Lo studio della propagazione della luce tramite raggi è l'oggetto dell'ottica geometrica.

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1 Ottica geometrica L'ottica studia la propagazione della luce. Non si occupa quindi della natura della luce né di come essa è prodotta ed assorbita. In prima approssimazione si osserva sperimentalmente che la luce si propaga, in mezzi omogenei, per raggi che non sono altro che linee rette. Lo studio della propagazione della luce tramite raggi è l'oggetto dell'ottica geometrica. In realtà le cose sono molto più complicate e la luce si può immaginare sia costituita da raggi solo in alcune ben precise situazioni ed entro certi limiti. La storia delle ipotesi scientifiche sulla luce inizia con Newton nella seconda metà del ' 600. Egli ipotizzò che la luce fosse costituita da corpuscoli colorati in moto rettilineo. Newton fu quindi il padre dell'ipotesi corpuscolare della luce. Tramite quella ipotesi, egli riuscì a spiegare tutti i fenomeni luminosi noti compresa la dispersione della luce bianca nei vari colori (arcobaleno). Nello stesso periodo, Huygens ipotizzò invece che la luce fosse costituita da onde. Questa è la cosiddetta ipotesi ondulatoria che però per lungo tempo non ottenne grandi successi e ad essa fu preferita quella corpuscolare. Solo nell' '800 l'ipotesi ondulatoria divenne preminente e tutti fenomeni luminosi allora conosciuti furono spiegati in termini di onde elettromagnetiche (la luce è infatti un tipo di onda elettromagnetica). L'ipotesi corpuscolare fu allora abbandonata. Ma nel ' 900 nuovi fenomeni prima sconosciuti, quali per esempio l'effetto fotoelettrico, per essere spiegati, richiesero l'ipotesi che la luce fosse costituita da fotoni, corpuscoli di luce (Planck, Einstein). Si ipotizzò allora che la luce avesse una duplice natura, corpuscolare ed ondulatoria, e che, a seconda dei casi, si poteva manifestare l'una o l'altra Ottica geometrica. I fenomeni tipici dell'ottica geometrica (con la quale essi si spiegano con grande approssimazione) sono : - la riflessione :

2 è il fenomeno con cui un raggio di luce viene riflesso da una superficie speculare (uno specchio) : - la diffusione : è il fenomeno per cui i raggi di luce vengono riflessi in ogni direzione da una superficie non speculare (un corpo ruvido, per esempio). I raggi inizialmente paralleli vengono riflessi in ogni direzione dalla non uniformità microscopica (vi sono varie microsuperficie riflettenti secondo angoli diversi) della superficie riflettente : - la rifrazione : diversa è il fenomeno per cui un raggio di luce, passando da un mezzo trasparente in un altro, di densità, devia il proprio percorso :

3 Si noti che una parte del raggio incidente viene riflessa. Si noti anche che, il raggio di luce uscente dal vetro all'aria, alla fine, se le superficie del vetro sono parallele, sarà parallelo al raggio incidente. Se le superficie del vetro non sono parallele, il raggio uscente non è più parallelo al raggio entrante : - la dispersione : colori : è il fenomeno per cui la luce bianca, passando attraverso un prisma, si scompone nei vari che la compongono che vanno dal rosso al violetto, i cosiddetti sette colori dell'arcobaleno Il fenomeno si spiega a causa del fatto che i vari colori subiscono rifrazioni diverse nel

4 passare dall'aria al vetro ed ancora nell'aria. Il rosso è il meno deviato, il violetto il più deviato. Passiamo ora in rassegna i vari fenomeni più dettagliatamente Riflessione. Consideriamo un raggio che viene riflesso da uno specchio e determiniamo esattamente le caratteristiche del fenomeno. Innanzi tutto, nel punto in cui il raggio incidente tocca lo specchio, si deve costruire la normale, ovvero la retta perpendicolare al piano in quel punto. Detto questo occorre precisare che il raggio incidente si indica con, il raggio riflesso con, l'angolo di incidenza, che è l'angolo fra il raggio incidente e la normale, con e l'angolo di riflessione, l'angolo cioè fra il raggio riflesso e la normale, con. In sintesi : Precisata la "nomenclatura" del fenomeno della riflessione, affermiamo che valgono le seguenti leggi : il raggio incidente, la normale ed il raggio riflesso sono posti su uno stesso piano l'angolo di incidenza è uguale all'angolo di riflessione, cioè Queste sono le leggi della riflessione e le possiamo considerare desunte dall'esperienza anche se

5 possono essere spiegate sia tramite il modello corpuscolare che quello ondulatorio. Con il modello corpuscolare la spiegazione è più semplice ed intuitiva. Basta considerare la riflessione della luce alla stessa stregua dell'urto di biglie contro la sponda di un biliardo Riflessione su specchi curvi. Fra i vari tipi di specchi rivestono un particolare interesse ed importanza gli specchi curvi concavi e convessi. Tralasciamo perciò l'approfondimento dello studio degli specchi piani rivolgendoci subito a quelli curvi. Prendiamo in rassegna gli specchi concavi sferici, concavi parabolici, convessi sferici Specchio concavo sferico. Si tratta di una calotta sferica con la parte interna riflettente. Un tale specchio si dice concavo : ed è ottenuto sezionando una sfera con un piano. La calotta così ottenuta è fondamentale (come vedremo più avanti) che sia piccola rispetto al raggio della sfera. Si ha la seguente nomenclatura : (il centro C è il centro della sfera da cui è stato ricavato lo specchio).

6 Consideriamo ora un raggio luminoso parallelo all'asse ottico (principale) che dall'esterno colpisce lo specchio. Supponiamo che tale raggio sia vicino all'asse medesimo. Il raggio sarà riflesso e a causa delle leggi della riflessione si avrà : essendo l'angolo di incidenza uguale all'angolo di riflessione ( ). Si noti che, essendo lo specchio curvo, per ottenere la riflessione abbiamo tracciato la retta tangente allo specchio. Si noti anche che la normale alla suddetta tangente è un raggio della sfera (da cui è stato ricavato lo specchio), cioè passa per C. Il punto in cui il raggio riflesso interseca l'asse ottico è stato indicato con F. Considerando altri raggi paralleli all'asse ottico (ad esso vicini) si ottiene : da cui si vede chiaramente che tutti i raggi riflessi passano per il punto F che per questo è detto fuoco dello specchio. Il fuoco F si trova a metà del segmento VC e la distanza VF si chiama distanza focale. Abbiamo cioè : VF = FC. La condizione per cui i raggi riflessi passino tutti per F è che i raggi incidenti, paralleli all'asse

7 ottico, siano vicini al medesimo. Se ciò non avviene, la convergenza del raggio riflesso non si verifica più in F : e si ha perciò il fenomeno dell'aberrazione Specchio concavo parabolico. Se invece di sezionare una sfera, sezioniamo un paraboloide, otteniamo uno specchio concavo a sezione parabolica che ha la proprietà per cui la convergenza nel fuoco si ha indipendentemente dalla distanza dall'asse ottico del raggio incidente (ad esso parallelo). Questo dipende da una nota proprietà della parabola. Si hanno così gli specchi concavi parabolici che sono quindi più "precisi" di quelli sferici ed in essi non si ha l'aberrazione descritta precedentemente. Gli specchi parabolici, però, sono più costosi per cui, per applicazioni in cui la precisione non è necessaria, si utilizzano specchi sferici (più semplici da costruire e quindi più economici). Quando lo specchio ha un'apertura piccola, parabola e sfera coincidono. Una sfera ed un paraboloide tangenti praticamente coincidono nelle vicinanze del vertice comune V : Per questo motivo, quando nelle applicazioni pratiche si è sicuri che i raggi paralleli all'asse ottico sono ad essi vicini, è sufficiente utilizzare uno specchio concavo sferico.

8 In uno specchio concavo parabolico in definitiva non importa a che distanza sono i raggi incidenti paralleli all'asse ottico : essi vengono riflessi e tutti convergono nel fuoco. Molte sono le applicazioni degli specchi concavi fin dall'antichità. Si narra che Archimede incendiasse le navi romane con specchi a lunga focale (gli specchi ustori). Nella vita di tutti i giorni usiamo torce elettriche, fari automobilistici ecc. ecc. In questi casi abbiamo la sorgente luminosa nel fuoco per cui si ha il fenomeno inverso a quelli descritti sopra. I raggi escono parallelamente dallo specchio per illuminare ecc. Il caso dei fari anabbaglianti è interessante. Per questi si pone una sorgente luminosa ad una distanza maggiore della focale e si scherma la parte inferiore della sorgente luminosa. Si ha allora che i raggi fuoriescono con una inclinazione in modo da illuminare verso il basso :

9 - 3 - Specchi convessi. Consideriamo uno specchio ottenuto con una calotta sferica specchiata all'esterno. In questi tipi di specchi, i cosiddetti specchi convessi, la riflessione avviene nel seguente modo : Se i raggi incidenti paralleli all'asse ottico sono sufficientemente vicini al medesimo, essi vengono riflessi in modo che è come se uscissero tutti dal fuoco F che è dall'altra parte dello specchio. L'intersezione di tutti i raggi riflessi cade in F (anche se i raggi, fisicamente, non passano per F ). Tali specchi sono usati per costruire gli specchietti retrovisori e gli specchi stradali. Questo perché, con tali specchi è possibile "vedere" oggetti sotto un grande angolo :

10 04 - Immagine ottenuta con uno specchio concavo. Se poniamo un oggetto luminoso davanti ad uno specchio concavo (per esempio sferico) si ottiene una immagine via via diversa in dipendenza da dove si colloca l'oggetto luminoso. Immaginiamo di porre l'oggetto luminoso, che rappresenteremo graficamente con una freccia, posta rispetto allo specchio come nella figura seguente. Secondo l'ottica geometrica dall'oggetto luminoso dipartono raggi luminosi in tutte le direzioni. Quelli che colpiranno lo specchio verranno da esso riflessi secondo le leggi della riflessione. Studiamo il fenomeno elencando vari casi oggetto luminoso posto ad una distanza dallo specchio superiore al doppio della distanza focale : Consideriamo due raggi incidenti uscenti da A per i quali sia facile costruire i rispettivi raggi riflessi. Il raggio che parte da A e si propaga parallelamente all'asse ottico incontra lo specchio e si riflette in modo che l'angolo di incidenza sia uguale all'angolo di riflessione ( ). Sappiamo che tale raggio riflesso passa per il fuoco F. Il raggio che partendo da A incontra lo specchio nel vertice V si riflette alla stessa maniera ( ). I due raggi riflessi si incontrano allora in A'. Se si esegue la costruzione geometrica di tutti i raggi riflessi relativi ai raggi incidenti uscenti da A, si trova che tutti si intersecano on A'. Allora, secondo l'ottica geometrica, in A' si forma l'immagine del punto A. Eseguendo lo stesso procedimento per tutti gli altri raggi partenti dall'oggetto ed incidenti nello specchio, si otterrà allora una immagine reale, capovolta, rimpicciolita e vicina al fuoco. Graficamente : Essa è reale perché l'immagine che si ottiene potrebbe essere raccolta su uno schermo o

11 impressionare una lastra fotografica posta dove essa si forma. Essa è capovolta rispetto all'oggetto luminoso. Essa è rimpicciolita perché più corta dell'oggetto luminoso. Se avviciniamo l'oggetto luminoso al fuoco, otteniamo che l'immagine si ingrandisce e si allontana dal fuoco verso l'oggetto : Naturalmente, occorre che lo specchio sia piccolo rispetto al raggio di curvatura affinché non si abbia l'aberrazione tipica degli specchi sferici (dovuta al fatto che solo i raggi paralleli all'asse ottico e ad esso vicini si riflettono passando per il fuoco, aberrazione inesistente per gli specchi parabolici). Se l'oggetto luminoso è posto all'infinito, situazione tipica delle osservazioni astronomiche, l'immagine diventa puntiforme e posta sul fuoco F. Questo lo si comprende perché nello specchio arrivano solo raggi paralleli (o quasi) all'asse ottico ed essi vengono convogliati tutti nel fuoco F :

12 - 2 - oggetto luminoso posto sul centro C dello specchio : Quando l'oggetto si trova sul centro C dello specchio (il centro della sfera da cui è stato ricavato lo specchio) si ottiene un'immagine ancora nel centro C ma capovolta con le stesse dimensioni dell'oggetto : oggetto luminoso posto fra il fuoco F ed il centro C dello specchio : Quando l'oggetto è fra in fuoco F ed il centro C dello specchio, si ottiene un'immagine rovesciata, ingrandita oltre il centro C : oggetto luminoso posto sul fuoco F dello specchio : Se l'oggetto luminoso è posto sul fuoco F dello specchio, non si ha formazione di alcuna

13 immagine : oggetto luminoso posto fra il vertice V ed il fuoco F dello specchio : In questo caso, non si ha formazione di una immagine reale perché i raggi riflessi divergono. Se si considerano i prolungamenti "immaginari" dei raggi dietro lo specchio, si ottiene una immagine virtuale, diritta e ingrandita. Tale immagine è detta virtuale proprio perché non esiste fisicamente. I raggi non possono oltrepassare lo specchio per cui, se mettiamo uno schermo o una lastra fotografica dove si forma virtualmente l'immagine, non si raccoglie ovviamente alcun raggio luminoso. Se però un osservatore guarda nella direzione da cui provengono i raggi riflessi, egli vede una immagine perché i raggi provocano l'illusione ottica di provenire da dietro lo specchio : 05 - Immagine ottenuta con uno specchio convesso. L'immagine prodotta da uno schermo convesso è sempre virtuale, diritta e rimpicciolita :

14 06 - Rifrazione. Quando un raggio di luce passa da un mezzo ad un altro di differente densità ottica (distinta dalla densità come rapporto massa/volume, ma che tiene conto del "modo" di propagarsi della luce nel mezzo), esso cambia la propria direzione. Questo è il fenomeno della rifrazione. Per esempio, passando da aria, che indichiamo come mezzo 1, ad acqua, che indichiamo come mezzo 2 : Si noti con attenzione la "nomenclatura" relativa al fenomeno. Si noti anche che vi è sempre un raggio riflesso (l'abbiamo indicato tratteggiato), cioè una parte del raggio incidente viene riflessa dalla superficie del mezzo 2 secondo le leggi della riflessione. Si noti infine che abbiamo usato la lettera r per indicare il raggio rifratto e l'angolo di rifrazione e questo non deve generare confusione con il fenomeno della riflessione dove si usa la stessa lettera r. Bisogna subito osservare che se si aumenta la densità del mezzo 2, senza variare la densità del mezzo 1, si ha un minore angolo di rifrazione. Il fenomeno, quindi, si accentua all'aumentare della differenza di densità fra i mezzi. A questo punto sorge spontanea la domanda : esiste una relazione matematica fra angolo di incidenza ed angolo

15 di rifrazione per una data scelta di mezzi, per esempio aria ed acqua? Se variamo (a parità di mezzi) l'angolo di incidenza, come varia di conseguenza l'angolo di rifrazione? In generale osserviamo che se aumentiamo l'angolo, l'angolo aumenta di conseguenza, ma non in maniera proporzionale. Se, per esempio, raddoppiamo, l'angolo non raddoppia di conseguenza. Questo significa che la legge matematica del fenomeno della rifrazione non è una semplice legge di proporzionalità. Qualunque sia questa legge matematica, osserviamo però che raggio incidente, normale e raggio rifratto, analogamente a quello che succede per la riflessione, stanno sullo stesso piano. La legge che descrive il fenomeno della riflessione, come sappiamo, è banale : angolo di incidenza = angolo di riflessione ( ). La legge del fenomeno della rifrazione, invece, è più complicata e la dobbiamo allo scienziato olandese W. Snell (1621). Essa necessita della conoscenza della funzione trigonometrica seno. Il seno di un angolo è definito a partire da un triangolo rettangolo : (l'angolo retto è in B ) nel seguente modo :

16 ed analogamente :. Il simbolo per indicare il seno è sin oppure sen. Il seno di un angolo è quindi il rapporto fra la lunghezza di due segmenti; esattamente il rapporto fra la lunghezza del cateto opposto all'angolo in questione e l'ipotenusa. Ritornando al fenomeno della rifrazione, Snell scoprì che il rapporto fra il seno dell'angolo incidente e quello dell'angolo di rifrazione è costante e dipende dalle densità dei due mezzi. Più precisamente : dove si chiama indice di rifrazione fra il mezzo 1 ed il mezzo 2. Il "comportamento" della luce nell'aria è pressoché uguale al "comportamento" della luce nel vuoto. Per questo motivo, se il mezzo 1 è l'aria, si suole dire che si fa riferimento al vuoto. In questo caso si scrive : ed n rappresenta l'indice di rifrazione del mezzo 2 relativamente al vuoto. Osservando la formula, a parità di angolo di incidenza, se si prende un n maggiore (prendendo un mezzo otticamente più denso), l'angolo di rifrazione diminuisce di conseguenza, come affermato in precedenza. Uno studio più approfondito del significato fisico dell'indice di rifrazione, svela una importante proprietà. L'indice di rifrazione fra il mezzo 1 ed il mezzo 2 è uguale al rapporto della velocità della luce nel mezzo 1 rispetto alla velocità della luce nel mezzo 2. Esattamente :

17 dove è la velocità della luce nel mezzo 1 e è la velocità della luc nel mezzo 2. E' doveroso sottolineare che la velocità della luce è diversa nei vari mezzi. Quando si dice che la luce viaggia alla velocità : c = km/s circa, si intende nel vuoto!! Nella materia, invece, la velocità della luce può essere anche molto minore. Ecco allora che il concetto di densità ottica di un mezzo acquista un significato fisico preciso. Essa è legata alla velocità della luce nel mezzo Angolo limite. Il fenomeno della rifrazione presenta un interessante aspetto. Immaginiamo che un raggio di luce passi da aria ad acqua come indicato in figura : Naturalmente l'angolo di rifrazione sarà minore dell'angolo di incidenza. Se, viceversa, mandiamo un raggio dall'acqua all'aria esattamente all'inverso rispetto al caso precedente : otterremo che i raggi di luce formano gli stessi angoli. Si noti che anche qui abbiamo una riflessione

18 parziale del raggio incidente, che però non prenderemo in considerazione : Proviamo ora ad aumentare gradatamente l'angolo in acqua. Otterremo le seguenti situazioni : Come si vede dal grafico, si raggiunge un angolo limite secondo il quale il raggio uscente dall'acqua forma un angolo retto rispetto alla superficie di separazione fra i mezzi. Per l'acqua rispetto l'aria (o il vuoto) quest'angolo limite è circa 49. Cosa avviene se si supera l'angolo limite? Il raggio non passa più dall'acqua all'aria ma si riflette totalmente nell'acqua secondo le leggi della riflessione :

19 08 - Esempi di applicazione del fenomeno dell'angolo limite. Il fenomeno dell'angolo limite nella rifrazione, è sfruttato per costruire utili strumenti Prismi per binocoli, periscopi. Consideriamo un prima di vetro con sezione a triangolo isoscele rettangolo : Mandiamo un raggio di luce incidente perpendicolarmente al lato AB. Esso entrerà nel vetro senza cambiare direzione e colpirà il lato AC con un angolo di incidenza di 45 rispetto alla normale n : Siccome l'angolo di 45 è superiore all'angolo limite fra vetro ed aria, il raggio di luce non può uscire dal vetro ma può solo subire una riflessione totale anch'essa di 45 (rispetto alla normale n ). Si ha perciò la fuoriuscita del raggio luminoso dal lato BC come indicato in figura :

20 In questo modo abbiamo ottenuto una deviazione ad angolo retto di un raggio luminoso con un semplice prisma di vetro. Questo fenomeno è utilizzato nella costruzione dei binocoli, nella tecnica dei periscopi ecc Fibre ottiche. Sistemi di delle fibre La tecnica delle fibre ottiche sta entrando prepotentemente nella tecnologia moderna. telecomunicazione, internet ecc. ne fanno largo uso. Il principio di "funzionamento" ottiche è basato sullo sfruttamento dell'angolo limite per la rifrazione fra vetro ed aria. Prendiamo un filo abbastanza sottile di vetro o sostanza affine che possa essere piegato. La luce, al suo interno, incidendo con angoli superiori all'angolo limite fra vetro ed aria, non ne può uscire. Si ha così la propagazione del segnale luminoso lungo una fibra ottica : 09 - Lenti. Le lenti sono "oggetti" costituiti da materiale trasparente vetroso o similare opportunamente sagomati con i quali è possibile fare deviare i raggi di luce in modo da convergerli o divergerli a nostro piacimento. Le lenti sfruttano il fenomeno ottico della rifrazione. Una tipica lente convergente è così schematizzabile :

21 Il fuoco è il punto in cui convergono i raggi che provengono paralleli all'asse ottico (ovviamente i fuochi sono due) : Maggiore è lo "spessore" della lente, minore è la distanza focale : Una tipica lente divergente è la seguente :

22 Come si può ben vedere, l'effetto di deviazione dei raggi di luce che si ottiene con una lente è analogo a quello che si ottiene con gli specchi concavi e convessi. Il "perché" ed il "come" i raggi di luce vengono deviati da una lente verranno mostrati più avanti. A questo proposito occorre notare che, nei precedenti grafici, abbiamo fatto deviare i raggi luminosi in modo improvviso (circa a metà della lente). Questa rappresentazione non è fisicamente corretta (vedi più avanti) ma è convenzionalmente adottata per semplificare la grafica. Le lenti, quindi, sono essenzialmente di due tipi : lenti convergenti e lenti divergenti. All'interno delle due categorie vi è una ulteriore classificazione. Schematicamente : lenti convergenti Si tratta di lenti più "spesse" nel centro. lenti divergenti Si tratta di lenti "sottili" al centro.

23 Vediamo ora brevemente come fisicamente i raggi di luce sono deviati nel caso della lente biconvessa. Nel caso della lente biconcava abbiamo una situazione ovviamente opposta. Abbiamo sopra affermato che tale deviazione dipende dal fenomeno della rifrazione. Infatti, nel caso della lente biconvessa, si ha : (abbiamo "ingrandito" localmente la lente per un migliore riscontro grafico). Il raggio di luce, passando dall'aria al vetro, subisce una prima rifrazione in cui si ha (angolo di incidenza 1 > angolo di rifrazione 1). Successivamente, il medesimo raggio subisce una seconda rifrazione passando dal vetro all'aria ( è la normale alla superficie di separazione fra aria e vetro per la prima rifrazione ed è la normale per la seconda rifrazione ). In questo caso si ha (angolo di incidenza 2 minore di angolo di rifrazione 2 ). E' evidente che, dopo queste due rifrazioni, il raggio di luce risulta "piegato" rispetto alla direzione originale. Lasciamo al lettore volenteroso la costruzione delle rifrazioni per un lente biconcava. Le lenti hanno un enorme campo di applicazioni (fotografia, telescopi ecc. ecc.) ed anche l'occhio ne possiede una, il cristallino. Si tratta di una lente biconvessa molto "sofisticata", addirittura a focale variabile che

24 permette la formazione dell'immagine sulla retina. Siamo ora in grado di vedere come si ottengono immagini di oggetti luminosi con l'uso delle lenti. Per fare questo procediamo come per gli specchi. Prendiamo un oggetto luminoso, rappresentato da una freccia luminosa, e consideriamo, fra tutti, due raggi di luce che, partendo dal vertice (punta della freccia), abbiano un comportamento facilmente caratterizzabile. Consideriamo allora un raggio che, partendo dal vertice dell'oggetto, corre parallelamente all'asse ottico ed un raggio che, anch'esso partendo dal vertice dell'oggetto, attraversa la lente nel suo centro. Io primo raggio attraversa la lente e converge nel fuoco mentre il secondo raggio, attraversando la lente, praticamente non viene deviato perché, nel suo centro, una lente ha facce parallele e la rifrazione è quindi praticamente nulla. Immagini con lenti biconvesse. L'oggetto è lontanissimo dalla lente (si dice all'infinito). I raggi corrono tutti quasi paralleli all'asse ottico e convergono presso il fuoco. Si forma una immagine reale quasi puntiforme praticamente nel fuoco : L'oggetto ha una distanza maggiore di 2F (doppio della distanza focale). Si forma una immagine reale rovesciata rimpicciolita fra F e 2F :

25 Avvicinando l'oggetto (sempre a distanza maggiore di 2F ), l'immagine si allontana da F (sempre fra F e 2F ) e si ingrandisce : L'oggetto è su 2F. Si forma una immagine reale rovesciata uguale in 2F : L'oggetto è fra 2F ed F. Si forma una immagine reale rovesciata ingrandita oltre 2F :

26 L'oggetto è sul fuoco F. Non si forma alcuna immagine. Tutti i raggi procedono parallelamente. L'oggetto è fra F e la lente. Si forma una immagine virtuale diritta ingrandita dalla stessa parte dell'oggetto. Tale immagine non esiste fisicamente. Si tratta di una illusione ottica che un osservatore percepisce come reale in quanto i raggi gli sembrano provenire da punti ben definiti : Immagini con lenti biconcave. Si ha un solo caso a qualunque distanza dalla lente si ponga l'oggetto luminoso. Si forma una immagine virtuale diritta rimpicciolita dalla stessa parte dell'oggetto fra F e la lente :

27 10 - Macchina fotografica. Un'importante applicazione delle lenti è la macchina fotografica. Si tratta essenzialmente di una lente convergente, detta obiettivo (in verità si tratta di solito di un sistema di lenti), inserita in un corpo chiuso, isolato otticamente dall'esterno (la luce entra nella macchina fotografica solo dall'obiettivo), ed avente una distanza regolabile dal fondo del corpo. In fondo al corpo è posizionata una pellicola fotosensibile che è in grado di essere impressionata dalla luce che la colpisce. Le pellicole in bianco e nero sono composte da uno strato di bromuro d'argento. La pellicola impressionata viene poi successivamente sviluppata, ovvero le immagini in essa impresse vengono fissate stabilmente attraverso opportuni processi chimici (non prendiamo qui in considerazioni le moderne tecniche digitali). Una macchina fotografica possiede anche un diaframma ed un otturatore. Con il diaframma, che è una struttura apribile e chiudibile a piacimento posta davanti alla lente, si dosa a piacere la quantità di luce che si fa passare dalla lente. Con l'otturatore, che è essenzialmente un orologio, si stabilisce il tempo in cui la luce può entrare nel corpo della macchina fotografica e così impressionare la pellicola.

28 Le "variabili" che l'operatore può manovrare sono allora essenzialmente : - distanza della lente dalla pellicola - diaframma - otturatore. Vi è una ulteriore variabile in gioco, la sensibilità della pellicola. In commercio vi sono pellicole di differente sensibilità che si misura in ASA. Una pellicola per esigenze "normali" (paesaggi, ritratti in presenza di buona luce ecc.) potrebbe essere di 100 ASA. Se la quantità di luce è minore, si possono utilizzare pellicole a maggiore sensibilità (200, 400 ASA ecc.). Noi consideriamo qui la sensibilità della pellicola fissata a priori. L'obiettivo possiede inoltre una certa luminosità che è legata al diametro del suddetto. Consideriamo qui un obiettivo di luminosità data. Passiamo ora in rassegna alle variabili sopra elencate. Variando la distanza della lente dalla pellicola si mette a fuoco l'immagine che si forma sulla pellicola. L'obiettivo di una macchina fotografica è dotato di una distanza focale fissa espressa in millimetri (vi sono obiettivi a focale variabile, detti zoom, che qui non prenderemo in considerazione). In questo modo, l'immagine, reale rovesciata e rimpicciolita, di un oggetto posto ad una certa distanza dall'obiettivo si forma, come già sappiamo, in un punto fra F e 2F ( F è il fuoco e 2F è il punto corrispondente al doppio della distanza focale). Se la distanza dell'oggetto da fotografare cambia, l'immagine si forma in un altro punto fra F e 2F :

29 Avvicinando l'oggetto, l'immagine si avvicina a 2F e cresce di dimensione. Siccome la pellicola deve essere posta esattamente dove si forma l'immagine (altrimenti la foto risulterebbe sfocata) o si sposta ogni volta la pellicola o si sposta la lente rispetto alla pellicola. Ovviamente la soluzione effettivamente attuata nelle macchine fotografiche è la seconda per cui gli obiettivi sono manovrabili tramite movimenti rotatori in modo da fare focalizzare l'immagine sempre sulla pellicola posta sul fondo del corpo della macchina fotografica. Nella problematica della messa fuoco rientra il concetto di profondità di campo. In effetti, gli oggetti posti a fuoco si trovano entro certi limiti di distanza dall'obiettivo. Tale limiti dipendono dal diaframma, ovvero dallo "spessore" del fascio di luce che entra nella macchina fotografica. Più si stringe il diaframma, maggiore è la profondità di campo.

30 Circa il diaframma possiamo affermare che esso è manovrabile dall'utente tramite una ghiera posta sull'obiettivo. Sono disponibili selezioni fisse di valori di apertura di diaframma rappresentate da sequenze di numeri del tipo : ,6 4 2,8 2. Questi numeri rappresentano il rapporto fra la distanza focale f ed il diametro del diaframma D. Quindi : diaframma = f / D. Per esempio : f = 16 cm, D = 4 cm ==> f / D = 4 f = 16 cm, D = 2 cm ==> f / D = 8 f = 16 cm, D = 1 cm ==> f / D = 16. E' importante notare che passando per esempio da diaframma 8 a diaframma 16, il diametro è dimezzato. Siccome l'area del cerchio (che rappresenta il diaframma) è (pi greco per raggio al quadrato), se si dimezza il diametro, l'area del diaframma diventa un quarto. Ciò significa che passando da 8 a 16, nell'obiettivo entra un quarto della quantità di luce precedente. La stessa cosa passando da 4 a 8 ecc. Se si passa da 2 a 2,8 entra (circa) metà luce, così come da 2,8 a 4, da 4 a 5,6 ecc. ecc. cioè passando da un valore di diaframma all'altro contiguo si fa entrare una quantità metà o doppia di luce (aumentando il diaframma entra meno luce). Lasciamo al lettore volonteroso la verifica matematica si questo importante fatto. Per quanto riguarda l'otturatore, il dispositivo con il quale è possibile stabilire il tempo di

31 esposizione, ovvero per quanto tempo la luce può entrare nella macchina fotografica ed impressionale la pellicola, occorre dire che si hanno di solito alcuni tempi predefiniti. I valori di solito disponibili sono (espressi in secondi) : 1 1/5 1/4 1/8 1/16 1/25 1/50 1/100 1/125 1/250 1/500 1/1000. Si ha anche la posa B con la quale l'otturatore rimane aperto fino a che non si decide di chiuderlo. La considerazione che occorre fare circa il tempo di esposizione è che se, per esempio, lo si dimezza entra metà luce. Se però nello stesso tempo si allarga il diaframma di una tacca, facendo così entrare il doppio di luce, si ottiene lo stesso effetto. Per esempio passando da 1/8 ad 1/16 di secondo e da 22 a 16 di diaframma si ottiene esattamente la stessa esposizione. Cosa cambia allora? Cosa ci fa scegliere per l'una posizione o l'altra? Per esempio la profondità di campo e la velocità dell'oggetto rispetto alla macchina fotografica. Se desidero una grande profondità di campo devo chiudere il diaframma ed aumentare il tempo di esposizione di conseguenza. Ma se l'oggetto è in moto allora, se il tempo di esposizione è troppo lungo, rischio di ottenere una foto mossa. Questa è solo una delle tante problematiche che caratterizzano la scienza del fotografare che, proprio per le molte possibilità di scelta dei parametri in gioco, diventa perciò... un'arte. Concludiamo con un accenno sui teleobiettivi ed i grandangoli. Aumentando la distanza focale si ottiene una immagine più grande. Diminuendola, invece, l'immagine è rimpicciolita per cui, nel singolo fotogramma, vi possono essere le immagini di più oggetti. Obiettivi a grande focale si chiamano teleobiettivi, a piccola focale, grandangoli. Schematicamente : 11 - Telescopio.

32 Una fondamentale applicazione delle leggi dell'ottica geometrica si ha nella costruzioni di telescopi, cannocchiali e binocoli, tutti strumenti utili ad ingrandire oggetti lontani. Esaminiamo alcuni tipi di telescopio telescopio galileiano Galileo, negli anni 1609 e 1610, costruì ed utilizzò, prima per uso terrestre-militare e poi astronomico, il telescopio (o cannocchiale) che porta il suo nome utilizzando la tecnologia delle lenti che stava nascendo in quegli anni in Olanda. Galileo non fu l'inventore del telescopio, ma è riconosciuto essere stato il primo che lo utilizzò per osservare il cielo. Il telescopio galileiano utilizza una lente convergente come obiettivo ed una lente divergente come oculare. Affermando che con un tale telescopio si ottengono immagini virtuali, diritte ed ingrandite, lasciamo al lettore immaginare come è costruito e come "funziona" un telescopi galileiano telescopio kepleriano Il telescopio kepleriano ha un principio di funzionamento più facile del galileiano e fornisce maggiori ingrandimenti. Con questo strumento, formato da una lente convergente a focale lunga come obiettivo ed una lente convergente a focale corta come oculare, si ottengono immagini virtuali, rovesciate ed ingrandite. Lo schema del telescopio kepleriano è il seguente : Proviamo a descrivere l'ottica di questo telescopio. La prima immagine A dell'oggetto luminoso prodotta dall'obiettivo, reale, capovolta e rimpicciolita, si forma, come ben sappiamo, oltre del fuoco F dell'obiettivo. L'oculare ha il proprio fuoco F' posto in modo che

33 la prima immagine A sia posizionata fra F' stesso e l'oculare. Si forma perciò una seconda immagine A' virtuale, diritta (rispetto ad A ) ed ingrandita. L'osservatore vede perciò una immagine (virtuale, rovesciata ed ingrandita) dell'oggetto. L'ingrandimento è dato dal rapporto fra la focale dell'obiettivo e la focale dell'oculare. Cioè : dove I indica l'ingrandimento, F indica la distanza focale dell'obiettivo e f la distanza focale dell'oculare. Per esempio, se F = 1000 mm (millimetri) e f = 10 mm, l'ingrandimento sarà I = 1000 / 10 = 100. E' chiaro che se diminuiamo, a parità di focale dell'obiettivo, la focale dell'oculare, otteniamo ingrandimenti via via maggiori. Potremmo, in teoria, ottenere quindi immagini ingrandite quanto si vuole. Le cose, purtroppo, non stanno così, ed aumentando l'ingrandimento oltre certi limiti, si ottengono immagini sempre peggiori. Questo dipende essenzialmente da due fenomeni. La diminuzione della luminosità e l'aberrazione cromatica. Aumentando l'ingrandimento, ovviamente la luminosità dell'immagine ottenuta diminuisce, e questo a scapito della qualità dell'immagine. Il fenomeno dell'aberrazione cromatica è dovuto al fatto che la luce bianca è composta di radiazioni elettromagnetiche di varie frequenze che si manifestano agli occhi con vari colori. Orbene, il fenomeno della rifrazione è diverso per radiazioni di colori diversi. La luce rossa viene deviata da una lente meno della luce violetta. Il risultato di questo fenomeno è che si hanno in realtà più fuochi, uno per ogni colore :

34 e quindi l'immagine risulta aberrata (nel grafico il fenomeno è stato enfatizzato). Per aumentare l'ingrandimento, a parità di obiettivo, si devono prendere oculari di focale minore, ma focale minore significa lente di spessore maggiore e quindi maggiore aberrazione cromatica. Ecco perché non è possibile spingere l'ingrandimento oltre certi valori. I telescopi galileiani e kepleriani sono detti rifrattori perché, essendo formati da lenti, sfruttano il fenomeno della rifrazione telescopio newtoniano Newton conosceva bene i fenomeni di dispersione della luce (scomposizione nei vari colori) per cui pensò bene di utilizzare uno specchio concavo per fare convergere i raggi di luce. In questo modo, non usando più il fenomeno della rifrazione, si ottiene una prima immagine presso il fuoco dello specchio non soggetta ad aberrazione cromatica. Con una lente convergente, usata come oculare, si ottiene poi l'immagine finale ingrandita a piacimento (ingrandimento però soggetto alle limitazioni dei fenomeni di diminuzione della luminosità e dell'aberrazione cromatica causata dall'oculare). Lo schema del telescopio newtoniano è il seguente : I raggi riflessi dallo specchio concavo (specchio primario) del telescopio (di solito parabolico o sferico di piccola apertura) vengono deviati lateralmente da uno specchio piano (specchio secondario) ed inviati all'oculare per l'ingrandimento dell'immagine. Per questo motivo, una parte centrale dello specchio non viene utilizzata per l'osservazione (lo specchio secondario copre la parte centrale dello specchio primario). Il telescopio newtoniano, quindi, funziona, dal punto di vista ottico, allo stesso modo di un rifrattore ma utilizza

35 per la convergenza dei raggi di luce uno specchio invece di una lente così da evitare l'aberrazione cromatica. Il telescopio newtoniano è il più semplice dei telescopi a specchio. Successivamente vennero fatte molte modifiche migliorative al telescopio newtoniano originario che portarono alla creazione di diverse tipologie di telescopi a riflessione che rimangono però del tutto analoghi Microscopio. Si tratta di un dispositivo atto ad ingrandire oggetti piccoli e vicini. Essenzialmente funziona come un telescopio kepleriano ma con focale corta. Lo schema ottico è il seguente : (le dimensioni delle lenti sono casuali) L'oggetto è posto fra il fuoco dell'obiettivo F ed il punto 2F (posto a distanza focale doppia). Per questo motivo si forma una prima immagine reale, ingrandita, rovesciata oltre 2F (dalla parte opposta dell'oggetto). Questa prima immagine viene fatta formare fra l'oculare ed il suo fuoco F'. Si ottiene perciò una seconda immagine virtuale, ingrandita, diritta. Tale immagine è ciò che vede l'osservatore Dispersione della luce, aberrazione cromatica delle lenti. La luce, passando da un mezzo ad un altro (per esempio da aria a vetro) con angolo di incidenza diverso da zero, subisce una deviazione nella sua propagazione che va sotto il nome di rifrazione. L'ammontare della deviazione dipende dalla frequenza (colore) della luce. La luce rossa viene deviata di meno, la luce violetta viene deviata di più. Siccome la luce bianca è composta da frequenze diverse (colori dal rosso al violetto), essa, passando da un mezzo ad un altro, subisce diverse rifrazioni in dipendenza dalla frequenza in modo che si ottiene la dispersione della luce bianca nei vari colori

36 (convenzionalmente questi colori si dice che siano 7 ) : In una lente convergente si ha sempre dispersione, per cui in effetti si vengono a formare vari fuochi, uno per ogni colore : Questo fenomeno si chiama aberrazione cromatica e costituisce un grave limite all'utilizzo delle lenti perché le immagini che si ottengono risultano scomposte nei vari colori in modo tale da renderle alquanto "disturbate" (aberrate, appunto). Mostriamo nel seguente grafico una descrizione più precisa del fenomeno : (angoli di rifrazione indicativi)

37 E' possibile però, almeno in parte, ovviare a questo inconveniente. Il primo dispositivo atto a ridurre l'aberrazione cromatica compare in Inghilterra nel 1733 ed è chiamato doppietto acromatico. Il doppietto acromatico è costituito da una lente biconvessa unita ad una lente piano-concava costituita da materiale con indice di rifrazione maggiore (cioè, a parità di distanza focale, capace di deviare maggiormente i raggi di luce) della prima lente. L'aggiunta di questa seconda lente all'obiettivo ha l'effetto di riunire i fuochi rosso e violetto in un unico fuoco. La lente biconvessa è costituita da vetro crown, mentre quella piano-concava da vetro flint. Il flint è un vetro otticamente più denso del crown. Solo in questo modo i due fuochi estremi (rosso e violetto) vengono portati a sovrapporsi. Per gli altri colori intermedi, purtroppo, la focalizzazione non avviene nel nuovo fuoco F per cui l'aberrazione non è corretta completamente. Per una maggiore correzione dell'aberrazione cromatica si ricorre a sistemi di tre lenti, i cosiddetti sistemi apocromatici che qui non prenderemo in considerazione. L'entità della correzione dell'aberrazione cromatica ottenibile dal doppietto acromatico è descritta dal seguente grafico : Dal grafico si vede bene che per l'obiettivo singolo il fuoco del rosso è molto distante dal fuoco del violetto. Per il doppietto acromatico, invece, i fuochi dei due colori estremi sono molto vicini e coincidono pressoché con il punto F mentre i fuochi dei colori intermedi si allontanano un po'.

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