Teoria della scelta: otto pezzi di media difficoltà

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1 1. L ordinamento di Pareto Teoria della scelta: otto pezzi di media difficoltà Giorgio Rampa, giorgio.rampa@unipv.it 3. Direttore d orchestra La scelta pubblica Il direttore d orchestra decide un interpretazione della partitura, impone tempi toni ed espressioni dei musicisti, e coordina gli ingressi di solisti e file Supponiamo che qualcuno voglia prendere decisioni che vadano a vantaggio dell intera società. Per società intenderemo un insieme dei soggetti coinvolti nel problema di scelta che di volta in volta considereremo: magari si tratterà, a fini esemplificativi, di soli due soggetti. Per il momento non ci preoccupiamo del problema (un macigno!) se la società sia qualcosa di diverso dall insieme degli individui considerati: si veda, su questo tema, ciò che avremo da dire nell ultima lezione. Il qualcuno che prende le decisioni è un soggetto individuale delegato, in modo che per il momento non indaghiamo, da tutti i partecipanti a perseguire il loro bene: una sorta di dittatore benevolente, un solista a cui interessa il bene di tutta l orchestra. Possiamo impostare questo problema come un problema standard di scelta? Dobbiamo definire, in primo luogo, l insieme di scelta e la relazione fra scelte e conseguenze. Per quanto riguarda l insieme di scelta, utilizzeremo per il momento una terminologia piuttosto astratta e generale: immaginiamo l esistenza di tante situazioni sociali alternative in cui sono coinvolti un numero dato di partecipanti, nel senso che il benessere di ciascuno varia in generale nel passare da una situazione ad un altra di quelle considerate. Potrebbe trattarsi di quanto produrre di certi beni che tutti possono consumare; o di come distribuire quantità di beni fra i diversi partecipanti; o di quale prezzo dovrebbe essere fissato per un certo bene. Chi decide sa che esistono dei vincoli: produrre beni implica uso di risorse; assegnare maggiori quantità di beni a qualcuno implica sottrarne ad altri; variare il prezzo implica che la domanda varierà. Supponiamo che chi decide conosca i vincoli cui deve sottostare, e conosca tutto ciò che occorre sapere per scegliere: non esiste cioè alcun problema informativo. Le conseguenze di ogni diversa situazione sociale sono che ogni singolo partecipante ottiene in quella situazione un certo risultato, e ognuno sa valutare l importanza per sé di ogni situazione. Supponiamo cioè che ognuno sappia ordinare, dal proprio punto di vista, le situazioni sociali; il proprio punto di vista non deve necessariamente includere il solo benessere personale, ma potrebbe anche tenere conto del benessere altrui. Ciò che conta è che ogni singolo partecipante, tra due situazioni sociali, sappia sempre dire quale preferisce. Il decisore sociale, in questo caso, deve dunque scegliere tra quelle disponibili la situazione migliore per la società, tenendo conto dei vincoli. Come potete capire, il punto delicato è quello di definire un ordinamento delle situazioni dal punto di vista della società. La prima cosa che viene in mente è che occorre fare una sintesi dei giudizi di tutti i partecipanti, e da ciò dedurre che l ordinamento sociale debba essere fondato su un confronto fra numeri: maggiore è il numero associato ad una certa situazione e migliore è quella situazione per la società. Se, le valutazioni che i singoli partecipanti danno di ogni situazione è di tipo numerico, si potrebbe pensare di sintetizzare le diverse valutazioni per mezzo di una somma o di qualche tipo di media. Questa procedura è quella che condurrebbe alla cosiddetta funzione del benessere sociale. Per esempio, il punto di vista tradizionale degli utilitaristi è che il benessere sociale si può misurare sommando le utilità individuali. 1

2 Ora, questo modo di procedere richiede due ipotesi parecchio impegnative: in primo luogo occorre che gli ordinamenti individuali siano trasformabili, tramite un teorema di rappresentazione, in ordinamenti numerici. Questo accade per esempio se ogni individuo è dotato di una funzione di utilità. Tuttavia questa possibilità non è necessariamente garantita, ed anzi in molti casi è poco realistica. In secondo luogo occorre che le eventuali rappresentazioni numeriche individuali siano tra loro confrontabili, in modo che le si possa sommare o mediare. Anche questo appare un assunto troppo restrittivo. Si sappia infatti che, pur ipotizzando che le preferenze individuali siano rappresentabili numericamente, in genere la rappresentazione numerica di ogni ordinamento individuale non è unica, e qualsiasi trasformazione crescente di quella rappresentazione è una rappresentazione altrettanto valida. Perde significato, dunque, il livello di utilità di ciascuno: la somma delle utilità individuali non avrebbe significato. Di fronte a tali difficoltà la teoria economica ha intrapreso nel novecento un percorso caratterizzato da un minore resistenza, e inizialmente suggerito da Vilfredo Pareto. In primo luogo non si presume che le preferenze individuali siano necessariamente rappresentate in modo numerico: basta che ogni individuo sappia dire, fra due situazioni qualsiasi, quale è quella preferita, e se al più le due sono equivalenti (indifferenza). Si adotta cioè una prospettiva ordinale, qualitativa, anziché una cardinale, numerica. Anche nel caso in cui le preferenze individuali fossero numeriche, però, l ordinamento sociale non è una sintesi numerica (media o somma) delle prime. Si parla infatti di ordinamento di Pareto, che è definito nel modo seguente: una situazione B è migliore, nel senso di Pareto, di una situazione A se nessun individuo preferisce la situazione A e almeno un individuo preferisce la situazione B. Un modo equivalente di esprimere tale ordinamento è dire che B è migliore nel senso di Pareto di A se in B nessun soggetto sta peggio che in A, e almeno un soggetto sta meglio. Vedete che l ordinamento di Pareto è in un certo senso poco impegnativo, nel senso che se anche due soli individui avessero giudizi opposti su due situazioni (uno preferisce la prima e l altro la seconda) quelle due situazioni non potrebbero essere ordinate nel senso di Pareto. Ci si rifiuta di dare pesi ai singoli individui (come si fa invece quando si definiscono somme o medie), e dunque non ci si impegna in un giudizio di preferenza sociale nel caso in cui diversi individui la pensino in modo diverso: se, dando giudizi su due situazioni A e B, accade questo diremo che A e B non sono confrontabili nel senso di Pareto. Per questa stessa ragione, naturalmente, il criterio di Pareto è anche un criterio debole : molte situazioni alternative non sono neppure confrontabili nel senso di Pareto, e quindi non sappiamo pronunciarci (in realtà perché non vogliamo farlo). Un ordinamento tale che di fronte a certe coppie di alternative non si può esprimere un giudizio di preferenza si dice incompleto. Ciò significa che è impossibile ottenere una rappresentazione numerica dell ordinamento. Un ordinamento potrebbe riferirsi a numeri ma essere tuttavia incompleto. Supponiamo che ogni individuo i esprima giudizi numerici tramite A, di conseguenza una propria funzione di utilità, cioè per ogni situazione A sa valutare U i ( ) di fronte a due situazioni A e B sa dire se U ( A) U ( B) 2 i i o viceversa. Mettendo in un unica ( ) [ ( ) ( ) ( )] 1, 2 K k lista, o vettore, tutte le valutazioni da parte di k individui di una certa situazione avremo U A = U A U A,, U A. Ogni situazione alternativa darebbe luogo a vettori U diversi, ciascuno composto da k numeri. È noto che l ordinamento adottato in algebra dei vettori è esso stesso un ordinamento incompleto: abbiamo infatti V U se (solo se) Vi U i, i con segno di maggiore in senso stretto per almeno un i. L ordinamento di Pareto, nell ipotesi di utilità individuali cardinali, non è altro che il tipico ordinamento su vettori numerici, applicato ai vettori delle utilità individuali. Infatti, date le precedenti definizioni, abbiamo B f P A U ( B) U ( A), dove f P è l ordinamento di Pareto: la sua incompletezza riguarda anche il caso di vettori di utilità numeriche.

3 Una volta noto cosa significa migliore nel senso di Pareto, potremo dire cosa significa ottimo nel senso di Pareto. Si tratta dell usuale nozione di massimale di un ordinamento (v. lezione 1). Una situazione Z è ottima nel senso di Pareto se tra quelle ammissibili non ne esiste un altra che sia migliore di Z nel senso di Pareto Notate le seguenti implicazioni: dire che B è migliore di A nel senso di Pareto non significa che B sia ottima: potrebbe esistere un altra situazione C migliore di B nel senso di Pareto due situazioni che siano entrambe ottime nel senso di Pareto non sono confrontabili secondo tale ordinamento un modo diverso di esprimere la nozione di ottimalità nel senso di Pareto è questa: non esiste un altra situazione in cui almeno un soggetto sta meglio e nessuno sta peggio un altra definizione di ottimalità paretiana: comunque spostandoci da una situazione ottima ad un altra situazione, almeno un soggetto sta peggio Ecco un esempio semplice, ma istruttivo. Consideriamo una società formata da due soli soggetti (potrebbero essere più di due, e quanto segue sarebbe altrettanto valido), il cui problema è come distribuirsi una torta data. Supponendo che per entrambi avere di più significhi stare meglio, quali fra tutte le possibili distribuzioni sono ottime nel senso di Pareto? Ragionate un poco, e troverete che tutte le distribuzioni sono ottime, incluse quelle in cui un individui ha tutto e l altro niente. Da questo esempio possiamo trarre alcuni insegnamenti. - in primo luogo il criterio di Pareto è insensibile a problemi di equità: il passaggio da una situazione ad un altra potrebbe implicare che tutti stiamo meglio di prima tranne il più ricco, che invece sta peggio, magari anche di poco. In tal caso non si può dire che il cambiamento prospettato sia un miglioramento nel senso di Pareto: le due situazioni non sono tra loro confrontabili. - potrebbe accadere che in una certa distribuzione un soggetto abbia il 10% e l altro l 89%: ciò accade se distribuendo la torta abbiamo sprecato qualche briciola. In tal caso è ancora possibile ottenere miglioramenti paretiani, recuperando le briciole prima sprecate. Per esempio potremmo far arrivare il primo individuo all 11% senza peggiorare la posizione del secondo; ma potremmo anche portare il secondo al 90% senza peggiorare la posizione del primo: entrambi sono miglioramenti paretiani. Ciò significa che l ottimalità paretiana richiede che non vengano commessi sprechi: per tale ragione spesso al posto di ottimo si dice efficiente nel senso di Pareto, oppure efficiente dal punto di vista sociale, o ancora socialmente efficiente. - se fosse possibile aumentare la dimensione della torta potremmo naturalmente ottenere miglioramenti paretiani anche se la distribuzione precedente era già efficiente. Ma questo è un altro problema, che affrontiamo nel prossimo paragrafo. 2. Efficienza e surplus sociale Consideriamo ora un problema diverso, e un poco più articolato, di quello della torta. Immaginiamo una società formata da molti soggetti i quali apprezzano il, cioè ottengono beneficio dal, consumo di un certo bene. D altra parte, la società sa che per rendere disponibile quel bene occorre utilizzare delle risorse, cioè sostenere dei costi. Il problema che si pone al decisore sociale è quanto produrre, e dunque rendere disponibile per il consumo, di quel bene. 3

4 Per affrontare e risolvere questo problema dobbiamo aggiungere alcune informazioni, senza le quali non potremmo andare molto in là. Supponiamo che chi deve decidere conosca di quanto aumenta il beneficio della società ogni volta che si rende disponibile una unità in più del bene a partire da qualsiasi quantità già esistente. Come abbiamo suggerito nel riquadro a pagina 8 della lezione 1, si può chiamare beneficio marginale sociale questa grandezza. È ragionevole ipotizzare che il beneficio marginale sociale sia positivo, e decrescente al crescere della quantità già disponibile: ciò in seguito ad un ragionevole principio di saturazione (unità aggiuntive del bene sono benvenute, ma via via meno apprezzate, dalla collettività). Supponiamo d altra parte che chi deve decidere conosca di quanto aumenta il costo che la società deve sostenere per rendere disponibile una unità in più del bene a partire da qualsiasi quantità già esistente. Si può chiamare costo marginale sociale questa grandezza. È ragionevole ipotizzare che il costo marginale sociale sia positivo, e crescente al crescere della quantità già disponibile: è infatti molto probabile che produrre unità aggiuntive del bene divenga via via più impegnativo. Il comportamento dei consumatori relativamente ad un certo bene viene, come noto, descritto di solito tramite una curva di domanda: essa ci informa circa quanto bene verrebbe acquistato da un consumatore per ogni diverso livello del prezzo. Un curva di domanda di mercato di quel bene ci informa invece su quanto tutti i consumatori domanderebbero al variare del prezzo: è la somma delle diverse domande individuali per ogni dato prezzo. Tutti intuiscono che una curva di domanda è decrescente: se il prezzo aumenta la domanda di quel bene diminuisce. Perché questo? Si consideri la seguente figura: prezzo D P A domanda = BMaS O Q quantità Si deve immaginare che le unità del bene siano tra loro molto piccole, situate le une vicine alle altre (sono un continuo ). Bene, perché al prezzo P i consumatori desiderano proprio la quantità Q, e non qualcosa in più o qualcosa in meno? La riposta è: non vogliono qualcosa in più, cioè non vogliono qualche unità più a destra di Q, perché per essere indotti a comprare quelle altre unità il prezzo dovrebbe essere più basso, proprio come indicato dai punti sulla curva di domanda per quantità maggiori di Q. In altri termini, unità più a destra di Q per i consumatori valgono meno di quanto valga l unità in posizione Q (NB l unità in posizione Q coincide con il punto Q): il loro acquisto non è conveniente per i consumatori, e ciò significa che il beneficio arrecato da ciascuna di quelle ulteriori unità è inferiore al beneficio arrecato da unità più a sinistra. Possiamo allora affermare che il prezzo che induce i consumatori a domandare una certa quantità misura il beneficio arrecato loro dall ultima unità da loro effettivamente acquistata a quel prezzo. Naturalmente, al prezzo P i consumatori non acquistano meno di Q perché le unità più a sinistra di Q arrecano un beneficio superiore al prezzo P che devono pagare, e dunque i consumatori ne sono ben contenti. Possiamo dunque concludere che il prezzo misura il beneficio marginale dei consumatori, e la curva di domanda può essere interpretata come curva di beneficio marginale. 4

5 Supponendo per il momento che gli unici soggetti della società che ottengono benefici dall esistenza del bene siano i suoi consumatori, possiamo dire che la curva di domanda di mercato coincide con la curva di beneficio marginale sociale (BMaS). In modo del tutto analogo, il comportamento dei produttori di un bene viene descritto da una curva d offerta, che tutti immaginano crescente: più aumenta il prezzo e più si produce di quel bene (per essere precisi, ciò accade quando i produttori sono piccoli, cioè in un mondo perfettamente concorrenziale dove nessuno può influenzare il prezzo). Ma perché accade questo? Semplicemente perché i produttori non vogliono produrre altre unità ad un prezzo dato, visto che quelle nuove unità apporterebbero un aggiunta di costo superiore a ciò che se ne può ricavare, cioè superiore al prezzo vigente. In altre parole, il prezzo che induce i produttori a vendere una certa quantità misura il costo aggiuntivo dell ultima unità prodotta. Possiamo allora dire che la curva di offerta è anche la curva di costo marginale dei produttori del bene. Supponendo per il momento che gli unici soggetti della società che sostengono costi per rendere disponibile il bene siano i suoi produttori, allora la curva di offerta di mercato coincide con la curva di costo marginale sociale (CMaS). Si badi: abbiamo dedotto, a puri scopi didattici, le curve di beneficio marginale sociale e costo marginale sociale dalle curve di domanda e offerta, cioè dai comportamenti di soggetti immersi in un mercato: questi soggetti osservano un prezzo prima di decidere cosa fare. Tuttavia le ragioni per cui quelle curve hanno certi andamenti sono più fondamentali: i benefici ottenuti dal consumo e i costi provocati dalla produzione esistono comunque, indipendentemente dal fatto che l interazione sociale assuma la forma di un mercato. Stiamo cioè dicendo che il BMaS e il CMaS sono categorie diverse, e indipendenti, dal prezzo pagato o incassato da qualcuno per ottenere o vendere una unità del bene. Bene, siccome il decisore sociale conosce le curve del beneficio marginale sociale e del costo marginale sociale, sa anche che la scelta di ogni diversa quantità da rendere disponibile per il consumo implica diversi benefici e costi totali (v. riquadro successivo). È sì vero che aumentare illimitatamente la quantità fa aumentare illimitatamente, ma in modo decrescente, il beneficio totale della società; ma è anche vero che aumentare illimitatamente la quantità fa crescere illimitatamente, e in modo crescente, i costi della società. Un decisore saggio è interessato al beneficio netto della società, cioè al beneficio totale al netto del costo totale: questo beneficio netto prende il nome di surplus sociale. Il surplus sociale è la torta che, una volta ottenuta, può essere spartita fra i partecipanti. Un modo per spartire la torta, in una collettività formata da certi individui che godono del bene consumandolo e da certi altri che devono sopportare costi per renderlo disponibile, è fissare una sorta di tariffa. Questa tariffa costituisce la remunerazione riconosciuta, per decisione collettiva, dai fruitori del bene ai suoi produttori per ogni unità resa disponibile. Dovreste riuscire a capire, anche solo intuitivamente, che comunque la torta venga tagliata in due da una particolare tariffa, la sua dimensione resta invariata. La dimensione della torta, cioè, dipende da altro che dalla sua spartizione. Obiettivo del decisore sociale, dunque, è in primo luogo scegliere quanto produrre e consumare del bene in modo che la dimensione della torta, cioè del surplus sociale, sia massima: solo in tal modo, qualsiasi ne sia la distribuzione, non potremo sicuramente più ottenere ulteriori miglioramenti paretiani. A partire dagli argomenti svolti nel riquadro precedente, possiamo tracciare una curva di beneficio marginale sociale, BMaS, decrescente al crescere della quantità, ed una curva di costo marginale sociale, CMaS, crescente al crescere della quantità. Come sappiamo, poiché si tratta di grandezze marginali, esse misurano di quanto aumenta il corrispondente totale se la quantità resa disponibile aumenta di una unità: consideriamo allora la figura successiva. Se per esempio la quantità che si è deciso di rende disponibile è Q, allora il bene- 5

6 ficio marginale (cioè il beneficio arrecato dall ultima unità) è misurato dal segmento OB, mentre il costo marginale è misurato dal segmento OA. BMaS, CMaS D B CMaS T V E A C O Q BMaS quantità Ora, rendere disponibile la quantità Q significa rendere disponibili tutte le unità comprese fra O e Q, che sappiamo essere molto vicine in quanto si tratta di un continuo di unità; ciascuna di essere apporta il proprio beneficio marginale e comporta il proprio costo marginale, misurati dai diversi segmenti tra l asse orizzontale e la corrispondente curva, in corrispondenza di ogni unità. Se quindi vogliamo misurare il beneficio (costo) totale, dobbiamo sommare tutti i benefici marginali: si tratta di sommare infiniti segmenti verticali uno attaccato all altro. Il risultato è un area (i matematici chiamano integrazione l operazione che abbiamo appena fatto di ricostruire il totale a partire dal marginale, l intero dalle parti, per mezzo di una somma ). Dunque, se si rende disponibile la quantità Q, la società ottiene un beneficio totale misurato dall area ODBQ, e sostiene un costo totale misurato dall area OCAQ. Ciò che interessa al decisore sociale, però, è il surplus sociale, cioè la differenza fra beneficio totale e costo totale. Dunque il surplus che la società ottiene producendo e consumando Q è misurato dall area CDBA. Questa è la torta ottenuta, ed è a disposizione di tutti i partecipanti. Immaginiamo che si decida che la tariffa che i fruitori debbono versare, per ogni unità del bene, ai produttori sia T. Questo significa che i consumatori, godendo di un beneficio totale pari a ODBQ, debbono però pagare ai produttori una somma complessiva pari a OTVQ (quantità per prezzo = base per altezza del rettangolo). Il risultato netto dei consumatori, detto surplus dei consumatori, è allora misurato dall area TDBV. Dal canto loro, invece, i produttori incassano la somma OTVQ avendo però sopportato un costo OCAQ: dunque il loro risultato netto, o surplus dei produttori, è misurato dall area CTVA. Come vedete, il surplus sociale viene ripartito tra consumatori e produttori: CDBA = TDBV + CTVA. Capite bene, però, che qualsiasi altra tariffa avrebbe sì ripartito in modo diverso il surplus sociale fra i due lati, lasciandone tuttavia invariata la dimensione totale. Qual è la quantità che massimizza il surplus sociale e che, siccome non consente di ottenere ulteriori miglioramenti paretiani, è anche la quantità socialmente efficiente? Ricorderete un argomento discusso in precedenza (riquadro a pagina 8 della lezione 1): per essere sicuri di aver ottenuto la massima differenza fra beneficio e costo occorre che il beneficio marginale sia uguale al costo marginale. Nel contesto che stiamo considerando in questo momento, dove l obiettivo è il surplus sociale, dobbiamo allora garantirci che valga l uguaglianza BMaS = CMaS. Dunque, per essere sicuro di mettere in atto la quantità efficiente, il decisore sociale deve scegliere una quantità tale per cui valga la precedente uguaglianza. Problema risolto. 6

7 In termini del grafico del riquadro precedente, vedete che l unico punto in cui le due curve BMaS e CMaS si intersecano è il punto E. Dunque la quantità socialmente efficiente si individua scendendo verticalmente da E sino all asse delle quantità (potete indicare con Q* la quantità così trovata); il surplus sociale corrispondente è dato dall area CDE, indipendentemente da come esso sia distribuito fra consumatori e produttori tramite qualche tariffa: esso è chiaramente maggiore del surplus ottenuto quando si produceva Q, e non può essere ulteriormente aumentato. Come slogan, potreste ricordarvi che il surplus sociale è misurato dall area compresa fra la curva del beneficio marginale sociale e quella del costo marginale sociale, entrambe misurate dall origine sino alla quantità effettivamente prodotta. Si noti che l area fra le due curve a destra del punto E ha segno negativo: infatti ogni unità prodotta e consumata a destra di Q* induce un aumento di beneficio inferiore al maggior costo provocato (CMaS>BMaS) e dunque fa diminuire il surplus. 3. Autorità benevolenti e fallimenti del mercato Il nostro decisore sociale, sino a questo punto, si è confrontato con situazioni che non erano di mercato: gli obiettivi dei partecipanti venivano perseguiti tramite qualche decisione centralizzata, orientata unicamente ad individuare, e se possibile mettere in atto, le situazioni ottime nel senso di Pareto. Una situazione di mercato è invece una in cui gli obiettivi dei partecipanti vengono perseguiti per mezzo di un particolare meccanismo decentrato: chi è interessato ad un certo bene, perché gli arreca un beneficio, può cercare di comprarlo se il prezzo è per lui conveniente; ma quel medesimo prezzo deve essere tale da aver indotto qualcun altro a produrre il bene, pur essendo tale produzione costosa. In genere gli economisti presumono, se non altro per semplicità, che gli scambi sul mercato di una certa merce possano avvenire tutti al medesimo prezzo, almeno se il mercato è in equilibrio (v. lezione 1 per tale nozione). Ciò perché chi sarebbe disposto a comprare a prezzi maggiori, e chi sarebbe disposto a vendere a prezzi inferiori, rispetto a quello vigente, cerca di nascondersi nella massa e a non svelare tale disponibilità. Il mercato, dunque, viene visto come un meccanismo anonimo, almeno se i partecipanti sono molti: il prezzo è un segnale inviato da questo meccanismo, e i partecipanti scelgono (offrono, domandano) sulla base dei propri incentivi privati. Supponiamo che un mercato sia in equilibrio: ciascuno ha progettato scelte delle quali non si deve pentire, e si può procedere agli scambi in accordo con quelle scelte. Cosa possiamo dire sulla bontà sociale di questo risultato? In altri termini, il risultato sarà efficiente? La risposta è sì, quando il mercato considerato è perfettamente concorrenziale. Per capire questo punto, si ricordi che (come mostrato nel riquadro fra pag. 4 e pag. 5) quando il mercato è perfettamente concorrenziale le curve di BMaS e CMaS corrispondono, rispettivamente, con quelle di domanda e offerta. Ma l intersezione fra la curva di domanda e di offerta, come tutti sanno, identifica la quantità (e il prezzo) di equilibrio, mentre l intersezione fra BMaS e CMaS identifica la quantità socialmente efficiente. Siccome però le due intersezioni si sovrappongono, la quantità di equilibrio è anche quella socialmente efficiente. Ecco dunque dimostrato un famoso teorema della teoria economica: l equilibrio di un mercato perfettamente concorrenziale è socialmente efficiente (o ottimale). Questo teorema può essere dimostrato anche con riferimento ad un equilibrio economico generale (v. lezione 1), e non solo a quello di un singolo mercato, o equilibrio parziale. La dimostrazione è ovviamente più elaborata, e segue più o meno le seguenti linee generali. Si 7

8 può dimostrare che, in un contesto di equilibrio generale concorrenziale, vale una certa i- dentità contabile (nulla di eclatante, dunque, dal punto di vista teorico: una semplice identità), che alcuni chiamano legge di Walras : secondo questa identità i profitti fatti dalle imprese nel loro aggregato sono pari al spesa netta complessiva fatta dai consumatori presso le imprese stesse. Supponiamo dunque che tutti i partecipanti perseguano il proprio interesse, dati i prezzi di equilibrio, e cioè che tutti scelgano ciò che più preferiscano: in particolare le imprese scelgono in modo da ottenere il massimo profitto, che però non trattengono ma distribuiscono ai proprietari, i quali sono a loro volta consumatori. Dunque le imprese non ottengono alcun benessere dalla situazione, e la valutazione dell ottimalità paretiana dell equilibrio va fatta considerando le sole posizioni dei consumatori, che invece traggono benessere dalle merci che consumano. Bene, supponiamo che una situazione di equilibrio generale non sia ottimale nel senso di Pareto. Ciò significa che deve esistere un altra situazione (con produzioni e consumi individuali diversi da quelli dell equilibrio) in cui almeno un consumatore sta meglio e nessuno sta peggio che nell equilibrio. Allora, perché quel consumatore non sceglie per sé proprio quegli altri consumi, visto che potrebbe stare meglio? Siccome ipotizziamo che ciascuno sappia perseguire il proprio interesse, dobbiamo concludere che ciò non avviene perché, ai prezzi vigenti, ciò non è possibile per quel consumatore: ovvero quelle altre scelte costano più di quanto egli si possa permettere. Allora in quest altra ipotetica situazione, che migliora in senso paretiano l equilibrio, almeno un consumatore spenderebbe di più, e gli altri spenderebbero la stessa somma, che nell equilibrio: ciò implica che, ai prezzi vigenti, la spesa complessiva dei consumatori deve essere maggiore che in equilibrio. Ma questa conclusione, per via della legge di Walras, significa che, ai prezzi vigenti, i profitti delle imprese sono maggiori di quelli di equilibrio. Ciò, però, contraddice l ipotesi che le imprese siano capaci a massimizzare i profitti. Questa è una dimostrazione per assurdo dell efficienza di un equilibrio economico generale. Siccome un economia perfettamente concorrenziale riesce a mettere in atto, tramite i meccanismi di mercato, una situazione efficiente, non vi è alcun bisogno che qualche autorità centrale intervenga per modificare quanto sta accadendo. Anzi, ogni intervento esterno rischia di essere, come si dice, distorsivo, cioè di ridurre il surplus sociale. Questo risultato può forse far capire ciò che spesso vi sentite dire: quando si tratta di economia è meglio lasciar fare ai liberi mercati ed evitare di rovinare tutto tramite inutili interventi pubblici. Affermazioni come questa, se si possono capire, però non si possono giustificare. Infatti esse tralasciano sempre di riportare l ipotesi essenziale del teorema: se i mercati sono perfettamente concorrenziali. L ipotesi di concorrenza perfetta è un ipotesi piuttosto articolata. Infatti affinché essa sia soddisfatta occorre che: (1) vi siano molti soggetti senza potere di mercato, cioè senza il potere di influenzare i prezzi; (2) il prodotto portato dalle imprese ad ogni singolo mercato deve essere omogeneo, cioè i- dentico per tutte; (3) vi deve essere libertà di entrata, cioè nessuna impresa può impedire ad altre di farle concorrenza sino a quando ciò è conveniente per le altre; (4) vi deve essere perfetta informazione da parte di tutti i partecipanti circa le caratteristiche e la qualità dei diversi beni; (5) in particolare, i partecipanti ad ogni mercato devono comprendere perfettamente le conseguenze per sé di o- gni scelta effettuata su quel mercato; (6) le conseguenze delle scelte su ogni mercato devono ricadere solo sui partecipanti, cioè solo su coloro che domandano e offrono quel bene. La prima cosa che si può osservare è che questo insieme di ipotesi è piuttosto restrittivo, e forse anche poco interessante rispetto a quanto possiamo osservare attorno a noi. Dunque si tratterebbe di un eccezione, e non della regola: in tutti gli altri casi, che sono i più comuni, la proprietà di efficienza non può essere predicata del sistema economico sotto analisi. 8

9 In realtà c è ben di più. In un sistema perfettamente concorrenziale le imprese si fanno, appunto, così tanta concorrenza che alla fine vanificano l obiettivo stesso per le quali operano, il profitto. Infatti l entrata di nuove imprese e il tentativo di sottrarre clienti ai concorrenti fa abbassare così tanto i prezzi da ridurre i profitti al lumicino. Per tale ragione ci aspettiamo che le imprese stesse facciano di tutto per evitare questa fine: vorranno differenziare il proprio prodotto; impedire ai concorrenti di entrare nel mercato; sporcare l informazione sui propri prodotti, nascondendone le qualità o millantando qualità inesistenti, magari tramite accorgimenti puramente esteriori; sottrarsi ad alcune conseguenze, ricadenti su altri, delle proprie scelte. È per tali motivi che ci aspettiamo che il mondo attorno a noi abbia caratteristiche diverse da quelle della concorrenza perfetta: non si tratta di imperfezioni o attriti trascurabili in prima approssimazione, ma di caratteristiche strutturali di un economia popolata da soggetti che puntano ad ottenere profitti. Se non sussistono tali caratteristiche, però, il risultato di mercato, pur essendo un equilibrio, potrebbe non essere efficiente: è questo fenomeno che alcuni chiamano fallimento del mercato. Le ragioni per cui il mercato può fallire derivano proprio dalle strategie poste in atto dai venditori per perseguire elevati profitti, e tra poco ne esamineremo brevemente tre tipi. In queste circostanze, la teoria tradizionale del benessere sociale suggerisce che si possano progettare interventi da parte di autorità pubbliche benevolenti per ristabilire l efficienza paretiana. A. Potere di mercato, efficienza, regolazione. Le imprese hanno potere di mercato se il prezzo di vendita del loro prodotto deve diminuire quando essere vendono di più. Di questo fatto esse tengono conto, e anzi lo sfruttano per aumentare i propri profitti. Esempi di imprese con potere di mercato sono le imprese monopolistiche o quelle oligopolistiche. Concentriamoci sul caso del monopolio. Per un impresa il beneficio marginale della scelta (si veda il riquadro a pagina 8 della lezione 1) è il suo ricavo marginale, cioè la variazione del ricavo che ottiene vendendo una unità in più. Per un impresa senza potere di mercato, poiché il prezzo di vendita rimane invariato per ogni quantità venduta, il ricavo marginale è costituito dal prezzo stesso: infatti l aumento di ricavo per ogni nuova unità è proprio il prezzo, dato, delle diverse singole u- nità. Per un impresa con potere di mercato, invece, il ricavo marginale è diverso dal prezzo: vediamo perché. Quando l impresa vuole vendere una unità in più il prezzo deve scendere: allora l aumento di ricavo associato ad una nuova unità è costituito in primo luogo dal prezzo di quell unità aggiuntiva stessa; ma, siccome il prezzo sta diminuendo, il ricavo su tutte le unità che l impresa vendeva già prima diminuisce. Ne segue che il ricavo marginale ha due componenti: un positiva, cioè il prezzo di vendita dell ultima unità, e una negativa che va sottratta alla precedente, cioè il minor ricavo sulle unità precedenti: dunque per un impresa con potere di mercato il ricavo marginale è inferiore al prezzo. In altri termini, la curva del ricavo marginale di un impresa con potere di mercato si situa sotto alla curva che rappresenta il prezzo che i consumatori pagano per le diverse quantità da essa offerte, cioè la curva di domanda. Un impresa ottiene il massimo risultato (profitto) quando il suo costo marginale è uguale al suo ricavo marginale (si veda il riquadro a pagina 8 della lezione 1): dunque, a differenza di come si comporta un impresa senza potere di mercato, un monopolista ottiene il massimo profitto quando il suo costo marginale è inferiore al prezzo di vendita. Quindi, si dice, un monopolista vende ad un prezzo che è superiore al suo costo marginale, e quindi ottiene profitti più elevati di un impresa concorrenziale, poiché pratica un prezzo elevato e vende una quantità piccola. Tutto ciò è vero, ma non è questo il motivo per cui il monopolio e l oligopolio non piacciono agli economisti. La ragione è che la quantità prodotta da questa impresa è inferiore 9

10 a quella socialmente efficiente. Dunque il surplus sociale non è massimo: producendo di più il surplus sociale aumenterebbe, creando maggior benessere per l intera società. Abbiamo visto nel riquadro precedente che il monopolista sceglie una quantità tale per cui il suo costo marginale è uguale al suo ricavo marginale, ma è inferiore al prezzo di vendita. Ora, il prezzo di vendita del prodotto misura, nelle nostre attuali ipotesi, il beneficio marginale sociale; d altra parte il monopolista è l unico produttore presente, e quindi è l unico che sopporta costi per produrre il bene in questione: il suo costo marginale è anche il costo marginale sociale. Dunque in corrispondenza della quantità prodotta da un monopolista il costo marginale sociale è inferiore al beneficio marginale sociale: la quantità prodotta non è quella socialmente efficiente, e in particolare, come si può dedurre dal grafico del riquadro a pagina 6, è inferiore a quella efficiente. La teoria tradizionale del benessere suggerisce che, nel caso di un mercato servito da un monopolista, il dittatore benevolente, cioè un autorità orientata all efficienza sociale, debba intervenire per regolare l attività del monopolista. La regolazione più semplice è quella di fissare un prezzo massimo al quale il monopolista potrà vendere il suo prodotto: tale prezzo è inferiore a quello che il monopolista vorrebbe fissare, e deve essere tale da indurre i consumatori ad acquistare proprio la quantità efficiente, tale cioè che per quella quantità il costo marginale del monopolista (costo marginale sociale) è pari al prezzo (beneficio marginale sociale). Ciò potrebbe ridurre di molto i profitti del produttore, o addirittura causargli delle perdite se costui sostiene anche elevati costi di tipo infrastrutturale (detti anche costi fissi). In tal caso potrebbe essere necessario compensare il monopolista per tali perdite: le risorse necessarie per tale compensazione possono provenire da tasse prelevate dei consumatori; costoro dovrebbero accettare di pagare queste tasse, se la cosa viene loro spiegata chiaramente, perché in cambio possono comprare elevate quantità di prodotto a prezzo basso, e stanno comunque meglio di quanto starebbero in assenza di regolazione. B. Esternalità, beni pubblici, mercati, diritti. In molte circostanze ciò che noi facciamo, quando scegliamo di produrre o consumare un certo bene X, produce effetti a carico di soggetti che non stanno partecipando al mercato di quel bene. Questi effetti esterni possono essere in grado di alterare i costi o benefici di quei soggetti terzi: dunque i costi o benefici complessivamente sperimentati dalla società in seguito alle nostre azioni sono diversi da quelli privatamente sperimentati da noi, che partecipiamo al mercato in questione. Tali fenomeni prendono il nome di esternalità, e traggono usualmente origine da qualche meccanismo fisico che connette le nostre azioni, cioè le nostre scelte in relazione al bene X, con i costi o benefici di qualcuno che in quel momento sta pensando ai fatti suoi, e non è interessato a comprare o vendere il bene X. Per esempio, può darsi che la produzione di un certo bene provochi, come prodotto congiunto, certe emissioni nocive che danneggiano anche chi né produce né consuma quel bene (esternalità negativa); oppure può darsi che quando noi paghiamo per mettere in opera una certa quantità di un bene quella stessa quantità apporti benefici anche a qualcuno che non ne ha acquistato (esternalità positiva). Se l esternalità è di questo secondo tipo, cioè arreca benefici a terzi ed è indotta dal bene in sé e non da un suo prodotto congiunto, il bene in questione viene chiamato bene pubblico (come può essere un lampione fatto installare privatamente sulla pubblica via). L aspetto più interessante di queste situazioni è il seguente. Chi sopporta costi esterni o ottiene benefici esterni vorrebbe segnalare questo fatto al decisore che provoca quegli effetti: se l esternalità è negativa, chi la subisce vorrebbe che chi la provoca ne riducesse l ammontare; se l esternalità è positiva chi ne beneficia dall esterno vorrebbe che chi la genera ne producesse di più. Il problema è che non esistono, in generale, modalità convincenti di fare arrivare questi messaggi al decisore che provoca le esternalità: per modalità convincenti dobbiamo ovviamente intendere incentivi o disincentivi economici che siano appetibili per costui. (Naturalmente, non dovete farvi confondere 10

11 dal fatto che nel mondo attorno a noi sono stati inventati modi per risolvere il problema: si tratta, appunto, di tentativi di soluzione ideati in seguito all esistenza del fenomeno, tentativi dei quali parleremo più avanti; ciò che stiamo facendo ora, per necessità di ordine logico, è definire il problema, prima di capire quali soluzioni si possano adottare). In queste circostanze, coloro che prendono decisioni in relazione al bene X si basano sui soli incentivi privati, cioè sui loro benefici o costi marginali. Tuttavia l intera società sperimenta costi o benefici marginali diversi da quelli sperimentati dai privati che decidono domande e offerte del bene X. È allora opportuno distinguere fra costi (o benefici) marginali privati, quelli dei soli partecipanti al mercato; e costi (o benefici) marginali sociali, quelli dell intera società. I costi e benefici marginali privati sono quelli che, come sempre, danno luogo alle curve di offerta e domanda, rispettivamente, del bene X: quindi l individuazione della quantità di equilibrio sul mercato del bene X, che avviene tramite l intersezione delle curve di domanda e offerta, dipende dai soli benefici e costi marginali privati. Invece l individuazione della quantità socialmente efficiente avviene tramite l intersezione delle curve di costo marginale sociale e beneficio marginale sociale. Siccome la presenza di una esternalità fa sì che la curva di costo (oppure beneficio) marginale sociale sia diversa da quella di costo (oppure beneficio) marginale privato, ecco che la quantità di e- quilibrio non coincide con la quantità socialmente efficiente. Facciamo un esercizio a partire dal grafico del riquadro a pagina 6. Se non esistono esternalità la curva di beneficio (rispettivamente costo) marginale privato, cioè la curva di domanda (rispettivamente offerta) dei consumatori (rispettivamente produttori) del bene X, coincide con la curva di beneficio (rispettivamente costo) marginale sociale. Dunque la quantità di equilibrio coincide con quella socialmente efficiente. Immaginiamo invece che esista un esternalità negativa, tale per cui per esempio la produzione del bene X provoca ulteriori costi marginali a qualche terzo. Dunque la curva del CMaS si situa più in alto della curva di offerta del bene X. Se disegnate queste curve troverete che la quantità di equilibrio di mercato è superiore alla quantità socialmente efficiente. Se invece esiste un esternalità positiva, tale per cui per esempio la produzione o consumo di X genera ulteriori benefici marginali a qualche terzo, la curva del BMaS si situa più in alto della curva di domanda del bene X. Ne segue che la quantità di equilibrio è inferiore a quella socialmente efficiente. Come avete appena visto nel riquadro, nel caso di esternalità negativa la situazione efficiente non consiste nel minimizzare il danno provocato ai terzi (cioè ridurre a zero la produzione del bene X che provoca l esternalità); né consiste, in caso di esternalità, nel massimizzare il beneficio apportato a terzi. Questo perché la società è composta da tre parti logicamente distinte: produttori del bene X, consumatori del bene X, soggetti terzi su cui ricade l esternalità: la valutazione del surplus sociale, dunque, richiede di considerare la posizione di tutte le parti. Benché la produzione di un certo bene X, che provoca un effetto esterno negativo, causi costi sia ai produttori sia ai terzi, essa però arreca benefici ai consumatori del bene X: il consumo di benzina, che è costosa da produrre e che provoca danni da inquinamento, arreca però benefici agli automobilisti. Sino a quando il beneficio marginale di tutte le parti coinvolte (BMaS) è maggiore del costo marginale di tutte le parti coinvolte (CMaS), conviene aumentare ulteriormente la quantità prodotta e consumata. Analogo discorso vale per capire che esiste un limite superiore alla produzione di un bene che arreca benefici a terzi. Se i soggetti coinvolti in un problema di esternalità sono pochi; se è del tutto chiaro chi provoca gli effetti esterni e chi ne subisce le conseguenze in quanto terzo; se le parti coinvolte sono dotate di buona iniziativa; allora il problema potrebbe essere risolto per via privata. Sarebbe sufficiente che il terzo su cui ricade l esternalità negativa (rispettivamente positiva) si recasse presso colui che la genera e gli proponesse un pagamento per indurlo a produrre di meno (rispettivamente di più). Questo pagamento è ciò che convince la parte che provoca l effetto esterno a fare qualcosa di diverso da ciò che le arreca il massimo surplus privato. Al contempo, si può facilmente dimostrare che il paga- 11

12 mento effettuato dalla parte terza, e necessario per indurre un comportamento diverso da parte di chi provoca l esternalità, è inferiore al danno di cui il terzo si libera (o del beneficio che riesce ad ottenere in più): ciò sino a quando non si raggiunge la quantità socialmente efficiente. Dunque queste iniziative private sono in grado di instaurare la situazione ottimale. Se però i soggetti coinvolti sono molti, si pongono gli stessi problemi che si pongono di fronte ad un sistema di scambi costituito da una miriade di baratti bilaterali: ognuno dei partecipanti dovrebbe rintracciare una controparte, individuare quanto questa controparte sarebbe disposta ad accettare per fare qualcosa di diverso, annunciare quanto è disposto a pagare alla controparte per indurla a fare davvero qualcosa di diverso, e probabilmente impegnarsi in una serrata contrattazione per arrivare alla somma finale. Nel caso degli scambi di oggetti le cui caratteristiche quali quantitative siano perfettamente note a tutte le parti, la soluzione a questo problema è ben nota a tutti, essendosi evoluta piuttosto presto durante la storia umana: si tratta del mercato. In un mercato a cui partecipano molti individui (almeno su uno dei due lati) si forma, in modo più o meno anonimo, un prezzo di riferimento per tutti. A tale prezzo i partecipanti sono invitati ad effettuare gli scambi: se il prezzo è quello di equilibrio, ciascuno accetta di scambiare a quel prezzo. Si noti che esistono individui che sarebbero disposti a far pagare la merce che stanno offrendo meno del prezzo di equilibrio, perché hanno un costo marginale privato inferiore ad altri produttori, che pure stanno vendendo a quel prezzo; nel contempo esistono individui che sarebbero disposti a pagare la merce acquistata più del prezzo di equilibrio, perché il loro beneficio marginale privato è superiore a quello di altri consumatori, che pure stanno acquistando a quel prezzo. Naturalmente, nell anonimato generale, nessuno di costoro svelerà tali disponibilità eventuali, per poterci guadagnare. Anzi, se ci pensate bene capirete che è proprio questa la ragione per cui in un mercato si forma del surplus: esiste tutto un tratto iniziale della produzione di un bene dove il beneficio marginale di alcuni è maggiore del costo marginale di altri, e dunque alla società conviene rendere disponibile quella quantità: alcuni parlano, a questo proposito, di creazione di valore derivante dagli scambi (gli scambi avvengono da soggetti che valutano meno il bene a soggetti che lo valutano di più). Come si potrebbe creare un mercato nel caso di esternalità? Cosa occorre scambiare? Alcuni hanno suggerito che basterebbe creare opportuni diritti a fare qualcosa o a godere di qualcosa, distribuire tali diritti agli opportuni soggetti coinvolti nel problema, e naturalmente proteggere tali diritti. Di lì in poi si lascia fare al mercato dei diritti. Facciamo un esempio connesso ad una esternalità negativa (il lettore, se vuole, può estenderlo al caso di esternalità positiva). Supponiamo che vengano inventati dei diritti a godere dell aria pulita, e che essi vengano assegnati inizialmente ai cittadini ma non alle raffinerie di petrolio: quando tutti i diritti sono nelle mani dei cittadini nessuna particella di inquinamento può essere immessa nell aria; al diminuire della percentuale dei diritti in mano ai cittadini, può aumentare pro tanto l immissione di particelle inquinanti (dobbiamo ovviamente supporre che l autorità sia in grado di far rispettare tali diritti). Siccome produrre benzina inquina l aria, sino a quando i diritti sono in mano ai cittadini le raffinerie non possono produrre alcunché, né gli automobilisti possono viaggiare sul loro amato mezzo. Ma gli automobilisti premono per avere la benzina e sono disposti a pagarla anche molto; dunque le raffinerie capiscono che producendo benzina potranno fare dei profitti: quindi le raffinerie si rivolgono ai possessori dei diritti e chiedono loro di privarsene, in cambio di un pagamento, cosicché un po di benzina può essere prodotta. Se esiste il mercato dei diritti, le raffinerie sono disposte a pagare diritti, e quindi produrre benzina, fino al punto in cui ogni ulteriore unità prodotta causerebbe loro costi (includendovi l acquisto dei diritti) maggiori di quanto essa consenta di ricavare. Analogamente, i cittadini sono disposti a vendere diritti, e quindi sopportare inquinamento, sino al punto in cui ogni ulteriore diritto ceduto dia loro un incasso inferiore al danno che tale privazione provoca. Come si vede, un discorso marginale standard. Non è difficile mostrare, ma qui trascuriamo i dettagli, che gli scambi andranno avanti proprio fino al punto in cui si produce la quantità socialmente efficiente di benzina. Stesso risultato avremmo ottenuto se si fossero inventati i diritti ad inquinare e li si fosse consegnati alle raffinerie, con possibilità di acquisto da parte dei cittadini danneggiati. 12

13 Una soluzione praticabile? Chi la sostiene tende a dimenticare che l invenzione e l uso dei mercati implica significativi costi sociali, dei quali occorre tenere conto: progettazione dei diritti (inclusa la loro descrizione formale), loro protezione in ogni fase delle contrattazioni, trasparenza del mercato, necessità di far incontrare le parti, necessità che esse capiscano perfettamente di cosa si sta parlando e ne abbiano un opinione condivisa, necessità che le parti sappiano come fare per proteggere i propri diritti; nomina di esperti che misurino accuratamente senza farsi corrompere il numero di particelle inquinanti presenti; e così via. Tutte queste attività implicano costi, che la teoria economica chiama costi di transazione. Se i costi di transazione sono troppo elevati, ben difficilmente un mercato riuscirà a risolvere il problema delle esternalità in modo soddisfacente. C è qualche alternativa? Qualcuno sostiene che certi problemi siano più facilmente risolvibili per mezzo di poche regole chiare (anzi, si dice brillanti : bright rules). La soluzione tradizionale, suggerita da molti teorici del benessere, è che il dittatore benevolente fissi una tassa da pagarsi per ogni unità di benzina prodotta. Dunque i costi marginali sopportati direttamente dai produttori aumentano, e di conseguenza la loro curva di costo marginale privato, cioè di offerta, si sposta verso l alto. Dopo quanto appreso nei precedenti riquadri, capirete bene che la quantità di equilibrio si riduce, e se il dittatore benevolente è stato avveduto essa va a coincidere con la quantità socialmente efficiente. Nel caso delle esternalità positive occorre un incentivo, cioè un sussidio anziché una tassa, per i produttori del bene che genera l esternalità. Nel caso dei beni pubblici, poi, il sussidio dovrà prendere la forma di una garanzia, da parte del dittatore benevolente, che non saranno solo pochi privati a pagarne l intero costo. Se così fosse, questi privati ne farebbero installare una quantità troppo esigua, e in certi casi, quando ciascuno aspetta che sia qualcun altro a pagare, non ne farebbero installare alcuna quantità. Il dittatore benevolente deve garantire che i costi verranno ripartiti tra tutti i cittadini che ne godono, prevedendo inoltre l obbligo che qualcuno si incarichi dell installazione del bene pubblico. C. Informazione asimmetrica, selezione sfavorevole, comportamento negligente. Gli argomenti svolti nelle pagine precedenti hanno già fatto trapelare che, se l informazione è meno che perfetta, i risultati di mercato non sono soddisfacenti dal punto di vista sociale: per esempio, quando non tutti percepiscono la rilevanza di certi effetti esterni, oppure non possono far valere il proprio punto di vista perché non circola abbastanza informazione sugli opportuni prezzi che potrebbero risolvere il problema dell effetto esterno, allora il risultato non è socialmente efficiente. Un ulteriore esempio di quanto sia rilevante il problema dell informazione si ha quando essa è a- simmetrica. L informazione è asimmetrica se qualcuno sa più di qualcun altro; l oggetto circa il quale l informazione è asimmetrica potrebbe essere qualche qualità di un prodotto da scambiarsi; o qualche caratteristica soggettiva del potenziale contraente che si ha di fronte; oppure ancora le azioni intraprese da qualcuno con cui abbiamo siglato un contratto ed il cui comportamento in itinere è rilevante per i nostri risultati. I primi due esempi implicano che qualche soggetto non sa esattamente che risultati avrà in seguito ad un certo scambio, indipendentemente da cosa la controparte scelga di fare successivamente (la controparte, a quel punto, potrebbe anche essere scomparsa, come per e- sempio capita quando qualcuno mi abbia venduto un automobile usata): si parla in questo caso di informazione nascosta. Il terzo esempio, invece, implica che i miei risultati dipendono dalle azioni prescelte da qualcun altro durante l esecuzione di un contratto, ma questo qualcun altro non può essere perfettamente controllato né indotto a fare tutto ciò che io vorrei: si parla in tal caso di azione nascosta. Poniamo che esistano solo due qualità delle automobili usate, alta e bassa, e ciascuna rappresenti la metà degli esemplari in vendita. Se l acquirente potesse distinguerle, sarebbe disposto a pagare un prezzo più alto, diciamo 100, per il primo tipo e un prezzo invece più basso, diciamo 80, per il secondo tipo. Supponiamo che tali prezzi soddisfino anche i venditori di entrambi i tipi di qualità, per esempio perché la valutazione delle auto di alta qualità da parte dei loro proprietari venditori è 13

14 95, mentre la valutazione delle auto di bassa qualità da parte dei loro proprietari venditori è 75. Se dunque l informazione fosse simmetrica, esisterebbero due mercati separati, e su entrambi si verificherebbero degli scambi che creano valore, cioè surplus. Supponiamo invece che l informazione sia nascosta, e cioè gli acquirenti non possano distinguere le due qualità, perché i venditori di auto di bassa qualità riescono a camuffare le proprie auto usate e farle sembrare di qualità elevata. Solo dopo l acquisto ci si renderà conto della vera qualità dell auto acquistata. Cosa possono fare gli acquirenti? L unica cosa è offrire un prezzo intermedio fra 80 e 100, sapendo che l effettiva qualità di ciò che acquisteranno potrà essere sia alta sia bassa, con probabilità ½: dunque il prezzo offerto dagli acquirenti è 90, prezzo che essi vorranno pagare per qualsiasi auto usata come se frequentassero un singolo mercato. Ma a questo punto i proprietari delle auto di alta qualità, per i quali il valore della propria macchina è 95, non vorranno offrire automobili; viceversa, i proprietari delle auto di bassa qualità saranno ben contenti di vendere a 90 un auto che essi sanno valere 75. Il risultato finale è che non potranno essere scambiate auto di alta qualità, e non appena gli acquirenti se ne accorgono ridurranno il prezzo offerto a 80, ciò che sarebbero stati disposti a pagare se l informazione fosse stata simmetrica. E, in effetti, alla fine l informazione è simmetrica: tutti sanno che sul mercato esistono solo auto di bassa qualità, poiché quello è l unico mercato ora esistente. Il problema è che, in questo esito finale, non esiste più il mercato della qualità alta, e dunque non si può generare il surplus corrispondente: ecco l inefficienza. Possiamo affermare che l informazione nascosta provoca un fenomeno di selezione sfavorevole, tramite il quale rimangono sul mercato solo le qualità peggiori (qualcuno traduce l espressione inglese adverse selection con selezione avversa ). L esempio appena fatto non è certo peregrino rispetto al mondo che ci circonda, ma il fenomeno dell informazione nascosta è tipico di molte altre situazioni di rilevanza sociale: assunzione di lavoratori di capacità diverse ma non perfettamente note; assicurazione sanitaria di clienti il cui stato di salute non può essere accertato perfettamente; concessione di prestiti a imprese le cui propensione al rischio e profittabilità non sono conosciute. Cosa si può fare per alleviare il problema? Alcune soluzioni vengono ideate dagli stessi soggetti che sono sfavoriti dalla selezione sfavorevole, i portatori delle qualità migliori. Nel caso delle auto usate chi ha da offrire la qualità alta si può impegnare a fornire una garanzia contro difetti che possano eventualmente insorgere; nel caso dell assunzione di lavoratori, i lavoratori stessi cercano di esibire un curriculum di alto profilo; nel caso delle assicurazioni sanitarie i potenziali assicurati si dichiarano ben disposti a subire tutti gli accertamenti che l assicuratore voglia intraprendere; nel caso delle imprese che si vogliono finanziare si può proporre l ipoteca di un bene di elevato valore, o una fideiussione (segno che altri hanno fiducia nell impresa). Il compito del dittatore benevolente, in questo caso, non è semplice. Un primo suggerimento è emanare norme che incentivino, o obblighino, la certificazione di qualità da parte di agenzie indipendenti, sulle quali ricadano almeno in parte i costi delle frodi non scoperte da loro, e i premi per le frodi scoperte. In certi casi di rilevanza sociale si può obbligare tutti i cittadini a sottoscrivere certi contratti, in modo che non si presentino volontariamente solo i soggetti portatori delle qualità peggiori: un esempio è quello delle assicurazioni sanitarie pubbliche, oppure delle assicurazioni per la responsabilità civile degli automobilisti. Siccome anche uno schema pensionistico è, almeno in parte, un assicurazione (contro il rischio di vivere troppo! Se cosi accadesse potrebbero non bastare le risorse messe da parte per la vecchiaia), anche in questo caso molti sistemi sociali attivano sistemi previdenziali obbligatori, almeno sino a copertura di un minimo dignitoso di pensione. Facciamo un piccolo esercizio che potrebbe apparire fantascientifico, ma che è piuttosto chiarificatore a proposito di informazione asimmetrica e efficienza sociale in senso paretiano. Il monopolista studiato in precedenza fissa un prezzo tale per cui la domanda dei consumatori è pari alla quantità che gli garantisce il massimo profitto. Il monopolista, però, fa pagare il medesimo prezzo per ogni unità venduta, perché non sa distinguere le attitudini dei 14

15 suoi acquirenti (i quali si guardano bene dal comunicarglielo). Se il monopolista potesse conoscere il beneficio marginale individuale di ciascun consumatore che gli domanda una unità del bene (come se costui l avesse stampato sulla fronte, o il monopolista avesse un lettore a raggi x per le menti), saprebbe che alcuni sono disposti a pagare più di altri. Allora il monopolista potrebbe far pagare a ciascuno la cifra massima che costui è disposto a pagare per ogni unità (il suo beneficio marginale); ogni unità sarebbe venduta ad un prezzo diverso, e allora il monopolista avrebbe incentivo a vendere sino a quando il prezzo dell ultima unità venduta (che in questo caso è il suo ricavo marginale per quella unità: v. riquadro a pagina 9) non scende sotto al suo costo marginale. Dunque la quantità venduta sarebbe tale che il costo marginale sociale è pari al prezzo, cioè al beneficio marginale sociale: sarebbe la quantità efficiente! Come vedete, il mercato sarebbe efficiente se vi fosse informazione simmetrica tra consumatori e monopolista circa i benefici marginali dei consumatori: una sorta di conferma di quanto abbiamo detto a proposito delle auto usate (si noti che chi è meno informato, qui, è il venditore). Naturalmente in questo esempio fantascientifico il surplus sociale, che è massimo, è incamerato interamente dal monopolista: ma tale estrema iniquità non è rilevante dal punto di vista paretiano. Passiamo ora all altro esempio di informazione asimmetrica, l azione nascosta. Immaginate di aver delegato un avvocato a rappresentarvi al meglio in qualche causa civile; oppure, se avete già studiato giurisprudenza all università, immaginate di aver delegato un commercialista a tenere la vostra contabilità in modo da evitarvi il più possibile di oneri fiscali. Siccome non sapete niente di diritto e procedura civile (oppure di contabilità, basi imponibili e aliquote), come fate a sapere che il professionista che avete delegato farà di tutto per proteggere i vostri interessi? Non potete controllarlo, e anche se voleste non riuscireste a seguire tutti i dettagli delle sue procedure, perché è lui che ha sotto mano la situazione complessiva, non voi. Se capitasse qualcosa che va a vostro sfavore, il delegato potrebbe dire che è stata colpa di altri (giudici, impiegati del tribunale inefficienti, nuovi codicilli del sistema tributario, voi che avete sbagliato a segnalargli una vostra fattura; il caso; ) e voi non sapreste appurare se ciò è vero. Il fatto è che il delegato, poiché gli avete ormai assicurato un pagamento, può perseguire anche altri interessi propri che possono non coincidere, non dico andare in conflitto, con i vostri (suo riposo, sua carriera, sua segretaria). Insomma, il delegato ha incentivo a comportarsi in modo negligente, almeno in parte, nel senso che non spinge la propria azione fino al punto in cui un ulteriore sforzo superi l ulteriore vantaggio (quello che fareste voi, se poteste seguire direttamente i vostri interessi). Un fenomeno simile accade anche quando voi, assicuratore, assicurate qualcuno contro l incendio della casa: senza assicurazione costui prenderebbe più precauzioni, che invece non prende se assicurato, in quanto il costo di un eventuale incendio ricade almeno parzialmente su voi. Un altro esempio di comportamento negligente (alcuni traducono l espressione inglese, che denota l incentivo a sottrarsi a un dovere contrattuale, moral hazard, con azzardo morale ). L inefficienza, in questi esempi, risiede nel fatto che il beneficio marginale del solo delegato (o assicurato), in seguito alle azioni da lui intraprese, è inferiore al beneficio marginale sociale, che deve includere anche il vostro beneficio marginale in quanto deleganti (o assicuratori). Quali soluzioni si possono rintracciare? Spesso, in questo caso, l iniziativa privata è piuttosto fantasiosa, e riesce a trovare alcune soluzioni. Per esempio, gli assicuratori adottano lo schema bonus/malus, tale per cui se gli assicurati si dimostrano poco diligenti dovranno pagare premi maggiorati; un'altra soluzione tipica degli assicuratori sono le franchigie, tali per cui non vengono risarciti i danni inferiori ad un certo ammontare: gli assicurati, allora, essendo già piuttosto attenti a provocarsi danni di grave entità, ci penseranno due volte anche a permettersi piccole disattenzioni. Nel caso delle deleghe a professionisti o, più in generale, ad esperti (come i manager nei confronti degli a- zionisti) si cerca di formulare contratti tali per cui le loro remunerazioni sono correlate al risultato ottenuto. 15

16 Compito del dittatore benevolente, in questo caso, è quello di incentivare e proteggere il più possibile la scrittura di contratti dove chi sceglie azioni nascoste sia responsabile dei risultati, compatibilmente con la naturale casualità del mondo in cui viviamo. Per esempio, architettare contratti di impiego pubblico nei quali la remunerazione dipende solo dall anzianità non pare una soluzione efficiente al problema dell azione nascosta. Problemi analoghi si pongono in relazione alla normativa di governance delle organizzazioni private e pubbliche. Queste ultime osservazioni rimandano al tema, che non abbiamo modo di affrontare in queste lezioni, dell analisi economica del diritto: è una disciplina che studia la progettazione ottimale di norme, anziché di interventi specifici dell autorità. Si presume che l obiettivo del dittatore benevolente sia l efficienza sociale, e dunque suo compito sia quello di architettare regole orientate a quell obiettivo. Le applicazioni principali si situano nell ambito del diritto privato, civile, commerciale, ma esistono anche puntate verso il diritto penale; può essere interessante, su questa base, anche una valutazione comparativa delle proprietà del common law di stampo anglosassone e di quelle del civil law di stampo europeo continentale. 4. Questioni aperte Il dittatore benevolente che abbiamo immaginato in questa lezione non solo deve avere un potere di intervento indiscusso, in quanto dittatore, né solo deve essere amante dell efficienza sociale, in quanto benevolente. Deve anche possedere molta informazione. Per definire il prezzo di vendita che il monopolista deve praticare, oppure il livello di tassazione necessario a ridurre le esternalità negative al livello ottimale, oppure per proteggere legalmente i buoni schemi di limitazione del comportamento negligente, occorre che l autorità conosca molte cose che riguardano i privati: sostanzialmente tutti i loro costi e benefici privati (derivanti anche da effetti esterni). Da una parte raccogliere e gestire tutta questa informazione decentrata è molto costoso; dall altra parte è probabile che i privati abbiano incentivo a non svelare pienamente tali informazioni. Questo perché possono immaginare, a ragione, che quelle informazioni servano poi a cancellare o ridurre qualche piccolo o grande privilegio di cui godevano in conseguenza dei fallimenti del mercato. La scuola di Chicago, moderna espressione del liberismo economico, è pessimista circa le capacità del Governo di raccogliere ed utilizzare in modo centralizzato, e al contempo efficace, tutte le informazioni necessarie. Per contro, la stessa scuola è (guarda caso) più ottimista sulle capacità dei privati di capire quali siano le decisioni giuste da prendere nelle singole circostanze che li riguardano direttamente. Se si suppone che le informazioni necessarie all azione siano ben sintetizzate dai prezzi che si formano su mercati tendenzialmente concorrenziali, ecco che l uso dell informazione sarà molto più economico quando esso avviene in modo decentrato. F. Hayek, R. Coase e M. Friedman, tre notevoli esponenti di questa scuola e premi Nobel per l economia, sono i campioni di questo punto di vista, ciascuno a modo suo. Di Hayek avremo occasione di parlare ancora nelle prossime lezioni. Friedman è colui che tra l altro ha suggerito l idea, cui abbiamo accennato nella lezione 1, che gli individui scelgano come se fossero razionali, altrimenti perirebbero. Coase, invece, ha proposto un interessante idea che può spiegare l esistenza delle imprese così come le conosciamo: le imprese non sono luoghi impersonali in cui si verifica la trasformazione di input, acquistati la mattina nei rispettivi mercati, in output, venduti la sera nei rispettivi mercati. Esse sono invece organizzazioni, nel senso che al loro interno esistono rapporti gerarchici fra soggetti legati tra loro da contratti di lungo periodo. Il motivo per cui le 16

17 imprese operano come organizzazioni, anziché come centralini (fax, PC in rete, telegrafi, ecc., ma non contratti di lungo periodo) continuamente attivi su ogni mercato che le circonda, sono i costi di transazione, di cui si è parlato a pagina 13. Se usare i mercati non provocasse costi di transazione, le imprese si ridurrebbero a uffici di contrattazione collegate con una serie di agenzie interinali, dalle quali acquisterebbero solo sulla base dei prezzi letti in rete la mattina ( fornitemi 8 ore di lavoro del tal tipo, 7 ore di macchine, 200 Kw di energia, eccetera ). Data l esistenza dei costi di transazione, invece, le imprese preferiscono decidere di giorno in giorno cosa richiedere a soggetti con i quali è stato stipulato un contratto cornice di lunga durata: tale organizzazione interna evita loro di sopportare ogni giorno i costi transattivi associati ai rapporti con fornitori e clienti. Analogamente, in presenza di costi di transazione le imprese potrebbero preferire un integrazione verticale con le (acquisizione delle) linee produttive che forniscono (richiedono) loro i semilavorati. Ciò posto, perché le imprese organizzazioni, per evitare i costi di transazione, non arrivano ad assumere una dimensione planetaria (un unica impresa che gestisce in modo gerarchico tutta le produzione mondiale: un caso perfetto di economia pianificata)? La ragione è semplice, e consiste nei costi di organizzazione: gestire una gerarchia sempre più complessa fa aumentare a dismisura questo tipo di costi (in particolare quelli di monitoraggio, che dovrebbero impedire il comportamento negligente). Dunque Coase è il primo a riconoscere che l immagine semplicistica dei mercati, secondo la quale essi convogliano al meglio l informazione necessaria e non necessitano di centralizzazione, è falsificata dalla presenza dei costi di transazione. Gli argomenti svolti nell ultima parte di questa lezione, incluso il punto precedente, paiono suggerire che i problemi di inefficienza sorgano esclusivamente a qualche livello sovra individuale. Sembra che, mentre i singoli individui conoscono perfettamente i propri benefici e costi, qualche ragione esterna impedisca loro (o renda loro non conveniente) di far pervenire quell informazione al resto dell economia. Tali ragioni esterne includono l assenza di mercati degli opportuni diritti, l asimmetria dell informazione, l impossibilità di centralizzare l informazione, i costi di transazione, che sono altrettante cause di impedimento per il pieno dispiegarsi delle forze che conducono all efficienza. Dovremmo però riflettere su un fatto importante, del quale discuteremo ancora in una successiva lezione: siamo sicuri che i benefici o costi privati (inclusi quelli esterni) che i diversi partecipanti rappresentano a se stessi, e che l economista suggerisce di prendere come base per la valutazione dell efficienza, siano attendibili punti di riferimento, saldi come una legge fisica? In altri termini: possiamo dare per scontata la sovranità delle esigenze manifestate dai partecipanti al gioco? Per iniziare a riflettere su questo punto si considerino le seguenti domande. Cosa significa, in termini di bisogno, che una buona parte dei consumatori sia disposta a pagare prezzi elevati (= elevato BMa) per un video fonino di nuova generazione, o per un posto in un reality show? Come accade, nel dettaglio, che un prodotto abbia successo (= elevato BMa dei consumatori)? Perché non esiste una domanda elevata (= elevato BMa) per i diritti all aria pulita? Siamo sicuri che la nostra misura del benessere, fondata sui giudizi dei partecipanti, sia sempre corretta? 17

18 Per l approfondimento (Introduttivamente) I. Lavanda e G. Rampa, Microeconomia. Scelte individuali e benessere sociale, Roma, Carocci, 2004; capitoli 5, 6, 8 Economia del benessere Pigou A., Economia del benessere, Torino UTET, 1953 Johansson P., Introduzione alla moderna economia del benessere, Milano, Giuffrè, 1996 Ripoli M., Itinerari della felicità: la filosofia gius politica di Jeremy Bentham, James Mill, John Stuart Mill, Torino Giappichelli 2001 Chicago ; analisi economica del diritto Friedman M., Essays in Positive Economics, Chicago University Press, 1953 (alcune parti del precedente sono tradotte in:) Friedman M., Metodo, consumo e moneta, Bologna Il Mulino 1996 Coase R., Impresa, mercato e diritto, Bologna Il Mulino 1995 Coase R., La natura dell impresa. Il problema del costo sociale, Trieste, Asterios, 2001 Hayek F., Conoscenza competizione e libertà, Rubettino 1998 Hayek F., The Fortunes of Liberalism: Essays on Austrian Economics and the Ideal of Freedom, Chicago University Press, 1992 Hayek F., Legge legislazione e libertà, Il Saggiatore, 2000 Franzoni A., Introduzione all economia del diritto, Bologna, Il Mulino, 2003 Friedman D., L ordine del diritto, Bologna, Il Mulino,

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