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1 I costi umani del cambiamento climatico di Juliette Williams nel 2009 una delle più devastanti tempeste degli ultimi decenni, il ciclone Aila, è passato a ovest di Jaliakhali. Forti venti e una tempesta di enormi proporzioni hanno creato una larga frattura nell argine e nella diga che proteggevano il villaggio. La conseguente inondazione ha ricoperto quasi interamente l area del villaggio, distruggendo le scuole, i templi e il mercato. Le famiglie sono riuscite a salvare solamente quello che riuscivano a trasportare in un solo carico e pochissimi sono riusciti a mettere in salvo bestiame e cibo. I primi tentativi di soccorso dopo il ciclone si sono concentrati sulla fornitura di cibo. Sono state distribuite razioni d emergenza di riso soffiato, zucchero grezzo e altro cibo secco, seguite poi da piccole donazioni in denaro. Tuttavia la ripresa nella regione è stata lenta. La breccia nell argine non è stata riparata, così l area continua a essere inondata ad ogni marea. Tutta la terra sotto il livello del mare è ora coperta da uno spesso strato di argilla alluvionale, mentre il suolo è stato reso infertile a causa delle condizioni saline associate alle infiltrazioni giornaliere di acqua salmastra. Né l agricoltura né la pesca so- Il villaggio di Jaliakhali prima dell inondazione quotidiana 26 ottobre 2010 ore 11:06 Courtesy EJF 58 n

2 Focus no ora possibili ed esistono pochi lavori disponibili. Diciotto mesi dopo il Ciclone Aila, molte famiglie continuano ad essere dipendenti dalla razione mensile di 18 kg di riso e dalla limitata assistenza finanziaria fornita dalle autorità locali. Un supporto di questo tipo è un ancora di salvezza ma non è sostenibile. Tale assistenza non è sufficiente alle famiglie per arrivare a fine mese. Le persone sono state spinte in situazioni disperate. Anil, un abitante della zona, ha affermato Siamo continuamente senza cibo. Al momento io non sono vecchio e posso andare a lavorare e sostenere in qualche modo la mia famiglia. Ma le persone di 70, 80 o 90 anni spesso non riescono e possono rimanere anche un giorno intero senza mangiare. Con la pesca e la coltivazione rese impossibili, lo stesso Anil è disoccupato e raccoglie legna e pesci frugando nell acqua del fiume per avere un minimo introito che gli permetta di sfamare la sua famiglia. Altre quattro famiglie hanno lasciato l area e Anil pensa che anche lui sarà costretto a lasciare il suo villaggio in cerca di cibo e lavoro. Il clima che cambia Le registrazioni scientifiche mostrano che i modelli delle precipitazioni stanno cambiando, che le temperature atmosferiche sono in aumento e che gli eventi estremi come le inondazioni e le tempeste sono più intensi. Aree sempre più ampie sono colpite da siccità di durata e frequenza maggiori, mentre la desertificazione sta diventando più severa. Fonti di acqua potabile cruciali vengono contaminate da infiltrazioni di acqua salata e i suoli stessi vengono resi infertili dalla salinizzazione. Gli oceani stanno diventando più caldi, più acidi e i livelli del mare stanno crescendo. Il cli- Il villaggio di Jaliakhali dopo l inondazione quotidiana 26 ottobre 2010 ore 13:28 Courtesy EJF n 59

3 ma del nostro pianeta è un sistema dinamico, ma una percentuale alta di tali cambiamenti sono causati dall azione umana. Le attività umane, in particolare l uso dei combustibili fossili, la deforestazione e le pratiche di agricoltura intensiva hanno rilasciato in atmosfera vaste quantità di gas serra, più di 900 miliardi di tonnellate di anidride carbonica dall inizio dell era industriale. Le concentrazioni atmosferiche di CO 2 e metano (CH 4 ) oggi eccedono largamente il trend di crescita naturale degli ultimi anni e la tendenza generale è verso un ulteriore incremento di emissioni di gas serra, con l effetto di esacerbare i processi naturali, risultando in cambiamenti drammatici (di natura antropica) del clima e dell ambiente globale. I vari paesi hanno contribuito nelle maniere più disparate al problema del cambiamento climatico. I dati più recenti sulle emissioni (al momento dell andata in stampa) sono del 2009 e mostrano che esiste una differenza di almeno 137 milioni tra il totale di emissioni di CO 2 dei paesi con le emissioni più alte e quelli con le emissioni più basse. Le 50 Least Developed Countries (LDCs) rilasciano meno dell 1% delle emissioni di CO 2 mondiali. Aggravato dagli effetti di una rapida crescita della popolazione e da una cattiva gestione delle risorse naturali, il cambiamento climatico è una seria minaccia al nostro pianeta. Anche se nessun paese sfuggirà ai suoi impatti, i paesi in via di sviluppo rischiano di dover portare il 90% del relativo fardello. Ospitano infatti il 98% delle persone seriamente colpite e il 99% delle persone decedute a causa di disastri ambientali, insieme al 90% delle perdite economiche. Quelle più a rischio sono le zone costiere sul livello del mare, i piccoli stati isola e i paesi aridi soggetti a inondazioni, siccità e desertificazione insieme ai fragili ecosistemi montani. Detto in altri termini, rischia di pagare il prezzo più alto proprio chi è meno colpevole dell attuale situazione. I diritti umani minacciati La risoluzione ONU Human rights and climate change afferma: gli impatti del cambiamento climatico hanno un ampia gamma di implicazioni, sia dirette che indirette, per l effettivo godimento dei diritti umani, ivi inclusi, tra gli altri, il diritto alla vita, il diritto a un alimentazione sufficiente, il diritto a elevati standard di salute, il diritto a un alloggio adeguato, il diritto all autodeterminazione e i diritti umani legati all accesso all acqua potabile e alle cure mediche, mentre in nessun caso le persone possono essere private dei loro mezzi di sussistenza 1. Non ci sono dubbi sul fatto che, senza un azione, le condizioni ambientali in via di deterioramento a causa del cambiamento climatico avranno impatti negativi sulla vita di milioni di persone di tutto il mondo. Tale fatto non è sfuggito alle istituzioni politiche chiave. Negli ultimi quattro anni, lo United Nations Human Rights Council ha approvato tre risoluzioni in cui si riconosce che il cambiamento climati- 60 n

4 Focus co pone una minaccia immediata e di vasta portata alle persone e alle comunità di diverse parti del mondo e ostacola il pieno godimento dei diritti umani, tra cui il diritto alla vita, al cibo, alla salute, all acqua, all alloggio e all autodeterminazione. Una delle nostre preoccupazioni maggiori come comunità internazionale deve proprio essere la sfida che il cambiamento climatico pone alla salute e alla vita. Molte delle principali cause di morte a livello mondiale sono influenzate dal cambiamento climatico. Questo significa che il loro rischio sarà amplificato se gli impatti del cambiamento climatico diventano più pronunciati e, sul lungo termine, che si verificheranno pressioni crescenti su risorse mediche già messe a dura prova. L aggravarsi di fenomeni come ondate di calore, inondazioni e tempeste hanno un impatto diretto sulla salute e le vite. Donne, bambini, popolazione più anziana, minoranze etniche, comunità marginalizzate e persone con disabilità sono più a rischio. La disproporzione della minaccia per tali gruppi è evidente se si prendono in esame i dati delle ultime calamità. Per esempio il 90% delle morti causate in Bangladesh dal Ciclone Gorky nel 1991 hanno riguardato donne e bambini. Ciò è dovuto in parte a inuguaglianze sociali pre-esistenti, visto che tali gruppi hanno maggiori probabilità di incontrare ostacoli nell accesso alle risorse, alle informazioni, all acquisizione di abilità e ai processi decisionali. Si ritiene che molte donne e bambini siano periti a causa del ciclone nelle loro abitazioni mentre aspettavano che l uomo di casa ritornasse e prendesse la decisione di evacuare. Anche differenti capacità come quella di nuotare, ruoli domestici e norme sociali relative all abbigliamento hanno contribuito alla differenza demografica delle mortalità. La vulnerabilità di tali gruppi può anche essere legata a tratti biologici. Il ciclo mestruale, la gravidanza, la cura dei figli e l allattamento al seno sono funzioni prettamente femminili che rendono le donne particolarmente vulnerabili nel corso e in seguito a calamità naturali. Durante l alluvione del 1998 in Bangladesh, l Organizzazione Mondiale per la Sanità ha osservato che molte adolescenti soffrivano di eruzioni cutanee perineali e infezioni del tratto urinario perché non avevano la possibilità di lavare in maniera adeguata le pezzuole usate come assorbenti, non avendo uno spazio privato e dovendo quindi stendere le loro pezzuole ad asciugare, tra l altro senza accesso ad acqua pulita. La stazza fisica, la forza e la resistenza sono altri importanti fattori che contribuiscono alla percentuale relativamente alta di donne sopra i 40 anni e bambini sotto i 10 anni uccisi dal ciclone del Il cambiamento climatico colpisce anche elementi fondamentali per la salute come l acqua, il cibo, l alloggio e l ambiente sano. Ha complessi impatti indiretti, ad esempio attraverso l alterazione dei modelli di malattie infettive, la rottura degli ecosistemi agricoli o di supporto e potenzialmente attraverso lo sfollamento e i conflitti relativi a risorse idriche, alimentari e terriere sempre più scarse. La variabilità delle precipitazioni, l aumento delle temperature, le siccità più frequenti e più durature colpiranno la produttività dei terreni, danneggeranno le coltivazioni e ridurranno i raccolti, facendo salire i prezzi degli alimenti, riducendo il reddito degli agricoltori e n 61

5 minando la sicurezza alimentare locale e nazionale. Le carenze di cibo croniche e acute diventeranno probabilmente più frequenti e intense man mano che il cambiamento climatico avanza. Gli esperti stimano che altre 600 milioni di persone potrebbero sperimentare la malnutrizione come risultato degli impatti del cambiamento climatico. Le conseguenze di tale cambiamento sulla salute (traumi, contagi, carenze nutrizionali e danni psicologici) saranno più profondi nell Africa subsahariana, in Medio Oriente e in Asia meridionale. Le precarie condizioni di salute già caratteristiche di queste regioni accrescono la vulnerabilità delle popolazioni al cambiamento climatico e riducono la loro capacità di adattamento. Eppure, persino in Europa il cambiamento climatico ha un prezzo elevato. Si ritiene che sia stato una delle maggiori determinanti dell ondata di calore del 2003, che ha provocato la morte di oltre persone, principalmente anziane. No place like home Siamo ritornati a casa [dopo che il ciclone era passato] e abbiamo visto che non era rimasto nulla. Non c era più una sola casa in cui potessimo vivere. Solo le case costruite attorno agli alberi, in qualche modo avevano ancora una struttura rimasta, ma erano comunque invivibili. Tutte le case di fango e le case di argilla erano completamente distrutte. Queste le parole di Ataur Rahman, prima residente di Patuakhali. Il settore abitativo sperimenta tipicamente gli impatti più tangibili delle calamità naturali. Spesso i danni o la distruzione vanno al di là della semplice struttura fisica della proprietà. Possono comprendere la perdita di oggetti di uso quotidiano come i giacigli, gli utensili da cucina e gli stessi vestiti, oltre che gli spazi per la preparazione del cibo, le stoviglie, gli accessori per la pulizia personale. In assenza di tali oggetti le persone possono trovarsi a lottare per svolgere le attività quotidiane più semplici, come cucinare o lavare, con una mancanza di privacy e di mezzi che possono ledere la loro dignità. Una coppia ci ha raccontato di aver vissuto sulla propria barca da pesca con i due bambini per oltre due mesi dopo che la loro casa era stata distrutta dal Ciclone Alia. Con nessuna possibilità di miglioramento in vista, hanno lasciato il loro villaggio per spostarsi nella vicina città di Khulna e ora vivono in una baraccopoli. Sfortunatamente la loro grave condizione non è un caso isolato. Più di persone hanno vissuto la stessa situazione quando le loro abitazioni sono state distrutte dal Ciclone Alia, molte delle quali erano state ricostruite da pochi anni quando un altro ciclone, Sydr, ha danneggiato e distrutto qualcosa come 1,5 milioni di case nel Tali disastri mettono in guardia sulla scala delle future perdite di abitazioni a causa degli effetti drammatici del cambiamento climatico. Alta densità di popolazione in aree a rischio sono un ulteriore fattore di pericolo: circa il 10% della popolazione mondiale vive in zone costiere che sono a meno di n

6 Focus metri sul livello del mare. Nelle isole dei Caraibi e del Pacifico più di metà della popolazione vive entro 1,5 km dalla costa. Quasi senza eccezioni, gli aeroporti internazionali, le strade e le capitali nelle piccole isole dei Caraibi, del Pacifico e dell oceano Indiano sono situati lungo le coste, o su piccole isole coralline. Calamità naturali legate al clima come tempeste e cicloni, inondazioni, erosione delle coste minacciano le case, le infrastrutture, i terreni agricoli e le attività industriali. Nei piccoli stati isola gli abitanti non avranno alcun luogo in cui rifugiarsi se il mare invade le zone costiere. Si stanno già preparando schemi di delocalizzazione in paesi come la Papua Nuova Guinea, dove le popolazioni delle isole minacciate stanno cercando rifugio sulla già affollata isola di Bourgainville. In movimento Il cambiamento climatico appesantirà ulteriormente il fardello di comunità che già vivono in condizioni di povertà. Alcuni nuclei familiari hanno la capacità di riprendersi dagli shock di improvvise calamità naturali, o la resilienza per sostenere condizioni ambientali deteriorate, il che potrebbe permettere loro di rimanere in situ. Eppure, dove si verifica una minaccia diretta e immediata alla vita, o dove le pressioni ambientali aumentano gli stress socio-economici e i nuclei familiari non riescono ad adattarsi alle nuove condizioni, intere famiglie possono essere costrette a spostarsi. Nel 2010 più di 38 milioni di persone in tutto il mondo sono state sfollate da calamità na- Distruzione provocata dal ciclone Sidr in Bangladesh 2007 Courtesy EC/ECHO/ Olivier Brouant n 63

7 turali improvvise, legate al cambiamento climatico. È come se tutta la popolazione italiana a sud di Verona fosse costretta a lasciare la propria casa e la propria terra, senza nessun posto in cui andare e senza nessun mezzo per sopravvivere. Il numero di tali rifugiati climatici supera ormai quello dei rifugiati in fuga da persecuzioni e conflitti di tre a uno. Eppure, a differenza dei rifugiati, gli sfollati per cause ambientali non hanno alcuno status legale. La Convenzione di Ginevra del 1951 sullo status dei rifugiati non si applica alle persone costrette a emigrare a causa del cambiamento climatico perché tali persone non stanno fuggendo da persecuzioni o violenze e perché la stragrande maggioranza rimane all interno dei confini dello stato di appartenenza e non varca confini internazionali. L UNHCR interviene nelle crisi ambientali solo in circostanze eccezionali perché non ha uno specifico mandato per farlo. Anche nel caso in cui avesse il mandato, le mancherebbero comunque le risorse sufficienti per intervenire in maniera adeguata. Nei fatti nessuna delle istituzioni o delle agenzie attive nel campo delle migrazioni o del cambiamento climatico affronta in maniera precisa e definita la questione dei rifugiati climatici. Le persone che si trovano di fronte alla prospettiva di sfollamento per cause ambientali o climatiche non solo cadono in una falla del quadro istituzionale, ma sono anche vittime di lacune nel diritto umanitario. È invece quantomai urgente una risposta internazionale più comprensiva e coordinata nel caso in cui lo sfollamento sia dovuto a condizioni ambientali degradate associate al cambiamento climatico. La Environmental Justice Foundation è una ONG inglese che lavora con diversi partner per definire uno strumento nuovo e legalmente vincolante per riconoscere la grave situazione dei rifugiati climatici, uno strumento indipendente dalla Convenzione di Ginevra del Lo strumento proteggerebbe i diritti umani dei rifugiati climatici e assicurerebbe loro un assistenza adeguata e appropriata. Tale strumento potrebbe fornire ai rifugiati uno status legale riconosciuto, assicurando al contempo l obbligo per i governi nazionali di stabilire politiche specifiche per l assistenza e la protezione. Cinque passi per un futuro migliore La Environmental Justice Foundation ritiene che siano cinque i passi da compiere per garantire un futuro migliore alle persone costrette a combattere in prima linea con il cambiamento climatico: prevenzione e preparazione riguardo i rischi associati al clima, facilitazione di nuovi insediamenti per gli sfollati, protezione dei loro diritti collettivi, un focus su scala nazionale per assistere le Internally Displaced Persons e una condivisione internazionale degli oneri relativi al cambiamento climatico. Se può essere difficile prevedere il prossimo uragano Katrina o il prossimo Ciclone Nargis, la prossima siccità o la prossima inondazione, abbiamo mezzi sempre più efficaci per predire quali sono le macro-tendenze in natura. Sappiamo che la frequenza 64 n

8 Focus e l ampiezza di siccità, inondazioni e tempeste è in crescita. I governi nazionali perciò hanno l opportunità di sviluppare strategie di lungo termine (per gli anni o i decenni a venire) per una ricollocazione pianificata e volontaria delle popolazioni a rischio. La ricollocazione piuttosto che soluzioni temporanee sarà di grande importanza, visto che un ampio numero di persone non avrà la possibilità di mantenere il proprio nucleo familiare in caso di ritorno alle proprie case e terre. Caso estremo potrebbe essere quello delle popolazioni che vivono sui piccoli stati isola, i cui paesi potrebbero essere sommersi in maniera permanente dall aumento del livello del mare. Un regime internazionale per la protezione dei rifugiati climatici, perciò, deve proteggere i diritti collettivi degli sfollati, dalla piccola comunità alle popolazioni di interi stati. Ciò permetterebbe loro di non essere sradicati dalle rispettive reti familiari e di relazioni e dalle fondamenta della loro identità culturale. Un quadro di riferimento per i rifugiati climatici dovrebbe avere come proprio focus il supporto dei governi nazionali, delle comunità locali e delle organizzazioni per proteggere le persone all interno del loro territorio. Detto questo, il cambiamento climatico è un problema globale sia per quanto riguarda le cause che le conseguenze, e perciò ogni regime di protezione non può che avere una struttura internazionale. Ciascun paese ha la sua parte di responsabilità, ma alcuni certamente più di altri. I cinquanta paesi meno sviluppati (Least Developed Countries, LDCs) sono responsabili per meno dell 1% delle emissioni di CO 2 globali. I costi dovrebbero quindi essere ripartiti in maniera differenziata. I paesi più industrializzati dovrebbero sostenere i costi dello spostamento delle persone, quando questo è legato inequivocabilmente al cambiamento climatico (ad esempio il trasferimento degli abitanti dei piccoli stati isola sotto il livello del mare). La governance del regime di protezione dovrebbe riflettere il principio delle responsabilità comuni ma differenziate, per questo EJF sostiene che il suo esecutivo dovrebbe basarsi su un sistema decisionale rappresentativo e inclusivo. È infatti fondamentale che su un tema così complesso vengano ascoltate tutte le voci. I sistemi di supporto globale già faticano a soddisfare i bisogni dei rifugiati in fuga dalle persecuzioni e semplicemente non hanno le risorse o le capacità per far fronte al numero di rifugiati climatici previsti per questo secolo. Tra il 2006 e il 2011 sono stati distribuiti come fondi per l adattamento solo 1,3 miliardi di dollari. Si tratta di una cifra inferiore a quella che i cittadini statunitensi spendono in un mese per i loro animali domestici. L EJF crede che debbano essere stanziati maggiori finanziamenti per la mitigazione e l adattamento. Accrescere la capacità di adattamento e di resilienza delle comunità colpite dal cambiamento climatico permetterà alle popolazioni di restare in situ e aiuterà a prevenire gli scenari peggiori nel caso in cui si verifichi comunque uno spostamento indotto dal cambiamento climatico. n 65

9 Una visione nel futuro Per riprendere le parole di Martin Luther King, Il progresso umano non è né automatico né inevitabile. Ci troviamo di fronte al fatto che domani è oggi... Sopra le ossa sbiancate e i resti confusi di numerose civilizzazioni sono scritte le patetiche parole Troppo tardi. Il cambiamento climatico non deve necessariamente minare i diritti umani e gli effetti avversi possono essere placati attraverso la mitigazione e l adattamento. Eppure, se non agiamo immediatamente sul cambiamento climatico, non ci sono dubbi che tutti noi, come comunità internazionale, falliremo nel nostro impegno verso i diritti umani. I rifugiati climatici hanno bisogno di riconoscimento, protezione e assistenza. Solo l Unione Europea può porsi alla guida nella gestione della questione, per la sua lunga esperienza nella difesa dei diritti umani e perché i suoi rappresentanti democraticamente eletti costituiscono un blocco centrale e importante nelle negoziazioni relative al cambiamento climatico. Noi stessi, come individui, possiamo essere potenti agenti di cambiamento: le decisioni che prendiamo possono essere una significativa forza per il bene. Gli individui dovrebbero fare pressione sui propri governi nazionali e sui loro rappresentanti perché mostrino leadership sul tema del cambiamento climatico e delle migrazioni forzate, e perché sostengano un nuovo accordo legale per il riconoscimento, la protezione e l assistenza dei rifugiati climatici. Dovrebbero ridurre la propria impronta ecologica attraverso consumi consapevoli, una riduzione dei rifiuti, il riciclaggio e investimenti per accrescere l efficienza energetica delle loro abitazioni. Solo un autentica collaborazione assicurerà soluzioni eque per i rifugiati climatici. u Note [Traduzione dall inglese di Beatrice Orlandini] 1. United Nations Human Rights Council Resolution 10/4, Human rights and climate change. ENVIRONMENTAL JUSTICE FOUNDATION 1 Amwell Street, London, EC1R 1UL, UK tel: +44 (0) fax: +44 (0) info@ejfoundation.org 66 n

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