece giungere un ultimatum a Torino chiedendo il disarmo immediato del Regno di Sardegna: ciò equivaleva ad una dichiarazione di guerra e l alleanza con Napoleone III poteva quindi diventare operativa. Il 26 aprile 1859 iniziò così la Seconda Guerra di Indipendenza. Nel mese successivo gli eserciti franco-piemontesi, guidati da Napoleone III, sconfissero ripetutamente gli Austriaci nelle battaglie di Palestro, Magenta, Solferino e San Martino, liberando ben presto la Lombardia. Mentre l'italia settentrionale era impegnata nelle vittoriose operazioni di guerra, nell'italia centrale si riaccendeva però la miccia delle rivoluzioni democratiche. In Toscana, a Parma, a Modena, nelle Legazioni pontificie si formarono governi provvisori che chiedevano a Vittorio Emanuele II l annessione al suo regno. Gli accordi di Plombières però impedivano al re sabaudo di accettare l offerta. La situazione di fermento in Italia preoccupò a tal punto Napoleone III da spingerlo ad una precoce, e, sul piano militare immotivata, fine della guerra contro l'austria, con la quale si affrettò a firmare l'armistizio di Villafranca (11-12 luglio 1859). 7

9 L'armistizio di Villafranca e i preliminari di pace, discussi all'insaputa dei Piemontesi, prevedevano che l'austria cedesse la Lombardia (con l'esclusione di Mantova e Peschiera) a Napoleone III che a sua volta l avrebbe consegnata al Piemonte; il Veneto sarebbe rimasto all'austria e la Francia avrebbe garantito il ritorno delle antiche dinastie regnanti in Italia centrale; la Francia, infine, avrebbe rinunciato a pretendere Nizza e la Savoia, non essendo stati rispettati pienamente gli accordi di Plombieres. Con questo accordo Napoleone III rispondeva alle proteste che l'opinione pubblica cattolica aveva levato in Francia contro di lui, temendo per l'incolumità dello Stato Pontificio; egli tentava inoltre di bloccare il processo unitario italiano che non rientrava negli interessi francesi. Nonostante gli accordi di Villafranca, la rivoluzione nazionale italiana però non si fermò. I governi provvisori formatisi nell Italia centrale infatti resistettero, forti dell'iniziativa e del sostegno popolare che li sorreggeva. La presenza e lo stimolo di Mazzini, l'abilità militare di Garibaldi in ciò si rivelarono essenziali. Moderati e democratici costituirono un fronte comune di difesa dei territori liberati, decisi a portare fino in fondo l'unità d'italia. Le decisioni di Villafranca si rivelarono quindi inattuabili e anche in questo caso l'abilità politica di Cavour fu determinante. Egli infatti riuscì ad ottenere da Napoleone il consenso alle annessioni al Regno di Sardegna dei Ducati di Modena e di Parma, del Granducato di Toscana, e delle Legazioni pontificie (i plebisciti si svolsero l'11 e il 12 marzo 1860); in cambio Nizza e la Savoia furono cedute alla Francia con plebiscito del 15 aprile L'Italia centrale e l'italia settentrionale erano così unificate in un solo regno: il Triveneto (ancora sotto il dominio austriaco), lo Stato Pontificio (retto da Papa Pio IX) e l'italia Meridionale (sotto Francesco II di Borbone) costituivano gli obiettivi che si dovevano ancora raggiungere per ottenere l effettiva unità politica della penisola. 8

10 LA SPEDIZIONE DEI MILLE: DIARIO DI BORDO DI G. GARIBALDI (liberamente scritto da noi ma basato su fatti veri) 6 maggio 1860, ore Oggi sono molto contento: ieri sera mi sono imbarcato con più di mille giovani pronti ad aiutarmi in questa spedizione. Centocinquanta di loro indossavano la camicia rossa: che spettacolo! Da poche ore siamo partiti da Quarto, diretti verso il Regno delle due Sicilie. Abbiamo impiegato tutta la notte per far salire a bordo delle navi i volontari: a me è stato affidato il comando dell equipaggio del Piemonte, mentre al mio caro amico Bixio è stato assegnato il Lombardo. Purtroppo non abbiamo ricevuto ufficialmente l appoggio dei Savoia. Abbiamo aspettato per ore le piccole barche che contenevano le nostre armi e provvigioni: dovevano raggiungerci nel porto a metà notte, ma cerca di qua, cerca di là, non è stato possibile trovarle. Ho deciso tuttavia di partire ugualmente pur sapendo che questa spedizione per me, e per i miei uomini, potrebbe essere l ultima. Il mio pensiero più grande ora è questo: Come procurami un po di armi? Come rifornire i miei soldati? Non lo so, ma il destino mi aiuterà. Intanto ho dato ordine di navigare verso le coste della Toscana. Stiamo osservando l alba di un Italia ahimè per ora ancora disgregata. 8 maggio 1860, ore Sono sorpreso di me stesso: ho scoperto di avere un potere persuasivo non solo sui miei uomini: ieri sono sbarcato a Talamone e ho convinto il capitano De Labar a consegnarmi le armi presenti nella fortezza. Gli ho consegnato un biglietto che diceva Aiutateci con tutti i vostri mezzi per la spedizione che intraprendo per la gloria del nostro re Vittorio Emanuele II. Quello che mi è stato consegnato non è molto, ma è meglio di nulla. Così finalmente abbiamo potuto imbarcare carbone per il viaggio e armi per la guerra. La spedizione dei Mille 12 maggio 1860, ore All alba dell 11 maggio siamo arrivati in vista delle coste siciliane, di fronte Marsala. Col cannocchiale ho subito avvistato due navi ormeggiate e, non sapendo da dove venissero, ho temuto fossero borboniche; un peschereccio del posto poco dopo mi ha detto per fortuna che erano inglesi. Ahimè, mentre ci stavamo avvicinando al porto, sono comparse davvero due navi nemiche che hanno cominciato a cannoneggiarci. Siamo riusciti comunque a sbarcare tutti, sani e salvi. 9

11 Scesi a Marsala, un gruppo dei miei garibaldini si è impadronito dell ufficio telegrafico: l impiegato borbonico, fuggendo, aveva lasciato scritto sopra un foglietto l ultimo messaggio che aveva spedito a Palermo: Due vapori sardi sbarcano gente. La risposta da Palermo era stata immediata: Quanti sono? Cosa vogliono?. Uno dei miei uomini astutamente ha telegrafato la frase: Perdonatemi comandante, mi sono sbagliato, i legni sbarcano zolfo. La risposta immediata da Palermo è stata Imbecille. Letto il messaggio, siamo scoppiati a ridere, ma solo per poco: eravamo all inizio della nostra impresa e nessun siciliano sembrava volersi schierare con noi. E pensare che mi avevano assicurato l appoggio di migliaia di rivoltosi! 24 maggio 1860, ore Usciti da Marsala, avevo deciso di raggiungere subito Palermo: volevo cercare di conseguire una vittoria di prestigio, indispensabile affinché il popolo si schierasse con me. Era il 15 maggio e lungo il tragitto, a Calatafimi, abbiamo trovato schierate le forze nemiche di fanteria, artiglieria e cavalleria, al comando del generale Landi. Erano quasi 4000 soldati perfettamente armati; i miei Mille, per metà soldati improvvisati, avevano invece fucili che per lo più non funzionavano e servivano solo a portare la baionetta. Subito ho fatto occupare l altura di Monte Pietralunga in modo da organizzare un attacco ordinato. Erano le 11 di una mattina soleggiata. Ho ordinato di non sparare se non quando il nemico fosse vicino, visto che avevamo poche munizioni. I miei uomini però, dopo i primi spari dei borbonici, sono partiti all attacco senza ascoltarmi e mi è rimasta una sola cosa da fare: seguirli! La battaglia è stata dura e sotto un sole cocente: Il nemico si era schierato sopra il colle Pianto Romano, difeso da una serie di terrazzamenti che avremmo dovuto conquistare uno ad uno. Ricordo che ad un certo punto della battaglia Bixio, alla vista dei Mille stanchi e decimati, mi ha suggerito di ordinare la ritirata, ma io gli ho risposto: Qui si fa l Italia o si muore!. D altronde dove avremmo potuto fuggire? L unica via di scampo per noi era combattere. Sguainata la sciabola ho pertanto detto ai miei uomini: Ancora quest assalto, figlioli, pochi minuti di riposo, poi tutti insieme alla carica. Ci siamo quindi lanciati all attacco, chi sparando, chi all arma bianca, chi usando perfino le pietre. Verso le 16, le trombe dei borbonici hanno suonato la ritirata e quasi non ci credevamo! Vittoria! Vittoria! Vittoria! Quel giorno ci siamo aperti la strada per Palermo. Partiti da Calatafimi il 17 maggio, siamo poi giunti a Partinico, a 18 chilometri dalla capitale. Ora, mentre fumo il mio solito mezzo sigaro, sto pensando alla prossima mossa da fare. Ho già un piano in mente: farò partire alcuni uomini verso Corleone per creare un diversivo; gli altri garibaldini li seguiranno, ma dopo poco svolteranno verso i boschi di Santa Cristina, nascondendosi lì. Spero che i soldati borbonici che ci stanno marciando contro cadano nel mio tranello e proseguano anch essi verso Corleone: così dovremmo arrivare a pochi chilometri da Palermo sorprendendo il nemico. Lo sbarco a Marsala 31 maggio 1860, ore O a Palermo o all inferno! : queste sono state le parole che Bixio mi ha detto una mattina. Ecco il motivo per cui siamo giunti fino a qui: unire l Italia e liberare il Sud dalla tirannia di Francesco II di Borbone. E stato così che, con molta più forza in spirito di prima, ho preso in mano la spada e ho incitato i miei figlioli a prepararsi alla battaglia. 10

12 Il 27, dopo un cruento scontro, siamo entrati a Palermo e a poco a poco, strada per strada, Palermo sta diventando nostra. Mancano ancora poche zone, ma noi tutti speriamo (e nei nostri cuori sappiamo) che ne diventeremo padroni. Se mi fermo a riflettere, mi rendo conto che non è facile vedere così tanti ragazzi morire in nome della libertà della propria Patria. Sono fortunato a guidare una tale gioventù: dedicherò a loro questa vittoria. Quanto dolore nel vedere però oltre 700 dei miei uomini morti in quello scontro! Quanto giovane sangue versato per la patria! E stata una delle battaglie più sanguinose a cui abbia mai partecipato. Ora la Sicilia è completamente libera e anche Messina è nostra. Adesso dobbiamo pianificare lo sbarco nel continente. Non sarà facile. 12 giugno 1860, ore Finalmente, dopo 6 giorni di armistizio, il 6 giugno ci siamo accordati col nemico asserragliato nella fortezza: Palermo è nostra. I borbonici hanno sgomberato la città, con l onore delle armi e si sono imbarcati per Napoli. E stata un impresa epica e incredibile: Palermo, difesa da quasi soldati è nostra! W l Italia! W gli italiani. In questi giorni sono sbarcate alcune centinaia di volontari dal Piemonte e ho la certezza che ne arriveranno altri. Abbiamo alloggiato in città ed il popolo ci ha procurato nuove camicie rosse, abiti e calzature. Le monache di Palermo hanno perfino confezionato una enorme statua di zucchero che mi raffigura! La gente qui è contenta e gentile con noi: ci considera dei liberatori, dei salvatori. Sono felice di aver fatto tutto questo: ma la mia missione non è finita. Con i rinforzi ora siamo più di quattromila uomini, ma abbiamo ancora molta strada da fare. 30 luglio 1860, ore La mia previsione era esatta! Il 14 luglio sono sbarcati duemila uomini guidati dal mio amico Medici. Ci hanno aiutato davvero molto e, uniti a loro, i miei soldati hanno combattuto felicemente a Trapani, Girgenti, Caltanissetta e Catania. Per occupare davvero la Sicilia però abbiamo dovuto conquistare Milazzo, difesa da borbonici. La città è caduta nelle nostre mani il 24 luglio: ricordo che per riuscire a vedere meglio la posizione dei nemici sono salito sull'albero maestro di un bastimento fermo al porto. 8 settembre 1860, ore Dopo la Sicilia, ci rimaneva il resto del Sud Italia ed il napoletano da liberare, e poi e poi chissà marciare magari verso lo Stato Romano e toglierlo al Papa, marciare contro Venezia e liberarla dall Austria. Che giorni di grandi speranze erano quelli! Che entusiasmo avevamo! Nulla ci sembrava impossibile. Ricordo che con queste intenzioni a fine luglio ho spostato il mio quartier generale a Punta di Faro, a Messina. Passare lo stretto non era facile, perché il mare era ben difeso dalla flotta borbonica. Così la notte del 19 agosto, a luci spente, con un migliaio di soldati ci siamo imbarcati sul Torino e sul Franklin, che ci hanno portato verso Melito di Calabria. Durante la traversata il Franklin ha imbarcato acqua, ma non mi sono perso d animo e ho ordinato ad alcuni uomini di risolvere il tutto. Era l alba del 20 agosto quando ci siamo avvicinati a Melito: purtroppo il Torino si è arenato e non è stato possibile farlo muovere. Così lo abbiamo dovuto abbandonare. Sbarcati, abbiamo marciato verso Reggio Calabria liberando la città dai borbonici. 11

13 Da quel momento abbiamo risalito la penisola velocemente, riportando continue vittorie. Di marcia in marcia siamo quindi arrivati non lontani da Napoli, pronti all ultimo scontro. La sera del 5 settembre re Francesco II, per ragioni di sicurezza, aveva deciso di lasciare la città partenopea. Io ho perciò affrettato l avanzata e, giunto a Vietri, ho preso il treno per Napoli. Il popolo intanto attendeva con ansia il mio arrivo. Sono entrato in città il 7 settembre: con me c erano solo con una decina di ufficiali, mentre i miei soldati era lontani da Napoli una trentina di chilometri. Dicembre 1860, ore La battaglia del Volturno del 1 settembre è stata davvero cruenta e dura: eravamo in contro quasi nemici...ma alla fine abbiamo vinto! Posso dire di essere in vita grazie alla mia buona stella che mi ha fatto balzare a terra durante una scarica di fucilate contro la mia carrozza. In questi mesi molti hanno detto che sono quasi un mago o un santo, perché quello che ho fatto sembra impossibile. In realtà non sono altro che un uomo innamorato della mia Italia e l amore per la patria è ciò che mi ha fatto compiere tanti prodigi. L entrata di Garibaldi a Napoli Il 26 ottobre, presso Teano, ho incontrato Vittorio Emanuele II, sceso con l esercito piemontese dal Nord. Lungo il tragitto ha occupato Marche e Umbria, sconfiggendo le truppe del Papa a Castelfidardo. Ricordo che eravamo entrambi a cavallo, e quando l ho visto, avvicinandomi ho detto ad alta voce: Salute al re d Italia!. Quel grido esprimeva tutta la mia devozione nei suoi confronti: è stato lì che gli ho subito ceduto le mie conquiste. Ci siamo stretti la mano e, poco dopo, ci siamo separati. Il 7 novembre siamo entrati assieme a Napoli ed il popolo era entusiasta e applaudiva. All alba del 9 novembre, conclusa la mia missione, ho preso le poche cose che mi servivano e sono partito verso la mia Caprera: ora non esistono più né il Regno di Sardegna, né il Regno dei Borbone; esiste un solo e unico Stato chiamato Italia la Nostra Italia = I garibaldini partiti da Quarto, allora sobborgo di Genova = I garibaldini ripartiti dopo lo scalo a Talamone, città della Toscana. 240 = la stazza dei due piroscafi mercantili Lombardo e Piemonte. Erano imbarcazioni a vela e a vapore ed erano lunghi 50 metri. 800 circa = I volontari imbarcati sul piroscafo Lombardo 300 circa = I garibaldini imbarcati sul piroscafo Piemonte 230 = Erano i fucili a disposizione alla partenza. A ogni garibaldino furono distribuite 20 cartucce, preparate durante la traversata. 70 = Erano gli anni del più anziano tra i Mille,Tommaso Parodi 11 = Erano gli anni del più giovane, Giuseppe Marchetti di Chioggia, imbarcatosi con il padre Luigi. 1 = Una donna fece parte della spedizione (talvolta in abiti maschili): era Rosalia Montmasson, moglie di Francesco Crispi, futuro capo del governo italiano. 17 marzo 1861: nasce il Regno d Italia 12

14 GARIBALDI FU FERITO, FU FERITO AD UNA GAMBA Il 17 marzo 1861 fu proclamata ufficialmente la nascita del Regno d Italia, con a capo Vittorio Emanuele II e capitale Torino. Non tutto però era stato portato a termine. Il Lazio e Roma rimanevano sotto il controllo del Papa, mentre Veneto e Trentino erano territori ancora austriaci. Quando nel 1862, a fine giugno, Giuseppe Garibaldi ricomparve in Sicilia, l entusiasmo della popolazione si scatenò: sembrava di esser tornati ai tempi della Spedizione dei Mille. L obiettivo del Generale stavolta era liberare Roma dal Papa e dai francesi che la difendevano. Quando a Marsala invitò il popolo a seguirlo, questi rispose in coro O Roma o morte, grido che divenne il motto di tutti i suoi successivi discorsi. Numerosi volontari affluirono in quei giorni a Palermo e le autorità piemontesi ambiguamente non intervennero per fermarli. Ciò convinse Garibaldi che il re era dalla sua parte, pur non potendolo appoggiare apertamente. Da Catania, con 4000 volontari, Garibaldi si imbarcò su due piroscafi, sbarcando in Calabria e dirigendosi verso Reggio Calabria. Sotto la minaccia di un intervento militare francese a difesa di Roma, Vittorio Emanuele aveva però intanto ordinato all esercito regolare di fermare Garibaldi. Questi intanto si era rifugiato sulle alture dell Aspromonte. Senza viveri e con i volontari ridotti a 1500 uomini, fu intercettato da 3500 bersaglieri guidati dal generale Pallavicini. Lo scontro avvenne la mattina del 29 agosto Garibaldi fece arretrare i suoi uomini con l ordine preciso di non sparare: non voleva infatti spargimenti di sangue tra italiani. Si mise poi davanti ai suoi soldati in bella vista, confidando che i bersaglieri non avrebbero fatto fuoco su di lui e magari si sarebbero uniti alla sua causa. Giunto a 200 metri però l Esercito Regio ricevette l ordine di sparare. Garibaldi venne colpito alla coscia sinistra e al malleolo del piede destro. Caduto il generale, i volontari si ritrassero nella foresta retrostante, mentre i loro ufficiali corsero attorno al ferito. Anche i bersaglieri cessarono gli spari. Lo scontro era durato una decina di minuti, abbastanza per causare la morte di sette garibaldini e cinque regolari. Alcuni bersaglieri che avevano lasciato le proprie posizioni per raggiungere le file dei garibaldini, vennero in seguito arrestati e fucilati. Garibaldi, appoggiato ad un pino, (ancor oggi esistente), con in bocca un mezzo sigaro toscano, venne soccorso da tre chirurghi aggregati ai volontari. L'episodio della ferita di Garibaldi sarà ricordato in una celebre ballata cantata su un ritmo di marcia dei bersaglieri. Poco dopo sopraggiunse dalle linee dell Esercito Regio il tenente Rotondo a cavallo che, senza salutarlo, intimò a Garibaldi la resa. Garibaldi lo rimproverò e lo fece disarmare. Intervenne allora il comandante Pallavicini che, sceso da cavallo, e parlandogli all'orecchio con la dovuta cortesia, ripeté la richiesta. Il Generale annuì e venne arrestato. Adagiato su una barella di fortuna fu poi trasportato a braccia a Scilla dove fu imbarcato. Il 2 settembre, giunto nel porto militare di La Spezia, Garibaldi fu destinato al Varignano, un carcere che allora ospitava 250 condannati ai lavori forzati. In tutta Italia, alla notizia del suo arresto, scoppiarono grandi proteste contro i Savoia, considerati ingrati traditori e succubi della Francia. Lo stivale destro di Garibaldi forato dal proiettile Il 5 ottobre 1862 Garibaldi, ancora dolorante per le ferite, ricevette l'amnistia e poté rientrare a Caprera. La pallottola venne estratta solo il 23 novembre, evitando così l amputazione della gamba che a molti chirurghi sembrava ormai inevitabile per scongiurare la cancrena. 13

15 LA III GUERRA DI INDIPENDENZA E LA LIBERAZIONE DEL VENETO L 8 aprile del 1866 Italia e Prussia stipularono un trattato di alleanza in previsione di una guerra contro l Austria: in caso di vittoria lo stato italiano avrebbe ottenuto il Veneto ed il Friuli. Il 16 giugno del 1866 iniziò il conflitto, che passò alla storia come Terza Guerra di Indipendenza. Sul campo di battaglia l esercito italiano (di quasi soldati) superava di gran lunga quello austriaco. La campagna bellica fu suddivisa su tre fronti: il generale Cialdini avrebbe guidato l esercito principale di uomini, che sarebbe avanzato attraverso il Veneto; il generale La Marmora, con circa uomini, avrebbe invece mantenuto il controllo delle fortezze del Quadrilatero (Mantova, Legnago, Peschiera e Verona); la marina italiana, guidata dall'ammiraglio Persano, avrebbe dovuto attaccare la flotta nemica uscendo dal porto di Ancona; un corpo di volontari guidato da Garibaldi, rinforzato da una divisione, avrebbe dovuto penetrare a fondo in Trentino, avvicinandosi il più possibile a Trento. Risultati del plebiscito nelle Province Venete per l annessione al Regno d Italia Il 3 luglio Garibaldi, durante le operazioni in Trentino, conquistò in una cruenta battaglia il Monte Suello. Nei combattimenti il generale fu ferito alla coscia e, per tutto il resto della campagna militare, dovette guidare i suoi uomini da una carrozza. Il famoso telegramma Obbedisco A causa di gravi errori strategici e di rivalità interne, l esercito italiano subì una pesante sconfitta a Custoza (24 giugno); la flotta venne incredibilmente sbaragliata in una battaglia navale presso l isola di Lissa, nonostante il numero delle navi italiane fosse nettamente superiore. L unico a riuscire a tenere alto l onore dell Italia fu Garibaldi che, con i suoi volontari, sconfiggendo gli austriaci il 3 luglio, avanzò profondamente in Trentino. Nei giorni successi, il 21 luglio, vincendo a Bezzecca, si aprì la strada verso Trento, giungendo in vista delle sue mura. A seguito della vittoria prussiana sull Austria e del conseguente armistizio (9 agosto), la guerra fu improvvisamente interrotta: Vittorio Emanuele II fu quindi costretto ad ordinare a Garibaldi di lasciare il Trentino, in buona parte ormai occupato dalle sue camicie rosse. Garibaldi rispose a malincuore al re con un famoso telegramma, composto da un unica parola: Obbedisco. Il trattato di pace tra Prussia e Austria fu firmato a fine agosto, senza prendere però in considerazione il governo italiano, relegato in secondo piano dopo la pessima condotta militare. Il Veneto, in modo umiliante, fu ceduto dall Austria prima a Napoleone III (re di Francia) e questi provvide poi a trasferirlo all Italia. Il Trentino e la Venezia Giulia, compresa Trieste, rimasero invece sotto l impero austroungarico (bisognerà aspettare la Prima Guerra Mondiale per vedere anche questi territori annessi all Italia). 14

16 LA BATTAGLIA DI MENTANA 1867 ROMA CAPITALE D ITALIA, 1870 Il 14 ottobre del 1867 Garibaldi, ormai sessantenne e dolorante per l artrite, eludendo la sorveglianza della marina italiana, fuggì da Caprera per dirigersi in Toscana. Obiettivo era tentare nuovamente di conquistare Roma. La spedizione, che passerà alla storia col nome di Campagna dell'agro Romano, durerà circa 45 giorni. A fine ottobre Garibaldi raggiunse nel Lazio il figlio Menotti e 8000 volontari, puntando alla presa di Monterotondo, presidio pontificio. Il 28 ottobre, al termine di cruenti scontri tra garibaldini e pontifici, la cittadina fu occupata dai primi. Da Monterotondo Garibaldi si accostò più volte alla periferia di Roma sperando in un'insurrezione da parte della popolazione, ma ciò non avvenne. In quei giorni, a Villa Glori, ci fu l eroico sacrificio dei Fratelli Cairoli che, con 76 volontari, furono sopraffatti dalle truppe papaline. Garibaldi, valutata l'impossibilità di entrare a Roma, decise di puntare quindi su Tivoli per sciogliere i suoi volontari. Il 3 novembre 1867 però, presso Mentana, avvenne uno scontro tra 3000 soldati pontifici e quanti restavano dei garibaldini, ormai dimezzati dalle diserzioni. Durante la battaglia si unirono ai soldati papalini 2500 francesi, provenienti da Roma: erano armati con i nuovi fucili a retrocarica Chassepot capaci di sparare 12 colpi al minuto, un enormità per l epoca. I garibaldini di contro possedevano per due terzi fucili ad avancarica e per un terzo, addirittura, moschetti a pietra focaia. Soverchiato da truppe superiori, persa la sfortunata battaglia, Garibaldi con i suoi si ritirò dal Lazio. Roma rimaneva ancora sotto il Papa. Il 14 luglio 1870 la Francia di Napoleone III dichiarò guerra alla Prussia. Il conflitto si concluse il 4 settembre con la sconfitta della Francia che si proclamò Repubblica. Questo avvenimento politico aprì all'italia la strada per Roma, non più protetta dalle truppe francesi e dal loro re ormai decaduto. Lo Stato Italiano, il 5 settembre, organizzò un corpo di spedizione di soldati, guidati dal generale Raffaele Cadorna. L'esercito pontificio era costituito da circa militari di varie nazionalità. La mattina del 20 settembre l'artiglieria italiana era già posizionata fuori Roma. Intorno alle nove, fu aperto il fuoco e si creò una breccia di circa trenta metri nelle mura della città, accanto a Porta Pia. Da essa penetrarono due battaglioni, uno di fanteria, l'altro di bersaglieri, che occuparono in poco tempo la città. Nella presa di Roma morirono 49 soldati italiani e 19 pontifici. Papa Pio IX condannò aspramente quest atto che sanciva la fine del secolare dominio temporale della Chiesa. Egli si ritirò quindi in Vaticano, dichiarandosi "prigioniero" dello Stato Italiano fino alla morte. Enrico e Giovanni Cairoli L Italia nel

17 LA QUESTIONE ROMANA "Santo Padre, il potere temporale per voi non è più problema di indipendenza. Rinunciate ad esso e noi vi daremo quella libertà che avete invano chiesto da tre secoli a tutte le grandi potenze cattoliche...noi siamo pronti a proclamare per l'italia questo gran principio: libera Chiesa in libero Stato". (Marzo 1861, Discorso di Cavour alla Camera dei Deputati) Dopo la presa di Roma del 20 settembre 1870 e la conseguente perdita del potere temporale da parte del Papa, Stato e Chiesa iniziarono un rapporto conflittuale che passerà alla storia come Questione Romana. Proprio per risolvere la questione, il 13 maggio 1871, lo Stato italiano emanò la Legge delle Guarentigie che stabiliva precise garanzie per il Pontefice: al Papa venivano garantiti l inviolabilità della persona, gli onori sovrani, il diritto ad avere guardie armate a difesa del proprio territorio (nacque lo Stato del Vaticano composto dai palazzi del Vaticano, Laterano e Castel Gandolfo); essa inoltre regolava i rapporti tra Italia e Papato, assicurando l indipendenza di ambedue le parti e l extraterritorialità dello Stato del Vaticano. Le Guarentigie vennero però considerate dal Papa come atto unilaterale dello Stato Italiano e come tale vennero respinte dalla Chiesa: Pio IX aborrì categoricamente questa legge, definendola mostruoso prodotto della giurisprudenza rivoluzionaria ; rinunciò, inoltre, alla dotazione annua, fissata in lire Il 15 maggio il Papa emanò l enciclica Ubi nos, che ribadiva che il potere spirituale non poteva essere considerato disgiuntamente da quello temporale. All intransigenza di Pio IX, lo Stato rispose con altrettanta intransigenza: tutte le facoltà teologiche e i seminari furono sottoposti a controllo laico, minacciandone la soppressione. Dal 1871, sia Pio IX sia i suoi successori, non uscirono più dai Palazzi Vaticani in segno di protesta, cosa che si protrasse per quasi sessant'anni, fino alla stipula dei Patti Lateranensi nel Roma, 1874 Io, Giovanni Maria Mastai Ferretti, Pio IX, dato il deterioramento dei rapporti tra la Chiesa e lo Stato Italiano, emano il Non Expedit con il quale intimo a tutti i credenti cattolici di non partecipare alla vita politica italiana e alle future elezioni del Paese. In questo documento il divieto di prendere parte alla vita politica del Paese era motivato dal fatto che, partecipandovi, si riconosceva al nuovo Stato italiano una legittimità che il pontefice non ammetteva. Papa Pio IX 16

18 VITTORIO EMANUELE II, IL RE GALANTUOMO Vittorio Emanuele Maria Alberto Eugenio Ferdinando nacque a Torino il 14 marzo 1820, primogenito di Carlo Alberto di Savoia, re di Sardegna, e di Maria Teresa d'asburgo-toscana. Nel 1842 sposò la cugina Maria Adelaide di Asburgo-Lorena (che morì nel 1855). Salì al trono il 23 marzo 1849, in seguito all'abdicazione del padre, Carlo Alberto, avvenuta sul campo di battaglia di Novara dopo la sconfitta piemontese nella Prima Guerra di Indipendenza. Seppe difendere con caparbietà e fermezza lo Statuto Albertino e la bandiera tricolore contro le pretese dell Austria che ne chiedeva l abolizione. Si conquistò così il soprannome di «Re Galantuomo». Il 10 gennaio del 1859, con fierezza e coraggio, dichiarò in un famoso discorso alla Camera dei Deputati, di non essere insensibile al «grido di dolore» che da tante parti d Italia si levava verso di lui: era il preludio alla Seconda Guerra di Indipendenza contro l Impero Austroungarico. Il 17 marzo del 1861 fu proclamato primo re d'italia e Padre della Patria. Celebrato assieme a Garibaldi, Mazzini e Cavour come uno dei protagonisti del Risorgimento, Vittorio Emanuele II ha avuto senza dubbio un ruolo di primo piano nel processo di unificazione nazionale. Non fece mancare il suo contributo alla causa della libertà e dell indipendenza, distinguendosi sul campo di battaglia per determinazione e fermezza. Data la necessità di sopravanzare Garibaldi in popolarità, la storiografia ci ha trasmesso di lui l immagine di un sovrano valoroso e virtuoso. Vittorio Emanuele II morì il 9 gennaio 1878 nel Palazzo del Quirinale alle a 57 anni, 9 mesi e 26 giorni, dopo aver regnato 28 anni, 9 mesi e 18 giorni. Vittorio Emanuele II Vittorio Emanuele II era di certo coraggioso e intraprendente, ma anche guascone, sfacciato e imprudente; era generoso e di buona compagnia, ma anche intemperante e irascibile. All austera vita di corte e alle lunghe e impegnative riunioni politiche, preferiva le battute di caccia, il biliardo, i cavalli e gli incontri galanti. Le sue preferenze andavano verso donne semplici e di bassa estrazione e circolava tra il popolo il detto scherzoso che egli era "fin troppo il padre del suo popolo". Il 9 Novembre 1869 Vittorio Emanuele II sposò morganaticamente Rosa Vercellana Guerrieri, dal 1859 contessa di Mirafiori e di Fontanafredda (conosciuta popolarmente come la "la Bella Rosina"). Trasferitosi con la corte da Torino a Firenze nel 1864, si insediò nel 1870 nel Palazzo del Quirinale a Roma, dopo la fine dello Stato Pontificio. La sua «missione» si compì proprio nel 1870 con la presa di Roma. In quell occasione confidò a un suo ministro: «Non mi resta altro che spararmi un colpo di pistola; per gli anni che mi rimangono da vivere non ci sarà nient altro da prendere!». Il 9 gennaio alle 14:30 il Re morì per l aggravarsi di problemi respiratori. Vittorio Emanuele II aveva espresso il desiderio che il suo feretro fosse tumulato a Torino, nella Basilica di Superga; il figlio Umberto I però, su richiesta del Comune di Roma, approvò che la salma rimanesse in città, nel Pantheon. 17

19 Vittorio Emanuele II figlio di un macellaio? I rapporti degli insegnanti di Vittorio Emanuele contenevano frasi come "è sempre addormentato, lavora poco o nulla", "lavora con somma noia e indolenza", "un ora di lezione per lui non basta neanche per spiegargli la più semplice proposizione" Nel periodo che precedette la Seconda Guerra di Indipendenza, la scritta W Verdi era stato lo slogan delle insurrezioni antiaustriache nel nord Italia, da Milano a Venezia. I patrioti non volevano solo esaltare la figura di un grande musicista come Giuseppe Verdi, ma anche propagandare l'unità nazionale attraverso questo acronimo che stava a significare W Vittorio Emanuele Re D'Italia. Dopo la Spedizione dei Mille, il 7 novembre del 1860, Vittorio Emanuele II entrò a Napoli in carrozza insieme a Garibaldi. Quel giorno pioveva a dirotto e ciò provocò disastrosi effetti sugli archi di trionfo, i ritratti, le luminarie, i fuochi d'artificio. La pioggia inoltre fece colare dai tinti capelli di Vittorio Emanuele dei rivoli bluastri, che macchiarono visibilmente il viso e il colletto del Sovrano piemontese. Per celebrare il «Padre della Patria», nel 1880 il Comune di Roma bandì un progetto su volontà di Umberto I di Savoia. Ciò che venne costruito fu una delle più ardite opere architettoniche d'italia dell'800: per erigerlo, venne distrutta una parte della città, ancora medioevale e venne abbattuta la torre di papa Paolo III. L'edificio doveva ricordare il tempio di Atena Nike, ad Atene. Il Monumento nazionale a Vittorio Emanuele II, meglio conosciuto con il nome di Vittoriano, è situato a Roma, in piazza Venezia ed è anche chiamato Altare della Patria, da quando, al suo interno, è presente la tomba del Milite Ignoto. La sera del 16 settembre 1822 a Firenze, la nutrice di Vittorio Emanuele, Teresa Zanotti, essendosi accostata col lume in mano al suo lettino, appiccò inavvertitamente il fuoco alle tendine della culla. Le fiamme si diffusero con tanta rapidità che il bambino sarebbe morto se la donna non l avesse preso tra le braccia e portato al centro della camera, dove gli versò sopra dell acqua. Quest atto eroico salvò il bambino il quale non riportò che due scottature, una alla mano destra, l altra al fianco sinistro; ma il fuoco, appigliandosi alle vesti della nutrice, la ustionò così orribilmente che essa morì dopo 15 giorni. Secondo alcuni storici in realtà il bimbo bruciò vivo nel rogo della culla. Al dolore dei Savoia si unì subito la preoccupazione per le sorti della dinastia, cui si doveva assolutamente garantire un erede. Durante quella stessa notte, si dice che qualcuno bussò a casa di una coppia di macellai, i Tanaca, che abitavano di fronte a Palazzo Pitti. I due erano genitori di un bimbo nato nello stesso giorno in cui aveva visto la luce lo sfortunato Vittorio Emanuele, il 14 Marzo. Dopo l assicurazione che sarebbe stato trattato come un figlio, la sostituzione col principino defunto avvenne definitivamente. Ad oggi non esistono prove in grado di confermare questa suggestiva tesi. I sostenitori di questa ipotesi puntano molto sulle caratteristiche fisiche di Vittorio Emanuele II, oggettivamente diverse, se non opposte, a quelle di suo padre e dei suoi antenati, tutti longilinei, magri e di aspetto distinto; Vittorio Emanuele II, al contrario, era basso e brevilineo, grassoccio e piuttosto rozzo e grossolano nei modi. Il Vittoriano o Altare della Patria 18

20 GIUSEPPE MAZZINI Giuseppe Mazzini Nacque a Genova nel 1805 e studiò all'università, prima medicina e poi giurisprudenza, ma il suo spirito idealista gli fece abbandonare queste discipline. Divenne attivista della Carboneria nel 1827 diffondendola con successo in Liguria. Venne arrestato nel 1830 per cospirazione e fu costretto a scegliere tra il confino e l'esilio e scelse quest ultimo, rifugiandosi in Francia. A Marsiglia organizzò nel 1831 un nuovo movimento politico chiamato Giovine Italia. Il motto dell'associazione era Dio e popolo e il suo scopo era l'unione degli stati italiani in un'unica repubblica con un governo centrale: era questa secondo Mazzini la sola condizione possibile per la liberazione del popolo italiano dagli stranieri. L'obiettivo repubblicano e unitario avrebbe dovuto essere raggiunto attraverso un opera di educazione del popolo e con un'insurrezione popolare condotta attraverso una guerra per bande, senza l aiuto straniero. Nel 1834 fondò la "Giovine Europa" alla quale aderirono patrioti italiani, tedeschi, polacchi e svizzeri. Tutti i moti rivoluzionari mazziniani però fallirono per l incapacità di coinvolgere le masse (famoso fu il tentativo dei fratelli Bandiera, 1844). Tornato in Italia, nel 1849, durante la Prima Guerra di Indipendenza, divenne triumviro della Repubblica Romana insieme a Saffi e Armellini. Il problema dell'unità d'italia, secondo Mazzini, non doveva risolversi con l'espansionismo della monarchia piemontese, perciò entrò in contrasto con Garibaldi che, seppur repubblicano, scelse di appoggiare i Savoia, vedendo in essi l unica via realistica per giungere all unità. Braccato dalle polizie europee, Mazzini fu costretto di nuovo all'esilio in Francia, poi in Svizzera, infine in Gran Bretagna. Nel 1857 tornò a Genova per organizzare un moto, mentre in quell anno il disegno d'insurrezione nel Mezzogiorno, perseguito da Carlo Pisacane, naufragava a Sapri. Condannato a morte due volte in contumacia dai piemontesi (1833 e 1857), da Londra Mazzini avversò la soluzione diplomatica della questione italiana prospettata da Cavour. Giunto a Napoli nel 1860 sull'onda del successo della spedizione dei Mille, insistette inutilmente affinché Garibaldi trattasse alla pari con Vittorio Emanuele II l'annessione del Mezzogiorno. Ritiratosi a Lugano, poi a Londra, non riconobbe la soluzione monarchica del processo unitario, diffidò dei tentativi garibaldini su Roma (1862 e 1867) e si dedicò nuovamente alla cospirazione. La Falange sacra (1864) e l'alleanza repubblicana universale (1866) furono le ultime associazioni cui diede vita. Arrestato a Palermo nel 1870 mentre si apprestava a guidare un moto nell'isola, fu rinchiuso a Gaeta e poi amnistiato. Tornò quindi in esilio. Morì il 10 marzo 1872 a Pisa, sotto il falso nome di dottor Brown. Con la condanna a morte in contumacia, l imputato, pur non essendo presente al processo, veniva condannato a morte e quindi ricercato in tutto il territorio per essere arrestato. Fu la sorte che subirono decine di patrioti italiani tra cui Mazzini e Garibaldi. 19

21 LA SEGRETEZZA PRIMA DI TUTTO Al fine di evitare arresti e intercettazioni della polizia, gli affiliati della Giovine Italia e della Giovine Europa utilizzavano codici cifrati per comunicare tra di loro. Ecco alcuni esempi risalenti al periodo : Francesco Crispi a Nicola Fabrizi: Mio caro Nicola,. È necessario ch io sia chiamato a far la compra. Inoltre è necessario andarci quando non ci sarà dubbio su l esecuzione del contratto. Non ti dirò poi che ormai è a conoscenza di amici e nemici l ultima mia compra di agosto e che oggi bisogna fare in modo di non perdere il capitale. Mi intratterrò ancora teco di tale argomento dopo che avrò visto e parlato al signor Alawison. Stanislao è dolente del tuo silenzio. Nell ultima sua di Lugano, mi chiede il tuo indirizzo. Rosolino Pilo a Francesco Crispi: Credevo di trovarti in questa, secondo l avviso che desti allo zio, ma solamente ieri da Antonio seppi che ti trovi alla Mecca. nessuna tua partecipazione su tutt altro che riguardi la nostra famiglia. Con l ultimo postale avesti lettere? Hai scritto a Pippo con questo metodo che a me comunicasti? Francesco Crispi a Nicola Fabrizi: Se Serafino andò in 15, fu ad istanza del signor Alawinson, il quale capiva benissimo che era impossibile riunire nella 48 i 55 di 50 senza il permesso del 49 di 27. Era deciso poi che lo scopo a cui dovevano servire i 55 colà raccolti, non dovevamo saperlo che io, Alawinson, tu e un solo personaggio di 15. Bandiera della "Giovine Italia" del 1833 Decifrazione del linguaggio convenzionale: La casa Il ministero Il capo della casa Il presidente del consiglio Serafino Francesco Crispi Stanislao Lo zio Giuseppe Mazzini Pippo Antonio Antonio Mosto 50 Garibaldi 54 Piemonte Il contratto L insurrezione Alawinson Carlo Farini La Nostra Famiglia La Sicilia 15 Torino La Mecca Torino La Capitale La Vita 48 L Isola d Elba 55 Uomini 49 Governo 27 Toscana 51 Manfredo Fanti La Compra Il viaggio Comprare il grano Andare nel Napoletano Comprare l orzo Andare in Sicilia 20

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