Le nuove Linee Guida 231 di Confindustria

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1 Le nuove Linee Guida 231 di Confindustria Nel mio intervento, illustrerò brevemente le principali novità contenute nella nuova versione delle Linee Guida di Confindustria, per poi fare un cenno alle proposte di modifica della 231 da noi avanzate nell ambito della consultazione del Governo sulla riforma della Giustizia del mese scorso. Le nuove Linee Guida di Confindustria si caratterizzano per una profonda innovazione nel metodo e, in parte, nel merito. Sul piano metodologico, abbiamo tentato di compiere un lavoro di sintesi complessiva del documento, per fronteggiare l impetuoso aumento dei reati presupposto 231 registrato negli ultimi anni. In particolare: nella parte generale, l introduzione discorsiva sull evoluzione dei reati presupposto 231 è stata sostituita da una tabella di più immediata consultazione, che sintetizza per ciascun reato presupposto il tipo di sanzioni pecuniarie ed eventualmente interdittive previste; nella parte speciale, abbiamo completamente rivisitato il metodo di trattazione dei singoli reati presupposto. Anche in questo caso abbiamo sostituito la trattazione discorsiva dei vari gruppi di reato presupposto con tabelle illustrative delle principali aree a rischio reato e dei controlli preventivi. Da un punto di vista contenutistico, gli elementi innovativi delle nuove Linee Guida riguardano: l inserimento di un primo capitolo dedicato ai lineamenti della responsabilità dell ente. Le LG sono un documento pensato per parlare direttamente alle imprese; pertanto, la nuova sezione serve a fornire a queste ultime gli elementi essenziali per conoscere e orientarsi nel sistema 231; l arricchimento di riferimenti giurisprudenziali. La disciplina di molteplici temi afferenti la responsabilità 231 risente sempre più degli orientamenti della giurisprudenza. In particolare, le LG danno conto delle più recenti e autorevoli pronunce in tema di: 1

2 - criteri di imputazione della responsabilità 231, in particolare interesse o vantaggio rispetto ai reati colposi e elusione fraudolenta del modello 231 nei reati dolosi (quest ultimo aggiornamento riguarda la sentenza Impregilo di gennaio 2014); - il sistema sanzionatorio e cautelare: confisca e sequestro preventivo e applicazione in via cautelare di misure interdittive; - requisiti dell Organismo di Vigilanza; l approfondimento dei rapporti tra modello 231 e sistemi certificati in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di ambiente; la posizione di favore nei riguardi della possibilità, riconosciuta dal legislatore nel 2011, di affidare al Collegio Sindacale le funzioni di OdV; la trattazione organica del tema della responsabilità da reato nei gruppi di imprese, non direttamente affrontato nel decreto 231. Le funzioni OdV al collegio sindacale Si tratta di una delle molteplici opzioni che il legislatore riconosce all impresa. È nella responsabilità della singola impresa valutare la praticabilità di questa formula organizzativa nel caso concreto, in particolare alla luce delle caratteristiche della propria struttura organizzativa e del settore merceologico di attività, nonché dell area aziendale che, nel caso concreto, paia maggiormente a rischio di commissione di reati presupposto. Le LG si pongono in linea con il Codice Autodisciplina delle società quotate: l attribuzione delle funzioni di Odv al collegio sindacale rientra nella discrezionalità della singola società nell ambito di una complessiva razionalizzazione della funzione di controllo. Rimane comunque ferma l esigenza di assicurare l autonomia e indipendenza dell OdV anche quando le relative funzioni siano svolte dal collegio sindacale. 2

3 La più recente giurisprudenza ha escluso che la concentrazione di funzioni di controllo diverse in capo al medesimo organo in astratto comprometta l autonomia dell OdV. Ha piuttosto richiamato la dottrina che ricollega l autonomia e l indipendenza dell OdV-collegio sindacale alla chiara lettera dell art. 2399, lettera c), del codice civile (Corte Assise di Appello di Torino, sentenza 22 maggio Thyssenkrupp). È dunque responsabilità della singola impresa circondare i membri dell OdV di rafforzate garanzie di autonomia e indipendenza, in modo da rendere la scelta di questa soluzione organizzativa effettivamente in grado di prevenire reati presupposto. Rapporto tra il modello 231 e i sistemi certificati in materia di salute e sicurezza sul lavoro e ambiente: Spesso l impresa già dispone di sistemi certificati di gestione aziendale, soprattutto in materia di salute e sicurezza sul lavoro e di ambiente. Ma questi sistemi di per sé non garantiscono, a nostro avviso, all ente l esenzione da responsabilità 231, in quanto: - i requisiti di idoneità dei modelli ai fini dell esclusione dalla responsabilità 231 non sono del tutto corrispondenti a quelli richiesti per ottenere le certificazioni di qualità: ad esempio, l efficacia esimente da responsabilità 231 è condizionata all istituzione di un organismo di vigilanza e alla predisposizione di un sistema di controlli più elaborato di quelli previsti per il conseguimento o mantenimento di certificazione di qualità dei sistemi aziendali; - i sistemi di gestione certificati mirano spesso a migliorare l immagine e la visibilità delle imprese, consolidando il consenso che riscuotono sul mercato, mentre i modelli 231 servono a prevenire i reati nell ambito dell ente o comunque a mettere quest ultimo al riparo da responsabilità 231 se, nonostante l adozione e l efficace attuazione dei modelli, tali reati si verificano. 3

4 Quindi il fatto che un sistema di gestione aziendale sia certificato non può di per sé valere come esimente da responsabilità 231. Gruppi di imprese Non è configurabile una responsabilità 231 del gruppo: per l ordinamento il gruppo di imprese ha rilevanza sul piano economico, non anche giuridico. Il gruppo, quindi, non è un ente destinatario della responsabilità 231. Peraltro, si è tentato in vari modi di imputare alla holding la responsabilità per il reato della società controllata (estensione della responsabilità 231 nel gruppo). Per esempio, si è ipotizzata per i vertici della holding la qualifica di amministratori di fatto della controllata. Nella fisiologica realtà dei gruppi, però, tale soluzione non appare configurabile. Infatti: - la gestione e il controllo, cui l articolo 5 del decreto 231 si riferisce nell individuare l amministratore di fatto, possono solo genericamente e atecnicamente identificarsi nella direzione e coordinamento che la controllante esercita nei confronti della controllata; - inoltre, le singole società del gruppo, in quanto giuridicamente autonome, non possano qualificarsi come unità organizzative della controllante, dotate di autonomia finanziaria e funzionale ; - la disciplina positiva dell amministratore di fatto si oppone alla qualificazione della controllante come amministratore di fatto della controllata: l articolo 2639 del codice civile consente l estensione della qualifica soggettiva a condizione che vi sia esercizio continuativo e significativo dei poteri tipici della figura formale corrispondente. Quindi, solo se i soggetti apicali della capogruppo si ingerissero sistematicamente e continuamente nella gestione della controllata, così da rendere l autonomia giuridica di quest ultima meramente apparente, i vertici della holding potrebbero qualificarsi come amministratori di fatto della controllata. In questo caso, 4

5 peraltro, si verserebbe nella ipotesi del c.d. gruppo apparente, ben distante dalla fisiologica realtà dei gruppi, ove la holding indica la strategia unitaria del gruppo, ma le scelte operative per raggiungere gli obiettivi tracciati spetta irriducibilmente ai vertici della controllata. Per evitare che la commissione di reati presupposto nel gruppo coinvolga anche la holding, è essenziale che questa rispetti l autonomia giuridica delle singole imprese che compongono il gruppo. Questo implica che ciascuna società del gruppo predisponga autonomamente un proprio modello di organizzazione e gestione e che, mediante un proprio OdV, vigili sul funzionamento e sull osservanza del modello medesimo. Infine, l attività di direzione e coordinamento non crea di per sé una posizione di garanzia in capo ai vertici della controllante, tale da fondarne la responsabilità per omesso impedimento dell illecito commesso nell attività della controllata (art. 40, cpv., c.p.). Non c è alcuna disposizione che preveda in capo agli apicali della controllante l obbligo giuridico e i poteri necessari per impedire i reati nella controllata. Nelle società del gruppo, giuridicamente autonome, le funzioni di gestione e controllo sono svolte dai relativi amministratori (art bis c.c.), i quali potranno legittimamente discostarsi dalle indicazioni provenienti dalla holding, come detentrice di partecipazioni, senza incorrere in responsabilità verso quest ultima. Infine, l articolo 2497 in tema di direzione e coordinamento non individua alcun potere peculiare, in capo alla controllante, che non sia spiegabile alla luce del controllo azionario di cui dispone. Quindi la holding non risponde dei reati commessi nell ambito delle controllate, se non nei casi in cui: a) sia stato commesso un reato presupposto nell interesse o vantaggio immediato e diretto, oltre che della controllata, anche della controllante; b) persone fisiche funzionalmente collegate alla controllante abbiano partecipato alla commissione del reato presupposto recando un contributo causalmente 5

6 rilevante (Cass del 2011), provato in maniera specifica e concreta. Ad esempio possono rilevare: direttive penalmente illegittime: se i lineamenti essenziali dei comportamenti delittuosi realizzati dai compartecipi siano desumibili in maniera sufficientemente precisa dal programma fissato dai vertici; coincidenza tra i vertici della holding e della controllata (c.d. interlocking directorates): aumenta il rischio di propagazione della responsabilità all interno del gruppo, perché le società potrebbero finire per essere considerate soggetti distinti sul piano solo formale. Proposte in tema di responsabilità amministrativa degli enti Confindustria considera essenziale integrare il progetto di riforma della Giustizia, cui sta lavorando il Governo, con una seria revisione del sistema di responsabilità amministrativa degli enti, disciplinato dal d. lgs. n. 231/2011 (cd. decreto 231 ). In particolare, l obiettivo della revisione deve essere l attuazione di un migliore bilanciamento tra le esigenze penal-preventive e le garanzie di tutela della libertà di iniziativa economica e dell integrità patrimoniale degli operatori economici. Infatti, i limiti dell attuale disciplina hanno spesso determinato significative distorsioni delle dinamiche di mercato, con inevitabili ricadute negative in termini di competitività delle imprese italiane e, tra l altro, di attrattività degli investimenti esteri. Nell ottica di assicurare un adeguato contemperamento tra i molteplici interessi coinvolti, Confindustria ha predisposto alcune proposte di modifica al decreto 231, in gran parte condivise con l ABI. Innanzitutto, è prioritaria una decisa razionalizzazione del catalogo dei reati presupposto, che continua a subire incessanti integrazioni, allontanandosi dall iniziale intenzione del legislatore di contrastare i fenomeni della criminalità del profitto. Infatti, i successivi interventi normativi hanno esteso la punibilità a fattispecie di reato sempre più eterogenee e soprattutto poco attinenti all attività d impresa, con un notevole aggravio in termini di analisi del rischio e di predisposizione di un modello organizzativo adeguato. Sempre con riferimento al catalogo dei reati presupposto, è necessaria una riflessione sul reato di associazione per delinquere (art. 416 c.p.) la cui rilevanza 6

7 dovrebbe essere limitata ai casi in cui l associazione sia finalizzata a commettere uno dei reati presupposto 231. Infatti, la configurazione dei reati associativi come reati-mezzo ha l effetto di estendere la responsabilità dell ente ex decreto 231 a una serie indefinita di fattispecie criminose, commesse in attuazione del pactum sceleris e non necessariamente incluse nell elenco dei reati presupposto. Così, ad esempio, Cass. 6 giugno 2013 n.24841, stabilsce che la responsabilità amministrativa degli enti si applica anche ai reati tributari se sono il fine dell associazione per delinquere. Ciò rende peraltro molto complessa l attività di analisi del rischio e, di conseguenza, l individuazione di protocolli adeguati a evitare la realizzazione del reato. Inoltre, sarebbe opportuno riconoscere in favore degli enti un termine ragionevole per adeguare i propri modelli organizzativi all introduzione di nuovi reati presupposto, prevedendo al contempo l esclusione della punibilità dell ente per i reati commessi nelle more. Ciò risponderebbe all esigenza di garantire un adeguata e puntuale analisi dei rischi necessaria ai fini di un efficace aggiornamento del modello. Sul piano sanzionatorio, si rileva che, allo stratificarsi degli interventi che hanno ampliato il novero dei reato-presupposto, non ha fatto da contrappunto una coerente scelta delle sanzioni stabilite per l ente. Si tratta di un apparato sanzionatorio sproporzionato, sul quale è peraltro di recente intervenuta anche una sentenza della Corte Europea dei Diritti dell Uomo (del 4 marzo 2014), che - decidendo in tema di abusi di mercato - ha esteso il principio del ne bis in idem, sinora limitato alle sanzioni penali, anche alle pene amministrative. Si impone, pertanto, un intervento sistematico sull apparato sanzionatorio, la cui capacità deterrente non confligga con i principi di coerenza ed equilibrio nella definizione della pena. Con riferimento alle specifiche sanzioni amministrative previste dal decreto 231, è importante rivedere i criteri di scelta e applicazione di quelle interdittive (art. 14), in considerazione della loro elevata invasività per la vita dell ente. In particolare, si dovrebbe prevedere che il giudice valuti, oltre ai criteri di natura oggettiva già previsti (previsti all art. 11: gravità del fatto; grado di responsabilità dell ente; attività svolta per eliminare o attenuare le conseguenze del fatto e 7

8 prevenire ulteriori illeciti), anche alcuni parametri soggettivi, quali la capacità patrimoniale, le dimensioni e la solidità economico-finanziaria dell ente. Allo stesso tempo, appare necessario integrare i presupposti per l applicazione delle misure cautelari, di tipo sia interdittivo che patrimoniale, disciplinate nella Sezione IV del decreto 231. Questo intervento dovrebbe seguire due direttrici: i) anticipare la valutazione dei suddetti parametri soggettivi già in sede cautelare, fase che richiede maggiori presidi a tutela dell ente, dal momento che si tratta di un momento precedente all effettiva dimostrazione della sua colpevolezza; ii) precisare espressamente che i richiamati presupposti, oggettivi e soggettivi, devono orientare la decisione del giudice nell applicazione delle misure cautelari non solo interdittive, ma anche patrimoniali (v. artt. 53 e 54 su sequestro preventivo e sequestro conservativo). Infatti, la formulazione delle disposizioni sul sequestro preventivo e conservativo non richiama le norme sui criteri di scelta delle misure cautelari, con il rischio che, in sede di applicazione di quelle patrimoniali, non si considerino tutti i presupposti previsti dalla disciplina generale. Infine, sarebbe opportuno prevedere l inapplicabilità delle misure interdittive in via cautelare durante le indagini preliminari e fino a sentenza di condanna di primo grado. In materia probatoria, si rileva la necessità di eliminare l inversione del relativo onere a carico dell ente previsto nel caso di reati commessi da soggetti apicali (art. 6), assimilando tale regime probatorio a quello, diverso e più favorevole, vigente per i reati commessi da sottoposti (art. 7). Infatti, in presenza di un reato presupposto realizzato da un apicale, è previsto che sia l ente, e non la pubblica accusa, a dover dimostrare la propria innocenza. Ne deriva che, di fatto, l ente è tenuto a fornire la prova della propria innocenza e, soprattutto, dell avvenuta elusione fraudolenta del modello organizzativo, da parte di un soggetto che deve aver agito nel proprio esclusivo interesse o vantaggio. Tale regime rende eccessivamente gravosa la posizione processuale dell ente indagato, sovvertendo peraltro i naturali principi di presunzione di innocenza su cui si fonda l ordinamento penale. Pertanto, si propone di attribuire alla pubblica accusa l onere di dimostrare la sussistenza dei presupposti della responsabilità amministrativa dell ente. Con riferimento all efficacia dei modelli organizzativi, sarebbe opportuno agevolare le imprese fissando alcuni requisiti minimi di astratta idoneità del 8

9 modello organizzativo che chiariscano, ad esempio, aspetti operativi e presupposti riguardanti l attività e la composizione dell Organismo di vigilanza. Infine, è importante colmare una lacuna del decreto 231, introducendo una specifica disciplina della responsabilità dell ente nei gruppi di imprese. In particolare, tale disciplina dovrebbe tendere a neutralizzare il rischio di un automatica estensione alla capogruppo della responsabilità della società controllata per il reato in essa realizzato, laddove non ricorra anche l interesse o vantaggio della capogruppo stessa. 9

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