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1 NOTA A CORTE DI CASSAZIONE, TERZA SEZIONE CIVILE, 19 febbraio 2013, n A cura di Veronica Sicari Ancora una volta, la Corte evidenzia il nesso inerente tra l inesatta informazione ed il verificarsi dell esito infausto dell evento Con la sentenza in epigrafe, la Corte di Cassazione ha avuto modo di occuparsi ancora una volta della dibattuta questione concernente uno degli aspetti più delicati della responsabilità medica, ossia la responsabilità da omessa o inesatta informazione. Il tema si inquadra nella questione del c.d. consenso informato, ormai pacificamente ritenuto diritto costituzionalmente garantito, in quanto diretta espressione della libertà di autodeterminazione terapeutica, sulla scorta dell interpretazione fornita dalla Corte Costituzionale in due pronunce. Nel caso de quo, la Corte di Cassazione, in linea con gli ultimi arresti giurisprudenziali sul tema, accogliendo il ricorso proposto, riconosce la lesione del consenso informato della paziente, in quanto non è avvenuto un incontro di volontà efficace in relazione ad un contenuto di informazione medica assolutamente carente e fuorviante, precisando che il consenso non consapevole dalla stessa prestato sia da inserirsi nella sequenza logica che ha portato al peggioramento delle condizioni di salute della ricorrente. Il fatto. A seguito di alcuni interventi chirurgici eseguiti presso l Azienda Ospedaliera di Parma, dai quali ne era derivato un peggioramento del proprio stato di salute, una paziente conveniva in giudizio l ente ospedaliero, i chirurghi autori degli interventi, la Regione Emilia e l AUSL chiedendo tanto in primo, quanto in secondo grado, il riconoscimento della responsabilità in solido e il risarcimento dei danni biologici, patrimoniali e non patrimoniali. Respinte le doglianze in entrambi i gradi di giudizio, la ricorrente proponeva ricorso in cassazione avverso la sentenza del giudice di secondo grado, lamentando un error in procedendo, avendo la Corte erroneamente considerato nuova domanda la richiesta di riconoscimento dell errata diagnosi compiuta dai sanitari circa la patologia di cui era affetta la donna, e sulla base della quale l intervento era stato ritenuto, dagli stessi, necessario; l error in iudicando per violazione dell art cc e vizio della motivazione nella parte che riguarda l accertamento di un peggioramento della patologia quale conseguenza dell intervento subito ed, infine, la violazione degli artt. 1218, 2697 cc 1

2 e art. 13 Cost. e 54 c.p., nonché vizio della motivazione in relazione alla prova del danno da mancato consenso informato e del diritto del paziente ad essere informato. Investita della questione, la Terza Sezione accoglieva il ricorso in tutte le sue parti, aderendo, quindi, all orientamento ormai consolidatosi in materia di responsabilità medica, sotto il particolare profilo della violazione del consenso informato. I sanitari avevano, infatti, prospettato come necessario un intervento in realtà non dovuto, sulla base di un errata valutazione della patologia della paziente. Dall errore medico, comprovato da consulenze di parte e d ufficio, ne era derivato, quindi, un aggravamento permanente delle condizioni di salute della paziente, la quale agiva per il risarcimento tanto del pregiudizio fisico, quanto per il ristoro della propria libertà di autodeterminazione terapeutica. Il merito della questione. Con riguardo al primo motivo di ricorso, la Corte ritiene errata la conclusione a cui era pervenuta la Corte d Appello di Bologna che, qualificandola come nuova domanda, riteneva inammissibile la richiesta di accertamento dell errore diagnostico che aveva condotto all intervento chirurgico incriminato. Nel caso di specie, infatti, dalla diagnosi dei sanitari, derivava l esecuzione di un trattamento sanitario invasivo che non sarebbe stato dalla paziente assentito se non fosse stato prospettato dai sanitari come necessario; è chiaro, quindi, come errore diagnostico, errata informazione, consenso e intervento invalidante appartengano alla medesima sequenza logica di avvenimenti, e costituiscano gli estremi del medesimo fatto dannoso contestato, sussumibile, senza dubbio alcuno, sotto la disciplina dei principi della responsabilità professionale. Si legge, infatti, in sentenza che la specificazione dell error in iudicando riferito alla sequela dello errore diagnostico e intervento chirurgico assentito sulla base di errata informazione delle condizioni di salute, non costituisce domanda nuova, ma è atto intrinseco alla deduzione di una domanda diretta ad accertare la responsabilità civile secondo le circostanze note ed allegate. La Corte accoglie anche la prospettazione effettuata dalla ricorrente con il secondo motivo, riconoscendo, quindi, l incongruità della motivazione fornita in sentenza dalla Corte d Appello di Bologna: in sentenza, infatti, da una parte si accerta il peggioramento delle condizioni di salute della paziente conseguenti all intervento subito, ma dall altra si esclude l imputabilità soggettiva della mancata realizzazione della prestazione di garanzia, classificando l intervento come routinario. La Corte di Cassazione ritiene violato il disposto dell art cc: l attrice ha fornito la prova dell aggravamento delle sue condizioni di salute quale esito infausto del trattamento; al 2

3 contrario, i sanitari e la struttura ospedaliera convenuti non hanno fornito la prova dell impossibilità derivante da una complicanza non prevedibile o non prevenibile; né, al fine di eludere tale onere probatorio, può ipotizzarsi in capo ai convenuti un ipotesi di colpa lieve, in quanto dalle risultanze processuali è emerso come, in realtà, l errore diagnostico sia derivato da una gravissima negligenza, cioè l aver operato prima di avere la certezza di un tumore conclamato e diffuso tale da rendere improrogabile l intervento. Infine, la Terza Sezione accoglie anche il terzo motivo di ricorso, riconoscendo la lesione del diritto al consenso informato della paziente: infatti non è [dunque] avvenuto un incontro di volontà efficace in relazione ad un contenuto di informazione medica assolutamente carente e fuorviante. I giudici ricordano come, per potersi avere un consenso valido ed efficace, è necessario che i sanitari forniscano al paziente tutte le informazioni riguardanti il proprio quadro clinico, al fine di poter acconsentire in maniera consapevole al trattamento sanitario prospettato. Nel caso de quo è evidente come dall errata informazione circa le proprie condizioni di salute, prospettando come improrogabile un intervento chirurgico invasivo, in realtà non necessario, il consenso fornito dalla parte attrice debba considerarsi errato e non consapevole, con conseguente lesione del proprio diritto di autodeterminazione al trattamento terapeutico ai sensi degli artt. 2, 13 e 32Cost. Per tutti questi motivi, la Terza Sezione accoglie il ricorso principale, dichiara inammissibile quello incidentale proposto dalla Regione Emilia Romagna e cassa con rinvio la sentenza della Corte d Appello di Bologna, per una nuova pronuncia che tenga conto delle indicazioni di diritto ed in merito all onere della prova prospettate. Il dibattito sui confini della responsabilità medica. Sussistono nel nostro ordinamento una serie di attività che, seppur potenzialmente capaci di immettere un pericolo, vengono ammesse in quanto ritenute socialmente utili. È questo il campo del c.d. rischio consentito, che ricomprende tutte quelle attività caratterizzate da protocolli comportamentali che, avendo natura cautelare, consentono di prevenire il verificarsi di eventi dannosi. In questo ambito va inserita la colpa professionale, i cui profili più discussi attengono l individuazione dell esatta portata dei limiti di liceità dell attività medica. L elaborazione giurisprudenziale in materia ha riguardato tanto i profili sostanziali, quanto quelli processuali. Sul versante sostanziale, la regola posta dall art cc, a mente della quale se la prestazione implica la soluzione di problemi tecnici di speciale difficoltà, il prestatore d opera non 3

4 risponde dei danni, se non nei casi di dolo o colpa grave, è stata oggetto di interpretazioni restrittive. La ratio di tale sforzo ermeneutico è evidente: lo scopo perseguito è quello di evitare che, ricorrendo a tale esimente, si finisse per svilire la portata del dovere di diligenza previsto dal legislatore del 42 nel secondo comma dell art cc; al professionista, infatti, viene chiesto il livello più elevato di diligenza, la c.d. perizia, intesa come conoscenza e applicazione di quel complesso di regole tecniche proprie della categoria professionale di appartenenza. La responsabilità del medico va, quindi, ricondotta alla violazione degli obblighi specifici derivanti da regole di condotta ben precise, vale a dire le leges dell ars medica 1. Sul versante processuale, le questioni di maggior interesse hanno riguardato l individuazione del criterio del riparto dell onus probandi tra medico e paziente, reso ancor più controverso dalla tradizionale riconduzione della prestazione medica tra le c.d. obbligazioni di mezzo. In queste obbligazioni, l oggetto della prestazione non consisteva nel conseguimento di un determinato risultato, quanto, piuttosto, nella pretesa di una condotta svolta secondo i parametri della diligenza. Per tradizione, in queste ipotesi, l onere di provare l inadempimento (o l inesatto adempimento) gravava sul creditore-paziente, con evidenti ed inevitabili difficoltà di ordine tecnico e pratico. Difficoltà rese ancor più ardue nelle ipotesi di interventi di difficile esecuzione: anche in questi casi, il paziente, per ottenere ristoro delle proprie pretese, avrebbe dovuto dimostrare che, alla luce delle circostanze del caso concreto, l eventuale esito infausto verificatosi, era addebitabile ad un errore del medico. Si rese necessario, a tal proposito, l intervento delle Sezioni Unite che, con la sentenza 30 ottobre 2001, n , affermarono l esistenza di un unico criterio di riparto dell onere della prova, che prescindendo dalla natura dell obbligazione dedotta, si fondi sui principi di vicinanza della prova e di persistenza presuntiva del diritto in capo al creditore. In questo modo, venivano espunte dall ordinamento, per lo meno con riguardo al profilo probatorio, le tradizionali dicotomie tra obbligazioni di mezzo e di risultato e interventi di routine e interventi di difficile esecuzione 2. 1 Ex multis, Cassazione Civile, Sez. III, 3 marzo 1995, n. 2466, in Giur. It., 1996, I, 1, 91, nella quale la Corte precisa che il medico-chirurgo nell adempimento delle obbligazioni contrattuali inerenti alla propria attività professionale è tenuto ad una diligenza che non è solo quella del buon padre di famiglia, come richiesto dall art. 1176, comma 1, cc, ma è quella specifica del debitore qualificato, come indicato dal comma 2 dell art. 1176, la quale comporta il rispetto di tutte le regole e gli accorgimenti che nel loro insieme costituiscono la conoscenza della professione medica, tenendo conto che il progresso della scienza e della tecnica ha notevolmente ridotto nel campo delle prestazioni medicospecialistiche l area della particolare esenzione indicata dall art cc. 2 Con riferimento alla distinzione tra interventi di routine e interventi di difficile esecuzione, la Cassazione con sentenza 28 maggio 2004, n ha affermato che: la distinzione tra prestazione di facile esecuzione e prestazione implicante la soluzione di problemi tecnici di particolare difficoltà non rileva più quale criterio di distribuzione dell onere della 4

5 Di particolare interesse risulta anche il dibattito giurisprudenziale sviluppatosi attorno alla distinzione tra la responsabilità della struttura sanitaria e quella a cui è chiamato a rispondere il singolo medico che ha posto in essere la condotta colposa, causa di pregiudizio per il paziente. A seguito di una pronuncia a Sezioni Unite, la sentenza 11 gennaio 2008, n. 577, è oggi pacifico che l ente ospedaliero risponda ai sensi dell art cc, sulla base del contratto intervenuto con il paziente (il c.d. contratto di spedalità). Per quanto attiene, invece, il medico, risulta superato l orientamento che riconduceva la sua violazione al novero dell extracontrattualità, stante l assenza di un rapporto contrattuale tra lo stesso e il paziente, a favore dell attuale inquadramento nel campo della responsabilità contrattuale, che trova la sua fonte nel c.d. contatto sociale instaurato con il paziente stesso. Di recente, il legislatore nazionale è intervenuto in materia, attraverso l emanazione del d. l. 13 settembre 2012, n. 158, convertito dalla legge 8 novembre 2012, n Con tale intervento legislativo, si è inteso ridisegnare i confini della colpa medica, in modo, invero, non poco controverso. In particolare, con l art. 3 così come modificato in sede di conversione, il legislatore si è occupato di limitare l ambito della responsabilità medica con riguardo al profilo penalistico, escludendo la responsabilità medica in sede penale se l esercente l attività sanitaria si attiene a linee guida e buone pratiche accreditate dalla comunità scientifica. Pur tuttavia, nella medesima norma, è stabilito che tale esimente non fa venir meno la configurazione di un illecito civile, restando ferma la clausola generale del neminem laedere di cui all art cc. Ed è proprio tale inciso ad apparire particolarmente criptico: infatti, se si dovesse ritenere che il legislatore abbia richiamato la norma di cui all art cc al fine di garantire un risarcimento del danno nelle ipotesi di colpa lieve in sede civile, la dicitura dovrebbe considerarsi superflua, posto che il primo periodo dell art. 3 stabilisce la limitazione della responsabilità espressamente per quanto attiene al profilo penale. Probabilmente, il richiamo alla norma di cui all art cc deve essere inteso in senso atecnico, perché diversamente opinando, la ratio dell esplicita menzione della norma cardine del sistema extracontrattuale altro non sarebbe che un esplicito superamento dell ormai pacifico inquadramento della responsabilità medica nel novero di quella contrattuale, con buona pace dell annosa e ampiamente dibattuta teorica del contatto sociale qualificato. prova, ma dovrà essere apprezzata per la valutazione del grado di diligenza e del corrispondente grado di colpa, restando comunque a carico del sanitario la prova che la prestazione era di particolare difficoltà. 5

6 In linea con uno dei criteri cardine dell interpretazione della legge, ossia il criterio letterale, forse è più opportuno ritenere che l ambito applicativo della norma contenuta all art. 3 della legge 189/2012 sia esclusivamente quello penale. Inserire una clausola di esenzione da responsabilità nel settore penale potrebbe esser giustificata dallo scopo di arginare il fenomeno ormai invalso della c.d. medicina difensiva, consistente in pratiche diagnostiche o misure terapeutiche condotte principalmente non per assicurare la salute del paziente, ma per evitare di incorrere in eventuali responsabilità giuridiche, lasciando comunque inalterato il criterio risarcitorio in sede civilistica. La responsabilità per omessa o incompleta informazione e il consenso informato. Tra i dibattiti giurisprudenziali concernenti i diversi profili della responsabilità medica, ha acquisito un rilievo particolare quello sorto, e non ancora composto, attorno alla nozione di consenso informato. Non tanto con riguardo alla sua natura giuridica, in quanto ormai pacificamente ricompreso, anche grazie all intervento, in più occasioni, della Corte Costituzionale, tra i diritti costituzionalmente protetti e garantiti, quanto, piuttosto, sul versante risarcitorio e al riparto dell onere della prova. Come già accennato, il consenso informato è diritto di rango costituzionale, consistente nella possibilità, per ogni individuo, di poter partecipare consapevolmente alla scelta terapeutica, e si sostanzia, quindi, in senso più generale, quale espressione della libertà di autodeterminazione, direttamente discendente dagli artt. 32, comma secondo e 13 Cost., nonché da altre norme di rango sovranazionale, tra le quali meritano menzione la Convenzione di Oviedo e la Dichiarazione Universale dei Diritti dell Uomo e del Cittadino. Inizialmente qualificato quale causa di giustificazione, capace di far venir meno l antigiuridicità dell attività medico-chirurgica ai sensi dell art. 50 c.p., la Corte Costituzionale, seguendo l orientamento ormai predominante nella giurisprudenza della Corte di Cassazione, con la sentenza n. 438/2008 (poi riconfermata nella successiva sentenza n. 253/2009), ha definito il consenso informato quale diritto costituzionalmente garantito nei termini già visti, e ha avuto modo, altresì, di specificare come questo costituisca il momento di sintesi di due diritti fondamentali della persona: quello all autodeterminazione e quello alla salute, in quanto, se è vero che ogni individuo ha diritto di essere curato, egli ha, altresì, il diritto di ricevere le opportune informazioni in ordine alla natura e ai possibili sviluppi del percorso terapeutico cui può essere sottoposto, nonché delle eventuali terapie alternative; informazioni che devono essere le più esaurienti 6

7 possibili, proprio al fine di garantire la libera e consapevole scelta da parte del paziente e, quindi, la sua stessa libertà personale, conformemente art. 32, secondo comma, Cost. 3. Oltre a rappresentare un diritto nei termini anzidetti, il consenso informato rappresenta anche, e soprattutto, il fondamento di liceità dell attività medica, che intanto può dirsi lecita e quindi non arbitraria e irrilevante tanto ai fini penalistici e quanto a quelli risarcitori, in quanto il soggetto non l abbia rifiutata (salvo i casi di trattamenti sanitari obbligatori, espressamente indicati dalla legge) 4. La giurisprudenza ha chiarito i requisiti che il consenso deve possedere al fine di poter esser considerato rilevante: innanzitutto, deve essere personale, ossia manifestato dal paziente, purché si tratti di persona cosciente e capace di intendere e volere 5 ; deve essere esplicito e specifico, intendendo con tale aggettivo la necessità che il consenso debba riguardare di volta in volta il singolo intervento prospettato; quindi, nei casi di attività medica frazionata, dovranno esser prestati tanti consensi, quante sono le frazioni di attività da porre in essere di volta in volta. Ancora, il consenso deve precedere l intervento e potrà essere revocato fin quando è possibile interrompere l attività già iniziata; non dev essere contrario all ordine pubblico e al buon costume, ed infine, deve essere consapevole. Il requisito della consapevolezza abbraccia due aspetti: da una parte, potrà definirsi consapevole solo quel consenso non soggetto a vizi (coartazione, inganno ed errore); dall altra, si avrà consenso consapevole solo a fronte di un adeguata e completa attività informativa del sanitario. In questo senso, la giurisprudenza ha affermato che l informazione fornita dal sanitario debba riguardare la piena conoscenza della natura dell intervento medico-chirurgico, della sua portata ed estensione, dei suoi rischi, dei risultati conseguibili e delle possibili conseguenze negative 6. La centralità rivestita dal consenso informato ai fini della stessa liceità dell attività medica e la sempre più certosina puntualizzazione degli obblighi informativi gravanti sul medico operata dai giudici di legittimità, hanno spinto dottrina e giurisprudenza ad interrogarsi non soltanto sulla natura giuridica di tale responsabilità, ma altresì sull esatto momento in cui questa si configuri, se a prescindere di un danno alla salute o indipendentemente da questo, e sull eventuale ripartizione dell onere della prova in sede di giudizio tra paziente e medico. 3 Corte Costituzionale, sentenza 438/ Il trattamento sanitario obbligatorio, così come specificato dall art. 1 della l. 180/ 78, si configura come eventualità del tutto eccezionale, una deroga espressamente autorizzata dalla legge al principio del necessario consenso, nel pieno del rispetto dell art. 32 della Costituzione. 5 Nel caso in cui il soggetto sia incapace o minore o privo di coscienza, l approvazione al trattamento sarà esercitata dal rappresentante legale, quindi genitore o tutore legale. 6 Corte di Cassazione, 23 maggio 2001, n. 7027, in Foro It., 2001, I,

8 Con particolare riferimento alla sua natura giuridica, può considerarsi oggi superato l orientamento in base al quale la responsabilità da omessa o inesatta informazione fosse qualificabile come precontrattuale, inquadrando l obbligo informativo gravante sul medico quale ulteriore adempimento di quella buona fede richiesta dalle parti durante le trattative e nella fase della formazione del contratto ai sensi dell art cc 7. Si è infatti sostenuto che solo dopo l espletamento della fase diagnostica, quindi solo dopo la conclusione del contratto o successivamente all intervenuto contatto sociale, sorge in capo al sanitario l obbligo di informazione,: l eventuale responsabilità per violazione dell obbligo informativo è, quindi, contrattuale 8. Ma è sul versante risarcitorio che la violazione dell obbligo informativo ha animato il dibattito: il tema ancora oggi discusso, in seno alla giurisprudenza della Corte Suprema, concerne la sua autonomia rispetto alla lesione del diritto alla salute. Non mancano pronunce nelle quali tale autonomia viene negata: al fine di poter ottenere un ristoro dalla lesione al diritto all autodeterminazione medica è necessario che il paziente riesca a dimostrare il nesso causale intercorrente tra l omissione del medico e il pregiudizio alla salute derivante dall intervento non acconsentito, risultando, in questo caso, irrilevante che il peggioramento sia dovuto ad un errata o corretta esecuzione del trattamento 9. In particolare, la mancata comunicazione delle informazioni riguardanti l esecuzione dell intervento, impedendo al paziente di assentire consapevolmente al trattamento, con coscienza e conoscenza dei rischi a questo connesso, fa sì che l alea trasli dal paziente al sanitario, il quale dovrà rispondere non soltanto della lesione del diritto all autodeterminazione terapeutica, ma anche dei conseguenti danni alla salute. L esito peggiorativo, infatti, costituisce l esito del rischio che il sanitario ha omesso di comunicare al paziente, e che, quest ultimo, con il consenso, avrebbe accettato. La stessa Corte di Cassazione con la sentenza n /2004 afferma che: non è l inadempimento da mancato consenso informato che è di per sé oggetto di risarcimento, ma il danno consequenziale, secondo i principi di cui all art cc. L orientamento oggi maggioritario ritiene, al contrario, che la violazione del diritto all autodeterminazione costituisca autonoma voce risarcitoria di danno, a prescindere, quindi, dall eventuale esito infausto dell intervento, sulla scorta della violazione dell art. 32, comma secondo e 13 Cost. 7 Ex multis, Corte di Cassazione, Sez. III, 25 novembre 1994, n , in Nuova giur. civ. comm., 1995, I, In questo senso, di recente, Corte di Cassazione, Sez. III, 9 febbraio 2010, n Corte di Cassazione, Sez. III, 14 marzo 2006, n. 5444, in Foro It., Rep.,

9 La pronuncia emblematica in tal senso è la sentenza n. 2847/2010, nella quale la Corte, dopo aver affermato l autonomia risarcitoria della lesione del consenso informato, alla condizione, però, che le conseguenze pregiudizievoli di carattere non patrimoniale siano di apprezzabile gravità, e che il danno non sia futile, affronta la questione riguardante il risarcimento del danno alla salute derivante da un intervento effettuato in assenza di consenso. In questo specifico caso, a detta della Corte, per poter ottenere un ristoro per il peggioramento delle condizioni di salute, il paziente dovrà dimostrare, anche tramite presunzioni, che ove compiutamente informato, avrebbe rifiutato l intervento, non potendosi altrimenti dotare di rilevanza causale l omessa informazione con riguardo alla verificazione dell evento dannoso. Conclusioni. Come è stato ampiamente dimostrato dalla disamina delle varie pronunce intervenute sul tema del diritto all autodeterminazione terapeutica e al consenso informato alle cure, non può di certo concludersi nel senso di considerare acquisito il concetto di autonomia risarcitoria della lesione da omessa o incompleta informazione. E nella sentenza in commento, in realtà, la Cassazione nulla aggiunge al riguardo, limitandosi a ribadire quanto stabilito ormai pacificamente in materia di riparto dell onere probatorio nella colpa medica, e avendo premura di dimostrare, piuttosto, il nesso inerente tra l inesatta informazione e il verificarsi dell esito infausto dell evento, dando per presunta la non corretta esecuzione dell intervento, mai affermando chiaramente l emancipazione del diritto all autodeterminazione rispetto alla lesione della salute. Rebus sic stantibus, e soprattutto in considerazione della rilevanza sociale del tema oggetto di dibattito, anche sul diverso versante del diritto a rifiutare le cure, con tutte le problematiche al limite tra il diritto e l etica a questo connesso (si pensi al tema dell accanimento terapeutico, o della possibilità di interruzione delle cure per i pazienti che versano nel c.d. stato vegetativo permanente, diretta espressione del diritto all autodeterminazione terapeutica), a parere di chi scrive risulta ad oggi doveroso un intervento legislativo, che non si limiti soltanto a quantificare, con l introduzione di limiti tabellari, il quantum debeatur, ma che piuttosto si occupi della definizione precisa dell an debeatur, stabilendo in modo chiaro e preciso i limiti di operatività del diritto in questione, in un ottica di tutela di un bene che appartiene al medesimo rango di quello alla salute. 9

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