UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE DIPARTIMENTO DI BIOLOGIA

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1 UNIVERSITÀ DEGLI STUDI ROMA TRE DIPARTIMENTO DI BIOLOGIA E UNIVERSITÀ ITALO-FRANCESE DOTTORATO DI RICERCA IN BIOLOGIA XX CICLO (AA.AA ) DIVERSITÀ FLORISTICA E FUNZIONALE DELLA VEGETAZIONE DUNALE COSTIERA DELL ITALIA CENTRALE E DELLA FRANCIA SUD-OCCIDENTALE DOCENTE GUIDA: PROF.SSA ALICIA T.R. ACOSTA CORRELATORE ESTERNO: PROF. RICHARD MICHALET DOTTORANDA: DOTT.SSA CARMELA FRANCESCA IZZI

2 A papà, mamma, Emidio,...e Antonio

3 Dalla Sinfonia n.6 Pastorale, op.68 Come sarò felice di poter camminare tra cespugli, foreste, alberi, erbe, rocce; non c è nessuno che possa amare la natura come me. Le foreste, gli alberi, le rocce danno veramente quella risonanza che è desiderata dall uomo... (L. van Beethoven)

4 PREMESSA Gli studi sulla biodiversità sono molto attuali essendo essa fortemente minacciata da diversi fattori collegati direttamente o indirettamente all attività antropica. La perdita della diversità biologica ha interessato in modo particolare gli ecosistemi costieri sabbiosi che rivestono su scala mondiale una grande importanza ambientale economica, culturale e ricreativa. La biodiversità delle zone costiere è unica ed è un patrimonio che deve essere conservato, tutelato e protetto dal costante degrado a cui è soggetto. Per questo, lo scopo del mio progetto di ricerca è stato quello di analizzare la diversità biologica di questi ecosistemi, considerando la componente vegetale nei suoi diversi aspetti. Lo studio, infatti, è stato attuato mediante due diversi approcci uno species-based, basato quindi sull analisi della flora a livello di specie e comunità e, in particolare, della loro ricchezza e composizione; e l altro, invece, functional types-based che analizza i caratteri morfologici funzionali e le strategie delle specie dunali, permettendoci di esaminare anche il funzionamento di questi particolari ecosistemi. Entrambi gli approcci possono essere utili ai fini conservativi e di gestione rappresentando un importante punto di partenza per qualsiasi progettazione degli ambienti costieri. Tale studio ha posto, poi, in particolare rilievo la problematica relativa all invasività degli ambienti costieri da parte di specie esotiche. La ricerca ha interessato due diverse aree costiere, una mediterranea (coste dell Italia centrale) e un altra atlantica (costa aquitana del Sud-Ovest della Francia). Lo studio dell ecosistema costiero atlantico è stato realizzato grazie alla borsa di mobilità per tesi in cotutela finanziata dall Università Italo Francese nell ambito del Programma Vinci 2005; parte della ricerca, quindi, è stata effettuata in collaborazione con il Prof. R. Michalet e il laboratorio BIOGECO BIOdiversité, Gènes et ECOsystèmes - UMR INRA 1202, Equipe Ecologie des Communautés dell Università di Bordeaux 1.

5 ABSTRACTS RIASSUNTO DIVERSITÀ FLORISTICA E FUNZIONALE DELLA VEGETAZIONE DUNALE COSTIERA DELL ITALIA CENTRALE E DELLA FRANCIA SUD-OCCIDENTALE Introduzione e finalità Le profonde alterazioni della diversità del pianeta provocate, sia a livello locale sia globale, dalle attività antropiche, determinano importanti conseguenze sugli ecosistemi terrestri e marini. In particolare, fenomeni di perdita della biodiversità hanno interessato gli ambienti dunali, particolarmente vulnerabili e per questo, ricchi di specie rare e spesso gravemente minacciate. Gli effetti dell antropizzazione diretta delle spiagge e delle dune costiere hanno portato non solo alla diminuzione ed estinzione locale di specie, ma anche alla diffusione di elementi esotici. Per questo analizzare la diversità floristica e funzionale è di fondamentale importanza ai fini della conservazione e pianificazione ambientale. Questo progetto di ricerca si è posto tre obiettivi principali: 1. analizzare la diversità floristica e cenologica degli ambienti costieri sabbiosi dell Italia centrale; 2. approfondire quali sono i meccanismi biologici ed ecologici (diversità funzionale) che influenzano le invasioni delle piante esotiche negli ecosistemi dunali mediterranei; 3. confronto tra le comunità vegetali dei sistemi dunali mediterranei della costa italiana del Lazio con quelli atlantici della Francia Sud-Occidentale e analisi delle strategie delle specie dunali dei due sistemi attraverso lo studio dei caratteri morfologico funzionali (plant traits) e dei tipi funzionali (PFT). Metodi e principali risultati 1) Analisi floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Il censimento floristico è stato realizzato seguendo il protocollo della cartografia floristica europea e considerando, come unità di base, l Unità Geografica Operazionale (OGU). Il censimento ha riguardato le dune oloceniche costiere di tre regioni dell Italia centrale, rappresentative del litorale adriatico e di quello tirrenico: Lazio, Abruzzo e Molise. Lo studio ha interessato 72 quadranti e ha rilevato la presenza di un elevata ricchezza di specie. Sono state censite, infatti, 820 specie, di cui 67 esotiche e 67 specie a rischio che rientrano in una delle categorie IUCN. Per quanto riguarda la componente esotica, è stata riscontrata una maggiore percentuale di aliene provenienti dall America tropicale e dal continente africano sulle coste tirreniche, mentre una maggiore percentuale di esotiche provenienti dall America extra-tropicale e dall Asia sulle coste adriatiche; è stata quindi ipotizzata un influenza climatica sulla distribuzione differenziale delle specie esotiche, supportata dalle caratteristiche più termofile delle aliene legate al versante tirrenico. Infatti, le specie del genere Carpobrotus (originario del Sud Africa) e Agave americana (originaria del Messico) sono i

6 le principali specie invasive delle coste tirreniche; mentre Oenothera biennis e Ambrosia coronopifolia (entrambe originarie del Nord America) sono più frequenti lungo le coste adriatiche. Le specie del genere Erigeron (ex. Conyza) sono presenti in entrambi i litorali costieri. Le liste delle piante esotiche e native sono state archiviate in una banca dati, corredata di diverse informazioni come la distribuzione geografica, le caratteristiche ambientali e la biologia della specie. 2) Analisi dei caratteri morfologico-funzionali delle specie esotiche e native In una prima fase, è stata realizzata una selezione di piante vascolari native ed esotiche, per le quali individuare i principali caratteri morfologici funzionali. Sono state selezionate 41 specie più comuni ed abbondanti: 27 native e 14 esotiche. In seguito sono stati selezionati i caratteri morfologico-funzionali più predittivi in relazione all invasività delle specie esotiche, per un numero complessivo di 16 variabili. Si è così ottenuta una matrice che è stata elaborata mediante tecniche di analisi multivariata. Sono stati individuati 3 gruppi funzionali che comprendono: le annuali; le perenni avandunali e le perenni del retroduna. Le esotiche sono presenti in tutti i gruppi, quindi esse presentano sia le strategie delle specie annuali che quelle delle perenni e sempreverdi. Dai confronti statistici non sono emerse differenze significative tra le esotiche e le native per i gruppi delle perenni, ma solo per quello delle specie annuali, in particolare per quelle che popolano la duna di transizione dove le esotiche fioriscono più tardivamente e sono più sviluppate in altezza. 3) Analisi floristico-vegetazionale e funzionale del sistema dunale mediterraneo ed atlantico La terza fase del progetto ha visto un confronto della diversità floristica-vegetazionale e funzionale tra il sistema dunale mediterraneo della costa laziale e quello atlantico della costa aquitana della Francia Sud-Occidentale nell ambito della co-tutela di tesi (Programma Vinci 2005). Lo studio floristico-vegetazionale è stato effettuato sulla base di 365 rilievi fitosociologici di bibliografia delle due aree. L analisi statistica ha mostrato una somiglianza floristica a livello di comunità nell avanduna, ma una forte diversità delle comunità retrodunali. Si è osservata inoltre una maggiore presenza di elementi endemici sulla costa atlantica rispetto a quella mediterranea. Per quanto riguarda lo studio della diversità funzionale, sono stati selezionati, anche in questo caso, i caratteri più strettamente collegati alle strategie delle specie dunali e le specie native più tipiche ed abbondanti dei due sistemi dunali. Dallo studio dei plant traits delle specie dunali lungo i gradienti dei due ecosistemi costieri è emersa una certa somiglianza funzionale nell avanduna, dove le condizioni ambientali legate alla salinità, ai venti e all incoerenza del substrato è tipica per entrambi gli ecosistemi, mentre è stata osservata una forte differenza nel retroduna dove differenti fattori locali spiegano il diverso comportamento morfologico-funzionale delle specie. ii

7 ABSTRACT FLORISTIC AND FUNCTIONAL DIVERSITY OF COASTAL DUNE VEGETAZION ON CENTRAL ITALY AND SOUTH -WESTERN FRANCE Introduction and aims Humans have extensively altered the biological diversity of the Earth, both locally and globally, inducing major consequences on terrestrial and marine ecosystems. In particular, loss of diversity has interested coastal dune ecosystems, which are vulnerable and especially rich in rare and threatened species. Direct human activities on beaches and coastal dunes have not only caused the decline and extinction of local species, but also increased rates of species invasion. Therefore, analysing floristic and functional diversity becomes a priority in order to preserve and manage these ecosystems. This research project had three main goals: 1. To analyse floristic and cenologic diversity of coastal dunes in Central Italy; 2. To investigate, with a functional diversity approach, which biological and ecological mechanisms influence the invasion of Mediterranean coastal dunes by alien plants; 3. To compare plant communities between Mediterranean (Lazio region, Italy) and Atlantic (Aquitaine region, France) coastal dune ecosystems and to analyse strategies of dune species in both systems through morphological-functional traits and functional types (PFT) approaches. Methods and main results 1) Floristic analysis of coastal sand dunes in Central Italy The floristic sampling was carried out following the European Cartographic Project protocol with the Operational Geographic Unit as sampling unit. Sampling was carried out on Holocene coastal dunes of three Central Italian regions on both the Tyrrhenian and the Adriatic coasts: Lazio, Abruzzo and Molise. This study considered 72 plots and highlighted significant values of species richness. A total of 820 vascular plant species were sampled, including 67 aliens and 67 threatened species in IUCN categories. With regard to alien species, we found significantly higher rates of aliens coming from Tropical America and Africa on the Tyrrhenian coast, but a greater number of aliens coming from Asia and Extra Tropical America on the Adriatic coast; we hypothesize that the coastal flora (including native and alien species) is influenced by climatic factors, in particular, by the warmer conditions on the Tyrrhenian coast with respect to the Adriatic one. In fact, Carpobrotus spp. (from the Cape Region of South Africa) and Agave americana (from Mexico), the most common invasive aliens along the Tyrrhenian coast, are quite rare on the Adriatic. On the other hand, Oenothera biennis and Ambrosia coronopifolia (from Extra Tropical North America) are the most common invasive aliens on and are restricted to the Adriatic coast. The genus Erigeron (ex. Conyza) is present along both coasts. Lists of native and alien species were stored in a database including information about the environmental characteristics, the geographic distribution and the biology of the species. iii

8 2) Analysis of morphologic-functional traits of alien and native species First, we selected native and alien plants whose main morphological and functional traits we analysed. The most common and abundant 41 species were selected: 27 native and 14 alien species. We then chose 16 morphological and functional traits that are strongly predictive of invasion by aliens. A multivariate analysis was applied to the species by traits matrix. Three functional groups were identified: annuals, foredune and back-dune perennials. All functional groups contain alien species, which therefore share with native species both annual and perennial strategies. No significant differences between native and alien plants were observed for perennial functional groups, but only for the group of annuals, particularly for those growing on the transition dune, where alien species flower later and are taller. 3) Floristic-cenologic and functional analysis of Mediterranean and Atlantic coastal dune systems In the third phase of the research a comparison of the floristic-cenologic and functional diversity between the Mediterranean coastal dunes of Lazio and the Atlantic coastal dunes of the Aquitaine region in South Western France was carried out, in the context of the Vinci- Programme The floristic and vegetational study was carried out on the basis of 365 phytosociologic relevès, obtained from the literature, of the two areas. Statistical analysis showed a similarity in communities of the foredune and a strong difference for backdune communities of the two coastal dune systems. A good presence of endemics was observed for Atlantic coastal dunes compared to Mediterranean ones. With regard to the study of functional diversity, we again selected those characters that are strongly indicative of dune species adaptations and we selected the most common and abundant entities of the communities of each ecosystem. The analysis of plant traits of the species along the beach-inland gradient of each ecosystem showed that similarity of plant traits between the two systems is higher on the foredune, which are particularly harsh and dynamic environments. On the other hand, in the more interior zones, traits of species are quite different in the communities of the two compared dune systems, because of different local factors. iv

9 SOMMARIE DIVERSITE FLORISTIQUE ET FONCTIONNELLE DE LA VEGETATION DES DUNES LITTORALES DU CENTRE DE L ITALIE ET DU SUD-OUEST DE LA FRANCE Introduction et objectifs L homme a profondément altéré la diversité biologique sur Terre et a induit à toutes les échelles des bouleversements et des changements majeurs dans les écosystèmes terrestres et marins. Les écosystèmes dunaires côtiers, qui sont des milieux vulnérables et également riches en espèces rares et menacées, sont particulièrement touchés par la perte de la diversité. L impact direct des activités humaines sur les plages et littorales dunaires, n ont pas seulement causé un déclin et une extinction des espèces locales, mais ont aussi permis aux espèces invasives de se développer dans ce milieu. L analyse de la diversité floristique et fonctionnelle s avère donc être une priorité pour comprendre et ainsi mieux préserver et gérer cet écosystème. Trois principaux objectifs émergent de ce travail de recherche : 1. analyser la diversité floristique et coenologique des dunes littorales du centre de l Italie ; 2. analyser la diversité fonctionnelle des dunes littorales méditerranéennes et comparer les traits fonctionnels et morphologiques des espèces natives et exotiques du littoral dunaire ; 3. comparer les communautés végétales dunaires du littoral méditerranéen (Région de Lazio, Italie) avec celles du littoral atlantique (Région Aquitaine, France) et analyser les stratégies des espèces dunaires de ces deux systèmes grâce à une approche basée sur l études des traits fonctionnels et morphologiques des plantes ainsi que sur les types fonctionnels (PFT). Méthodes et principaux résultats 1) Analyse floristique des dunes littorales du Centre de l Italie L échantillonnage floristique a été réalisé suivant le protocole établi par le projet européen de cartographie ayant pour unité d échantillonnage l unité opérationnelle géographique. Les dunes étudiées sont des dunes littorales datant de l holocène. Elles sont localisées dans 3 régions de l Italie du centre (Lazio, Abruzzo et Molise) et intègrent à la fois des dunes de la côte Tyrrhénienne et de la côte Adriatique. Dans cette étude, 72 parcelles ont été échantillonnées et ont permis de souligner la forte richesse floristique de ces dunes. Au total, 820 espèces vasculaires ont été répertoriées parmi lesquelles 67 espèces exotiques et 69 espèces menacées selon l IUCN (Union internationale pour la conservation de la nature). Concernant les espèces exotiques retrouvées sur la côte Tyrrhénienne, un grand nombre de ces espèces étaient originaires de l Amérique du Sud et de l Afrique tandis que sur la côte Adriatique un grand nombre de ces espèces provenaient d Asie ou d Amérique du Nord. Nous avons donc émis l hypothèse que la flore du littoral (native et exotiques) était fortement dépendante des facteurs climatiques avec notamment des conditions plus douces sur la côte Tyrrhénienne que sur la côte Adriatique. L étude de nos relevés a mis en évidence que Carpobrotus spp. (Espèce originaire du Cap en Afrique du Sud) et Agave americana (originaire du Mexique), étaient les espèces exotiques et invasives les plus communes le long de la côte Tyrrhénienne mais peu présentes sur la côte Adriatique. A l inverse, Oenothera v

10 biennis et Ambrosia coronopifolia (originaire d Amérique du Nord) étaient les espèces invasives et exotiques les plus communes sur la côte Adriatique et pratiquement exclusive de cette côte. Le genre Erigeron (ex. Conyza) a quant à lui été retrouvé sur les deux côtes. La liste des espèces natives et exotiques issues de nos relevés ainsi que les données complémentaires acquises au court de ce travail (caractéristiques de l habitat, distribution géographique des espèces, biologie des espèces) ont permis d enrichir les banques de données existantes. 2) Analyse des traits morphologiques et fonctionnels des espèces natives et exotiques Dans un premier temps, nous avons sélectionné des espèces natives et exotiques et étudiés leurs principaux caractères morphologiques et fonctionnels. Cette étude a concernée 41 espèces les plus abondantes et communes, comprenant 27 espèces natives et 14 espèces exotiques. Nous avons ensuite choisi 16 traits morphologiques et fonctionnels étant fortement indicateurs d invasion par les espèces exotiques. Une analyse multivariée a été réalisée sur la matrice espèce-traits. Trois groupes fonctionnels ont été identifiés : des annuelles, des espèces de dunes embryonnaires et des espèces pérennes d arrière dunes. Les espèces exotiques étaient présentes dans les 3 précédents groupes fonctionnels tandis que les espèces natives étaient seulement présentes au sein des groupes à stratégie annuelle et stratégie pérenne. Aucune différence significative de traits entre les espèces natives et invasives n a été observée au sein du groupe constitué d espèces pérennes. Les seules différences entre espèces natives et exotiques ont été observées au sein du groupe des annuelles, et en particulier pour les espèces de dunes de transition, parmi lesquelles les espèces exotiques se caractérisaient par une floraison tardive et par un port plus élevé. 3) Analyse floristique-coenologique et fonctionnelle des dunes littorales méditerranéenne et atlantiques. Dans la troisième partie de ce projet, et dans le cadre d une bourse du programme Vinci 2005, une comparaison des traits floristique-coenologiques et fonctionnels a été réalisé entre les dunes littorales méditerranéennes de la région de Lazio en Italie et celles d Atlantique en Région Aquitaine (sud ouest de la France). Les données floristiques de ces deux régions, obtenues à partir de la littérature, ont permis de travailler sur 365 relevés phytosociologiques. Les analyses statistiques de ces relevés ont révélé de fortes similitudes dans la composition des communautés de dune embryonnaires, mais aussi de fortes divergences au niveau des arrières dunes entre ces deux régions. Un grand nombre d espèces endémiques a été observé pour les dunes Atlantiques en comparaison avec les dunes méditerranéennes. Concernant l étude de la diversité fonctionnelle, nous avons choisi des traits permettant de renseigner sur les adaptations des espèces et nous avons sélectionné les espèces les plus abondantes dans les 2 systèmes (dont des espèces communes aux deux systèmes). L analyse des traits de ces espèces le long du gradient dunaire depuis la mer vers les terres, a montré que les dunes embryonnaires où le filtre environnemental était particulièrement sévère, étaient les dunes les plus similaires entre les deux systèmes. A l inverse, les communautés situées en arrières dunes montraient une forte différence de traits ente les 2 systèmes en raison des facteurs environnementaux régionaux différents. vi

11 INDICE PREMESSA ABSTRACTS... i PARTE 1: QUADRO INTRODUTTIVO E OBIETTIVI GENERALI BIODIVERSITÀ: CONCETTI E PROBLEMATICHE Definizioni Problematiche e previsioni LA BIODIVERSITÀ E IL FUNZIONAMENTO DEGLI ECOSISTEMI: IL CONCETTO DI DIVERSITÀ FUNZIONALE Diversità specifica e diversità funzionale Il concetto di diversità funzionale Misure della diversità funzionale Plant traits e Plant Functional Types La ricchezza specifica e la ricchezza funzionale Diversità funzionale: misure proposte e loro problematiche La diversità funzionale in campo vegetale e sue applicazioni HABITAT MINACCIATI: GLI AMBIENTI DUNALI COSTIERI I sistemi costieri sabbiosi Vegetazione psammofila e sue caratteristiche Le fitocenosi dunali e la loro importanza Vulnerabilità degli ambienti dunali Gli effetti dell'antropizzazione sulle fitocenosi costiere SPECIE ESOTICHE: UNA MINACCIA ALLA BIODIVERSITÀ Le introduzioni di specie esotiche Conseguenze delle introduzione di specie esotiche La problematica delle specie esotiche in Europa e in Italia Le specie esotiche nel Mediterraneo Le specie esotiche negli ambienti dunali costieri OBIETTIVI GENERALI DELLA RICERCA PARTE 2: ANALISI DELLA DIVERSITA' FLORISTICA DELLE COSTE SABBIOSE DELL'ITALIA CENTRALE AMBIENTI DUNALI DELLE COSTE ITALIANE Ambienti dunali dell'italia: stato e minacce Stato delle conoscenze floristico-vegetazionali degli ambienti dunali in Italia OBIETTIVI AREA DI STUDIO Il versante tirrenico: la costa laziale Il versante adriatico: la costa abruzzese e molisana Il litorale abruzzese Il litorale molisano La classificazione gerarchica delle coste dell'italia centrale Zonazione della vegetazione costiera Fenomeni erosivi e stato di conservazione MATERIALI E METODI Il censimento floristico Analisi dei dati Lo spettro delle famiglie tassonomiche I

12 4.2.2 Lo spettro biologico Lo spettro corologico Le specie esotiche e la loro classificazione Confronto tra i due versanti e analisi della ricchezza native/esotiche RISULTATI Risultati del censimento floristico complessivo Specie esotiche dell coste sabbiose dell'italia centrale Distribuzione di alcune specie esotiche lungo le coste tirreniche ed adriatiche Specie rare e vulnerabili delle coste sabbiose dell'italia centrale Distribuzione di alcune specie a rischio lungo le coste tirreniche e adriatiche Confronto floristico tra versanti costieri: il tirrenico e l'adriatico La flora complessiva La componente esotica Relazione tra la ricchezza delle specie native ed quella delle specie esotiche DISCUSSIONI E CONCLUSIONI PARTE 3: ANALISI DELLA DIVERSITA' FUNZIONALE DELLE SPECIE NATIVE ED ESOTICHE DELLE COSTE SABBIOSE DELL'ITALIA CENTRALE LA DIVERSITÀ FUNZIONALE E GLI AMBIENTI DUNALI DIVERSITÀ FUNZIONALE E INVASIVITÀ DELLE SPECIE ESOTICHE Gli aspetti generali delle invasioni biologiche Caratteristiche delle specie invasive Caratteristiche degli ambienti suscettibili all'invasione OBIETTIVI MATERIALI E MEDODI Selezione delle specie native ed esotiche Selezione dei caratteri morfologico-funzionali (plant traits) Breve descrizione dei caratteri morfologico-funzionali esaminati Analisi dei dati RISULTATI Quali e quanti Plant Functional Types (o gruppi funzionali) caratterizzano gli ambienti dunali dell'italia centrale? Quali sono le differenze in termini di plant traits tra i gruppi funzionali? Le specie esotiche dimostrano strategie distinte dalla componente nativa? Ci sono PFTs delle specie esotiche? Quali sono le differenze in termini di plant traits tra le specie native ed esotiche? e tra le native e le esotiche invasive? Quali sono le principali differenze in termini di plant traits tra le specie esotiche non invasive e quelle invasive? Si possono individuare delle differenze a livello di plant traits all'interno di ciascun PFT tra le native e le esotiche? Si possono individuare delle differenze a livello di plant traits lungo il gradiente mareterra, per le specie di avanduna, di duna di transizione e di duna fissa? DISCUSSIONI E CONCLUSIONI La diversità funzionale degli ambienti dunali costieri dell'italia centrale Gruppi funzionali e specie esotiche Esistono dei caratteri tipici delle specie esotiche o associati all'invasività? PARTE 4. FLORISTIC AND FUNCTIONAL ANALYSIS OF ATLANTIC AND MEDITERRANEAN COASTAL DUNE SYSTEMS INTRODUCTION Coastal dunes: stress and disturbance II

13 1.2 Coastal dunes: sea-inland gradient Coastal dunes: taxonomic and functional diversity AIMS STUDY AREAS Mediterranean coastal dune area Atlantic coastal dune area Coastal zonation Something else about Atlantic coastal dunes PARTE A. TAXONOMICAL DIVERSITY: FLORISTIC & VEGETATIONAL ANALYSIS MATERIALS AND METHODS RESULTS AND DISCUSSIONS Analysis of community types Atlantic coastal dunes Mediterranean coastal dunes Comparison between Mediterranean and Atlantic coastal communities Upper beach community ("haute de plage") Embryodune communities ("dune embryonnaire") Mobile dune communities("dunes mobile or dunes blanche") Transition dune communities ("dune de transition" or "dune semi-fixée) Fixed dunes communities ("dune fixée") Total floristic comparison between Mediterranean and Atlantic coastal dunes Species richness Phytogeographical differences Comparing the whole vegetation zonation Something about rare and endemic Atlantic species CONCLUSIONS PARTE B: FUNCTIONAL ANALYSIS MATERIALS AND METHODS Species and plant traits selection Data analisys Identification of Plant Functional Types in Mediterranean and Atlantic coastal dunes Analysis of plant traits along the coastal zonation in Mediterranean and Atlantic coastal dunes RESULTS Plant Functional Types of coastal dune environments Explorative analysis of relationships among the traits Plant Functional Types in Mediterranean and Atlantic coastal systems Comparison between Mediterranean and Atlantic PFTs Plant traits of Mediterranean and Atlantic coastal dunes Comparison of plant traits along the coastal zonation Comparison of plant traits between Atlantic and Mediterranean communities DISCUSSIONS Functional Types and plant traits on Mediterranean and Atlantic coastal dunes Plant traits and PFTs in foredune communities Plant traits and PFTs in transition dune communities Plant traits and PFTs in fixed dune communities Annual strategies in coastal dunes Critical traits of coastal plants Dispersal related traits CONCLUSIONS FURTHER DEVELOPMENT PARTE 5. DISCUSSIONI E CONCLUSIONI GENERALI CONCLUSIONI GENERALI III

14 1.1 Diversità floristica delle coste sabbiose dell'italia centrale Diversità funzionale delle coste sabbiose dell'italia centrale Diversità tassonomica e funzionale degli ecosistemi dunali costieri del Mediterraneo e dell'atlantico CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE BIBLIOGRAFIA APPENDICI APPENDICE I: ELENCO E CLASSIFICAZIONE DELLE SPECIE ESOTICHE CENSITE SULLE COSTE DELL'ITALIA CENTRALE APPENDICE II: ELENCO DELLE SPECIE A RISCHIO CENSITE SULLE COSTE DELL'ITALIA CENTRALE APPENDICE III: SCHEMA SINTASSONOMICO DELLE COMUNITÀ DUNALI MEDITERRANEE E ALTANTICHE RINGRAZIAMENTI IV

15 PARTE 1 QUADRO INTRODUTTIVO E OBIETTIVI GENERALI Biodiversity as the variety of life is the kind of general intuitive definition that most people share (Heywood & Iriondo 2003)

16 Quadro introduttivo e Obiettivi generali 1. BIODIVERSITA : CONCETTI E PROBLEMATICHE 1.1 DEFINIZIONI La diversità dei viventi e la loro distribuzione sul territorio tendono continuamente a variare per effetto dei naturali processi evolutivi, per gli effetti dei cambiamenti climatici a lungo e a breve termine e per le conseguenze dell azione umana (Hooper et al. 2005). La vita sulla Terra è stata drammaticamente influenzata, negli ultimi decenni, dalle alterazioni degli ecosistemi per opera dell uomo sia a livello locale che globale (Díaz & Cabido 2001). Per questo, il concetto di diversità biologica, o di biodiversità, ha assunto notevole rilievo in un periodo di tempo notevolmente breve. Forse è il concetto dominante nell opinione e nella progettazione in campo ambientale e l entrata in vigore della Convenzione sulla Diversità Biologica (CBD), firmata a Rio de Janeiro il 5 giugno 1992 nel quadro della Conferenza delle Nazioni Unite su ambiente e sviluppo (UNCED), l hanno posta al centro della scena internazionale e politica (Heywood & Iriondo 2003). La CBD, infatti, ha rappresentato un importante passo avanti nella protezione della biodiversità poiché è stato il primo trattato che si è occupato delle risorse genetiche mondiali in una prospettiva globale e ha fornito precise indicazioni sulle vie da seguire per arrivare ad applicare concretamente il principio dello sviluppo sostenibile e garantire la conservazione della diversità biologica. Pur assistendo ad un uso del termine biodiversità (o diversità biologica o semplicemente diversità), sia a livello di pubblicazioni scientifiche che di mezzi d informazione, non esiste un unanime consenso su cosa la biodiversità rappresenti e su come questa vada misurata (Gaston 1996). Ancora oggi c è un considerevole dibattito su che cosa la biodiversità sia, se si tratti di un concetto significativo o solo di una moda passeggera, se essa possa essere considerata come una disciplina rigorosa e se meriti tutte le attenzioni che sembra attirare. Il problema basilare è l affascinante semplicità dell idea: infatti, biodiversità come la varietà della vita è la definizione intuitiva generale che la maggior parte delle persone condivide (Heywood & Iriondo 2003). È quando noi cerchiamo di applicare delle definizioni più precise o rigorose che si riscontrano delle difficoltà. Gaston (1996) suggerisce che queste definizioni possono essere ampiamente raggruppate in tre sezioni: quelle che riguardano la biodiversità come concetto; quelle che riguardano la biodiversità come un entità misurabile; e infine, quelle che la considerano come un costrutto sociale o politico. Il concetto di biodiversità si è, inoltre, trasformato ed arricchito, nel corso del tempo, di sempre maggiori aspetti. Secondo W.G.Rosen, che introdusse il termine diversità ecologica negli anni Ottanta del secolo scorso, questa denominazione indica la diversità a tutti i livelli di organizzazione biologica (Frankel et al. 1995). Nel 1987 l Office of Technology Assessment del Congresso degli Stati Uniti stabilì che: la diversità biologica si riferisce alla varietà e variabilità degli organismi viventi e dei sistemi ecologici che li comprendono. Ciò significa che il termine biodiversità include diversità all interno delle specie (livello genetico 2

17 Parte 1 o intraspecifico), tra specie diverse (livello specifico o tassonomico) e degli ecosistemi (livello ecosistemico o delle comunità). Tale definizione distingue i maggiori componenti o livelli della biodiversità che possono essere riconosciuti ecosistemi, specie e geni- e corrisponde essenzialmente alla definizione data nell articolo 2 della Convenzione sulla Diversità Biologia: Diversità biologica indica la variabilità tra gli organismi viventi, da tutte le fonti; includendo tra l altro, gli ecosistemi terrestri, marini e altri ecosistemi acquatici e i complessi ecologici di cui questi fanno parte: essa include la diversità all interno delle specie, tra le specie e gli ecosistemi. Il termine biodiversità, quindi, comprende un ampio spettro di scale biotiche, dalle variazioni genetiche all interno della specie alla distribuzione dei biomi sul pianeta (Hooper et al. 2005); essa è la manifestazione visibile della biosfera, ne compone la struttura attraverso le relazioni che spazio e tempo hanno stabilito tra i suoi componenti, dal livello molecolare a quello ecosistemico (Ferrari 2001). La definizione adottata nel Global Biodiversity Assessment (Heywood 1995) aggiunge alla diversità genetica, ecologica e tassonomica anche quella culturale, fornendo un utile struttura in cui pianificare le valutazioni. Infine, una definizione più ampia e complessa di diversità, che include anche l aspetto funzionale è quella riportata da Díaz et al. (2006): La biodiversità in senso ampio è il numero, l abbondanza, la composizione, la distribuzione spaziale e l interazione di genotipi, popolazioni, specie, tipi funzionali e caratteri, e unità di paesaggio in un dato sistema. Da questo rapido excursus sul concetto di biodiversità, ci rendiamo conto di quanto sia complesso poterlo definire in modo univoco, ma anche di quanto tale concetto sia fondamentale e cruciale in tutti i campi di ricerca. 1.2 PROBLEMATICHE E PREVISIONI Lo studio della diversità biologica dei sistemi rappresenta oggi una fase necessaria nell analisi dei processi della biosfera; esso ci permette di ottenere conoscenze utili alla loro conservazione, soprattutto in seguito alle grandi minacce causate dall azione antropica. La scala e l intensità delle interazioni umane con l ambiente, infatti, hanno portato ad una progressiva e ampia perdita di habitat e alla loro degradazione e frammentazione, con la conseguente perdita di specie e della variabilità genetica (Heywood & Iriondo 2003). Le attività umane stanno modificando molti degli ecosistemi della Terra attraverso la diminuzione della ricchezza di specie, l aggiunta d inquinanti nel suolo, nell acqua e nell atmosfera e l alterazione di processi funzionali come la produzione di materia e il ciclo dei nutrienti (Lacroix & Abbadie 1998). I disastri ecologici, l inquinamento industriale, la deforestazione e la conversione di habitat naturali in terreni agricoli e industriali si verificano ininterrottamente su vaste aree di ciascun continente generando cambiamenti spesso irreversibili (Turner et al. 1991; Chapin et al. 2000). E stato stimato che, a livello globale, la biodiversità sta diminuendo ad una velocità maggiore rispetto a qualsiasi periodo del passato (Chapin et al. 1998), come una risposta complessa ai molti cambiamenti effettuati 3

18 Quadro introduttivo e Obiettivi generali dall uomo nell ambiente globale, minacciando i principali processi dell ecosistema e influenzando così i servizi e i benefici che gli uomini ricevono da essi, e che contribuiscono a rendere la vita possibile (Fig. 1.1). La popolazione umana, infatti, è strettamente dipendente dall ambiente per risorse quali l acqua, le materie prime, il cibo, e molti altri beni e servizi (Díaz et al. 2006). Fig Il ruolo della biodiversità nel cambiamento globale. Le attività umane sono causa di cambiamenti ambientali ed ecologici di importanza globale. Tali effetti ecologici alterano sia la comunità biotica (la biodiversità) che le componenti abiotiche che controllano le proprietà dell ecosistema. Nel grafico tra i controlli abiotici sono riportati anche i modulators intesi come condizioni abiotiche che influenzano il tasso dei processi (es. T, ph) e che non sono direttamente consumate durante il processo, diversamente dalle risorse (Chapin et al. 2002).Vari aspetti della comunità biotica influenzano i range e la proporzione dei caratteri delle specie. Questi caratteri possono poi, alterare i controlli abiotici, influenzando direttamente le proprietà dell ecosistema oppure i benefici e i servizi che esso fornisce all uomo (da Hooper et al. 2005). Secondo Wood et al. (2000) la corsa a salvare la biodiversità sta diventando persa, e lo sta diventando perché i fattori che stanno contribuendo alla sua degradazione sono più complessi e potenti di quelle forze che stanno lavorando per proteggerla. Le attuali minacce alla diversità biologica sono storicamente senza precedenti: mai prima d ora si era verificato che tante specie si avvicinassero alla soglia dell estinzione in così breve tempo (Chapin et al. 1998). A tal proposito molti studiosi affermano che la Terra è nel pieno della sesta estinzione di massa nella storia della vita (Chapin et al. 1998; Chapin et al. 2000). Ma, mentre le precedenti estinzioni erano probabilmente causate (es. quella che alla fine del Cretaceo provocò la scomparsa dei Dinosauri) da cambiamenti dell ambiente fisico provocate da impatti di grandi meteoriti sulla terra o da prolungatissime eruzioni vulcaniche, l odierna estinzione ha un origine di tipo biologico; in particolare è dovuta all azione antropica 4

19 Parte 1 sull uso del suolo, le invasioni di nuove specie e i cambiamenti climatici e atmosferici (Fig. 1.1; Chapin et al. 2000; Wilson 2002). L estinzione, quindi, è di per se un processo naturale, ma sta avvenendo ad una velocità innaturale come conseguenza delle attività antropiche. Sebbene sia difficile valutare la velocità con cui avviene il processo di estinzione, anche per la difficoltà di stimare il numero di specie attualmente presenti sulla Terra, tuttavia la comunità scientifica è d'accordo nell'affermare che il tasso attuale di estinzione è volte superiore a quello precedente la comparsa dell'uomo e si attende che l estinzione delle specie attualmente minacciate potrebbe aumentare questo tasso di un fattore 10 (Pimm et al. 1995; Pimm & Raven 2000). Ad oggi si considera che il 5-20% delle specie dei principali gruppi di organismi è minacciato di estinzione (Chapin et al. 2000; Fig.1.2). Fig Proporzioni del numero globale di specie di uccelli, mammiferi, pesci e piante che sono attualmente minacciati di estinzione (da Chapin et al. 2000). L elenco delle trasformazioni dei sistemi naturali legate direttamente alle attività antropiche è estremamente lungo. Sono stati identificati cinque importanti fattori, denominati drivers, che determinano cambiamenti nella diversità a scala globale: cambiamenti dell uso del suolo, cambiamenti climatici, aumento della concentrazione di anidride carbonica (CO 2 ) atmosferica, deposizioni azotate e piogge acide, introduzioni di animali e vegetali esotiche (Sala et al. 2000; Chapin et al. 2001). Mediante l utilizzo di modelli globali, sono stati costruiti gli scenari futuri per l anno 2100 dei principali biomi presenti sulla Terra (artico, alpino, boreale, prateria temperata, savana, mediterraneo e deserto) e calcolato anche il singolo contributo di ciascun fattore a tale fenomeno. Tali studi (Sala et al. 2000; Chapin et al. 2001) hanno inoltre quantificato a livello globale (di tutti i biomi) l impatto di ciascun fattore di cambiamento. Tre scenari plausibili sono stati considerati in base alle assunzioni circa le interazioni tra i drivers del cambiamento nella biodiversità (Sala et al. 2000; Chapin et al. 2000; Chapin et al. 2001). Nel primo scenario si assume che non ci siano interazioni tra i vari fattori che influenzano la biodiversità; in questo caso, quindi, il 5

20 Quadro introduttivo e Obiettivi generali cambiamento previsto è uguale alla somma dei cambiamenti della diversità biologica causati da ciascun fattore. Nel secondo scenario si assume che ci siano interazioni antagonistiche tra gli effetti dei drivers e la biodiversità risponderà solo al driver a cui esso è più sensibile; infine nel terzo scenario si assume che ci siano interazioni sinergiche e la biodiversità risponderà in modo moltiplicativo ai vari drivers (Sala et al. 2000; Chapin et al. 2000; Fig.1.3). Fig Scenari nel cambiamento della diversità di specie in biomi selezionati previsti per il I biomi sono: T (foreste tropicali); G (praterie temperate), M (mediterraneo), D (deserti), N (foreste temperate settentrionali), B (foreste boreali), A (artico). Il grafico dimostra che, secondo le previsioni, tutti i biomi presentano sostanziali cambiamenti nella diversità specifica per il 2100, che la causa principale del cambiamento della diversità differisce tra i biomi, e che il cambiamento nel pattern di diversità dipende dalle assunzioni circa la natura delle interazioni tra i drivers. I cambiamenti previsti sono più simili tra i biomi se i fattori che influenzano la diversità non interagiscono tra loro (scenario 1), mentre differiscono fortemente se i fattori del cambiamento della biodiversità interagiscono (scenario 3) (da Chapin et al. 2000). In quasi tutti gli ecosistemi terrestri i cambiamenti nell uso del suolo rappresentano il fattore con il più alto indice di impatto sulla biodiversità perché determinano una perdita di habitat a cui è associata una rapida estinzione di specie (Fig.1.4a).; il secondo fattore, in ordine decrescente di importanza, è rappresentato dai cambiamenti climatici, e in particolare dall aumento di temperatura, che interesserebbe particolarmente le latitudini elevate (Fig.1.4b). La causa principale del cambiamento dell uso del suolo è rappresentata dall espansione della popolazione umana che converte ecosistemi naturali in ecosistemi dominati dall uomo. Il risultato principale di queste azioni è una frammentazione a scala di habitat e di paesaggio; tale frammentazione limita la possibilità di interscambio genetico tra le popolazioni isolate e numericamente impoverite (rarefazione), causando quindi una diminuzione della diversità genetica delle popolazioni residue e riducendo dunque, la possibilità di cambiamento evolutivo. Quando la dimensione della popolazione, e quindi la diversità genetica, scendono la di sotto di un certo limite, le future opzioni evolutive diventano talmente scarse da condannare la specie ad un rapido declino (Massa 1999). Lo studio di Sala et al. (2000), quindi, ha permesso di osservare grandi differenze tra i biomi circa le cause del futuro cambiamento nella biodiversità (Fig. 1.3; Fig. 1.4b); i biomi come quelli tropicali e delle foreste temperate del sud dimostrano grandi cambiamenti, principalmente a causa delle modifiche nell uso del suolo con effetti relativamente bassi 6

21 Parte 1 dovuti agli altri drivers (Fig. 1.4b). Gli ecosistemi artici sono influenzati largamente da un singolo fattore, il cambiamento climatico (Fig. 1.4b). Biomi come le foreste temperate del nord e i deserti sono influenzati da tutti i drivers ma la maggior parte di essi sono moderati. (Fig. 1.4b). Gli ecosistemi di acqua dolce dimostrano sostanziali impatti derivati dall uso del suolo, dalle introduzioni di specie esotiche e dal clima (Fig. 1.4b). Invece, i sistemi mediterranei, le savane, e le praterie sono sostanzialmente sensibili a tutti i drivers dei cambiamenti nella biodiversità, particolarmente al cambiamento nell uso del suolo; essi i presentano, infatti, in tutti gli scenari prospettati dagli studiosi, una grande perdita della biodiversità (Fig. 1.3; Fig. 1.4b). Comunque, data la complessità nelle interazioni tra i drivers (antagonistiche, sinergiche, indipendenti), si può ipotizzare che i cambiamenti futuri nella biodiversità saranno intermedi tra gli scenari che considerano interazioni sinergiche (scenario 3) e quelli che presuppongono l assenza di interazione tra i drivers (scenario 1); proiezioni realistiche del cambiamento futuro della biodiversità richiedono un miglioramento nelle conoscenze circa le interazioni tra i drivers che determinano il cambiamento della biodiversità. a b Fig a) Effetti dei maggiori fattori (drivers) di cambiamento sulla biodiversità previsto per il 2100; b) Effetto di ciascun driver sul cambiamento della biodiversità per ciascun bioma terrestre ed ecosistema d acqua dolce (da Sala et al. 2000). 7

22 Quadro introduttivo e Obiettivi generali 2. LA BIODIVERSITA E IL FUNZIONAMENTO DEGLI ECOSISTEMI: IL CONCETTO DI DIVERSITA FUNZIONALE 2.1 DIVERSITÀ SPECIFICA E DIVERSITÀ FUNZIONALE Come su affermato, lo studio della diversità biologica è importantissimo perché ci permette di conoscere il suo ruolo nella struttura e nel funzionamento dei sistemi viventi ed è una fase cruciale di conoscenza per ogni strategia di gestione della biosfera (Ferrari 2001). Ma questo studio rappresenta ancora una disciplina giovane, che non ha raggiunto una maturità tale da garantire l esistenza di approcci e protocolli globalmente accettati. A rendere più complessa la situazione è, poi, la natura stessa della biodiversità che raccoglie e analizza informazioni diverse che vanno dall ambito propriamente ecologico a quello evoluzionistico. Uno degli scopi di suddividere il concetto di biodiversità in varie componenti è di facilitare la sua misurazione e sottoporla ad uno studio comparativo rigoroso (Heywood & Iriondo 2003). La biodiversità stessa non può essere misurata e ridotta in una singola misura (Norton 1994); perciò, è fondamentale individuare, in base allo scopo della nostra ricerca, quale aspetto della diversità si dovrebbe misurare. Le misure ottenute sono utili se ci permettono di derivare indicatori o indici della biodiversità, che ci consentano di monitorare che cosa accade nel tempo e nello spazio. È chiaro che per occuparsi dell intera biodiversità e della sua composizione, struttura e funzione, abbiamo bisogno di applicare molti differenti indicatori ai diversi livelli di organizzazione (Heywood & Iriondo 2003). Le specie viventi, innumerevoli forme, bellissime e meravigliose (Darwin 1859), sono le più visibili e significative protagoniste della diversità. Proprio perché le specie esistenti in un dato sistema ambientale esprimono il risultato di un processo adattativo, la misura della diversità specifica è la misura di diversità più significativa dal punto di vista ecologico. Capire quante, e soprattutto, quali specie vivono in un ecosistema e quali sono i rapporti di abbondanza tra loro rappresenta uno dei livelli di lettura della biodiversità con il miglior livello di integrazione (Magurran 1988; Colwell & Coddington 1994; Harper & Hawksworth 1994; Gaston 1996; Lindenmayer et al. 1999). Molti autori concordano sul fatto che la ricchezza specifica e complementarietà di specie, quindi, rappresentino le componenti più importanti delle biodiversità per scopi di valutazione e monitoraggi, anche in contesti paesaggistici. Negli ultimi anni, però, lo scopo di molti studi è stato quello di comprendere l importanza della biodiversità sul funzionamento degli ecosistemi e di individuare quali sono le componenti funzionalmente significative della biodiversità (Díaz & Cabido 2001; Hooper et al. 2002). L interesse che la biodiversità determini il funzionamento dell ecosistema (Schulze & Mooney 1993) ha generato molti studi specificamente disegnati per rispondere a questa domanda (Tilman 1999; Kinzig et al. 2001; Loreau et al. 2001, 2002). Molte controversie sono nate sui problemi relativi ai disegni sperimentali, alle interpretazioni statistiche dei risultati, 8

23 Parte 1 alle misure più appropriate e ai fattori che controllano e che sono influenzati dalla diversità a diverse scale (Díaz & Cabido 2001). I principali studi empirici, sperimentali e teorici si sono focalizzati sull impatto della struttura trofica sul flusso di energia e materia, o sull impatto della ricchezza di specie sulla performance e sostenibilità degli ecosistemi, soprattutto in relazione ai cambiamenti globali dell ecosistema (Lacroix & Abbadie 1998). Recenti sintesi hanno evidenziato le complesse relazioni tra la diversità biologica, la struttura trofica e le funzioni degli ecosistemi, e le maggiori lacune delle nostre conoscenze su queste interazioni (Heywood 1995; Gaston 1996). Per molto tempo, comunque, si è considerato esclusivamente la ricchezza specifica come la sola misura della diversità. Solo una frazione degli studi prodotti ha esplicitamente testato il ruolo delle componenti funzionali della diversità, come la ricchezza funzionale e la composizione funzionale e pochi contributi concettuali, empirici e di modelling sono stati realizzati con una prospettiva integrata, fornendo le fondamenta da cui spiegare perché e come differenti componenti della diversità potrebbero influenzare i processi. Tuttavia, negli ultimi anni, gli studiosi sono concordi nel ritenere che, quando focalizziamo il nostro studio sull influenza della biodiversità sul funzionamento degli ecosistemi, gli effetti della diversità sui processi dell ecosistema dovrebbero essere attribuiti ai tratti funzionali (valore e range) delle specie individuali e alle loro interazioni (come essi competono direttamente o indirettamente, e come essi modificano gli ambienti biotici e abiotici degli altri) piuttosto che dal numero di specie per se (Díaz & Cabido 2001). Si è focalizzata, quindi, l attenzione su un altra importante componente della diversità, spesso sottostimata rispetto alla ricchezza di specie: la diversità funzionale (Naeem & Wright 2003), cioè sul grado di differenze funzionali tra le specie in una comunità (Tilman 2001). In questo scenario, un ampio dibattito ha riguardato il ruolo della diversità funzionale di specie vegetali sul funzionamento degli ecosistemi (Schulze & Mooney 1993; Tilman 1999; Kinzig et al. 2001, Loreau et al. 2001, 2002). Esiste una vasta letteratura sulle relazioni tra la diversità e il funzionamento degli ecosistemi, e, in particolare, le relazioni tra i Plant Functional Types (PFTs) e i plant traits con i processi dell ecosistema (Díaz & Cabido 2001). Molti studi che hanno preso in considerazione la capacità delle piante di assorbire e amministrare le risorse, hanno evidenziato fortemente l importanza dei gruppi funzionali e della diversità funzionale (Tilman et al. 1996; Hooper & Vitousek 1997; Lacroix & Abbadie 1998). Relazioni forti tra la presenza e l assenza di certi gruppi funzionali e la velocità e l intensità dei processi ecosistemici, sono ben documentati per una varietà di sistemi. Per esempio, alberi con complesse strutture legnose aree e sistemi radicali estesi hanno un importante effetto sul suolo, l acqua e la ritenzione dei sedimenti, il tamponamento del clima, e la diversità animale; graminacee e muschi hanno differenti effetti sul ciclo del carbonio e dell azoto negli ecosistemi della tundra; e l abbondanza relativa di cespugli d erba determina fortemente il regime del fuoco nella vegetazione seminaturale (Díaz & Cabido 2001). Inoltre, secondo Grime (1998) la resilienza e la resistenza dell ecosistema sono fortemente influenzate dai caratteri delle specie dominanti: le comunità dominate da piante 9

24 Quadro introduttivo e Obiettivi generali che crescono velocemente tenderanno ad avere elevata resilienza e bassa resistenza, al contrario avviene per le comunità dominate da specie con una crescita lenta. Velocità e intensità dei processi dell ecosistema, quindi, sono state associate più consistentemente alla composizione funzionale (presenza di certi tipi funzionali o tratti) e alla ricchezza funzionale (numero di differenti tipi funzionali ) che alla ricchezza di specie (Díaz & Cabido 2001). Grime (1997), inoltre, afferma che abbiamo bisogno di un approccio più integrato sulle proprietà biologiche e funzionali e le dinamiche delle risorse degli organismi chiave.questi studi, comunque, hanno confermato l opinione secondo la quale la diversità funzionale è un importante determinante dei processi degli ecosistemi (Loreau 1998; Chapin et al. 2000; Tilman 2000; Díaz & Cabido 2001; Loreau et al. 2001; Petchey & Gaston 2002). Tuttavia, sia l approccio basato sulle specie che quello basato sui tipi funzionali, hanno avuto lo slancio all inizio degli anni novanta come risultato delle sfide poste dai cambiamenti ambientali globali. L attenzione verso questi due aspetti della diversità ha rispecchiato l esistenza di due linee parallele d inchiesta nell ecologia durante la gran parte del 20 secolo. Il primo di questi, specie-based approach, ha messo l accento sul ruolo unico di ogni specie in una comunità, e ha influenzato il modello di molti studi sul ruolo della diversità nel funzionamento dell ecosistema, specialmente durante i primi anni novanta. Il secondo, l approccio, functional-type approach, insiste, invece, sulle strategie comuni a molte specie nella risposta alle sfide ambientali, indipendentemente dalla loro discendenza. La mancanza di una ibridazione tra questi due approcci potrebbe in parte spiegare le controversie generatesi sulla questione e anche che, sebbene la diversità funzionale sia conosciuta come il meccanismo chiave con cui la diversità influenza il funzionamento dell ecosistema, non c è ancora un soddisfacente mezzo standardizzato per misurarla. Di conseguenza, la ricchezza e la composizione di specie è spesso usato come un surrogato della diversità funzionale, nonostante la sua inadeguatezza (Díaz & Cabido 2001). 2.2 IL CONCETTO DI DIVERSITÀ FUNZIONALE Solo da pochi anni la diversità funzionale sta emergendo come un aspetto di cruciale importanza nel determinare i processi dell ecosistema, e sta guadagnando un posto di generale importanza nelle ricerche ecologiche (Naeem 2002). Secondo uno studio effettuato da Petchey & Gaston (2006) l uso del termine diversità funzionale negli anni è apparso nel titolo, nell abstract o tra le keywords di ben 238 articoli. Il concetto di diversità funzionale rimane, tuttavia, complesso ed è stato definito spesso come slippery (Martinez 1996; Bengtsson 1998; Díaz & Cabido 2001). Sono tre le questioni ancora aperte: come definire la diversità funzionale, come misurarla e come stimare la sua performance. Per quanto riguarda il primo punto, è stato prodotto un ampio range di definizioni di diversità funzionale come: la molteplicità funzionale all interno di una comunità o il numero, tipo e distribuzione delle funzioni compiute dagli organismi all interno di un 10

25 Parte 1 ecosistema (Díaz & Cabido 2001). Ma, come notano Petchey e Gaston (2006), il termine è frequentemente usato senza definizione; infatti, nel 2005, oltre il 50% degli articoli pubblicati con diversità funzionale nel titolo, abstract o keywords non forniscono nessuna definizione e nessun riferimento alla stessa, piuttosto essi sembrano basarsi su una comprensione intuitiva dei suoi significati e suppongono che ciascuno condivida lo stesso concetto. Ovviamente questo crea una forte incertezza sull argomento (Petchey & Gaston 2006). C è un generale accordo, nel ritenere che la diversità funzionale generalmente coinvolga la comprensione di comunità ed ecosistemi fondati su che cosa l organismo fa piuttosto che sulle sue storie evolutive. Questa è una considerazione molto generale per la diversità funzionale e pone un enorme numero di questioni. Per esempio, se cosa l organismo fa è interpretato come il fenotipo dell organismo (esempio un carattere fenotipico) allora la diversità funzionale equivale alla diversità fenotipica (Petchey & Gaston 2006). Possiamo affermare che la maggior parte delle ricerche considera proprio quest aspetto. Sebbene tale generalità è accettabile, recenti ricerche circa le potenziali conseguenze della biodiversità per i processi dell ecosistema (Tilman 1999; Chapin et al. 2000; Grime 2001; Loreau et al. 2001; Hooper et al. 2005) hanno portato a una più specifica definizione di diversità funzionale intesa come: il valore e il range di quei caratteri delle specie e degli organismi che influenzano il funzionamento dell ecosistema (Tilman 2001). Una conseguenza di questa definizione è che la misura della diversità funzionale è circa la misura della diversità dei caratteri funzionali (plant traits), dove i caratteri funzionali sono i componenti del fenotipo dell organismo che influenzano i processi a livello dell ecosistema (Petchey & Gaston 2006). 2.3 MISURE DELLA DIVERSITÀ FUNZIONALE La diversità funzionale è un importante componente della biodiversità, tuttavia in confronto alla diversità tassonomica, i metodi di quantificazione della diversità funzionale sono ancora poco sviluppati (Petchey & Gaston 2002). Non c è una semplice, soddisfacente o standardizzata misura della diversità funzionale (Díaz & Cabido 2001; Tilman 2001), né esiste una misura perfetta della stessa. Vengono solitamente distinte due componenti della diversità funzionale: la composizione funzionale (la presenza di certi caratteri o tipi funzionali) e la ricchezza (il numero di differenti tipi funzionali). Un modo per misurare o meglio caratterizzare la diversità funzionale, quindi, è quello di analizzare i caratteri morfologico-funzionali delle specie (plant traits) e poi di raggrupparle in gruppi che sono simili nei valori dei caratteri e di contare il numero dei gruppi presenti in un assemblaggio, cioè il numero dei gruppi funzionali o di quelli che vengono definiti Plant Functional Types (PFTs). Quindi, una comune misura della diversità funzionale è il numero di gruppi funzionali delle specie in una comunità (Naeem & Li 1997; Hooper 1998; Hector et al. 1999; Rastetter et al. 1999; Fonseca & Ganade 2001; Tilman 2001; Tilman et al. 2001). 11

26 Quadro introduttivo e Obiettivi generali Ma vediamo meglio cosa si intende per plant trait (carattere funzionale) e cosa per Plant Functional Type (PFT) o tipo funzionale Plant traits e Plant Functional Types Storicamente, il termine traits si è spostato naturalmente dal linguaggio comune a quello più scientifico in diverse discipline (genetica quantitativa, ecologia funzionale). In seguito alla proposta di Darwin, i caratteri (traits) furono inizialmente usati soprattutto come elementi predittivi della performance degli organismi. Nelle ultime tre decadi, sviluppi nell ecologia delle comunità e in quella degli ecosistemi, hanno spinto il concetto di carattere oltre questi confini originari, e gli approcci basati sui traits sono oggi utilizzati in studi che vanno da livello dell organismo a quello degli ecosistemi (Violle et al. 2007; Fig. 1.5). Nonostante alcuni sforzi nel fissare una terminologia, c è ancora oggi un alto grado di confusione nell uso, non solo del termine traits di per se stesso, ma anche nel sottolineare i concetti a cui si riferisce. Violle et al. (2007), nel loro studio, hanno definito i concetti di traits e di functional traits, e hanno suggerito una struttura che indica come i traits dovrebbero essere utilizzati per affrontare le problematiche correnti nel campo dell ecologia delle comunità e degli ecosistemi. Essi propongono di utilizzare i caratteri solo a livello del singolo individuo, con la seguente definizione: un trait è ogni aspetto morfologico, fisiologico e fenologico, misurabile a livello dell individuo, dal livello di cellula a quello dell intero individuo, senza riferimento all ambiente o ad altri livelli di organizzazione. Questa definizione implica che nessuna informazione esterna all individuo (fattori ambientali) o ad ogni altro livello di organizzazione (popolazione, comunità o ecosistema) è richiesta per definire un carattere. A livello di popolazione, Violle et al. (2007) suggeriscono di attenersi alla terminologia utilizzata da Caswell (1989) e di usare l espressione parametri demografici invece di traits; mentre a livello di comunità o di ecosistema, di utilizzare il termine property per designare ogni aspetto o processo come diversità della comunità, decomposizione, disponibilità delle risorse del suolo. La definizione di trait così come presentata da questi autori richiede delle precisazioni importanti: 1) viene detto attributo il particolare valore o modalità assunta dal carattere ad ogni spazio e tempo; 2) all interno delle specie, il carattere, sia continuo che categorico, può dimostrare differenti attributi lungo gradienti ambientali o nel tempo; 3) l attributo per un carattere è usualmente stimato per una popolazione in un dato tempo e spazio. Una volta definito il concetto di trait, Violle et al. (2007) definiscono quello di functional trait ; esso è ogni morfologico, fenologico e fisiologico carattere che incide sulla fitness dell individuo indirettamente attraverso i suoi effetti su quelli che vengono definiti performance traits (biomassa vegetativa, rendimento riproduttivo e sopravvivenza della pianta) ; questi traits, secondo il paradigma di Arnold (1983) applicato all ecologia vegetale, contribuiscono direttamente alla fitness (Fig. 1.6). 12

27 Parte 1 Fig Schema che collega le sfide di interesse di differenti livelli di organizzazione, attraverso i loro propri relativi componenti, ad alcuni esempi di traits trovati in letteratura. Senza l informazione trait-based, salendo a più alti livelli di organizzazione si ha bisogno di un informazione d integrazione complessa (I). Quindi le componenti della fitness di un individuo determinano le componenti del tasso finito di aumento (λ) della popolazione (I I-P). L occorrenza e la frequenza delle specie a livello di comunità comprendono le componenti di λ attraverso un integrazione complessa (esempio interazione biotica).infine, l ascesa alle proprietà dell ecosistema può essere attuata combinando le proprietà funzionali di ciascuna specie della comunità (I C-E). L uso di traits come elementi predittivi di un processo ad un particolare livello di organizzazione biologica può essere attuata senza la funzione di integrazione. Per esempio, a livello di ecosistema, la produttività dell ecosistema (una componente del funzionamento dell ecosistema) dimostra una forte relazione positiva con l altezza della pianta. (da Saugier et al. 2001; Violle et al. 2007) Una struttura concettuale per comprendere i collegamenti fra specie e il funzionamento degli ecosistemi usando i plant traits è stata proposta da Chapin et al. (2000) e in seguito definita da Díaz & Cabido (2001) e Lavorel & Garnier (2002). Essa distingue: 1) functional response traits : caratteri delle specie che variano consistentemente in risposta ai cambiamenti nei fattori ambientali; 2) functional effect traits : caratteri delle specie che influenzano il funzionamento dell ecosistema. Il totale insieme di functional traits in una comunità è uno dei principali determinanti delle proprietà dell ecosistema (Chapin et al. 2000). Ma lo studio dei plant traits è anche molto utile perché ci permette di operare classificazioni. Tale utilità dei caratteri morfologico-funzionali è conosciuta dall epoca di Aristotele e Teofrasto (ca. 300 a.c.), che classificarono le piante in alberi, arbusti e erbe in base all altezza e la densità del fusto (Díaz Barradas et al. 1999). 13

28 Quadro introduttivo e Obiettivi generali Fig Arnold s framework rivisitato nella prospettiva dell ecologia vegetale. I traits morfologico-fisiologicofenologici (M-P-P) modulano uno o tutti e tre i performance traits (biomassa vegetativa, rendimento riproduttivo e sopravvivenza della pianta) che determinano la performance della pianta e la sua fitness individuale (da Violle et al. 2007). Secondo Noble e Gitay (1996) si possono riconoscere cinque categorie della classificazione delle piante secondo il principale scopo dello studio: 1) Filogenesi (tassonomia tradizionale); 2) Struttura (forme di vita); 3) Uso delle risorse (gilde); 4) Risposte a definite perturbazioni (gruppi di risposta); 5) Ruolo nel funzionamento dell ecosistema (gruppi funzionali). In particolare, in questo ultimo caso, una classificazione dettagliata dal punto di vista funzionale, è stata proposta da Lavorel et al. (1997) che hanno individuato 4 tipi principali di classificazione funzionale: 1) gruppi emergenti: gruppo di specie aventi caratteri simili e quindi basati su correlazioni di attributi biologici; 2) strategie di adattamento delle specie: gruppo le cui specie presentano simili adattamenti a particolari pattern di risorse; 3) tipi funzionali: gruppo di specie con ruoli simili nei processi dell ecosistema; 4) gruppi con risposte specifiche: gruppi di specie che rispondono in maniera simile a specifici fattori ambientali, come al disturbo. Attraverso l analisi delle caratteristiche delle piante, quindi, si può costruire una classificazione funzionale delle stesse. L uso di classificazioni funzionali costituisce attualmente uno degli approcci metodologici più innovativi e promettenti per l individuazione dei modelli che descrivano la complessità strutturale e funzionale delle comunità vegetali (Díaz & Cabido 1997; McIntyre & Lavorel 2001; Lavorel & Garnier 2002). Il 14

29 Parte 1 primo tipo di classificazione (gruppo emergente), esamina le correlazioni tra i caratteri biologici delle specie senza fare riferimento ad un processo ecologico particolare (Barbaro et al. 2000). Esso tende anche a classificare le specie essenzialmente in funzione delle loro forme biologiche o morfologiche (Díaz et al. 1992; Körner 1993). Il secondo identifica le strategie adattative delle specie collegando i caratteri a tre grandi processi ecologici che sono i livelli di stress ambientale, di perturbazione e di competizione inter ed intra specifica, secondo un ordinamento tridimensionale delle specie in strategie C, S, e R (Grime et al. 1988; Fernandez Alés et al. 1993). Il terzo ed il quarto tipo di classificazione (tipi e gruppi funzionali) collegano direttamente i caratteri (traits) ai fattori ambientali (Barbaro et al. 2000). Esse differiscono dalle classificazioni precedenti perché permettono di identificare dei gruppi di specie sulla base di aspetti non più filogenetici o morfologici, ma sulla base delle risposte simili ai processi funzionali (Gitay & Noble 1997) o di impatti simili sui processi dell ecosistema. Diventa, quindi, molto utile definire meglio il concetto di Plant functional Type (PFT). I PFTs sono insieme di piante che mostrano simili risposte alle condizioni ambientali e che hanno simili effetti sui processi dominanti dell ecosistema e quindi sul suo funzionamento (Walker 1992; Chapin et al. 1996; Noble & Gitay 1996; Díaz & Cabido 1997; Lavorel et al. 1997; Semenova & Van der Maarel 2000; Grime 2001; Pausas & Lavorel 2003). Quindi, questi gruppi tendono a essere basati come detto in precedenza, su attributi comuni piuttosto che su relazioni filogenetiche (Díaz & Cabido 2001) e possono essere considerati da due differenti angolazioni: 1) Functional Response Types (FRT): sono gruppi di specie che rispondono in maniera simile all ambiente biotico e abiotico come la disponibilità delle risorse, le condizioni climatiche, o i regimi di disturbo. Esempi di classificazioni FRT sono quelle che considerano le specie xerofite e le mesofite, le specie che non hanno la capacità di reazione alla distruzione in seguito ad un incendio e le pirofite, le specie che tollerano il pascolo e quelle che ne sono danneggiate (Díaz & Cabido 2001). 2) Functional Effect Types (FET): sono gruppi di piante che hanno simili effetti sui processi principali dell ecosistema, come la produttività primaria, il ciclo dei nutrienti, e i trasferimenti trofici. Esempi includono i fissatori di azoto, gli ingegneri dell ecosistema, le specie nurse e quelle che favoriscono gli incendi (Díaz & Cabido 2001). FRT e FET spesso coincidono particolarmente nel caso dell uso delle risorse: per esempio, tratti che conferiscono un elevata resistenza allo stress ambientale e all erbivoria (response traits) determinano anche una più lenta decomposizione e più lento ciclo dei nutrienti. Come, quindi, si possono suddividere i plant traits in functional response traits e in functional effect traits, così può essere fatto anche per i PFTs (Plant Functional Types). Comunque, non c e una classificazione universale dei tipi funzionali. Piuttosto, la classificazione dipende dallo scopo della ricerca, dalla sua scala (da locale a globale) e da processi dell ecosistema o fattori ambientali di interesse (Gitay & Noble 1997; Lavorel et al. 1997; Díaz & Cabido 2001). I Functional Types sono, come molte categorie usate per 15

30 Quadro introduttivo e Obiettivi generali semplificare il mondo naturale, divisioni arbitrarie dello spazio relativamente continuo dei caratteri. La maggior parte della letteratura sui FT si riferisce ai FRT. Tuttavia, gli studi dei legami tra la diversità e il funzionamento degli ecosistemi tende a focalizzare la propria attenzione sui Functional Effect Types; mentre la considerazione dei Functional Response Types sembra importante, soprattutto in relazione alla persistenza a lungo termine della funzione dell ecosistema (Díaz & Cabido 2001). Con l aiuto dei PFTs, quindi, siamo capaci di sintetizzare l enorme complessità delle specie individuali e delle popolazioni in un numero relativamente piccolo di patterns generali ricorrenti (Walker 1992; Grime et al. 1997).Differenti PFT sono atti a giocare ruoli diversi in termini di processi di materia ed energia negli ecosistemi. Quindi, la loro identificazione e la stima della loro abbondanza è altamente rilevante per valutare la funzione dell ecosistema. Questo è molto importante dal momento che la maniera tradizionale di classificare le specie vegetali secondo la tassonomia presenta dei forti limiti quando ci si trova di fronte ad importanti quesiti ecologici a scala di ecosistema, paesaggio o bioma (Woodward & Diament 1991; Keddy 1992; Körner 1993; Woodward & Cramer 1996) La ricchezza specifica e la ricchezza funzionale Sebbene quando parliamo di diversità specifica non consideriamo la componente funzionale della diversità, possiamo affermare che essa ha comunque conseguenze funzionali, poiché il numero e il tipo di specie presenti determinano i caratteri degli organismi che influenzano i processi dell ecosistema (Díaz & Cabido 2001). Molti autori assumono che la ricchezza delle specie vegetali sia un sostituto della ricchezza funzionale (Tilman 1999; 2001). Oltre a considerazioni pratiche, questa considerazione si fonda sull assunzione che una più elevata ricchezza specifica porti ad una più elevata ricchezza funzionale. In realtà, anche se spesso si osserva una relazione positiva tra esse, esso non è sufficientemente universale da giustificare l uso della ricchezza di specie come un attendibile sostituto della ricchezza funzionale (Díaz & Cabido 2001). Possiamo dire che la ricchezza specifica non è uguale alla ricchezza funzionale. Infatti, la ricchezza di specie tipicamente ha un basso potere esplicativo forse perché essa ignora le somiglianze e le differenze nei caratteri funzionali delle specie (Root 1967; Hooper et al. 2002; Petchey et al. 2004). Inoltre, quando è usata come una misura della diversità funzionale, assume implicitamente che tutte le specie sono ugualmente differenti (in altre parole che l addizione di qualsiasi specie alla comunità aumenterà la diversità funzionale di un unità) e che il contributo di ciascuna specie alla diversità funzionale è indipendente dalla ricchezza di specie (Petchey et al. 2004). Secondo Díaz & Cabido (2001) la ricchezza specifica potrebbe essere un adeguato sostituto per la ricchezza di specie solo se c è un lineare aumento nella copertura dello spazio della nicchia con l aumento della ricchezza di specie (Fig. 1.7a-b). Teoricamente, questo può accadere in sole due situazioni: la prima è l occupazione random della copertura dello spazio 16

31 Parte 1 di nicchia ( snowballs on the barn roof effect) (Tilman 1999; 2001); le specie sono tracciate a random durante l aggruppamento della comunità, quindi aumentano la copertura dello spazio di nicchia (Fig 1.7a). Un altro caso teorico, in cui dovrebbe essere atteso un aumento lineare della diversità funzionale con quella specifica, è l occupazione uniforme dello spazio della nicchia (Fig. 1.7b). In questi due casi la ricchezza di specie è un buon sostituto della ricchezza funzionale. Tuttavia, nessuno di questi è comune in natura, in cui l aggregazione o l essere grumoso (lumpiness) nell occupazione da parte delle specie dello spazio di nicchia e un assemblaggio non random delle comunità da un pool regionale di specie, sembra essere la norma piuttosto che l eccezione (Díaz & Cabido 2001; Fig. 1.7c-d). L occupazione aggregata dello spazio di nicchia potrebbe essere relativa ad una forte convergenza di differenti specie dentro tipi funzionali contrastanti o a una forte differenziazione dello spazio della nicchia dei differenti genotipi, fenotipi o stadi ontogenici all interno di una singola specie (cioè dovuta all elevata variabilità intraspecifica) (Díaz & Cabido 2001). Ci sono molti esempi empirici in cui le variazioni nella diversità specifica non producono variazioni nella diversità funzionale. Nel caso dell aggregazione, la ricchezza di specie può sovrastimare la ricchezza funzionale (Fig. 1.7c): l impoverimento di specie può influenzare differenti tipi funzionali nello stesso modo oppure esso può influire in maniera differente su certi tipi funzionali e non su altri. Data una riduzione di un certo numero di specie, nel secondo caso, l impoverimento nella ricchezza funzionale sarà molto più drammatico che nel primo caso. Anche se l impoverimento di specie può influire allo stesso modo su tutti i tipi funzionali, la riduzione differenziale delle specie a scapito di alcuni tipi funzionali è più comune (Díaz & Cabido 2001). Questo avviene, per esempio, nei cambiamenti della vegetazione lungo i gradienti altitudinali o nelle pratiche di gestione che richiedono rimozioni selettive. In altri casi con l aggregazione si può verificare che la ricchezza specifica sottostimi quella funzionale (Fig. 1.7d): cambiamenti o riduzioni di genotipi all interno di una specie (riduzione funzionale) non saranno rispecchiati in una riduzione della ricchezza specifica. Le interazioni biotiche, come la competizione e la facilitazione, possono modificare la nicchia delle popolazioni. Esse quindi possono alterare il biotopo locale (Díaz & Cabido 2001). Secondo la teoria sviluppata da studi in questo settore, l incremento della diversità funzionale aumenterà il funzionamento dell ecosistema a causa della più grande complementarietà nell uso delle risorse (Hooper 1998; Petchey 2003) tra le specie in una comunità locale, che sono tutt altro che uguali (Tilman et al. 1997; Loreau 1998). Tale teoria è strettamente correlata con i modelli della nicchia, dove la separazione nello spazio della nicchia permette la coesistenza attraverso la mancanza di competizione per simili risorse (Petchey et al. 2004). Per esempio, specie che esibiscono un elevata diversità delle architetture sopra e sotto il terreno potrebbero coesistere, catturare la luce e foraggiare le risorse in maniera più completa ed efficiente che una comunità che contiene specie tutte con la stessa architettura (Berendse 1983; Naeem et al. 1994). Per cui, un accurata misura della diversità funzionale potrebbe aiutare a spiegare e predire i cambiamenti nella funzionalità 17

32 Quadro introduttivo e Obiettivi generali degli ecosistemi che potrebbero risultare, per esempio, dalle estinzioni (Petchey & Gaston 2002). Supporti empirici e teorici hanno portato all idea che la diversità funzionale potrebbe influenzare le dinamiche delle risorse dell ecosistema a breve termine e la stabilità dell ecosistema a lungo termine (Díaz & Cabido 2001). Fig Casi estremi delle relazioni tra la ricchezza vegetale specifica e la ricchezza funzionale. Gli assi 1 e 2 nei rettangoli ombreggiati rappresentano differenti assi di risorse o disturbi. I cerchi con linea continua indicano lo spazio occupato dalla nicchia fondamentale delle differenti specie; i cerchi con la linea tratteggiata rappresentano la nicchia dei differenti genotipi o stati ontogenetici all interno di una singola specie. Mentre l occupazione uniforme e quella random dello spazio di nicchia (a,b) sono essenzialmente scenari teorici o sperimentali, l occupazione aggregata della nicchia (c,d) è più vicina alla situazione delle comunità naturali, sebbene l illustrazione risulta essere qui molto semplificata. Nei primi due casi (a,b) la ricchezza specifica (SR) potrebbe essere un buon surrogato della ricchezza funzionale (FR); negli ultimi due casi, più comuni in natura, invece, la ricchezza specifica potrebbe sovrastimare quella funzionale (c), oppure sottostimarla (d) (da Díaz & Cabido 2001) Diversità funzionale: misure proposte e loro problematiche Il raggruppamento delle specie in base alle funzioni produce la misura più comune della diversità funzionale: la ricchezza di gruppi o tipi funzionali (Martinez 1996; Díaz & Cabido 2001; Tilman 2001; Naeem & Wright 2003; Petchey & Gaston 2006). La creazione di classificazioni funzionali mediante i caratteri di specie, che sono poi divise in gruppi funzionali, ha molti parallelismi con la fenetica (phenetics) (Ehrlich 1964). Il metodo base è di ottenere informazione circa i caratteri degli organismi, di stimare quanto simili sono gli organismi nei valori di quei caratteri (calcolare una matrice di distanza), e di 18

33 Parte 1 costruire un sistema di classificazione che accuratamente rappresenti tutte le somiglianze a coppie (pair-wise) (molto spesso con la hierarchical clustering). Mentre la cladistics è adesso l approccio accettato per la ricostruzione filogenetica, i metodi di phenetics sono usati in un range di campi ecologici che classificano gli organismi in base ai loro caratteri fenotipici. Le nicchie ambientali delle specie sono state quantificate usando gli stessi metodi di analisi multivariata utilizzati per la classificazione delle specie, poiché ci sono relazioni funzionali tra le specie (Petchey & Gaston 2006). La divisione di specie vegetali tra gruppi con simili effetti sulle proprietà dell ecosistema (Functional Effect Types) o simili risposte ai cambiamenti ambientali (Functional Response Types) è stata ottenuta, nei diversi studi, usando metodi di analisi multivariata (Chapin et al. 1996; Gitay & Noble 1997; Lavorel et al. 1997; Westoby & Leishman 1997). La misura della ricchezza funzionale, cioè del numero di gruppi funzionali detta Functional group richness (FGR), ha, però, secondo diversi autori, importanti limiti che in futuro dovranno essere considerati (Petchey et al. 2004). Dei problemi associati con l assegnare specie a gruppi (Schulze & Mooney 1993; Lavorel et al. 1997) forse quello meno risolvibile è proprio la scala arbitraria alla quale le differenze tra le specie si qualificano come funzionalmente significative (Simberloff & Dayan 1991; Vitousek & Hooper 1993; Root 2001; Petchey & Gaston 2002). Bisogna decidere, quindi, circa il grado di differenza nei caratteri che rappresenti differenze funzionalmente significative tra gli organismi (Petchey & Gaston 2006). Organismi che differiscono meno di questo grado sono assegnati allora stesso gruppo, mentre organismi con differenze più elevate sono posti in gruppi differenti. Inoltre, la divisione di specie tra gruppi funzionali, può richiedere un numero elevato di decisioni e assunzioni in qualsiasi misura della diversità funzionale poiché essa può esigere la trasformazione di dati continui in dati categorici (Petchey et al. 2004). Queste decisioni e assunzioni conferiscono alla ricchezza di gruppi funzionali importanti vantaggi e svantaggi (Petchey & Gaston 2006). Prima di tutto si assume che le specie all interno di gruppi siano tutte funzionalmente identiche, cioè, che esse siano completamente ridondanti (Lawton & Brown 1993); poi che tutte le coppie di specie tratte da differenti gruppi funzionali siano ugualmente differenti. In altre parole, aggiungendo una specie da un nuovo gruppo funzionale ad una comunità si aggiunge un unità alla ricchezza funzionale del gruppo, senza badare all identità dei gruppi che sono presenti e all identità del nuovo gruppo (Petchey et al. 2004). I più importanti svantaggi della misura funzionale della ricchezza funzionale, quindi, sono l esclusione di ogni differenza funzionale che avviene tra gli organismi nello stesso gruppo e la decisione largamente arbitraria circa il grado cui le differenze sono scartate (Petchey & Gaston 2006). Esiste, comunque, uno scambio tra le diverse misure della biodiversità (Tilman & Lehman 2002). A un estremo ci sono misure come la ricchezza di specie che incorporano poco e nessuna informazione circa le specie individuali e sono, quindi, relativamente semplici da ottenere. Poiché esse incorporano poche informazioni essere potranno spiegare poco e 19

34 Quadro introduttivo e Obiettivi generali predire in modo relativamente scarso (Petchey et al. 2004). All altro estremo ci sono le misure che incorporano dettagliate informazioni individuali sulle specie e che sono relativamente più difficili da ottenere (Clarke & Warwick 1998), come le molte proposte in questi ultimi anni di cui ricordiamo: PD (Phylogenetic Diversity; Faith 1992), FAD (Functional Attribute Diversity; Petchey et al. 2004), FD (Functional Diversity; Petchey & Gaston 2002). Secondo Petchey (2004), alcune delle varianze nel funzionamento dell ecosistema, non possono essere considerate da nessuna delle misure della diversità prima menzionate. Per esempio, nessuna di esse incorpora l abbondanza delle specie; cioè, non c è nessuna diversità funzionale equivalente a quella di Shannon o Simpson (Clarke & Warwick 1999). Altri esempi sono dati dalle interazioni facilitative tra le specie (Bertness & Hacker 1994) che hanno un certo impatto sul funzionamento dell ecosistema (Cardinale et al. 2002) e gli ingegneri dell ecosistema (Jones et al. 1994); tali aspetti potrebbero essere difficili da inserire nelle misure della diversità funzionale. Secondo Petchey (2004) includere aspetti della struttura trofica nelle misure della diversità funzionale potrebbe essere una grande sfida. Un ultimo lavoro di sintesi sulla misurazione della diversità funzionale che si vuole ricordare è quello di Petchey & Gaston (2006). In questo lavoro gli autori hanno rivisto i processi di base della misurazione della diversità funzionale perché essa possa essere rigorosamente applicata a problemi ecologici e hanno illustrato le proprietà generali delle differenti misure, evidenziando i loro vantaggi e svantaggi usando nuovi modelli, e suggerendo direzioni per futuri sviluppi. Secondo Petchey & Gaston (2006) le numerose misure della diversità funzionale proposte non equivalgono nell informazione che essi contengono e differiscono nel modo in cui quantificano la diversità, ma tutte richiedono una convalida quantitativa. Secondo gli autori la convalida delle misure aiuterà a comprendere gli effetti dei cambiamenti della biodiversità sui processi degli ecosistemi e sui naturali servizi che essi offrono agli uomini; infine essi suggeriscono questioni che potrebbero portare a significativi avanzamenti nella misurazione della diversità funzionale e alcune questioni che potrebbero trarre beneficio da una più approfondita comprensione della diversità funzionale. Questa lunga parte dedicata alla misurazione della diversità funzionale e alle diverse misure proposte, ci permette di comprendere quanto sia divenuta fondamentale accanto a quella della diversità specifica, la misurazione della componente funzionale, ma anche di quanto sia complesso misurare questa componente e la sua influenza sui processi e il funzionamento dell ecosistema La diversità funzionale in campo vegetale e sue applicazioni A causa dei notevoli cambiamenti che gli ecosistemi stanno sperimentando, dovuti a modificazioni nell uso del suolo, nella composizione chimica dell atmosfera e nel clima (Vitousek et al. 1997a), e di cui abbiamo parlato in precedenza, si è presentato un urgente bisogno di trovare degli elementi che possano prevedere l impatto di tali eventi sul 20

35 Parte 1 funzionamento degli ecosistemi e che, nello stesso tempo, siano facili da misurare, applicabili universalmente e sensibili al cambiamento. Proprio l utilizzo di plant traits (e dei PFTs), è stato considerato uno dei modi più efficaci per affrontare questa problematica (Smith et al. 1997; Díaz & Cabido 1997). Attraverso diversi studi (ved. Chapin et al. 1996; Díaz & Cabido 1997; Grime et al. 1997; Wardle et al. 1998; Cunningham et al. 1999; Reich et al. 2001; Craine et al. 2001; Wright & Westoby 2002; Ackerly 2004; Díaz et al. 2004, 2007; Garnier et al. 2004; 2007) si è osservato come caratteristiche quali il tasso di crescita, la durata di vita dei tessuti, la concentrazione dei nutrienti, la difesa contro gli erbivori, la resistenza alla decomposizione ed altre, sono relazionate ad aspetti del funzionamento della pianta con chiare ripercussioni sul funzionamento dell ecosistema. Le stesse comunità di piante possono essere viste come il risultato di una gerarchia di filtri abiotci (es. clima, disponibilità di risorse, disturbo) e biotici (es. competizione, predazione, mutualismo) che successivamente determinano quali specie e caratteristiche possono instaurarsi in un determinato luogo, da un vasto pool di specie disponibili (Keddy 1992; Díaz et al. 1999; Cingolani et al. 2007). La scala temporale e spaziale alla quale si sceglie di studiare i sistemi dinamici ha un enorme grado di influenza sulle modalità con cui determinati fattori ambientali acquisiranno rilevanza maggiore rispetto ad altri e su come le variabili di stato del sistema risponderanno. Un recente lavoro empirico ha ritenuto opportuno adottare un approccio di studio cosiddetto bottom up, ossia dal basso verso l alto, in cui delle analisi dettagliate mettono in relazione i caratteri delle piante con specifici fattori ambientali. Alcune delle difficoltà associate a quest approccio riguardano per lo più l identificazione degli attuali gruppi funzionali di piante sulla base della conoscenza dei caratteri funzionali più rilevanti e lo spostamento di scala dal livello di individuo a quello di ecosistema. Dall altra parte, invece, i modellisti della geobiosfera, così come i paleoecologi, hanno tentato di mettere a punto una classificazione top-down, ossia dall alto verso il basso, dove i tipi funzionali o le forme biologiche sono definite a priori, a partire da un piccolo set di caratteristiche postulate. Queste sono spesso le caratteristiche che possono essere osservate senza misurazioni empiriche ed hanno solo un limitato potere funzionale esplicativo. Nel tentativo di colmare la lacuna tra l approccio bottom-up e quello top-down (Canadell et al. 2000), gli scienziati di ambedue le scuole di pensiero si sono riuniti nell ottobre del 2000 in un gruppo di studio organizzato dall International Geosphere-Biosphere Programme (IGBP, project Global Change and Terrestrial Ecosystems). Da questo incontro è emersa una lista di caratteri funzionali delle piante vascolari terrestri che potevano: 1) rappresentare le risposte principali e gli effetti della vegetazione a varie scale, dagli ecosistemi ai paesaggi, ai biomi ed ai continenti; 2) essere utilizzate per progettare una classificazione funzionale soddisfacente, utile per la creazione dei modelli sia a scala regionale che a scala globale nonché in paleoecologia della geobiosfera; 21

36 Quadro introduttivo e Obiettivi generali 3) risultare utili per rispondere ad ulteriori domande dell ecologia, della conservazione della natura e della gestione del suolo (Weiher et al. 1999); 4) essere ricavate da misurazioni relativamente semplici, economiche e standardizzate in molti biomi e regioni della terra. Un altro obiettivo principale del workshop è stato proprio quello di avviare la stesura di una serie di protocolli per la misura dei caratteri funzionali utilizzabili a scala mondiale, nella forma di un manuale facile da usare. Sulla base sia di precedenti pubblicazioni (Hendry & Grime 1993; Westoby 1998; Weiher et al. 1999; Lavorel & Garnier 2002) si è giunti alla realizzazione del manuale A handbook of protocols for standardised and easy mesurement of plant functional traits worldwide di Cornelissen ed altri autori (2003), che rappresenta un po il punto di riferimento per lo studio funzionale in campo vegetale. Concludendo possiamo dire che un ampio range d importanti questioni ecologiche possono essere affrontate in termini di diversità funzionale, mediante l utilizzo dei plant traits e dei Plant Functional Types. Ci sono questioni puramente descrittive che riguardano, per esempio, la natura dei gradienti latitudinali nella diversità funzionale; ci sono questioni circa le determinanti ecologiche ed evolutive della diversità funzionale (Weiher et al. 1998). Essa può anche affrontare questioni circa la determinazione dei processi a livello di ecosistema (Chapin et al. 2000; Díaz & Cabido 2001; Tilman 2001) e rappresenta un concetto che collega specie ed ecosistemi attraverso meccanismi come la complementarietà nell uso delle risorse, e la facilitazione. Potrebbe essere, quindi, anche uno strumento per predire le conseguenze funzionali dei cambiamenti biotici causati dall uomo (ved. Chapin et al. 2000; Loreau et al. 2002). 3. HABITAT MINACCIATI: GLI AMBIENTI DUNALI COSTIERI 3.1 I SISTEMI COSTIERI SABBIOSI La costa, tratto d unione fra terra e mare, costituisce un ambiente assai diversificato, in cui possiamo distinguere un ampia varietà di ecosistemi. In questo ambiente, infatti, avviene l incontro tra Atmosfera, Idrosfera e Litosfera, i cui relativi processi chimici e fisici interagiscono nella dinamica evolutiva del litorale. L ambiente costiero, in generale, e quello dunale, nello specifico, rappresentano, per questo motivo, sistemi articolati e complessi nei quali, in una stretta fascia di territorio, si ha il rapido passaggio dalla matrice marina a quella terrestre con il conseguente instaurarsi di forti gradienti ambientali in funzione della distanza dalla linea di costa. Per esempio, procedendo dal mare verso l entroterra, si attenua l intensità dell aerosol marino, così come diminuiscono di norma gli effetti del vento e della salsedine, mentre la concentrazione di nutrienti e la compattazione del suolo presentano un andamento inverso (ved. Fig. 1.9). L ambiente costiero, quindi, costituisce un importante 22

37 Parte 1 esempio di ecotone (Packham & Willis 1997; WalKer et al. 2003); esso è pertanto caratterizzato da forti gradienti ambientali e da elevata diversità ecologica (Acosta et al. 2003a). In questo ambiente di transizione e di scambio per eccellenza, e per di più altamente dinamico, sono dunque moltissimi i fattori che contribuiscono alla sua morfologia ed evoluzione. Il continuo rimodellamento è soggetto a meccanismi evolutivi a breve, medio e lungo termine e gli agenti che ne determinano le transizioni temporali sono di natura geologica e geomorfologia (peculiarità delle rocce da cui derivano i sedimenti delle spiagge, apporto fluviale e azione delle maree), climatica (venti, irraggiamento solare, moto ondoso) e anche biologica (attività degli organismi che popolano questi ambienti) (Packham & Willis 1997; Audisio & Muscio 2002). La duna costiera, appare, quindi, come un sistema geomorfologico dinamico caratterizzato da un delicato equilibrio fisico; l instabilità morfologica e la forte incoerenza del substrato lo rendono particolarmente sensibile alle azioni erosive del mare, del vento e, alle sempre più numerose e deleterie azioni di disturbo antropico. Le dune costiere rappresentano multifunctional ecosystems (Van der Meulen & Udo de Haes 1996). Nella Tab. 1.1 è riportata una sintesi delle principali azioni e funzioni svolte da questi ambienti. Per lungo tempo le coste sono state usate per molti differenti scopi: per la difesa costiera, per la captazione d acqua, per l agricoltura, per l estrazione di sabbie e materiali inerti, per la costruzione di alloggi e per le attività turistiche (Carter 1991; Martínez et al. 2004a). Tutte queste attività hanno portato e continuano a portare benefici alla popolazione umana. Le aree costiere sono importanti sia per gli ecosistemi marini che per quelli terrestri,il loro valore come servizi ambientali forniti dall uomo è pari al 40% del valore complessivo dei servizi ambientali del nostro pianeta (Costanza et al. 1997). Oltre alla loro importanza economica, le dune costiere hanno un valore intrinseco relativo alle sue dinamiche temporali e spaziali che si sviluppano nello stretto confine tra terra e mare, rappresentando così un eccezionale laboratorio per studi speculativi in un campo pressoché infinito di discipline. Per esempio, esse sono state il sito di molte importanti ricerche ecologiche dal diciannovesimo secolo. Il più vecchio studio sulla vegetazione costiera fu attuato nel 1935 da Steinheil (van der Maarel 1993); in seguito altri studi in questi ambienti hanno portato alcune delle prime teorie ecologiche che aiutarono a comprendere come funzionano i sistemi ecologici. Per esempio, durante i primi tempi dell ecologia come scienza, Cowles (1899) studiò le associazioni spaziali e temporali della vegetazione delle dune sabbiose del Lago Michigan. Egli suppose che i cambiamenti vegetazionali nello spazio erano paralleli ai cambiamenti della vegetazione nel tempo, e basandosi su questa assunzione, i suoi studi fornirono la prima evidenza della successione. Inoltre, egli fu il primo a sviluppare una prospettiva dinamica dell interazione tra la vegetazione e le formazioni geologiche. Gli studi di Cowles furono determinanti per Clements che, quasi 20 anni più tardi (1916; 1936), sviluppò la teoria sulle successioni delle comunità vegetali. 23

38 Quadro introduttivo e Obiettivi generali Le dune costiere, infine, possiedono anche un importante valore paesaggistico, per la loro bellezza, e culturale. Le zone costiere hanno sempre rivestito un importanza strategica per lo sviluppo della civiltà. Per esempio, in Nuova Zelanda, gli insediamenti degli uomini primitivi sorgevano sulle dune costiere (Hesp 2000; Martínez et al. 2004a), che, quindi, contengono molte tracce archeologiche del patrimonio culturale Maori; ma lo stesso si può dire per le civiltà greche, fenice Inoltre, le dune dei Paesi Bassi e dell Olanda, sono state ritratte da molti pittori e sono riportate anche in alcune canzoni popolari patriottiche olandesi (Martínez et al. 2004a). Esse, comprendono, quindi, concentrazioni elevate di beni naturali, archeologici, architettonici, storici e culturali. Azioni/funzioni degli ambienti dunali costieri: Azione fisica riserva di sabbia in grado di rifornire le spiagge nelle fasi erosive; barriera contro l ingressione marina e la conseguente inondazione dei territori costieri; quando assumono dimensioni rilevanti le dune possono anche costituire un ostacolo contro l intrusione salina nelle acque di falda. Azione biologica Pur quasi monodimensionali le dune costituiscono: habitat unico per comunità vegetali molto specializzate alle quali sono riconducibili meccanismi di formazione, accrescimento e consolidamento dei depositi eolici; habitat strategico per molte associazioni animali (mammiferi, uccelli, rettili, invetebrati). Funzione ecologica azione complessiva di sostegno e protezione di altri ambienti ed ecosistemi quali aree umide, lagune e laghi costieri, foci fluviali, agroecosistemi retrodunali, praterie di Posidonia ed altre fanerogame; in termini di rete ecologica, e più in generale di conservazione della biodiversità e geodiversità le dune costiere possono svolgere il ruolo di zone tampone, core areas, corridoio ecologico, stepping stone. Tab Principali azioni e funzioni degli ambienti dunali costieri. 3.2 VEGETAZIONE PSAMMOFILA E SUE CARATTERISTICHE Le dune costiere sono caratterizzate da una diversità ecologica elevata, che è il risultato di un ampio numero di fattori geomorfologici, eterogeneità ambientale, e variabilità di specie. Negli ecosistemi costieri sabbiosi le relazioni tra la componente biotica (cenosi) e abiotica (in particolare vento, maree, aerosol marino,..) sono molto strette e complesse. A causa della limitata estensione e dei parametri abiotici fortemente limitanti che creano una condizione di grande stress ambientale, questi ecosistemi hanno selezionato specie vegetali altamente specializzate con particolari adattamenti e strategie che permettono loro di sopravvivere in un ambiente tanto estremo (Biondi & Andreucci 1987; Packham & Willis, 1997; Pignatti 2002). La flora di questi ecosistemi, quindi, presenta una grande peculiarità: nessuna specie delle sabbie marine può venire ritrovata negli ambienti continentali, e molto rari sono i casi di specie continentali che possono sopravvivere sulle spiagge (Audisio et al. 2002). Secondo Garbari (1984), per quanto riguarda l Italia, sono circa un centinaio le specie vegetali capaci di vivere sulle dune spiagge, meno dell 1,8% dell intera flora vascolare italiana. 24

39 Parte 1 Tra i principali elementi ecologici che rendono l ambiente costiero sabbioso estremo vi sono l incoerenza e l aridità del substrato sabbioso, la carenza di nutrienti, la profondità della falda freatica, la circolazione nel sottosuolo di acque salmastre, il vento salso, l aerosol e gli spruzzi del mare, il forte irraggiamento estivo. Le piante che troviamo nei sistemi dunali costieri devono perciò essere capaci di vivere in condizioni estreme, in apparenza insostenibili per il regno vegetale. Il substrato sabbioso ha una struttura sciolta, per cui le particelle vengono poste facilmente in mobilità dagli agenti di trasporto. La capacità di ritenzione dell'acqua e di imbibizione è sulla sabbia praticamente nulla, a causa dei notevoli spazi tra un granello e l'altro. Le dimensioni dei granelli di sabbia, inoltre, essendo grandissime (2mm-63μm) se confrontate con le particelle di argilla dei normali suoli, offrono una scarsissima superficie di adesione per l'apparato assorbente della pianta, costituito dal complesso dei peli radicali. Ecco dunque che le piante, come primo requisito, devono presentare radici con buona elasticità e resistenza alla trazione meccanica. Inoltre esse presentano, come adattamento strutturale al substrato sabbioso, una porzione aerea poco voluminosa rispetto a quella ipogea che risulta abbondante e fittamente ramificata, così da creare un groviglio di rizomi e radici capace di trattenere fortemente la sabbia (Packham & Willis 1997; Biondi 1999). In particolare le specie guida delle dune embrionali e delle dune mobili, Elymus farctus e Ammophila arenaria, sviluppano fusti sotterranei molto lunghi (fino ad 80 cm per anno) che le ancorano alla sabbia (Huiskes 1979; Mulder 1993), e reagiscono al continuo seppellimento producendo porzioni verticali di rizoma, che arrestano la loro crescita in prossimità della superficie sabbiosa, dove emettono nuove foglie robuste, adattate a resistere alla forte traspirazione indotta dalla ventosità elevata dell ambiente dunale (Fig. 1.8). Un altro fattore condizionante per la vegetazione psammofila è che essa è costretta ad oltrepassare con le sue radici uno spesso strato di sabbia asciutta, prima di giungere alla falda d'acqua da cui alimentarsi; questa, infatti, data l elevata permeabilità del sedimento è relativamente profonda, perciò gli apparati radicali devono avere un forte sviluppo in lunghezza. La falda d'acqua, inoltre, è costituita di acqua marina, sulla quale 'galleggia' l'acqua dolce che filtra dall'interno: si viene così a creare una variazione della salinità fra gli strati superiori, più dolci, e gli inferiori, più salati (rapporto che, ovviamente, è anche in funzione della maggiore o minore distanza dal mare). Le piante, devono dunque essere in grado di adattarsi anche al variare della concentrazione di salinità del suolo. Le acque salmastre circolanti nel sottosuolo sono di difficile assunzione, rendendo così necessaria una certa alotolleranza dell apparato radicale con conseguente stratificazione della rizosfera (Mulder 1993). Una caratteristica di queste piante è di avere i tessuti con una forte pressione osmotica. Ciò permette di mantenere bassa nelle cellule la concentrazione degli ioni di sodio massicciamente presenti nel suolo, così da consentire al potassio di svolgere correttamente la sua funzione, come avviene nelle cellule delle piante che vivono sui terreni con bassa o nulla concentrazione salina. 25

40 Quadro introduttivo e Obiettivi generali Fig Stati successivi di sviluppo dell Ammophila arenaria durante il processo di insabbiamento (da Huiskes 1979). La profondità alla quale l apparato radicale delle piante incontra la falda freatica è massima nelle dune mobili e minima nelle depressioni interdunali, dove l acqua si raccoglie spesso in superficie grazie alla presenza nel substrato di piccole quantità di particelle limose e argillose, dilavate dalle porzioni anteriori delle dune. Con il tempo i sedimenti di marea colmano le insenature dando luogo a bassi fondali di fango, formati da silt ed argilla, che emergono durante la bassa marea ma vengono sommersi durante l alta marea. Su questi fondali di fango può svilupparsi una vegetazione di alofite, che favorisce la deposizione di maggiori quantità di sedimenti, così che il fondale si innalza fino quasi al livello dell alta marea, divenendo una palude salmastra. Le correnti di marea mantengono attivo il loro flusso nella zona ricoperta da vegetazione di alofite, mediante una fitta rete di canali sinuosi modellati da correnti di marea, in cui l acqua fluisce alternativamente verso terra e verso il mare. Il vento marino è un altro 'nemico' che devono affrontare le piante dunali. Infatti esso esercita intense sollecitazioni meccaniche, limitando la crescita e lo sviluppo delle piante, per quanto la sua influenza vada via via diminuendo man mano che ci si allontana dalla battigia (le stesse dune, poi, costituiscono un buon 'frangivento' naturale). Ecco allora i caparbi adattamenti dell'habitus di crescita al vento, con soluzioni che oppongono minima resistenza, come forme prostrate, unidirezionali, striscianti, a cuscinetto appiattito, a cespuglio finemente suddiviso e il portamento a bandiera, tipica forma aerodinamica della macchia. Tali architetture, inoltre, sono spesso conformate in modo da favorire l attività degli animali impollinatori, offrendo loro varie tipologie di ripari e protezioni, cosicché possano svolgere con maggiore efficienza l importante funzione (Corbetta et al. 1998). Il vento inoltre disturba lo sviluppo delle piante sia con il suo carico di salsedine che con la sua azione di smerigliatura, dovuta ai granuli di sabbia che trasporta. L azione dell aerosol marino 26

41 Parte 1 determina una selezione floristica in funzione della resistenza fisiologica delle piante pioniere alla salsedine: l intensità dell aerosol è massima nel lato esposto al mare delle dune embrionali e sulla cresta delle dune mobili. Non dimentichiamo infine il forte irraggiamento estivo, che produce un intenso surriscaldamento dello strato sabbioso superficiale tale che la temperatura dell interfaccia regosuolo-aria può superare in estate 60 C, sottoponendo la vegetazione a lunghi periodi di siccità estrema, durante le ore di luce (Mulder 1993). La pianta, se vuole vivere, deve così adattarsi anche alle intense escursioni termiche diurne, come pure all'aridità atmosferica; inoltre, l umidità relativa della sabbia in superficie è quasi pari allo 0%, tutte condizioni queste, simili a quelle dei deserti (Pirone 1997). Per contro, nel suolo sabbioso (come del resto in tutti i suoli 'a grana grossa') l'aria può circolare abbondantemente negli interspazi, il che significa che le radici hanno buona disponibilità di ossigeno per la respirazione: le specie psammofile hanno infatti spiccate esigenze di aerazione del loro substrato. Gli adattamenti all aridità fisiologica del substrato sabbioso e alla xerotermicità utilizzati dalle piante della duna, sono sia di tipo fisiologico che morfologico (Biondi & Andreucci 1998). Fra gli adattamenti fisiologici, si evidenziano quelli che aumentano la tolleranza delle cellule verso le alte concentrazioni saline riducendo lo stress osmotico (per esempio, l aumento del turgore cellulare e l elevata elasticità della parete cellulare) e quelli che permettono alle piante di sopperire alla scarsa disponibilità di acqua e nutrienti (vari adattamenti metabolici e accumulo di riserve). Un altro adattamento della maggior parte delle specie dunali consiste nel ridurre il periodo vegetativo e concentrarlo fra inverno e primavera, quando le piogge sono più frequenti e il calore non raggiunge i picchi estivi. Adattamenti di tipo morfologico sono: la succulenza, che permette di conservare una certa riserva d acqua; la sclerofillia, la microfillia e la spinescenza che contribuiscono a economizzare l acqua; la pelosità, che riduce il movimento dell aria in prossimità degli stomi limitando le perdite d acqua per traspirazione; l ispessimento delle cuticole per resistere all abrasione; il colore glauco che attenua il surriscaldamento dovuto alla forte esposizione alle radiazioni solari (Packham & Willis, 1997; Corbetta et al. 1998; Pignatti et al. 2002). Della peculiarità di questa vegetazione Goethe, buon botanico oltre che massimo poeta, scrive riguardo alla passeggiata al Lido di Venezia nell ottobre del 1786:.lungo la spiaggia ho anche trovato varie piante, i cui caratteri comuni mi hanno fatto conoscere più da vicino le loro proprietà: sono tutte salde e forti, pieni di succhi e tenaci, ed è manifesto che l antica salsedine del terreno sabbioso,ma ancora più l aria piena di sale, ha impresso loro queste proprietà caratteristiche; son piante piene di succhi come le piante acquatiche e sono grasse e tenaci come le piante montanine; e se il sommo delle loro foglie finisce quasi a spina, come fanno i cardi, le foglie sono fortemente aguzze e rigide. Porterò con me alcuni semi ed alcune foglie disseccate.. (Viaggio in Italia, ). Questi caratteri generali osservabili nella vegetazione di tale tipo di ambiente sono estremamente ripetitivi, al di là di quelli che potrebbero apparire i confini climatici: la 27

42 Quadro introduttivo e Obiettivi generali vegetazione dunale delle coste dell'europa settentrionale e delle coste atlantiche ha infatti una fisionomia del tutto paragonabile a quella delle coste meridionali del Mediterraneo, pur con le inevitabili variazioni nella base floristica. 3.3 LE FITOCENOSI DUNALI E LORO IMPORTANZA Le fitocenosi che colonizzano le coste sabbiose sono fortemente influenzate dalle caratteristiche fisiche e microtopografiche del sistema dunale, collocandosi in questi habitat lungo un gradiente complesso che si sviluppa a partire dalla linea di battigia, procedendo verso l entroterra, perpendicolarmente alla linea di costa (Ranwell 1972; Barbour & de Jong 1977). Si caratterizza pertanto una ben definita zonazione di aspetti floristici, fisionomici, strutturali ed ecologici, che viene anche denominata sequenza catenale (Fig. 1.9). Le comunità psammofile e psammotolleranti, quindi, sono vicine e ordinate in funzione della variazione di uno o più fattori ecologici; di conseguenza la sequenza catenale o zonazione costituisce l espressione spaziale della variabilità ambientale. Sono molteplici le variabili ambientali (di natura geomorfologica, edafica, microclimatica ecc.) che intervengono nella distribuzione spaziale delle fitocenosi dunali e nei rapporti sociologici tra specie e comunità. I principali fattori naturali che comportano la variazione della composizione floristica sono la distanza dal mare, la natura geologica del substrato (incoerenza e mobilità dei sedimenti sabbiosi), l inclinazione del suolo, l esposizione al sole e ai venti. Oltre alle esigenze ecologiche e ai fattori topografici, ad influenzare la distribuzione spaziale delle comunità vi sono anche i fenomeni di erosione naturale e l intervento antropico, che determinano non solo variazioni nella composizione floristica, ma anche modificazioni sulla struttura della vegetazione, erosione e denudamento del substrato. E proprio la complessità di pattern abiotici e dei processi tipici degli ecosistemi costieri responsabile della diversità e della peculiarità delle biocenosi (Westhoff 1989). In condizioni normali, lungo la sequenza catenale, incontriamo per prime le comunità pioniere, situate più vicino alla battigia e, procedendo verso l interno, altre fitocenosi che caratterizzano le dune e le loro retrovie (Fig. 1.9). Lo schema di questo sistema di comunità forma una sorta di diaframma elastico sul quale gli affetti delle attività marine si attutiscono, e la cui presenza è riconosciuta come condizione necessaria per l equilibrio della vegetazione naturale retrostante. Una caratteristica, inoltre, della zonazione costiera è che le comunità dell intero sistema psammofilo, non sono legate soltanto da rapporti spaziali ma anche da rapporti temporali e dinamici. In questa prospettiva, le comunità pioniere sono gli stadi iniziali del sistema, e quelle più complesse gli stadi progressivamente più maturi ed antichi. L ecotono costiero rappresenta quindi quanto di meglio la natura possa aver realizzato per assicurare il reciproco equilibrio ed una virtuosa fisiologica interazione tra due ecosistemi, quello marino e quello terrestre. 28

43 Parte 1 Fig Schema di una costa bassa sabbiosa in assenza di fattori di disturbo. Sono stati evidenziati, in alto, l orientamento dei principali gradienti ambientali e, in basso, la tipica zonazione delle comunità vegetali che si dispongono lungo tali gradienti in ragione dei particolari adattamenti e specializzazioni propri delle specie di ciascuna fitocenosi (disegno di A. Merante, da Acosta & Izzi 2007d). La vegetazione dunale ha un ruolo fondamentale nell edificazione, stabilizzazione ed evoluzione geomorfologica dei sistemi dunali costieri in quanto innescano un processo di edificazione geopedologica; possiamo considerare la vegetazione e la duna come elementi in coevoluzione. In altre parole, la vegetazione psammofila esercita un azione di ostacolo al trasporto eolico, contribuendo a favorire l accumulo dei sedimenti sabbiosi, impedendo il loro avanzamento verso l entroterra. Con i propri apparati radicali, inoltre, aiuta a consolidare il substrato, poiché trattiene la sabbia e ne permette l ulteriore deposito. Si può affermare che le dune sono l azione combinata del mare che porta depositi, del vento che trasporta sedimenti e delle piante che trattengono dette particelle ed edificano il tutto. Inoltre la vegetazione psammofila, trattenendo la sabbia e consolidando gli accumuli eolici, contribuisce alla conservazione delle dune costiere che rappresentano una riserva naturale di sedimenti sabbiosi necessari per il ripascimento della spiaggia. Le dune costiere con le proprie fitocenosi, svolgono, infine, un importante funzione di protezione dalle inondazioni e di riparo dalla forza delle onde e dei venti, e rappresentano delle barriere naturali alla salsedine e al trasporto delle sabbie verso l interno; i venti marini, infatti, carichi di sabbia, di salsedine e di inquinanti aerosolizzati, non più sollevati, filtrati e frenati dal diaframma protettivo costituito dalle dune e dalla vegetazione antidunale, investono direttamente i boschi litoranei. Di conseguenza sono di notevole beneficio per la coltivazione del territorio retrostante fino a molti chilometri nell entroterra, e consentono la presenza di habitat particolari all interno della costa che rappresentano una vera riserva per la biodiversità. 29

44 Quadro introduttivo e Obiettivi generali 3.4 VULNERABILITÀ DEGLI AMBIENTI DUNALI L habitat dunale costiero, per la facile alterabilità dei suoi equilibri dinamici, è per sua natura da annoverare fra gli ecosistemi a più alta fragilità. Tale fragilità viene ulteriormente esaltata e gli equilibri spesso gravemente compromessi, talora in maniera irreversibile, sia per azione antropica diretta che indiretta. Parte della vulnerabilità dell ambiente dunale è legata, come detto in precedenza, all estremo dinamismo che lo caratterizza e al fatto di essere ubicato in prima linea rispetto a due potenti agenti atmosferici che possono provocare erosione: il mare ed i forti venti marini. A tutto questo, però, bisogna aggiungere il crescente ruolo svolto dall uomo nel rendere ancora più fragili questi ecosistemi. Possiamo affermare che le dune sabbiose costiere e gli ambienti umidi limoso-sabbiosi retrodunali e litoranei ad esse spesso associati, con le proprie comunità vegetali, attualmente sono tra gli ambienti più vulnerabili e più seriamente minacciati a scala mondiale, dalla perdita della diversità biologica (Audisio 2002). Infatti, nonostante la loro rilevanza ecologica, paesaggistica ed economica, il precario e difficile equilibrio fisico del sistema dunale, nelle ultime decine di anni, è stato turbato e spesso completamente stravolto dalla pressione antropica (Martínez et al. 2004a). L eccessivo sfruttamento delle risorse, la caotica espansione demografica e lo sviluppo industriale sono le cause che a livello mondiale hanno portato alla degradazione di tali sistemi (Martínez et al. 2004b). Arginature e canalizzazioni hanno modificato la costa in prossimità delle foci dei fiumi, alterando la falda e gli apporti fluviali; spianamenti e compattazione di dune, creazione di spiagge artificiali, strade litorali, camping e stabilimenti balneari sono state alla base dell impressionante modificazione del litorale. E inoltre, l inquinamento delle acque costiere, la crescente urbanizzazione, gli incendi, lo sfruttamento agricolo e industriale, insieme ai cambiamenti climatici- quest ultimi peraltro di difficile valutazione- e ai marcati fenomeni erosivi delle coste hanno comunque provocato una sempre più generalizzata frammentazione di questi habitat, creando un urgente necessità di appropriate strategie di intervento e di monitoraggio (Audisio 2002); come risultato, questa stretta zona di tensione tra i due mondi, terrestre e marino, ha, quindi, subito trasformazioni profonde e radicali che l hanno portata a perdere man mano la propria naturalità, costituendo in sistema sempre più artificiale e fragile. Il risultato di quest uso intensivo delle aree costiere, è che in molte parti del mondo estesi sistemi dunali sono in un avanzato stato di degradazione e talvolta sono irreversibilmente alterati; spesso, inoltre, le specie native ed endemiche sono state eliminate e rimpiazzate dalle specie esotiche introdotte (Grootjans et al. 1997). In diverse aree costiere, le dune sono state completamente rimosse e i cambiamenti sono avvenuti molto più velocemente di quanto non accadesse nelle aree interne. Oltre a ciò, a causa delle barriere artificiali dovute all opera dell uomo, alta è la frammentazione degli ecosistemi naturali protetti così da precludere la connettività tra le aree protette e la sopravvivenza delle specie tutelate (Martínez et al. 2004b). 30

45 Parte 1 Sebbene, comunque, da tempo gli uomini abbiano influenzato gli ambienti costieri, è nell ultimo periodo che questo processo è divenuto più imponente. In particolare, il turismo estivo è aumentato drammaticamente negli ultimi anni, portando ad un peggioramento di molti ecosistemi costieri ben conservati. Oggi, una vasta proporzione della popolazione umana nel mondo vive a 10 km dalla linea di costa e più del 50% a meno di 60 Km da essa (Van der Meulen & Udo de Haes 1996). Un esempio dell elevato grado di modificazione delle dune costiere avviene in Nuova Zelanda, dove più di ettari delle dune sono state convertite in rimboschimenti e attività agricole negli ultimi 80 anni (Hesp 2000). Nei Paesi Bassi, gran parte delle antiche dune interne sono state scavate, e la sabbia è stata usata per l espansione delle città e dei villaggi nelle aree interne della costa (Carter 1991). In Australia, 83% della popolazione, vive vicino alla costa, 25% entro 3 km, aumentando la pressione su quest ambiente (Hesp 2000). Queste proporzioni probabilmente valgono anche per molti paesi nel mondo (Martínez et al. 2004a). Per quanto riguarda l Europa, lo sviluppo urbano, industriale e turistico sta provocando anche qui un forte degrado e sta determinando crescenti pressioni su zone già fortemente provate; circa un terzo della popolazione europea vive nel raggio di 50 km dalla costa. Si è stimato che, dall inizio del 1900, su tutta l Europa si è avuta la perdita del 25% di dune costiere e circa il 55% delle coste rimanenti hanno perso il loro carattere naturale e sono sottoposte a gravi minacce (Delbaere 1998). Già negli anni 50 Braun Blanquet aveva rimarcato il pericolo della scomparsa, in tempi brevi, della flora psammofila, a causa delle profonde modificazioni antropiche delle coste (Pirone 1997). Il fenomeno della perdita del paesaggio dunale, ha interessato praticamente tutti i Paesi costieri, comprese le coste atlantiche dei Paesi del Nord, dove ha sollecitato da tempo l interesse di fondazioni scientifico-naturalistiche, quali il National Trust in Gran Bretagna e la Stichting Duinbehoud nei Paesi Bassi, volte a proteggere questi particolari ecosistemi (Pirone 1997). Da molti anni l Unione Europea ha avviato programmi inerenti lo studio e la risoluzione delle problematiche relative agli ambienti costieri in un ottica di sostenibilità indicando in vari documenti e Comunicazioni (COM 95/511/CE; COM 00/547/CE; RAC 02/413/CE), le possibili soluzioni e le linee guida da seguire per una Gestione Integrata Sostenibile della Zona Costiera (ossia la ICZM Integrated Coastal Zone Management) allo scopo di promuovere la collaborazione in sede di pianificazione e gestione delle zone costiere. Un valido strumento, è rappresentato poi dalla direttiva 92/43/CEE; essa permette di individuare azioni coordinate e coerenti che consentano l uso del territorio e lo sfruttamento delle risorse in una logica di sviluppo sostenibile per il mantenimento vitale degli ecosistemi (Coucil of Europe 1991). Nel futuro è probabile che le zone litoranee siano esposte a pressioni crescenti, in particolare sugli habitat, sulle risorse naturali (suolo, acque dolci e marine, energia) soprattutto a causa dell aumento della richiesta di infrastrutture (porti e marine, trasporti, impianti per il trattamento delle acque reflue, ecc.)(martínez et al. 2004a). Non dobbiamo dimenticare, inoltre, gli accentuati fenomeni erosivi che interessano le coste del mondo; essi 31

46 Quadro introduttivo e Obiettivi generali sono provocati oltre che da cause naturali anche e soprattutto da quelle antropiche, che in parte gli hanno favoriti, distruggendo la vegetazione dunale e incidendo sulla riduzione degli apporti sedimentali dei fiumi. In effetti, il fenomeno erosivo è tale da suggerire che, in alcuni casi, alla tendenza naturale si sia sovrapposta una concausa antropica. I fenomeni erosivi interessano oggi più del 70% delle coste sabbiose del mondo (Bird 1985) e rappresentano uno dei problemi più seri considerando anche la risalita del livello marino a causa dei cambiamenti climatici (Feagin et al. 2005). La crescente antropizzazione delle aree litoranee e i processi di erosione marina hanno, quindi, innescato fenomeni di degrado quasi ubiquitari, aggravati dal loro andamento progressivo. A livello mondiale, rimangono, tuttavia, tratti di costa che ancora conservano ecosistemi immacolati o poco disturbati, incorporando una ampia varietà di scenari e ecosistemi. Poiché è probabile, da quanto detto, che lo sviluppo umano e le attività sulla costa continueranno, queste aree poche disturbate hanno bisogno di urgenti e appropriate politiche di conservazione e gestione per assicurare che esse conserveranno le loro caratteristiche e saranno disponibili per le generazioni future. 3.5 GLI EFFETTI DELL ANTROPIZZAZIONE SULLE FITOCENOSI COSTIERE L attività antropica può agire sui diversi elementi del sistema dunale, da quelli morgolofici, a quelli pedologici, a quelli biologici, cioè sulle fitocenosi. Disturbi di una certa entità si ripercuotono sulla morfologica dunale, e questo porta ad un alterazione delle comunità, dei loro rapporti e da ultimo del paesaggio stesso, con modificazioni la cui intensità varia con l intensità del disturbo (Acosta et al. 2000a; Acosta et al. 2003a; Acosta et al. 2003b; Ercole et al. 2007). Gli effetti dell antropizzazione diretta delle spiagge e delle dune hanno cause multiple. Il livellamento geomorfologico per ricavare una larga spiaggia piatta, più favorevole ai turisti, ha per effetto la quasi totale scomparsa della zonazione dunale fino alle comunità legnose retrodunali, in alcuni casi con profitto per alcune specie pioniere o nitrofile (Biondi 1999). L impatto antropico diretto sulle fitocenosi costiere è ben evidente quando è derivato da costruzioni, manufatti e infrastrutture per il turismo residenziale. Appare invece meno evidente ai non addetti ai lavori quando è causato dalla ripulitura della spiaggia per il turismo balneare. Questi interventi di ripulitura, con spianamenti del primo cordone dunale e la cancellazione delle prime associazioni vegetali pioniere, eliminano la prima linea di difesa per le fitocenosi che seguono. La vegetazione retrostante viene quindi a essere esposta all azione erosiva dei venti, allo spray marino etc. con notevoli danni e conseguenti dinamiche degradative, poiché queste associazioni vegetali non presentano le stesse caratteristiche morfo-anatomiche e funzionali delle fitocenosi di prima linea eliminate. In tale stato di squilibrio, inoltre, nuove specie invadenti, tra cui molte esotiche, trovano facile e vincente competizione con le specie locali, conquistando ampia e talora massiccia diffusione. 32

47 Parte 1 Il continuo calpestio da parte dei turisti provoca sulla duna la comparsa di specie resistenti che prendono il posto delle piante caratteristiche delle varie zone (es. Cynodon dactylon, Plantago macrorrhiza). Anche gli incendi possono toccare la zonazione dunale, soprattutto nei suoi biotopi continentali. Le macchie a ginepro si trasformano così in cisteti a Cistus monspeliensis, C. creticus, ecc. o in vasti popolamenti ad Halimium halimifolium, come per esempio in Corsica, in Sardegna o nel Sud dell Adriatico (Géhu & Biondi 1994). Tra le cause dell alterazione per antropizzazione diretta della duna vi sono spesso anche quelle dovute alla cattiva gestione forestale dei biotopi. Molte volte, infatti, la costituzione di pinete artificiali sulle sabbie in posizione avanzata invece che diminuire i processi erosivi li accelera, poiché toglie al sistema la necessaria elasticità e non favorisce l accumulo della sabbia contribuendo così ad un ingessamento del sistema dinamico costiero (Géhu & Biondi 1994). La degradazione prodotta dai rimboschimenti è una delle principali forme di regressione della biodiversità dunale, non solo in rapporto con l enorme estensione spaziale che tali interventi hanno interessato ma soprattutto perché riguardano i sistemi dunali non distrutti fisicamente. La maggior parte delle piante esotiche introdotte, inoltre, quali Pinus sp. pl., Acacia sp. pl., Eucalyptus sp. pl., non sopportano molti i commensali e distruggono rapidamente le comunità naturali nelle quali sono state introdotte (Géhu & Biondi 1994); inoltre, presentano spesso vistosi segni di sofferenza e di deperimento, soprattutto sul fronte a mare. 4. SPECIE ESOTICHE: UNA MINACCIA ALLA BIODIVERSITA In molte parti del mondo, una delle principali cause di perdita della biodiversità è rappresentata dall introduzione, al seguito dell uomo, di un crescente numero di specie al di fuori del loro areale originario (Rejmánek 1995), quelle che si definiscono specie esotiche o aliene o alloctone. L invasione operata da queste specie interessa diversi tipi di ambienti, tra cui, come in precedenza sottolineato, i già di per se delicati habitat costieri. Ciò nonostante, le problematiche scaturite dalle cosiddette invasioni biologiche, come viene comunemente indicata la diffusione delle specie esotiche, sono state spesso trascurate o sottovalutate. Della natura delle introduzioni e delle loro conseguenze, ci occupiamo in questo paragrafo. 4.1 LE INTRODUZIONI DI SPECIE ESOTICHE La flora di un determinato territorio è il risultato di un complesso insiemi di fenomeni, alcuni dei quali antichi, valutabili con la scala degli eventi geologici, altri più recenti o attuali, riferibili alla storia dell uomo e direttamente analizzabili. Dal punto di vista corologico gli elementi che costituiscono una flora possono essere distinti in geografici e generici (Viegi et al. 1974). I primi sono definiti praticamente dal loro areale, cioè dalla superficie sulla 33

48 Quadro introduttivo e Obiettivi generali quale un entità tassonomicamente valutabile è distribuita naturalmente. Nell ambito di una flora presente su un determinato territorio, accanto alle entità native o autoctone, che risultano naturalmente e stabilmente insediate, sono rilevabili piante che si riconoscono estranee a quel territorio, in quanto provenienti da regioni diverse e talora lontane (Viegi et al. 1974). Sono le cosiddette esotiche (o aliene o alloctone), entità che, in vario modo, per cause naturali o antropiche, più o meno recentemente, sono entrate a far parte della flora di un territorio non compreso nell area naturale della loro distribuzione. Gli areali naturali delle specie sono limitati, come sappiamo, da barriere ambientali e climatiche che impediscono la dispersione degli individui e dei loro propaguli. Oceani, deserti, catene e massicci montuosi, grandi corsi d acqua, sono tutti fattori geografici che limitano gli spostamenti di molte specie. Come risultato dell isolamento geografico, l evoluzione ha seguito vie differenti nei diversi continenti e nelle isole (Primack & Carotenuto 2003). Ma a stravolgere ed alterare questi originali pattern di distribuzione delle specie è stato soprattutto l uomo. Nel corso della storia umana, infatti, moltissime specie sono state introdotte, volontariamente o accidentalmente, in aree geografiche dove erano assenti (Vitousek et al. 1996). Numerose specie vegetali sono state introdotte come piante ornamentali o come piante alimentari per uomini e animali domestici (Ferrari 2001). Molte specie si sono poi espanse al di fuori dei coltivi diffondendosi su vaste aree, fino a divenire invasive. Inoltre un numero incredibilmente alto di specie è stato introdotto per trasporto e rilascio accidentali. Ad esempio, i semi di alcune specie erbacee infestanti sono stati raccolti insieme a semi di piante coltivate e trasportati così in nuove aree (Ferrari 2001; Scalera 2001). Le introduzioni non sono, comunque, un fenomeno recente; le loro origini risalgono addirittura alla preistoria. Per questo motivo, talvolta potrebbe risultare assai difficile, se non addirittura impossibile, stabilire se una data specie è giunta in una certa regione per cause naturali o al seguito dell uomo. L idea di abbellire i giardini con specie di lontani paesi ha esercitato fin dall antichità un fascino particolare. Già gli Egiziani compivano lunghe spedizioni per ricercare alberi esotici, ed i Greci prima e i Romani poi, attraverso i loro contatti con genti diverse scambiavano piante. Con il Rinascimento in Italia ed anche in Europa questo gusto venne nuovamente scoperto, divenendo un costume consolidato durante tutto l ottocento. Certo è che negli ultimi anni la continua traslocazione di specie, che ormai coinvolge un infinità di organismi animali e vegetali in ogni parte del pianeta, sta assumendo proporzioni davvero inquietanti, soprattutto a causa della crescente liberalizzazione del mercato. La ridotta distanza tra i Paesi, per commercio o per turismo, ha aumentato il numero di introduzioni accidentali di specie aliene. Molte piante esotiche, superate le prime fasi di acclimatizzazione nella patria di adozione, possono trovare condizioni ecologiche ed edafiche simili a quelle della regione d origine, per cui riescono ad insediarsi stabilmente, a diffondersi con mezzi propri e a diventare parte integrante della flora del territorio. Altre riescono ad impiantarsi solo transitoriamente: si mantengono per qualche tempo nella stazione d arrivo, senza alcun accenno alla propagazione, per poi scomparire dopo una o 34

49 Parte 1 poche generazioni. La componente di origine esotica, quindi, può essere assai variabile nello spazio e nel tempo, in quanto è soggetta ad un notevole dinamismo dettato dal successo di alcune specie a fronte della scomparsa di altre. Secondo recenti stime, il numero di piante vascolari esotiche nei singoli paesi del mondo supera il migliaio: 1360 nelle isole Britanniche (circa 40% della flora totale) (Ellis 1994); specie introdotte in Australia dalla colonizzazione degli europei, più di 200 delle quali considerate infestanti nocive (Humphries et al. 1991; Parsons & Cuthbertson 1992); infine, più di 2000 specie esotiche sono state registrate negli Stati Uniti, molte delle quali causano importanti danni economici ed ecologici (U.S. Congress, Office of Technology Assessment 1993) 4.2 CONSEGUENZE DELL INTRODUZIONE DI SPECIE ESOTICHE Le specie esotiche sono state definite con l appellativo di cancri verdi o flagelli verdi (Koopwitz & Kaye 1990) a causa delle loro conseguenze sugli ecosistemi naturali e sulle specie native, di cui ne possono causare il declino e l estinzione. La recente European strategy on Invasive Alien Plants definisce le specie esotiche invasive come quelle specie esotiche la cui introduzione e/o diffusione minacciano la diversità biologica. Le implicazioni ecologiche delle invasioni sono di primaria importanza e coinvolgono l intera biosfera, dagli habitat acquatici alle terre emerse. Possiamo dire che il problema relativo alle invasioni di specie esotiche costituisce una delle sfide più importanti in cui è impegnata l Ecologia odierna. Già Elton (1958) sosteneva che l introduzione di organismi viventi all esterno delle aree in cui si sono evoluti può causare alterazioni permanenti a tutti i livelli di organizzazione ecologica. E ben noto, infatti, che gli ecosistemi sono caratterizzati da strette relazioni tra le loro componenti biotiche e abiotiche e da una loro struttura spaziale (Primack & Carotenuto 2003). Le specie esotiche invasive possono alterare queste caratteristiche, modificando sia il numero sia la composizione delle specie, le relazioni nelle reti trofiche e la ripartizione delle risorse nell ecosistema. Quindi, anche se la presenza di nuove specie sembra aumentare la biodiversità su scala locale, essa può compromettere gli equilibri all interno di un sistema e alterare le relazioni tra le specie viventi in una particolare area, stabilendo nuove dinamiche di interazione fino a causare la possibile estinzione delle specie native (Ferrari 2001). Le specie alloctone possono agire sia direttamente, per competizione, che indirettamente, interferendo nei rapporti interspecifici tra i componenti di una comunità e modificando gli equilibri preesistenti negli ecosistemi (Callaway & Aschehoug 2000; Alvarez & Cushman, 2002). L invasione da parte delle specie esotiche può cambiare la struttura delle comunità occupate e alterare le loro proprietà specialmente quando le specie introdotte sono qualitativamente differenti dalle specie native (Parker et al. 1999). Quando le specie esotiche invadono nuovi habitat possono sostituire le specie native, le specie minacciate e vulnerabili e quelle rare e a rischio di estinzione e causare locali estinzioni (Brock & Farkas 1997; Mack et 35

50 Quadro introduttivo e Obiettivi generali al. 2000; Scherer-Lorenzen et al. 2000). Un ulteriore rischio consiste nelle interazioni genetiche tra piante introdotte e native (ibridazione), che in alcuni casi può minacciare la persistenza di specie rare (Rhymaer & Simberloff 1996). Tra gli effetti a breve-medio termine dell invasione di specie esotiche sono stati descritti: perdita di biodiversità (Lodge 1993; Huston 1994), declino delle piante native e della biodiversità dell ecosistema con la creazione di campi monospecifici (D Antonio & Vitousek 1992), cambiamenti nei regimi dei disturbi (Van Wilgen & Richardson 1985; D Antonio & Vitousek 1992), alterazione dei cicli del fuoco (D Antonio & Vitousek 1992), alterazione del ciclo dei nutrienti (MacDonald et al. 1989; Vitousek 1990), alterazione della qualità di cibo per la fauna selvatica (Medina 1988), cambiamento nella distribuzione del pascolo per gli animali selvatici (Trammel & Butler 1995), la formazione di nuovi e diversi paesaggi (Atkinson & Cameron 1993; Vitousek et al. 1997b), senza poi considerare gli ingenti danni economici, sanitari e socio-culturali che necessariamente si riflettono su tutta la società (Pimentel et al. 2002). Possiamo dire, inoltre, che le invasioni biologiche portano alla ecological homogenisation del mondo e contribuiscono in modo considerevole al cambiamento globale (D Antonio & Vitousek 1992; Lodge 1993; Mooney & Hobbs 2000). Lo spostamento di specie da un area a un altra rappresenta una dei maggiori cambiamenti a livello mondiale (Vitousek et al. 1997a), confondendo i confini tra le regioni biogeografiche (Elton 1958). Il neofitismo, cioè l insediamento delle specie esotiche, è il frutto di questo fenomeno della sinatropizzazione definito da Falinski (1986; 1998) come l insieme dei cambiamenti prodotti dall uomo sulla flora, la vegetazione, le comunità e gli ambienti. L essenza di questo fenomeno della sinantropizzazione, è, secondo Sukopp (1998) il processo di sostituzione (Sukopp 1998) e di omogeneizzazione delle comunità (Vitousek et al. 1997b): le specie native sono sostituite dalle esotiche, e le stenotipiche (organismi con un range ristretto) dagli euritipici (organismi con un ampio range), e le specie endemiche dalle cosmopolite. Su scala mondiale, molti sono gli esempi di introduzioni di specie esotiche con effetti disastrosi in termini ecologici ed economici. Non tutte le specie introdotte, però, sono nocive; le specie esotiche in generale contribuiscono alla biodiversità di una regione e possono essere anche una componente interessante e utile della flora (Hanson 1995; Baker 1996). In generale, la maggioranza delle specie non riesce a superare la serie di barriere presenti (riproduttive, ambientali) e a stabilirsi in nuovi territori. Tuttavia una piccola parte di esse, indicate con il termine di invasive (Richardson et al. 2000), riesce a stabilirsi nella nuova area geografica e, in assenza dei fattori che ne controllano la diffusione nelle regioni d origine (predatori, parassiti, competitori efficaci), si propaga rapidamente su ampie superfici fino a divenire una minaccia per la biodiversità (Camarda et al. 2005). Perciò, tra le specie esotiche introdotte, solo una parte diventa dannosa. Secondo una regola empirica, infatti, solo una su dieci riesce ad insediarsi in maniera stabile e di queste generalmente non più di una su dieci finisce per costituire un problema per le comunità autoctone (Williamson& Brown 1986; Williamson 1993; Kowarik 1995). E importante, inoltre, ricordare che la possibile invasività di una specie 36

51 Parte 1 è legata a una combinazione tra le sue caratteristiche ecologiche e quelle dell ecosistema nel quale si trova ad essere introdotta. Appare dunque chiaro che una medesima specie può comportarsi da invasiva in un ambiente e non farlo in un altro diverso dal primo (Tilman 1997; Ferrari 2001). Inoltre è stato osservato che comunità primarie (e quindi autoctone) ben strutturate e composte da numerose specie sono in grado di prevenire l insediamento di specie esotiche al loro interno, in quanto non saranno disponibili nicchie ecologiche vacanti per la specie aliena (principio di esclusione competitiva e biotic resistrance hypothesis ) (Elton 1958); questa teoria, come vedremo ha presentato risultati contrastanti in relazione alla scala utilizzata (Espinosa-García et al. 2004). Al contrario, in ambienti sottoposti a disturbi antropici di vario genere, è più facile che siano presenti nicchie ecologiche vuote dove specie aliene, soprattutto se già adattate a quei disturbi, possono insediarsi più o meno stabilmente (Hobbs & Huenneke 1992; Burke & Grime 1996). Il disturbo antropico facilita ad esempio l invasione delle piante esotiche creando suolo disponibile all invasione, riducendo la copertura delle specie autoctone, eliminando le strette relazioni tra gli organismi autoctoni, creando nicchie vacanti, cambiando il naturale regime dei disturbi (Orians 1986; Mack & D Antonio 1998). E stato, infatti, osservato che la probabilità che una specie aliena riesca ad insediarsi con successo è direttamente correlata al grado di disturbo antropico e di alterazione dell ambiente naturale (Mack 1985; Baker 1986; Mooney et al. 1986; Heatwole & Walker 1989; Huston 2004; Leishman & Thomson 2005). Alcuni autori hanno poi osservato che le invasioni biologiche generalmente hanno maggior successo in ambienti ricchi di risorse, quando, in seguito a disturbo antropico, queste risorse divengono disponibili per le specie esotiche (Rejmánek 1989; Davis et al. 2000). Altri autori hanno osservato che ecosistemi caratterizzati da forte stress ambientale sono più resistenti alle invasioni biologiche rispetto ad ecosistemi con stress meno intenso (Rodgers & Parker 2003). Questi autori hanno messo in evidenza come il disturbo antropico interagisca con gli stress ambientali nel determinare l abbondanza di specie esotiche. In ambienti dove il disturbo antropico riduce gli stress ambientali le esotiche hanno maggiori possibilità di insediarsi, al contrario, in ambienti dove il disturbo antropico comunque non altera il forte stress ambientale, quest ultimo funziona da barriera efficace per le specie esotiche che vi giungono (Rodgers & Parker 2003). Recentemente, numerosi autori hanno inoltre posto l accento sulle strette relazioni tra le invasioni ecologiche e i fattori socio-economici delle aree geografiche in questione (Sala et al. 2000; Sax 2002; Kowarik 2003; Myers & Bazely 2003; Liu et al. 2005), in quanto le attività umane hanno, come già detto, un importante influenza sulla dispersione e la naturalizzazione delle piante esotiche (Sax 2002). Questi fattori andrebbero presi in considerazione in ogni studio sulle invasioni di piante esotiche (Myers & Bazely 2003). Alcuni risultati mostrano che la densità della popolazione umana e le attività umane hanno importanti effetti sulle invasioni biologiche (Pyšek et al. 1998; Myers & Bazely 2003). In realtà esiste spesso un rapporto sinergico tra i diversi processi di degrado ambientale (cambiamenti 37

52 Quadro introduttivo e Obiettivi generali nell uso del suolo, cambiamenti climatici globali, aumento della concentrazione di anidride carbonica nell atmosfera, introduzioni di specie alloctone, deposizione di ossidi di azoto al suolo), così che molti autori prevedono un futuro incremento dei processi di invasione biologica a livello mondiale. La gravità e la diffusione del fenomeno impongono, quindi, di predisporre appropriate contromisure per contenere la sua portata entro limiti sostenibili, cercando altresì di contrastarne gli effetti a tutti i livelli in cui esso si ripercuote. 4.3 LA PROBLEMATICA DELLE SPECIE ESOTICHE IN EUROPA E IN ITALIA Il problema delle invasioni biologiche ha interessato in quest ultimo ventennio la comunità scientifica a livello mondiale, come dimostrano i numerosi dati di letteratura; esso è in stretta connessione sia con la problematica dei cambiamenti globali del pianeta indotti dalle attività umane, sia con la tutela della biodiversità. In Europa il problema delle specie vegetali esotiche ha interessato i botanici a partire dalla seconda metà dell 800. Oggi, molte specie esotiche vegetali, introdotte da meno di 200 anni, sono pienamente naturalizzate ed occupano estese superfici all interno dell Unione Europea (Weber 1997). Si osserva, inoltre, un continuo incremento delle aree invase e del numero complessivo delle specie esotiche di nuova introduzione. Pertanto, anche alcune specie esotiche che attualmente hanno una limitata frequenza, potrebbero, in futuro, diventare molto diffuse nei Paesi dell Unione Europea. L attenzione dell Unione Europea al problema delle invasioni biologiche, già nel corso del Quinto Programma Quadro ha consentito il finanziamento e l avvio di un progetto di ricerca denominato EPIDEMIE (Exotic Plant Invasion: Deleterious Effects on Mediterranean Island Ecosystems) iniziato nel 2000 che ha voluto studiare in maniera originale i processi di invasione in atto nelle isole del Mediterraneo, proponendo strumenti di gestione per gli habitat più vulnerabili e richiamando maggior attenzione al problema da parte delle amministrazioni pubbliche. Le isole del Mediterraneo sono fondamentali centri di biodiversità dell Unione Europea, pertanto la minaccia rappresentata dalle specie esotiche invasive è di rilevanza internazionale. Le differenze che esistono tra le diverse isole consentono di studiare aspetti molti diversi del processo invasivo, evidenziando tendenze comuni o divergenze specifiche. Un altro progetto europeo è stato il Progetto GIAN ALIEN, iniziato nel L Unione Europea, inoltre, con lo strumento finanziario LIFE, ha già finanziato diversi interventi di rimozione di specie vegetali esotiche. Per quanto riguarda l Italia, l interesse verso la flora esotica ha consentito di accumulare, nel corso degli ultimi secoli, una ricca base informativa sulle specie introdotte (Scoppola & Blasi 2005). La prima monografia dedicata alla flora esotica d Italia è di Béguinot & Mazza (1916) cui ha fatto seguito il lavoro di Viegi et al e diversi studi sulla flora esotica delle singole regioni: Toscana (1981); Abruzzo e Molise (1989), Sardegna (1993), Piemonte (1999), Marche (2004a) e Umbria (Viegi et al. 2004b). Le stime complessive più recenti, ottenute dalla banca dati della nuova checklist della flora vascolare italiana (Conti et al. 2005), indicano la 38

53 Parte 1 presenza di 782 specie esotiche naturalizzate, pari all 11,2% della flora totale italiana (Scoppola & Blasi 2005) d Italia. Si tratta di valori molto inferiori rispetto a quelli di altri paesi ad esempio dell Europa Centrale (Celesti Grapow & Blasi 1998): in Repubblica Ceca le specie vegetali esotiche costituiscono il 33% (Pyšek 2002), in Germania il 22% (Kowarik 2002). Un altro aspetto, inoltre, da considerare è che nel nostro territorio le specie che realmente riescono a penetrare nelle cenosi naturali e a minacciare i popolamenti autoctoni sono relativamente poche, soprattutto se confrontate con la situazione che si riscontra nel Nuovo Mondo, in particolare in Australia, Nuova Zelanda e nelle isole Oceaniche (Hawaii). Ciò nonostante esistono specie problematiche per le cenosi naturali, taxa in forte espansione e casi di particolare gravità, e pertanto anche in Italia le invasioni costituiscono una minaccia alla conservazione della biodiversità (Celesti Grapow 2005). 4.4 LE SPECIE ESOTICHE NEL MEDITERRANEO Un discorso particolare merita la problematica delle specie esotiche nel Bacino del Mediterraneo. Secondo il lavoro di Sala et al. (2000), di cui abbiamo parlato in precedenza, sono tre le principali cause della biodiversità per l area mediterranea nei prossimi anni (Fig. 1.4) nell ordine: l uso del territorio, l introduzione di specie esotiche, i cambiamenti climatici. L impatto causato dalle invasioni, quindi, rappresenta un elemento determinante in questo bioma, come anche in quello delle foreste temperate e dei sistemi delle acque interne. Le invasioni biologiche, sono, invece, un elemento secondario negli ecosistemi artici e alpini e nei tropici. A tal riguardo però, rispetto alle invasioni di piante esotiche in altre regioni mediterranee (California, Cile centrale, Regione del Capo in Sud Africa, Australia suoccidentale), il Bacino del Mediterraneo presenta un certo paradosso. A causa della sua disposizione geografica, e della lunga tradizione dei commerci marittimi e terrestri con altre parti del mondo, esso è stato frequentemente esposto a molte introduzioni e invasioni di specie esotiche (di Castri 1989; Quezel et al. 1990). Inoltre, il Bacino del Mediterraneo è sempre stato interessato da un elevato grado di pressione antropica e disturbo: incendio, pascolo, urbanizzazione, trasformazione delle pratiche agricole. Nonostante tutto, però, questa regione, come è stato osservato in precedenza per l Italia, è generalmente considerata poco invasa dalle specie esotiche rispetto alle altre regioni mediterranee (Di Castri 1990; Naveh & Vernet 1991) con solo 250 specie naturalizzate, cioè l 1% della flora totale (Quezel et al. 1990). Circa 900 specie vegetali, invece, si sono naturalizzate in Australia negli ultimi anni, in California e circa 320 nel Sud Africa (Primack & Carotenuto 2003). Si è osservato, inoltre che la flora del Bacino del Mediterraneo, spesso offre un importante sorgente di specie aliene per le altre regioni mediterranee, in particolare della California (Quezel et al. 1990; Groves & di Castri 1991). Molte specie esotiche comunemente naturalizzate nel Mediterraneo sono divenute delle pericolose invasive in altre regioni del mondo con clima mediterraneo. Sebbene la percentuale delle esotiche per il Bacino del Mediterraneo su 39

54 Quadro introduttivo e Obiettivi generali riportata sia probabilmente sottostimata, si ritiene che la vegetazione Mediterranea è probabilmente meno alterata dall invasione di specie esotiche a causa della sua progressiva acquisizione di resistenza alle costanti perturbazioni umane e naturali. Nel Bacino Mediterraneo l elevata biodiversità, la costante introduzione di nuove specie e il lungo adattamento della flora all impatto dell uomo hanno reso numerose comunità vegetali relativamente resistenti alle invasioni (di Castri 1990; Naveh & Vernet 1991) e le specie introdotte rimangono, per la maggior parte, confinate agli habitat antropizzati (come le aree turistiche, aree costiere), degradati e frammentati e alle coltivazioni. Tuttavia, alcune piante esotiche impongono una seria minaccia agli ecosistemi costieri del Bacino del Mediterraneo a causa dell elevata proporzione di specie endemiche e rare. Secondo Primack & Carotenuto (2003) il monitoraggio della flora esotica, soprattutto negli ambienti insulari del Mediterraneo molto ricchi di specie endemiche, è oggi una delle azioni prioritarie per la tutela della biodiversità e del paesaggio naturale. 4.5 LE SPECIE ESOTICHE NEGLI AMBIENTI DUNALI COSTIERI Gli ambienti costieri sabbiosi e quelli fluviali risultano tra i più vulnerabili alle invasioni biologiche. In seguito al suo continuo estendere le proprie attività lungo i litorali, infatti, l uomo ha prodotto crescenti alterazioni a carico dei delicati equilibri ambientali, tra cui quella relativa all introduzione, accidentale o volontaria, di specie esotiche. Abbiamo già avuto modo di osservare che l ambiente delle dune litoranee è per sua natura instabile, essendo gli equilibri delicati e strettamente legati alle dinamiche erosive e costruttive del vento e del mare, oltre che ai molteplici fattori di disturbo naturali e antropici. Inoltre, la copertura delle comunità dunali tende a offrire spazi liberi da vegetazione che possono essere invasi con relativa facilità dalle specie aliene. L azione dell uomo può accelerare e rendere drammaticamente esteso il fenomeno dell invasione: il calpestio delle dune, l impianto di specie esotiche per ornamento o per consolidare artificiosamente le sabbie, il rilascio di rifiuti e i movimenti del terreno conseguenti a certe attività costituiscono solo alcuni esempi di come l antropizzazione riesca a rendere le dune del nostro litorale una vera terra di conquista per gli invasori vegetali. Questo ha contribuito e contribuisce in modo sensibile alla propagazione di specie che vanno a perturbare gli equilibri e la naturale composizione delle fitocenosi dunali. Poiché il fenomeno può progredire fino a condurre alla scomparsa di specie caratterizzate da estesi e robusti apparati radicali, non è soltanto causa di consistenti perdite per la biodiversità ma, riducendo l azione consolidante dei substrati sabbiosi, può giungere a danneggiare l integrità stessa dei sistemi dunali costieri. Con il trascorrere del tempo e, in particolare, se si tratta di entità invasive esse possono occupare spazi progressivamente più estesi, interferendo, anche in modo grave, con le già delicate dinamiche di mantenimento delle dune e della loro vegetazione. Le invasioni biologiche hanno conseguenze che si esplicano in modo complesso, spesso ripercotendosi a vari livelli. 40

55 Parte 1 Ciò rende particolarmente difficile approntare le opportune contromisure per contrastarle. Le specie esotiche, come detto in precedenza, possono alterare le strette relazioni tra le componenti biotiche e quelle abiotiche dell ecosistema, modificando sia il numero sia la composizione delle specie, perturbando le relazioni nelle reti trofiche e la ripartizione delle risorse. Nel modificare le relazioni tra le specie viventi, esse tendono dunque a sottrarre spazio alle entità native, spostando l equilibrio verso una banalizzazione e semplificazione degli habitat colonizzati. È opportuno insistere sul fatto che, in molti casi, la modifica dei complessi equilibri preesistenti conduce all estinzione di specie autoctone di grande interesse perché rilevanti sul piano conservativo in quanto rare, oppure perché edificatrici di habitat importanti come quelli dunali. Un primo, importante passo nella gestione delle invasioni biologiche consiste nell acquisire un adeguata conoscenza della presenza di specie esotiche nei territori maggiormente soggetti al fenomeno, come quelli dunali, valutandone in modo accurato sia lo stato attuale, sia la dinamica temporale. 5. OBIETTIVI GENERALI DELLA RICERCA Molti studi sugli ambienti costieri si sono focalizzati sugli aspetti vegetazionali (es. studi fitosociologici), e sulle relazioni delle comunità vegetali con gli aspetti ambientali (es. insabbiamento, salinità, stress idrico..). Pochi studi hanno attuato un censimento floristico a livello regionale di interi tratti costieri analizzando in particolare l impatto delle specie esotiche su tali ambienti, ma soprattutto poche ricerche sono state condotte sulla diversità funzionale degli ecosistemi costieri, e quindi sulla comparazione native-esotiche a livello di plant traits o PFTs. Inoltre pochi studi hanno comparato sistemi dunali di diverse aree geografiche con lo scopo esaminare le strategie delle specie vegetali che colonizzano ambienti così tanto severi. Questa ricerca, quindi, si pone come obiettivo principale quello di esaminare la diversità biologica degli ambienti dunali costieri sulla base di due approcci: species-based approach e functional-types approach. Nel primo caso si considera la diversità tassonomica, a livello di specie e comunità vegetali, nel secondo caso a livello funzionali analizzando i plant traits e i Plant Functional Types della specie dunali. La tesi è stata organizzata in cinque parti fondamentali, ognuna delle quali sviluppa un particolare aspetto della problematica e ognuna risponde a obiettivi specifici. La Fig riporta lo schema della presente tesi. In questa Parte 1 si è voluto presentare un quadro introduttivo degli aspetti relativi alle componendi della diversità biologica, e alle perdita della biodiversità negli ambienti dunali costieri, con particolare riguardo alla problematica relativa all invasività delle specie esotiche. Nella Parte 2 analizzeremo la diversità la diversità floristica degli ecosistemi costieri sabbiosi del Mediterraneo, ed in particolare delle coste dell Italia centrale. Lo studio, infatti, 41

56 Quadro introduttivo e Obiettivi generali sarà condotto sui due versanti costieri della penisola: il Tirreno (costa del Lazio) e l Adriatico (costa dell Abruzzo e del Molise). L obiettivo specifico di questa parte sarà quello di analizzare la diversità a livello di ricchezza delle specie, sia native che esotiche, lungo le coste sabbiose delle regioni esaminate; inoltre si prenderà in considerazione anche l aspetto biologico e corologico (o fitogeografico) della flora due versanti costieri, e si esaminerà la distribuzione delle specie sulle coste con particolare attenzione a quelle rare e vulnerabili e alle esotiche. Nella Parte 3 sarà considerato l aspetto funzionale della biodiversità dell ecosistema dunale. Infatti, l obiettivo specifico sarà quello di analizzare i plant traits delle specie vegetali ed individuare quali sono i Plant Functional Types, cioè i gruppi funzionali che esprimono le principali strategie adottate dalle specie dunali degli ecosistemi Mediterranei. In questa parte, inoltre, saranno considerate, insieme agli aspetti funzionali delle native, anche quelli delle specie esotiche con lo scopo di definire quali sono le loro strategie e se coincidono con quelle rilevate per le specie native. In pratica, si vuole esaminare quali caratteri sono maggiormente legati all invasività per possibili studi predittivi e di conservazione. La Parte 4, scritta in lingua inglese, è quella più complessa in quanto sarà esaminata sia la diversità floristico-coenologica, sia funzionale degli ecosistemi dunali atlantici (dune della Francia Sud-Occidentale) e confrontata con quella degli ecosistemi dunali mediterranei (Costa tirrenica dell Italia). L obiettivo specifico di questa parte sarà quello di comparare le comunità vegetali della zonazione costiera dei due sistemi dunali considerati e poi di confrontare gli aspetti funzionali, in termini sia di plant traits e di PFTs. Si vuole, cioè comprendere dove sono le somiglianze e dove le differenze tra i caratteri morfologici delle specie dunali e di capire se i PFTs coincidono tra i due sistemi o se ci siano dei tipi funzionali esclusivi del sistema atlantico e/o mediterraneo. Sarà esaminata, anche, la variazione dei plant traits lungo il gradiente mare-terra dei due sistemi. Infine nella Parte 5 sarà riportata una sintesi delle conclusioni generali dei principali risultati ottenuti. La presente ricerca si propone di gettare le basi sulla necessità un analisi integrata degli aspetti relativi alla diversità biologica, in cui accanto alla diversità tassonomica, sia sempre più considerata anche quella funzionale. Le indicazioni e le riflessioni sviluppate potrebbero anch esse utili spunti per scopi applicativi di gestione e conservazione, in particolare in relazione all invasività delle specie esotiche e alla vulnerabilità delle specie a rischio. 42

57 Parte 1 AMBIENTI DUNALI COSTIERI BIODIVERSITA Quadro introduttivo PARTE 1 DIVERSITA FLORISTICO- VEGETAZIONALE DIVERSITA FUNZIONALE SISTEMI DUNALI MEDITERRANEI (ITALIA CENTRALE) PARTI 2-3 SISTEMI DUNALI ATLANTICI (SW FRANCIA) PARTE 4 CONSIDERAZIONI CONCLUSIVE PARTE 5 Fig Schema delle parti di cui è costituita la presente tesi. 43

58 PARTE 2 ANALISI DELLA DIVERSITA FLORISTICA DELLE COSTE SABBIOSE DELL ITALIA CENTRALE In Italy sandy coasts are a stressed and threatened ecosystem, and the few relicts, all of particular significance and beauty, need careful protection and conservation (Pignatti 1993)

59 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale 1. AMBIENTI DUNALI DELLE COSTE ITALIANE 1.1 AMBIENTI DUNALI DELL ITALIA: STATO E MINACCE Il Bacino del Mediterraneo rappresenta una dei maggiori centri di biodiversità del mondo, uno di quelli che vengono definiti punti caldi o hot spots (Ferrari 2001). Esso contiene da solo circa il 10% di tutte le piante superiori attualmente note, mentre gli ecosistemi del Mediterraneo coprono soltanto l 1,5% circa della superficie complessiva degli ecosistemi terrestri (Ramade 1997). Tuttavia, gli ecosistemi e le risorse costiere dell area mediterranea sono minacciati dalla concentrazione demografica e dalla concentrazione delle attività umane lungo questi ambienti. Si è osservato che, anche se il fenomeno del degrado e della perdita del paesaggio dunale ha interessato tutti i Paesi costieri dell Unione Europea, esso è stato particolarmente intenso nel Bacino del Mediterraneo (Van der Meulen & Udo de Haes 1996; Curr et al. 2000). Qui, infatti, la pressione antropica ha sacrificato, in quasi un secolo, circa settantamila ettari di dune, con una perdita del 70% degli oltre centomila ettari di dune esistenti all inizio del secolo. Lungo tutto il litorale mediterraneo si ha una perdita di 2000 km 2 l anno di aree naturali (Saurì & Breton 1998). La popolazione residente negli stati costieri del Mediterraneo era di 246 milioni di abitanti nel 1960, 380 milioni nel 1990 e 450 milioni nel E stato valutato che la popolazione sarà tra i 520 e i 570 milioni nel 2025 e che raggiungerà circa i 600 milioni nel Questo implica che anche l urbanizzazione continuerà a crescere costantemente, con maggiori conseguenze sulla linea costiera. Al giorno d oggi 150 milioni di persone vivono lungo la costa. Secondo le previsioni del Plan Blue entro il 2025, 217 milioni di persone vivranno sulle coste, 170 dei quali in città (Attané- Courbage 2001). Si sono voluti riportare qui questi dati per comprendere quanto sia importante la pressione antropica su questa strettissima e delicatissima fascia di territorio e quindi quanto sia fragile lo stato dei litorali dell area mediterranea, e, per questo, anche dell Italia. Gli ambienti marini e costieri rivestono notevole importanza in una nazione prevalentemente insulare come la nostra Penisola, che vanta ben oltre km di coste, dei quali costituiti da coste basse, sabbiose-ghiaiose. Le coste italiane presentano un notevole valore paesaggistico-ambientale e sono caratterizzate da un elevata biodiversità determinata dalla posizione geografia della penisola posta al centro del Mare Mediterraneo a dividere i bacini occidentale ed orientale e, nel contempo, a collegare Nord e Sud dello stesso bacino quale ponte, seppure incompleto, tra l Africa e l Europa. A questa peculiare posizione geografica si legano le diverse condizioni bioclimatiche e una non minore variabilità geologica, geomorfologia e sedimentologica. Nel complesso si determina una diversità ambientale eccezionale, spesso relegata a siti estremamente limitati, nei quali si realizzano microhabitat di straordinaria rilevanza per la presenza di piante ed animali. La variazione climatica da nord a sud, le differenze strutturali tra il settore tirrenico e quello adriatico, la 45

60 Parte 2 tipologia dei substrati e il corrispondente profilo pedogenetico, oltre agli altri parametri ambientali più spiccatamente locali, (es. ventosità) hanno contribuito alla diversificazione della vegetazione costiera. Ma, come in tutti i paesi industrializzati, l interfaccia terra-mare costituisce, come abbiamo detto, anche una delle zone più soggette a degrado ambientale, sia per gli interessi conflittuali che vi si accentrano, sia per la fragilità che è tipica di ogni ambiente di transizione. Se da un lato, quindi, la fascia costiera italiana è caratterizzata da paesaggi di eccezionale valore naturalistico, dall altro essa ospita una consistente parte delle risorse economiche nazionali, con importanti centri urbani ed industriali, infrastrutture viarie ed attività turistiche. In Italia, il sistema delle dune costiere ha mantenuto un buono stato di conservazione dal punto di vista morfologico, idrogeologico e naturalistico fino alle soglie del XX secolo (Garbari 1984), quando l impatto antropico sulle coste è divenuto più consistente, soprattutto a causa della generale industrializzazione del territorio planiziare e del turismo balneare, che ha comportato l aumento dell edificato, del calpestio e delle infrastrutture. Ciononostante, le principali attività di colonizzazione umana erano ancora rimaste per lo più concentrate presso le foci dei grandi fiumi o entro baie protette. A partire dal secondo dopoguerra, invece, gran parte degli ambienti costieri, anche quelli fino allora sfuggiti alla distruzione diretta, sono stati soggetti a varie forme di disturbo antropico. Attualmente, le maggiori cause del degrado dei nostri ecosistemi costieri possono essere ricondotte al grande sviluppo urbano e al turismo balneare di massa. A questi disturbi va aggiunto l incremento generalizzato dell erosione della linea di costa, che ha comportato la scomparsa di numerosi ettari di spiaggia (AA.VV. 1999; D Alessandro & La Monica 1999; Fierro 2004; Iannantuono et al. 2004). Secondo il Rapporto Europeo sull Ambiente del 1995, tra tutti i Paesi europei spetta proprio all Italia il primato di aver sacrificato più dune: dai quarantacinquemila ettari dell inizio del 1900 si è passati ai novemila attuali, con una perdita, quindi, dell 80% di paesaggio dunale. Inoltre, dal recente volume sullo stato dei litorali italiani (AA.VV. 2006) ne emerge una situazione preoccupante, con il 42,5% delle spiagge italiane in erosione; non solo, ma molti tratti del litorale considerati stabili lo sono solo grazie alla presenza di opere di difesa, che hanno determinato un degrado paesaggistico ed una riduzione del valore economico della spiaggia. Solo una piccola percentuale (meno del 5%) è caratterizzato da una tendenza all avanzamento, tendenza che invece ha largamente controllato l evoluzione delle stesse spiagge nei secoli scorsi. La presenza di un forte disturbo antropico si è ripercossa in maniera determinante sulla componente vegetale che colonizza le dune costiere italiane. Infatti, dall aggiornamento della Lista Rossa delle piante d Italia, riportato nelle Liste Rosse Regionali (Conti et. al. 1997), sappiamo che negli ambienti costieri e lagunari è presente il 20% delle specie minacciate d Italia. In realtà non sono solo le singole specie ad essere minacciate, ma le intere comunità dunali. Il forte disturbo antropico e l erosione costiera, infatti, spesso hanno determinato, come suddetto, la modificazione morfologica delle dune (D Alessandro & La Monica 1999; 46

61 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Fierro 2004; Iannantuono et al. 2004) con la conseguente perdita di identità floristicovegetazionale, o addirittura la totale scomparsa di alcune o di tutte le comunità della sequenza catenale. La perdita di diversità floristica e fitocenotica di questi ambienti è il più delle volte drastica e riguarda sia le comunità pioniere delle prime fasce della zonazione catenale, sia quelle retrostanti (Géhu & Biondi 1994; Acosta et al. 2003b). Attualmente l espressione più caratteristica della vegetazione dunale, la zonazione costiera psammofila o sequenza catenale, nella sua espressione più caratteristica, è osservabile soltanto in pochi siti del litorale dell Italia peninsulare (Pirone 1997; Lucchese & Pignatti 1990). Non solo, ma, come detto nella prima parte, gli effetti dell antropizzazione diretta delle spiagge e delle dune costiere hanno portato anche alla diffusione di elementi esotici, cioè di specie che sono originarie di altre aree geografiche (Stanisci et al. 2004; Acosta et al. 2007a; Acosta et al. 2007b). Appare dunque chiara l importanza di studi che si occupano dell incidenza delle specie esotiche negli ecosistemi dunali costieri e dei dettagli dei processi di invasione in questi ambienti. Inoltre, proprio perché sono limitate le aree costiere dell Italia in cui la vegetazione dunale è ben conservata, è sulla loro gestione e conservazione che dovrà essere rivolta in futuro l attenzione non solo di scienziati ma anche di politici e governatori. 1.2 STATO DELLE CONOSCENZE FLORISTICO-VEGETAZIONALI DEGLI AMBIENTI DUNALI IN ITALIA Le coste dell Italia, proprio per il loro grande interesse geomorfologico, biologico, e paesistico nell ambito della regione mediterranea, sono state oggetto di diversi studi di tipo ecologico, tra i quali quelli floristico-vegetazionali. Lo stato di tali conoscenze lungo le coste italiane è ancora molto frammentario, e quindi studi che approfondiscano quest aspetto risultano estremamente utili per la valutazione della biodiversità attuale di questi complessi e fragili sistemi. La frammentarietà delle conoscenze floristiche degli ambienti dunali italiani, emerge chiaramente dalla recente Carta dello stato delle conoscenze floristiche d Italia (Scoppola & Blasi 2005). Infatti, ci sono aree costiere di regioni come la Sicilia, le Marche, della Toscana che sono ben conosciute nella loro quasi totalità, altre con una conoscenza media come l Abruzzo, la Molise, il Veneto e gran parte del Lazio e infine, alcune per le quali la conoscenza floristica è generica o appena informativa come le coste calabresi, liguri e gran parte delle coste pugliesi. In Italia, gli studi sulla vegetazione dunale costiera hanno riguardato principalmente la fitosociologia e l analisi del paesaggio. Lo studio delle fitocenosi, infatti, offre un contributo fondamentale sia per attuare una corretta politica di gestione e conservazione degli ambienti costieri che per la salvaguardia della biodiversità che caratterizza gli ecosistemi dunali. Tra gli studi fitosociologici concernenti la vegetazione dunale costiera dell Italia ricordiamo il lavoro di Géhu et al. (1984), quello di Biondi (1999) e Brullo et al. (2001). Altri lavori si sono focalizzati soprattutto su regioni e aree costiere più limitate e numerosi di questi hanno 47

62 Parte 2 riguardato le isole, in particolare la Sardegna (Brambilla et al. 1982; Valsecchi & Bagella, 1991; Bartolo et al. 1992; Filigheddu & Valsecchi 1992; Arrigoni 1996). Per l Italia centrale, su cui è stata focalizzata la nostra ricerca, diversi sono stati gli studi sia sulla costa tirrenica, in particolare sulla costa toscana (Pedrotti et al. 1982; Arrigoni et al. 1985; Arrigoni 1990; De Dominicis et al. 1988; Vagge & Biondi 1999; Andreucci 2004) e laziale (Bonaventura 1957; Marinucci et al. 1980; Lucchese & Pignatti 1990; Acosta et al. 1998; Bianco et al. 2001; Acosta et al. 2000a; Stanisci et al. 2004), sia su quella adriatica, in particolare quella marchigiana (Biondi et al. 1992) e abruzzese-molisana (Pirone 1983, 1985,1988,1995,1997,2005; Pirone et al. 2001; Conti & Stanisci 1989,1990; Taffetani & Biondi 1989; Stanisci & Conti 1990; Conti & Pirone 1996). Ma lo studio sui litorali italiani ha riguardato anche ricerche sull analisi del pattern spaziale e della connettività delle comunità vegetali e sul paesaggio costiero (Acosta et al. 2000b, Acosta et al. 2003a; Acosta et al. 2003b; Acosta et al. 2005; Izzi et al. 2006), sugli aspetti della qualità ambientale, del disturbo sulla vegetazione costiera (Iannantuono et al. 2004; Tammaro & Pirone 1979; Filesi & Ercole 2000; Géhu & Biondi 1994; Blasi et al. 1999; Buffa et al. 2005; Carboni 2006) e sugli aspetti fisiologici delle specie dunali (Gratani et al. 1986; Gratani 1987; Viegi et al. 2001; Gratani et al. 2007). Un recente numero speciale di Fitosociologia (Vol ) dal titolo Conservazione e recupero degli habitat costieri: analisi e metodologie a confronto, è stato dedicato esclusivamente all ambiente dunale, con ricerche riguardanti vari aspetti e problematiche. Da un approfondita analisi degli studi concernenti gli ambienti dunali costieri, è emersa, comunque, la mancanza di studi floristici di più ampia scala mediante un censimento puntuale delle coste sabbiose e piani di monitoraggio della flora presente; inoltre, sono anche molto limitate le ricerche sull impatto e la distribuzione di specie esotiche negli ambienti costieri, nonostante questi ambienti vengano riportati fra quelli più severamente minacciati dalle invasioni biologiche. In Italia i lavori sulle esotiche a livello floristico comprendono in particolare elenchi regionali di specie esotiche redatti a partire dagli anni Settanta grazie soprattutto al contributo di Viegi e collaboratori (Viegi et al. 1974; Viegi et al. 1990; Viegi et al. 2005). La situazione non è diversa a livello europeo, dove la maggior parte dei lavori sulle specie esotiche, ha riguardato soprattutto gli ambienti riparali oppure le aree urbane (Pyšek 1998; Pyšek et al. 2004b), oppure si è limitata alla caratterizzazione ecologica di un numero ristretto di specie come ad esempio Carpobrotus (Suehs et al. 2001; 2004), Oenothera (Mihulka et al. 2001; 2003). Il monitoraggio della flora esotica, soprattutto negli ambienti insulari del Mediterraneo molto ricchi di specie endemiche, è oggi una delle azioni prioritarie per la tutela della biodiversità e del paesaggio naturale. 2. OBIETTIVI Da quanto sopra riportato, emerge con sufficiente evidenza che il problema della tutela degli aspetti floristici e vegetazionali delle coste italiane sia molto attuale e di rilevante 48

63 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale portata scientifica, ambientale e culturale. Se da un lato le coste sabbiose italiane mostrano rilevanti aspetti ecologico-fitogeografici, dall altro presentano anche preoccupanti segni di degrado. La necessità di attuare un monitoraggio delle aree costiere a livello di specie vegetali presenti, accompagnata da una mancanza di ricerche sull incidenza delle specie esotiche sugli ecosistemi costieri, ha portato ad approfondire, nella presente ricerca, tali aspetti. Inoltre si deve considerare che, essendo le specie vegetali della duna fortemente legate al loro peculiare habitat ed altamente specializzate, esse sono importanti per la caratterizzazione dell ambiente, cioè ogni specie è un bioindicatore particolarmente significativo (Biondi & Andreucci 1998). Data la stretta relazione tra azioni erosive del mare, del vento, azioni di disturbo antropico e fitocenosi presenti, la vegetazione dunale assume la funzione di indicatore dello stato ecologico. Quindi, basandosi sul valore di bioindicazione di specie e anche di comunità vegetali che si rinvengono sulla spiaggia, è possibile interpretare la qualità dell ambiente (Tammaro & Pirone 1979; Géhu & Biondi 1994; Acosta et al. 2003a). L alterazione della duna è evidenziata dalla scomparsa di specie caratteristiche dei diversi stadi della zonazione dunale, unita alla variazione quali-quantitativa della comparsa di nuove specie legate ai diversi tipi di alterazione prodotti dall uomo per ogni biotopo dunale. L osservazione di queste trasformazioni è alla base per altrettanti significativi biotest sull antropizzazione delle dune, che possono essere utilizzati per diagnosi speditive dei fenomeni di alterazione (Géhu & Biondi 1994). In questo senso risulta chiara l importanza di studi che si occupano da una parte della distribuzione delle specie rare e minacciate e dall altra dell incidenza delle specie esotiche negli ecosistemi dunali costieri e dei loro processi di invasione. L obiettivo specifico di questa parte della ricerca è quello di analizzare la diversità floristica, in termini di ricchezza e tipologia di specie, dei sistemi dunali olocenici della costa dell Italia centrale considerando il versante tirrenico (costa laziale) e quello adriatico (costa abruzzese-molisana). In particolare si vuole: Analizzare in termini biologici e fitogeografici la flora nativa ed esotica delle dune sabbiose mediterranee delle coste tirreniche ed adriatiche; Analizzare la distribuzione della componente a rischio d estinzione, cioè delle specie rare e vulnerabili e di quelle maggiormente minacciate dall antropizzazione con lo scopo, di fornire un contributo per un eventuale aggiornamento della checklist della flora a rischio a livello locale e nazionale; Analizzare la distribuzione delle specie esotiche, classificarle in base alla loro invasività e relazionare la loro ricchezza con quella della componente nativa; Confrontare la flora dunale delle coste dei due versanti, adriatico e tirreno per sottolinearne differenze e somiglianze. 49

64 Parte 2 3. AREA DI STUDIO Il censimento floristico ha riguardato l ambiente costiero sabbioso di tre regioni dell Italia centrale: il Lazio per il versante tirrenico, l Abruzzo e il Molise per quello adriatico (Fig. 2.1). Da un punto di vista fitoclimatico, la maggior parte dell area analizzata ricade nella regione Mediterranea e solo il nord della costa abruzzese, come vedremo, in quella Temperata (Biondi & Baldoni 1994; Blasi 2003). Fig Area di studio: ambienti costieri sabbiosi dell Italia centrale (Lazio, per il versante tirrenico e Abruzzo e Molise per quello adriatico). 3.1 IL VERSANTE TIRRENICO: LA COSTA LAZIALE Il litorale laziale si sviluppa per circa 290 Km dalla foce del Fosso Chiarore a quella del Fiume Garigliano con notevole continuità di spiagge sabbiose (pari a 216 km), di variabile ampiezza. Le coste rocciose sono subordinate com estensione, sviluppandosi per un totale di 74 km circa; esse sono localizzate soprattutto nel Lazio centro - meridionale, in prossimità di Gaeta Sperlonga e del Promontorio del Circeo, mentre, nel Lazio settentrionale, risultano concentrate lungo il tratto che va da Civitavecchia a S. Marinella. La situazione della fascia costiera quale oggi appare si è sviluppata negli ultimi anni, alla fine della glaciazione Würmiana, durante la quale il livello del mare era più basso di quello attuale di circa 120 metri e la linea di costa probabilmente doveva trovarsi a non meno di dieci chilometri dall'attuale. Durante le fasi di regressione, vastissime regioni del Lazio e della Toscana emersero dalle acque lasciando allo scoperto gran parte di quello che oggi costituisce il territorio più o meno pianeggiante del Lazio costiero. Videro così la luce vasti e profondi strati di sabbie e argille depositatesi in mare in lunghi tempi geologici. 50

65 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale L elemento morfologico, caratterizzante l intero litorale, è il delta del Fiume Tevere e tale struttura consente di suddividere la costa laziale in tre unità con diverse caratteristiche (AA.VV. 2006). L unità settentrionale si estende verso sud fino a Palo (limite settentrionale del delta tiberino) ed è caratterizzata da un lungo e continuo arco sabbioso interessato dalle foci degli unici corsi d acqua laziali (Fiora, Marta e Mignone) di una certa rilevanza, a parte il Tevere. L area tra Ladispoli e S. Marinella, comprende aree costiere di particolare interesse perché sfuggite all urbanizzazione selvaggia grazie al fatto di essere comprese in zone militari o limitrofe ad esse come l Aeroporto di Furbara e l annesso poligono di tiro. Questi lembi litoranei che costituiscono una striscia continua di litorale sono: Torre Flavia, Furbara e Macchiatonda. L interesse di questo lembo che non supera i 10 km è dato dal fatto che su di essa si susseguono habitat diversi: aree salmastre, lembi residui di boscaglie costiere, dune. La minaccia più grave che incombe su quest area è legata al fenomeno dell erosione marina, documentata peraltro anche dai resti della Torre Falvia che sono oggi sono separati dalla terra. L unità centrale è costituita dal delta del Tevere e dalla sua prosecuzione verso sud fino al Capo d Anzio; la sua morfologia costiera è caratterizzata da una successione di cordoni sabbiosi che marcano gli stadi di costruzione del delta tiberino in epoca storica (La Monica & Raffi 1996). Alle sue spalle sono presenti aree palustri bonificate e un ampia piana costiera, che si estende da Castelporziano al Monte Circeo. Infine, più a sud, da Capo d Anzio al confine con la Campania, troviamo l unità meridionale che si distingue dalle precedenti per la quasi totale mancanza di apporti solidi fluviali, essendo modesto anche il contributo del Fiume Garigliano, che segna il limite sudorientale del litorale laziale. In quest ultima unità le spiagge coronano l interno di insenature più o meno vaste comprese fra aggetti rocciosi (AA.VV. 2006). Le spiagge sabbiose attuali e le dune a loro associate in generale sono costituite da sedimenti clastici incoerenti d origine sia alluvionale che marina, aventi granulometria fine ma non finissima (le sabbie sono convenzionalmente costituite da frammenti di diametro medio tra i 2 mm e i 0,06 mm) e nell area campano-laziale presentano generalmente una significativa percentuale di feldspati (anche il 25%), con quarzo (25%) e carbonati attorno al 40% (Audisio & Muscio 2002). I materiali sabbiosi che caratterizzano il litorale laziale provengono dagli apporti dei principali corsi d acqua che sfociano in questa regione; la loro costituzione mineralogica è ovviamente legata alle tipologie litologiche affioranti nel bacino di ciascun fiume. I materiali deposti sul litorale a Nord della foce del Tevere sono legati mineralogicamente agli affioramenti vulcanici dei monti Vulsini, Sabatini, Vicani e del complesso Cerite-tolfetano. La litologia delle spiagge di questo settore è quindi generalmente caratterizzata da depositi fluvio-lacustri e sabbie, se si fa eccezione per la zona di Civitavecchia dove si osservano depositi clastici eterogenei e calcareniti. A sud del Tevere si rilevano spiagge caratterizzate da percentuali più elevate di calcite e di frammenti litici calcarei, soprattutto in corrispondenza del M.Circeo e della costa rocciosa tra Sperlonga e Gaeta. 51

66 Parte 2 Il clima della fascia costiera laziale risulta abbastanza articolato, in particolar modo in dipendenza della distanza dalla costa, e soprattutto in base ai caratteri morfologici; sono presenti, comunque, caratteri fitoclimatici riferibili alla Regione Mediterranea, caratterizzati da 3-4 mesi di aridità, precipitazioni estive nettamente inferiori comprese fra 47mm (Ponza) e 88mm (Latina). Il clima varia da Mesomediterraneo secco-subumido (precipitazioni scarse mm) a termomediterraneo sub-umido (precipitazione elevata e molto variabile, compresa tra 727 e 1133 mm). Nel grafico si riporta il diagramma climatico per la stazione di Castelporziano (Lazio centrale) relativo al periodo (Fig. 2.2). Qui la temperatura media delle minime dei mesi più freddi (Gennaio e Febbraio) è di 4 C e la temperatura media delle massime del mese più caldo è di circa 31. La piovosità annuale totale è di 714 mm e il periodo di aridità va da Maggio ad Agosto (piovosità totale pari a 98.2 mm) Fig Diagramma climatico della Stazione Meteorologica di Castelporziano (Roma) per il periodo T m = Temperatura mensile dell aria; R m = piovosità mensile totale (da Gratani & Varone 2006). Tutta la fascia costiera, specialmente nella parte centrale e meridionale è stata sede negli ultimi decenni di un intenso sviluppo edilizio; l addensarsi delle popolazioni lungo la fascia costiera e l uso del litorale per scopi turistici o di resistenza stagionale, hanno reso drammatiche le conseguenze di taluni arretramenti costieri. Considerando in generale la costa laziale da precedenti studi si è rilevato, comunque, che la percentuale di superficie coperta da elementi naturali è nettamente prevalente rispetto a quella antropizzata. Si è notata una maggiore naturalità lungo le coste settentrionali con il 73% di elementi naturali rispetto al 16% di quelli artificiali.le condizioni peggiori, invece, si registrano nel Lazio centrale, probabilmente per le numerose pressioni esercitate da Roma. I tratti costieri con più elevata naturalità, si osservano, quindi, nel Lazio settentrionale, dove i sistemi dunali sono ben rappresentati e formano un ampia fascia di vegetazione, in cui si possono individuare le comunità tipiche della serie psammofila e della macchia retrodunale. 3.2 IL VERSANTE ADRIATICO: LA COSTA ABRUZZESE E MOLISANA Il litorale abruzzese Il litorale abruzzese è compreso tra la foce del Fiume Tronto (confine Nord con le Marche) e quella del Fiume Trigno (confine Sud con il Molise) e ha una lunghezza di 125 Km, dei quali 26 di costa alta e 99 di spiagge; queste ultime, quindi, costituiscono complessivamente 52

67 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale circa l 80% dell intero litorale e sono per oltre il 50% in erosione (AA.VV. 2006). Il litorale, basso e uniforme, ha quasi ovunque spiagge sabbiose piuttosto strette, con una larghezza media variabile dai 50 ai 100 m, interrotte dalle foci dei corsi d'acqua. Il settore settentrionale, compreso fra il Fiume Tronto e Ortona, è caratterizzato da coste basse raccordate al versante pedemontano da una piana variamente estesa; procedendo verso sud, il litorale è formato, fino a Vasto, da coste prevalentemente alte, con un andamento articolato in baie e promontori; presso Vasto Marina e San Salvo il litorale torna a essere basso e sabbioso. Alcuni tratti, come quelli ubicati nei comuni di Martinsicuro, Roseto, Pineto, Casalbordino, Vasto e San Salvo, sono caratterizzati dalla presenza di dune che si estendono linearmente per circa 15 km complessivi. Tali aree sono generalmente interessate da dune stabilizzate dalla vegetazione arbustiva e arborea, site in posizione arretrata rispetto all attuale linea di riva, e da dune incipienti, interessate da sporadica vegetazione erbacea, ubicate in posizione prossimale di attiva e costante partecipazione al bilancio sedimentario della spiaggia. Il settore compreso tra Ortona e Vasto è il tratto di costa che ha conservato la maggiore naturalità e valenza paesaggistica; esso è caratterizzato da numerosi tratti di costa alta, costituiti da falesie attive e inattive, orlate da spiagge ampie anche qualche decina di metri, alimentate dall erosione dei conglomerati e delle arenarie, di formazione pleistocenica, che costituiscono le falesie stesse e che sono site al tetto di litotipi argillosi. Le spiagge basse, invece, dal punto di vista litologico sono costituite in prevalenza da sedimenti sabbiosi fini pliocenici e in alcuni tratti da depositi fluviali ciottolosi (AA.VV. 2006). Il clima della regione abruzzese è soprattutto Mediterraneo anche se la zona settentrionale presenta una tipologia Temperata. La temperatura media annua varia da lungo la costa e con escursioni termiche elevate. Il mese più freddo in tutta la regione è Gennaio, quando la temperatura media del litorale è di circa 8.In estate invece le temperature medie sono di 24. Il regime delle piogge presenta un massimo in novembre-dicembre ed e un minimo estivo, in genere in luglio. Nella Fig. 2.3 è riportato il diagramma termopluviometrico della stazione di Pescara relativo ai dati del periodo Fig Diagramma climatico della Stazione Meteorologica di Pescara relativo al periodo (da Pirone et al. 2001). 53

68 Parte 2 In Abruzzo gli ambienti costieri hanno subito pesanti manomissioni e in molti casi sono stati completamente distrutti. Basti pensare, per esempio che lungo il litorale pescarese è scomparso circa il 35% delle specie note fino al 1950, mentre lungo la costa di Roseto (TE) e di Martinsicuro (TE) è scomparso, rispettivamente circa il 40% ed il 20% delle specie riportate nel Compendio della Flora Termana di Zodda del A livello regionale sono considerate estinte 22 specie (Pirone 1997). Tra le comunità vegetali sono scomparse quasi totalmente la macchia mediterranea ed i boschi litoranei. Infatti, i residui sistemi dunali, relegati in brevi segmenti, sono assai compressi e quasi sempre privi della vegetazione più evoluta della macchia. Essa si presenta, con frammenti impoveriti, solo in pochissime località sulla falesia della provincia di Chieti (Pirone et al. 2001). La lecceta di Torino di Sangro, che non costituisce un esempio di macchia dunale poiché vegeta sulle arenarie della costa rocciosa, è uno dei pochi boschi litoranei residui del litorale adriatico italiano. Poco rappresentata è anche la vegetazione arbustiva termofila, a dominanza di camefite e nanofanerofite, con fisionomia di gariga. Anche le fitocenosi della fascia avandunale costituite dalla duna embrionale e mobile sono molto sporadiche, e risultano fortemente compromesse lungo la costa abruzzese a causa delle drastiche modificazioni antropiche (Pirone et al. 2001) Il litorale molisano Il litorale molisano si estende da nord-ovest verso sud-ovest per circa 36 km dalla foce del Canale Formale del Molino (poco più a Nord del fiume Trigno), che delimita il confine con l Abruzzo, fino alla foce del Torrente Saccione, che delimita il confine con la Puglia. Esso ricade in due unità fisiografiche distinte che sono separate tra loro dal promontorio di Termoli interessato da una falesia ben pronunciata con altezza della scarpata di circa 30 m, che corre parallela al corso del fiume Biferno. Ad ovest della falesia si può distinguere una fascia caratterizzata da ghiaie, sabbie e argille dei fondovalle attuali dell Olocene ed altre aree di diverso ordine del Pleistocene. Si tratta di una zona alluvionale influenzata dalla dinamica fluviale marina (AA.VV. 2006). Tale area, fino al secolo scorso, era paludosa (località Pantano ) (Aucelli et al. 2001). Ad est della falesia, si distingue una grossa fascia caratterizzata da depositi di ghiaia e conglomerati prevalentemente di ambiente marino del Pleistocene, talvolta intercalati da croste calcaree più o meno profonde (AA.VV. 2006). Il litorale molisano, è costituito in prevalenza da costa bassa (22 Km pari al 61%) comprendente piccole pianure alluvionali costiere e cordoni dunali olocenici, e da brevi tratti di costa alta (14 Km) I bacini idrografici dei corsi d acqua che sfociano lungo esso (Trigno, Biferno, Saccione, e minori), risultano impostati in prevalenza su terreni arenaceo-marnosi e politicoargillosi, come d altronde anche i rilievi costieri che si affacciano direttamente sulla costa (Iannantuono et al. 2004). 54

69 Temp. ( C ) Precip. (mm) Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Diverse tracce di aree umide, affioranti in vari punti della fascia costiera, suggeriscono un antica presenza di ambienti palustri e lacustri retrodunali. Questa ipotesi è stata confermata dai dati di una ricerca storica (Taffetani 1990) che ha permesso di recuperare diverse carte, stampate tra il 1613 ed il 1620, nelle quali risultano chiaramente descritti una serie di laghetti costieri, uno posto a sinistra del Biferno e altri quattro distribuiti lungo la fascia litorale compresa tra la foce del Biferno e quella del Saccione. Le superfici lacustri sono state gradualmente cancellate attraverso ripetuti tentativi di bonifica, la più recente delle quali Bonifica di Ramitelli eseguita negli anni Cinquanta. Risulta inoltre testimoniata da numerose mappe catastali della seconda metà dell 800 e da una carta topografica del 1869 la presenza di ampie superfici di vegetazione boschiva oggi pressoché completamente scomparse. In particolare un esteso complesso forestale denominato Bosco di Ramitelli era situato in corrispondenza dell attuale area della Bonifica di Ramitelli. Attualmente l area risulta completamente posta a coltura, come pure le restanti superfici un tempo boscate. Sono scampati alla completa distruzione solamente piccoli lembi di macchia. Dal punto di vista climatico la costa molisana è inquadrabile nell ambito della Regione Mediterranea, termotipo mesomediterraneo, ombrotipo secco/umido-subumido (Paura & Lucchese 1997). Nel grafico riportiamo il diagramma climatico per la stazione di Termoli relativo al periodo (Fig. 2.4). La temperatura presenta un valore medio annuo di 16,03 C, con la minima media nel mese di Gennaio e la massima media nel mese di Luglio, rispettivamente con i valori di 8,12 e 25,33. La serie pluviometrica indica una precipitazione totale media di 632 mm/anno ed è concentrata prevalentemente nel semestre ottobre-marzo ,0 Fig Diagramma climatico della stazione termopluviometrica di Termoli ubicata sulla costa a 11Km a Nord dell abitato di Campomarino, ad un altitudine di 21m s.l.m., di latitudine N e di longitudine (mer.roma) I dati si riferiscono ad un periodo di 20 anni, dal 1970 al (dati da Regione Molise 1996) ,0 40,0 20,0 0 G F M A M G L A S O N D 0,0 Temp. ( C ) Prec. (mm) Il tratto di costa molisana presenta molte problematiche legate al crescente impatto antropico (urbanizzazione, turismo), alla forte erosione, alla frammentazione e riduzione di molti habitat, ai rimboschimenti e all introduzione di specie esotiche. In particolare, diversi interventi di forestazione sono stati realizzati lungo tutta la fascia costiera a partire dal 1907; e sono state utilizzate, oltre alle varie specie di Pinus ssp., anche diverse specie esotiche, in 55

70 Parte 2 particolare Acacia saligna ed Eucalyptus ssp., entrambe di origine australiana. L utilizzo di queste specie ha dato, in generale, risultati deludenti sul piano ambientale: queste specie mantengono, infatti, sempre il loro carattere di elementi estranei nell assetto del paesaggio e non riescono in qualche modo a innestare una successione naturale. Molti eucalipteti sono stati impiantati su terreni non sempre idonei alle esigenze delle specie impiegate, erroneamente considerate frugali con chiare conseguenze sull intero ecosistema litoraneo. Nonostante i molti fattori di disturbo antropico cui si aggiungono fenomeni di erosione marina molto importanti, il litorale molisano comprende unità fisiografiche di grande interesse naturalistico ed ambientale. Lungo la costa molisana, infatti, si possono osservare gli ultimi lembi dei sistemi dunali, di tutta la costa Adriatica occidentale, dove ancora sono presenti la vegetazione psammofila e le formazioni di macchia mediterranea, che risultano per gran parte scomparse o molto ridotte nel settore Adriatico centro-settentrionale dal Gargano fino alla foce del Po (Taffetani & Biondi 1989). Aspetti ben conservati di vegetazione psammofila si possono ancora osservare, nel tratto che parte dalla foce del Vallone due Miglia fino a qualche centinaio di metri a Nord della foce del Torrente Saccione. Qui possiamo notare un interessante serie di dune che in qualche punto si spingono per centinaia di metri dalla linea di costa. 3.3 CLASSIFICAZIONE GERARCHICA DELLE COSTE DELL ITALIA CENTRALE In un recente lavoro di Carranza et al. (2007), sulla base dello schema metodologico proposto da Blasi et al. (2000) ed Acosta et al. (2003b), è stata operata la classificazione gerarchica degli ambienti di dune costiere dell Italia Centrale (regioni Lazio, Abruzzo e Molise). Questo tipo di classificazione fornisce un modello predittivo sulla distribuzione della vegetazione naturale potenziale delle dune recenti, e si basa su una differenziazione ambientale derivata dalla combinazione di fattori climatici, litologici, morfologici e idrogeologici, integrata dall informazione fitosociologica. Secondo lo schema proposto da Blasi et al. (2000), le prime unità riportate nella classificazione sono le Regioni di paesaggio (land regions), determinate dalle caratteristiche macroclimatiche; all interno di queste Regioni si trovano i Sistemi di paesaggio (land systems), definiti in base a differenze litologiche significative, che a loro volta possono essere suddivisi in Sottosistemi di paesaggio (land subsystems), individuati da caratteristiche litomorfologiche e dal bioclima locale (basato sulle precipitazioni e la temperatura). Continuando in questo modo, il territorio può essere ulteriormente suddiviso, identificando le Unità ambientali (land units), definite dalla zonazione fitotopografica principale, ed infine gli Elementi di paesaggio (land elements), costituiti dalle associazioni vegetali. Lo studio di Carranza et al. (2007) ha portato all'identificazione, per le spiagge recenti dell Italia centrale di 24 Elementi di paesaggio articolati in 8 differenti Unità di paesaggio appartenenti a 5 Sottosistemi, 2 Sistemi e 2 regioni di paesaggio (Fig. 2.5; Tab. 2.1). Ogni unità è un complesso di differenti comunità di piante 56

71 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale con la stessa sequenza catenale, ordinate, secondo il gradiente ambientale, da quelle pioniere e annuali della spiaggia a quelle costituite da varie specie legnose che crescono nella zona più riparata. Alle unità individuate corrispondono 8 differenti sequenze catenali di comunità vegetali potenziali che si differenziano principalmente in funzione alle cenosi arbustive e arboree retrodunali e, subordinatamente, in funzione alle comunità delle dune fisse e mobili (Tab. 2.1). In effetti, le formazioni legnose retrodunali presentano una buona corrispondenza con le caratteristiche litologiche e climatiche dei diversi tratti costieri. La vegetazione tipicamente psammofila delle spiagge, dune embrionali e dune mobili, invece, essendo fortemente condizionata dai fattori limitanti quali salinità, tipo di substrato e forte radiazione solare, si presenta con caratteristiche molto simili nelle diverse unità ambientali. Fig Ubicazione delle unità ambientali negli ecosistemi costieri dell Italia centrale. Asterisco: UP (unità di paesaggio): ; cerchio pieno: UP ; cerchio vuoto: UP ; triangolo pieno: UP ; croce: UP ; stella: UP ; rombo: UP ; quadrato pieno UP (vedi Tab. 2.1 per descrizione delle Unità e degli Elementi di paesaggio) (da Carranza et al. 2007). 3.4 ZONAZIONE DELLA VEGETAZIONE COSTIERA Quanto suddetto a proposito della somiglianza delle fitocenosi della zona avandunale rispetto a quella retrodunale nei sistemi dunali costieri dell Italia centrale trova una sua conferma se andiamo ad osservare i profili della sequenza catenale in aree rappresentative dei due versanti. La Fig. 2.7 riporta la zonazione della vegetazione costiera in due aree caratterizzate da un elevata naturalità: la costa settentrionale del Lazio, in località di Montalto di Castro, per il versante tirrenico, e quella del Molise, in località Petacciato, per il versante adriatico. 57

72 MOLISE 1. Mediterranea 1.1. Costa sabbiosa 2. Temperata 1.1. Costa sabbiosa ABRUZZO 1. Mediterranea 1.1. Costa sabbiosa LAZIO 1. Mediterranea 1.1. Costa sabbiosa Parte 2 AREA COSTIERA REGIONE DI PAESAGGIO SISTEMA DI PAESAGGIO SOTTOSISTEMA DI PAESAGGIO Dune recenti con clima meso mediterraneo seccosubumido Dune recenti con clima mesomediterraneo subumido Dune recenti con clima termomediterraneo subumido Dune recenti con clima mesomediterraneo subumido Dune recenti con clima mesotemperato subumido UNITA DI PAESAGGIO Geosigmeto delle dune costiere a contatto in retroduna con depositi alluvionali Geosigmeto delle dune costiere a contatto in retroduna con depositi di duna antica Geosigmeto delle dune costiere a contatto in retroduna con depositi lacustri e laghi costieri Geosigmeto delle dune costiere a contatto in retroduna con depositi di sabbie fini chiare pleistoceniche Geosigmeto delle dune costiere a contatto in retroduna con depositi di sabbie fini chiare pleistoceniche ELEMENTI DI PAESAGGIO Spiagge e duna mobili Dune fisse Retroduna di transizione con depositi alluvionali Spiagge e dune mobili Dune fisse Retroduna di transizione con depositi di duna antica Spiagge e dune mobili Dune fisse Retroduna di transizione con depositi lacustri e laghi costieri Spiagge e dune mobili Dune fisse Retroduna di transizione con sabbie fini chiare pleistoceniche Spiagge e dune mobili Dune fisse Retroduna di transizione con sabbie fini chiare pleistoceniche Dune recenti con clima meso mediterraneo secco Geosigmeto delle dune costiere a contatto in retroduna con depositi conglomeratici e ghiaiosi Spiagge e dune mobili Dune fisse Retroduna di transizione con depositi conglomeratici e ghiaiosi Dune recenti con clima meso mediterraneo secco Geosigmeto delle dune costiere a contatto in retroduna con depositi di sabbie fini ed argille Geosigmeto delle dune costiere a contatto in retroduna con depositi di duna antica Spiagge e dune mobili Dune fisse Retroduna di transizione con depositi di sabbie fini ed argille Spiagge e dune mobili Dune fisse Retroduna di transizione con depositi di duna antica Tab Classificazione gerarchica del territorio per i sistemi dunali dell Italia centrale. Per geosigmeto si intende la serie di vegetazione o zonazione costituita da tutte le tipologie di vegetazione naturale potenziale che si alternano in questo ambiente (da Carranza et al. 2007). 58

73 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale La zonazione tipica della vegetazione costiera che si ritrova in buona parte del mediterraneo, si articola fondamentalmente nelle fasce di seguito descritte. La spiaggia intertidale con la battigia è detta zona afitoica, poiché è sempre priva di vegetazione a causa delle condizioni ambientali fortemente proibitive (Biondi & Andreucci 1998). In questo tratto dunque la vita è limitata alla componente animale, per altro molto ricca. La prima fascia di vegetazione, nel tratto successivo della spiaggia emersa, è generalmente costituita dalle così dette pioniere, specie annuali con un ciclo vitale estremamente breve, che si conclude nel giro di 1-2 mesi in tarda primavera o all inizio dell estate. Queste specie alonitrofile sono in grado di crescere su un substrato ricco di sali, in presenza però di sufficiente accumulo di materiale e residui organici depositati dal moto ondoso (Pignatti 2002). Tra le specie più comuni sulle spiagge tirreniche ed adriatiche si possono ricordare Cakile maritima subsp. maritima, di solito accompagnata dalla Salsola kali e dalla piccola Euforbia delle spiagge (Chamaesyce peplis) (Pignatti 2002; Stanisci et al. 2004). Questo tipo di comunità ha una struttura sempre molto aperta, con coperture della superficie basse e forma il primo ostacolo alla sabbia portata dal vento, che in qualche punto comincia ad accumularsi. Si fa spesso riferimento a questa cenosi con il nome di Cakileto dal nome della specie più diffusa (Cakile marittima subsp. maritima). Dopo questa prima fascia di vegetazione, s incontrano generalmente le prime specie perenni che contribuiscono al processo di formazione delle dune embrionali, nel quale ha un ruolo fondamentale la gramigna delle spiagge (Elymus farctus subsp. farctus). Questa specie blocca la sabbia e consolida il suolo con i lunghi e fitti rizomi, favorendo la colonizzazione da parte di altre specie. Altre specie che sulle coste tirreniche ed adriatiche frequentemente accompagnano l Elymus farctus subsp. farctus sono l Echinophora spinosa e l Otanthus maritimus subsp. maritimus (Stanisci et al. 2004). Anche in questo caso la copertura della superficie rimane comunque medio-bassa (Pignatti 2002). Le cenosi in questa fascia si indicano spesso semplicemente come Elymeto o Elytrigeto anche qui dal nome della specie più abbondante (Elymus farctus subsp. farctus). La fascia di vegetazione successiva colonizza e contribuisce ad edificare la duna mobile. Qui la specie più caratteristica e tipica sulle coste laziali ed adriatiche, oltre che su buona parte delle coste europee come vedremo in seguito, è un altra poacea psammofila perenne, Ammophila arenaria subsp. australis (Pignatti 2002). Questa specie è dotata di foglie coriacee e fusti robusti e forma cespi densi, mediante i quali favorisce efficacemente l accumulo di sabbia, crescendo in altezza in risposta al seppellimento (Pignatti 2002). La combinazione floristica tipica di questa cenosi comprende oltre ad Ammophila arenaria subsp. australis anche Anthemis maritima, Pancratium maritimum e Echinophora spinosa (Pignatti 2002; Stanisci et al. 2004). La struttura è dunque molto chiusa rispetto alle fasce precedenti. Si parla da un punto di vista sintassonomico semplificato di Ammofileto. Dietro le prime dune mobili stabilizzate da Ammophila arenaria si crea una zona riparata con rilievi più modesti, dove il suolo è ancora sabbioso, ma leggermente più compatto. In questa fascia più riparata sono numerose le specie che trovano le condizioni adatte alla loro 59

74 Parte 2 sopravvivenza ed è a questo punto che la vegetazione sulle coste adriatiche e tirreniche risulta essere un po differente. Sulle coste laziali, infatti, lungo i fianchi in lieve pendio delle dune, si stabilisce Crucianella maritima, una camefita psammofila dai fusti prostrati, legnosi alla base, che forma un associazione perenne caratteristica, a cui si fa riferimento con il nome generale di crucianelleto (Pignatti 2002; Stanisci et al. 2004), che come vedremo nella parte 4, è inclusa nella Direttiva Habitat (92/43/EEC) come un habitat comunitario. Spesso questa comunità è rimpiazzata da varie altre fitocenosi di sostituzione che si insediano negli spazi aperti lasciati dalla vegetazione più tipica (Stanisci et al. 2004). Si tratta generalmente di vegetazione erbacea annuale con coperture del suolo notevoli, all interno della quale spiccano le colorate Silene canescens e Ononis variegata e numerose graminacee come Lagurus ovatus s.l., Vulpia fasciculata (Stanisci et al. 2004). Si parla spesso, per via delle colorate fioriture primaverili, di pratelli terofitici. Anche lungo la costa adriatica troviamo questa comunità annuale costituita pressappoco dalle stesse specie, ma si osserva anche una buona presenza di specie quali il Verbascum niveum subsp. garganicum e Artemisia campestris subsp. variabilis ben distinte del versante tirrenico. Inoltre i cordoni dunali adriatici spesso bassi e estesi consentono spesso la presenza di interduna umidi ricchi di formazioni a giunchi e carici. Infine, le dune stabili di entrambi i versanti sono caratterizzate dalla presenza di un substrato sabbioso con uno strato di humus e da ventosità ridotta, ospitano una vegetazione legnosa arbustivo-arborea, sempreverde, che approfitta della maggiore stabilità e delle condizioni più riparate di questa fascia. Anche qui la distinzione tra i due versanti è molto chiara. Infatti, questa fascia lungo la costa tirrenica è generalmente caratterizzata dalla presenza in un primo tratto di una macchia pioniera bassa, dominata dal ginepro coccolone (Juniperus oxycedrus ssp. macrocarpa), denominata ginepreto, che fa da scudo ai venti salsi e all azione abrasiva dei granelli di sabbia per le formazioni più interne (Stanisci et al. 2004) e poi di una macchia alta, strutturalmente più complessa, formata da diverse specie arbustive come Pistacia lentiscus, Phillyrea latifolia e da lianose come Smilax aspera, Lonicera implexa subsp. implexa e la Clematis flammula (Pignatti 2002; Stanisci et al. 2004). Lungo la costa adriatica, invece, la macchia mediterranea è presente solo in aree molto limitate del litorale abruzzese e molisano. Un lembo di macchia, seppure bassa, e poco strutturata è presente nella fascia costiera meridionale del Molise presso località Bonifica Ramitelli (Campomarino). In altre aree del litorale adriatico esaminato, invece, queste formazioni arbustivo-arboree sono state ormai sostituite da rimboschimenti oppure sono scomparse a causa dell urbanizzazione. 60

75 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale TIRRENICO ADRIATICO Fig Profili relativi alla zonazione della vegetazione lungo il litorale laziale per il versante tirrenico (località Montalto di Castro) e quello molisano (località Marina di Petacciato) per il versante adriatico. 1: cakileto; 2: elymeto o elytrigeto; 3: ammophileto; 4: crucianelleto; 5: pratelli terofitici; 6: ginepreto; 7: macchia mediterranea; 8: prato arido con presenza di Verbascum niveum subsp. garganicum e Artemisia campestris subsp. variabilis; 9: macchia a Pinus halepensis; 10: rimboschimento a Pinus halepensis e Acacia saligna. (Disegni di A. Acosta). 3.5 FENOMENI EROSIVI E STATO DI CONSERVAZIONE L antropizzazione delle coste mediterranee (urbanizzazione selvaggia, spianamento delle dune per scopi balneari, ecc..) è stata e continua ad essere così intensa che la tipica successione di vegetazione è stata, in molte zone, distrutta, interrotta o compressa, così che testimonianze di questa toposequenza naturale sono ormai rarissime soprattutto lungo le coste del medio Adriatico. A rendere più complessa la situazione, contribuisce, poi, la presenza di una forte erosione costiera che interessa la maggior parte delle spiagge delle tre regioni esaminate, in particolare il Molise in cui i tratti in erosione rappresentano addirittura più del 90% della costa totale (Tab. 2.2). L evoluzione recente della costa adriatica abruzzese e molisana, è stata caratterizzata da una tendenza prevalente all arretramento che si è manifestata in modo crescente durante gli ultimi 50 anni (Iannantuono et al. 2004; Aucelli et al. 2001). Particolarmente significativa appare la dinamica delle aree di foce e di alcune aree portuali, interessate da evidenti erosioni (esempio foce del Trigno, Biferno, Vomano, del Torrente Pioma e del Fiume Saline), con arretramenti anche superiori ai 20 m per anno, a testimonianza dell importanza degli apporti fluviali alle foci ai fini del bilancio sedimentario costiero. 61

76 Parte 2 Regione Lunghezza totale (km) Coste alte ed aree portuali (km) Coste basse (km) Tratti in erosione (km) % Spiagge in erosione Lazio ,2 Molise ,9 Abruzzo ,6 Italia ,3 Tab Dati riguardanti lo stato delle coste delle aree esaminate in relazione ai fenomeni erosivi. La foto aerea della Fig. 2.7 mostra l arretramento delle linee di riva della foce del Fiume Biferno (Molise) nel periodo tra il 1954 e il Fig Forte arretramento della linea di riva alla foce del F. Biferno: linea di riva del 1991 linea di riva del 1954 (da Iannantuono 2002) Anche la costa laziale è stata interessata da fenomeni erosivi molto evidenti. Confrontando la linea di riva del 1990 con quella del 1998, si è notato come oltre 72 km (33%) della costa laziale sono in evidente erosione, con arretramenti che superano i 3 m/anno, mentre il 43% delle spiagge tende a progradare. Utilizzando come indicatore la percentuale di aree soggette ad erosione costiera, nel 2003, il 37,7% del litorale della Provincia di Roma veniva considerato come in arretramento (Regione Lazio 2004) I tratti di litorale in erosione non sono concentrati in un area ben definita e quindi non sono ricollegabili a un unica causa, ma sparsi lungo l intero tratti del litorale laziale (AA.VV. 2006). Sul promontorio di Macciatonda, dove l erosione è molto forte, si possono notare le ultime tracce della lunga storia geologica: gli strati cretosi di origine fluvio-lacustre, ricchi di sostanza organica, ci riportano agli antichi stagni costieri. La distruzione delle dune sabbiose che li proteggevano dal mare, insieme alle imponenti opere di bonifica dell ultimo secolo, ha definitivamente cancellato quest ambiente costiero: lo testimonia la presena inquietante dei bunker del secondo conflitto mondiale, prima torrette di difesa sulla terraferma, oggi elementi naturalizzatti del paesaggio marino. 62

77 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Tra le principali cause che hanno contribuito all attuale configurazione della linea di riva sulle coste adriatiche e tirreniche e più in generale dell intera penisola, oltre ai fattori naturali legati essenzialmente ad aspetti climatici, vanno ricordati una serie di interventi antropici (prelievi in alveo, sbarramenti artificiali, variazioni dell uso del suolo..) che hanno in modo consistente contribuito ad una riduzione degli apporti grossolani alle foci. Il trasporto solido fluviale, infatti, si è notevolmente ridotto nel corso degli anni, sia in termini di granulometria che di quantità di sedimenti; Per esempio, la portata solida del fiume Tevere è diminuita di circa 27 volte, dai 10 milioni di tonnellate annue del 1935 agli 0,37 milioni di tonnellate annue del Anche gli interventi realizzati lungo la fascia costiera condizionano l equilibrio del litorale; particolarmente incisivi sono sia l intensa urbanizzazione che la realizzazione di opere marittime (porti, pennelli, scogliere,..) che alterano la dinamica delle sabbie litorali. Nonostante il forte impatto antropico e l intenza erosione costiera, lembi ancora naturali e ben conservati di ecosistemi costieri, come abbiamo detto, sono presenti ancora lungo le coste laziali e abruzzesi-molisane. Non è un caso, quindi, che nelle tre aree costiere studiate siano presenti diversi siti S.I.C. (Siti d Importanza Comunitaria) riconosciuti a livello europeo e appartenenti alla Rete Natura 2000 istituita dall Unione Europea con la Direttiva Habitat 43/92 EEC, relativa alla conservazione degli habitat naturali e seminaturali, nonché della flora e ella fauna selvatiche. Lungo il litorale laziale i siti SIC sono presenti da Nord a Sud, dal Litorale a NW delle foci del Fiora alle Dune di Capratica e numerosi di essi sono relativi anche ad altre tipologie ambientali (rocce, ambienti salmastri..). Lungo il litorale adriatico i Siti d Importanza Comunitaria sono distribuiti lungo tutta la costa molisana (Foce Trigno-Marina di Setacciato; Foce Biferno-Litorale di Campomarino; Foce Saccione-Bonifica Ramitelli), e sulla costa abruzzede meridionale, che è quella con una più elevata naturalità (Marina di Vasto) (Tab. 2.3). 4. MATERIALI E METODI 4.1 IL CENSIMENTO FLORISTICO Il censimento (o campionamento) della flora vascolare autoctona ed esotica degli ecosistemi dunali costieri dell Italia centrale, ha avuto inizio nel 2001, nell ambito della mia tesi di laurea, che ha interessato la costa molisana; in seguito i rilevamenti hanno riguardato la costa abruzzese e quella laziale. Il censimento è stato è stato effettuato attenendosi al protocollo della cartografia floristica europea (Ehrendorfer & Hamman 1965), considerando come unità di base, l Unità Geografica Operazionale (OGU) sensu Crovello (1981), comprendente una superficie di circa 143 Kmq che corrisponde ad ¼ di Foglio I.G.M.1: Tale griglia è stata, però, ulteriormente suddivisa in quadranti di minore estensione, pari a 1 16 del Foglio al (circa 36 Kmq), per avere aree di campionamento con un maggior dettaglio. 63

78 Molise Abruzzo Lazio Parte 2 REGIONE Codice Denominazione IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT IT Litorale a nord ovest delle Foci del Fiora Pian dei Cangani Saline di Tarquinia Litorale tra Tarquinia e Montalto di Castro Macchiatonda Bosco di Palo Laziale Macchia Grande di Focene e Macchia dello Stagneto Isola Sacra Castel Porziano (fascia costiera) Lido dei Gigli Tor Caldara (zona solfatare e fossi) Litorale di Torre Astura Zone umide a ovest del Fiume Astura Monte S. Angelo Lago Lungo Laghi Fogliano, Monaci, Caprolace e Pantani dell'inferno Lago di Sabaudia Promontorio del Circeo (Quarto Caldo) Promontorio del Circeo (Quarto Freddo) Dune del Circeo Duna di Capratica Costa rocciosa tra Sperlonga - Gaeta Promontorio Gianola e Monte di Scauri Fiume Garigliano (tratto terminale) Fosso delle Farfalle (sublitorale chietino) Lecceta litoranea di Torino di Sangro e foce del Fiume Sangro Punta Aderci - Punta della Penna Marina di Vasto Foce Biferno - Litorale di Campomarino Foce Saccione - Bonifica Ramitelli Foce Trigno - Marina di Petacciato Tab Siti S.I.C. presenti lungo le coste del Lazio, dell Abruzzo e del Molise. Queste unità campionarie, numerate in ordine crescente da Nord per le tre regioni, sono state chiamate quadranti o semplicemente plots. Le carte topografiche considerate sono state ovviamente quelle comprendenti tutte le aree costiere delle tre regioni esaminate. Sono stati individuati complessivamente 91 quadranti: 56 per il Lazio, 27 per l Abruzzo e 8 per il Molise. In Fig. 2.8 se ne mostra la disposizione. In realtà, si tratta di 90 quadranti effettivi poiché uno di questi plot ricade lungo il confine tra la costa abruzzese e molisana. Il campionamento floristico ha riguardato, però, soltanto le coste sabbiose e, in particolare, le dune oloceniche. Per questo, alla fine, i quadranti campionati in questa ricerca, escludendo quelli comprendenti le coste rocciose e altre tipologie ambientali, sono risultati 72: 46 per il Lazio, 19 per l Abruzzo e 7 per il Molise. Il campionamento floristico ha interessato la vegetazione psammofila delle dune embrionali e mobili, le depressioni interdunali, i rimboschimenti litoranei e la macchia mediterranea. 64

79 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Per ogni quadrante (o plot) sono state censite le specie presenti, sia autoctone che esotiche. Questa lista di taxa di piante vascolari, di volta in volta aggiornata in base ai dati ottenuti dal campionamento, è stata archiviata in una banca dati. Fig Quadranti utilizzati per il campionamento della flora autoctona ed esotica delle dune costiere dell Italia centrale. Per l identificazione e la nomenclatura dei taxa è stata consultata la Flora di Pignatti (1982) e le flore regionali più aggiornate pubblicate da Anzalone (1988, 1994, 1996) per il Lazio, da Conti (1998) per l Abruzzo e da Lucchese (1995) per il Molise; inoltre sono stati considerati i lavori di Viegi et al. (1974; 1990), la Med-Checklist (Greuter et al ), la Flora Europea (Tutin et al ) e la recente Checklist della flora vascolare d Italia (Conti et al. 2005) per i taxa non contemplati nelle flore regionali, e in particolare per le esotiche. A ciascun taxon sono stati associati i seguenti campi nella banca dati: famiglia, genere, quadrante cartografico di ritrovamento, forma biologica (Raunkiaer 1934), corotipo (Pignatti 1982); particolare attenzione è stata posta ai taxa esotici (Viegi et al. 2005), al loro status di invasività e paese di origine, e a quelli endemici e al loro status di tutela secondo le categorie IUCN (Conti et al. 1992, 1997; Scoppola & Spampinato 2005). 4.2 ANALISI DEI DATI L elenco complessivo delle specie ottenuto dal censimento floristico dei quadranti campionati è stato poi oggetto di analisi di tipo ecologico-strutturale e fitogeografico. Infatti, partendo da questo elenco si è proceduto al calcolo dello spettro delle famiglie 65

80 Parte 2 tassonomiche, dello spettro biologico, dello spettro corologico su dati di presenza/assenza. In un secondo momento, queste analisi sono state effettuate per confrontare i due versanti dell Italia centrale: i plots (o quadranti) dell Adriatico (Molise e Abruzzo) e quelli del Tirreno (Lazio) Lo spettro delle famiglie tassonomiche Per calcolare lo spettro delle famiglie tassonomiche si è preceduto partendo dall elenco floristico; per ciascun taxon è stato indicata la famiglia di appartenenza secondo la Flora d Italia (Pignatti 1982). Una volta suddivise le piante per le diverse famiglie si è calcolata la frequenza di ogni famiglia tassonomica. Il calcolo dello spettro delle famiglie è importante in quanto esso ha un significato innanzitutto fitogeografico, dato che la composizione tassonomica di una flora varia a seconda delle regioni; può avere, inoltre, un significato ecologico dato che certi adattamenti sono abbastanza omogenei nell ambito della stessa famiglia, come ad esempio, i sistemi d impollinazione Lo spettro biologico Per forma biologica s intende un tipo morfologico, che può essere riconosciuto, con variazioni più o meno notevoli, ma sempre limitate, in diversi gruppi vegetali indipendentemente dalla loro appartenenza tassonomica (Pignatti 1995). Le forme biologiche si classificano in base alle caratteristiche macro-morfologiche e funzionali delle piante. Esse sono utili per caratterizzare una flora o un tipo di vegetazione, mettendo in evidenza l adattamento rispettivamente alle condizioni climatiche e microclimatiche. Molti autori si sono occupati dello studio delle forma biologiche ma il sistema proposto all inizio del 900 dal fitogeografo danese Raunkiaer (1934) è quello largamente adottato oggi per gli studi di vegetazione nei paesi di clima temperato; si adatta meno bene ai problemi della flora tropicale per la quale sono utilizzati altri sistemi. L idea di base di questo sistema è la definizione di tipi caratterizzati dalla posizione delle gemme, cioè degli organelli destinati alla produzione di nuovi tessuti dopo la stagione sfavorevole; in sostanza questa posizione dipende direttamente dal tipo di strategia che la pianta ha adottato per la propria sopravvivenza (Pignatti 1995). Le forme biologiche di Raunkiaer sono fondamentalmente cinque (Fig. 2.9), ciascuna suddivisa in sottocategorie che sono equivalenti a delle forme di crescita, e sono: Fanerofite (P): le gemme sono portate su germogli ad un altezza dal suolo superiore a cm; vi appartengono gli alberi, gli arbusti maggiori, le liane legnose e le epifite. Camefite (Ch): le gemme sono portate vicino al suolo, ad un altezza inferiore a cm; vi appartengono gli arbusti di piccole dimensioni, i suffrutici, e le erbacee perenni che mantengono la porzione epigea durante la stagione critica. 66

81 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Emicriptofite (H): le gemme sono portate a livello della superficie del suolo; vi appartengono piante erbacee perenni e bienni. Geofite (G): le gemme sopravvivono sotto il suolo, su organi ipogei (rizomi, bulbi, tuberi, radici) o sotto il pelo dell acqua (elofite e idrofite); durante la stagione avversa, fredda o caldo-arida, le geofite dei nostri climi perdono completamente la loro porzione epigea e possono dare l impressione di piante stagionali. Terofite (T): sono le piante annuali, stagionali o effimere, che all approssimarsi della stagione sfavorevole concludono il proprio ciclo vitale con la dispersione dei semi che aspettano la buona stagione per germinare. Fig Schema delle forme biologiche secondo Raunkiaer (1934). P: fanerofita, Ch: camefita, H: hemicriptofita, G: geofita. Le gemme destinate alla produzione di nuovi tessuti dopo la stagione sfavorevole sono state evidenziate in nero. Le terofite non vengono rappresentate in questo schema poiché, durante la stagione sfavorevole, le gemme si trovano all interno del seme. (disegno di A.Acosta) Una volta annotata la forma biologica di ciascuna specie, abbiamo calcolato lo spettro delle forme biologiche, considerando, la percentuale di ogni forma sul numero totale di piante, cioè la sua frequenza. Gli spettri biologici sono molto utili; infatti, mettono in evidenza le strategie adattative morfologico-funzionali delle diverse specie all ambiente e possono: fornire informazioni su caratteristiche ambientali (aspetti microclimatici rilevanti); procurare un ipotesi sulle risposte di comunità vegetali a fattori ambientali particolari (microclima, etc.) e sul modo di utilizzo dello spazio disponibile; essere usati come indicatori di aspetti dinamici; le terofite, per esempio, possono essere indicatrici di ambienti antropizzati, poiché la brevità del ciclo biologico le rende adatte a diffondersi nei siti che presentano brevi periodi di stabilità (Ubaldi 1997). 67

82 Parte 2 Per determinare la forma biologica delle specie abbiamo considerato le indicazioni riportate soprattutto nella Flora d Italia (Pignatti 1982), ma sono state consulte anche altri fonti e flore su menzionate soprattutto per la componente esotica Lo spettro corologico Ogni specie possiede un determinato areale, cioè occupa un area entro la quale essa vive allo stato spontaneo, come risultato sia di fattori ecologici attuali (clima, substrato) che storici (punto di origine di una specie, possibilità di diffondersi nel passato, esistenza di barriere alla diffusione). Se compariamo gli areali di più specie è possibile determinare modelli che tendono a ripetersi e che sono chiamati tipi corologici o corotipi. Nel presente lavoro, per il calcolo degli spettri corologici è stato annotato, per ogni specie censita, il corotipo, secondo quanto riportato nella Flora d Italia (Pignatti 1982). Le specie spontanee della flora italiana possono venire distribuite in almeno una settantina di corotipi (Pignatti 1982). Questi diversi corotipi possono essere ricondotti secondo lo schema proposto da Pignatti (1982) a nove categorie principali, riscontrate nelle aree studiate con alcune modificazioni; la Tab. 2.4 riporta il corotipo generale e i corotipi specifici. I corotipi generali osservati sono i seguenti: Endemiche: specie esistenti soltanto nell ambito del territorio italiano. In generale si tratta di specie che per la loro rarità possono venire considerate minacciate e spesso in pericolo di estinzione. Stenomediterranee: specie con areale limitato alle coste mediterranee e alle zone più calde dell interno (zone con aridità estiva, area di coltivazione dell olivo). Eurimediterranee: specie con areale concentrato sulle coste mediterranee, ma prolungatesi verso nord e verso est (area della vite). In questa tipologia abbiamo incluso anche le Mediterraneo-Montane. Mediterranee: in questo gruppo abbiamo incluso diverse tipologie non riconducibili né alle Euri né alle Steno- mediterranee in senso stretto, ma sono specie che presentano un baricentro o più orientale o occidentale. Eurasiatiche: specie del continente eurasiatico oppure di una porzione di questo sempre entro l area del clima temperato. Si tratta per lo più di specie legate all ambiente del bosco caducifoglio oppure all ambiente arido continentale di tipo steppico o substeppico. Atlantiche: specie con areale centrato sulle coste atlantiche d Europa e irraggianti più o meno profondamente nell Europa Occidentale e Centrale. Sono adattate ad un bioclima oceanico; spesso sono piante di ambienti umidi e salmastri o di ambienti sabbiosi. Boreali: specie con areale centrato sulle masse continentali che circondano il Polo Nord, quindi nelle zone settentrionali temperate e fredde di Europa, Asia e America settentrionale (Ubaldi 1997). Cosmopolite: specie ad ampia distribuzione che si presentano più o meno in tutti i continenti e con diverse condizioni climatiche. 68

83 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Esotiche: specie che non fanno parte della flora spontanea d Italia e sono state introdotte per trasporto diretto o indiretto da parte dell uomo. Corotipo specifico Corotipo generale Steno-Medit. SW-Steno-Medit. Steno-Medit.-Turan. S-Steno-Medit. Steno-Medit.-Atl. Steno-Medit.-Mont. E-Steno-Medit. Steno-Medit.-Macaron. Stenomediterraneo W-Steno-Medit. N-Steno-Medit. NW-Steno-Medit. NW-Steno-Medit. Submedit. N-Medit. Submedit.-Pontica W-Medit.-Macaron. E-Medit. W-Medit. Mediterranee S-Medit. CW-Medit. NE-Medit. NW-Medit. Euri-Medit. NE-Euri-Medit. E-Euri-Medit. N-Euri-Medit. Euri-Medit.-Turan. Euri-Medit.-Mont. Euri-Medit.-Subatl. Medit.-Mont. Euri-Medit.-Macaron. NE-Medit.-Mont. EuriMediterranee Euri-Medit.-Atl. E-Medit.-Mont. W-Euri-Medit. C-Medit.-Mont. S-Euri-Medit. SW-Medit.-Mont. C-Euri-Medit. W-Medit.-Mont. Eurasiat. SE-Europ. Paleotemp. E-Medit.-Pontica W-Paleotemp. Centroeurop. Europee Pontica Eurasiatiche S-Europ. SE-Europ.-Pont. S-Europ.-S-Sib. S-Europ.-Pont. Europ.-Caucas. E-Europ.-Pont. Subtrop. Saharo-Sind. Paleosubtrop. Termocosmop. Pantrop.-Subtrop. Medit.-Turan. Cosmopolite Cosmop. S-Medit.-Turan. Subcosmop. E-Medit.-Turan. Circumbor. Eurosib. Boreali Subatl. W-Europ. Medit.-Atl. Anfiatl. Atlantiche Submedit.-subatl. Endem. Endemiche Esotica dubbia Diversi paesi d'origine Esotiche e Tab Schema dei tipi corologici specifici e generali utilizzati per calcolare lo spettro corologico. Per ogni tipo corologico è stata calcolata la percentuale sul numero totale delle specie, cioè la sua frequenza. Gli spettri corologici esprimono la distribuzione differenziata di specie, in un area nella quale essa vive allo stato spontaneo, in rapporto a fattori ecologici. Sono, quindi, di notevole interesse sia per lo studio fitogeografico sia per quello ecologico. Ad esempio, un elevata percentuale di specie cosmopolite denota ambienti molto influenzati dall uomo. Possiamo dire, quindi, che gli spetti corologici e biologici funzionano alla stregua 69

84 Parte 2 di bioindicatori sono cioè elementi sintetici in grado di dare informazioni sui fattori ambientali (climatici, ecologici e storici) Le specie esotiche e la loro classificazione Riguardo alle specie esotiche, un uso appropriato dei termini è essenziale per affrontare con metodo l argomento, onde evitare fraintendimenti dovuti a un errata interpretazione. Perciò, in questa parte presentiamo in modo approfondito il problema legato alla classificazione delle specie esotiche e la terminologia che si è deciso di seguire. Molti autori, si sono occupati, in modi e in tempi diversi, della identificazione, definizione e terminologia delle entità esotiche (o aliene o alloctone) contrapposte alle specie native (o indigene, o autoctone). Risulta, però, subito evidente la grande quantità di termini e definizioni usate, tutt altro che semplificanti e chiarificatori. Alcune parole sono usate come sinonimi, anche quando non lo sono, in quanto l uso nel linguaggio comune di alcuni termini è differente dal loro significato tecnico-scientifico. Anche i vocaboli apparentemente più semplici hanno accezioni le più varie o addirittura contraddittorie da autore ad autore. Ne sono un esempio le numerose classificazioni prodotte a cominciare dall inizio del XX secolo: da quelle che hanno interessato l Europa centrale come la proposta dal botanico svizzero Thellung (1912, 1918/19) che creò una terminologia scientifica (Sukopp 1998), molto complicata e ricca di termini di radice greca preoccupandosi di tradurre le definizioni di nativa, introdotta, aliena in francese, tedesco e inglese, a quelle che hanno considerato l area mediterranea come il lavoro di Quezel et al. (1990) in cui si distinsero le antropofite dalle apofite. Per quanto riguarda la flora italiana si può menzionare: il lavoro di Fiori (1908), in cu le specie introdotte vengono distinte in economiche, ornamentali e casualmente introdotte; quello di Saccardo (1909) in cui le specie esotiche vengono distinte in coltivate e avventizie; quello di Béguinot & Mazza (1916) che individua tra le advenae le specie economiche ed industriali; e infine il lavoro di Viegi et al. (1974) in cui le specie esotiche presenti in Italia sono state distinte in coltivate (spontaneizzate e non spontaneizzate) e avventizie (casuali e naturalizzate). L assenza di una terminologia chiaramente definita, e largamente accettata, per descrivere lo stato delle piante esotiche ha rappresentato un problema anche per l attuazione di politiche di conservazione. Così, con lo sviluppo di una vera e propria ecologia delle invasioni e con la pubblicazione di numerosi lavori dedicati alla comprensione dei processi di invasione da parte di piante esotiche si è sviluppata anche la necessita di rivedere la terminologia di questi concetti (Collautti & MacIsaac 2004). A riguardo, un importante contributo nel chiarire la terminologia e nel renderla univoca, è stato quello fornito da Richardson et al. (2000), e approfondito poi nel lavoro di Pyšek et al. (2004). I fraintendimenti terminologici, secondo questi autori, sono causati particolarmente dalle diverse percezioni delle invasioni delle piante da parte delle specifiche discipline 70

85 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale biologiche e dei differenti punti di vista (Williamson 1993; Di Castri 1990; Rejmánek 1995). Come dimostrato da di Castri (1990) e Rejmánek (1995) le piante che invadono gli habitats in cui esse non erano presenti prima, possono essere considerate dal punto di vista ecologico (colonizer, pioneering species, migrants) o dal punto di vista biogeografico (aliens, exotics, introduced species, invaders) o antropocentrico (weeds, pests, agent of epidemic) (Fig. 2.10). Fig Approcci utilizzati per classificare le specie che invadono habitat e territorio dove non erano presenti prima. È riportato il punto di vista antropocentrico, ecologico e biogeografico (da Pyšek et al. 2004) Secondo Pyšek et al. (2004) l approccio biogeografico dovrebbe essere preferito quando si studiano le invasioni biologiche. Inoltre, tre sono le questioni cruciali che dovremmo porci quando ci si occupa delle specie esotiche: 1- Se il taxon che consideriamo è nativo o esotico nella regione di studio origin status 2- Qual è la sua posizione nel processo di invasione quando era introdotta residence status 3- Qual è il grado della sua naturalizzazione e possibile invasione invasion status Per questo, è fondamentale considerare e definire precisamente tutte le fasi del processo di invasione di una nuova regione da parte di un taxon introdotto (Richardson et al. 2000; Kolar & Lodge 2001; Collautti & MacIsaac 2004). Sono state distinte quattro fasi fondamentali: 1) trasporto di una particolare specie in una nuova regione biogeografia; 2) insediamento nella nuova regione; 3) diffusione; 4) invasione. Da una fase all altra, molti filtri entrano in gioco (Kühn et al. 2004); è utile considerare i fattori che limitano l espansione di un taxon introdotto in una regione, e rappresentarli come una serie di barriere. Richardson et al. (2000) hanno proposto, così, una semplice concettualizzazione del processo naturalizzazione /invasione (Fig. 2.11). Secondo questo schema l invasione è il processo che richiede ad un taxon di superare molte barriere biotiche e abiotiche. Le fasi del processo possono essere definite sulla base delle barriere che sono (o non sono) superate. 71

86 Parte 2 Introduzione indica il processo mediante il quale una specie è trasportata dall uomo al di fuori del suo areale primario storicamente noto, accidentalmente o intenzionalmente; questo significa che la pianta ha superato con l aiuto dell uomo la principale barriera geografica. Successivamente devono essere superate le barriere ambientali locali (clima e suolo, fattori ambientali diversi da quelli del luogo di origine). Le specie che superano questa barriera possono considerarsi aliene casuali; tali taxa, infatti, possono riprodursi sessualmente o vegetativamente ma non riescono a mantenere la loro popolazione per tempi più lunghi. Queste piante, quindi, devono fare affidamento su una ripetuta introduzione per persistere. Fig Una schematica rappresentazione delle maggiori barriere che limitano la diffusione delle piante introdotte (da Richardson et al. 2000). La naturalizzazione inizia solo quando le barriere ambientali non impediscono al taxon di sopravvivere e quando le barriere che regolano la riproduzione sono superate. Quindi un taxon potrebbe essere naturalizzato quando ha superato le tre barriere A, B e C (Fig.2.11). A questo punto le popolazioni sono così numerose che la probabilità di estinzione è bassa. L invasione, invece, si verifica quando si ha una diffusione lontano dai siti dell introduzione; questa richiede, che la pianta introdotta superi anche le barriere di dispersione interne alla nuova regione e possa lottare con successo contro l ambiente abiotico e la componente biotica dell intera area, andando ad occupare ambienti naturali e seminaturali (Richardson et 72

87 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale al. 2000). La Tab. 2.5 riporta la classificazione di Richardson et al. (2000) e Pyšek et al. (2004) delle specie vegetali invasive, basata su tale processo di naturalizzazione / invasione. Tale terminologia proposta da Pyšek et al. 2004, a cui facciamo riferimento nella presente ricerca, è stata adottata a livello internazionale dallo IUCN e introdotta anche nel programma LIFE (L instrument financier pour l environnement) della Commissione Europea che rappresenta il principale fondo dell Unione diretto alla conservazione della natura. Ovviamente trattandosi di una classificazione presenta dei limiti nonostante la sua utilità in campo applicativo e scientifico. Una prima problematica è determinata dal fatto che la classificazione proposta da Richardson et al. (2000) e da Pyšek et al. (2004) non considera le specie invasive o non invasive in riferimento all impatto sull uomo, sulla sua salute o sull ambiente, come invece, in molte convenzioni e leggi è contenuto. Infatti, nella stessa Convenzione sulla biodiversità di Rio de Janeiro (1992) all art.8, che riguarda la conservazione in situ, al punto h, si legge che ciascuna parte contraente vieta l introduzione di specie esotiche che minacciano gli ecosistemi, gli habitat o le specie, le controlla o le sradica. Le specie considerate in questo contesto, sono solo una parte delle specie invasive. Per questo nelle loro classificazioni gli autori, per considerare anche questa componente riferita ai possibili impatti, riportano alcuni termini già esistenti come quello di erbacce, weeds (Randall 2002) e di pests per tutti i tipi di organismi e il termine di trasformatori, transformers, per quelle specie che hanno un chiaro ed evidente impatto sull ecosistema sulle sue componenti (Tab.2.2). Inoltre, un'altra questione riguarda proprio la fase di passaggio di una specie esotica da naturalizzata, non invasiva a invasiva; tale cambiamento rappresenta il punto in cui la specie esotica può iniziare a causare chiare conseguenze ecologiche o economiche. Ma, dal punto di vista applicativo, purtroppo non è sempre semplice classificare un taxon come naturalizzato o come invasivo, anche perché queste fasi non sono discrete e si potrebbe verificare un cambiamento graduale da una forma ad all altra nel tempo e nello spazio; inoltre non è sempre possibile definire la distanza dei propaguli dalle piante madri. Il concetto chiave è comunque, che non tutte le specie esotiche introdotte in una regione diventano invasive e che non tutte le specie naturalizzate diventano invasive. È famosa a riguardo la ten-ten rule (Williamson & Brown 1986; Williamson & Fitter 1996) che proponeva una stima quantitativa delle specie esotiche che divenivano nocive (pests). Questa probabilistica valutazione prediceva che il 10% delle specie introdotte diveniva casuale, il 10% delle causali diveniva naturalizzata (sensu Richardson et al. 2000) e infine il 10% delle naturalizzate diveniva dannosa (pest, sensu Pyšek 2004). Kowarik nel 1995 propose anch egli sulla base dei lavori condotti sulle specie arboree introdotte in Germania, un rapporto 10:2:1; cioè il 10 % delle specie introdotte si propagava (casuali), il 2% si stabilizzava (naturalizzate) e la metà di queste (1%) diventava membro della vegetazione naturale (invasiva). 73

88 Parte 2 Sebbene questi calcoli siano molto probabilistici con grandi limiti, e molte eccezioni (Williamson 2000) e siano stati anche mal interpretati, essi rappresentano una buona indicazione del numero di specie da considerare come specie potenzialmente invasive e nocive; la regola delle decine è utile come riferimento a cui i dati reali possono essere relazionati: deviazioni da questa regola indicano taxa con una più elevata o minore invasività e regioni o habitat con una maggiore o minore invasività (Williamson 1996; Gaston et al. 2003). In molte flore e in molti lavori che studiano i processi di invasione, si distinguono le specie esotiche in archeofite e neofite (es. Pyšek & al. 2002) in base alla data della scoperta dell America (1492) per l Europa centrale (2003) o quella delle colonizzazione degli europei per altre parti del mondo (es. Australia). Nel presente lavoro la componente delle esotiche ha compreso solo le neofite, a causa della difficoltà di distinguere le specie archeofite da quelle native; questo, infatti, richiede notevoli informazioni di tipo paleobotanico archeologico, ecologico e storico di cui non sempre si hanno i dati. Inoltre, è stato dimostrato (vedi Pyšek et al. 2004) che le archeofite dal punto di vista ecologico-funzionale sono molto differenti dalle neofite e sono molto simili alle native per quanto riguarda la distribuzione e grandezza dei loro range geografici. Per questo si tende, come nel nostro caso, a aggruppare insieme i taxa stabiliti da tempi lontani (archeofite) con le native. Quindi, in questa ricerca le specie esotiche sono state classificate in casuali, naturalizzate, invasive secondo le indicazioni di Richardson et al. (2000) et Pyšek et al. (2004); inoltre a queste categorie sono state aggiunte quelle delle specie esotiche coltivate e quelle delle specie di dubbia esoticità. Le informazioni per tale classificazioni sono state attinte da lavori precedenti, osservazioni in campo e studi monografici delle specie esotiche rinvenute. 74

89 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale TERMINOLOGIA DELLE ESOTICHE Piante native (Native plants): specie che si sono originate in una data area senza l intervento dell uomo o che sono arrivate lì senza l intervento intenzionale o non intenzionale dell uomo da un area in cui esse sono native. Sinonimi: autoctone, indigene. Piante aliene (Alien plants): specie la cui presenza in una data area è dovuta all introduzione intenzionale o involontaria per mezzo delle attività umane o che sono arrivate lì senza l aiuto dell uomo da un area in cui esse sono esotiche. Sinonimi: esotiche, alloctone, non nativa, non indigena. Piante esotiche occasionali o causali (Casual alien plants): piante esotiche che possono fiorir e poi riprodursi occasionalmente in un area, ma che non possono mantener popolazioni per lunghi periodi di tempo e fanno affidamento per la loro persistenza ad introduzioni ripetute. Piante naturalizzate (Naturalized plants): piante esotiche che si riproducono consistentemente e sostengono la loro popolazione per molti cicli vitali (almeno 10 anni) senza l intervento umano mediante il reclutamento da semi o ramets (tuberi, bulbi, frammenti..) capaci di crescere indipendentemente. Piante invasive (Invasive plants): sono le piante naturalizzate che producono una prole riproduttiva, spesso molto numerosa, ad una distanza considerevole dalle piante madri (più di 100 m in meno di 50 anni per specie che si riproducono con semi, più di 6 m in 3 anni per specie che si riproducono mediante rizomi, stoloni, radici, fusti striscianti), e quindi hanno il potenziale per diffondendosi su un ampia area. Trasformatori (Transformers): è un termine ecologico (non è relazionato a danni economici) che indica un sottogruppo delle specie invasive (non necessariamente esotiche) che modificano il carattere, le condizioni, la forma, la natura degli ecosistemi su un area notevole dell estensione complessiva di quell ecosistema. Possiamo distinguere : a) quelli che utilizzano in modo eccessivo le risorse (acqua- Tamarix ssp.; acqua e luce Arundo donax; b) quelli che donano risorse limitate (azoto- Acacia ssp.); c) i promotori (Bromus tectorum) o soppressori del fuoco; d) stabilizzatori della sabbia; e) promotori dell erosione; d) accumulatori di lettiera (Eucalyptus ssp.); e) accumulatori di sale. Erbacce (Weeds, pests): questo termine è antropocentrico (è relazionato agli interessi dell uomo) ed indica piante, non necessariamente esotiche, che crescono in aree dove esse non sono volute (es. campi coltivati) e che generalmente producono effetti nocivi all economia e all ambiente. Sinonimi: infestanti, nocive, Tab Terminologia raccomandata nell ecologia dell invasione delle piante (da Richardson et al e Pyšek et al. 2004). 75

90 Parte Confronto tra i due versanti e analisi della ricchezza native/esotiche Dopo aver analizzato dal punto di vista tassonomico, ecologico e corologico i dati ottenuti dal censimento per l area costiera complessiva e per ciascuna regione di studio, si è proceduto al confronto tra i due versanti costieri, quello tirrenico e quello adriatico. Questo è stato realizzato non solo mediante l utilizzo di spettri corologici e biologici, ma anche attraverso strumenti di analisi statistica. Infatti, è stata costruita una matrice in cui si è riportato il numero totale di specie x il numero dei quadranti o plots censiti (820 specie x 72 rilievi). A tale matrice si è applicata, utilizzando il programma Syntax-2000 (Podani 2001), una Principal Coordinates Analysis (PCoA) con coefficiente di Jaccard {1-a/(a+b+c) } per dati binari come coefficiente di somiglianza; in questo modo si è ottenuto un ordinamento con la distribuzione spaziale dei plot censiti. In un secondo momento, è stata effettuata un analisi più approfondita sulle differenze tra i due versanti a livello di tipi corologici per la componente nativa e di areali orginari per quella esotica; questo è stato effettuato attraverso l uso di test statistici, in particolare del t-test effettuato con il programma SPSS (SPSS Inc. 2001). Le tipologie corologiche confrontate sono state per le specie native: il corotipo delle Mediterranee in senso lato (Euri-Medit. + Steno-Medit. + Mediterranee), quello delle Eurasiatiche+Boreali, quello delle Atlantiche e, infine, quello delle Cosmopolite. Per quanto riguarda le esotiche, invece, si sono considerate i seguenti areali originari: America extratropicale, America tropicale, Africa, Asia, Australia e Altri paesi. In seguito, il nostro interesse si è focalizzato sulla ricchezza specifica di ciascun plot. È stata applicata di nuovo una PCoA e i plots sono stati etichettati con il numero di specie che essi comprendono e indicati con cerchi di dimensione diversa relativamente a tale ricchezza specifica. Lo scopo di questo tipo di analisi era innanzi tutto di esaminare se ci fosse un trend particolare relazionato a qualche aspetto di tipo ambientale o ecologico, e poi, soprattutto di esaminare quale relazione ci fosse tra la ricchezza di specie native e il numero di esotiche presenti in ciascun plot. Questo secondo aspetto è stato analizzato attraverso un analisi di regressione. Si ricorre alla regressione quando si vuole semplicemente utilizzare la capacità predittiva della regressione per stimare Y, conoscendo X, allo scopo di ottenere una semplice descrizione di una relazione empirica oppure come controllo della sua esistenza, senza entrare nella logica disciplinare. L analisi della regressione stima i rapporti tra le variabili in modo che sia possibile valutare l andamento di una data variabile in funzione delle altre. Nel nostro caso si è realizzato un grafico (o diagramma) di dispersione in cui si sono confrontate coppie di valori, e cioè il numero di esotiche sulle ordinate in relazione al numero di specie native per ciascun plot. In seguito è stata rappresentata graficamente, mediante un programma informatico (Excel 2000) la linea di tendenza e la sua equazione insieme al valore del coefficiente di determinazione (coefficient of determination) R 2 (R square 76

91 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale indicato anche con R oppure r 2 ). Questo coefficiente rappresenta la proporzione di variazione totale che è spiegata dalla variabile dipendente. In termini statistici esso rappresenta, su un campione di n dati, il rapporto della devianza dovuta alla regressione sulla devianza totale: Espresso a volte in percentuale, più spesso con un indice che varia da 0 a 1, R2 serve per misurare della variabile dipendente Y sia predetto dalla variabile indipendente X e quindi per valutare l utilità dell equazione di regressione ai fini della previsione dei valori della Y. Il valore del coefficiente di determinazione è tanto più elevato quanto più la retta passa vicino ai punti, fino a raggiungere 1 quando tutti i punti sperimentali sono collocati esattamente sulla retta. In tale caso, infatti, ogni Yi può essere predetto con precisione totale dal corrispondente valore di Xi. Nella ricerca ambientale e in molti settori della ricerca biologica, data l ampia variabilità delle risposte individuali agli stessi stimoli, è prassi diffusa che la determinazione possa essere ritenuta buona, (in linguaggio tecnico, il modello ha un buon fitting con in valori sperimentali), quando R 2 supera 0,6 (0,60%). R2 è una misura che ha scopi descrittivi del campione raccolto; non è legata ad inferenze statistiche, ma a scopi pratici, specifici dell'uso della regressione come metodo per prevedere Yi conoscendo Xi. Infine, si è voluto riportare in maniera cartografica il pattern di alcuni aspetti corologici e di quelli relativi alla ricchezza di specie native e di esotiche nei due versanti costieri, attraverso l utilizzo di Arc View 3.1 (ESRI 2000), un programma per la cartografia e la gestione dei dati in ambiente GIS (Geographic Information System). Infatti, alla carta delle tre regioni è stata sovrapposta la griglia dei quadranti e indicato con vari tipi di colori e scale di gradazione l andamento della ricchezza specifica e delle diverse tipologie corologiche. Inoltre l utilizzo del GIS ci ha permesso anche di creare delle cartine di distribuzione di alcune specie di particolare interesse, specie rare o vulnerabili, e anche di alcune delle principali specie esotiche. 77

92 % Parte 2 5. RISULTATI DEL CENSIMENTO FLORISTICO 5.1. RISULTATI DEL CENSIMENTO FLORISTICO COMPLESSIVO Il censimento floristico delle dune costiere sabbiose dell Italia centrale ha interessato 72 quadranti: 46 del Lazio, 19 dell Abruzzo e 7 del Molise. I dati ottenuti hanno dimostrato la presenza di un elevata ricchezza di specie. Sono state censite, infatti, 820 entità (di cui 210 sottospecie) comprese in 94 famiglie tassonomiche. La quasi totalità delle specie censite è rappresentata da Angiosperme, in particolare il 75,5% è costituito da Dicotiledoni (619 entità), mentre il 23% da Monocotiledoni (189 entità); solo lo 0,73% (6 entità) è costituito da Pteridofite e la stessa percentuale è costituita dalle Gimnosperme (Fig. 2.12) ,5 Fig Percentuale delle specie ripartite nelle quattro categorie sistematiche principali ,0 0 0,7 0,7 Pteridofite Gimnosperme Dicotiledoni Monocotiledoni In particolare, per la costa laziale, sono state censite 547 specie comprese in 88 famiglie tassonomiche; per la costa abruzzese 474 specie comprese in 75 famiglie; mentre per la per la costa molisana sono state censite 347 specie comprese in 70 famiglie tassonomiche. Nel complesso, le famiglie più frequenti sono risultate in primo luogo le Poaceae con una percentuale di circa il 13%, seguite dalle Fabaceae e Asteraceae, (entrambe con una percentuale del 12% circa), e infine dalle Caryophyllaceae (circa 5%) (Fig. 2.13). Le Asteraceae e Le Fabaceae sono risultate in maggiore percentuale lungo le coste tirreniche rispetto a quelle adriatiche, dove, invece, si sono osservate un maggior numero di Asteraceae. Ben 73 famiglie sono presenti con percentuali minori dell 1% del totale; di queste 24 sono rappresentate da una sola specie (es. Anacardiaceae, Portulacaceae, Lauraceae, Amaryllidaceae, Cactaceae, Pittosporaceae.. ), 17 da due specie (Agavaceae, Campanulaceae, Arialiaceae, Crassulaceae, Oxalidaceae, Resedaceae, Rhamnaceae ). Le famiglie rappresentate, quindi, sono quelle a larga distribuzione e ricche di generi e specie. I generi maggiormente rappresentati dei 403 individuati sono Trifolium (18), Carex (15), Medicago e Vicia (11) Silene (10), Euphorbia, Ranunculus, Senecio e Linum (9), Juncus, Plantago (8), Allium, Cerastium, Geranium, Lotus, Lathyrus, Veronica (7). 78

93 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale 60 58, Fig Spettro complessivo delle famiglie tassonomiche individuate dal censimento floristico delle tre regioni costiere ,3 11,7 11,7 4,6 0 Poaceae Fabaceae Asteraceae Caryophyllaceae < 4% Molte delle entità censite, e precisamente poco più del 42% (347 entità), sono risultate comuni ai due versanti costieri (adriatico e tirrenico); e di queste entità, ben 164 (pari 20% del totale) sono presenti in tutte e tre le regioni. Si tratta soprattutto di entità legate alla vegetazione naturale potenziale della duna (come Elymus farctus subsp. farctus, Eryngium maritimum, Cakile maritima subsp. maritima, Cyperus capitatus, Echinophora spinosa, Calystegia soldanella, Chamaesyce peplis (=Euphorbia peplis), Euphorbia paralias, Medicago marina, Ononis variegata, Pancratium maritimum, Polygonum maritimum, Sporobolus virginicus, Vulpia fasciculata, Sonchus bulbosus subsp. bulbosus) della macchia (come Cistus salviifolius, Quercus ilex subsp. ilex, Rhamnus alaternus subsp. alaternus, Myrtus communis s.l.), degli ambienti più umidi e salmastri (come Artemisia caerulescens subsp. caerulescens, Erianthus ravennae, Scirpoides holoschoenus, Limbarda crithmoides s.l., Juncus acutus subsp. acutus) e anche di specie legate agli ambienti ruderali e sinantropici (come Anagallis arvensis subsp. arvensis, Convolvulus arvensis, Plantago lanceolata, Malva sylvestris subsp. sylvestris, Rumex crispus e Raphanus raphanistrum s.l.). In particolare si è notato che le specie comuni alle coste laziali e molisane sono 85, mentre quelle comuni alle coste laziali e abruzzesi sono 98. Tra le prime ricordiamo molte specie di ambienti salmastri come Sarcocornia fruticosa, Atriplex portulacoides, Limonium narborense e diverse specie del retroduna e della macchia come Euonymus europaeus, Rosmarinus officinalis, Halimium halimifolium subsp. halimifolium, Erica multiflora; mentre tra le seconde emergono alcune specie rare per il versante adriatico ma comuni su quello tirrenico come Anthemis maritima e specie di ambiente più umido di origine europea o boreale (es. Agrostis stolonifera, Cyperus longus, Lytrhum salicaria, Geranium molle). Le entità esclusive del versante tirrenico costituiscono una percentuale del 24,4% (200 entità) delle specie censite per tutte e tre le regioni, e il 36,6% di quelle censite per il Lazio. Tra queste vi sono specie tipicamente tirreniche, aventi un areale, esteso sulle regioni occidentali d Italia, come alcune specie di avanduna (Crucianella maritima, Cutandia divaricata, Matthiola sinuata, Plantago macrorrhiza) e di retroduna e macchia come Pycnocomon rutifolium, Centhrantus calcitrapae subsp. calcitrapae, Senecio leucanthemifolius subsp. leucanthemifolius, S. 79

94 Parte 2 lividus, Daphne gnidium, Prasium majus e Quercus suber. Ve ne sono poi altre di macchia come Erica arborea, Arbutus unedo, Juniperus phoenicia subsp. phoenicia, o di pratelli retrodunali come Clypeola jonthlaspi subsp. jonthlaspi che erano presenti anche sulla costa adriatica, seppur estremamente localizzate come confermato da precedenti segnalazioni (Lucchese 1995; Conti & Stanisci 1989), ma che adesso sono qui quasi del tutto scomparse. Le specie, invece, censite solamente sul litorale adriatico costituiscono circa il 29 % (pari a 273 entità) delle specie totali. Di queste 61 (pari al 7,4% delle specie totali) sono esclusive della costa molisana, 175 (21,3%) della costa abruzzese, mentre solo 37 specie (4,5%) sono comuni a entrambe le regioni adriatiche. Si tratta di specie dunali come Ambrosia maritima, Lotus creticus e l endemica Verbascum niveum subsp. garganicum, che hanno il loro areale centrale sui litorali. Si hanno poi specie ruderali distribuite nei pratelli retrodunali (Bellis perennis, Melilotus sulcatus, Glycyrrhiza glabra, Diplotaxis erucoides subsp. erucoides) ma anche specie legate ad ambienti umidi o alofili come Schoenoplectus tabernaemontani, Sonchus maritimus subsp. maritimus, Juncus maritimus e Plantago crassifolia. Tra le specie esclusive della costa abruzzese è importante ricordare alcune specie legate agli ambienti retrodunali umidi, ai prati umidi e salmastri come Samolus valerandi, Aegopodium podagraria, Linum maritimum subsp. maritimum, Euphorbia platyphyllos subsp. platyphyllos, Sanguisorba officinalis e Clematis viticella una pianta lianosa, legata originariamente a siepi, arbusteti, macchie di cespugli, boschi, ma in luoghi prettamente umidi; infine, tra le specie tipiche degli ambienti di gariga e di incolti aridi sono state censite Ballota nigra subsp. meridionalis, Cerastium diffusum subp. diffusum e tra le specie dunali Stachys maritima. Le specie esclusive, invece, della costa molisana comprendono alcune alofile che sono state censite presso la foce del fiume Biferno (Campomarino) come Suaeda maritima e Aeluropus littoralis; alcune specie delle radure di macchia e degli incolti aridi come Helianthemum jonium, Alkanna tinctoria subsp. tinctoria e Senecio delphinifolius; e specie di ambienti umidi come Carex hispida, Carex acutiformis, Isolepis cernua e Puccinellia festuciformis. Specie, comunque, con un baricentro più spostato verso l Adriatico sono Ambrosia maritima, Glycyrrhiza glabra e Lotus creticus. In seguito, è stato realizzato uno studio ecologico-strutturale e fitogeografico calcolando gli spettri corologici e biologici per i quadranti laziali, abruzzesi e molisani campionati. Dall analisi dello spettro biologico complessivo (Fig. 2.14) è emersa la predominanza di terofite (41%), con una netta prevalenza di scapose. Molte delle terofite censite sono specie ruderali frequenti negli incolti e nei pratelli che si sviluppano tra le radure della macchia, nei rimboschimenti o nelle zone retrodunali. Nel nostro caso ne sono un esempio Arenaria serpyllifolia subsp. serpyllifolia, Avena barbata, Geranium rotundifolium, Papaver rhoeas subsp. rhoeas, Dasypyrum villosum. Delle terofite, invece, legate alla vegetazione naturale potenziale, troviamo molte specie delle spiagge e della duna mobile come Cakile maritima subsp. marittima, Cutandia maritima, Euphorbia terracina, Phleum arenarium subsp. caesium, Silene canescens, Plantago coronopus subsp. coronopus e Salsola kali. Tra le terofite frequenti nei pratelli retrodunali e nelle radure di macchia, ricordiamo Lagurus ovatus s.l., Vulpia fasciculata, 80

95 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Malcolmia nana, Pseudorlaya pumila, Erodium laciniatum subsp. laciniatum e Polycarpon tetraphyllum subsp. tetraphyllum. Seguono poi, nello spettro biologico le emicriptofite (circa 28%), le geofite (11,8%) e le fanerofite (11,7%) ,0 27,6 11,8 11,7 4,6 3,3 T G H Ch NP P Fig Spettro biologico complessivo delle specie censite. Tra le emicriptofite legate alla vegetazione potenziale naturale, ricordiamo alcune specie di duna, oltre alle già menzionate Polygonum maritimum, Echinophora spinosa e Anthemis marittima, come Centaurea sphaerocephala, Sixalix atropurpurea subsp. grandiflora, e Glaucium flavum; sono emicriptofite anche alcune specie dei pratelli retrodunali come Silene vulgaris subsp. tenoreana, Petrorhagia saxifraga subsp. saxifraga e Lobularia marittima subsp. maritima, e altre specie di ambienti più umidi o salmastri come Erianthus ravennae, Schoenus nigricans, Carex extensa, Calystegia sepium subsp. sepium e il già menzionato Limonium narbonense. Tra le emicriptofite vi sono naturalmente anche diverse specie ruderali e di incolti come Capsella bursa-pastoris subsp. bursa-pastoris, Silene latifolia subsp. alba, Trifolium repens s.l., Crepis vesicaria subsp. vesicaria e Dactylis glomerata s.l. Le geofite, sono quasi esclusivamente rizomatose; infatti esse, con le loro radici, trattengono la sabbia e sono così responsabili della formazione delle dune.tra le geofite tipiche degli ambienti dunali, infatti, troviamo Ammophila arenaria subsp. australis, Elymus farctus subsp. farctus, Cyperus capitatus, Pancratium maritimum, Sporobolus virginicus e Sonchus bulbosus subsp. bulbosus. Tra le geofite troviamo anche specie di ambienti umidi come Aristolochia rotonda s.l., Phragmites australis subsp. australis, Scirpoides holoschoenus e del retroduna come Arum italicum subsp. italicum, Cyclamen repandum subsp. repandum, Muscari comosum e Limodorum abortivum. Per quanto riguarda, infine, le fanerofite, osserviamo che esse comprendono sia specie legate alla vegetazione naturale della macchia mediterranea e dei boschi retrodunali quali Phillyrea angustifolia, Pistacia lentiscus, Rhamnus alaternus subsp. alaternus, Rubia peregrina s.l., Quercus ilex subsp. ilex, Myrtus communis s.l., Lonicera implexa subsp. implexa, Clematis flammula, Laurus nobilis, Viburnum tinus subsp. tinus sia specie utilizzate dall uomo per rimboschimenti o per fini ornamentali quali Pinus ssp. e Tamarix gallica alle quali si aggiungono diverse esotiche di cui parleremo in seguito. Per quanto riguarda l aspetto corologico, è emerso il predominio delle specie Mediterranee, che nel complesso costituiscono circa il 54% delle specie censite (Fig. 2.15). Le Euri- Mediterranee rappresentano il 26,6%, mentre le Steno-Mediterranee raggiungono il 24,3%. 81

96 Parte 2 Nello spettro corologico al gruppo delle Mediterranee seguono le Eurasiatiche (19,5%) e le Cosmopolite (11%) (Fig.2.15). Tra le Eurasiatiche troviamo specie legate all ambiente del bosco caducifoglio (es. Quercus pubescens subsp. pubescens, Acer campestre, Fraxinus ornus subsp. ornus, Ulmus minor subsp. minor), agli ambienti umidi (es. Populus alba, Alnus glutinosa, Eupatorium cannabinum subsp. cannabinum) oppure all ambiente arido di tipo steppico e substeppico; in questo caso si tratta di erbe con adattamenti per lo xerofitismo. Alcune specie, infatti, come Avena fatua, Sonchus oleraceus, Trifolium campestre, Malva neglecta e Cerastrium semidecandrum sono tipiche degli incolti aridi. Tra le specie eurasiatiche troviamo anche due specie tipiche delle dune: Salsola soda, che cresce sui suoli salati dove si ha accumulo di residui organici e Salsola kali, tipica specie pioniera delle spiagge. Fig Spettro corologico complessivo delle specie censite , Steno-Medit. Euri-Medit. 26,6 3,2 Medit. Eurasiat. 19,5 Cosmop. 11,0 Esotiche 8,2 Boreali 4,6 Atlant. 2,2 Endem. 0,5 Anche le Cosmopolite, includono specie multizonali legate ad ambienti ecologici ben determinati, che si ripetono nelle varie parti del mondo tra cui, appunto, le spiagge sabbiose costiere. Tra queste specie ricordiamo le già menzionate Calystegia soldanella, Sporobolus virginicus e Polygonum maritimum. Esiste, però, un gruppo importante di piante multizonali, costituito da specie che vivono a stretto contatto con l uomo: specie dei terreni calpestati (es. Parapholis incurva, Cynodon dactylon), degli accumuli di rifiuti, oppure infestanti di orti e campi, (es. Chenopodium album s.l., Fumaria officinalis subsp. officinalis, Urtica dioica subsp. dioica, Vicia sativa s.l.). Tra le cosmopolite di ambiente umido e salmastro censite troviamo Juncus bufonius, Bolboschoenus maritimus, Suaeda vera e Imperata cylindrica. Sono state censite, infine, quattro specie endemiche (0,5%), tre sulla costa molisana-abruzzese (versante adriatico) e una su quella laziale (versante tirrenico). Si tratta nel primo caso del Verbascum niveum subsp. garganicum, specie tipica degli ambienti aridi, che ha il suo areale sul versante orientale della nostra Penisola, dalle Marche al Gargano, di Helianthemum jonium, e di Artemisia campestris subsp. variabilis; nel secondo caso, invece, della Linaria purpurea, specie caratterizzata da straordinaria ampiezza ecologica. 82

97 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale 5.2 SPECIE ESOTICHE DELLE COSTE DELL ITALIA CENTRALE Sono state censite un totale di 67 entità esotiche pari all 8,2 % della flora totale rilevata (Fig. 2.15). Le entità aliene campionate sono 27 (=7,8%) per il Molise, 37 (=7,8%) per l Abruzzo e 46 (=8,4%) per il Lazio (vedi Appendice I). Le famiglie tassonomiche più rappresentate sono risultate due famiglie ad ampia distribuzione: Asteraceae (circa 18%) seguite dalle Fabaceae (9%) (Fig. 2.16); a queste seguono le Aizoaceae, Palmae, Onagraceae e Poaceae tutte con una percentuale del 4,5%. Più del 55% delle specie esotiche è rappresentato da famiglie con due o una specie. I generi maggiormenti rappresentati sono Erigeron (=Conyza) con tre specie seguito da Carpobrotus, Vitis, Senecio, Xathium, Phoenix, Acacia, Oxalis ed Oenothera con 2 specie ,9 9,0 4,5 4,5 4,5 4,5 Asteraceae Fabaceae Poaceae Aizoaceae Palmae Onagraceae Altre 55,2 Fig Spettro delle famiglie tassonomiche delle specie esotiche censite nelle tre regioni costiere. Dall analisi sullo status di invasività delle specie esotiche (vedi Appendice I), si osserva che le esotiche casuali, come atteso, rappresentano la percentuale maggiore (circa 48% pari a 32 entità), seguite dalle naturalizzate (circa 21% pari a 14 entità) e infine dalle invasive (poco più del 16% pari a 11 entità) (Fig. 2.17) Tra le casuali sono incluse molte esotiche introdotte principalmente a scopo ornamentale, come Yucca gloriosa, Aptenia cordifolia, Mirabilis jalapa, Lantana camara, Phoenix canariensis, Ipheion uniflorum, Chamaedorea elegans, Gazania rigens, Commelina communis e Aloe barbadensis. Si tratta quasi sempre di esemplari piantati dall uomo (vicino case e stabilimenti) e dotati solo di una limitata capacità di riproduzione vegetativa che non consente comunque alle nuove piante di allontanarsi molto dal sito di introduzione (Acosta et al. 2007a). Le esotiche naturalizzate comprendono specie come Pittosporum tobira, Cuscuta scandens subsp. cesattiana, Opuntia ficus-indica (sulla costa tirrenica), Ligustrum lucidum, Amaranthus retroflexus (sulla costa adriatica). Pittosporum tobira è stata considerata specie naturalizzata in quanto osservata in ambienti molto distanti da insediamenti umani (da escludere che si trattasse di piante coltivate), inoltre sono state trovate plantule di pittosporo in contesti di macchia relativamente ben conservati. Cuscuta scandens subsp. cesattiana è stata considerata naturalizzata in quanto trattasi di una specie introdotta accidentalmente e diventata ormai comune sulle dune (Acosta et al. 2007a); non è dunque 83

98 Parte 2 ipotizzabile che sia piantata e diffusa dall uomo. Anche Amaranthus retroflexus, sebbene conosciuta come per la sua capacità di occupare velocemente i campi coltivati ed abbandonati grazie alla rapida crescita vegetativa e alla produzione di un elevatissimo numero di semi dispersi dal vento (può produrre fino a semi nel suo breve ciclo vitale; Celesti Grapow 2005), non è stata osservata come invasiva negli ambienti costieri, dove occupa ambienti ruderali marginali. Coltivate 11,9% Dubbie 3,0% Fig Status di invasività delle specie esotiche censite. Invasive 16,4% Casuali 47,8% Naturalizzate 20,9% Le esotiche invasive, infine, che rappresentano la componente più minacciosa, includono Carpobrotus acinaciformis/c. edulis, Agave americana, Erigeron ssp. (= Conyza ssp.), Oenothera ssp. e Ambrosia coronopifolia (vedi Appendice I). Nel caso di Carpobrotus acinaciformis/c. edulis, si è preferito mantenere le due entità anche se esistono problemi tassonomici non ancora risolti (Akeroyd & Preston 1990; Suehs et al. 2004). Dal XIX secolo, infatti, C. acinaciformis e C.edulis sono stati tradizionalmente distinti come due specie ben distinte nel Bacino del mediterraneo, distinguibili solo per pochi caratteri dei fiori, delle foglie e degli internodi. Entrambe sono glabre e carnose con fusti striscianti erbacei lunghi fino a parecchi metri (Pignatti 1982); tuttavia alcuni studi sulla loro sistematica (Akeroyd & Preston 1990) considerarono C. acinaciformis come una variante con fiore rosa-violaceo (var. rubescens) del C. edulis; questo è stato confermato anche dal lavoro di Suehs et al. (2001) in cui è stato osservato che gli individui di C. acinaciformis delle isole Bagaud erano il risultato di una ibridazione tra C. acinaciformis ed C. edulis delle naturali popolazioni del Sud Africa quindi definirono questi individui ibridi come C. affine acinaciformis. Anche studi effettuati sulle popolazioni introdotte in California hanno accertato la possibilità di una facile ibridazione tra le specie di questo genere (Albert et al. 1997). A causa, quindi, della loro ambiguità tassonomica in questa parte della ricerca di natura tassonomica si continua a considerarli come distinti. 84

99 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Alle classi causali, naturalizzate ed invasive abbiamo aggiunto anche quella che comprende le specie esotiche coltivate; si tratta di 8 specie (circa il 12% delle esotiche totali) quasi tutte di origine americana o asiatica tra cui ricordiamo: Albizzia julibrissin, Morus alba, Prunus domestica subsp. domestica e Popolus canadensis. Un'altra classe, infine, aggiunta è stata quella delle specie esotiche dubbie, cioè di quelle specie per le quali è dubbio il loro status di esotiche. In questa categoria sono state incluse due specie: Arundo donax e Xantium orientale subsp. italicum. La prima è una graminacea di origine asiatica che stata introdotta nel Mediterraneo da lungo tempo per costituire barriere e per utilizzare i culmi, simili al bamboo; è da molti considerata ormai una archeofita ad ampia distribuzione (cosmopolita) essendo attualmente diffusa nelle aree tropicali e subtropicali di tutto il mondo. L altra specie, Xantium orientale subsp. italicum (= X. strumarium subsp. italicum), secondo alcuni autori (Weber 2003) potrebbe essere una nuova entità evolutasi nell Europa meridionale e il cui preciso areale nativo sarebbe ancora sconosciuto; essa si sarebbe sviluppata dallo Xanthium strumarium, specie di origine nordamericana e di antica introduzione in Europa (anch essa probabilmente un archeofita secondo Poldini et al. 2001). Alcune specie esotiche (26 entità circa il 39% delle esotiche totali) sono risultate comuni a entrambi i versanti costieri; e di queste entità 15 sono comuni a tutte e tre le regioni. Tra queste specie censite su entrambi i versanti, alcune sono state trovate sulle dune come Carpobrotus acinaciformis, C. edulis, Agave americana presenti soprattutto sulla costa laziale e Xanthium orientale subsp. italicum, Arundo donax e Cuscuta scandens subsp. cesattiana, presenti soprattutto sulla costa molisana e abruzzese; ma anche di specie introdotte per i rimboschimenti litoranei come Elaeagnus angustifolia, Eucalyptus camaldulensis o frequenti in prossimità di siepi o case come il Pittosporum tobira, Phoenix canariensis e Opuntia ficus-indica o in ambienti più ruderali come Erigeron ssp., Oxalis articulata e Robinia pseudacacia. Esotiche presenti solo lungo il litorale tirrenico sono risultate alcune specie introdotte per fini ornamentali come le già menzionate Yucca gloriosa, Gazania rigens, Aptenia cordifolia, Mirabilis jalapa, Lantana camara e Aloe barbadensis o per rimboschimenti come Acacia melanoxylon. Le specie esotiche presenti solo sul litorale molisano sono risultate essenzialmente legate ai rimboschimenti, come la diffusa Acacia saligna e il Cupressus semprervirens; tra le specie, invece, campionate sulla duna ricordiamo Xanthium spinosum. Ben 15 specie esotiche sono state censite solo in Abruzzo; tra queste ricordiamo due specie del genere Oenothera, Oenothera suaveolens e O. adriatica, ma anche di specie quali Commelina communis, Artemisia verlotiorum, Ligustrum lucidum, Amaranthus retroflexus, Ambrosia coronopifolia, Cortaderia selloana e alcune specie coltivate come Populus canadensis e Morus alba. Due sono le specie esotiche esclusive della costa molisana-abruzzese: Oenothera biennis, specie di origine americana molto frequente sulle dune adriatiche e Amorpha fruticosa, anch essa di orgine americana che si sviluppa negli ambienti più umidi del retroduna. 85

100 Parte 2 Per quanto riguarda le forme biologiche delle specie esotiche censite, dal seguente spettro biologico (Fig. 2.18) si può osservare che le più rappresentate sono le fanerofite (circa 39%) e le terofite (25,4%), seguite dalle geofite (16,4%). Nello stesso spettro, però, vengono riportate anche le percentuali delle forme biologiche delle sole specie native, dominate, a differenza delle esotiche, dalle terofite (42,4%) e dalle emicriptofite (29,3%). Per comprendere questo differente comportamento a livello di tipi biologici tra la componente nativa e quella esotica, abbiamo suddiviso quest ultima sulla base delle categorie di invasività e, quindi, calcolato lo spettro biologico delle esotiche in base al loro status (Fig. 2.19), escludendo le coltivate e le dubbie. Fig Spettro biologico delle specie esotiche e delle native a confronto % ,4 25,4 16,4 11,4 29,3 7,5 4,4 7,5 3,2 4,5 9,3 38,8 0 T G H Ch NP P Native Esotiche Fig Spettro biologico delle specie esotiche in base al loro status di invasività % T G H Ch NP P Esotiche casuali Esotiche naturalizzate Esotiche invasive Si è osservato che un elevata percentuale di fanerofite riguarda fondamentalmente le aliene casuali (38%) a anche le specie coltivate che qui non sono state indicate, introdotte a scopo ornamentale o per i rimboschimenti. Potremmo dire che, quindi, l elevata presenza di fanerofite tra le specie esotiche causali non sarebbe dovuta ad una strategia adattativa. Mentre si è osservato che le aliene invasive sono principalmente terofite (36%) e in minor misura emicriptofite (27%) oppure camefite (18%). 86

101 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Infine, per quanto riguarda la provenienza delle specie esotiche, cioè il loro areale di origine, è emerso che l America rappresenta il continente di origine per il maggior numero di esse con una buona presenza di elementi tropicali (circa 27%) e extratropicali (22%), seguito dall Asia (circa 21%) e dall Africa (13%) (Fig. 2.20a-b). Tra le specie di origine asiatica ricordiamo Ailanthus altissimus, Artemisia verlotiorum, Dichondra micrantha, Ligustrum lucidum, Pittosporum tobira e Lonicera japalonica. Australia 7% Africa 13% Altri paesi 6% Asia 21% Dubbie 3% America 50% Amer.extratrop. 22,4 Amer.trop. 26,9 Asia 20,9 Africa 13,4 7,5 Australia Altri paesi 6,0 Dubbie 3,0 Fig a) Origine delle specie esotiche censite; b) Spettro con la distinzione della componente americana tropicale ed extratropicale. Tra le specie di origine africana predominano le Aizoaceae; si tratta di specie succulente introdotte soprattutto a scopo ornamentale. Il caso più noto è la diffusione del genere Carpobrotus ssp. (fico degli ottentotti), di cui abbiammo accennato a proposito dei problemi tassonomici. Questa specie, spesso utilizzato nelle opere di consolidamento dunale è una pianta succulenta, che si accresce formando fitti tappeti sulle sabbie o sulle rocce e sottraendo spazio vitale alle specie autoctone. È risultata molto invasiva sulle coste laziali a differenza di quelle molisane; è quasi del tutto assente sulle coste abruzzesi (vedi cartina pag. 89). In seguito, come per lo spettro biologico, anche per quello indicante gli areali d origine delle specie esotiche, è stato considerato lo status di invasività delle esotiche e ricostruito un nuovo spettro che evidenziasse il comportamento di ciascuna categoria. La Fig mostra la dominanza di specie di origine americana sia nelle casuali che nelle invasive che in quello naturalizzate; si evidenzia, però, come le specie invasive siano rappresentate solo da specie di origine americana e africana comprendendo Agave americana e le specie del genere Erigeron, Oenothera, Carpobrotus; le naturalizzate e le causali, invece, includono specie provenienti anche da altri continenti. 87

102 Parte % Fig Spettro relativo all areale originario delle specie esotiche in base al loro status d invasività. 0 America Asia Africa Australia Altri paesi Dubbie Esotiche casuali Esotiche naturalizzate Esotiche invasive Distribuzione di alcune specie esotiche lungo le coste tirreniche ed adriatiche Nella parte seguente riportiamo alcune cartine di distribuzione delle specie esotiche più comuni e invasive degli ambienti dunali esaminati. Agave americana L. Il genere Agave è formato da un gruppo di piante a rosetta con foglie succulente endemiche del Nuovo Mondo; esse sono native del Nord America, dell America Centrale, dei Caraibi e del Sud America. Agave americana è stata introdotta in Italia nel secolo XVI e poi nel resto del Mediterraneo. In Italia centro-meridionale è diffusa negli incolti, negli uliveti, nei coltivi e sul bordo di strade, dove si propaga per via vegetativa (Pignatti 1982). Essa è considerata aliena invasiva in Europa meridionale, nelle isole del Mediterraneo, in Africa meridionale, nelle Canarie e nelle Azzorre (Weber 2003). Nelle zone dove si comporta da invasiva, come negli ambienti costieri della costa tirrenica, la pianta persiste a lungo e si riproduce grazie ad abbondanti e robusti stoloni; in questo modo un singolo individuo può formare un popolamento denso e impenetrabile danneggiando la vegetazione autoctona. Inoltre questa specie presenta metabolismo di tipo CAM (Badano & Pugnaire 2004), è molto resistente allo stress idrico e mostra una grande adattabilità ai diversi tipi di suolo (Weber 2003). 88

103 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Carpobrotus acinaciformis/edulis Il genere Carpobrotus (Aizoaceae) è composto da specie perenni succulente con una crescita prostrata e strisciante, foglie a forma triangolate e frutti carnosi indeiscenti con un aroma dolce (Wisura & Glen 1993). Esso comprende approssimativamente 25 taxa che si trovano soprattutto in Africa, Australia, Nuova Zelanda, Cile, Messico e California. Almeno 4 specie non native di Carpobrotus sono presenti nel Bacino del Mediterraneo. Lungo le coste Mediterranee dell Italia, e quindi nelle aree costiere da noi censite, sono presenti probabilmente due specie C. acinaciformis ed C. edulis introdotte inizialmente per fini ornamentali e poi piantate per la stabilizzazione delle dune e dei versanti. Densi tappeti di Carpobrotus possono effettivamente trattenere le particelle di sabbia e argilla e limitare il potere erosivo. Nell arco di pochi anni, però queste specie si diffondono e invadono le comunità delle coste (Suehs et al. 2001). Esse, infatti, formano larghe, monospecifiche e continue patches, escludendo le specie delle comunità native, quindi minacciano le specie native delle coste mediterrnaee. Gli stoloni, divenendo legnosi quando si propagano, formano spessi (fino a 50 cm in altezza) e ampi (fino a 20 m in lunghezza) tappeti in cu nessuna o poche specie possono crescere. La caratteristica dei Carpobrotus è quella di presentare, quindi, un efficace riproduzione vegetativa che si caratterizza, peraltro, contrariamente a quello che di solito accade, da un elevata diversità genetica; a questa, però, si accompagna anche una riproduzione sessuale producendo centinaia di semi dispersi soprattutto da roditori e uccelli (endozoocoria). La propagazione vegetativa permette a queste specie di coprire completamente i suoli nudi, si strisciare su piccoli arbusti e di pendere lungo la parete delle scogliere. La rapida estensione di questi taxa può indurre gravi estinzioni di specie native di grande valore; per esempio minacciando molte specie rare, le specie endemiche come i Limonium sulle isole Baleari (Vilà & Muñoz 1999) o intere comunità (crucianelleto lungo litorale laziale). Per questo sono considerate specie modificatrici del paesaggio e della vegetazione costiera in ambito mediterraneo. Le specie di Carpobrotus invadono l avanduna, le fasce ricche di specie alofite, il retroduna, i versanti rocciosi costieri, i prati, le macchie basse costiere principalmente su terreni silicei. Ben 21 comunità vegetali incluse nella Direttiva Europea Habitat (Direttiva 92/43/EEC) e almeno 26 specie di valore patriomoniale (24 protette e 7 endemiche) sono localmnente minacciate dall invasione del Carpobrotus (Suehs et al. 2001). C. acinaciformis ed C. edulis sono considerate aliene invasive in Europa meridionale, nelle isole del Mediterraneo, nelle isole britanniche, in Australia, in California, nelle Azzorre, nelle isole dell Atlantico meridionale; sono considerate aliene non invasiva in Africa settentrionale, in Nuova Zelanda, negli USA sud-orientali, nelle isole di Capo Verde e nelle isole Canarie (Weber 2003). In numerose aree della Penisola Iberica sono in corso progetti di eradicazione finanziati dal Programma LIFE dell Unione Europea (Scalera & Zaghi 2004). 89

104 Parte 2 Le specie del genere Erigeron (ex Conyza) censite lungo le coste delle tre regioni costiere sono E. canadensis, E. bonariensis e E. sumatrensis. Si tratta di Asteracee di origine americana; sono specie antropofile che beneficiano del disturbo antropico.la cartina ne dimostra la distribuzione complessiva sulle coste esaminate. La più diffusa è E. canadensis, originaria delle praterie del Nord America.Si tratta di una specie dotata di una notevole capacità invasiva; essa è capace di produrre un elevatissimo numero di semi ( per ogni pianta di buone dimensioni), che per la loro leggerezza e facilità di dispersione le hanno permesso di invadere ampi territori. Lungo le coste censite è presente soprattutto nel retroduna; sulla costa molisana invade anche nell ammofileto. Erigeron ssp. Oenothera ssp. Nelle aree costiere esaminate, in particolare sul versante adriatico, sono state censite tre specie appartenenti al genere Oenothera, di cui sopra si riporta la distribuzione complessiva: O. biennis, O. suaveolens e O. adriatica. Il range nativo delle specie del genere Oenothera è confinato nel Centro, Nord- Sud America; non ci sono prove della loro presenza nel Vecchio Mondo prima del 1492 (Dietrich et al. 1997). Attualmente sono circa una quarantina le specie di Oenothera individuate dagli autori europei, soprattutto nella regione tedesco-polacca; in parte si tratta di specie di introduzione Nordamericana ed in parte di specie derivate da incroci con entità già stabilizzate in Europa (Soldano 1993). Sono soprattutto, come nel nostro caso, specie bienni che si riproducono sessualmente mediante semi. Esse si insediano in modo efficace su siti disturbati che mancano di copertura vegetale (Mihulka et al. 2001; 2003). Infatti, il ciclo di vita bienne è ben adatto alla colonizzazione di habitat aperti e irregolarmente disturbati; queste specie, quindi, hanno un grande successo negli ambienti sinantropici, sebbene nell area di studio siano stati osservati anche in situazioni di elevata naturalità. 90

105 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Ambrosia coronopifolia Torr. & A. Gray Specie originaria del Nord America. Introdotta accidentalmente in Europa, si è ampiamente diffusa anche nella regione Mediterranea. Cresce suoli temporaneamente umidi a trama leggera. È stata censita solo lungo il litorale adriatico, in particolare lungo la costa abruzzese dove invade le aree retrodunali. 5.3 SPECIE RARE E VULNERABILI DELLE COSTE SABBIOSE DELL ITALIA CENTRALE Dopo aver esaminato la componente esotica, la nostra attenzione si è focalizzata sulla componente a rischio, cioè su quelle specie rare e vulnerabili che crescono sulle coste italiane esaminate. Come detto in precedenza, accanto al nome di ogni entità censita è stato indicato anche lo status di tutela secondo le categorie IUCN, utilizzando il Libro Rosso delle Piante d Italia (Conti et al. 1992), le Liste Rosse Regionali delle piante d Italia (Conti et al. 1997) il recente Atlante delle specie a rischio d estinzione (Scoppola & Spampinato 2005). Sono state censite mediante il censimento floristico effettuato 67 specie a rischio per almeno una delle tre regioni esaminate (vedi Appendice II). A queste specie bisogna aggiungere Convolvulus cneorum (status LR), censita nel Lazio e compresa tra le specie a rischio per l intero territorio italiano (Scoppola & Spampinato 2005). L Abruzzo è la regione con il maggior numero di specie a rischio, seguita dal Molise e dal Lazio (Tab. 2.6). Tab Numero di specie a rischio censite nelle tre regioni esaminate ed incluse in Conti et al Le categorie IUCN sono: EW = extinct in the wild = CR = critically endangered; EN= endangered; VU= vulnerable; LR=Lower risk; DD= data deficient. Cat. IUCN LAZIO ABRUZZO MOLISE EW 2 CR 6 EN VU LR DD 1 Totale Brevemente ricordiamo alcune delle specie incluse in ciascuna categoria. Tra le specie gravemente minacciate (CR) sono state censite per l Abruzzo Anthemis maritima, Polygonum 91

106 Parte 2 maritimum, Pancratium maritimum e Sarcocornia perennis. Tra le specie minacciate (EN) sono state rilevate: Aeluropus littoralis, Malcolmia nana, Puccinellia festuciformis, Artemisia caerulescens subsp. caerulescens, Alkanna tinctoria subsp. tinctoria e Sarcocornia fruticosa per il Molise, Romulea rollii per il Lazio e Ammophila arenaria subsp. australis, Ambrosia maritima, Juncus littoralis, J. maritimus, Phleum arenarium subsp. caesium, Calystegia soldanella, Eryngium maritimum, Sporobolus virginicus, Echinophora spinosa e Euphorbia paralias per l Abruzzo. Infine, tra le specie Vulnerabili (VU) sono state censite Malcolmia nana, Suaeda vera e Sarcocornia fruticosa per il Lazio; Chamaesyce peplis, Cyperus capitatus, Erodium laciniatum subsp. laciniatum e Euphorbia terracina per l Abruzzo e Ambrosia maritima, Atriplex portulacoides, Pancratium maritimum e Otanthus maritimus subsp. maritimus (=Achillea maritima subsp. marittima) per il Molise. Le famiglie tassonomiche più rappresentate sono risultate le Poaceae (16,4%) seguite dalle Asteraceae (9%) e Cyperaceae (9%) (Fig. 2.22). Più del 50% delle specie a rischio è rappresentato da famiglie con meno di 4 specie. I generi maggiormente rappresentati sono Carex e Juncus con tre specie seguiti da Allium, Asphodelus, Atriplex, Euphorbia, Polypogon e Puccinellia con 2 specie ,7 50 Fig Spettro delle famiglie tassonomiche delle entità a rischio d estinzione censite nelle tre regioni costiere. % ,4 9,0 9,0 6,0 6,0 0 Poaceae Asteraceae Cyperaceae Liliaceae Chenopodiaceae Altre In seguito, anche per le specie a rischio è stato realizzato uno studio ecologico-strutturale e fitogeografico calcolando gli spettri corologici e biologici per i quadranti laziali, abruzzesi e molisani campionati. Dall analisi dello spettro biologico complessivo (Fig. 2.23) è emersa la predominanza di emicriptofite (31,3%) seguite dalle terofite e geofite, entrambe con una percentuale del 25,4%; poco rappresentate sono le altre forme biologiche % ,3 25,4 25,4 9,0 6,0 3,0 T G H Ch NP P Fig Spettro biologico delle specie a rischio censite nelle tre regioni costiere. 92

107 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Per quanto riguarda l aspetto corologico, è emerso il predominio delle specie Mediterranee, che nel complesso rappresentano circa il 63% delle specie a rischio censite (Fig. 2.24). Le Steno-Mediterranee rappresentano il 34,3%, mentre le Euri-Mediterranee raggiungono circa il 24%; una buona percentuale, poi, è costituita dalle Cosmopolite (19,4%) ,3 Fig Spettro corologico delle specie a rischio censite nelle tre regioni costiere. % ,9 19, ,5 7,5 1,5 6,0 3,0 0 Steno-Medit. Euri-Medit. Medit. Eurasiat. Cosmop. Boreali Atlant. Endem. Infine, è stato realizzato un grafico (Fig. 2.25) in cui abbiamo riportato la tipologia di ambiente in cui le specie a rischio sono state censite lungo le aree costiere esaminate. Si è osservato come le specie a rischio siano principalmente legate agli habitat di spiaggia e di duna (31%) e a quelli umidi che si sviluppano soprattutto nel retroduna (ca. 46%). Incolti-ruderi 13% Prati retrodunali 6% Spiagge-dune 31% Macchie-garighe 4% Fig Ripartizione per tipo di ambiente delle specie contenute nelle liste rosse regionali delle aree costiere studiate. Ambienti umidisalmastri 46% Distribuzione di alcune specie a rischio lungo le coste tirreniche ed adriatiche Nella parte seguente riportiamo alcune cartine di distribuzione delle specie a rischio più tipiche degli ambienti dunali e quelle che presentino un certo interesse dal punto di vista biogeografico. 93

108 Parte 2 Ammophila arenaria (L.) Link subsp. australis (Mabille) Laínz EN Otanthus maritimus (L.) Hoffmanns. & Link subsp. maritimus EW VU Pancratium maritimum L. CR VU 94

109 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Romulea rollii Parl. EN EN VU Echinophora spinosa L. EN LR Anthemis marittima L. CR 95

110 Axis 2 Axis 2 Parte CONFRONTO FLORISTICO TRA VERSANTI COSTIERI: IL TIRRENICO E L ADRIATICO La flora complessiva Per analizzare i dati floristici ottenuti dai quadranti censiti lungo la costa laziale, rappresentativa del versante tirrenico e quella abruzzese- molisana, rappresentativa, invece, del versante adriatico, abbiamo applicato alla matrice 820 specie x 72 quadranti, una PCoA. Il risultato ottenuto è stato un ordinamento in cui sul piano fattoriale venivano indicati i quadranti (Fig. 2.26a). a 0,3 0,2 Q.n 52L Q.n 54L Q.n 51L Q.n 53L Q.n 31L Q.n 16L Q.n 33L Q.n 14L Q.n 55L b 0,3 0,2 Tirreno Adriatico 0,1 0-0,1 Q.n 13L Q.n 47L Q.n 50L Q.n 2A Q.n 6A Q.n 25A Q.n 15A Q.n 16A Q.n 14A Q.n 13A Q.n 2M Q.n 7A Q.n 21A Q.n 49L Q.n 28L Q.n 15L Q.n 6L Q.n 27L Q.n 32L Q.n 56L Q.n 37L Q.n 8L Q.n 7L Q.n 29L Q.n 38L Q.n 40L Q.n 18L Q.n 39L Q.n 17L Q.n 5L Q.n 35L Q.n 41L Q.n 21L Q.n 4M Q.n 36L Q.n 3L Q.n 42L Q.n 26L Q.n 24L Q.n 30L Q.n 20L Q.n 4L Q.n 23L Q.n 2L Q.n 48L Q.n 19L Q.n 25L Q.n 1L 0,1 0-0,1-0,2 Q.n 8A Q.n 9A Q.n 23A Q.n 24A Q.n 12A Q.n 27A Q.n 1A Q.n 26A Q.n 1M Q.n 3M Q.n 6M Q.n 8M Q.n 7M -0,2 Q.n 4A Q.n 5A -0,3-0,2-0,1 0 Axis 1 0,1 0,2-0,3-0,2-0,1 Axis 1 0 0,1 0,2 Fig Ordinamento ottenuto mediante la PCoA dei quadranti censiti sulla base della presenza/assenza delle specie. a) ordinamento con il numero originario dei quadranti; b) ordinamento in cui è stata evidenziata l appartenenza dei quadranti ai due versanti. Sebbene la flora costiera sia generalmente riconosciuta come avere un ampia distribuzione (Géhu et al. 1989), si è osservato una chiara differenziazione tra i quadranti del Tirreno e dell Adriatico; cioè, essi risultano chiaramente separati, come è possibile notare meglio nella Fig. 2.26b in cui abbiamo indicato i plots dei due versanti con cerchi di diversi colori. Queste differenze potrebbero essere dovute a vari fattori, tra i quali soprattutto quelli di tipo fitogeografico e climatico. Per esempio si potrebbe ipotizzare che sulla costa adriatica le specie vegetali sono più capaci di sopportare inverni freddi e estati calde e secche, per il clima più temperato rispetto a quello del tirrenico. Per questo motivo, una prima indagine ha riguardato il confronto tra le forme biologiche delle specie censite nei plot dei due versanti, indicative degli adattamenti al tipo di clima; in seguito abbiamo focalizzato la nostra attenzione sullo studio degli aspetti corologici. 96

111 % Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Lo spettro biologico (Fig. 2.27) dimostra la presenza di una maggiore percentuale di emicriptofite sulla costa adriatica (circa il 30%) rispetto a quella tirrenica (circa 22%), dove, invece, è si è registrata una maggiore presenza di terofite (44%) e fanerofite (circa 14%). 50 Fig Confronto tra gli spettri biologici delle specie censite sue due versanti costieri, tirrenico e adriatico T G H Ch NP P Totale Tirrenico Adriatico Analizzando questo dato mediante un test statistico, il t-test, che ha considerando le percentuali delle forme biologiche per ciascun plot, si è osservato che solo le emicriptofite sono significativamente differenti tra i due versanti; le differenze riguardanti gli altri tipi biologici, invece, non sono significative (Tab. 2.7) Forma biologica Versante Mean and SE t Sig. T Ch H Adriatico Tirrenico Adriatico Tirrenico Adriatico Tirrenico ± ± ± ± ± ± n.s. n.s. ** Tab.2.7 Confronto mediante t--test delle forme biologiche delle specie censite nei quadranti dei due versanti costieri (adriatico e tirrenico). G Adriatico Tirrenico 3.06 ± ± n.s. P Adriatico Tirrenico 9.84 ± ± n.s. Dal punto di vista corologico è stato compiuto lo stesso procedimento. Dapprima, infatti, abbiamo calcolato lo spettro sulla base delle specie censite nei due versanti, e poi elaborato i dati relativi alle frequenze dei corotipi per ciascun plot mediante un t-test. Lo spettro dimostra una maggiore presenza di Mediterranee (circa 27%; esse includono le Euri-, Stenoe Medit.) e di esotiche (8,4%) sulle coste tirreniche rispetto a quelle adriatiche dove si è osservata una maggiore percentuale di Eurasiatiche (circa 20,3%), Cosmopolite (12,6%) e Boreali (5,3%) (Fig. 2.28). Mediante il t-test (Tab. 2.8) che considera come dati le frequenze dei corotipi all interno di ciascun plot e non le percentuali dei corotipi delle specie censite separatamente lungo i due versanti, si è osservato che nessuna delle differenze osservate nello spettro risulta significativa a livelli statistici; l unico tipo corologico significativo è 97

112 % Parte 2 risultato quello delle atlantiche, che sono più frequenti nei plots tirrenici rispetto a quelli adriatici. Fig Confronto tra gli spettri corologici delle specie censite sue due versanti costieri Medit. Eurasiat. Cosmop. Esotiche Boreali Atlantiche Endem. Totale Tirreno Adriatico COROTIPO Versante Means ( ± SE) t Sig. Medit. Eurasiat./Boreali Cosmop. Adriatico Tirrenico Adriatico Tirrenico Adriatico Tirrenico ± ± ± ± ± ± , ,89 n.s. n.s. n.s. Tab Confronto mediante t- Test dei corotipi delle specie censite nei quadranti dei due versanti costieri (adriatico e tirrenico). Atl. Adriatico Tirrenico 1.95 ± ± *** Esotiche Adriatico Tirrenico 9.85 ± ± ,71 n.s La componente esotica In seguito, il nostro confronto tra i due versanti costieri analizzati ha diretto la sua attenzione verso la componente esotica. Anche in questo caso abbiamo considerato prima l aspetto relativo alle forme biologiche e poi quello dei paesi d origine delle esotiche censite nei plots dei due versanti. Nel primo caso, si è osservata, tra le esotiche, la dominanza in tutti e due i versanti delle fanerofite e delle terofite sulle altre tipologie; nel confronto, però, si è notata una maggiore percentuale di camefite (circa 11%) e geofite (circa 20%) sulla costa tirrenica rispetto a quella adriatica, dove, invece, si registra una maggiore percentuale di emicriptofite (circa 11%), di terofite (circa 30%) e di fanefofite (circa 37%) (Fig. 2.29); in quest ultimo caso ciò è dovuto alla maggiore presenza sul litorale adriatico di specie utilizzate per rimboschimenti litoranei o per fini ornamentali. La Tab. 2.9 del t-test conferma in parte queste considerazioni, riportando la significatività solo per le terofite e le emicriptofite, più frequenti sul litorale adriatico, e per le camefite, più frequenti su quello tirrenico. 98

113 % Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Fig Confronto tra gli spettri biologici delle specie esotiche censite sue due versanti costieri, tirrenico e adriatico T G H Ch NP P Totale Tirreno Adriatico Forma biologica Versante Mean and SE t Sig. T Adriatico 6,22 ± 1,85 Tirreno 3,02 ± 0,46 Ch Adriatico 0,23 ± 0,10 Tirreno 1,86 ± 0,32 H Adriatico 0,57 ± 0,16 Tirreno 0,00 ± 0,00 G Adriatico 1,52 ± 0,24 Tirreno 1,16 ± 0,26 NP/P Adriatico 1,77 ± 0,33 Tirreno 2,71 ± 0,42-2,12 * 3,69 *** -4,73 **** -0,89 n.s. 1,54 n.s. Tab Confronto mediante t- Test delle forme biologiche delle specie esotiche censite nei quadranti dei due versanti costieri (adriatico e tirrenico). Anche confrontando gli areali d origine delle specie esotiche censite lungo i due versanti esaminati, emergono alcune differenze significative. Dallo spettro corologico (Fig. 2.30) si può osservare, infatti, come si sia registrata una percentuale maggiore di entità provenienti dall America tropicale (28,3%) e dall Africa (17,4%) sulle coste tirreniche, mentre una maggiore percentuale proveniente dall America extra-tropicale (circa 27%) e dall Asia (17%) è stata riscontrata sulle coste adriatiche. Per esempio, le specie del genere Carpobrotus, originarie dalla regione del Capo, in Sud Africa, e Agave americana originaria del Messico, sono più diffuse lungo le coste tirreniche ma piuttosto rare sulle coste adriatiche. D altra parte, Oenothera ssp. e Ambrosia coronopifolia provenienti dall America extratropicale (Nord America) sono esotiche invasive molto diffuse sul versante adriatico. Questi risultati ci portano a ipotizzare un influenza climatica sulla distribuzione differenziale delle specie esotiche, supportata dalle caratteristiche più termofile delle aliene legate al versante tirrenico. 99

114 America extratrop. America tropicale Asia Africa Australia Altri paesi Coltivate Dubbie % Parte 2 Fig Confronto degli areali originari delle specie esotiche censite sui due versanti costieri (tirrenico e adriatico) Tirreno Adriatico Dalla Tab che riporta i risultati del t-test, si osserva come tra i due versanti vi sia in effetti, anche considerando le frequenze all interno dei plots, una significativa differenza per quanto riguarda l areale di origine delle specie esotiche; infatti quelle provenienti dall America extratropicale m (soprattutto Nord America) ma anche dall Australia sono più frequenti sulle coste adriatiche, mentre le specie di origine africana sono altamente più frequenti sulle coste tirreniche. ORIGINE ESOTICHE Versante Mean ± SE t Sig. America extratrop. America trop. Asia Adriatico Tirreno Adriatico Tirreno Adriatico Tirreno 31,65 ± 3,77 19,33 ± 3,06 15,60 ± 2, ± 1,93 19,15 ± 3,14 14,12 ± 2,35-2,49-1,45-1,26 * n.s. n.s. Tab Confronto mediante t-test degli areali di origine delle specie esotiche censite nei quadranti dei due versanti costieri (adriatico e tirrenico). Africa Adriatico Tirreno 4,66 ± 1,61 24,98 ± 2,92 4,77 **** Australia Adriatico Tirreno 6,22 ± 2,14 2,27 ± ,01 * Altri paesi Adriatico Tirreno 4,77 ± 1,31 6,47 ± 1,56 0,71 n.s. 5.5 RELAZIONE TRA LA RICCHEZZA DELLE SPECIE NATIVE E QUELLA DELLE SPECIE ESOTICHE Sovrapponendo la ricchezza specifica a ciascun plot dell ordinamento ottenuto mediante la PCoA, si osserva che oltre a disporsi in modo differenziato rispetto ai due versanti, i quadranti si dispongono anche secondo un gradiente della loro ricchezza specifica; infatti, si nota un aumento del numero di specie per plot con l aumentare dei valori dell asse 1 (Fig. 2.31). 100

115 Axis 2 Axis 2 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Lungo l asse 1, quindi si passa da plot poveri di specie, che talvolta coincidono con area in cui la zonazione costiera è stata quasi del tutto compromessa e quindi resa abbastanza povera di specie, a plot, in corrispondenza di valori elevati dell asse 1, ricchi di specie; in quest ultimo caso si tratta soprattutto di quadranti ricadenti in cui è possibile notare una zonazione quasi completa, oppure aree in cui sono presenti ampie comunità retrodunali ricche di specie, soprattutto dei prati annuali. In questo modo, il numero totale di specie potrebbe essere relativo all integrità e allo stato di conservazione della sequenza della vegetazione costiera. 0,3 0,2 a Q.n 52L Q.n 54L Q.n 51L Q.n 53L Q.n 31L Q.n 16L Q.n 33L Q.n 14L Q.n 55L 0,3 0,2 b < > 150 0,1 0-0,1 Q.n 13L Q.n 47L Q.n 50L Q.n 2A Q.n 6A Q.n 25A Q.n 15A Q.n 16A Q.n 14A Q.n 13A Q.n 2M Q.n 7A Q.n 21A Q.n 49L Q.n 28L Q.n 15L Q.n 6L Q.n 27L Q.n 32L Q.n 56L Q.n 37L Q.n 8L Q.n 7L Q.n 29L Q.n 38L Q.n 40L Q.n 18L Q.n 39L Q.n 17L Q.n 5L Q.n 35L Q.n 41L Q.n 21L Q.n 4M Q.n 36L Q.n 3L Q.n 42L Q.n 26L Q.n 24L Q.n 30L Q.n 20L Q.n 4L Q.n 23L Q.n 2L Q.n 48L Q.n 19L Q.n 25L Q.n 1L 0,1 0-0,1-0,2 Q.n 8A Q.n 9A Q.n 23A Q.n 24A Q.n 12A Q.n 27A Q.n 1A Q.n 26A Q.n 1M Q.n 3M Q.n 6M Q.n 8M Q.n 7M -0,2 Q.n 4A Q.n 5A -0,3-0,2-0,1 0 Axis 1 0,1 0,2-0,3-0,2-0,1 Axis 1 0 0,1 0,2 Fig a) Ordinamento ottenuto mediante la PCoA dei quadranti censiti sulla base della presenza/assenza delle specie con il numero originario dei quadranti; b) ordinamento in cui è stata evidenziata, con l utilizzo di cerchi di differenti dimensioni, la ricchezza specifica di ciascun plot. Ci siamo chiesti a questo punto se i plots più ricchi di specie fossero anche quelli che contenevano più specie esotiche. Mettendo in un grafico sugli assi la ricchezza delle specie native e quella delle esotiche, si è osservata, per ciascun plot, una buona correlazione tra le due componenti (Fig. 2.32). Il grafico di dispersione riporta, infatti, una relazione positiva tra le due ricchezze (coefficiente di determinazione R 2 =0,506). Sebbene il valore di R quadrato non sia elevata possiamo affermare che si nota la tendenza ad avere un maggior numero di specie esotiche nei plots più ricchi di specie. Infine, attraverso l uso di cartine ottenute in ambito GIS con il programma Arc View 3.1 (ESRI 2000), sono stati evidenziati i risultati ottenuti, permettendoci di visualizzare meglio la differenza tra i due versanti e di osservare quali sono i tratti costieri più ricchi a livello specifico, quali più ricchi di specie esotiche, di invasive o di specie a rischio (Fig. 2.32). Dalle cartine (Fig. 2.32) emerge che le specie esotiche (e le invasive) sono concentrate soprattutto sulla costa del Lazio centro-meridionale e su quella abruzzese settentrionale; le specie a 101

116 N. esotiche Parte 2 rischio sono più numerose nei quadrati del litorale adriatico, in particolare di quello abruzzese y = 0,0674x + 1,3262 R 2 = 0, N. native Fig Grafico che riporta la correlazione tra il numero di specie native e quello delle esotiche per plot. (Coefficiente di determinazione R 2 =0,506) a b c d Fig Cartine in cui i plots vengono classificati mediante gradazioni di colori in base al: a) numero totale di specie censite; b) numero di totale di specie esotiche; c) numero di specie a rischio di estinzione comprese nelle Liste Rosse Regionali (Conti et al. 1997); d) numero di specie esotiche invasive. 102

117 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale 6. DISCUSSIONI E CONCLUSIONI La flora complessiva Lo studio della diversità tassonomica degli ambienti costieri dell Italia centrale ha rilevato la presenza di una notevole ricchezza di specie, con ben 820 entità censite. È stata registrata una buona presenza di specie incluse nelle Liste Rosse Regionali come rare e vulnerabili; queste sono soprattutto specie che crescono sulle spiagge e dune, e negli ambienti umidi del retroduna. Nello stesso tempo, però, è stata rilevata anche una forte incidenza di specie esotiche che sono distribuite nei diversi habitat della zonazione costiera psammofila. La nostra attenzione si è focalizzata prima sulla caratterizzazione biologica e corologica dell intera flora censita, poi, sulla componente esotica e sulle entità a rischio di estinzione. Per quanto riguarda la componente nativa, si è osservato che tra le forme biologiche, le terofite predominano su entrambi i versanti costieri; la presenza di terofite è dovuta alla notevole aridità estiva che caratterizza il clima mediterraneo, ma anche alla presenza di ambienti antropizzati. Sulle coste adriatiche si è riscontrata una maggiore percentuale di emicriptofite, mentre su quelle tirreniche di fanerofite. Questo è dovuto essenzialmente alla presenza di una macchia mediterranea molto più sviluppata e frequente sui litorali tirrenici e che, invece, che in Abruzzo e Molise è ora totalmente assente o è limitata a poche aree. Dal punto di vista corologico, si è osservato che le specie Mediterranee nel loro complesso (Steno-Euri e Medit.) sono predominanti su entrambe le coste; la sola significativa differente tra i due versanti è relativa alla componente atlantica, maggiormente distribuita come atteso, lungo le coste tirreniche. Le specie esotiche e le specie native La componente esotica è presente lungo i litorali dell Italia centrale con una buona percentuale (8,5 %) pari a 67 entità censite; la maggior parte di esse sono, però, casuali, cioè esse si riproducono per poche generazioni ma non formano popolamenti stabili. Poche sono le specie che si possono considerare con una certa sicurezza invasive negli ambienti dunali. Tra queste si registra la forte minaccia costituita soprattutto da Carpobrotus ssp. e Agave sugli ecosistemi dunali tirrenici e Oenothera ssp., Erigeron ssp. e Ambrosia coronopifolia su quelli adriatici. Confrontando la componente nativa con quella esotica è emerso, a livello di forme biologiche, che le native sono soprattutto terofite ed emicriptofite, mentre le esotiche sono principalmente fanerofite. In realtà considerando lo status di invasività si è notato che un elevata percentuale di fanerofite è costituita dalle esotiche casuali; le esotiche invasive, invece, condividono le stesse forme biologiche delle native, sono, infatti, soprattutto terofite 103

118 Parte 2 ed emicriptofite. Nel caso delle terofite l elevata produzione di semi facilita la capacità di dispersione e di colonizzazione della specie. Le emicriptofite e le camefite invasive, invece, sono spesso rizomatose o stolonifere, adattamenti che promuovono una dispersione locale ma veloce (Acosta et al. 2007c). Infatti, anche se la propagazione vegetativa non garantisce una diffusione molto ampia, essa garantisce un insediamento ottimale, a poi una rapida espansione all interno di habitat idonei (Lloret et al. 2005) come siti disturbati di tutte le dune costiere. Queste caratteristiche legate alla capacità di dispersione e di occupazione degli spazi potrebbero spiegare perché alcune esotiche siano molto abbondanti e possano colonizzare diversi habitat dell ambiente costiero dunale. In precedenti lavori si è osservato che la propagazione (riproduzione) generativa è correlata con l invasività nelle specie perenni (Daehler 1998; Lloret et al. 2005). In altre parole, le aliene invasive sono in grado di invadere molto velocemente nuovi spazi dunali, utilizzando due strategie principali di dispersione, che vedremo meglio nella Parte 3 della ricerca: producendo un numero significativo di semi che garantiscono la sopravvivenza delle popolazioni (Ambrosia coronopifolia, Erigeron ssp., Cenchrus incertus) o avanzando per riproduzione tramite organi vegetativi come stoloni e rizomi (Carpobrotus, Agave). Il caso ben conosciuto è quello del Carpobrotus, di cui abbiamo abbondantemente parlato, e la cui distribuzione si concentra sulle coste tirreniche del Lazio, dove risulta particolarmente invasiva. Le specie esotiche, sono soprattutto di origine americana, come del resto è stato riscontrato per la Flora esotica italiana (Viegi et. al. 1974; Viegi et al. 1990; Scoppola & Blasi 2005). In base a questi lavori, l America e l Asia costituiscono i continenti di origine per il maggior numero di specie; è chiaro che gli intensi traffici commerciali che l Italia svolge con questi paesi e l apporto del turismo hanno giocato un ruolo predominante sulla diffusione delle specie. Inoltre, non dobbiamo dimenticare che l Italia per la posizione geografica che occupa nel Mediterraneo, lo sviluppo delle coste, la ricchezza delle isole, le variazioni altitudinali e climatiche offre alle entità vegetali che vi giungono un enorme variabilità ambientale (Viegi et. al. 1974). Alcune significative differenze, comunque, emergono dal confronto fra i due litorali considerati: su quello tirrenico si rinvengono con maggior frequenza le specie provenienti dall America tropicale (Agave, Opuntia ficus-indica) ma soprattutto da altre regioni a clima mediterraneo, in particolare dall Africa (Carpobrotus ssp., Aptenia), mentre su quello adriatico sono state censite soprattutto specie esotiche di origine extratropicale (Oenothera ssp., Ambrosia coronopifolia,..) ed australiana (Acacia saligna, Eucalyptus camaldulensis). Possiamo quindi, osservare una certa corrispondenza tra il clima delle aree di origine e quelle delle aree colonizzate dalle nuove specie esotiche invasive; sembrerebbe, cioè, che le specie esotiche più mesofite vanno a colonizzare le aree costiere più temperate (litorale adriatico), mentre quelle più termofite quelle con un clima più spiccatamente mediterraneo (litorale tirrenico). La nostra attenzione, in seguito, si è rivolta a comprendere se ci fosse una relazione tra la ricchezza di specie native e quella di specie esotiche per i plots complessivi censiti lungo i 104

119 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale due versanti. Dalla correlazione è emersa una relazione positiva (R 2 = 0,506), sebbene non molto elevata, tra le due ricchezze, concordando con quanto affermato in recenti lavori (Stohlgren et al. 1999; Sax 2002; Deutschewitz et al. 2003). Il problema della relazione tra ricchezza di specie vegetali native e ricchezza di specie vegetali esotiche è tuttora molto dibattuto nella comunità scientifica mondiale (Stohlgren et al. 1999; Fargione & Tilman 2005). La domanda che la comunità scientifica si pone è la seguente: le specie esotiche invadono più facilmente comunità ricche di specie o comunità povere di specie? Elton (1958) e in seguito Tilman (1997) e più recentemente Espinosa-García et al. (2004) hanno proposto che l invasione interessa maggiormente zone una bassa ricchezza di specie native piuttosto che zone con alta ricchezza specifica a causa delle intense competizioni con le specie esistenti. Secondo questa ipotesi della resistenza biologica (biotic resistance hypothesis), comunità con un alta ricchezza di specie sarebbero in grado di utilizzare le risorse limitanti in modo più completo, prevenendo l invasione di specie esotiche potenzialmente competitive (Mac Arthur & Wilson 1967; Tilman 1997). Comunità con bassa ricchezza di specie, invece, sarebbero più suscettibili alle invasioni perché, in accordo con la teoria della rete trofica (Drake 1991) e con la teoria della coevoluzione (Pimm 1984), queste comunità hanno una più semplice rete di relazioni interspecifiche e usano le risorse in modo meno completo. Altri lavori, a cui sembra potersi collegare il nostro risultato, hanno dimostrato, invece, una relazione positiva tra la ricchezza specifica e quella della componente esotica (e.g. Stohlgren et al. 1999; Sax 2002). Sembra che le comunità ricche di specie siano intrinsecamente instabili, con un turnover continuo delle specie presenti, facendo ipotizzare che si inseriscano anche specie esotiche al posto delle native. Il fatto che sia l invasività che la diversità delle specie native siano regolate nello stesso modo dallo stesso set di fattori (microclima, eterogeneità spaziale..) spiegherebbe perché si osservino spesso relazioni positive tra le specie native e quelle non native quando diverse comunità e aree sono confrontate. Una tale relazione positiva, comunque, sembrerebbe far riferimento a studi a scala di paesaggio, mentre per gli studi a scala locale ( neighbourhood scales; Levine 2000), varrebbe ancora la teoria su ricordata di Elton (1958). Secondo Huston & De Angelis (1994), inoltre, un grande numero di specie possono coesistere come risultato di un eterogeneità a bassa scala e dell interazione tra organismi per risorse variabili nello spazio e nel tempo. In questo scenario le specie esotiche vegetali potrebbero invadere e coesistere con un alto numero di specie native a condizione che la luce, l acqua e i nutrienti non siano risorse limitanti (Stohlgren et al. 1999). Queste osservazioni suggeriscono la possibilità che le comunità ricche di specie, quando ricevono un qualche tipo di disturbo, hanno più risorse disponibili, anche se temporaneamente, per le eventuali esotiche invasive. Alcuni autori hanno recentemente posto l accento sugli altri possibili fattori, oltre alla ricchezza specifica di autoctone, che potrebbero influenzare i processi di invasione, in larga parte ancora non noti, e sulle risposte specie-specifiche al disturbo nelle varie comunità, suggerendo quindi di evitare troppo estese generalizzazioni e di non dimenticare il particolare contesto di ogni singolo caso di studio (Stohlgren et al. 105

120 Parte ). Crawley et al e Davis et al. 2000, infatti, suggeriscono che non necessariamente ci siano relazioni tra l invasibilità di un comunità di piante e il numero di specie presenti in quella comunità. Inoltre secondo questi autori, la maggior parte degli effetti della diversità delle specie sull invasività si focalizza sul numero delle specie e non sull identità delle specie, che molte volte sono state determinanti per l interpretazione degli effetti osservati rispetto alla ricchezza stessa (Crawley et al. 1999). La ricchezza di specie può essere semplicemente troppo ampio come fattore per spiegare le differenze osservate nell invasibilità delle comunità. Altri fattori come il disturbo, la disponibilità di nutrienti, il clima possono covariare con la ricchezza. Tra gli altri un elemento da considerare è sicuramente quella che viene definita la pressione del propagulo (Williamson 1996): le invasioni sono più frequenti negli habitat accessibili alle specie trasportabili. Considerare, quindi, questi altri elementi, significa che la presenza di un elevato numero di specie esotiche potrebbe essere dovuto alla vicinanza di aree ad elevato impatto umano come strade, ferrovie o lungo corridoi di comunicazione ed essere, quindi, non principalmente collegato al numero di specie native o alla presenza di un certo disturbo. Anche nel nostro studio, la presenza di plots ricchi di specie native ma anche di esotiche potrebbe essere relativa proprio a questi fattori, che si sovrapporrebbero ad altri elementi di natura ecologica (competizione, nicchie vacanti). In generale, comunque, si è riscontrata una maggiore presenza d esotiche in ambienti particolarmente disturbati, per esempio presso i centri abitati oppure sulle spiagge dove le dune sono state pesantemente manomesse da interventi antropici, nelle aree di accesso al mare e nei dintorni di abitazioni, di stabilimenti e camping. In queste aree, dove sono assenti o scarsi i rapporti di competizione, le esotiche trovano la possibilità di affermarsi rapidamente e di avviare processi di colonizzazione. Il disturbo, infatti, è stato osservato come un elemento cruciale nel processo di insediamento delle specie esotiche (Kowarik 1995). Le specie a rischio di estinzione Per quanto riguarda la componente a rischio, è stata rilevata, come detto, una notevole incidenza di specie a rischio secondo la classificazione IUCN. Gli habitat costieri e gli ambienti retrodunali umidi, infatti, essendo tra i più vulnerabili, costituiscono gli ecosistemi elettivi di molte tra le specie maggiormente minacciate. Il numero più elevato di specie rare e vulnerabili è stato riscontrato nella regione abruzzese, come è stato possibile osservare nella Fig. 2.33c, e comunque, maggiormente lungo la costa adriatica rispetto a quello tirrenica. Nessuna specie è risultata a rischio contemporaneamente in tutte e tre le regioni esaminate (Lazio, Abruzzo e Molise). È inoltre, interessante notare come alcune specie tipiche dell ambiente dunale presentano una diversa categoria IUCN nelle tre regioni. È il caso, ad esempio, di Ammophila arenaria subsp. australis che non presenta alcun grado di minaccia nel Lazio e nel Molise, ma è inclusa tra le specie minacciate (EN) per l Abruzzo; oppure 106

121 Diversità floristica delle coste sabbiose dell Italia centrale Echinophora spinosa che non è inclusa tra le specie a rischio di estinzione per il Lazio, ma lo è per l Abruzzo (EN) e il Molise (LR). Altri esempi simili sono rappresentati da Ambrosia maritima, Euphorbia paralias ed E. terracina. I motivi delle differenze nell attribuzione dello status di criticità alle specie comuni ad almeno due regioni sono da ricercare o nelle differenti condizioni ambientali dei litorali indagati, o in una disparità di valutazione dovuta al diverso grado di aggiornamento delle Liste Regionali. Inoltre, spesso le categorie di rischio attribuite alle entità risentono della soggettività del responsabile scientifico regionale che ha curato la lista (Scoppola & Blasi 2005). Sono state emanate, inoltre, Leggi Regionali per la tutela di specie di particolare interesse, le cui liste tuttavia necessitano spesso di un aggiornamento sostanziale. Per il Lazio ricordiamo la L.R N.64/1974 nel cui elenco di specie da proteggere sono riportate Ammophila arenaria subsp. australis, Otanthus maritimus subsp. maritimus, Schoenus nigricans, Imperata cylindrica e Senecio leucanthemifolius. Per l Abruzzo troviamo la L.R N.45/1979 nel cui elenco di specie da proteggere sono riportate Ruscus aculeatus, Glycyrrhiza glabra e l endemica Verbascum niveum subsp. garganicum. Infine, per quanto concerne la regione molisana abbiamo la L.R N 9/1999 in cui troviamo tra le specie da proteggere: Crithmum maritimum, Pistacia lentiscus, Rubus ulmifolius, Glycyrrhiza glabra, Myrtus communis e Rosmarinus officinalis. La rarità osservata nella presente ricerca, di numerose specie legate agli ambienti dunali e retrodunali, particolarmente esposti al disturbo antropico diretto ed indiretto (es. Malcolmia nana, Alkanna tinctoria subsp. tinctoria, Romulea rollii), suggerisce di aggiornare le Checklist di riferimento nazionale delle entità a rischio. I dati floristici ottenuti mediante il censimento della presente ricerca, con le cartine di distribuzione delle singole specie, possono fornire un utile strumento per una maggiore oggettività nella compilazione delle Liste Rosse, per l individuazione di nuove entità dunali da tutelare e per un futuro riesame delle entità a rischio sulla base della versione 3.1 delle categorie e dei criteri IUCN. Concludendo possiamo affermare che la conoscenza della flora delle coste sabbiose è un importante fase per ogni programma di gestione monitoraggio di questi fragili ambienti. La costruzione di carte di distribuzione delle entità a rischio ci permette, infatti, di tutelare e preservare la biodiversità; mentre la realizzazione di carte di distribuzione delle specie esotiche invasive e non offre una grande piattaforma di dati per studi ecologici e fornisce una conoscenza di base da cui misurare il successo di futuri programmi di controllo. 107

122 PARTE 3 ANALISI DELLA DIVERSITÀ FUNZIONALE DELLE SPECIE NATIVE ED ESOTICHE DELLE COSTE SABBIOSE DELL ITALIA CENTRALE The invasion of natural communities by introduced species constitutes a major threat to biodiversity globally (Adair & Groves 1998)

123 Diversità funzionale delle specie dunali costiere 1. LA DIVERSITA FUNZIONALE E GLI AMBIENTI DUNALI Davanti alla recente e futura perdita della biodiversità, spiegare la relazione tra la diversità biologica e il funzionamento e la stabilità degli ecosistemi è diventato uno dei principali elementi delle ultime ricerche (Schulze & Mooney 1993; Vitousek et al. 1997). Infatti, l analisi della diversità funzionale in termini di plant traits e di Plant Functional Types (PFTs) ci permette di comprendere i sistemi esaminati in termini ecologici e di analizzarne i principali processi. L applicazione di uno studio funzionale degli ecosistemi terresti e marini è oggi divenuto molto comune soprattutto per il carattere che i tipi funzionali possono assumere di indicatori in risposta ai continui cambiamenti globali degli ultimi decenni. Comprendere il funzionamento degli ecosistemi ci permette anche di applicare corrette misure di gestione e di conservazione. Nella nostra ricerca abbiamo focalizzato l attenzione sui sistemi dunali costieri, ecosistemi tra i più vulnerabili a livello mondiale. Abbiamo già analizzato nella parte precedente l aspetto tassonomico della diversità, adesso ci occuperemo di quello funzionale. Tale studio è stato effettuato sempre considerando gli ecosistemi dunali mediterranei dell Italia centrale. In questa parte, però, largo spazio sarà dato anche allo studio funzionale della componente esotica. Infatti, le coste sabbiose del Mediterraneo, particolarmente soggette alle invasioni biologiche, sono ottimi ecosistemi per individuare le regole generali della colonizzazione da parte delle specie esotiche. Infatti, esse sono caratterizzate da tre aspetti principali che influenzano lo sviluppo dell invasione e incidono sulla caratterizzazione funzionale di tali ecosistemi: 1. sono ambienti dinamici sottoposti a forti condizioni di stress, nei quali la selezione è così intensa da costringere i popolamenti vegetali a forti specializzazioni ed adattamenti per superare le condizioni estreme cui sono sottoposti; 2. sono caratterizzati da un elevata ricchezza di specie, caratteristica che può fornire un certo grado di resistenza alla invasione; 3. sono segnati da una lunga storia degli interventi antropici che ha permesso alle specie invasive di stabilirsi con effetti importanti sui principali processi ecosistemici come la produttività primaria, la dinamica dei nutrienti e il flusso idrologico. Possiamo dire, quindi, che gli ambienti dunali presentano alcuni caratteri che potrebbero conferire loro una certa resistenza all invasività, ma anche aspetti, di cui parleremo in seguito, che li rendono, invece, più facilmente invasibili. Tra i primi possiamo menzionare l elevata ricchezza di specie che caratterizza la fascia costiera in quanto ambiente ecotonale. Secondo Elton (1958), la resistenza di una comunità aumenta proporzionalmente al numero di specie della comunità e quindi alla sua ricchezza di specie (biotic resistance hypothesis). Abbiamo visto, nella parte precedente, però, come questo valga, secondo recenti studi, a scala locale e non di paesaggio. Tra gli aspetti che conferirebbero agli ambienti dunali costieri 109

124 Parte 3 una certa resistenza possiamo ricordare anche la presenza di forti stress ambientali. Secondo Rodgers & Parker (2003), gli ecosistemi caratterizzati da forte stress ambientale, quali sono le dune costiere, sono più resistenti alle invasioni biologiche rispetto ad ecosistemi con stress meno intenso (Rodgers & Parker 2003). Secondo questi autori, in particolare, il disturbo antropico interagisce con gli stress ambientali nel determinare l abbondanza di specie esotiche. In ambienti dove il disturbo antropico riduce gli stress ambientali le esotiche hanno maggiori possibilità di insediarsi, al contrario, in ambienti dove il disturbo antropico comunque non altera il forte stress ambientale (come le dune costiere pioniere con forte salinità), quest ultimo funziona da barriera efficace per le specie esotiche che vi giungono (Rodgers & Parker 2003). Tra gli elementi, invece, collegati all invasibilità degli ecosistemi potremo menzionare proprio il disturbo antropico. Esso si manifesta sugli ambienti dunali in vari modi: calpestio, pulitura meccanica, livellamento geomorfologico; anche la frammentazione di questi ambienti è vista come una forma di disturbo a livello di paesaggio (Hobbs & Huenneke 1992); la frammentazione e la perdita di habitat, infatti, facilitano ed influenzano la diffusione delle specie invasive, creando numerose nicchie vacanti. 2. DIVERSITA FUNZIONALE E INVASIVITÀ DELLE SPECIE ESOTICHE 2.1 GLI ASPETTI GENERALI DELLE INVASIONI BIOLOGICHE Nowadays we live in a very esplosive world, and while we may not know where or when the next outburst will be, we might hope to find ways of stopping it or at any rate dampening rown its force ; così Charles Elton nel suo libro The ecology of animal and plant invasions (Elton 1958), che segnò l inizio di quella che si definì l ecologia delle invasioni (Rejmánek et al. 2005a). Il termine invasions, utilizzato da Elton, è stato molto criticato all inizio degli studi sulle specie esotiche per il suo senso militaristico, evocando l idea che l espansione delle specie esotiche porti aggressione e distruzione. Se pensiamo che gli studi sulle invasioni sono quasi esclusivamente concentrati sulle specie esotiche e che per le piante infestanti indigene si è proposto di utilizzare anziché il termine invader quello meno negativo di expanding ci rendiamo conto come nel mondo scientifico esistano pregiudizi e diffidenze, spesso non giustificati, verso la componente alloctona. Il temine invasions è ancora, in ogni modo, il termine più utilizzato negli articoli che si occupano delle specie non native. In questa parte saranno presentati i maggiori aspetti legati alla problematica dell invasione delle specie esotiche. Gli aspetti ecologici e genetici collegati alle invasioni di piante hanno rappresentato, negli ultimi due decenni, uno dei maggiori temi in ecologia a causa dei danni causati da certe specie invasive negli ecosistemi nativi (Williamson 1996). Molti differenti approcci sono stati 110

125 Diversità funzionale delle specie dunali costiere eseguiti per investigare le cause e i meccanismi delle invasioni biologiche e per predire, per quando possibile, il loro impatto. Williamson (2001) ha realizzato una lista di questi possibili elementi predittivi (predictors) che possono essere correlati, quindi, al successo di un invasione e gli ha classificati in: storici, relativi alla popolazione, e relativi al singolo individuo. Tra i primi egli ha incluso il precedente successo (previous success): che una specie con un certo impatto in una data area possa avere un simile impatto in un'altra area che è, per grandi linee simile, a livello ecologico, alla precedente, è stato considerato ampiamente come il migliore elemento predittivo (Williamson & Fitter 1996). In realtà recenti studi hanno attribuito a questo fattore una certa variabilità e parzialità nel predire un processo invasivo. Infatti, spesse volte specie vegetali si comportano in maniera differente quando vengono introdotte rispetto a quando sono native. Si può osservare che una specie altamente infestante in una determinata area lo sia, anche di più, in qualche altro luogo, ma è anche vero che una specie che non sia infestante o lo sia molto poco, altrove può comportarsi come una specie fortemente infestante (o invasiva). Un altro fattore che Williamson considerò come un elemento predittivo di tipo storico è quella che viene definita la pressione del propagulo (propagule pressure), a cui abbiamo precedentemente accennato. Questo aspetto fu sottolineato per la prima volta probabilmente da Simberloff (1986) e ripreso da Williamson (1996) ed è un importante variabile: le invasioni sono più frequenti negli habitat accessibili alle specie trasportabili. È un luogo comune che molte specie invasive sono trovate in habitat disturbati, ma non è sicuro concludere da questo, che tali habitat sono particolarmente vulnerabili o che tali specie sono invasori di successo. Un elevata presenza di esotiche in una determinata area potrebbe essere dovuta alla presenza di un fonte di emissione e di introduzioni di queste specie in aree vicine. Secondo Williamson (1996) la pressione del propagulo potrebbe spiegare, in molti casi, quasi tutti gli aspetti che sono stati attribuiti al disturbo. La pressione del propagulo sia nel tempo che nello spazio può influenzare in modo determinante la probabilità di invasioni da parte di specie aliene come dimostrato da diversi lavori (es. Kowarik 1995; Rouget & Richardson 2003; Kühn et al. 2004). Quando si studia l invasività a grandi scale (regioni, habitats, comunità) la pressione del propagulo è molto difficile da misurare per questo si utilizzano dei surrogati quantitativi come la grandezza e dimensione della popolazione umana, l ammontare del turismo (e dell attività economica (Richardson & Pyšek 2006). Modelli che prendono in considerazione questo elemento si stanno dimostrando marcatamente superiori rispetto a quelli che considerano solo i parametri ambientali per spiegare i patterns di distribuzione e l abbondanza delle invasive a scala regionale. Tra i migliori elementi predittivi del successo invasivo a livello di popolazione Williamson (2001) include la grandezza del range nativo delle specie esotiche: specie ampiamente distribuite sono quelle che probabilmente, più delle altre, riescono ad adattarsi ad un ampio range di situazioni e ad avere una migliore chance di essere disperse essendo presenti in molto luoghi (Rejmánek 1995; Godwin et al. 1999; Richardson & Pyšek 2006). Rejmánek 111

126 Parte 3 (2000) ha dimostrato che specie con un ampio range nativo in Europa dimostravano una diffusione molto grande in America, dove si comportavano da invasive, rispetto a quelli che avevano range nativi più piccoli. Sebbene ci siano eccezioni a questa regola generale per specie individuali, lo stesso carattere che permette a una specie di essere diffusa nel suo range nativo sembra essere anche favorevole per un suo successo invasivo. La grandezza del range occupato è, quindi, certamente una misura conveniente della versatilità ecologica, anche se costituisce da solo un elemento predittivo molto debole. A livello del singolo individuo Williamson (2001) include due importanti predictors: i caratteri morfologico-funzionali delle specie e le caratteristiche (climatiche, ecologiche) degli ambienti invasi. Questi due aspetti sono fondamentali per la comprensione dei processi di invasione da parte delle specie esotiche; infatti, rappresentano due delle questioni basilari affrontate dal programma internazionale SCOPE sorto negli anni 80 per lo studio delle invasioni biologiche; esse sono: 1) Quali specie sono invasive?(cioè quali caratteri determinano se una specie sarà o meno invasiva? ) 2) Quali habitat sono invasibili? (cioè quali proprietà dei siti determinano se un sistema ecologico sarà predisposto o resistente alle invasioni?) 3) Quale è l impatto delle specie invasive? Alpert et al. (2000) distinguono tre punti topici della problematica: invasiveness, invasibility e impact. Le questioni sul perché alcune specie sono invasori più efficienti di altri e sul perché alcuni ecosistemi sono più vulnerabili alle invasioni di altri, sono gli aspetti più cruciali nella biologica delle invasioni. Esse non sono indipendenti, ma secondo diversi autori dovrebbero essere considerate insieme; infatti, il processo di invasione è il risultato dell interazione tra set di attributi delle specie invasive e delle comunità o degli habitat invasi. Era noto già ai tempi di Salisbury (1942) che le specie che crescono in habitat diversi presentano caratteristiche differenti negli aspetti riproduttivi, in particolare nella grandezza del seme e nel numero dei semi. Ad esempio semi di piccole dimensioni sarebbero un carattere tipico delle specie che invadono certi habitat aperti. Noble (1989) nel suo lavoro analizzò proprio le relazioni tra le caratteristiche biotiche e abiotiche del sito occupato dalla specie esotica e i caratteri della pianta che influenzano il corso di una invasione; egli dimostrò come gli attributi delle piante invasive sono strettamente dipendenti dall ambiente. Molti studi approfonditi degli ultimi decenni hanno cercato, quindi, di creare un profilo delle specie invasive e dei sistemi che vengono invasi (Rejmánek 1989; Londsale 1999; Richardson & Pyšek 2006). 2.2 CARATTERISTICHE DELLE SPECIE INVASIVE La questione se sia possibile determinare un set di caratteri che predisponga una specie ad essere invasiva, è stato un tema centrale dall inizio dell ecologia delle invasioni come un 112

127 Diversità funzionale delle specie dunali costiere concreto campo di studio (Richardson & Pyšek 2006). La ricerca di certe caratteristiche delle specie invasive (Baker 1965; Noble 1989), è connessa con l ipotesi che le caratteristiche delle specie, cioè i plant traits, hanno una forte influenza sui processi invasivi: quindi, traits do matter. Si è cercato, così, di individuare i caratteri associati all invasività. Il primo tentativo fu quello di Herbert Baker (1965) che identificò i caratteri di una ideal weed (infestante ideale), ipotizzando un idea adesso considerata alquanto semplicistica. Baker (1965), infatti, definì un infestante una pianta che cresce interamente o principalmente in situazioni di evidente disturbo antropico (escludendo, ovviamente, le piante che sono volontariamente coltivate). Per lui, le infestanti includevano le piante che invadevano le aree agricole (agresti), e quelle che crescevano nelle aree incolte (ruderali), ma non c era nessun esplicito riferimento allo status delle specie se fossero native o esotiche. Forse sono state le due coppie di specie che egli utilizzò per documentare i caratteri delle infestanti rispetto a quelle non infestanti che hanno fatto considerare, ai successori, l ideale infestante di Baker come sinonimo dell invasore ideale (Pyšek & Richardson 2007). In seguito, altri hanno allargato la lista dei caratteri proposti per le specie invasive così da include aspetti fisiologici, demografici, genetici, biologici (Pyšek & Richardson 2007). I lavori pubblicati dopo il periodo di Baker hanno dimostrato che l identificazione dei caratteri delle specie associate con l invasività è difficile e complessa (Alpert et al. 2000), sebbene i plant traits siano ancora considerati come gli ingredienti principali per comprendere (e quindi) predire le invasioni. Molti studi sono stati effettuati per trovare differenze nelle caratteristiche biologiche tra le specie non invasive e quelle invasive o, almeno, tra le native e le non native in particolare flore. Sebbene si concluse che è impossibile identificare semplici elementi predittivi biologici e ecologici dei processi di invasione, si osservò che alcuni caratteri hanno più a che fare con l invasione che altri (Pyšek & Richardson 2007). Questi includono: alta variabilità genetica e plasticità fenotipica, poliploidia e /o capacità di ibridazione, tendenza per strategie di tipo competitivo C o ruderale R (Grime et al. 1988), alta fertilità, crescita veloce della popolazione, ciclo vitale semplice e breve, capacità di una collocazione appropriata delle risorse, abilità nella produzione di semi in un ampio range di fattori abiotici, tempi di germinazione e fioritura, efficace dispersione dei semi nel tempo e nello spazio e la capacità di una crescita vegetativa (Noble 1989; Williamson & Fitter 1996; Hodkinson & Thomson 1997). Quando si effettuano studi sui caratteri delle specie esotiche e sui confronti tra questi e quelli delle native o tra le esotiche invasive dalle altre esotiche non invasive, di solito si considerano anche altri elementi che possono influenzare i risultati ottenuti. Innanzitutto quello che viene definito il tempo di residenza". L analisi di pool di specie esotiche, ha dimostrato che le specie presenti da più tempo nel territorio in cui sono state introdotte sono probabilmente quelle che diventano più diffuse. Considerare questo nell esplorare l effetto netto dei caratteri richiede conoscenze precise sulle date di introduzioni e questi dati sono difficili da ottenere. Per questo è stato proposto il termine di minimum residence time (Rejmánek 2000; Rejmánek et al. 2005). Di solito le specie introdotte per fini di utilità come 113

128 Parte 3 per alimentazioni sono le prime, seguite dalla specie ornamentali e da quelle introdotte accidentalmente che sono le ultime. Un altro elemento da considerare è la scala di studio. Infatti l effetto di un dato carattere a diverse scale può essere molto differente. Inoltre, anche il tipo di approccio e di confronto è importante. Infatti la grandezza del seme può essere un elemento che identifica le specie native rispetto alle esotiche, ma se vado ad analizzare confronti all interno della sola componente esotica è possibile osservare che i semi piccoli sono quelli che promuovono l invasività; oppure, se effettuo uno studio a scala continentale osservo che la dispersione operata dall uomo è la modalità principale, mentre se considero le scale regionali osservo che entrano in gioco altre modalità di dispersione.di solito gli effetti dei caratteri individuali dipendono dallo stage del processo di invasione. 2.3 CARATTERISTICHE DEGLI AMBIENTI SUSCETTIBILI ALL INVASIONE Tuttavia, il successo di una invasione dipende non solo dalle caratteristiche delle specie invasive ma anche, come abbiamo anticipato nel primo capitolo, dalle caratteristiche degli ecosistemi che vengono invasi. Molti autori hanno indicato che l invasibilità degli ecosistemi non può essere chiaramente dissociata dall invasività delle specie (Kowarik 1995). È fondamentale considerare gli aspetti delle specie invasive, degli ecosistemi invasi e le circostanze dell introduzione. Le differenze tra gli ambienti, che sono suscettibili o resistenti all invasione, sono una delle tematiche più studiate nell ecologia delle invasioni (Williamson 1996). Tra i caratteri che determinano l invasività delle comunità ci sono fattori abiotici, la biodiversità, lo stato successionale, il tipo e la frequenza di disturbi e molti altri aspetti (Rejmánek 1989). Ci sono molti fattori che facilitano l invasione: frequenti eventi naturali che riducono la copertura delle piante come incendi o le inondazioni (Hobbs et al. 1992), un basso numero di specie in un ecosistema con potenzialmente più nicchie o mancanza di certi adattamenti delle specie native negli ecosistemi invasi. L attività umana è sicuramente uno dei fattori che più condiziona e facilità le invasioni. Inoltre, può essere considerato un aspetto cruciale nel comprendere il processo di invasione anche analizzare la possibilità che può avere un organismo di essere trasportato in una nuova area. È importante, infatti, considerare anche il ruolo del trasporto nelle invasioni quando si studia la possibilità di una specie di entrare in una nuova comunità; questa, infatti, dipende fortemente dalle interazioni biotiche all interno del comunità ma è anche fortemente limitata dal reclutamento (Tilman 1997). Un altra teoria presentata per spiegare l invasibilità degli ambienti, è quella relativa alla fluttuazione delle risorse (fluctuating resources theory of invasibility) di Davis et al. (2000). Questa teoria identifica la fluttuazione nella disponibilità delle risorse come un fattore chiave di controllo della invasibilità: l incremento (es. eutrofizzazione) o la perdita delle risorse a causa del disturbo aumenta la suscettibilità della comunità all invasione, che avvengono, però, solo se questa situazione coincide con la disponibilità e l arrivo di propaguli adatti. Ultimamente, poi, molta importanza è stata posta sugli aspetti climatici, soprattutto in 114

129 Diversità funzionale delle specie dunali costiere relazione ai cambiamenti che si stanno verificando a livello mondiale; in particolare, il riscaldamento globale e l effetto serra, potrebbero, secondo alcuni autori, non solo scatenare un aumento del tasso di diffusione delle specie esotiche già insediate, ma anche favorire l insediamento di nuove esotiche. La domanda che gli studiosi si sono posti, quindi, è se i fattori climatici possano predire la capacità delle specie di invadere. Le analisi sono molte controverse: alcuni studi hanno dimostrato che il clima non è un importante elemento predittivo (es.williamson 1996), altri come Hodkinson (1999) nel suo studio sulla relazione clima-distribuzione di insetti afferma come in molte controversie, la risposta reale poggia a qualche parte tra gli estremi. In altre parole, per molte specie il clima sembra essere determinante per i confini dei range, per altre no. Comprendere tutti gli aspetti di un processo di invasione è sicuramente molto complesso ed ambizioso. La complessità del processo d invasione e l unicità dei singoli processi ha fatto emergere l idea che le specie esotiche potrebbero avere successo o fallire in relazione al contesto delle interazioni tra le specie e la comunità (Williamson 2001). Secondo diversi autori una sintesi di aspetti climatici, biologici ed ecologici è sicuramente altamente auspicabile e preferibile nel prevedere il processo di invasività di molte specie a livello mondiale. L analisi dei plant traits rimane, comunque, fattore centrale di indagine. Sono stati numerosi, per questo motivo, i tentativi di realizzare delle liste di caratteri comuni suddivisi a seconda del successo dell invasore. Questi dati possono essere inseriti in un database e poi utilizzati per confrontare i caratteri delle specie invasive in differenti parti dal mondo o in diverse tipologie di habitat, oppure per più elaborati modelli previsionali. A tal riguardo, un esempio è rappresentato da BioFlor, un database dei caratteri biologici ed ecologici della flora vascolare, nativa ed esotica, della Germania (Klotz et al. 2002); un altro esempio è il LEDA trait base (Life-history traits of the Northwest European flora; un database) (Knevel, et al. 2003) il cui scopo è stato quello di analizzare ben 26 plant traits di circa 3000 specie dell Europa Nord Orientale; entrambi questi progetti si pongono scopi applicativi per la gestione, conservazione della biodiversità. Essi rappresentano importanti strumenti per potere prevedere i futuri cambiamenti della biodiversità, partendo dalla comprensione dei processi che influenzano la distribuzione e l abbondanza delle specie. 3. OBIETTIVI In questa parte della tesi, quindi, l attenzione sarà focalizzata sullo studio dei caratteri morfologico-funzionali e dei tipi funzionali delle specie dunali; ma soprattutto, oltre alla componente nativa, sarà presa in considerazione anche quella esotica che cresce nelle comunità dunali delle coste dell Italia centrale cercando di analizzarla dal punto di vista funzionale, individuando le caratteristiche tipiche delle specie esotiche ed in particolare di quelle invasive. Sulle strategie delle specie dunali si ritornerà in una maniera più 115

130 Parte 3 approfondita nella quarta parte della tesi, in cui saranno analizzati e confrontati il sistema dunale Mediterraneo con quello Atlantico. In questa parte, si tenterà soprattutto di comprendere quali sono i meccanismi biologici ed ecologici che sono alla base della colonizzazione di ecosistemi molto vulnerabili e fortemente disturbati quali quelli dunali costieri. Si vuole rispondere alle seguenti domande: 1. Quali e quanti principali Plant Functional Types (PFTs o gruppi funzionali) caratterizzano gli ambienti dunali? 2. Le specie esotiche dimostrano strategie distinte dalla componente nativa? Ci sono PFTs delle specie esotiche? 3. Quali sono le differenze in termini di plant traits tra le specie native ed esotiche? e tra le native e le esotiche invasive? 4. Quali sono le principali differenze tra i plant traits delle specie esotiche non invasive e di quelle invasive? 5. Si possono individuare delle differenze a livello di plant traits all interno di ciascun PFTs tra le native e le esotiche? e lungo il gradiente mare-terra, per le specie di avanduna, di duna di transizione e di duna fissa? 4. MATERIALI E METODI 4.1 SELEZIONE DELLE SPECIE NATIVE ED ESOTICHE I lavori che hanno indagano lo studio sui caratteri associati all invasività si fondano su diverse metodologie. In letteratura si distingue l approccio target-area e quello source-area (Pyšek & Richardson 2007). Nel presente lavoro è stata applicata la prima tipologia: essa si focalizza su un pool di specie che sono esotiche in un area e si attribuisce la variazione del loro successo a differenze nei loro caratteri. Secondo Pyšek & Richardson (2007) esistono due versioni dell approccio target-area: la prima considera le specie esotiche e quelle native presenti in una data area target e cerca di risponde alla seguente domanda: quali caratteri delle specie esotiche invasive permettono loro di crescere in abbondanza rispetto alle specie native? I confronti tra le specie esotiche e quelle native cercano di comprendere, perciò, se i caratteri delle specie native in una area target differiscono da quelli delle esotiche che invadono quell area (Pyšek & Richardson 2007). Nella nostra analisi, un indagine di questo tipo è stata effettuata, in un primo momento, considerando anche tutta la componente esotica e non solo quella invasiva. La seconda versione, invece, considera la componente esotica invasiva ed non invasiva e cerca di risponde alla seguente domanda: quali caratteri distinguono gli invasori di successo dalle esotiche che non sono invasive? 116

131 Diversità funzionale delle specie dunali costiere Nella prima fase dell analisi della diversità funzionale degli ecosistemi dunali costieri esaminati, è stata realizzata, quindi, la selezione di piante vascolari native ed esotiche per le quali individuare i principali caratteri morfologico-funzionali (plant traits). Sono state considerate, sulla base di lavori pubblicati in precedenza (Stanisci et al. 2004; Acosta et al. 2005; Izzi et al. 2007), 41 specie vegetali, selezionando le specie native ed esotiche più comuni ed abbondanti dei sistemi costieri sabbiosi dell Italia centrale (Tab. 3.1). Per quanto riguarda le native sono state selezionate 27 specie, rappresentative di ciascuna comunità della zonazione costiera che segue il gradiente mare-terra, dalle comunità nitrofile della prima formazione vegetale (es. Cakile marittima subsp. marittima, Chamaesysce peplis) alle dune embrionali (es. Elymus farctus subsp. farctus, Calystegia soldanella) e mobili (es. Ammophila arenaria subsp. australis, Echinophora spinosa, Eryngium maritimum), alla duna di transizione (es. Silene canescens, Vulpia fasciculata) e a quelle della duna fissa (es. Quercus ilex subsp. ilex, Rhamnus alaternus subsp. alaternus). Si tratta, quindi, di specie legate alla vegetazione naturale potenziale della duna e comuni ad entrambi i versanti costieri dell Italia centrale (costa adriatica e tirrenica). Le specie esotiche considerate per questo studio, invece, sono state 14 anch esse rappresentative delle diverse fasce dunali. Poiché una delle domande cui si è proposto di rispondere riguardava il perché solo alcune specie introdotte diventano invasive e poiché si vuole soprattutto analizzare se ci sono dei caratteri morfologico-funzionali caratteristici di queste specie, abbiamo voluto separare la componente esotica invasiva da quella non invasiva. In questo modo, le specie esotiche sono state classificate, secondo la terminologia di Richardson et al. (2000) e di Pyšek et al. (2004), che abbiamo menzionato precedentemente, in: esotiche casuali, esotiche naturalizzate ed esotiche invasive. Questa classificazione è stata realizzata, oltre che sulla base di diverse fonti e studi che hanno in precedenza approfondito lo stato di invasività di queste specifiche specie, anche considerando la loro frequenza nei quadranti censiti lungo gli ambienti costieri esaminati. Tra le specie esotiche invasive per l ambiente dunale abbiamo incluso il complesso Carpobrotus acinaciformis/eduli specie invasiva soprattutto delle coste tirreniche (laziali) e presente nella fasce avandunali, poi Erigeron (ex. Conyza) canadensis, E. sumatrensis, E. bonariensis, Cenchrus incertus e le specie del genere Oenothera, invasive soprattutto delle coste adriatiche (abruzzesi e molisane), dove colonizzano la duna di transizione. Tra le esotiche naturalizzate di cui sono state analizzati i caratteri, si sono considerate Acacia saligna e Pittosporum tobira, entrambe presenti nelle comunità retrodunali della macchia; la prima censita solamente lungo il litorale adriatico e la seconda presente su entrambi i versanti. Tra le esotiche casuali sono state incluse per lo studio alcune specie che sono state introdotte per fini ornamentali come Yucca gloriosa, Gazania rigens, Aptenia cordifolia, osservate soprattutto nella fascia avandunale. Due specie, infine, Arundo donax e Xanthium orientale subsp. italicum, sono state classificate come dubbie; la prima perché ormai considerata archeofita a distribuzione cosmopolita, e la seconda perché probabilmente si tratta di una nuova specie evolutasi dalla esotica di origine nord americana Xanthium strumarium. 117

132 Parte 3 Native Esotiche e grado di naturalizzazione Ammophila arenaria (L.) Link subsp. australis Cakile maritima Scop. subsp. maritima Calystegia soldanella (L.) Roem. & Schult. Chamaesyce peplis L. Cistus creticus subsp. eriocephalus Cutandia maritima (L.) Barbey Echinophora spinosa L. Elymus farctus L. subsp. farctus Eryngium maritimum L. Euphorbia terracina L. Juniperus oxycedrus L. subsp. macrocarpa Lagurus ovatus L. s.l. Lonicera implexa Aiton subsp. implexa Lotus cytisoides L. s.l. Medicago littoralis Loisel. Medicago marina L. Ononis variegata L. Otanthus maritimus (L.) Hoffmanns. & Link subsp. maritimus Pancratium maritimum L. Phillyrea angustifolia L. Pistacia lentiscus L. Polycarpon tetraphyllum L. subsp. tetraphyllum Quercus ilex L. subsp. ilex Rhamnus alaternus L. subsp. alaternus Salsola kali L. Silene canescens Ten. Vulpia fasciculata (Forssk.) Fritsch Acacia saligna (Labill.) H.L.Wendl. Ambrosia coronopifolia Torr. & A. Gray Aptenia cordifolia L. (L. f.) Schwantes Arundo donax L. Carpobrotus ssp. Cenchrus incertus Curtis Cupressus semprervirens L. Erigeron bonariensis L. Erigeron canadensis L. Erigeron sumatrensis Retz. Gazania rigens (L.) Gaertner Oenothera biennis L. Pittosporum tobira (Thunb.)W.T.Aiton Xanthium orientale L. subsp. italicum (Moretti)Greuter Nat. Inv. Caus. Dub. Inv. Inv. Colt. Inv. Inv. Inv. Caus. Inv. Nat. Dub. Tab Specie native ed esotiche utilizzate nell analisi della diversità funzionale degli ambienti dunali costieri dell Italia centrale. Per le specie esotiche è indicato lo status di invasività: Nat.= naturalizzata; Inv.= invasiva; Cas.= casuale, mentre Dub.= specie esotica dubbia. 4.2 SELEZIONE DEI CARATTERI MORFOLOGICO-FUNZIONALI (plant traits) Dopo aver selezionato le specie sono stati individuati i caratteri (plant traits) da considerare per la costruzione della matrice (specie x caratteri). Quasi tutti i caratteri che abbiamo considerato in questo studio vengono chiamati in letteratura soft traits, perché si tratta di caratteri facilmente misurabili in campo o in laboratorio, reperibili nelle flore o attraverso 118

133 Diversità funzionale delle specie dunali costiere l osservazione in campo e quindi relativamente semplici e veloci da determinare (Hogdson et al. 1999; Weiher et al. 1999). Questi soft traits sono i surrogati di altri traits, a cui sono correlati, chiamati hard traits. Si tratta di caratteri che catturano la funzione di interesse (Violle et al. 2007) e che, quindi sono di importanza ecologica verificata a larga scala; questi potrebbero essere dei buoni indicatori degli effetti e delle funzioni che si realizzano come risposta delle piante, a scala di ecosistema o bioma, ma non possono essere determinati per un grande numero di specie (Hogdson et al. 1999; Weiher et al. 1999; Lavorel & Garnier 2002) a causa del grande sforzo e difficoltà di misurazione, nonché del costo economico che questo richiederebbe. Per esempio la combinazione della massa e la forma dei semi (che sono entrambi soft traits) è stata individuata come un buon indicatore della loro persistenza sotto forma banca semi nelle zone temperate: semi piccoli e relativamente rotondi sono quelli che riescono a sopravvivere più a lungo sepolti nel suolo. I cosiddetti hard traits includono tra l altro: tolleranza della pianta e della foglia alla siccità, alla deficienza di ossigeno nei tessuti e ad alta concentrazione di sali; presenza/assenza di aerenchima nel fusto e nell apparato radicale; profondità delle radici; anatomia del legno; età della maturità sessuale; biomassa della pianta; architettura della pianta; dimensione degli stomi e loro densità; concentrazioni fogliari (o della radice o del fusto) di lignina, cellulosa, fenoli, composti organici volatili, peso secco ed altre proprietà chimiche; contenuto fogliare di clorofilla; capacità fotosintetica; germinazione dei semi; modalità di impollinazione; tasso di crescita potenziale; potenza riproduttiva e fenologia; qualità della lettiera. Questa dicotomia soft-hard traits attualmente è criticata da molti studiosi a causa della soggettività della terminologia e quindi della sua difficoltà applicativa. Infatti, mentre in termini economici è facile definire un carattere costoso e quindi hard sulla base oggettiva dei costi di misurazione, la facilità di misurazione è solo apparente. Anche l altezza di una pianta, considerata come un soft trait e surrogato della capacità competitiva, può in realtà essere un hard trait in determinate circostanze (Violle et al. 2007). Nonostante il suo limite, comunque, questa hard/soft dicothomy, rappresenta un primo utile strumento di distinzione tra la molteplicità dei functional traits che possono essere presi in considerazione ed analizzati. Per la selezione dei tratti morfologico-funzionali oltre a selezionare sopratutto soft traits abbiamo seguito il criterio secondo il quale sono stati selezionati solo quei caratteri che fossero fortemente collegati alle fasi rigenerative e stabilizzatrici del ciclo vitale della pianta (Weiher et al. 1999; McIntyre et. al. 2001) e alle risposte delle piante a ambienti severi, come quelli degli ecosistemi dunali sabbiosi. Questi caratteri risultano, sulla base delle attuali conoscenze scientifiche (García-Mora et al. 1999; Grime 2001; Cornelissen et al. 2003; Pausas & Lavorel 2003; Rodgers & Parker 2003; Suehs et al. 2004) fortemente relazionati alle strategie di vita delle piante in ambienti estremi quali quelli delle sabbie litoranee, predittivi riguardo la funzione e la struttura di tali ecosistemi e forniscono indicazioni sulla resistenza e/o resilienza al disturbo. In questo modo, é stato identificato un set di tratti semplici delle piante, considerati potenzialmente utili per studiare anche la capacità d invasione delle 119

134 Parte 3 specie esotiche negli ambienti dunali costieri esaminati, con lo scopo di determinare i caratteri morfologico-funzionali che permettono alle specie invasive di occupare con successo nuovi habitat. Sono state considerate due tipologie di caratteri: quelli di tipo quantitativo o continuo e quelli di tipo qualitativo o categorico (o discreto). I primi sono derivati da misurazioni in campo o in laboratorio; ogni carattere è stato osservato su dieci individui diversi per ogni specie, in modo da essere rappresentativo della media della popolazione di ciascun taxon considerato. I secondi sono derivati essenzialmente dalla consultazione di diverse fonti incluse le flore, come la Flora d Italia di Pignatti (1982), la Med-Checklist (Greuter et al ), la Flora Europea (Tutin et al ) e la Flora di Francia (Guinochet & De Vilmorin ). Inoltre sono state consultate numerose pubblicazioni scientifiche che fanno riferimento sia ai caratteri morfologici che funzionali delle specie vegetali individuate; altre informazioni, poi, sono state attinte dall osservazione in campo. Per l'analisi e la valutazione quantitativa degli attributi morfologici e funzionali, in molti casi, sono stati adottati le categorie riportate nel protocollo metodologico di Cornelissen et al. (2003). I caratteri selezionati sono riportati nella Tab. 3.2 con le informazioni circa le classi o categorie di ciascuno di essi e la fonte dei dati. 120

135 QUALITATIVI O CATEGORICI QUANTITATIVI O CONTINUI Diversità funzionale delle specie dunali costiere Plant traits Categoria (o classe) Fonte dei dati Altezza della pianta (Canopy height) 3 classi: 1. < 20 cm; cm; 3. > 50 cm Misure in campo Area fogliare (Leaf size) 3 classi: 1. < 3 cm; cm; 3. > 10 cm Misure in laboratorio SLA (Specific leaf area) 3 classi: 1. < 9 mm 2 /mg; mm 2 /mg; 3. > 13 mm 2 /mg Misure in laboratorio LDMC (Leaf dry matter content) Spessore fogliare (Leaf tickness) Peso del seme (Seed mass) Forma del seme (Seed shape) 3 classi: 1.< 210 mg/g; mg/g; 3. > 320 mg/g Misure in laboratorio 3 classi: 1. < 0,3 mm; 2. 0,3-0,5 mm; 3. > 0,5 mm Misure in campo 3 classi: 1.< 0,6 mg; 2. 0,6-6 mg; 3. > 6 mg Misure in laboratorio 3 classi: 1.< 0,23; 2. 0,23-0,38; 3. > 0,38 Misure in laboratorio Forma di crescita (Growth form) Forma biologica (Life form) Fenologia fogliare (Leaf phenology) 4 Classi: 1. Short basal; 2. Long and semi basal; 3. Erect leafy; 4. Cushions, tussocks; 5. Shrubs, lianas and trees (Cornelissen et al. 2003). 5 classi: 1. Fanerofite; 2. Camefite; 3. Emicriptofite; 4. Geofite; 5. Terofite. 2 classi: 1. Terofite/Decidue; 2. Sempreverdi. Dati bibliografici e osservazioni in campo Dati bibliografici e osservazioni in campo Dati bibliografici e osservazioni in campo Durata della vita (Plant lifespan) Propagazione vegetativa (Clonality) Consistenza della foglia (Leaf texture) Inizio di fioritura (Onset of flowering) 2 classi: 1. Annuali; 2. Perenni. 3 classi: 1. Non-clonale ; 2. Clonale 4 classi: 1. Succulente/carnose; 2. Malacofille; 3. Cartilaginee (o semisclerofille); 4. Sclerofille. 4 classi: 1. Fino ad Aprile; 2. Maggio; 3. Giugno; 4. Luglio e dopo Dati bibliografici e osservazioni in campo Dati bibliografici e osservazioni in campo Dati bibliografici e osservazioni in campo Dati bibliografici e osservazioni in campo Tipo di impollinazione (Pollination system) 2 classi: 1. Anemogamia -autogamia; 2. Entomogamia Dati bibliografici Modalità di dispersione (Dispersal mode) 3 classi: 1. anemocora; 2. barocora-idrocora; 3. zoocora Dati bibliografici e osservazioni in campo Tab Caratteri morfologico-funzionali considerati in questa analisi con le relative classi e le indicazioni sulla modalità di acquisizione dei dati. 121

136 Parte BREVE DESCRIZIONE DEI CARATTERI MORFOLOGICO-FUNZIONALI ESAMINATI Forma di crescita (Growth form) Le forme di crescita si riferiscono alle caratteristiche morfologiche e strutturali delle specie vegetali, ma, a differenza delle forme biologiche di cui abbiamo già parlato e su cui torneremo, vengono stabilite senza tener conto del presumibile significato adattativo a un determinato fattore ecologico (Barkam 1988). La forma di crescita, principalmente determinata dalla struttura e dall altezza delle foglie, può essere associata alla strategia adottata dalla pianta, ai fattori climatici e all uso del suolo. Per esempio l altezza e la posizione del fogliame possono essere sia adattamenti che risposte al pascolo di differenti erbivori, forme a rosetta e forme prostrate sono associate ad un elevata pressione esercitata dal pascolo dei diversi mammiferi erbivori. Nel nostro caso le specie sono state suddivise in 4 classi o categorie considerando le proposte di Cornelissen et al. (2003) semplificandole sulla base dei nostri dati; esse sono riportate nella Tab. 3.2 con la terminologia originale e sono: 1. Short basal: sono incluse in questo gruppo le specie con foglie di lunghezza minore di 0.5 m, concentrate molto vicino al suolo, per esempio le piante con forma a rosetta o a crescita prostrata (es. Calystegia soldanella, Sonchus bulbosus subsp. bulbosus, Carpobrotus ssp. Aptenia cordifolia); 2. Long and semibasal: sono incluse in questo gruppo specie con foglie grandi (picciolate) maggiori di 0.5 m emergenti dalla superficie del suolo, ma senza formare ciuffi e specie con foglie piuttosto grandi, disposte sia nella parte basale che in quella apicale della pianta (es. Cakile maritima, Echinophora spinosa, Xanthium orientale subsp. italicum, Gazania rigens). 3. Erect leafy: sono incluse in questo gruppo specie con foglie concentrate nella parte centrale e/o nella parte superiore della pianta (es. Euphorbia terracina, Erigeron ssp.). 4. Cushions, tussocks: in questo gruppo sono incluse specie con foglie strettamente raggruppate, posizionate vicino al suolo, con superficie superiore a forma relativamente piatta e tondeggiante e specie con molte foglie (es. Otanthus maritimus subsp. maritimus, Medicago marina), formanti ciuffi prominenti dal meristema basale (es. Ammophila arenaria subsp. australis, Elymus farctus subsp. farctus). 5. Shrubs, lianas and trees: in questo gruppo sono inclusi arbusti con la maggior parte del fogliame disposto relativamente vicino al terreno su uno o più fusti, relativamente corti (Cistus creticus subsp. eriocephalus), piante legnose con la maggior parte delle foglie elevate su un fusto essenziale (es. Juniperus oxycedrus subsp. macrocarpa, Pistacia lentiscus, Quercus ilex subsp. ilex, Acacia saligna, Pittosporum tobira) e liane, cioè piante che radicano nel suolo e usano supporti esterni per crescere e posizionare le foglie (es. Smilax aspera, Lonicera implexa subsp. implexa). 122

137 Diversità funzionale delle specie dunali costiere Forma biologica (Life form) Molto spesso forma di crescita e forma biologica vengono utilizzate come sinonimi; in realtà, in questo secondo caso si fa riferimento al significato ecologico dell habitus, intendendo specie che mostrano lo stesso adattamento morfologico e/o fisiologico a un determinato fattore ecologico. Molti autori si sono occupati dello studio delle forme biologiche, ma il sistema proposto all inizio del 1900 dal fitogeografo danese Raunkiaer (1934) è quello largamente adottato oggi per gli studi di vegetazione; egli ha ricercato nelle diverse forme delle piante le connessioni con il clima, attribuendo alla posizione delle gemme (cioè degli organelli destinati alla produzione di nuovi tessuti dopo la stagione sfavorevole), rispetto al suolo, il ruolo di carattere adattativo fondamentale. Nel sistema di classificazione progettato da Raunkiaer, quindi, invece del miscuglio di caratteristiche attraverso le quali sono definite le forme di crescita, viene usata una sola caratteristica principale: la relazione tra il tessuto perenne e la superficie del terreno. Il termine tessuto perenne si riferisce al tessuto meristematico che rimane inattivo durante l inverno o la stagione secca e riprende la crescita con il ritorno della stagione favorevole. I tessuti perenni pertanto includono delle gemme, le quali possono contenere rametti con foglie che si schiudono in primavera o nella stagione delle piogge. Siccome i tessuti perenni, che includono le gemme, fanno in modo che la pianta possa sopravvivere durante la stagione sfavorevole, la collocazione del tessuto meristematico è considerata è una caratteristica essenziale per quanto riguarda l adattamento della pianta alle condizioni climatiche. Più il clima è aspro, più le piante tendono ad avere le gemme vicino al terreno, meno esposte al freddo e all essiccamento. Inoltre, la posizione delle gemme ci permette di capire la probabilità di sopravvivenza di specie che potrebbero essere soggette a disturbi imprevisti, come il pascolamento periodico o il fuoco. Le forme biologiche di Raunkiaer sono fondamentalmente cinque (ved. Fig. 2.9 Parte 2): fanerofite (P), camefite (Ch), emicriptofite (H), geofite (G) e terofite (T). In questo studio l individuazione della forma biologica è stata effettuata mediante ricerca bibliografica, osservazione sul campo, descrizioni o fotografie in letteratura. Molte pubblicazioni sulla flora riportano le forme biologiche come delle informazioni standard sulle specie vegetali, ne è un esempio la Flora d Italia (Pignatti 1982), da cui abbiamo attinto le maggiori informazioni. Altezza della pianta (Canopy height) L altezza della pianta è dai tempi di Teofrasto, insieme alla legnosità, il trait fondamentale per la classificazione delle piante. Anche Westoby (1998) l ha indicata, insieme allo SLA (area fogliare specifica) e alla massa del seme, uno dei caratteri funzionali fondamentali delle specie vegetali. In letteratura si distinguono due tipi di misurazione dell altezza della pianta: quella che viene definita plant height e considera l altezza complessiva della pianta 123

138 Parte 3 considerando anche i germogli e la parte riproduttiva e quella che viene definita canopy height, che misura solo l altezza del tessuto fotosintetico (foglie). Quest ultima misurazione viene considerata in questo studio secondo le indicazioni di Cornelissen et al. (2003). L altezza della pianta, quindi, viene definita come la distanza più breve tra il limite superiore dei principali tessuti fotosintetici ed il suolo: quella che è stata misurata, quindi, è l altezza del fogliame (della chioma) e non quella dell infiorescenza (o dei semi o dei frutti) o quella dello stelo principale. L altezza della pianta è associata alla capacità competitiva, alla fecondità della pianta e all intervallo di tempo che le specie generalmente impiegano per crescere dopo un evento di disturbo (fuoco, tempeste, aratura, pascolo). Ci sono inoltre importanti compromessi tra l altezza della pianta e la tolleranza o la capacità di sfuggire a stress ambientali (climatici, nutritivi). D altra parte, alcune piante alte evitano che il fuoco raggiunga le parti verdi ed i meristemi posti in alto. L altezza tende a essere correlata allometricamente con le misure di altri caratteri nei confronti interspecifici, per esempio la biomassa epigea, la profondità delle radici, la larghezza e la dimensione della foglia. La misurazione dell altezza degli individui è stata eseguita secondo le indicazioni di Cornelissen et al. (2003), verso la fine della stagione di crescita, su piante adulte ed in salute, e con le foglie esposte alla luce solare. Per le piante che presentavano la maggior parte delle foglie disposte a rosetta e una superficie fotosintetica molto ridotta nella parte superiore (es. Sonchus bulbosus subsp. bulbosus), l altezza della piante è stata misurata sulle foglie della rosetta. Per le specie rampicanti o liane, invece, si è considerata l altezza della struttura di supporto (Cornelissen et al. 2003). In questo studio, l altezza delle specie è stata calcolata misurando il valore medio delle misurazioni effettuate in campo con l utilizzo del metro su 10 foglie della stessa specie prese su differenti individui. Consistenza e spessore fogliare (Leaf texture, Leaf tickness) La consistenza fogliare fa riferimento alla durezza o meno delle foglie e alla loro minore o maggiore succulenza. L acqua costituisce un fattore di grandissima importanza per le piante, non solo per il processo fotosintetico ma anche per altri processi, come il mantenimento del turgore delle cellule, l apertura degli stomi, ecc. L habitus delle piante e la stessa morfologia e struttura fogliare sono direttamente dipendenti dalla quantità di acqua disponibile nel terreno, dalla possibilità dell assorbimento di tale acqua, e dalla possibilità del suo trasporto fino alle foglie. Quando c è una grande disponibilità d acqua, le lamine fogliari sono espanse, sottili e prive di peli, con cellule epidermiche scarsamente cutinizzate e limitato sviluppo dei tessuti di sostegno. All estremo opposto, quando c è la necessità di approvvigionare l acqua, le foglie hanno taglia ridotta, mesofillo pluristratificato e grande sviluppo di sclerenchimi e peli morti, che riflettono la luce e creano sopra l epidermide fogliare un microambiente più umido e ombreggiato (Gerola 1995).La durezza delle foglie (sclerofillia) è un adattamento meccanico che protegge la struttura fogliare dagli attacchi 124

139 Diversità funzionale delle specie dunali costiere causati specialmente dai fattori climatici, come siccità e gelo. Secondo una scala di consistenza crescente, le piante sono state suddivise nelle seguenti classi: 1. succulente e carnose 2. malacofille: specie con foglie molli o poco coriacee 3. semisclerofille o cartilaginee: comprende molte graminacee 4. sclerofille I dati su questo carattere sono stati individuati sia dall osservazione in campo sia mediante ricerca bibliografica. Anche lo spessore della foglia è relazionato all immagazzinamento d acqua e di risorse e dalla presenza di consistenti strutture di sostegno e protezione. Lo spessore della foglia è stato misurato direttamente in campo, utilizzando un calibro digitale, sensibile a spessori molto fini. Dimensione della foglia (Leaf size) La dimensione della foglia è data dall area proiettata di una singola foglia o dal valore medio dell area proiettata di più foglie, espressa in mm 2. Per procedere alla misurazione dell area fogliare, fondamentale anche per il calcolo della SLA (Specific Leaf Area) si sono scelti individui adulti, le cui foglie non presentavano segni di attacco da erbivori, patogeni e senza copertura di epifille. Per quanto riguarda la questione se lasciare o meno il picciolo in letteratura si sono avute distinte posizioni di cui abbiamo tenuto conto prima di scegliere il metodo che risultasse per noi il più adatto. Westoby (1998) suggerisce che il picciolo non dovrebbe essere rimosso essendo parte integrante della foglia ed avendo la stessa longevità caratteristica della lamina fogliare. Inoltre, il picciolo ha lo stesso valore funzionale della nervatura centrale per le foglie sessili. Altri autori, invece, hanno rimosso il picciolo (es. Shipley 1995). In questo studio sono state seguite le indicazioni di Cornelissen et al. (2003) per l area fogliare da includere nella misurazione della SLA, che condividono la posizione di Westoby e quindi, qualsiasi picciolo o rachide e tutte le venature sono state considerate parte delle foglia da includere nella misurazione standard dello SLA e sono state mantenute anche nel calcolo dell area fogliare. Seguendo Cornelissen et al. (2003), sono state raccolte 10 foglie (raccogliendo una porzione del ramo con le foglie ancora attaccate e senza rimuoverle fino alla fase di misura), prese su 10 individui diversi, scegliendo quelle pienamente esposte alla luce del sole; il materiale raccolto è stato conservato in sacchetti inumiditi e ben chiusi per evitare la perdita d acqua fino alla successiva fase di laboratorio. In laboratorio ogni foglia è stata staccata dal ramo o dal gambo con tutto il picciolo, è stata asciugata ed inserita in uno scanner per poter misurare l area (scanner Epson 1640XL). Questo metodo alternativo fornisce un elevata accuratezza soprattutto aumentando la definizione della scansione. L area proiettata (Projected Area, PA) ottenuta dalla scansione è stata determinata con il software Win RHIZO V 5.0A (Regent Instruments Inc., Quebec, Canada). Durante la 125

140 Parte 3 scansione si è cercato di tenere le foglie ben distese sul piano dello scanner, mettendole anche sotto ad un foglio di plastica trasparente in modo tale da far coincidere la proiezione della foglia in esame con l area effettiva della superficie misurata, per non sottostimare l area. La dimensione delle foglie ha importanti conseguenze per quanto riguarda il bilancio energetico della foglia e il bilancio dell acqua. Variazioni interspecifiche nella dimensione della foglia sono state associate alla variazione climatica, la geologia, l altitudine o la latitudine, a situazioni di stress da caldo, stress da freddo, stress da siccità e stress dovuto ad un elevata radiazione solare; tutte queste sono situazioni che tendono a selezionare foglie relativamente piccole. All interno di zone climatiche, la variazione della dimensione della foglia può anche essere associata a fattori allometrici (dimensione della pianta, dimensione dei rami, anatomia ed architettura) e a strategie ecologiche, riguardo allo stress e a fenomeni di disturbo ambientale dovuto a carenza di nutrienti, mentre i fattori filogenetici possono altrettanto giocare un ruolo molto importante (Cornelissen et al. 2003). Area fogliare specifica (Specific Leaf Area, SLA) L area fogliare specifica (o SLA) è l area unilaterale della foglia fresca divisa per il peso della sua massa secca, espressa in m 2 kg -1 o in mm 2 mg -1. Si tratta di una misura che potrebbe essere altamente variabile in relazione alle condizioni ambientali. I valori di SLA di una specie, nella maggior parte dei casi sono correlati positivamente con il relativo tasso di crescita potenziale o con il tasso di attività fotosintetica basato sulla massa (Cornelissen et al. 2003). Valori bassi tendono a corrispondere ad un investimento relativamente alto della foglia nelle difese (in particolare quelle strutturali) e ad una lunga durata di vita della foglia. Le specie che si trovano in ambienti ricchi di risorse presentano valori più grandi di SLA rispetto a specie che vivono in ambienti in cui scarseggiano le risorse. Con l altezza della pianta e il peso del seme, la SLA, rappresenta uno dei caratteri funzionali principali nello schema proposto da Westoby (1998) per la comprensione delle strategie delle specie. Per procedere alla misurazione della SLA, dopo aver raccolto 10 foglie su individui diversi, averne calcolato come su descritto l area fogliare, sì è proceduto alla misurazione del peso secco dei campioni di foglie. Pertanto, i campioni freschi, appena dopo la scansione, sono stati pesati, avvolti in carta stagnola, e collocati in stufa a 75 C per una settimana circa. Dopo l essiccamento, i campioni sono stati pesati (mediante bilancia analogica E42S-B), ottenendo in questo modo il peso secco. Ovviamente nel caso dei campioni di Carpobrotus ssp., è stato necessario un periodo di essiccamento più prolungato. Dal rapporto dei valori medi delle aree fogliari e dei pesi secchi si è ottenuto il valore dello SLA per ogni taxon considerato. 126

141 Diversità funzionale delle specie dunali costiere Contenuto di materia fogliare secca LDMC (Leaf Dry Matter Content) LDMC ( contenuto di materia secca fogliare) è il rapporto tra il peso secco della foglia e quello fresco, espresso in mg g -1. Esso è relativo alla densità media di tessuto fogliare e tende ad avere un andamento inverso rispetto allo SLA. È stato dimostrato che esso è correlato negativamente con il tasso di crescita potenziale e positivamente con la durata di vita delle foglie. Ma le forze di queste relazioni sono più deboli di quelle che riguardano la SLA. Le foglie con elevati valori di LDMC tendono ad essere relativamente dure (coriacee) e quindi più resistenti a disturbi (vento, erbivoria, grandine) rispetto alle foglie con bassi valori di LDMC; anche alcuni aspetti delle relazioni tra l acqua fogliare e l infiammabilità dipendono dal LDMC. Specie con bassi valori di LDMC tendono ad essere relazionati con ambienti produttivi spesso altamente disturbati. Nei casi in cui l area fogliare è difficile da misurare, LDMC potrebbe dare risultati più significativi rispetto allo SLA, sebbene i due caratteri non catturino le stesse funzioni. Poiché LDMC varia durante il giorno, abbiamo cercato di raccogliere le foglie prima del tramonto o dopo l alba (Garnier et al. 2001; Cornelissen et al 2003). LDMC viene considerata come una misura indiretta della densità dei tessuti; quest ultima gioca un ruolo importante nell utilizzazione dei nutrienti da parte delle specie determinando la velocità di biomass turnover (esempio, una bassa densità di tessuto è associata con un alto tasso di crescita). Sebbene la variazione della densità di tessuto sia spesso correlata con le differenze nei caratteri del ciclo vitale tra le specie, la maggior parte della densità di tessuto degli organi è relativamente costante per ciascuna specie (Enquist et al. 1999). Per procedere alla misurazione della LDCM, dopo aver raccolto 10 foglie su individui diversi, sì è proceduto alla misurazione del peso fresco dei campioni di foglie. In seguito, i campioni freschi, appena dopo la scansione, sono stati avvolti in carta stagnola e collocati in stufa a 75 C per una settimana circa. Dopo essiccamento i campioni sono stati pesati (mediante bilancia analogica E42S-B), ottenendo in questo modo il peso secco. Il rapporto dei due pesi è stato utilizzato per calcolare il valore medio del LDMC per i dieci campioni di ciascuna specie. Durata della vita (Plant lifespan) La longevità di una pianta è uno di quei caratteri considerati hard traits. In questo lavoro si è voluto considerare questo aspetto semplicemente suddividendo le specie in due classi: 1) piante annuali e bienni; 2) piante perenni. La classificazione delle specie è stata fatta basandosi sui dati riportati in letteratura e sull osservazione in campo. Le piante annuali o effimere sono specie scarsamente dotate contro le avversità ambientali. Esse superano i momenti difficili evitandoli con la conclusione del ciclo vitale: prima che le condizioni dell ambiente si rendano insopportabili esse terminano l accrescimento e producono i semi che supereranno la stagione critica. Le piante perenni, invece, hanno il vantaggio di 127

142 Parte 3 mantenere a lungo il sito in cui si trovano e non hanno bisogno di produrre i semi tutti gli anni, data la lunga durata di vita, ma devono essere adattate a tollerare nelle medie ed alte altitudini, l alternanza delle stagioni e devono affrontare anche gli eventi meteorologici più critici. Le specie con una lunga durata di vita tendono ad investire molte risorse nella protezione e (in parte come conseguenza) crescono più lentamente delle specie con una durata di vita breve; inoltre, conservano i nutrienti interni più a lungo. Fenologia fogliare (Leaf phenology) Definiamo la fenologia della foglia come il numero di mesi dell anno in cui il fogliame è verde. Certi gruppi di specie non competitrici evitano la competizione con le altre specie mostrando le foglie in periodi brevissimi, cioè hanno un breve ciclo vitale come molte annuali; oppure, come le decidue, perdono le foglie prima della stagione avversa. Le specie decidue evitano di perdere preziose risorse contenute nelle foglie riacquistandole con il riassorbimento, ed in seguito fanno cadere le foglie prima dell inizio della stagione secca o dell inverno. Le specie sempreverdi, invece, possono svolgere la fotosintesi durante tutto l anno, ma devono anche pendere molte energie durante il periodo avverso per sostenere questa attività; esse dirigono un importante crescita all inizio della stagione favorevole, prima che le specie stagionali inizino a competere per la luce. Molte geofite primaverili mostrano una strategia simile sotto la chioma degli alberi decidui. In questo studio abbiamo distinto due classi principali di fenologia fogliare: da una parte le terofite e le decidue, e dall altra le sempreverdi; i dati sono stati ottenuti mediante ricerca bibliografica e dall osservazione in campo. Clonalità (Clonality) La clonalità è un aspetto biologico molto importante che influenza la vita delle piante in molti modi (De Kroon & Van Groenendael 1997). Circa il 70% delle specie incluse nella flora delle zone temperate è costituita da specie clonali. Inoltre è stato osservata un elevata diversità e plasticità delle forme, essendo queste influenzate dall ambiente locale. La clonalità è la capacità di alcune specie di piante di riprodursi vegetativamente, attraverso la produzione di nuovi ramets (unità epigee) ed attraverso l espansione orizzontale. La clonalità può conferire vigore competitivo alle piante e la capacità di sfruttare ambienti ricchi di risorse fondamentali (nutrienti, acqua, luce) mentre può promuovere la persistenza delle piante dopo eventi di disturbo ambientale (Cornelissen et al. 2003). La capacità di riprodursi clonalmente può anche essere un efficace mezzo che consente la migrazione su piccole distanze in condizioni di scarsa dispersione dei semi o di difficoltà di insediamento delle plantule. Le specie clonali sono più frequenti di quelle non clonali nelle aree più umide e fredde rispetto a quelle più secche e calde, e in quelle naturali meno disturbati rispetto a 128

143 Diversità funzionale delle specie dunali costiere quelle costruite dall uomo. Gli organi clonali, specialmente quelli sotterranei possono assolvere anche funzioni di riserva ma spesso è difficile distinguere tra le due funzioni. I tuberi ed i bulbi delle geofite probabilmente assolvono come funzione predominante quella di riserva e sono relativamente inefficienti come organi clonali (Cornelissen et al. 2003). Si distingue una clonalità superficiale da una clonalità sotterranea. Nel primo caso l individuazione di strutture clonali epigee viene effettuata considerando piante che siano sufficientemente lontane da sembrare improbabile un loro collegamento. Nel caso, invece delle strutture ipogee, bisogna scavare piante di aspetto sano durante la stagione di crescita (fioritura o fruttificazione) dai siti in cui la specie si trova naturalmente; in alcuni casi (sistemi radicali forti e ampi) è sufficiente anche l escavazione parziale. Nella presente ricerca abbiamo semplicemente classificato le specie in clonali e non clonali senza nessun ulteriore distinzione tra le due tipologia di clonalità. La specie è stata classificata come clonale se almeno una tra le piante osservate (tra i 5 e i 10 individui) presentava chiaramente uno degli organi clonali descritto nella seguente lista: - stoloni: steli orizzontali, - gemme avventizie sulle foglie o altre gemme vegetative o frammenti di pianta che possono disperdersi e produrre nuove piante; - rizomi: rami sotterranei più o meno orizzontali - tuberi: rami o rizomi sotterranei modificati spesso funzionanti come organi di riserva. I tuberi sono corti, spessi e tondeggianti, spesso ricoperti da gemme modificate, ma non da foglie o scaglie; - bulbi: rami sotterranei relativamente corti e sferoidali ricoperti da foglie carnose o scaglie sovrapposte, spesso utilizzati come organi di riserva; - gemme avventizie radicali: gemme presenti sulla radice principale o sulle radici laterali. In questo studio l individuazione della clonalità è stata effettuata soprattutto mediante ricerca bibliografica e in parte dall osservazione in campo. Sistema di impollinazione (Pollination system) L impollinazione insieme alla disseminazione è il periodo della vita di una pianta in cui le interazioni con l ambiente nelle sue varie componenti, si fanno sempre più frequenti e condizionanti. Il trasporto del polline dall antera di un fiore allo stigma di un altro fiore (o dello stesso nel caso dell autoimpollinazione) avviene principalmente attraverso il vento (impollinazione anemofila) o attraverso gli animali (impollinazione zoofila). Le piante anemofile hanno fiori privi di organi e sostanze che attraggono gli insetti; i fiori sono generalmente inodori, senza nettare e con perianzio ridotto, dimessamente colorato. La produzione di polline è molto grande e le antere sono spesso gli organi più sviluppati del fiore. Le piante zoofile, invece, posseggono fiori provvisti di nettare, profumati e generalmente vistosi. La funzione vessillare del singolo fiore può però anche mancare se è 129

144 Parte 3 ben sviluppato il profumo (es. Hedera helix) oppure se è appariscente l intera infiorescenza come per esempio nelle Apiaceae, Dipsaceae e Asteraceae, dove i singoli fiori sono molto piccoli (Ubaldi 1997). Nel nostro studio, quindi, abbiamo distinto due classi: le specie anemofile o con nessuna specializzazione per l impollinazione (incluse le autogame) e le specie impollinate da insetti (entomofile) o altri animali. I dati su questo carattere sono stati individuati soprattutto mediante ricerca bibliografica. Inizio della fioritura (Onset of flowering) Tra i caratteri legati alle fasi rigeneratrici del ciclo vitale delle specie è stato considerato anche il periodo di fioritura delle specie ed in particolare, l inizio della fioritura. Secondo Weiher et al. (1999) questo carattere è molto utile negli studi che riguardano specie che si sviluppano nei climi prevedibili stagionali, come nel nostro caso; mentre, la loro utilità ed importanza diminuisce nei climi dove le piante rispondono a eventi imprevedibili (es. le piogge nei climi semiaridi) e nei climi tropicali con poca stagionalità. In questo studio abbiamo individuato tre classi principali: 1. specie che fioriscono in inverno o all inizio della primavera (fino a Aprile); 2. specie che fioriscono a Maggio; 3. specie che fioriscono in primavera inoltrata e all inizio della stagione estiva (Giugno) 4. specie che fioriscono in estate o in autunno. I dati su questo carattere sono stati attinti soprattutto da fonti bibliografiche e da osservazioni in campo. Peso e forma dell unità di dispersione (Seed mass, Seed shape) Il peso del seme, chiamato anche dimensione del seme, è il peso secco di una media di semi di una data specie, espresso in mg. Più che di seme molto spesso si considera l intera unità di dispersione riproduttiva (= struttura dispersiva o propagulo) così come entra nel suolo. L unità dispersiva può coincidere col seme, ma in molte specie è costituita dal seme e da altre strutture che lo circondano, per esempio il frutto. Un ampio range nei valori del peso dei semi è stato osservato in letteratura tra le specie, da meno di 10 6 a più di 10 4 g. Il peso del seme è relazionato alla dispersione e all insediamento delle plantule. Semi piccoli tendono ad essere dispersi più lontano dalla pianta madre, mentre semi grandi, ricchi di sostanze di riserva, contribuiscono alla sopravvivenza della plantula, in situazioni ambientali limitanti (erbivoria, siccità). Grazie ad una migliore disponibilità di nutrienti, i semi grandi avrebbero una maggior chance nello stabilirsi come plantule (Salisbury 1942; Grime et al. 1988). Questa ipotesi è supportata sia da numerosi studi sperimentali (Dailing & Hubbell 2002; Leishman & Westoby 1994), che dalle analisi delle correlazioni tra massa del seme e condizioni dell habitat. Semi piccoli possono essere prodotti in grande numero con lo stesso sforzo 130

145 Diversità funzionale delle specie dunali costiere riproduttivo e tendono anche ad essere sepolti più profondamente nel suolo. La variazione interspecifica nella massa del seme ha anche un importante componente tassonomica: più i taxa sono vicini in termini evolutivi, più probabilmente sarà simile la massa dei loro semi. Ci sono molti modi di misurare la massa dei semi in letteratura che differiscono in ciò che viene misurato (il seme in senso stretto o l unità di dispersione?) e nel metodo di essiccazione del seme prima della pesata (in aria o in forno). Nel nostro studio abbiamo raccolti i semi (le unità di dispersione), abbiamo eliminato tutte le appendici (pappi, peli) e li abbiamo fatti seccare a 60 gradi per almeno 72 ore oppure 80 gradi per 48 ore prima di pesarli. Ma prima di misurare la massa dei semi abbiamo concentrato la nostra attenzione sulla forma del seme. Per dare un valore alla forma dell unità di dispersione sono stati presi in considerazione i semi delle specie analizzate. Poiché quando si misura la forma del seme, l unità di dispersione è di primario interesse, i semi non sono stati rigorosamente puliti degli accessori; inoltre, nel caso di frutti carnosi, i semi sono stati rimossi secondo Thompson et al. (1993).La forma del seme è stata calcolata come la varianza delle tre dimensioni lunghezza, larghezza e spessore (in molti casi sono stati considerati solo le due maggiori dimensioni, lunghezza e larghezza) dividendo ciascuna di esse per quella di valore maggiore che quindi rappresenta l unità: le tre misure (i tre assi) quindi, sono state standardizzate ad 1 dividendo con il più grande dei tre valori (Thompson et al. 1993). La varianza delle tre dimensioni si calcola con la seguente formula: Vs = Σ (xi mean (x)) 2 / n dove n= 3 (nel caso delle tre dimensioni, 2 nel nostro caso per due dimensioni) e x1 = lunghezza/lunghezza; x2=larghezza/lunghezza e x3= spessore/lunghezza. La lunghezza nella formula indica la dimensione con i valori più alti, anche se non sempre coincide con la lunghezza morfologica. Fig. 3.1 Misurazioni dei caratteri relativi al seme di Calystegia soldanella (foto di S. Del Vecchio). Le misure delle tre dimensioni sono state effettuate in laboratorio, con un microscopio particolare, fornito di una scala di riferimento grazie alla quale è stato possibile misurare direttamente l oggetto in osservazione; l unità di misura di tutte e tre le misure è stato il mm. Per attribuire un valore numerico alla forma è stata calcolata la varianza delle dimensioni 131

146 Parte 3 standardizzate. Per ogni specie sono stati raccolti e misurati 10 semi presi su individui differenti ( un numero maggiore dei 5 per specie consigliate da Thompson (1993)): quindi la forma del seme di una specie è data dalla media delle varianze delle dimensioni di ciascun seme. La varianza nel caso si considerino solo le due dimensioni principali, è compresa tra 0 (semi perfettamente sferici) e 1 (semi a forma di ago) ed è priva dell unità di misura. Piccole unità dispersive con valore della forma basso (relativamente sferico) tendono ad essere seppellite più in profondità nel suolo e a vivere più a lungo sotto forma di banca semi. Per misurare la dimensioni del seme, gli accessori (es. pappi) che facilmente si staccavano non sono stati inclusi nelle misure; ma, essendo l unità che probabilmente penetrerà nel suolo quella che ci interessa, sono stati mantenuti gli altri elementi del seme, come le ali. Modalità di dispersione (Dispersal mode) La dispersione è il processo dinamico di trasporto di semi e frutti o di altri tipi di propaguli o diaspore, come spore, bulbilli, frammenti di rizomi. Questo fenomeno costituisce un fattore che limita severamente la distribuzione delle specie. Possiede anche un importanza evoluzionistica ed ecologica in quanto favorisce, insieme all impollinazione, il flusso genico tra popolazioni, ed inoltre, può produrre popolazioni segregate ecologicamente o geograficamente. La dispersione dei semi influenza, quindi, molti aspetti della biologia delle piante, incluso la diffusione delle specie invasive, la dinamica delle metapopolazioni e la diversità e le dinamiche nella comunità vegetali, ma esso è anche un carattere difficile da misurare (Cain et al. 2000). Per questo molto spesso si fa riferimento alla morfologia del propagulo, poiché la modalità di dispersione spesso può essere riconosciuta dalle caratteristiche morfologiche dei frutti e dei semi; ad esempio la presenza di pappi indicherebbe una dispersione mediante il vento, la presenza di polpa del frutto dolce e nutritiva è spesso relazionata alla dispersione mediante animali frugivori; strutture adesive sono relazionate a una dispersione mediante il pelo di animali, tessuti areati indicherebbero una dispersione mediante l acqua. Generalmente ci sono tre principali ragioni per cui le piante disperdono i loro semi, principalmente per scappare dai loro potenziali predatori, per fuggire dalla competizione con le piante vicine, o per raggiungere siti più favorevoli per la germinazione e l attecchimento (Fenner 1992). Un ampio range di adattamenti morfologici della struttura dell unità di dispersione si sono evolute tra le piante a seme per permettere una dispersione efficace. Solo una parte delle piante è adattata a disperdersi a grande distanza; in molte specie, invece, viene attuata una strategia dei brevi passi, essendo più certo il reperimento di un habitat favorevole in siti vicini a quelli della pianta madre. Piante siffatte posseggono adattamenti cosiddetti di atelicoria. 132

147 Diversità funzionale delle specie dunali costiere Nel presente studio abbiamo considerato le seguenti tipologie di dispersione: 1. anemocoria: l agente responsabile del trasporto è il vento.numerosissime specie hanno diaspore che facilitano il trasporto da parte del vento, essendo rigonfie come palloncini, oppure piumate (numerose Asteraceae) o costituite da batuffoli di peli o alate. 2. barocoria/idrocoria: la prima è una tipologia di dispersione nella quale i frutti o i semi cadono in prossimità della pianta madre e per gravità vengono trascinati verso il basso. Cornelissen et al. (2003) parlano di dispersione non assistita. Abbiamo aggiunto in questa classe anche un numero limitato di specie per le quali la dispersione avviene mediante l acqua. In questo caso le diaspore galleggianti sono costituite da semi o frutti che usufruiscono della tensione superficiale dell acqua per un certo periodo di tempo prima di affondare, oppure da frutti che galleggiano grazie al loro basso peso specifico, dovuto alla presenza di cavità piene d aria. 3. zoocoria: la disseminazione avviene per opera degli animali; gli animali possono giocare un ruolo attivo, principalmente attraverso l endozoocoria, cioè cibandosi dei frutti contenenti a loro volta i semi, oppure un ruolo passivo (epizoocoria), con il trasporto di semi, spesso minuti di setole, uncini e peli, sulla superficie esterna dell animale (es. Xanthium). A secondo del tipo di animali si parla di ornitocoria (uccelli), mirmecocoria (formiche), mammalocoria (mammiferi). La difficoltà comunque di una classificazione come questa è causata dalla complessità della variabile che si va ad indagare; infatti diversi autori hanno distinto varie fasi nel processo di dispersione e probabilmente la maggior parte delle piante può usufruire di diversi tipi di trasporto, fenomeno che viene indicato come policoria. Idealmente, si potrebbe usare una versione quantitativa di queste categorie, ma a parte per l anemocoria e la balistocoria per cui è stato proposto un metodo di misura della terminal velocity (il tasso di caduta quando gli effetti della gravità sono bilanciati dalla resistenza dell aria), per le altre tipologie di dispersione è davvero harder utilizzare misure quantitative. L attribuzione di ciascuna categoria di dispersione alle specie esaminate nel presente studio, è stata effettuata dopo un attenta analisi delle molte informazioni presenti in bibliografia su ciascun taxon. 4.4 ANALISI DEI DATI Analisi multivariata: classificazione e ordinamento I dati raccolti sui caratteri morfologico-funzionali sono stati organizzati in una matrice 41 specie x 16 caratteri e sono stati elaborati attraverso tecniche di analisi multivariata, in particolare, tecniche di ordinamento e di classificazione. L analisi multivariata analizza matrici di dati che descrivono oggetti per mezzo di numerosi caratteri (variabili). Nel nostro caso abbiamo una matrice in cui un determinato numero d oggetti (specie) sono descritti non da una ma da molteplici caratteristiche (plant traits) misurate per ciascun oggetto. Al fine di 133

148 Parte 3 valutare i rapporti di similarità o differenza tra le molteplici entità (oggetti), le tecniche d analisi multivariata permettono di prendere in considerazione in maniera organica tutti i molteplici attributi (variabili) misurati e quindi di visualizzare tali relazioni in maniera grafica (Podani 2007). Possiamo dire che i metodi di analisi multivariata sono strumenti che facilitano l interpretazione della variabilità presente nei dati, mettendone in evidenza la discontinuità, l omogeneità e la tendenza di variazione (Digby e Kempton 1987). Attraverso l analisi multivariata si valuta in una prima fase il grado di similarità tra le entità oggetto di studio e successivamente si analizzano le informazioni presenti nei dati. Tra i principali metodi di analisi multivariata vi sono la classificazione e l ordinamento, due modi differenti di osservare la variabilità presente nelle misure (Pielou 1988). Infatti, mentre la classificazione tende ad esaltare le differenze presenti tra i diversi gruppi di variabili per permetterne la separazione in modo più netto, l ordinamento tende ad evidenziare la continuità di trasformazione tra i diversi gruppi per avere un quadro della distribuzione delle entità. Nella presente ricerca, in un primo momento abbiamo applicato un metodo di ordinamento ai valori degli oggetti (specie) della matrice di dati immessa. Poi in un secondo momento una Hierarchical Cluster Analysis (HCA) è stata elaborata su questi valori, cioè sovrapposta all ordinamento, ottenendo gruppi che forniscono una esplorazione dinamica dei clusters sul piano fattoriale. L ordinamento, quindi, ci ha permesso di descrivere la struttura dei dati e la classificazione di identificare i gruppi funzionali di specie dunali con simili caratteri. Attraverso le tecniche di ordinamento la somiglianza tra gli oggetti (nel nostro caso le specie) viene espressa mediante grafici in due o tre dimensioni, nei quali ogni punto rappresenta la specie campione e la distanza tra due punti nel grafico rappresenta una misura del livello di somiglianza sulla base delle variabili (plant traits). Si tratta dunque di metodi che permettono di sintetizzare l intera informazione contenuta in matrici di dati in diagrammi di punti, quindi sono noti anche come metodi di approssimazione di matrice (Gurevitch et al. 2002). Esistono molteplici tecniche di ordinamento, tra cui una delle più comunemente utilizzate è l analisi delle componenti principali (principal components analysis = PCA), attraverso cui ogni oggetto viene inizialmente rappresentato in uno spazio multidimensionale definito da tante coordinate quante sono le variabili che definiscono le specie. In seguito a questa prima fase, non graficamente rappresentabile, è possibile definire delle rette (componenti principali) la cui direzione è tale che le proiezioni degli oggetti su di esse risultano distanziate il massimo possibile. Si possono dunque selezionare i due assi che spiegano il massimo della variabilità dei dati e dunque procedere ad una rappresentazione grafica degli oggetti su questo nuovo piano cartesiano (Podani 2007). In questo lavoro è stato utilizzata una tecnica simile, quella dell Analisi delle coordinate principali (PCoA), in particolare è stata applicata una Multiple Correspondence Analysis (MCA) (Legendre & Legendre 1998). Si tratta di una analisi delle corrispondenze applicata a una matrice in cui sulle righe sono posti gli oggetti (le specie) e sulle colonne le variabili (plant traits). La MCA può essere 134

149 Diversità funzionale delle specie dunali costiere considerata una Correpondence Analysis che permette di analizzare sia le variabili qualitative che quantitive e di esplorare le relazioni tra una grande set di variabili di diversa natura. Infatti, tutte le variabili vengono trasformate in dati categorici; questa tecnica risulta, così, particolarmente appropriata per descrivere in modo sintetico una matrice di variabili categoriche. Nel presente studio, i caratteri qualitativi o categorici sono stati mantenuti con l indicazione delle classi indicate per ciascuno mentre i valori dei caratteri quantitativi, sono stati raggruppati in classi di uguale grandezza e l MCA è stata utilizzata per ordinare le specie secondo queste differenti classi (o categorie) dei plant traits. Le specie vengono rappresentate da una nube di punti (ordinamento) la cui dispersione e disposizione rispetto agli assi denotano i gradienti funzionali nel materiale trattato e possono o non possono essere interpretati anche come gradienti ecologici. L utilizzo della MCA, sebbene sia puramente descrittivo, permette di analizzare anche la struttura dei dati e le relazioni tra le classi di ogni carattere. La collocazione di ciascuna classe dei caratteri nel piano fattoriale corrisponde al centro di gravità delle specie che sono caratterizzate da questo particolare intervallo di valori del carattere. Confrontando la collocazione delle differenti classi è possibile analizzare così la struttura dei dati. In seguito, i valori (scores) della MCA per ciascuna specie in relazione solo ai primi due assi sono state utilizzate come dati di immissione delle variabili per la successiva cluster analysis; è stata applicata quella che viene definita una ordiclust. Con il termine Cluster Analysis (analisi dei gruppi) si fa riferimento ad un insieme di tecniche di classificazione, basate su valutazioni numeriche della similarità tra oggetti da classificare e su diverse strategie agglomerative. Le tecniche di classificazione (Hierarchical Cluster Analysis) adottate in questo lavoro permettono di raggruppare le specie (oggetti), in funzione di un certo numero di variabili (plant traits), in gruppi, che vengono a loro volta riuniti in ulteriori aggruppamenti, d ordine superiore (Legendre & Legendre 1998), ai quali è infine possibile associare un determinato gruppo funzionale (Plant Fuctional Type). Sono dunque due gli algoritmi che bisogna scegliere nell effettuare questo tipo d analisi: un primo per calcolare la similarità (o dissimilarità) dei singoli oggetti/specie e un secondo per valutare la similarità o determinare la strategia di legame fra i gruppi. Nel presente lavoro è stato utilizzata la distanza euclidea e l average linkage algoritm (UPGMA). I risultati della classificazione sono rappresentati graficamente attraverso dendrogrammi, in cui la lunghezza dei rami a partire dalla base è proporzionale alla dissimilarità fra le entità raggruppate. La combinazione di una Correpsondence Analysis e di una Cluster Analisys è attualmente uno strumento comune nella letteratura e viene applicato per esplorare le relazioni tra un gran numero di variabili e per facilitare l interpretazione dei risultati della Corrispondence Analysis (Lebart 1994). Nel nostro caso, sovrapponendo la classificazione all ordinamento, abbiamo potuto di individuare le tipologie funzionali, costituite da gruppi di specie con traits relativamente omogenei. Attraverso la MCA e la Hierarchical Cluster Analysis, quindi, si sono: 1) identificati i gruppi funzionali delle specie native ed esotiche che crescono negli ambienti 135

150 Parte 3 dunali costieri dell Italia centrale; 2) analizzati i pattern di ciascun plant traits nel piano fattoriale e in ciascun gruppo funzionale individuato. I calcoli e i grafici sono stati realizzati utilizzando il ADE-4 statistical software package (Thioulouse et al. 1997). Test statistici In seguito, con lo scopo di esaminare le differenze tra i tre gruppi funzionali individuati e di confrontare le specie native con quelle esotiche sulla base dei loro caratteri morfologicofunzionali, sono stati effettuati test statistici. Mediante questi test è possibile analizzare se ci sono delle differenze significative tra le medie dei campioni confrontati e consente di dire quanto sia probabile che la differenza tra i gruppi di oggetti sia dovuta al caso. Il test di significatività tra campionarie comporta un'ipotesi zero o ipotesi nulla, secondo la quale le medie a confronto ( µ 1, µ 2, µ 3..µ k) sono identiche; di conseguenza, le differenze effettivamente riscontrate nelle medie campionarie sarebbero imputabili a variazioni casuali, come effetti dovuti al campionamento, cioè all estrazione casuale di alcuni dati da un universo teoricamente infinito, formato da valori tra loro diversi e con una distribuzione normale intorno alla loro media. Mediante l'inferenza sulle medie calcolate sui dati dei campioni, si determina la probabilità di ottenere tra loro differenze così grandi o maggiori di quelle sperimentalmente osservate, nella condizione che l'ipotesi nulla H 0 sia vera. Se questa probabilità risulta alta, si accetta l'ipotesi nulla; se la probabilità risulta piccola, convenzionalmente inferiore al 5%, si inferisce che esiste una ragionevole evidenza per dubitare della validità dell'ipotesi nulla, che quindi è rifiutata (Foster 1992). Questo significa che se esiste una probabilità del 5% o meno che la differenza tra i gruppi sia causata da variazioni casuali, si conclude che non è causata da variazioni casuali e che esiste una differenza reale e non casuale quindi l ipotesi nulla viene rigettata. Se, invece, la probabilità è superiore al 5% si conclude che la differenza non è reale. L ipotesi nulla, H 0, rimane uguale qualunque sia il test statistico scelto per comparare i campioni. Una prima metodologia di analisi ha visto il confronto simultaneo tra le medie di più di due gruppi; infatti abbiamo confrontato i plant traits tra i gruppi funzionali (PFTs) individuati. In particolare, per testare la significatività delle differenze tra le medie aritmetiche dei caratteri morfologico-funzionali di tipo quantitativo nei gruppi funzionali individuati è stata applicata l analisi della varianza univariata One-way- ANOVA (ANalysis Of VAriance). L analisi della varianza ONEWAY (univariata) viene utilizzata per confrontare le medie di tre o più gruppi di oggetti su una particolare variabile. 136

151 Diversità funzionale delle specie dunali costiere Questa analisi comporta il calcolo di F, il rapporto della varianza prodotta dalla differenza fra i gruppi e la varianza all interno dei gruppi (Foster 1992), indicato con la simbologia: La varianza fra gruppi misura le differenze esistenti tra un gruppo e l'altro, mentre la varianza entro gruppi misura la variabilità esistente attorno alla media aritmetica di ogni gruppo. I valori critici per i rispettivi gradi di libertà sono forniti dalla distribuzione F. Se il valore di F calcolato è superiore a quello tabulato, alla probabilità α prefissata (nel nostro caso 0,05), si rifiuta l'ipotesi nulla e si accetta l'ipotesi alternativa: almeno una media è diversa dalle altre. Se il valore F calcolato è inferiore a quello riportato nella tabella, si accetta l'ipotesi nulla, o almeno non può essere rifiutato che le medie sono tutte uguali. Se, nel confronto tra le medie di k gruppi, con il test F è stata rifiutata l ipotesi nulla si pone il problema di verificare tra quali esista una differenza significativa. È stato applicato, quindi uno dei confronti multipli o a posteriori (post-hoc comparisons), in particolare il test di Tukey HDS (Honestly Significant Difference). Per quanto riguarda, invece, i caratteri morfologicofunzionali qualitativi, la significatività delle differenze tra i tre gruppi funzionali è stata analizzata attraverso il test non parametrico per k campioni indipendenti di Kruskall-Wallis. Esso si fonda sull ipotesi nulla che tutti i campioni abbiamo la medesima mediana, quindi è fondato sui ranghi e rappresenta l equivalente non parametrico dell analisi della varianza ad un criterio di classificazione. Anche in questo caso, una volta osservata una differenza significativa fra tre gruppi, per ciascun coppia di campioni (in questo caso dei gruppi funzionali) il test non parametrico di Mann-Whitney di cui parleremo a breve. Un seconda metodologia statistica è stata applicata per il confronto tra i caratteri morfologico-funzionali tra due soli gruppi: le esotiche e le native. Anche in questo caso sono stati utilizzati due tipi di test, uno applicato ai caratteri quantitativi, qui considerati con i valori ottenuti dalle misurazioni (e non dati categorici) e un altro applicato ai caratteri di tipo qualitativo (o categorici). Nel primo caso è stato applicato il test parametrico t-test bilaterale o a due code, nel secondo caso, è stato applicato il test non parametrico di Mann-Whitney anche in questo caso a due code. A differenza del t-test, il test U di Mann-Whitney o test dell'ordine robusto dei ranghi, non richiede alcuna ipotesi sulla simmetria dei due campioni, può essere applicato quando essi hanno dimensioni diverse e serve sempre per verificare la significatività della differenza tra le mediane e non tra le medie. Le analisi sono state effettuate mediante il software statistico SPSS (SPSS Inc. 2001). L applicazione dei test ha riguardato le seguenti coppie di campioni: specie native/specie esotiche nel complesso (41 specie totali) specie native/ specie esotiche invasive 137

152 Parte 3 specie esotiche invasive/specie esotiche non invasive In seguito, sono stati considerati i singoli Plant Functional Type individuati mediante l ordinamento e la classificazione e sono stati ripetuti i seguenti test per ciascun gruppo tra: specie native/specie esotiche specie native/specie esotiche invasive Infine un ultimo confronto è stato effettuato in senso spaziale, considerando le specie delle comunità che si sviluppano nelle tre principali fasce che comprendono dal mare al all interno: l avanduna (foredune; comprende le dune embrionali e mobili), la duna di transizione (transition dune; comprende i pratelli retrodunali) e la duna fissa (fixed dune; comprende la macchia mediterranea). Prima di applicare il test, quindi, abbiamo attribuito sulla base di lavori fitosociologici di letteratura (Stanisci & Conti 1990; Acosta et al. 2000, Stanisci et al. 2004) e sulla base dell osservazione in campo, ciascuna specie ad una delle tre fasce di vegetazione. In seguito, per ciascuna di queste facies sono stati effettuati anche qui tests tra: specie native/specie esotiche specie native/specie esotiche invasive 5. RISULTATI 5.1 Quali e quanti Plant Functional Types (o gruppi funzionali) caratterizzano gli ambienti dunali dell Italia centrale? La matrice 41 specie x 16 caratteri è stata elaborata mediante la tecnica multivariata dell ordinamento, in particolare attraverso la Multiple Correspondence Analysis (MCA). Il Fig. 3.2 rappresenta la distribuzione delle specie in base ai loro plant traits sul piano fattoriale determinato dai primi due assi principali. Con i numeri sono indicate le diverse specie, riportate poi chiaramente con il loro nome nella seguente Fig Possiamo osservare una disposizione delle specie a formare una tipica forma a ferro di cavallo; le specie sono disposte, cioè, lungo un arco e non lungo una linea; ciò potrebbe essere dovuto all esistenza di relazioni non lineari tra gli oggetti (Podani 2007). L eigenvalues diagram (Fig. 3.2) dimostra come i primi due assi coprano circa il 60 % della struttura dei dati. Nella Fig. 3.3 viene di nuovo riportato il risultato dell ordinamento con l indicazione del nome abbreviato delle specie; quello delle esotiche è scritto in blu. Si osservano tre gruppi ben definiti, che abbiamo delimitato con linee tratteggiate; questi corrispondono ai gruppi funzionali o Plant Functional Types delle principali specie dunali native ed esotiche delle coste sabbiose dell Italia centrale. L ordinamento, quindi, dimostra già chiaramente la presenza di tre gruppi distribuiti lungo l asse

153 Axis Diversità funzionale delle specie dunali costiere a 9 Ax is d = 1 b Axis Fig a) Risultati della Multiple Correspondence Analysis; disposizione delle specie sul piano fattoriale definito dall asse 1 e dall asse 2. b) Eigenvalue diagram. b 1 2 a d = Echinophora spin Carpobrotus Calystegia Pancratium Gazania Aptenia Otanthus Eryngium Medicago mar c Oenothera Cakile mar Ammophila Lotus Elymus Ambrosi Ononis var Arundo Chamaesyce peplis Axis 1 Acacia Silene canes Xanthium Salsola kali Pittosporum Cistus Erigeron can Erigeron bon Medicago lit Lonicera Rhamnus Phillyrea Euphor ter Pistacia Quercus Polycarpon tet Lagurus ovat Cupressus Erigeron sum Juniperus Cenchrus incertus Cutandia mar Vulpia fascic Fig a) Risultati della MCA con l indicazione del nome abbreviato delle specie native ed esotiche (in blu); b) Dendrogramma ottenuto mediante la Cluster Analysis con i tre PFTs ben distinti. c) Grafico dell ordiclust ottenuto dalla sovrapposizione all ordinamento della Cluster Analysis; in questo modo i tre gruppi funzionali sono resi più evidenti nel piano fattoriale. 139

154 Parte 3 Ma a rendere più chiara la disposizione di questi 3 aggruppamenti ha contribuito la tecnica multivariata della classificazione (Fig. 3.3b) e in particolare l ordiclust (Fig. 3.3c) ottenuta dalla sovrapposizione della classificazione all ordinamento. Una volta individuati i Plant Functional Types, abbiamo cercato di analizzare le loro caratteristiche funzionali. Che cosa caratterizza ciascun tipo funzionale (Plant Functional Type) individuato? La Fig. 3.4 ottenuta sempre dalla MCA, ci permette di rispondere a queste domande, in quanto per ogni carattere, viene rappresentata la distribuzione sul piano fattoriale delle loro classi (o categorie), e quindi la loro disposizione relativamente ai tre gruppi di specie. Il piano fattoriale, con la distribuzione a forma di nubi delle specie, è ovviamente comune a tutti i grafici dei caratteri, e coincide con l ordinamento che abbiamo prima esaminato con i puntini sostituiti dal nome delle specie; mentre i quadrati con i numeri (corrispondenti alle classi di ciascun traits) rappresentano il baricentro delle specie che mostrano valori o categorie appartenenti a quella classe. Analizzando il grafico si può osservare come il primo asse è relativo soprattutto all altezza, alla forma biologica, alla forma di crescita, alla fenologia fogliare e alla tessitura fogliare. Il secondo asse, invece, è relativo soprattutto alla clonalità e all impollinazione. Infatti le specie che sono disposte in corrispondenza dei valori più negativi dell asse 1 (nella parte sinistra dell ordinamento), e che appartengono al PFT 3 sono specie perenni, con foglie persistenti, alte, fanerofite, alberi o arbusti, con foglie coriacee (sclerofille); le specie, invece che sono disposte per i valori positivi dell asse 1 (nella parte destra dell ordinamento) e che corrispondono al PFT o Gruppo 1, sono specie annuali, terofite, di medio-bassa altezza, con foglie non coriacee. Relativamente all asse 2, invece, si osserva che le specie posizionate nella parte bassa dell ordinamento, per valori negativi dell asse 2 (come il PFT O Gruppo 1 e PFT o Gruppo 3), sono soprattutto specie non clonali e per lo più anemogame; mentre le specie posizionate per valori positivi dell asse 2 (e corrispondenti essenzialmente al PFT o Gruppo 2) sono clonali e molto spesso entomogame. Quindi, l asse 1 della MCA potrebbe essere collegato al relativo rivestimento di carbonio sulle strutture protettive dei tessuti fotosintetici e sopratutto al tasso di crescita, sviluppandosi da specie che impiegano molto tempo per raggiungere la maturità (specie della macchia, sempreverdi, alte costituite in predominanza da arbusti ed alberi, con foglie sclerofille) a specie che impiegano un breve periodo per raggiungere la maturità (bassa altezza della pianta, forme di crescita costituite principalmente da erbe annuali con foglie tenere o succulente). L asse 2, invece, potrebbe essere collegato con il minore o maggiore investimento nell accumulo di risorse negli organi clonali, e con la specializzazione nella modalità di impollinazione sviluppandosi da specie per lo più non clonali e anemogame a specie clonali ed entomogame. Ma vediamo di definire in dettaglio le caratteristiche funzionali di ciascun Plant Functional Type o Gruppo funzionale. 140

155 Diversità funzionale delle specie dunali costiere Altezza Peso seme SLA LDMC Area foglia Spessore foglia Forma seme Forma biologica Modalità dispersione Inizio fioritura Clonalità Forma.di.crescita Fenologia fogliare Durata di.vita Tessitura foglia Impollinazione Fig Ordinamento delle classi dei caratteri morfologico-funzionali esaminati per i primi due assi della MCA. I quadrati con i numeri indicano il centro delle classi e le linee segnano la dispersione degli oggetti (specie). Per la categoria di ciascuna traits vedere la Tab A lato è riportato il grafico dell ordiclust per osservare gli andamenti delle classi per ciascun PFTs o Gruppo funzionale. Gruppo funzionale o PFT 1 Questo primo gruppo, posizionato nella parte destra dell ordinamento, include le specie annuali, le cosiddette terofite. La presenza di specie annuali si osserva in due diverse fasce della zonazione costiera: nella prima fascia in prossimità della battigia, nella comunità nitrofila detta cakileto (Cakile marittima subsp. maritima, Salsola kali, Chamaesyce peplis, Xanthium orientale subsp. italicum) e nelle comunità annuali che crescono nelle zone interdunali, nei pratelli della duna di transizione, dietro alle dune o a mosaico con esse (es. Silene canescens, Vulpia fasciculata, Erigeron ssp.).oltre alla forma di crescita, alla durata di vita della foglia e alla fenologia fogliare, che contraddistinguono questo gruppo rispetto agli altri, diverse considerazioni possiamo fare anche rispetto agli altri caratteri. Si tratta, infatti, di specie non clonali, anemogame e anemocore, che presentano valori di altezza medio-bassi, peso del seme medio-basso, SLA elevati, foglie medio-piccole, sottili e una fioritura precoce o molto tardiva. L altezza relativamente bassa è condizionata dai forti venti salsi e dalle caratteristiche del suolo, incoerente, scarso di nutrienti e dotato di bassissima ritenzione idrica (Del Vecchio et al. 2006). Le specie di questo gruppo sono, dunque, tutte terofite: 141

156 Parte 3 germinano, si riproducono e muoiono nell arco di una sola stagione, sfruttando le risorse per l unica fase riproduttiva della loro vita. Accorciare il ciclo vitale ad un periodo breve, rappresenta un efficace strategia per sopravivere in ambienti inospitali, proprio come quelli costieri. La strategia di utilizzo rapido delle risorse viene suggerita anche dagli elevati valori dello SLA e dalle caratteristiche della foglia, che tende ad essere di piccole dimensioni, per limitare l evapotraspirazione; queste specie, quindi, vanno incontro ad un rapido accrescimento e sono molto efficienti nell acquisizione delle risorse subaeree (Del Vecchio et al. 2006). Sono specie che si riproducono esclusivamente mediante semi, che vengono dispersi sopratutto dal vento, andando ad colonizzare nuove aree, talvolta a grande distanza. Gruppo funzionale o PFT 2 Il secondo gruppo, posizionato nella parte alta dell ordinamento, è il gruppo delle perenni avandunali. Infatti, le specie di questo tipo funzionale appartengono alle comunità psammofile perenni delle dune embrionali (Elymus farctus subsp. farctus, Calystegia soldanella, Carpobrotus ssp.) e delle dune mobili (Ammophila arenaria subsp. australis, Echinopora spinosa, Carpobrotus ssp.). La caratteristica principale delle specie di questo PFT è sicuramente la presenza di organi clonali specializzati per la riproduzione vegetativa, che molto spesso determinano una copertura densa di queste specie e permettono loro di occupare lo spazio in modo dominante (Pottier et al. 2007). Tra le specie clonali per eccellenza ci sono le due specie edificatrici della duna: Elymus farctus e Ammophila arenaria. Sono due specie caratterizzate da particolari adattamenti che consentono loro di sopportare o, meglio, opporsi all accumulo della sabbia trasportata dal vento.esse presentano una porzione aerea poco voluminosa rispetto a quella ipogea, che risulta abbondante e ramificata, tanto da creare un groviglio fittissimo di rizomi e radici, capace di trattenere fortemente la sabbia. Sono tipiche specie psammofile, in quanto reagiscono al seppellimento producendo porzioni verticali di rizoma che arrestano la loro crescita in prossimità della superficie del substrato, dove emettono nuove robuste foglie (Packham & Willis 1997). Nuovi apporti di materiale innescheranno di volta in volta l elaborato processo di crescita, che porta a un notevole sviluppo dell apparato ipogeo della pianta, sia in ampiezza che in profondità, in grado di immobilizzare grandi masse di sabbia via via più considerevoli. Oltre alla clonalità, che contraddistingue questo tipo funzionale, altri importanti caratteri sono stati osservati (Fig. 3.4). Le specie di questo gruppo presentano valori medio-bassi di altezza, foglie, spesso carnose-succulente ma anche cartilaginee, con spessore medio-alto e area elevata, e una buona presenza di specie con forma di crescita a cuscinetto o a ciuffo. Si è osservato, inoltre, che molte delle specie di questo gruppo funzionale presentano un impollinazione entomogama. All ampia superficie fogliare riscontrata dalle misure prese che permette di sfruttare meglio le risorse subaeree, non corrispondono valori elevati di SLA; questo fatto indica che le specie di questo gruppo non tendono ad investire le risorse per 142

157 Diversità funzionale delle specie dunali costiere crescere rapidamente, mentre hanno bisogno di fornire strutture protettive alle foglie, le quali, avendo una superficie ben sviluppata, devono limitare l evapotraspirazione (foglie cartilaginee) oppure devono essere capaci di immagazzinare più efficacemente acqua (foglie succulente-carnose) (Del Vecchio 2006). Questo è dimostrato anche dallo spessore della foglia, relativamente elevato, che riflette la necessità di immagazzinare l acqua, proprietà necessaria in un ambiente caratterizzato da stress idrico. Le condizioni ambientali avverse che contraddistinguono gli ambienti dunali sono responsabili anche della posizione in cui queste specie portano le gemme: le forme biologiche principali sono geofite, camefite ed emicriptofite da cui si nota la tendenza a proteggere le gemme, conservandole nel terreno, o comunque vicino al suolo (Del Vecchio 2006). Possiamo affermare che le specie di questo gruppo sono più propense ad accumulare le risorse, piuttosto che a consumarle in fretta: sono tutte specie perenni, contraddistinte dalla capacità di riprodursi clonalmente mediante organi ipogei, i quali permettono anche di immagazzinare le risorse, fungendo quasi sempre anche da organi di riserva. Gruppo funzionale o PFT 3 Il terzo gruppo, posizionato nella parte sinistra dell ordinamento, è il gruppo delle perenni retrodunali. Infatti, esso comprende tutte specie che crescono nel retroduna o meglio sulla duna fissa: le specie tipiche della macchia mediterranea (Rhamnus alaternus subsp. alaternus, Juniperus oxycedrus subsp. macrocarpa, Quercus ilex subsp. ilex e Pistacia lentiscus) e dei rimboschimenti (Cupressus semprervirens, Acacia saligna). Si tratta di un gruppo funzionale ben distinto. Le specie di questo gruppo sono tutte perenni, arboree-arbustive, fanerofite, non clonali, che presentano elevati valori di altezza e di LDMC e bassi valori di SLA, foglie sempreverdi, coriacee (sclerofille) con spessore medio-elevato, e una dispersione soprattutto zoocora. Possiamo affermare che le specie di questo gruppo tendono ad investire in fitomassa: crescendo in una zona più riparata dall azione dei venti e degli spruzzi marini, e su un suolo più maturo, esse possono permettersi un maggior sviluppo della porzione epigea (Del Vecchio 2006). In questo gruppo sono comprese le specie più alte tra quelle analizzate, trattandosi, di alberi e arbusti. Gli elevati valori di LDMC (e bassi di SLA) evidenziano, in ogni caso, l investimento delle foglie in strutture protettive; la presenza di foglie sclerotizzate indicherebbe, che, nonostante le condizioni ambientali siano più mitigate, esse sono limitanti anche nella duna fissa. 5.2 Quali sono le differenze in termini di plant traits tra i gruppi funzionali? I risultati ottenuti dall analisi multivariata che hanno individuato la presenza di tre gruppi funzionali ben definiti delle specie dunali considerate in questo studio, sono stati in parte confermati anche dalle analisi statistiche. L ANOVA per i caratteri quantitativi e il test non parametrico di Kruskall-Wallis per quelli qualitativi, hanno evidenziato delle importanti 143

158 Mean +/- 2SE Mean +/- 2SE Kruskal Wallis Test ANOVA Parte 3 differenze tra i tre tipi funzionali, soprattutto per quanto riguarda i traits di tipo qualitativo. Questi risultati sono stati sintetizzati nella Fig. 3.5 e nei grafici a barre (Fig. 3.6) che riportano il valore medio e l errore standard dei caratteri che sono risultati significativi. Solo due caratteri quantitativi sono risultati significativi tra i tre gruppi: l altezza e lo SLA (Fig. 3.5) Possiamo notare dal grafico che questi due traits presentano un trend opposto: l altezza delle piante presenta valori maggiori andando dal primo al terzo gruppo, sovrapponendosi al gradiente mare-terra; lo SLA, invece, presenta valori più elevati nel gruppo funzionale 1 diminuendo poi fino al gruppo 3. Infatti, come abbiamo detto in precedenza, le specie annuali sono specie erbacee dalle modeste altezze, caratterizzati da una crescita rapida (SLA elevato); mentre le specie perenni avandunali e poi retrodunali (di macchia) sono caratterizzate da piante più sviluppate (specialmente il gruppo 3) e da foglie più resistenti e coriacee per difendersi dai danni dovuti alla siccità, all erbivoria, all areosol marino. I caratteri qualitativi invece sono molto più variabili tra i tre gruppi funzionali: tutti eccetto l inizio della fioritura e la modalità di impollinazione sono significativi (Fig. 3.5; Fig. 3.6). F/Chi-Square Sig. Altezza pianta 13,795 0,00003 **** Peso seme 1,799 0,1792 n.s. SLA 7,433 0,0019 ** LDMC 2,721 0,0786 n.s. Area fogliare 1,943 0,1572 n.s. Spessore fogliare 2,183 0,1267 n.s. Forma del seme 0,823 0,4466 n.s. Forma biologica 38,13 5,25E-09 **** Modalità dispersione 10,41 0,0055 ** Periodo fioritura 4,53 0,1038 n.s. Clonalità 21,93 1,726E-05 **** Forma di crescita 25,58 2,791E-06 **** Fenologia fogliare 26,98 1,382E-06 **** Durata di vita 40,00 2,061E-09 **** Tessitura fogliare 18,91 7,823E-05 **** Tipo di impollinazione 1,01 0,602 n.s. Altezza della pianta SLA Gruppo 1 Gruppo 2 Gruppo Gruppo 1 Gruppo 2 Gruppo 3 Fig Risultati dell ANOVA (caratteri quantitativi) e del Kruskall-Wallis Test (caratteri qualitativi) per i confronti statistici tra i tre gruppi funzionali. La significatività è indicata da * 0.05 > P > 0.01, **0.01 > P > 0.001, ***0.001>P>0.0001, ****P <

159 Mean +- 2 SE Forma di crescita Mean +- 2 SE Clonalità Mean +- 2 SE Modalità di dispersione Mean +- 2 SE Tessitura fogliare Diversità funzionale delle specie dunali costiere 6 3,5 4,5 5 3,0 4,0 4 3,5 3 2,5 3,0 2,0 2,5 2 2,0 1 1,5 1,5 0 N = ,0 N = ,0 N = GRUPPI GRUPPI GRUPPI 2,2 6 2,2 2,0 5 2,0 1,8 1,8 1,6 4 1,6 1,4 3 1,4 1,2 1,2 1,0 2 1,0,8 N = GRUPPI N = 16 1 Fig Diagrammi a barre degli andamenti, nei tre gruppi funzionali, delle seguenti variabili qualitative, nell ordine: forma biologica, modalità di dispersione, tessitura fogliare, fenologia fogliare, forma di crescita e clonalità GRUPPI 10 3,8 N = GRUPPI Le specie esotiche dimostrano strategie distinte dalla componente nativa? ci sono PFTs delle specie esotiche? Un importante risultato che possiamo osservare analizzando le specie presenti nei tre gruppi funzionali è che le specie esotiche sono presenti in tutti e tre i gruppi, condividendo i caratteri morfologico-funzionali delle specie native. Un'altra osservazione che possiamo notare è che, nel Gruppo funzionale 1 che comprende le specie annuali si registra il più elevato numero di esotiche, mentre questo risulta minore nel Gruppo 2 e diminuisce ancora nel Gruppo 3. Nella macchia mediterranea, infatti, sono state osservate, come nel censimento floristico prima analizzato, poche specie esotiche e nessuna di queste invasiva. Infatti, se consideriamo lo status di invasività delle esotiche, si osserva che le invasive sono presenti solamente nel Gruppo 1 e nel Gruppo 2. Nel gruppo funzionale delle annuali ad eccezione dello Xanthium orientale subsp. italicum, che abbiamo classificato come una specie dalla dubbia esoticità, le altre quattro specie esotiche comprese in questo gruppo sono tutte invasive. Il Gruppo 2, quello delle perenni avandunali, comprende tre specie invasive (Carpobrotus ssp., Oenothera biennis e Ambrosia coronopifolia), una specie dubbia (Arundo donax) e due specie casuali (Aptenia cordifolia e Gazania rigens). Infine il Gruppo 3, la macchia, 145

160 Parte 3 comprende solo specie naturalizzate (Acacia saligna e Pittosporum tobira) e il Cupressus semprervirens che viene coltivato per rimboschimenti. Quanto prima detto per i gruppi funzionali in generale, vale ovviamente anche per le esotiche. Anche per queste, infatti, possiamo parlare di tre strategie: le specie che utilizzano rapidamente le risorse (Gruppo 1). Tra le esotiche comprese in questo PFT troviamo il gruppo del genere Erigeron (Erigeron canadensis, E. bonariensis e E. sumatrensis). Si tratta di Asteraceae, di origine americana, annuali (terofite), di mediaelevata altezza e con un area fogliare medio-bassa, elevati valori di SLA; sono specie che si riproducono solo per semi, sono autogame (Viegi et al. 2001) e anemocore. Molte fonti hanno dimostrato la loro notevole capacità invasiva grazie alla produzione di un elevatissimo numero di semi. Si tratta di specie antropofile che beneficiano del disturbo antropico e che riescono a consumare rapidamente le risorse disponibili, occupando così le aree dunali fortemente disturbate. le specie che immagazzinano le risorse (Gruppo 2). Tra le esotiche comprese in questo gruppo troviamo le invasive Carpobrotus edulis/acinaciformis. Si tratta di piante perenni, camefite, con forma prostrata, foglie succulente e persistenti; sono specie clonali, entomogame ed endozoocore. Sono capaci di una vigorosa propagazione vegetativa grazie ai robusti fusti striscianti, ma si riproducono anche sessualmente attraverso la produzione di numerosi semi, ricoperti con una mucillagine zuccherina e appiccicosa all interno di un frutto indeiscente carnoso. La succulenza di queste specie è relazionata alla loro capacità nell immagazzinare grandi quantità di acqua, una risorsa limitata negli ambienti costieri. La presenza di uno apparato radicale molto sviluppato e superficiale, infatti, permette loro una elevata capacità di acquisizione delle risorse presenti nel suolo. I valori bassi di LDMC registrati sono dovuti probabilmente all alto contenuto di acqua delle foglie e quindi a un peso fresco molto elevato; di solito bassi valori di LDMC tendono ad essere associati ad ambienti altamente disturbati. Gli individui di Carpobrotus possono resistere alla severità del clima mediterraneo come siccità e gelo ma anche al fuoco e ai severi calpestii che si verificano lungo molti habitat litorali. È stato stimato, che le invasioni di taxa di Carpobrotus sono state facilitate dall assenza di piante native con simili tratti della storia biologica (Lavorel et al. 1999). le specie che investono in fitomassa (Gruppo 3). Tra le esotiche di questo gruppo troviamo due specie naturalizzate Acacia saligna e Pittosporum tobira. Si tratta di due arbusti introdotti nel primo caso per la stabilizzazione delle dune, nel secondo per fini ornamentali. Sono specie non clonali, con bassi valori di SLA, elevati valori del LDMC e delle aree fogliari. Esse investono molto in strutture protettive; le foglie, infatti, sono semisclerofille (Acacia) o sclerofille (Pittosporum). Sono due specie capaci di resistere alla salsedine e di crescere su suoli ancora mobili. 146

161 Mean +- 2 SE Inizio fioritura Diversità funzionale delle specie dunali costiere 5.4 Quali sono le differenze in termini di plant traits tra le specie native ed esotiche? e tra le native e le esotiche invasive? Una volta aver definito i principali gruppi funzionali (Plant Functional Types) delle specie native ed esotiche degli ambienti dunali costieri dell Italia centrale e di averne esaminato le caratteristiche principali, si sono voluti confrontare i plant traits (i caratteri morfologicofunzionali) della componente nativa e di quella esotica. Sebbene ogni gruppo funzionale comprenda specie non native, e sebbene, queste, condividano quindi, con le native strategie simili, ci siamo chiesti se si potessero individuare dei caratteri tipici delle specie esotiche ed in particolare delle invasive. Il nostro confronto è stato effettuato, come detto, mediante l applicazione di test statistici. Il primo confronto statistico è stato eseguito tra l intera componente nativa (27 specie) e quella esotica (14). Dai risultati dei test non sono emerse sostanziali differenze di strategie, a conferma di ciò che è emerso dall analisi dei gruppi funzionali. Infatti, per quanto riguarda il t-test applicato ai caratteri quantitativi, nessun dei plant traits è risultato significativamente differente tra le specie native e quelle esotiche (Fig. 3.7 a). a) Plant traits Native Esotiche Mean + SE Mean + SE t Sig.(2-tailed) Altezza pianta 55,804 ± 13, ,664 ± 33,769-1,87 0,06855 n.s. Peso seme 82,003 ± 69,735 9,179 ± 5,162 0,75 0,45963 n.s. SLA 10,315 ± 0,934 11,471 ± 1,175-0,75 0,46025 n.s. LDMC 305,719 ± 37, ,448 ± 32,164 0,86 0,39288 n.s. Area fogliare 11,697 ± 4,758 26,75 ± 11,543-1,42 0,16222 n.s. Spessore fogliare 0,748 ± 0,147 1,207 ± 0,688-0,86 0,39300 n.s. Forma del seme 0,293 ± 0,038 0,345 ± 0,045-0,83 0,40918 n.s. Plant traits Mann- Whitney U Sig. (2- tailed) b) c) Forma biologica 184 0,8861 n.s. Tipo di dispersione 173 0,6388 n.s. Periodo fioritura 93,5 0,0035 ** Clonalità 150 0,1738 n.s. Forma di crescita 178,5 0,7675 n.s. Fenologia fogliare 165 0,4461 n.s. Durata di vita 179,5 0,7573 n.s. Tessitura fogliare 183 0,8643 n.s. Modalità impollinazione 186,5 0,9344 n.s. 4,0 3,5 3,0 2,5 2,0 1,5 1,0 N = Native Esotiche Fig Risultati dei test statistici relativi al confronto tra i plant traits delle specie native e esotiche. a) risultati relativi a t-test per i caratteri quantitativi; b) risultati relativi al Mann Whitney U Test per i caratteri qualitativi. c) differenza del periodo di fioritura tra le due la componente nativa e quella esotica. La significatività è indicata da * 0.05 > P > 0.01, **0.01 > P > 0.001, ***0.001>P>0.0001, ****P <

162 Parte 3 Per quanto riguarda i caratteri qualitativi dal Mann-Whitney U-test è risultato significativo tra le due componenti solo il periodo di fioritura (Fig. 3.7b). In particolare, si è osservato che le specie esotiche generalmente presentano periodi di fioritura più tardivi, rispetto alle specie native, fiorendo nella tarda estate e o all inizio dell autunno (Fig. 3.6c). Il confronto statistico successivo, quindi, è stato realizzato prendendo in considerazione sempre il gruppo delle specie native (27 specie), ma non tutta la componente esotica, solo quella costituita dalle specie esotiche invasive. I risultati dei test hanno presentato delle leggere differenze rispetto al caso precedente. Questa differenza ha riguardato in particolare i caratteri quantitativi (Fig. 3.8a). Infatti, mentre nel confronto precedente tra l intera componente nativa e quella esotica nessuno di questi traits risultava significativo, adesso, considerando sola la parte invasiva della compagine esotica, si è osservato che lo SLA presenta una leggera significatività (0,046), con valori più elevati per le specie invasive rispetto alle specie native (Fig. 3.8a-b). Per quanto riguarda i caratteri qualitativi, invece, rimane la significatività relativa solamente al periodo di fioritura, con un comportamento marcatamente più tardivo delle specie invasive rispetto a quelle native (Fig. 3.8c-d). 5.5 Quali sono le principali differenze tra i plant traits delle specie esotiche non invasive e di quelle invasive? Le analisi statistiche che hanno preso in considerazione il complesso delle specie selezionate in questa ricerca, native ed esotiche, si sono focalizzate, infine, solo sulla componente non nativa con lo scopo di esaminare se, dal confronto tra le specie esotiche non invasive (naturalizzate, casuali, dubbie e coltivate) e le specie esotiche invasive, si potessero individuare dei caratteri tipici di queste ultime, cioè dei plant traits relazionati all invasività. Per quanto riguarda i caratteri quantitativi, il t-test ha mostrato come significativo solo lo SLA, come era risultato dal precedente confronto tra la componente nativa con quella esotica invasiva, ma in questo caso con un maggior livello di significatività (0,01): le specie esotiche invasive presentano valori più elevati di SLA rispetto alla componente esotica non invasiva (Fig. 3.9a-b). Per quanto riguarda i caratteri qualitativi sono risultati significativi oltre al periodo di fioritura (0,046) sempre significativo anche nei precedenti confronti, anche la forma biologica e la fenologia fogliare: le specie esotiche invasive infatti sono soprattutto terofite (Fig. 3.10a-b). 5.6 Si possono individuare delle differenze a livello di plant traits all interno di ciascun PFT tra le native e le esotiche? Dopo aver esaminato complessivamente la componente nativa ed esotica, abbiamo effettuato confronti statistici all interno di ciascun gruppo funzionale. Dapprima, sono stati confrontati i caratteri morfologico-funzionali delle specie native ed esotiche in ciascun PFT. 148

163 Mean +- 2 SE Inizio fioritura Media +/- 2SE Diversità funzionale delle specie dunali costiere a) Plant traits Native Esotiche invasive Mean + SE Mean + SE t Sig.(2-tailed) Altezza pianta 55,804 ± 13,895 52,1± 13,571 0,13 0,897 n.s. Peso seme 82,003 ± 69,735 2,089 ± 1,177 0,58 0,568 n.s. SLA 10,315 ± 0,934 14,253 ± 1,487-2,24 0,046 * LDMC 305,719 ± 37, ,493 ± 42,377 0,52 0,605 n.s. Area fogliare 11,697 ± 4,758 10,746 ± 3,482 0,10 0,922 n.s. Spessore fogliare 0,748 ± 0,147 1,699 ± 1,391-1,29 0,206 n.s. Forma del seme 0,293 ± 0,038 0,350 ± 0,061-0,70 0,487 n.s. b) SLA native esotiche invasive c) Plant traits Mann- Whitney U Sig. (2- tailed) d) 4,5 4,0 Forma biologica 68,5 0,2434 n.s. Tipo di dispersione 78,5 0,4672 n.s. Periodo fioritura 26,0 0,00099 *** Clonalità 88,5 0,7281 n.s. Forma di crescita 71,5 0,3167 n.s. Fenologia fogliare 79,5 0,4538 n.s. Durata di vita 79,0 0,4429 n.s. Tessitura fogliare 79,5 0,5063 n.s. Modalità impollinazione 86,5 0,6807 n.s. 3,5 3,0 2,5 2,0 1,5 1,0,5 N = 27 Nati ve 7 Invasi ve Fig Risultati dei test statistici relativi al confronto tra i plant traits delle specie native ed esotiche invasive. a) Risultati relativi a t-test per i caratteri quantitativi; b) grafico della media e SE dello SLA per la componente nativa ed esotica invasiva.; c) risultati relativi al Mann Whitney U Test per i caratteri qualitativi; d) differenza del periodo di fioritura tra la componente nativa e quella esotica invasiva. La significatività è indicata da * 0.05 > P > 0.01, **0.01 > P > 0.001, ***0.001>P>0.0001, ****P <

164 Mean +- 2 SE Inizio fioritura Mean +- 2 SE Fenologia fogliare Media +/- 2SE Parte 3 a) Plant traits Esotiche non invasive Esotiche invasive Mean + SE Mean + SE t Sig.(2-tailed) Altezza pianta 175,229 ± 59,109 52,1± 13,571 2,03 0,0651 n.s. Peso seme 16,270 ± 9,864 2,089 ± 1,177 1,43 0,1789 n.s. SLA 8,689 ± 1,091 14,253 ± 1,487-3,02 0,011 * LDMC 247,403 ± 51, ,493 ± 42,377-0,27 0,7910 n.s. Area fogliare 42,754 ± 21,906 10,746 ± 3,482 1,44 0,1746 n.s. Spessore fogliare 0,714 ± 0,199 1,699 ± 1,391-0,70 0,4969 n.s. Forma del seme 0,339 ± 0,070 0,350 ± 0,061-0,11 0,9113 n.s. b) Fig Risultati dei test statistici relativi al confronto tra i plant traits delle specie esotiche non invasive e le esotiche invasive. a) risultati relativi a t-test per i caratteri quantitativi; b) grafico della media ± SE dello SLA per la componente esotica non invasiva e esotica invasiva. La significatività è indicata da * 0.05 > P > 0.01, **0.01 > P > 0.001, ***0.001>P>0.0001, ****P < SLA esotiche non invasive esotiche invasive Fig Risultati dei test statistici relativi al confronto tra i plant traits delle specie esotiche non invasive e le esotiche invasive. a) risultati relativi al Mann- Whitney U Test per i caratteri quantitativi; b) diagrammi a barre degli andamenti, per la componente esotica non invasiva e pequella invasiva relativi alle variabili qualitative significative: forma biologica, inizio della fioritura, fenologia fogliare. La significatività è indicata da * 0.05 > P > 0.01, **0.01 > P > 0.001, ***0.001>P>0.0001, ****P < Plant traits Mann- Whitney U Sig. (2- tailed) Forma biologica 8,5 0,0346 * Tipo di dispersione 20,5 0,5780 n.s. Periodo fioritura 10,0 0,045 * Clonalità 17,5 0,2980 n.s. Forma di crescita 16,5 0,2930 n.s. Fenologia fogliare 10,5 0,0374 * Durata di vita 14,0 0,1069 n.s. Tessitura fogliare 17,5 0,3467 n.s. Modalità impollinazione 21,0 0,5909 n.s. 6 4,5 2,4 5 4,0 2,2 3,5 2,0 4 3,0 1,8 3 2,5 1,6 2 2,0 1,4 1 1,5 1,0 1,2 1,0 0 N = 7 Non invasive 7 Invasi ve,5 N = 7 Non invasive 7 Invasi ve,8 N = 7 Non invasive 7 Invasi ve 150

165 Mean +- 2 SE Forma di crescita Mean +- 2 SE Inizio fioritura Media +/- 2SE Diversità funzionale delle specie dunali costiere Da questi test è emerso che solo per il gruppo 1, quello delle specie annuali, sono risultate differenze significative tra le due componenti (Fig. 3.11). a) Plant traits Native Esotiche Gruppo 1 Mean + SE Mean + SE t Sig.(2-tailed) Altezza pianta 12,432 ± 2,886 58,420 ± 15,749-4,16 0,00096 *** Peso seme 2,374 ± 0,733 16,006 ± 14,317-1,47 0,1646 n.s. SLA 12,907 ± 1,683 15,208 ± 1,824-0,82 0,4255 n.s. LDMC 285,526 ± 80, ,136 ± 34,664 0,08 0,9339 n.s. Area fogliare 1,773 ± 0,485 30,888 ± 23,693-1,90 0,0777 n.s. Spessore fogliare 0,604 ± 0,158 0,328 ± 0,055 1,14 0,2733 n.s. Forma del seme 0,282 ± 0,064 0,452 ± 0,061-1,62 0,1276 n.s. b) Altezza della pianta native esotiche c) Plant traits Gruppo 1 Mann- Whitney U Sig. (2- tailed) Forma biologica 27,5 1 Tipo di dispersione 24,5 0,7110 n.s. 3 Periodo fioritura 2,5 0,0013 ** Clonalità 27,5 1 Forma di crescita 9,5 0,0267 * 2 Fenologia fogliare 27,5 1 1 Durata di vita 27,5 1 Tessitura fogliare 21,5 0,4602 n.s. Modalità impollinazione 26,5 0,8927 n.s. 0 N = 11 5 Fig Risultati dei test statistici relativi al confronto tra i plant traits delle specie native ed esotiche all interno del gruppo funzionale 1. a) risultati relativi a t-test per i caratteri quantitativi; b) grafico della media e SE dell altezza della pianta per le specie native ed esotiche del gruppo 1.; c) risultati relativi al Mann Whitney U Test per i caratteri qualitativi. d) differenza del periodo di fioritura (in alto) e della forma di crescita (in basso) tra le due componenti all interno del gruppo funzionale ,5 3,0 2,5 2,0 1,5 1,0 N = Native 11 Esotiche 5 d) Native Esotiche 151

166 Parte 3 Come si vede dalle tabelle, infatti, per il gruppo 2 e il gruppo 3 nessun carattere né di tipo quantitativo, né qualitativo è risultato significativo (Fig. 3.12a-b). Il gruppo 1 evidenzia differenze funzionali tra le specie native ed esotiche che si manifestano nella variabile quantitativa dell altezza, con valori più elevati per le specie esotica, nella forma di crescita, con forme di crescita più sviluppate per le specie esotiche e, come in precedenza, nell inizio della fioritura, con le specie esotiche più tardive rispetto alle native (Fig a-d). a) Plant traits Native Esotiche Gruppo 2 Mean + SE Mean + SE t Sig.(2-tailed) Altezza pianta 35,561 ± 9,236 92,30 ± 59,631-1,22 0,2453 n.s. Peso seme 16,569 ± 7,852 1,716 ± 1,051 1,52 0,1526 n.s. SLA 8,812 ± 1,357 10,847 ± 1,028-1,09 0,2973 n.s. LDMC 252,469 ± 38, ,985 ± 53,193 0,86 0,4028 n.s. Area fogliare 28,731 ± 12,794 30,843 ± 19,964-0,09 0,9267 n.s. Spessore fogliare 1,102 ± 0,385 2,285 ± 1,569-0,88 0,3945 n.s. Forma del seme 0,349 ± 0,061 0,299 ± 0,077 0,51 0,6196 n.s. Plant traits Native Esotiche Gruppo 3 Mean + SE Mean + SE t Sig.(2-tailed) Altezza pianta 153,843 ± 29, ,467 ± 62,440-1,60 0,149 n.s. Peso seme 291,263 ± 267,014 12,727 ± 4,298 0,66 0,528 n.s. SLA 8,174 ± 0,994 6,490 ± 1,031 1,00 0,347 n.s. LDMC 405,916 ± 40, ,227 ± 74,487 0,80 0,449 n.s. Area fogliare 5,391 ± 1,601 11,667 ± 5,753-1,47 0,180 n.s. Spessore fogliare 0,519 ± 0,022 0,513 ± 0,134 0,06 0,954 n.s. Forma del seme 0,240 ± 0,074 0,257 ± 0,052-0,14 0,894 n.s. b) Plant traits Gruppo 2 Mann- Whitney U Sig. (2-tailed) Forma biologica 24,0 0,707 n.s. Tipo di dispersione 25,5 0,851 n.s. Periodo fioritura 22,0 0,537 n.s. Clonalità 22,5 0,490 n.s. Forma di crescita 12,5 0,069 n.s. Fenologia fogliare 19,5 0,280 n.s. Durata di vita 27,0 1 n.s. Tessitura fogliare 23,5 0,657 n.s. Modalità impollinazione 24,0 0,645 n.s. Plant traits Gruppo 3 Mann- Whitney U Sig. (2-tailed) Forma biologica 10,5 1 n.s. Tipo di dispersione 8,5 0,513 n.s. Periodo fioritura 8,5 0,513 n.s. Clonalità 7 0,127 n.s. Forma di crescita 10,5 1 n.s. Fenologia fogliare 10,5 1 n.s. Durata di vita 10,5 1 n.s. Tessitura fogliare 9 0,626 n.s. Modalità impollinazione 9,5 0,789 n.s. Fig Risultati dei test statistici relativi al confronto tra i plant traits delle specie native ed esotiche all interno del gruppo funzionale 2 e 3. a) risultati relativi a t-test per i caratteri quantitativi; b) risultati relativi al Mann Whitney U Test per i caratteri qualitativi. In seguito, sono stati ripetuti i test statistici di confronto tra le specie native e le specie esotiche invasive all interno di ciascun gruppo funzionale. I test hanno riguardato solamente i primi due gruppi poiché il terzo include solo tre esotiche, di cui nessuna invasiva. Per il gruppo 2 continua a non essere significativo nessun carattere né quantitativo né qualitativo, anche restringendo l analisi alla sola componente esotica invasiva (Fig. 3.14). Per quanto riguarda, invece, il gruppo delle annuali, è risultata nuovamente significativa l altezza, con 152

167 Mean +- 2 SD Forma di crescita Mean +- 2 SD Inizio fioritura Media +/- 2SE Media +/- 2SE Diversità funzionale delle specie dunali costiere valori più elevati per le specie esotiche invasive rispetto alle native (Fig a-b); anche un altro carattere quantitativo è significativo, l area fogliare, con le invasive che presentano aree fogliari più grandi rispetto alle native (Fig a-b). a) Plant traits Native Esotiche invasive Gruppo 1 Mean + SE Mean + SE t Sig.(2-tailed) Altezza pianta 12,432 ± 2,886 56,6 ± 20,195-3,58 0,0034 ** Peso seme 2,374 ± 0,733 1,743 ± 1,603 0,41 0,6877 n.s. SLA 12,907 ± 1,683 16,170 ± 2,00-1,06 0,3073 n.s. LDMC 285,526 ± 80, ,898 ± 36,767-0,07 0,9467 n.s. Area fogliare 1,773 ± 0,485 7,310 ± 3,01-2,95 0,0113 * Spessore fogliare 0,604 ± 0,158 0,283 ± 0,04 1,19 0,2548 n.s. Forma del seme 0,282 ± 0,064 0,443 ± 0,078-1,36 0,1959 n.s. b) Altezza della pianta Area fogliare native esotiche invasive 0 native esotiche invasive c) Plant traits Gruppo 1 Mann- Whitney U Sig. (2- tailed) Forma biologica 22,0 1 n.s. Tipo di dispersione 17,5 0,5177 n.s. Periodo fioritura 2,0 0,0026 ** Clonalità 22,0 1 n.s. Forma di crescita 5,5 0,0205 * Fenologia fogliare 22,0 1 n.s. Durata di vita 22,0 1 n.s. Tessitura fogliare 16,5 0,4399 n.s. Modalità impollinazione 17,5 0,4897 n.s Fig Risultati dei test statistici relativi al confronto tra i plant traits delle specie native ed esotiche invasive all interno del gruppo funzionale 1. a) risultati relativi a t-test per i caratteri quantitativi; b) grafico della media e SE dell altezza della pianta e dell area fogliare per le specie native ed esotiche invasive del gruppo 1.; c) risultati relativi al Mann Whitney U Test per i caratteri qualitativi, d) differenza del periodo di fioritura (in alto) e della forma di crescita (in basso) tra le due componenti all interno del gruppo funzionale N = N = 11 Nati ve 11 4 Invasi ve 4 d) Nati ve Invasi ve 153

168 Parte 3 a) Plant traits Native Esotiche invasive Gruppo 2 Mean + SE Mean + SE t Sig.(2-tailed) Altezza pianta 35,561 ± 9,236 46,10 ± 21,023-0,68 0,5090 n.s. Peso seme 16,569 ± 7,852 2,550 ± 2,090 1,00 0,3431 n.s. SLA 8,812 ± 1,357 11,697 ± 1,325-1,14 0,2793 n.s. LDMC 252,469 ± 38, ,287 ± 92,315 0,31 0,7618 n.s. Area fogliare 28,731 ± 12,794 15,327 ± 6,960 0,58 0,5757 n.s. Spessore fogliare 1,102 ± 0,385 3,587 ± 3,227-1,38 0,1982 n.s. Forma del seme 0,349 ± 0,061 0,227 ± 0,019 1,12 0,2889 n.s. b) Plant traits Gruppo 2 Mann- Whitney U Sig. (2-tailed) Forma biologica 13,5 1 n.s. Tipo di dispersione 11,0 0,6224 n.s. Periodo fioritura 7,5 0,2482 n.s. Clonalità 13,5 1 n.s. Forma di crescita 4,5 0,0739 n.s. Fenologia fogliare 12,0 0,7462 n.s. Durata di vita 13,5 1 n.s. Tessitura fogliare 12,0 0,7676 n.s. Modalità impollinazione 12,0 0,7125 n.s. Fig Risultati dei test statistici relativi al confronto tra i plant traits delle specie native ed esotiche invasive all interno del gruppo funzionale 2. a) risultati relativi a t-test per i caratteri quantitativi; b) risultati relativi al Mann Whitney U Test per i caratteri qualitativi. 5.7 Si possono individuare delle differenze a livello di plant traits lungo il gradiente mare-terra, per le specie di avanduna, di duna di transizione e di duna fissa? Un ultima analisi statistica ha visto il confronto tra i caratteri morfologico-funzionalis delle specie esotiche e native in base alla loro disposizione lungo il gradiente mare-terra. Le 41 specie dunali selezionate, quindi, sono state attribuite ad una delle tre principali fasce costiere: avanduna, duna di transizione e duna fissa. In seguito sono stati effettuati test statistici di confronto tra la componente nativa ed esotica per le specie di ciascuna di queste fasce dunali, tranne per la duna fissa, essendo le specie attribuite a questa fascia tutte comprese nel gruppo 3, i cui risultati sono stati già analizzati. Dai tests è emerso che per le specie dell avanduna nessun carattere è risultato significativo tra le specie native ed esotiche (Fig a-b), mentre sono emerse differenze significative per le specie che occupano la duna di transizione (Fig a-c). Dalle tabelle si nota, infatti, che sono risultati significativi l inizio della fioritura e la forma di crescita: anche qui le specie esotiche presentano forme di crescita più sviluppate e una fioritura più tardiva rispetto alle specie native (Fig a-c). 154

169 Mean +- 2 SE Forma di crescita Mean +- 2 SE Inizio fioritura Diversità funzionale delle specie dunali costiere a) Plant traits Native Esotiche Avanduna Mean + SE Mean + SE t Sig.(2-tailed) Altezza pianta 27,864 ± 8,221 29,280 ± 9,576-0,10 0,920 n.s. Peso seme 14,552 ± 6,497 16,598 ± 14,162-0,15 0,881 n.s. SLA 8,282 ± 0,846 11,344 ± 1,192-2,05 0,059 n.s. LDMC 229,049 ± 37, ,484 ± 50,074 1,17 0,261 n.s. Area fogliare 23,828 ± 10,868 34,012 ± 23,251-0,46 0,654 n.s. Spessore fogliare 1,183 ± 0,317 2,736 ± 1,841-1,21 0,245 n.s. Forma del seme 0,332 ± 0,052 0,305 ± 0,080 0,28 0,781 n.s. Fig Risultati dei test statistici relativi al confronto tra i plant traits delle specie native ed esotiche per la fascia avandunale. a) Risultati relativi a t-test per i caratteri quantitativi; b) risultati relativi al Mann Whitney U Test per i caratteri qualitativi. b) Plant traits Avanduna Mann-Whitney U Sig. (2- tailed) Forma biologica 19 0,319 n.s. Tipo di dispersione 19,5 0,335 n.s. Periodo fioritura 26 0,860 n.s. Clonalità 20,5 0,345 n.s. Forma di crescita 12,5 0,074 n.s. Fenologia fogliare 23,5 0,602 n.s. Durata di vita 25,5 0,763 n.s. Tessitura fogliare 25,5 0,793 n.s. Modalità impollinazione 24 0,622 n.s. a) Plant traits Native Esotiche Duna di transizione Mean + SE Mean + SE t Sig.(2-tailed) Altezza pianta 12,550 ± 3, ,971 ± 48,777-1,99 0,068 n.s. Peso seme 1,044 ± 0,266 1,367 ± 0,913-0,36 0,724 n.s. SLA 14,004 ± 2,086 13,050 ± 1,858 0,34 0,741 n.s. LDMC 328,482 ± 104, ,571 ± 29,424 0,44 0,668 n.s. Area fogliare 1,783 ± 0,405 25,076 ± 17,390-1,44 0,174 n.s. Spessore fogliare 0,409 ± 0,094 0,412 ± 0,139-0,02 0,984 n.s. Forma del seme 0,321 ± 0,080 0,430 ± 0,060-1,06 0,310 n.s. b) Plant traits Duna di transizione Mann- Whitney U Sig. (2-tailed) 4,5 4,0 Forma biologica 20,5 0,2646 n.s. Tipo di dispersione 19,5 0,2385 n.s. Periodo fioritura 0 0,0003 *** Clonalità 20 0,1167 n.s. Forma di crescita 10,5 0,0338 * Fenologia fogliare 16 0,0455 n.s. Durata di vita 19,5 0,2000 n.s. Tessitura fogliare 25,5 0,7482 n.s. Modalità impollinazione 22 0,4142 n.s. 3,5 3,0 2,5 2,0 1,5 1,0,5 N = 8 7 Nati ve Esotiche 4,0 Fig Risultati dei test statistici relativi al confronto tra i plant traits delle specie native ed esotiche per la duna di transizione. a) Risultati relativi a t-test per i caratteri quantitativi; b) risultati relativi al Mann Whitney U Test per i caratteri qualitativi. c) Differenza del periodo di fioritura (in alto) e della forma di crescita (in basso) tra le specie native ed esotiche della duna di transizione. 3,5 3,0 2,5 2,0 1,5 1,0 N = Nati ve Esotiche

170 Parte 3 6. DISCUSSIONI 6.1 LA DIVERSITÀ FUNZIONALE DEGLI AMBIENTI DUNALI COSTIERI DELL ITALIA CENTRALE I risultati ottenuti hanno permesso di individuare tre principali gruppi funzionali (o Plant Functional Types) delle specie native ed esotiche che crescono sulle coste sabbiose dell Italia centrale. Infatti, dai test statistici è emerso che tutte le variabili qualitative sono significative tra i gruppi funzionali individuati indicando la presenza piuttosto netta di tre distinte strategie; inoltre, sebbene siano risultate significative solo due variabili quantitative, si tratta di due plan traits fondamentali per comprendere il comportamento funzionale delle specie vegetali, l area fogliare specifica (SLA) e l altezza della pianta (Westoby 1998). Possiamo dire, inoltre, che i tre gruppi individuati adottano tre differenti strategie di sopravvivenza e di allocazione delle risorse in risposta al forte gradiente ecologico che si estende dal mare verso l entroterra. Infatti, sull asse 1 della dell ordinamento (MCA), dai valori più elevati a quelli più bassi, si osserva che la disposizione dei tre gruppi funzionali corrisponde pressappoco alla disposizione delle tipologie vegetazionali che si sviluppano dal mare verso l interno. In realtà, nel primo gruppo sono comprese, come già detto, sia le specie annuali delle fascia pionera (cakileto), sia quelle dei pratelli retrodunali che si sviluppano nella duna di transizione. Queste specie, sono tutte terofite e sono caratterizzate dall utilizzare le risorse in breve tempo piuttosto che immagazzinarle. Le specie del secondo gruppo, invece, che coincidono con quelle della duna embrionale e mobile, sono più propense ad accumulare le risorse, piuttosto che a consumarle rapidamente. Infine, il terzo gruppo è costituito esclusivamente dalle specie della duna fissa (macchia mediterranea), che, crescendo in una zona più riparata, tendono ad investire in fitomassa e in strutture protettive. I tre gruppi funzionali individuati sono espressioni di tre strategie, che possono essere definite secondo la classificazione di Grime (1977;2001) molto semplicemente come un continuum R (ruderali) S (stress-tolleranti) - C (competitive) oppure utilizzando la classificazione di Bolker & Pacala (1999) in relazione alla loro occupazione spaziale, come colonization, exploitation, e tolerance (Poiters et al. 2007). Le specie annuali potremmo includerle nel gruppo delle colonizzatrici (le ruderali secondo Grime), grazie alla loro capacità di occupare aree vuote e disturbate mediante una produzione talvolta copiosa di semi dispersi dal vento. Le specie perenni avandunali potremmo includerle tra le specie che sfruttano le risorse, investendo molto in organi di riserva e occupando lo spazio in modo molto efficace grazie alla riproduzione vegetativa. Infine, le specie perenni retrodunali rappresenterebbero il gruppo delle tolleranti, o comunque delle specie che investono molto in difese e quindi sono altamente competitive. La presenza di queste tre distinte strategie delle specie dunali è stata osservata anche nel lavoro di García-Mora et al. (1999), uno dei pochi lavori che ha riguardato la diversità funzionale degli ambienti costieri. Tuttavia, 156

171 Diversità funzionale delle specie dunali costiere questo lavoro, relativo alle dune della Spagna SW, ha preso in esame solo le specie erbacee dell avanduna e della duna di transizione; non venivano considerate le specie della duna fissa. A differenza dei nostri risultati, nel lavoro di García-Mora et al. (1999), le specie annuali sono contenute in due gruppi distinti. Infatti, specie della fascia alonitrofila in prossimità del mare (Cakile maritima, Salsola kali) sono comprese nello stesso PFT delle specie perenni edificatrici della duna (Ammophila, Elymus,..) per la loro capacità di rispondere all insabbiamento e alla salinità (foglie carnose) e a disperdersi mediante l acqua (idrocoria); mentre, le altre specie annuali, quelle della duna di transizione, formano un gruppo distinto e sono caratterizzate per l assenza di adattamenti specifici alla salinità, all insabbiamento e agli altri stress tipici dell ambiente dunale (García-Mora et al. 1999). Nel nostro caso non è stata osservata una duplice strategia delle specie annuali e probabilmente i caratteri morfologici legati alla forma di vita, alla forma biologica, hanno pesato maggiormente nell elaborazione, rispetto agli altri caratteri come quelli rigenerativi (es. dispersione del seme). Future elaborazioni potrebbero prende in considerazione solo la componente annuale ed evidenziane le due differenti strategie. Per quanto riguarda la componente perenne avandunale, invece, le specie incluse nel gruppo funzionale 2 individuato nella nostra ricerca (come Elymus farctus, Ammophila arenaria, ma anche Arundo donax e Carpobrotus ssp.), presentano, come per i gruppi funzionali determinati da García-Mora et al. (1999), adattamenti all insabbiamento, alla salinità, alla siccità, e all aerosol marino. La nostra analisi sulle strategie delle specie dunali, comunque, sarà approfondita nella parte quarta in cui si prenderanno in considerazione anche le specie delle dune atlantiche. 6.2 GRUPPI FUNZIONALI E SPECIE ESOTICHE La prima domanda che ci siamo posti dopo aver individuato i tipi funzionali delle coste sabbiose dell ecosistema costiero esaminato, era se le specie esotiche condividessero le strategie delle specie native o formassero un gruppo funzionale (PFT) distinto. I risultati hanno chiaramente confermato la prima ipotersi: le esotiche sono state osservate in tutti e tre i gruppi funzionali. Esse, quindi, non presentano strategie proprie distinte da quelle delle native, ma condividono le loro stesse strategie mostrando un elevata plasticità che è, tra l altro, considerata come uno degli elementi tipici dell invasività. Le specie esotiche sono state osservate tra le annuali, tra le perenni avandunali e tra le specie della macchia mediterranea. A questo punto andando ad analizzare il loro status di invasività, è stato osservato che le specie invasive sono presenti solo nel gruppo funzionale 1 e nel gruppo 2; nel gruppo 3, che comprende le specie della macchia mediterranea, sono state osservate solo esotiche naturalizzate o coltivate (es. Acacia saligna, Cupressus semprervirens). Questi risultati, tra l altro vanno a confermare in parte, quelli ottenuti in un nostro precedente lavoro (Acosta et al. 2006), in cui veniva considerato un numero più elevato di specie dunali, native ed esotiche (183), e analizzato un numero minore di plant traits (9), con dati ottenuti 157

172 Parte 3 esclusicamente da fonti bibliografiche. In questo caso venivano individuati 4 tipi funzionali: due per le specie annuali (I-II), distinti essenzialmente in base alla tessitura fogliare e alla modalità di impollinazione; il gruppo delle specie perenni clonali (III), e poi un gruppo di specie perenni avandunali e retrodunali tra cui il sottogruppo di specie della macchia mediterranea (IV) (Fig. 3.17). Fig I quattro gruppi funzionali definiti nel lavoro di Acosta et al I puntini neri rappresentano le specie autoctone; i simboli rossi indicano le esotiche invasive, quelli blu le naturalizzate e quelli gialli le casuali. I puntini vuoti indicano le esotiche dubbie (da Acosta et al mod.). Le specie esotiche invasive e causali erano state osservate in tutti i tre i gruppi (considerando quello delle annuali come un solo gruppo), corrispondenti alle tre strategie prima esaminate; mentre si osservò che le specie naturalizzate erano presenti soprattutto nelle comunità retrodunali e in particolare in quelle della macchia mediterranea. La presenza di un numero basso di esotiche nelle comunità legnose retrodunali (essenzialmente elementi naturalizzati o coltivati) e la maggiore presenza nella comunità avandunali e in particolare nella duna di transizione di elementi esotici spesso invasivi è stato dimostrato in recenti lavori (Acosta et al. 2007b; Santoro 2007). Si è ipotizzato che, nelle comunità dove i filtri ambientali (sensu Keddy 1992; Díaz et al. 1999), abiotici e biotici, sono più intensi, le specie esotiche che vi giungono hanno meno facilità ad insediarsi, nelle comunità dove invece questi filtri sono meno intensi, vi è una maggiore facilità per le esotiche ad entrare a far parte dell assemblaggio della comunità. Quindi, le specie che crescono nelle aree più vicine al mare (avanduna) sono soggette ad intensi stress ambientali che fungono da filtro per la maggior parte delle esotiche che vi giungono. Le comunità delle dune fisse (macchia mediterrane), invece, pur non essendo soggette a stress ambientali così intensi, sono caratterizzati da una maggiore competizione per le risorse tra le specie, e quindi da filtri di tipo biotico, che potrebbero funzionare da filtro ambientale (Santoro 2007). Inoltre essendo 158

173 Diversità funzionale delle specie dunali costiere la macchia mediterranea una comunità matura essa è particolarmente resistente alle invasioni esotiche a causa dell elevata percentuale di stabilità a differenza degli stadi successionali iniziali o degli ambienti aperti e disturbati. Le comunità che colonizzano la duna di transizione presentano caratteristiche intermedie, cioè un attenuazione dei filtri abiotici rispetto alle comunità avandunali, ma anche una un attenuazione dei filtri biotici rispetto a quelle della macchia mediterranea; ciò fa sì che in presenza di disturbi antropici si creino nicchie ecologiche vacanti, che le rendono vulnerabili alle invasioni biologiche. Una nutrita presenza di elementi esotici, in particolare invasivi, nella duna di transizione, quindi, potrebbe essere l equivalente spaziale della teoria che individua negli ambienti mesici la presenza di una maggiore invasività. Le specie esotiche invasive che riescono ad occupare l avanduna, come il Carpobrotus ssp., la cui presenza è molto elevata anche nella duna di transizione (Santoro 2007), sono specie che influenzano fortemente il funzionamento dell ecosistema, riuscendo ad occupare nicchie lasciate vuote dalle native grazie alla loro capacità di tollerare l insabbiamento e l instabilità del substrato, di adattarsi alla siccità e alle elevate temperature, e di riprodursi efficacemente per via vegetativa andando ad occupare aree molto estese. Indagini future, quindi, potrebbero prevedere studi più approfonditi a livello di comunità, considerando anche i dati relativi ai principali filtri ambientali delle dune costiere. 6.3 ESISTONO DEI CARATTERI TIPICI DELLE SPECIE ESOTICHE O ASSOCIATI ALL INVASIVENESS? Dopo aver individuato i tipi funzionali delle specie dunali e averne indicato le principali caratteristiche, la nostra analisi si è spostata a considerare i confronti native/esotiche, native/esotiche invasive e esotiche non invasive/invasive, secondo l approccio target-area. I dati andavano a confermare i risultati dell analisi multivariata in quanto sono stati osservati pochi caratteri (in alcuni casi nessuno) significativamente differenti tra la componente nativa ed esotica complessiva, e per quella inclusa in ciascun gruppo funzionale o comunità della fascia dunale, a dimostrazione della straordinaria somiglianza di strategie tra le specie native e quelle esotiche. Tuttavia i confronti statistici hanno evidenziato la presenza di caratteri, seppur poco numerosi, particolarmente distintivi delle specie esotiche ed in particolare di quelle invasive. Si tratta dei seguenti plant traits: 1) Inizio della fioritura: è risultato significativo in tutti i confronti statistici considerati e il solo, nel nostro studio, a distinguere la componente nativa da quella esotica complessiva; 2) Area fogliare specifica (SLA): distingue la componente nativa da quella esotica invasiva e anche la componente esotica non invasiva da quella invasiva; 159

174 Parte 3 3) Forma biologica e fenologia fogliare: distinguono la componente esotica invasiva da quella invasiva. 4) Altezza della pianta: distingue la componente nativa da quella esotica invasiva e non invasiva relativamente al gruppo funzionale 1. Dai test statistici si è rilevato che le specie esotiche invasive degli ambienti costieri sabbiosi dell Italia centrale fioriscono più tardivamente e presentano elevati valori di SLA. Inoltre, dal confronto tra i plant traits delle specie esotiche invasive con quelle non invasive, è emerso che, rispetto alla componente non invasiva, quella invasiva è costituita essenzialmente da terofite, quindi da specie annuali (es. Erigeron ssp.). In realtà ulteriori indagini che stiamo effettuando, stanno valutando il ruolo fortemente invasivo della componente perenne rappresentata oltre che dal Carpobrotus ssp. anche da Agave americana di cui stiamo analizzando i caratteri morfologico-funzionali. In ogni modo, sebbene la forma biologica sia un carattere molto comune e di cui si dispongono molte informazioni, non sembra essere un carattere particolarmente collegato all invasività (Pyšek & Richardson 2007). Di solito si è osservato che le specie che diventano invasive presentano un ampio spettro di forme biologiche. Secondo Pyšek & Richardson (2007), infatti, all interno delle esotiche il ruolo della forma di vita sembra essere stage-specifica ed habitat specifica: le annuali sono favorite in termini di arrivo precedente, ma l invasività sembra associata alla forma di vita perenne; inoltre, le terofite sono favorite negli ambienti disturbati, le emicriptofite in quelli seminaturali. I risultati ottenuti, comunque, sono particolarmente interessanti in quanto trovano conferma in letteratura, per studi che hanno riguardato ambienti e specie differenti da quelli dunali. Infatti, relativamente al periodo di fioritura, sebbene diversi confronti tra la componente esotica e nativa (Williamson & Fitter 1996) non abbiamo dimostrato significative differenze, altri studi (es. Lake & Leishman 2004), hanno chiaramente dimostrato che è vantaggioso, per una specie esotica, fiorire per un periodo più esteso rispetto alle native; altri studi hanno rilevato che le specie europee che invadono il Canada fioriscono per un periodo di tempo più lungo rispetto ai cogeneri non invasivi (Goodwin et al. 1999) e che le specie esotiche sulle isole del Mediterraneo che fioriscono in estate e per un periodo più lungo, sono quelle più abbondanti (Lloret et al. 2005). A differenza dei lavori sopra citati, il nostro studio non ha considerato la durata della fioritura, ma si è soffermato sull inizio di questa: le specie esotiche (in particolare quelle invasive) iniziano a fiorire più tardivamente. Questo comportamento che trova una certa somiglianza con i risultati relativi al pattern di fioritura per la flora britannica di Crawley et al. 1996, in cui è emerso che le specie esotiche fioriscono o più precocemente o più tardivamente rispetto a quelle native, sostenendo così il concetto aliens try harder suggerito dagli stessi autori. Ma il comportamento tardivo delle specie esotiche è stato evidenziato anche nel lavoro di Viegi (2001) in cui sono stati considerati gli aspetti riproduttivi delle specie esotiche dell Italia e in quello di Celesti-Grapow et al. (2003), 160

175 Diversità funzionale delle specie dunali costiere per le specie della flora di Roma. In entrambi i lavori, come nel nostro, si è osservato che le specie native, germogliano preferibilmente in primavera, la stagione di fioritura tipica della flora Mediterranea. Le specie native, quindi, fioriscono, prima dell inizio della stagione secca. Per le specie esotiche, invece, è stata osservata, una fioritura più tardiva e concentrata durante e dopo la secca stagione estiva mediterranea (es. Erigeron ssp., Xanthium sp., Oenothera sp.). Una possibile spiegazione di questo diverso comportamento relativo alla fioritura delle specie dunali analizzate, potrebbe essere relazionata alla competizione con le piante locali: una separazione temporale della nicchia potrebbe essere un meccanismo per evitare la competizione con la vegetazione nativa (Viegi 2001). Infatti, secondo vari autori, diversi pattern fenologici, come la differenziazione nel tempo di fioritura, possono facilitare l insediamento delle specie esotiche; la strategia di svilupparsi e/o fiorire quando tali specie sono già scomparse potrebbe essere, quindi, un vantaggio nei processi di invasione. Nel nostro caso, una spiegazione più interessante prende piega se noi osserviamo i risultati dei confronti native/esotiche (e anche il confronto invasive e non) all interno di ciascun gruppo funzionale e per ciascuna fascia dunale (avanduna, duna di transizione e duna fissa). Quello che emerge è che questa separazione temporale nella fioritura interessa la componente annuale (gruppo funzionale 1), ed, in particolare quella che occupa la duna di transizione. In questa fascia, si sviluppano pratelli di specie annuali costituiti peraltro, da molte specie soggette a minaccia di estinzione. Si tratta di comunità di specie native, effimere, caratterizzate, a differenza delle esotiche, da una fioritura molto precoce, che a volte inizia alla fine dell inverno (es. Romulea rollii, Clypeola jonthlaspi). Queste specie finiscono il loro ciclo vitale all inizio ell estate, seccandosi e affrontando la stagione secca sotto forma di semi; è in quel momento, invece, che le specie esotiche invasive annuali o bienni (Erigeron ssp., Oenothera ssp.) riescono a svilupparsi, a crescere, fiorire e fruttificare. Possiamo dire, quindi, che le specie esotiche potrebbero occupare una nicchia lasciata vacante dalle specie annuali native e in questo modo evitare la competizione interspecifica. Ma in questa particolare fascia del gradiente zonale costiero e, in generale, nel gruppo funzionale 1 delle annuali, un altro aspetto distingue le esotiche (e le invasive) dalle native: un forma di crescita più sviluppata che si traduce anche in valori di altezza più elevati. L altezza della pianta è un altro carattere che molti studi (alcuni anche a livello cogenerico e quindi corretti in termini fitogenetici), ritengono sia associata all invasività (Pyšek & Richardson 2007). Diversi lavori, infatti, hanno dimostrato che le piante esotiche, che colonizzano e diventano stabili in una nuova area geografica, sono più alte ed hanno un più elevato ammontare di biomassa rispetto alle piante della stessa specie che crescono nei loro range nativi (Williamson 1996) Crescendo più alte, dunque, le aliene possono divenire le specie dominanti nei nuovi habitat, mettendo in ombra le specie native. In questo modo le piante mostrano un comportamento più competitivo; non solo quindi le specie esotiche annuali fioriscono più tardivamente, ma proprio grazie alla disponibilità di risorse per l assenza di competitori, possono crescere in maniera più vigorosa. È interessante notare 161

176 Parte 3 come l importanza del periodo di fioritura e dell altezza della pianta come caratteri collegati all invasività siano stati osservati anche in altri studi (es. Goodwin et al. 1999). Tra i caratteri fisiologici che abbiamo considerato in questa ricerca, è risultato significativamente relazionato all invasività il trait dell area fogliare specifica (SLA). L importanza di questo trait trova conferma in molti studi sia multispeficici che cogenerici; l area fogliare specifica rappresenta così uno dei maggiori indicatori/predittori dell invasiveness. In particolare confrontando i caratteri delle specie native con quelli delle specie esotiche invasive si è osservato che l area fogliare specifica delle specie esotiche invasive è più elevata rispetto a quella delle specie native. Elevati valori di SLA, infatti, sono correlati con una breve ritenzione fogliare e con veloci tassi di crescita; le specie, quindi, evitano di investire biomassa in strutture di lunga durata, condizione questa fondamentale per avere successo in ambienti disturbati ed eterogenei, come quelli dunali, dove la crescita rapida è di primaria importanza. Le specie esotiche invasive, così, colonizzano rapidamente nuove aree, soprattutto in ambienti aperti o disturbati e ricchi di risorse. Vediamo adesso, brevemente, di dire qualcosa su quei plant traits che non sono risultati significativi per nessuna analisi, e quindi sono simili nelle due componenti nativa ed esotica. Un carattere che abbiamo osservato essere caratteristico delle specie perenni avandunali (Gruppo funzionale 2) è quello relativo alla clonalità. Si tratta di un carattere comune alle specie native e a quelle esotiche, tra cui le invasive. Tra queste troviamo il Carpobrotus, specie che è capace anche di una riproduzione per semi grazie alla sua elevata plasticità. Dai confronti statistici la clonalità non è emersa come un carattere associato all invasività, ma sicuramente rappresenta uno dei traits che incrementano il potenziale invasivo delle specie che stanno invadendo una nuova area. Secondo Pyšek & Richardson (2007) la clonalità insieme all abilità della vegetazione riproduttiva e una buona crescita laterale, è positivamente associata con l invasività, ma i suoi effetti sono contesto-dipendenti. Infatti, gli invasori clonali sembrano avere uno svantaggio nella fase iniziale della dispersione, ma, una volta stabiliti appaiano più resistenti e competitivi e quindi sono capaci di persistere in maniera migliore rispetto alle esotiche non clonali. Le specie clonali che invadono l avanduna, una volta stabilitisi sono favoriti proprio dai caratteri che contraddistinguono le specie clonali quali: effettivo sito di occupazione, indipendenza da una impollinazione o dispersione specializzata, potenziale rigenerazione e una diffusione immediata. La presenza di specie invasive sia tra le clonali (es. Carpobrotus ssp.) che tra le non clonali (es. Erigeron ssp.), dimostrata, che entrambe hanno lo stesso successo di invadere presentando strong points in differenti fasi del processo di invasione; questa differenza di strategie permette sia alle clonali che alle non clonali di occupare differenti aree della zonazione costiera. Per quanto riguarda i caratteri riproduttivi, a parte il periodo di fioritura, nessun altro carattere è risultato significativo nei test statistici, contraddicendo i risultati di molti studi (multispecifici e co-generici) che considerano quelli riproduttivi come i caratteri più importanti per l invasività. Molti studi hanno collegato l invasività all entomogamia,cioè 162

177 Diversità funzionale delle specie dunali costiere all impollinazione per opera di insetti, altri invece all autogamia o all anemogama, cioè sostanzialmente ad una mancanza di specializzazione; altri, al contrario hanno dimostrato che si tratta di una trait poco determinante nello spiegare il successo dell invasione. Il nostro studio sembra proprio concordare con quest ultima affermazione; infatti il trait realtivo al vettore del polline non è risultato significativo in nessuna analisi effettuata. Sappiamo, però che è l ecologia del seme l elemento cruciale in un processo di invasione delle specie esotiche in nuovi habitat. La produzione di semi è una delle caratteristiche fondamentali associata con la rarità o con l essere comune, quindi con la frequenza di una specie; essa è spesso riportata tra i caratteri delle invasore ideale (Roy 1990). Nel caso di annuali, i semi sono il solo possibile mezzo di introduzioni in nuove aree geografiche, essi rimangono il principale propagulo anche per la maggior parte delle esotiche perenni (Roy 1990; Williamson 1996; Rejmanek 1995). Quindi, studi sulla produzione del seme, germinazione e dispersione possono contribuire sostanzialmente a comprendere le invasioni biologiche. Nel nostro studio né i caratteri relativi alla modalità di dispersione né quelli sul peso e la forma del seme sono risultati significativi tra la componente nativa e quella esotica (invasiva e non invasiva). Di solito, semi di piccole dimensioni si considerano significativamente correlati con il successo invasivo (Reimánek et al. 2005a). Nel nostro caso, in realtà, le specie esotiche invasive presentano sia semi molti piccoli (es. Erigeron ssp.) che più grandi (es. Cenchrus incertus); e anche la forma è molto varia da sferica (es. Oenothera ssp.) ad allungata (es. Erigeron ssp.). Altri studi hanno dimostrato che un elevata fecondità e un efficiente dispersione dei semi promuovono l invasività (Pyšek & Richardson 2007); altri, che la dispersione per opera di vertebrati (zoocoria) è responsabile del successo di molti invasori sia negli ambienti disturbati che in quelli non distrurbati, altri infine hanno osservato l importanza della dispersione anemocora nei processi di imvasione. Dai risultati da noi ottenuti non sono emerse rilevanti differenze tra le specie native e quelle esotiche; in particolare, le invasive sono risultate sia anemocore (es. Erigeron), che zoocore (es. Carpobrotus). La difficoltà, molte volte, di individuare nella dispersione un carattere predittivo sta nel fatto che molto spesso le piante sono effettivamente disperse da molti fattori (qualcuna parla di almeno due fasi nel processo dispersivo), ciascuno dei quali efficienti in specifiche circostanze. Un futuro oggetto di studio potrebbe essere quello di considerare e analizzare il ruolo dell uomo anche nel processo dispersivo, quella che viene definita antropochoria. Molto spesso, infatti, è l uomo (intenzionalmente o meno) il più significativo driver di molte invasioni (Hodkinson & Thompson 1997); tutto ciò ha profonde implicazioni nella capacità delle specie aliene di diffondersi attraverso paesaggi frammentati e, ultimamente, nella loro capacità di rispondere ai cambiamenti delle condizioni ambientali. Si è dimostrato che i caratteri tipicamente associati con la normale capacità di dispersione (massa del seme, morfologia..) sono inappropriati per la previsione di potenziali dinamiche di diffusione di una specie. Per questo si è formulato il concetto di long-distance dispersal, cioè di una dispersione che avviene spesso attraverso mezzi di dispersione non standard, e che 163

178 Parte 3 controlla ultimamente il tasso di diffusione (Higgins et al. 2003). Il concetto di LDD è molto importante per collegare l ecologia delle invasioni ai campi della conservazione biologica (Richardson & Pyšek 2006). Infatti, situazioni in cui abbiamo valori di LLD limitati indicano casi di specie rare e quindi conoscere questi valori ci permette di poter attuare un più corretta gestione di queste specie; inversamente, LLD elevate rappresentano i maggiori driver delle invasioni biologiche (Trakhtenbrot et al. 2005). Per meglio comprendere i meccanismi dell invasività si potranno considerare questi aspetti e prendere in considerazioni altri caratteri come la capacità di germinazione, e la longevità e la grandezza della banca semi; si ritiene, infatti, che la facilità nella germinazione, e la possibilità di creare una banca semi duratura, permetta alle specie di prolungare la germinazione nel tempo e di aspettare le condizioni preferenziali, aumentandone l invasività. Tra i caratteri fisiologici potrebbero essere presi in considerazione il tasso di fotosintesi e l efficienza nell uso dell aqua dell azoto e del fosforo, considerati, anch essi, fortemente associati all invasività. Da quanto finora affermato emerge una certa difficoltà nel comprendere il complesso processo di invasione. Non ci sono plant traits tipici di un invasore ; possono esserci dei casi più generici, dei caratteri più ricorrenti, ma da soli non bastano per predire il successo di un invasione. Si può dire che ogni singolo processo di invasione sembra essere unico, e per ogni regola sembra che ci sia sempre una eccezione. Questo è quello che Roy (1990) definisce: mancanza di regole. 164

179 PARTE 4 FLORISTIC AND FUNCTIONAL ANALYSIS OF ATLANTIC AND MEDITERRANEAN COASTAL DUNE SYSTEMS Le destin géologique singulier du littoral aquitain a permis la formation de la plus grand côte sableuse d Europe. Elle a ainsi pu être qualifiée de dernière côte sauvage d Europe. (Maizeret 2005)

180 Atlantic and Mediterranean coastal dunes 1. INTRODUCTION 1.1 COASTAL DUNES: STRESS AND DISTURBANCE Coastal dune ecosystems are complex and dynamic, continually changing due to the action of wind, tides, and waves. Since they are found at almost all latitudes, climatic conditions and biomes developing on coastal dunes are very diverse, covering ecological habitats, which range from polar to tropical latitudes (van der Maarel 1993;Martínez et al. 2004a). Thus, one of the most outstanding features in these ecosystems is their broad distribution and ecological diversity in terms of geomorphological dimensions, environmental heterogeneity, and species variability (Martínez et al. 2004). Together with sandy beaches, dunes form a buffer zone and link between the marine system and the truly terrestrial stabilised land surfaces (Lubke 1998). Coastal dunes exist along the shores of many water bodies in the world where waves and currents interact with available sediment and local vegetation to create combinations of forms and habitats at the water-land interface. All over the world, the vegetation found in such ecosystems must be able to tolerate a wide range of environmental features that vary in space and time, including low levels of soil nutrients and soil moisture, salt spray, sand accumulation (Oosting & Billings 1942; van der Valk 1974; Barbour et al. 1985; Maun 1993), episodic over-wash and immersion, highly permeable and abrasive substrate, high air and substrate temperatures, large temperature fluctuations, intense solar radiation (incident and reflected), drought, high winds, and substrate mobility (Salisbury 1952; Barbour et al. 1985; Rozema et al. 1985; Lee & Ignaciuk 1985; Clark 1986; Hesp 1991; Kumler 1997; Randall 2004). For this reason, coastal habitats are often characterized as being stressful. According to Osmond et al. (1987) the survival of plants in any ecosystem depends on their physiological reactions to various stresses of the environment. Grime (1979) defined stress as: the external constraints which limit the rate of dry matter production of all or part of the vegetation. According to this definition, stress causes a deviation from the optimum conditions (usually a reduction) in variables such as biomass production and reproduction. Any deviations from the optimum situation would be considered as resulting from stress, in other words, organisms are continuously living under stress in one form or another (Ievinsh 2006). A similar definition was used by Crawford (1989): any environmental factor which restricts growth and reproduction of an organism or population. Nevertheless, Grime's theory has been criticised for numerous reasons, including the definition of stress, which Grime suggests to be a property of a habitat. The problem is that a low nutrient availability may be experienced as stress by some plant species while it may be optimal for others (Aikio 2000). While the term has been used mostly to point out that environmental conditions are outside the optimal range for the majority of the plants, it does not mean that the plants growing in a coastal zone continuously face stress conditions (Ievinsh 2006). According to 166

181 Parte 4 Otte (2001), therefore, stress occurs when organisms are exposed to extreme conditions, i.e. conditions outside the normal range. This view is supported also by Larcher (1991): stress is the exposure to extraordinarily unfavourable conditions. In contrast to the former one, this definition does not consider variations from the optimum and sufficient ranges to be stressful. In fact, according to Maun (2004), small amounts of burial specific to a species do not cause any stress. Actually, it is beneficial and plants exhibit a stimulation response. However, above a certain threshold level of burial, specific to each species, it becomes a stress (Maun 2004). Therefore, instead of using the term stressful, coastal habitats can be characterized as highly heterogeneous (Ievinsh 2006). According to Stuefer (1996) environmental heterogeneity may refer to various fundamentally distinct aspects of environmental variability including scale, contrast, predictability, temporality, spatiality etc. With respect to coastal habitats it is obvious that spatial and temporal variability of both resources and abiotic factors should be considered first (Ievinsh 2006). In temperate sand dunes a patchy distribution of nutrients and water is spatially and temporally variable (Alpert & Mooney 1996). Dune environments often are subject to the presence of disturbance factors too. Grime (1979) defined disturbance as the mechanisms, which limit the plant biomass by causing its partial or total destruction. Disturbance can be particularly high in coastal foredunes and includes wind, salt-spray, occasional inundation by seawater and sand movement. The latter can lead to burial, exposure, or physical damage from sand-blasting (Ripley & Pammenter 2004). Disturbance induced by sand burial (Oosting & Billings 1942; Sykes & Wilson 1991; Wilson & Sykes 1999) and salt stress (Moreno-Casasola 1986; Maun & Perumal 1999; Dech & Maun 2005) are the two main direct abiotic factors proposed in the different studies carried out on the subject as drivers of community zonation (Dech & Maun 2005). Disturbance is also defined as a stochastic event that directly causes the physical destruction of species in opposition to stress, which is predictable and rather continuous. According to Forey et al. (2007) most common stress factors are drought, cold, shade and nutrient deficiency (Grime 1979), whereas examples of disturbance are multiple and include biotic disturbances (e.g. herbivory) as well as physical and/or anthropogenic disturbances (e.g. flooding, fire, ploughing or mowing). 1.2 COASTAL DUNES: SEA-INLAND GRADIENT Coastal sand dunes are dynamic systems of interface between sea and land, characterized by the presence of gradients of soil mobility (sandy sediments) and salinity (sea spray). These gradients are responsible for the typical biotope zonation in horizontal layers, parallel to the coastal line, establishing the so-called dune vegetation complexes (Araujo et al. 2002). Therefore, coastal dunes form complex systems as a result of the combined effects of a steep environmental gradient that develops moving inland from the sea s edge, the sea- 167

182 Atlantic and Mediterranean coastal dunes inland gradient. Ever since the early studies preformed by Cowles, more than a century ago (1899), succession on coastal dunes along this gradient has been the focus of much research. Importantly, the studies by Cowles were seminal for Clements who, almost 20 years later (1916), proposed the successional theory of plant communities, a key concept in current ecological theory (Martínez et al. 2004a). A major reason, thus, for interest in coastal environments is the strong zonation of herbaceous communities resulting from the variation of the wide set of above-mentioned environmental factors, along the sea-inland gradient (Babour et al. 1985; Houle 1997; Maun & Perumal 1999; Forey et al. 2007). This sea-inland gradient determines the different vegetation types that occur on coastal dunes, while it is the complexity of the underlying abiotic pattern and processes, that are responsible for the diversity of ecosystems found on the dunes (Westoff 1989). Recent studies demonstrate that local environmental characteristics and heterogeneity affect successional trends (Grootjans et al. 1997). An array of complex interactions affects the successional process, namely: local hydrological and topographical conditions, nutrient availability, amount of precipitation, and freshwater discharge (Grootjans et al. 1991; Houle 1997; Vasquez et al. 1998; Lichter 2000; Martínez et al. 2001). There is evidence that the rate of vegetation succession is largely controlled by the productivity of the ecosystem, the decomposition of organic matter, and the recycling of nutrients within the ecosystem (Koerselman 1992). Moreover, studies on successional changes on coastal dunes indicate that in addition to local abiotic conditions such as topography and hydrology biotic interactions are integral to dune system development (Grootjans et al., 1991; Martínez et al. 2001; Martínez et al. 2004b). Worldwide similar coastal dune sequences have been described along the beach inland gradient. Usually, the full sequence of vegetation from pioneer to mature types includes upper beach, foredune, mobile dune, transition dunes and fixed dune plant communities. The standard zonation is optimally developed in warm-temperate, humid climates and shores, exposed to ocean tides and winds (Doing 1985). The environmental requirements of coastal phytocoenoses are very specific, so their position in the phyto-toposequence tends to be fixed. Detailed long-term studies of foredunes by van der Maarel et al. (1985) and Studer- Ehrensberger et al. (1993) have shown how particular types of vegetation are related to the strongly fluctuating environment. On the sea side of the foredune and of the broad sand plain frequently found farther inland a succession with a set of plants that initially stabilize the sand begins. The upper beach and foredune are occupied by plants tolerant of salt spray, strong winds, and sand burial. These sand-tolerant grasses and forbs gradually cover the sand surface with a dense mat-like layer of vegetation (Wiedemann & Pickart 2004). Foredune vegetation is dominated by few species which are limited to beaches and coastal foredunes and which show a wide geographical distribution. These communities tend to be permanent because of the special adaptations required to grow and thrive. In addition, because of the interfering and ameliorating effect of the sea on local climate, plant species tend to be often azonal in their occurrence, having very wide spatial distribution at the 168

183 Parte 4 species level (van der Maarel et al. 1985; Studer-Ehrensberger et al. 1993). A universal occurrence of similar species and genera on the upper beach and the active sands of the foredunes has been observed. There are many examples of geographically vicarious species within genus, or vicarious genera within a family, occupying similar niches. The most important genera are: Cakile, Festuca, Vulpia, Ammophila, Silene, Carex and Helichrysum (Doing 1985). Some of the taxa are very consistent in their preference for a certain zone (es. Cakile). Others, equally occurring in various areas, tend to shift from one zone to another. Fairly common is a kind of behaviour, which might be called retraction phenomenon : a species (or groups of species) retreats into a more sheltered zone away from its climatic optimum, where conditions are more extreme in one or more respects (e.g. Eryngium, Calystegia) (Doing 1985). On the foredunes identity is more at the generic level. However, the physiognomy and vegetation zonation are similar everywhere. Behind the foredune, where stabilization takes place, there is less similarity. At the semi- stabilized stage (transition dune) of vegetation development, communities are more heterogeneous depending upon variation in the microclimates of the site (Wiedemann & Pickart 2004). Finally, on the fixed dune there is identity with the regional tree flora (Doing 1985). Farther inland, the vegetation varies depending on the microclimate and local conditions and there is less latitudinal similarity. So, it has been proposed that plant communities of coastal dunes in various parts of the world, have much in common at the taxonomic or coenologic level (Doing 1981, 1985), in the foredune stage, but very little in the back dune stages. The understanding of the concept of successional sequence and of the interactive processes is of immense value in dynamic management plans aimed at maintaining the natural dynamics of dune systems. 1.3 COASTAL DUNES: TAXONOMIC AND FUNCTIONAL DIVERSITY Many studies concerned plant community analysis and the relation of plant communities with abiotic factors in coastal areas (e.g. Moreno Casasola 1988; Hesp 1991; Grotjans et al. 1991; Géhu & Biondi 1994; Sykes & Wilson 1991; Wilson & Sykes 1999). However, less has been written on the analysis of properties and on strategies adopted by dune species and communities (Díaz Barradas et al. 1999; García-Mora et al. 1999); that is, less has been written about functional diversity of coastal dune ecosystems. The floristic and coenologic approach is very important to describe an ecosystem and characterize it, but it is not the proper way to understand and compare processes and functioning between similar ecosystems in different parts of the world. In fact, there is a growing consensus, that effects of diversity on ecosystem processes should be attributed to the functional traits (value and range) of individual species and their interactions (how they compete directly or indirectly, and how they modify each other s biotic and abiotic environment), rather than to species number per se or floristic composition (Díaz & Cabido 2001). There exists a wealth of literature on the links between diversity and ecosystem 169

184 Atlantic and Mediterranean coastal dunes functioning (Schulze & Mooney 1993; Schwartz et al. 2000; Schläpfer & Schmid 1999), and the relationships between plant functional traits and types and ecosystem processes (Wilson & Agnew 1992; Aerts 1995; Díaz & Cabido 1997; Grime 1998; Díaz et al. 1999; Garnier et al. 2007). Empirical and theoretical support is accumulating for the idea that functional diversity might affect short-term ecosystem resource dynamics and long-term ecosystem stability (Díaz & Cabido 2001). Therefore, to understand and, in particular, to compare ecosystem functioning and processes of different coastal dune ecosystems we have to focus on issues related to the functional diversity and not only on the taxonomic or coenologic diversity. Taxonomic analysis, indeed, does not provide much information about ecosystem functioning for two main reasons: 1) same species in different coastal dune systems don t always exhibit same traits (phenotypic variability); many species differ among coastal regions and this makes the comparison of distinct ecosystems difficult. The floristic (or taxonomic) similarity doesn t permit us to affirm that there is certainly a functional similarity as well; and, moreover, we could have a functional similarity between two coastal dune ecosystems without observing a floristic similarity. It is necessary, therefore, to wonder whether factors (forces) that determine floristic composition of coastal dune ecosystems are the same that determine the functional composition of these ecosystems. To understand this aspect we have to consider the community assembly rules, usually defined as generalized restrictions to coexistence; these determine which components of a species pool will form a community (Diamond 1975; Drake 1991; Wilson & Gitay 1995). Most authors (e.g. Drake 1991; Wilson & Gitay 1995) emphasize interactions between organisms rather than with other selective forces. On the other hand, Keddy (1992) defined assembly rules in a broader sense, as filters of any kind imposed on the regional species pool (Díaz et al. 1998). According to Keddy (1992), the best way to visualise assembly rules is a process of deletion by which the environment acts as a filter for the regional species pool removing those species (or, more realistically, increasing their probability of being removed) lacking the adequate trait attributes for persisting under that given set of conditions (Keddy 1992; Díaz et al. 1998). He mentions climatic conditions, disturbance regime and biotic interactions as examples of filters. Other plant ecologists in community assembly theory (Grime 1998; Lortie et al. 2004) talk about: chance biogeographical events (e.g. dispersal), environmental conditions (stress and disturbance) and biotic interactions (e.g. competition, facilitation and predation) (Michalet et al. 2006; Forey et al. 2007). Woodward & Diament (1991), although they do not explicitly mention the term assembly rules, consider climate, disturbance and site productivity as successive filters, which select certain traits and functions out of the regional species pool. Trait-environment linkages, consistent associations between sets of plant attributes and certain environmental conditions, irrespective of the species involved (Keddy 1992) are the consequence of the filtering effect of environmental conditions (Woodward & Diament 1991; Keddy 1992). Moreover it is known that not all species, which persist in a community, attain the same abundance. In general, plant 170

185 Parte 4 communities have a typical structure with a relatively small number of dominant species which account for a high proportion of the total biomass, and a large number of minor species that account for a low proportion of the biomass (Whittaker 1965; Grime 1998). Considering this, and given a regional pool of species, a plant assemblage can be viewed as the result of two filtering processes that in nature probably act simultaneously. A first-level filtering process, that determines which species (according to their particular combinations of trait values) have a greater probability being present under certain conditions and a second-level filtering process, that determines which of the species present have a greater probability of becoming dominant (Cingolani et al. 2007). Climatic, disturbance and interaction filters tend to operate at increasingly finer spatial scales, with the end result being a non-random local assemblage, which might be a biased sample of the functional diversity present in the regional species pool (Díaz et al. 1999; Díaz & Cabido 2001). Examples of the operation of filters at different scales can be found in the literature. Following Pickett & White (1985), community patterns may be analysed at four spatial scales, the patch scale (or neighborhood scale, Naeem et al. 1999), the local scale (Mittelbach et al. 2001), the regional scale (Pärtel et al. 1996; Loreau et al. 2001; Mittelbach et al. 2001) and the continental scale (Mac Arthur & Wilson 1967). At any particular site, a hierarchy of filters can be found: only those traits/functions which are viable under the prevailing climatic conditions, and then under the predominant disturbance regime at landscape level, have the opportunity to be filtered out (or not) by the interactions with other organisms at the local level (Díaz et al. 1998). There is a large consensus on the idea that biotic interactions are prevalent at the smallest scale (i.e. the patch scale) and chance biogeographical events at the largest (continental) scale (Zobel 1992; Mittelbach et al. 2001). The regional pool on which successive filters act is determined by biogeographical and historical factors, operating at broad spatial and temporal scales. Moreover, it has been suggested that two different factors act on the species composition and functional composition respectively: at a given site, species composition is limited by the regional species pool and dispersal, whereas functional diversity is limited above all by environmental filters (Díaz & Cabido 2001). In the case of coastal dune communities, it has been found that the presence of abovementioned strong environmental features such as sand burial, salt spray, high wind speed, intense radiation, has led to the evolution of certain convergent functional traits in dune plant species in different continents such as vegetative expansion by rhizomes or root suckers, production of shoot borne roots, sunken stomata, leaf rolling, ability to withstand sand blast, and resistance to salt spray (Brown 1997; Maun 1998; Maun & Perumal 1999; van Zandt et al. 2003; Ievinsh 2006; Yura & Ogura 2006). Thus, coastal plants should have evolved a variety of adaptations that allow survival, growth, and reproduction under relatively harsh conditions (Maun 1994). 171

186 Atlantic and Mediterranean coastal dunes Morphologic and physiological functional features can be difficult to measure. For this reason, a helpful alternative is the use of structural-functional traits, where trait is any characteristic of the plant that may have functional (or strategic ) significance (Weiher et al. 1999; Semenova & van der Maarel 2000; Díaz et al. 2004; Violle et al. 2007). Some simple traits have been recognized as having a strong impact on plant local persistence (Lavorel et al. 1997; Hodgson et al. 1999; Ackerly 2004; Díaz et al. 2004; Silvertown 2004), and thereby on community structure, ecosystem processes (Díaz & Cabido 2001; Lavorel & Garnier 2002, Díaz et al. 2004; Garnier et al. 2004; Garnier et al. 2007) and response to environmental change (Díaz & Cabido 1997; Suding et al. 2003; Fynn et al. 2005; McGill et al. 2006; Quétier et al. 2007). For example, specific leaf area (SLA) and leaf dry matter content (LDMC) are directly correlated with relative growth rate (Reich et al. 1999; Garnier et al. 2001), which is a predictor of plant response to resource availability and disturbance (Grime 1977). Lateral spread and plant height are expected to be linked to some aspects of competitive ability (Grime 1977; Gaudet & Keddy 1988; Navas & Moreau-Richard 2005). Garnier et al. (2004) proposed that they be called functional markers. Another approach to take into account is the analysis of plant functional types (PFT), which are groups of plant species that share similar structural and functional attributes, and that exhibited a comparative response to environmental conditions (García-Mora et al. 1999). PFTs are also defined as non-phylogenetic groupings of species exhibiting common biological traits that enable them to fulfil specific functions in a similar way within an ecosystem (Gitay & Noble 1997). PFTs are regarded as a concept enabling the identification of general principles for the functioning of organisms, which can be used for making predictions, but also as practical tool to reduce a wide diversity of species to a small number of entities. The concept of plant functional types summarises the role that plants perform in ecosystem processes and the functionally different responses to environmental changes. Plant functional types, therefore, have been widely proposed as an ecological alternative for traditional taxonomic entities, in effectively assessing the probable impact of the potential environmental changes on ecosystems (Smith et al. 1997) and in predicting the dynamics of plant communities in regularly disturbed landscapes (Noble & Gitay 1999; Díaz & Cabido 1997). At the local scale, functional types analysis could be a useful tool in interpreting community function. On the other side, the use of PFTs favours the comparison of communities in similar environments but having few species in common. Therefore, the main reason for describing vegetation in terms of functional traits and of plant functional traits (PFTs) rather than floristic composition has often been an operational one, namely the possibility of comparing taxonomically distinct floras and/or summarizing the overwhelming biodiversity of natural systems (Díaz et al. 1998). Another powerful reason, is that dominant plant traits are known to strongly influence ecosystem function. According to Grime (1998) ecosystem properties should be determined to a large extent by the characteristics of the dominants and will be relatively insensate to variation in species 172

187 Parte 4 richness in circumstances where it is attributable to changes in the number of subordinate and transient species. This is highly relevant to ecological theory as well as having important implications, for example in ecosystem service assessment or predictive modelling. For example, given a certain scenario of future climatic conditions, and assuming consistent traitenvironment linkages, a distribution of dominant plant traits in space -especially along steep environmental gradients - may be used as a proxy for changes in time (Díaz et al. 1998). 2. AIMS Most of the studies involving plant traits/environment relations focused on the community level or higher in order to define ecological assembly rules or filtering effects of the various environmental factors (Díaz & Cabido 1997). As we said before, because all over the world, coastal dunes are regularly subjected to the same major types of environmental factors, functional traits could be appropriate to compare plant dune strategies between different biogeographical regions. Similar environmental stress factors have led to the evolution of certain convergent traits in coastal dune plant species in different continents causing the selection of functional traits and functional types that may be identified and linked to ecological processes. Functional analysis of these environments offers a valuable tool to the study of coastal dune vegetation where species from several biogeographical and ecological origins coexist thanks to different life strategies and dispersion processes, and allows us to asses the coastal dune status through evaluation of the vegetation, since both physical and biological factors can affect plant morphology. A functional approach allowed us to compare dune systems at a much larger scale than would be possible through traditional taxonomic methods. In Temperate and in Mediterranean climates of European regions, coastal dunes are highly heterogeneous habitats. They show spatial and temporal variability for both resources and abiotic factors (Alpert & Mooney 1996; Ievinsh 2006). Habitat types in coastal-dunes of Europe have been described in terms of floristics, geomorphology, ecology and climate; coastal vegetation zonation has been studied mainly in terms of plant community analysis (syntaxonomy and syndynamic ranking), and in relation to environmental factors (e.g. Moreno-Casasola 1988; Géhu & Biondi 1994; Muñoz-Reinoso 2001). However, few studies have analysed the differences between Mediterranean and Atlantic coastal vegetation of dune systems in terms of species composition and phytosociology and above all few studies have analysed the functional diversity of these coastal dunes. The only plant traits studies carried out in coastal dunes focused on a particular community: the foredune (e.g. García- Mora et al. 1999) or the fixed dune (e.g. Díaz Barradas et al. 1999). Atlantic and Mediterranean coastal ecosystems present a lot of similarities, but also important differences in environmental, biogeographical and climatic features. They are affected by the same abovementioned environmental features, but with different levels of harshness. It is well known, in 173

188 Atlantic and Mediterranean coastal dunes fact, that Atlantic coasts present harsher environmental conditions (high wind speed, sand burial, salt spray, humidity, etc ) than Mediterranean ones. This concerns especially the foredune stage, which is closer to the sea s influence. As we said until now, we could suppose that these ecosystems exhibit a greater similarity of floristic (and coenologic) composition of foredune stages with respect to backdune stages because of biogeographic events (e.g. dispersal), but also a greater similarity of the functional traits (and PFTs) of foredunes than of backdunes. Moreover, at a regional scale, we could suppose that, since environmental filters are harsher on Atlantic coastal dune systems than on Mediterranean ones, we should observe a smaller variation in functional features in the Mediterranean; this may became apparent if few traits change along the sea-inland gradient or if changes of functional traits of communities are not very significant. Considering that biodiversity is a critical element in coastal environments, in this chapter we compare taxonomical and functional diversity patterns between Mediterranean and Atlantic coastal dune systems. We answer to the following questions: 1- What is the major floristic and coenologic variation along the sea-inland gradient on both ecosystems? What are the major differences? Where can we observe the principal differences? 2- Do different community types, defined on the basis of their taxonomic properties, support similar PFTs? 3- How similar are plant traits and morphological-functional types in the two ecosystems? Which are the principal differences? Do PFTs relate to particular communities of coastal dune area? 4- Does the presence of a more similar environmental filters on foredune stages, compared to backdune ones, also lead to greater functional similarity of foredune stages of Mediterranean and Atlantic coastal systems, independently of their taxonomic composition? 5- Following the environmental filter theory, which filters could be proposed along the gradient? 3. STUDY AREAS In this part of the project, the study was conducted in two coastal dune systems: one Mediterranean and the other Atlantic (Fig. 4.1). 174

189 Parte 4 Atlantic Ocean France Aquitaine region Italy Lazio region Mediterranean Sea Fig Atlantic and Mediterranean coastal dune areas considered in this study. 3.1 MEDITERRANEAN COASTAL DUNE AREA The Mediterranean study area is represented by the Lazio coast (Central Italy), which extends for ca. 250 km (from N, E to N, E) along the Tyrrhenian Sea (Fig. 4.2) and consists mainly of sandy beaches. This study considers only coastal sandy beaches (more than 90% of the coastline), limestone promontories and river outlets were not included. The tyrrhenian coastal dune system has a relatively simple structure, consisting generally of some embryo-dunes followed by a main mobile dune ridge and a fixed dune ridge. This coastal area is characterized by dune systems which are quite less imposing and narrower than the Atlantic ones: the recent dune belt (Holocene) is in average 250 m wide and not more than 7-8 m high and it is in contact with the ancient dune (Pleistocene) or with alluvial or lacustrine deposits. Complex dune systems are only found on the southern part of the Tiber river delta and on the Northern coast of Lazio. The climate of the area is of Mediterranean type (varying from Meso-Mediterranean dry subhumid to thermo-mediterranean subhumid), with high summer temperatures, extremely dry summers and most of its annual rainfall distributed in autumn-winter (Crescente et al. 2002). This climate of the Mediterranean Basin, and to a large extent of all Mediterranean areas, is so characterized by a pronounced seasonality and by two prevailing states. The rainy winters and the long hot summers, with high irradiance and little or no precipitation, a condition that strongly limits carbon assimilation and promotes photo-inhibition. The Mediterranean type climate is also characterised by high interannual rainfall variability, with severe drought events, intermingled with years of elevated precipitation. 175

190 Atlantic and Mediterranean coastal dunes In the Tyrrhenian coast, the average minimum air temperature of the coldest months (January and February) is 4.00 C and the average maximum air temperature of the hottest month (August) is 30 C. Total annual rainfall is 714 mm, and dry period is from May to August (98.2 mm total rainfall) (data by the Castelporziano Meteorological Station for the period ). Tyrrhenian Sea Fig Mediterranean study area: Lazio coast (Central Italy) Human influence on coastal dune systems in the Mediterranean basin dates back several thousand years. Up to the end of the 1940s the Tyrrhenian sandy coasts (and generally the entire coast of Italy) remained in nearly natural condition and relatively well preserved from the morphological, hydro-logical and naturalistic standpoint (Garbari 1984); most places were every isolated and often nearly inaccessible, and even dangerous because of war relies and malaria. Coast-bound tourism (including building-up and trampling), in particular, became a mass phenomenon after World War II and is now considered the principal cause of degradation of coastal ecosystems. The impact during the economic boom from 1955 to 1970 was particularly hard (Pignatti 1993). The lack of land-use planning and permissive policy led to huge speculation on land, uncontrolled urbanization and an irreversible degradation of the coasts. This is particularly evident at the two extremes of the catenal sequence. At the one extreme pioneer stages are disturbed mainly by coastal erosion and tourism (Filesi & Ercole 2000) while at the other extreme fixed dune communities are affected by towns and villages, coastal roads, pines plantations, agriculture, cattle grazing and water catchments (Acosta et al. 2004). Extensive human activity on the Mediterranean coast and the presence of coastal roads have favoured the entry of ruderal and wide distribution species into plant 176

191 Parte 4 communities, the fragmentation of phytocoenoses, the substitution of communities and, in the most severe cases, also the disappearance of some coenoses. The communities that are most endangered at a local level are those on the foredunes, which consist of perennial species with a very restricted ecological niche. This facies is affected also by coastal erosion that either entirely eliminates or drastically reduces the first plant communities of the sequence and leads to structural modifications which take the form of patches of denudation and erosional gullies on the fixed (inland) dunes. Another serious problem of Lazio coasts (but also of other Mediterranean areas), as already said, is the invasion of exotic (or alien) species. In some areas of the Lazio coast, the local flora disappears and is substituted by aliens such as species of the genera Carpobrotus, Agave, Cenchrus, etc. These species compete with native species for light, water and other resources, and interfere with successional processes and even modify geochemical processes. Moreover, in some zones, reforestation is carried out without respect for the natural features of the territory, mostly with alien species such as Pinus sp., Eucalyptus ssp. and Acacia ssp. Undisturbed areas along the coasts of Lazio are now very few; these are situated above all on the Northern coast, on a coastal National Park (Circeo), on other nature reserves (e.g. Macchiatonda), on the presidential estate of Castelporziano (near Rome) and in some military (e.g. Torre Astura) or archaeological areas. 3.2 ATLANTIC COASTAL DUNE AREA The second study area includes the coast of the Aquitaine region in south-western France from the Gironde estuary (45 33 N, 1 05 W) to the mouth of the Adour (43 32 N, 1 30 W), close to the Pyrenees (Fig. 4.3). The Gironde Estuary is one of the largest estuaries in Europe; it is the marine-influenced part of the hydrological system that drains the Aquitaine Basin, in South-western France (Kapsimalis et al. 2002). Here, a vast arm of the sea penetrating deeply inward starts where the Garonne and the Dordogne debouch. The dunes of Cote d Aquitaine are exclusively sandy and form the biggest section of the vast system that runs along the Bay of Biscay from Brittany to the Pyrenees. The study area extends for approximately 240 km and is characterized by dune systems remarkable both in height (12-15 m) and width (approximately 500 m). Extensive dunes are found between Bordeaux and Bayonne; they form the vast sands of Les Landes de Gascogne. Behind the dune a chain of freshwater lakes occurs, which are former lagoons separated from the sea by the dune ridge; now only the Arcachon Basin is still in contact with the sea (Géhu & Géhu-Franck 1993). About geological features, South of the Gironde sands of older origin show less and less carbonate from North to South and the coastal ridges are in constant contact with the podzolized sand of the Gascogne Landes. At the Southern end of the Aquitaine coast, in the surroundings of the Adour, the sediments become coarser and gravelly. 177

192 Atlantic and Mediterranean coastal dunes The Aquitaine coast is characterized by a temperate oceanic climate with mean annual rainfall of 1020 mm and mean annual temperature of 13.4 C, ranking from 2,3 C in the coldest month (January) to 26,5 C in the warmest (August) (data from Méteo France for the period ). The climate is relatively wet, with higher levels of precipitation than the continental region but with less marked seasonal precipitation than the Mediterranean region. Charente Maritime Atlantic Ocean Gironde Landes Pyrenées atlantique SPAIN Fig Atlantic study area: Aquitaine coast (south-western France). It includes from North to South: Gironde, Landes and Pyrenées atlantique. Most of the dune areas (180 km) are owned by the French government and managed by the National Forest Office (ONF). In Aquitaine, especially in the lake sector of the Gironde coast and the Arcachon Basin, the coastal dunes are very frequented. In Aquitaine, the development of tourism is based on the region s many attractive features, first and foremost its natural landscapes. The southern end of Aquitaine s sandy coastline (Tarnos, Landes) on the north bank of the Adour, has some highly original characteristics. The area is rich in ecological interest, including the Atlantic s strongest concentration of sea lilies (Pancratium), but this heritage is under threat from badly channelled anthropic pressure. As the Tyrrhenian coast, also the Aquitaine littoral is affected by coastal erosion. Since 1966 to % of the coast has exhibited an erosional process, while only 30% was in mowing forward (Forey 2007). 178

193 Parte COASTAL ZONATION Coastal dune systems are highly variable in form and dimension. Psuty (2004) and Hesp (2004) establish that the present-day morphological systems have been evolving through the most recent period of Holocene sea-level transgression and they have waxed and waned in their development as sediment supply has fluctuated and sequences of stabilization and destabilization have characterized regions. There is no one dune system, there are patterns, trends, and episodes that describe the creation of regional coastal dune forms and systems. As morphologies pass trough sequences depending on ambient sediment supply, wind conditions, stabilizing vegetation, and human interaction, they form the variable physical base that constitutes the coastal foredune in beach profile and the inland extension of the dune fields. Both areas are characterized by a strong zonation of the vegetation, arranged in belts parallel to the coastline. There is often, above all on the Atlantic coast, a complete sequence of sub-parallel dune ridges with the youngest near the shore and the oldest on the inland side of the system. The absolute time interval between the formations of any pair of ridges varies between systems, but is commonly between 70 and 200 years (Packam & Willis 1997). From the beach to the inland four-line ecotone, five major geomorphological or dune types (facies) have been distinguished: the strandline (high beach), the embryo-dune, the mobile dune (or white dune), the transition dune (or semi-fixed dune) and the fixed dune (grey dune and macchia) (Fig. 4.4). Along such a transect ground wind speed, influence of salt spray, soil ph and levels of soil calcium and sodium diminish in an inland direction, while extent of vegetation cover, amount of soil organic matter, number of plant and animal species and overall stability increase (Packham & Willis 1997). Generally, organic carbon is extremely low in the seaward dunes and slacks, but substantially higher where scrub develops and in old well-vegetated slacks. Total nitrogen is also very low, except for areas bearing scrub and for slacks of considerable age. Salisbury (1925) first showed that soil changes could be correlated with changes in the vegetation. The transitions between the uniform vegetation zones are usually not abrupt, following the theory of a continuum that inevitably results in certain intermixing between the species that make up the communities that are in contact. In many cases, moreover, the disturbing actions of natural factors, when particularly violent, or of anthropic origins, tend to destabilise the system to various degrees, favouring therefore the remixing of the floristic contents. At first, the community types growing in each facies were analysed in floristic and phytocoenologic terms. Then, for the following functional diversity analysis, because the number of species of embryo-dunes was very low for statistical analyses, we considered the following three major plant communities: growing on foredunes, on transition dunes and on fixed dunes. Even for diversity analyses, the upper beach (strandline) community with pioneer species was not considered because it is much more frequent and stable in the Mediterranean than in the Atlantic system, where on 179

194 Atlantic and Mediterranean coastal dunes the contrary this community appears to be quite fluctuating and is not always present. It is important for this reason to clarify what the term foredune denotes. According to Psuty (2004) the coastal foredune is the uppermost and inlandmost component of the sandsharing system. It has accumulated sand in association with a range of pioneer vegetation types to create a positive landform perched above the dry sand beach. A Transition dune Fixed dune Strandline (high beach) Foredune (embryo - mobile) Fixed dune B Transition dune Fig Coastal zonation of Atlantic (A) and Mediterranean (B) study areas. (drawings by A. Acosta) In the simple profile, the coastal foredune, exists at the boundary between coastal processes seawards and continental processes landwards. The foredune is intricately related to beach dynamics and to the sediment available to drive changes; it is dynamic and it is the only dune form that is totally dependent on coastal location. Willis et al. (1959), Ranwell (1960) and Chapman (1964) used foredune to describe low dunes formed by species different from the dominant main dune builder, above the strand level but below the parallel ridges of the main mobile system. This definition corresponds to our term embryo-dune. Doing (1985), on the other hand, used in his work about coastal dune zonation and succession in various parts of the world, the term fore-dune complex to indicate the complete range of zones which may be present as a direct effect of recent, active transportation of sand and organic material perpendicular to the shoreline; so, he indicated with this term all zones from strandline up to fixed dune facies. We use, in this research, the term foredune to indicate 180

195 Parte 4 only embryo and mobile dune facies (Fig. 4.4). Although the coastal foredune is a part of the dunes-beach profile in form and function, it is possible to separate it conceptually form the beach. Both the beach and the foredune are forms of sediment accumulation and they each develop morphological responses to their short term and long-term sediment balance. The beach widens and narrows in response to changes in sediment supply; the dune gains and loses height and width relative to a gain or loss of sand. Spatially, the foredune may pass through a sequential morphological development associated with alongshore distance from a sediment source (Psuty 2004). 3.4 SOMETHING ELSE ABOUT ATLANTIC COASTAL DUNES The Atlantic area of Europe is rich of sandy coasts with beaches and dunes that have preserved a wild nature. Along the French Atlantic shoreline, there is a great diversity of landscapes, amongst which sand dunes have an important place (Lemauviel & Rozé 2000). A man-influenced product of the early 19 the century, now home to specific biological diversity, the non-wooded coastal dunes of Aquitaine are at the interface between the historical, landscape and natural heritage of the area (Duffaud 2002). They are, at European level, one of most demonstrative examples of a continuous control of coastal dunes through human action. In fact, these sand dunes were subject to winds and to sand deposition so much that their stability has been a concern for a long time for the authorities responsible for population security. Aquitaine coastal dunes have known many phases of intervention: the stabilisation of the 18th century; the mechanic calibration of the period between s; and, finally, the flexible control of the last decades. Coastal dunes bear the mark of their domestication, in the form of the woodlands planted in the 19 th century and the barriers erected for protection. At first, indeed, at the end of the 18th century, a French engineer called Brémontier started a campaign for the stabilisation of sand dunes by plantations of Maritime Pine. This resulted in the afforestation of 910 km 2 of sand dunes in the Landes region (Boucheron 1987; Jacamon 1975). This set the scene for a debate on the best way to domesticate the dunes closest to the coast. Thus began a titanic programme of calibration work to build a protective foredune ( piege a sable ) to an ideal profile (Favennec 2002). These building techniques were well described by Grandjean (1896). A total of approximately 230 Km of Aquitaine coastal dunes were calibrated in the past century: 200 km on the Gironde and Lande littoral. After World War II, the dunes were mechanically remodelled once again to reproduce the ideal profile (Favennec 2002). In the second half of the 20 th century came the tourist explosion and the urbanization to cater for it. Projects set out to develop an integrated management system for coastal dune environments, by reconciling heritage protection with economic activities. Action has been taken to rehabilitate ecosystems of major heritage value and management plans formulated 181

196 Atlantic and Mediterranean coastal dunes for them. The action plans have taken account of the economic dimension and aim to reconcile conservation with sustainable tourism. The socio-ecological parameters have changed since the beginning of the 20th century, when afforestation was begun. The introduction of multifunctional objectives has considerably modified coastal dune management methods. In the 1980s, the idea of a calibrated profile was abandoned in favour of flexible control (controle souple), giving way to development of complex, seminatural shapes better suited to contemporary social expectations (Favennec 2002). While basic know-how has changed little, the techniques are implemented in a new way; the quest to fix dunes has given way to flexible control which aims only to moderate the processes without interrupting them, so as to reconcile nature conservation with current and future social expectations. It is not anymore about fixing but about controlling. With much of the woodland being publicly owned, discussion and debate have been facilitated, leading to the formulation of a planning policy that reconciles tourist development with the protection of unique and fragile natural environments. The policy takes the form of beach plans implemented jointly by the State, the ONF (Office National des Forêts) and local authorities. Different types of actions have been developed to limit the constrains and safeguard a precious ecosystem while allowing tourist and peri-urban use to continue; selective manual cleaning of the dunes and beach, fencing at the top of the beach to protect the embryonic dunes and especially the very rare Euphorbia peplis (which ha almost disappeared from Atlantic coast), the conversion of a coastal road into a cycle path, a dune discovery trail, a land use plan for the site and peripheral areas, etc Dunes are better protected, care is taken to prohibit major destructive activities against the vegetation, so that population security no longer depends on tree protection. However, the 18th century afforestation campaign carried out in western France to fix sand dunes has left only a small surface of non-forested dunes; the Atlantic shoreline of France has extensive areas of pines, but not a lot of well developed dune grasslands. Moreover, keeping in mind that morphological and ecological processes are linked, the pines, by fixing the substrate, influence the dynamics of these dune formations (Lemauviel & Rozé 2000). Some studies showed that afforestation of dunes modifies the surrounding features a lot. The soil is modified, stratified, the horizons thickened, and the water-table decreases. With the passing of time, the rare species disappear, with a net loss in species richness. Pine forests can be considered, therefore, one of the principle factors in the destruction of sand dunes (Doody 1989). Many authors emphasise the ecological interest of nonforested dunes (Dupont 1992), in particular of grey dunes (Lemauviel & Rozé 2000; Provoost et al. 2004); they are characterized by high values of species diversity. According to Lemauviel & Rozé (2000), as dune plantations have only a small conservation value, it would be of great interest to restore grey dunes; the extension of grey dunes could permit the conservation of the dune flora, as well as its fauna, and perhaps allow for the appearance of new groups and new species. Moreover, these vast sand dunes can be very attractive to the public. 182

197 Parte 4 PART A TAXONOMICAL DIVERSITY: Floristic & Vegetational Analysis 183

198 Atlantic and Mediterranean coastal dunes 4. MATERIALS AND METHODS Vegetation zonation of Mediterranean and Atlantic coastal areas, from the seashore to the fixed dune, was analysed in relation to phytosociological (=phytocoenological), chorological and life form types. Firstly, in fact, information about plant communities of Mediterranean (Lazio coast) and Atlantic (Aquitaine coast) dune systems (areas) was derived using the phytosociological approach, according to the Braun Blanquet method (Braun-Blanquet 1964; Welsthoff & van der Maarel 1978), which allows describing the vegetation taking into account both species presence and cover-abundance. Braun Blanquet (1965) thought that, just like organisms are classified into a hierarchy of taxonomic groups, phytocoenosa (communities) can be arranged in an hierarchical system. Phytocoenose is defined as a part of the vegetation consisting of interacting populations growing in a relatively uniform environment and showing a floristic composition and structure that is relatively uniform and distinct from the surrounding vegetation (Welstoff & van der Maarel 1973). In this research, relevés from previous phytosociological studies were used (Acosta et al. 1998; Favennec et al (ONF data); Vagge & Biondi 1999; Acosta et al. 2000; Stanisci et al. 2004). We selected 365 total relevés: 183 for the Atlantic coast and 182 for the Mediterranean coast. The choice was made in a way that selected relevés were representative of coastal dune vegetation of each study area; that is, all coastal dune communities of each study area were represented. Then, these 365 relevés were combined in two matrixes, one relating to the Atlantic (60 species x183 relevés) study area and other relating to the Mediterranean one (140 species x 182 relevés). In order to identify the major plant community types (phytocoenosa) present in each study area, both floristic matrixes were separately classified through Cluster Analysis and ordinated through Principal Coordinates Analysis (PCoA) using the SYN-TAX package (Podani 2001). The classifications and ordinations were made with cover data; these are transformations of the Braun-Blanquet cover values according to the following scale (van der Maarel 1979): 5 9; 4 7; 3 5; 2 3; 1 2; + 1; 0. For both classifications the employed method (algorithm) was average linkage clustering (U.P.G.M.A.) and the similarity coefficient was the chord distance (Orloci & Kenkel 1985): Chord distance: 2 1 n i 1 x ij x jk n n 2 xij i 1 i 1 x 2 ik With regard to ordinations we applied a Principal Coordinates Analysis with, also in this case, the chord distance as similarity coefficient. In this way we obtained a graphic in two 184

199 Parte 4 dimensions, on which every point (circle) represents a relevé. Through Multivariate Analysis we identified main species groups of coastal zonation of Mediterranean and Atlantic study areas. Species groups were then assigned to syntaxonomic taxa according to what was reported in the phytosociological studies we referred to and according to their floristic, structural and coenological features. The names of the sintaxa are in accordance with the rules of the International Code of Phytosociological Nomenclature and follow the syntaxonomical scheme proposed by Biondi (1999) and Brullo et al. (2001) for Italian coastal dunes and by Géhu (1994; 1998) for the French coastal area. Then each community type (phytocoenose) was analysed in ecological-structural and phytogeographical (chorological) terms: a life form (or biological) spectrum and a chorological spectrum were constructed. Moreover, also a table of taxonomic families percentages was compiled for each phytocoenose. Spectra were constructed by expressing the number of frequencies of the species in each life form class (or chorological type or taxonomic family) as percentage of frequencies of all community species. In this way we obtained a weighted spectrum (biological, chorological and family) that gives a more realistic result in ecological terms. The most widely adopted description and classification of the life forms or types of vascular plants is that developed by Raunkiaer (1934). The main feature of his simple, but ecologically valuable, system is the position of the vegetative perennating buds or persistent stem apices in relation to the ground level during the cold winter or dry summer which constitutes the unfavourable season of the year (Packham & Willis 1997). For chorological types and nomenclature of species we followed the Italian Flora (Pignatti 1982), the Checklist of the Italian vascular flora (Conti et al. 2005), the Flora of France (Guinochet & De Vilmorin ) and the European Flora (Tutin et al ). Finally special attention we paid to the presence in each community type, of endemics and endangered species, and also to exotic ones. The comparison between Mediterranean (Lazio) and Atlantic (Aquitaine) coastal zonation was carried out first analysing each community type and then examining the total flora of phytocoenologic relevés of both study areas. 5. RESULTS & DISCUSSIONS 5.1 ANALYSIS OF COMMUNITY TYPES Atlantic coastal dunes The matrix of 67 species x 183 relevés selected for the Atlantic study area (Aquitaine coast) was subjected to multivariate analysis. Cluster analyses performed on the 183 sampling relevés led to the identification of four distinctive community types (phytocoenosa) across the dune system of the Atlantic coast (Aquitaine) (Fig.4.5a). When these groups were 185

200 Axis 2 Axis 2 Atlantic and Mediterranean coastal dunes overlapped on the PCoA (Principal Coordinates Analysis) ordination space, plots showed gradual changes along the sea-inland environmental gradient (Fig. 4.5b-c). Fig Results of Hierarchical Cluster Analysis and Principal Coordinates Analysis (PCoA) for the Atlantic coast reléves. a) Dendrogram from clustering analysis of reléves according to their species; b-c) sample (relevés) ordination in the plan defined by axes 1 and 2 of the PCoA. Blue circles indicate the foredune relevés; yellow circles indicate the transition dune relevès and, finally, green circles indicate fixed dune relevés. a A B Cluster I Cluster II Cluster III 0 b FDF2 FDF21 FDF17 FDF36 FDF16 FDF56 FDF1 FDF55 FDF13 FDF45 FDF62 FDF33 FDF61 FDF26 FDF23 FDF58 FDF12 FDF54 FDF20 FDF60 FDF59 FDF4 FDF30 FDF15 FDF32 FDF48 FDF27 FDF38 FDF39 FDF40 FDF37 FDF34 FDF10 FDF14 FDF3 FDF18 TDF10 FDF24 FDF6 FDF63 FDF49 FDF42 FDF44 FDF35 FDF5 TDF27 FDF43 FDF41 FDF47 FDF57 FDF50 FDF46 FDF7 FDF9 FDF29 FDF22 FDF19 TDF15 FDF53 FDF25 FDF31 EDF18 EDF28 EDF10 EDF16 EDF17 EDF37 EDF39 EDF13 EDF40 EDF38 EDF22 EDF14 EDF20 EDF30 EDF24 EDF33 EDF29 EDF42 EDF12 EDF4 EDF8 EDF44 EDF11 EDF3 EDF45 EDF23 EDF5 EDF35 EDF27 EDF41 EDF26 EDF48 EDF46 EDF49 EDF50 EDF7 EDF21 EDF9 EDF47 MDF18 EDF36 EDF43 EDF15 EDF6 EDF32 EDF25 MDF3 MDF26 EDF34 0 c inland beach FDF11 TDF9 EDF19 FDF51 TDF12 FDF28 TDF31 MDF31 TDF3 FDF8 TDF13 TDF18 TDF19 FDF52 TDF33 TDF28 TDF25 TDF5 TDF17 TDF14 EDF31 TDF16 EDF1 TDF23 TDF24 TDF29 TDF11 TDF6 TDF22 TDF7 TDF30 TDF20 TDF2 TDF26 MDF19 MDF28 MDF1 MDF34 MDF25 MDF27 MDF15 TDF1 TDF21 MDF13 MDF7 TDF8 MDF37 MDF22 MDF14 MDF8 TDF4 MDF35 MDF32 TDF32 MDF21 MDF23 MDF6 MDF16 MDF30 MDF12 MDF24 MDF5 MDF17 MDF29 MDF4 MDF11 MDF33 MDF20 MDF10 MDF36 MDF9 MDF2 0 Axis 1 0 Axis 1 Fig. 4.5 (b-c), in fact, shows one main ordination axis that is clearly related to the stabilization gradient: the more extreme pioneer communities (embryo and mobile dune) are found at the right side of the factorial plan, with the sheltered groups (transition dune) in the middle, and the stabilized communities (fixed dune) on the left side. Therefore, axis 1 suggests a successional gradient, with species of early successional stages on the right and those of fixed dune communities on the left. Groups (clusters) individuated are related to four main plant associations that, from sea to inland, are: 1. Cluster I: Euphorbio paraliae-elytrigetum boreoatlanticae R. Tüxen in Br.-Bl. et R. Tüxen 1952 (= Euphorbio-Agropyretum juncei) 186

201 Parte 4 The first group includes 56 relevés and a total number of 21 species. These relevés are related to the earliest zone of the foredune corresponding to the banquette (sub-horizontal drift at the foot of embryo-dunes) and to the most seaward dunes (embryo-dunes) (see Fig.4.4). Community of Cluster I was classified under the Euphorbio paraliae-elytrigetum boreoatlanticae because of the dominant character species and its characteristic species combination (Favennec et al. 1998). It is a pioneer association including perennial species of Atlantic embryo-dunes from South England to South -Western Spain. The most typical species are Elymus farctus subsp. boreatlanticus, Euphorbia paralias, Calystegia soldanella and Eryngium maritimum. 2. Cluster II: Euphorbio paraliae-ammophiletum arenariae R. Tüxen 1945 in Br.-Bl. et R. Tüxen 1952 The second group includes 52 relevés and a total of 35 species. These relevés are related to the mobile dune or white dune (dune blanche) (see Fig. 4.4), a facies very common along the Aquitaine coast even if it is less developed at the Southern end (in the surroundings of the Adour), where dunes are not so massive and are less mobile due to coarser and gravelly sediments. Plant communities of mobile dunes of SW-France, were thoroughly examined by Géhu et al. (1995); according to them Ammophila arenaria s.l. is the peculiar species and others as Eryngium maritimum, Calystegia soldanella and Euphorbia paralias, are geographic differential species (espèces différentielles gèographiques) of more temperate areas. They are not strictly linked to the mobile dunes, but they are present also in other coastal dune associations (Géhu et al. 1995). In the physociological nomenclature Atlantic white dunes are related to two main associations of sub-alliance Euphorbio paraliae-ammophilenion arenariae: Euphorbio paraliae-ammophiletum arenariae R. Tüxen 1945 in Br.-Bl. et R. Tüxen 1952 and Silene thorei-ammophiletum arenariae J.-M. et J. Géhu 1969 ( Géhu et al. 1995). The former was Identified here; it is typical of Atlantic white (mobile) dune from Southern England to the South of the Armor massif in France (Géhu 1998). This association is characterized by the dominance of Ammophila arenaria subsp. arenariae and the three (ubiquitous) species: Eryngium maritimum, Euphorbia paralias e Calystegia soldanella. The latter synvicariant association is not identified by the relevés that we have chosen, even if some of its typical species were included in various relevés. Sileno thorei-ammophiletum arenariae is an endemic association of the Aquitaine littoral (SW France) from La Charente-Maritime to the border with Spain (Adour) (Géhu et al. 1995). For long time this association has been regarded as a typology with Silene vulgaris subsp. thorei (=Silene thorei Duf.) of the former association; but, due to a particular climatic contest and to the special history of SW-France coastal dunes, it has been considered as a separate association (Géhu et al. 1995). Its typical species, in addition to Ammophila arenaria subsp. arenaria and to omnipresents (Eryngium maritimum, Euphorbia paralias e Calystegia soldanella), are Artemisia campestris subsp. maritima 187

202 Atlantic and Mediterranean coastal dunes (= Artemisia lloydii) and Silene vulgaris subsp. thorei and Linaria thymifolia, both endemic species. 3. Cluster III: A-Festuco juncifoliae-galietum arenarii Géhu 1964 corr.; B-Silene portensis- Helichrysetum stoechadis Géhu 1974 This group is distinguished in two main sub-groups: A: It includes 15 relevés (24 species) that are related to semifixed dunes or transition dune (see Fig. 4.4). In this facies, behind the mobile dunes, drift and transfer of sand are reduced and stabilisation and pedogenesis processes begin. This group identifies the Festuco juncifoliae-galietum arenarii; according to Géhu (1998), this plant association is probably endemic of Western French (Gironde) and of the South Armorican coast. Its physiognomy is characterised by dominance of Festuca juncifolia and endemic species Galium arenarium; they form an effective low carpet against wind erosion. Another vicariant association, which was not distinguished by our selected relevés and which develops in this facies, is Galium arenarii-hieracietum eriophori Géhu (1968) It is a highly original and rare phytoceonose (Géhu et al. 1995), endemic of the coast of Landes, from Arcachon to the border with Spain. The most typical species of this association are the two endemic species that name it, Galium arenarium and Hieracium eriophorum; another species frequent in this association is the endemic species Astragalus bayonensis, with a wider distribution. B: The latter subgroup includes 59 relevés (51 species) relating to fixed dunes, often called grey dunes (see Fig. 4.4). These are an intermediate dynamic stage between mobile dunes and coastal woodland, forming the heart of the Aquitaine dune landscape. Atlantic grey dunes are related to the alliance Euphorbio portolandicae-helichrysion maritimae Géhu et R. Tüxen Sissingh 1974 corr., concerning partially chamaephytic vegetation of the thermoatlantic backdunes rich in bryophytes, lichens and various therophytes. It develops along the cantabro-atlantic littoral, from Western Brittany to Basque Country. This alliance includes several synendemic associations: Thymo drucei-helichrysetum stoechadis Géhu et Sissingh 1974 (W Armorican coast); Roso spinosissimae-ephedretum distachyae (Kuhnholtz-Lordat 1928) Vanden Berghen 1958 (S Armorican coast-south Brittany); Artemisio maritimae-ephedretum distachyae Géhu et Sissingh 1974 (coasts of Vendée and Charente, Central-West France); Sileno portensis-helichrysetum stoechadis Géhu 1974 (Coasts of Gironde and Lande, SW France); Alysso loiseleuri-helichrysetum stoechadis Géhu 1974 (South Aquitaine- Basque Country) 188

203 Parte 4 Our relevés are related to Silene portensis- Helichrysetum stoechadis, fot which the most typical species are: Helichrysum stoechas, Silene portensis, Jasione crispa subsp. maritima (= J. montana) and Carex arenaria Mediterranean coastal dunes The matrix of 140 specie x 182 relevés selected for the Mediterranean study area, was subjected to multivariate analysis too. Cluster analyses performed on the 182 sampling plots (relevés) led to the identification of six distinctive community types across the dune system of the Mediterranean coast (Lazio). When these groups were overlapped on the PCoA (Principal Coordinates Analysis) ordination space, plots showed gradual changes along the sea-inland environmental gradient (Fig. 4.6). Fig. 4.6 shows, as in the Atlantic ordination, one main ordination axis which is related to a stabilization gradient with species of early successional stages on the left and those of fixed dune communities to the right; but, in this case, in comparison with the Atlantic case, the ordination is less homogeneous, and is not horseshoe shaped, since the macchia (fixed dune) relevés are very markedly separated from relevés of the other communities. Groups (clusters) individuated are related to four main plant associations that, from sea to inland, are: 1. Cluster 0: Salsolo kali-cakiletum maritimae Costa et Manzanet 1981, corr. Rivas- Martínez et al The first group of Mediterranean communities includes 18 relevés and a total of 22 species. These relevés are related to strandline and upper beach, where the waves leave the organic waste carried by the rivers (see Fig. 4.4). The middle and higher beach are colonised by annual, ephemeral and halo-nitrophilous communities, exposed to wind action and occasionally to breaking waves. The vegetation cover of this community type is generally discontinuous and low (never greater than 5%), and the colonization of the sand is ephemeral because of scarcity of perennial plants. On Mediterranean coasts, the most frequent strandline community is Salsolo kali- Cakiletum maritimae; this community is recognized in this group of Tyrrhenian relevés. The Salsolo kali-cakiletum maritimae has a Circum-Mediterranean distribution; it is spread over younger dune systems and often forms the first belt of vegetation close to the sea, its influence on the formation and conservation of organogenous dunes is always minimal (Pignatti 1993). It is a pioneer community consisting chiefly of therophytes, among which Cakile maritima subsp. maritima, Salsola kali and, secondly, Polygonum maritimum and Chamaesyce peplis (= Euphorbia peplis) are the most frequent. Often, we can is observe, as in some Tyrrhenian relevés, the frequent presence of another annual, Xanthium orientale subsp. italicum (= X. strumarium subsp. italicum), which identifies the sub-association xanthietosum 189

204 Axis 2 Axis 2 Atlantic and Mediterranean coastal dunes italici; it is highly nitrophilous and common along Italian coasts. In this research, however, our analysis was restricted only to plant the association level. a Fig Results of Hierarchical Custer Analysis and Principal Coordinates Analysis (PCoA) for Mediterranean coast reléves. a) Dendrogram from clustering analysis of reléves according to their species; b-c) sample (relevés) ordination in the plan defined by axes 1 and 2 of the PCoA. Purple circles indicate the upper beach relevés; blue circles indicate the foredune relevés; yellow circles indicate the transition dune relevès and, finally, green circles indicate fixed dune relevés. A B A B Cluster 0 Cluster I Cluster II Cluster III b BD14 BD16 BD7 BD6 BD2 BD3 BD15 BD4 BD12 BD13 ED2ED1 BD9 BD5 ED30 BD1 BD8 BD11 ED27 ED31 ED7 ED17 ED23 ED6 ED19 BD10 1ed 2ed ED26 ED13 ED18 ED28 ED12 ED11 ED25 ED21 ED20ED8 ED22 ED4 ED5 ED10 ED24 P7 ED9 1ed ED29 ED3 ED14 ED15 c inland beach 0 mac6 M21 M14 M31 M7 M5 M18 M17 M6 M19 mac2 M16 M3 M20 mac8 mac4 M8 mac9 mac10 M26 M25 mac17 M22 mac12 mac7 M9 M12 M10 M33 M32 mac5 mac11 M29 M24 mac20 M13 M30 mac19 mac14 mac21 mac22 mac16 mac13 mac23 mac15 mac18 mac25 M1 mac1 M28M23 mac24 M34 M15 M27 mac3 M11 M4 M35 P20 P15 P14 P19 P16 P9 P4P5 CR16 P3 P2 P6 ED16 CR20 P11 P17 CR6 P18 P13 CR5 P10 CR17 P8 CR10 CR13 CR19 CR18 CR14 CR9 CR7 MD20 CR2 CR11 CR4 CR12 CR15 CR8 CR3 MD15 0 MD16 MD17 MD31 MD1 MD18 MD13 MD23 MD25 MD8 MD10 MD22 MD21 MD9 MD3 MD24 MD14 MD19 MD30 MD4 MD7 MD12 MD11 MD29 MD32 MD27 MD5 MD26 MD6 2md MD28 Axis 1 0 Axis Cluster I: A-Echinophoro spinosae- Elytrigetum junceae Géhu 1988 corr. Géhu 1996; B- Echinophoro spinosae- Ammophiletum australis (Br.-Bl. 1921) Géhu, Rivas-Martínez & R. Tüxen in Géhu 1975 In this second group we con distinguish two main sub-groups: A: The former includes 32 relevés and 29 species. These relevés are related to the most seaward dunes, which are called also embryodune (see Fig. 4.4). Community of Cluster IA was classified under the Echinophoro spinosae Elytrigetum junceae, the prevalent association of the Italian Mediterranean (Biondi 2007). This is a psammophylic geophytic vegetation on embryonic dunes exhibiting a Mediterranean distribution. Its structure is 190

205 Parte 4 generally open, with cover values between 30% and 50%. The most frequent specie of Echinophoro spinosae- Elytrigetum junceae are Echinophora spinosa, Anthemis maritima, Sporobolus virginicus and especially Elymus farctus subsp. farctus (=Elytrigia juncea), that forms the first low dunes. Often, we observe, as in some Tyrrhenian relevés, a high presence of Otanthus maritmus subsp. maritimus, which identifies the sub-association otanthetosum maritimi (Géhu & Biondi 1994) developing in more internal embryonic dunes, more stable and continuous. It is common along Tyrrhenian coasts; however, in this research, as mentioned above, our analysis was restricted only to the level of plant associations. B: The latter sub-group comprises 30 relevés and 39 plant species. These relevés concern the mobile (or white) dunes (see Fig. 4.4), where a psammophylic geophytic vegetation grows. The association identified in this sub-group is Echinophoro spinosae Ammophiletum australis. This association grows on higher dunes (1-5 m high and more) and is characterized by the optimal development of Ammophila arenaria subsp. australis; other frequently occurring species are Echinophora spinosa, Anthemis maritima, Eryngium maritimum and Pancratium maritimum. Echinophoro spinosae Ammophiletum australis has a North- Western Mediterranean distribution and is present, with slight floristic variation, also in Spain and Western Greece. 3. Cluster II: A-Loto cytisoidis-crucianelletum maritimae Alcarez et al corr.; B- Sileno coloratae Ononidetum variegatae Géhu et al Also the third group (cluster) comprises two sub-groups: A: The former sub-group is made up of 25 relevés and includes 46 plant species. These relevés are related to the alliance Crucianellion Rivas Goday & Rivas-Martínez 1958, found in the Italian Mediterranean with different associations (Biondi 2007). The community recognized by our selected relevés and distributed on the Tyrrhenian coast is Loto cytisoidis Crucianelletum maritimae. It is a chamaephytic vegetation that is localized on dune systems which are farther from the sea, in the facies that we call transition dune (semifixed dunes) (see Fig. 4.4). Here the wind action is not as strong as in the Ammophiletum zone, and the relief is quite soft with gentle slopes (Pignatti 1993); the amount of sand movement is inferior and the vegetation cover is higher than in the Ammophiletum. The reduced wind action is coupled with a hot and dry microclimate, particularly in summer (Pignatti 1993). The two most typical species are Crucianella maritima and Lotus cytisoides; they are two chamaephytes with Mediterranean distribution, which often are co-dominant and determine the physiognomy of the association and its characteristic species combination. Other frequent species are: Anthemis maritima, Pancratium maritimum, Pycnocomon rutifolium and also Ammophila arenaria subsp. australis. Loto cytisoidis - Crucianelletum maritimae has a North Western Mediterranean distribution. B: The latter sub-group consist of 22 relevés and 69 species. These relevés are related to annual communities growing in the clearings of the main perennial associations from 191

206 Atlantic and Mediterranean coastal dunes Ammophiletum to Crucianelletum and Mediterranean macchia. In fact, therophytic grasses develop generally on the flat surfaces mixed with those colonized by perennial associations, especially in the clearings of Crucianelletum. Along the Tyrrhenian coast annual vegetation is very common and well-defined and grows especially in transition dunes. Community of Cluster IIB was classified under the Sileno coloratae Ononidetum variegatae, that has a Central Mediterranean distribution. The most typical species of this association are all therophytes: Silene canescens (=S. colorata), Ononis variegata and Vulpia fasciculata. 4. Cluster III: Asparago acutifolii Juniperetum macrocarpae R. et R. Molinier 1955 ex O.de Bolòs 1962, corr. race typique Géhu et al The last group includes 60 relevés and 70 plant species. These relevés are related to the vegetation growing in the inner part of the dune system, in the facies that is called fixed dune (see Fig. 4.4); it is in general more stable and aeolian erosion or sedimentation are of little importance. The vegetation covers the surface more or less completely and consequently it can be interpreted as being in a more mature stage than in the outer parts of the littoral. The association identified in this group is Asparago acutifolii Juniperetum macrocarpae, characterized by the dominance of the juniper (Junyperus oxycedrus subsp. macrocarpa) and by other evergreen Mediterranean shrubs such as Pistacia lentiscus, Phillyrea angustifolia, Rhamnus alaternus subsp. alaternus and Quercus ilex subsp. ilex, and lianas such as Smilax aspera, Lonicera implexa subsp. implexa and Rubia peregrina subsp. peregrina. These shrubs colonize the more pioneer macchia and seem to be in a permanent stage, further succession to a Quercetum ilicis being hindered by the strong wind action. Most shrubs show reduced size and the typical flag form caused by salt winds. Trees are almost lacking; they become dominate in the next community (Quercetum ilicis) that forms a dense woodland, but this association was not considered in this research. Asparago acutifolii Juniperetum macrocarpae has a Central Mediterranean distribution. 5.2 COMPARISON BETWEEN MEDITERRANEAN AND ATLANTIC COASTAL COMMUNITIES After identifying the major communities of both study areas, we have accurately described the characteristics of each community and of the facies that it occupies, and we have analysed the differences of these communities and facies between Mediterranean and Atlantic coastal areas. It is useful, during the following explanation, to refer also to Fig Upper beach community ( haute de plage ) The high beach zone is an extremely stressful habitat for higher plants, it is partly eroded and bears only exceptionally halo-nitrophilous therophytes. The strand zone affords a very 192

207 Parte 4 hostile environment in which the plants may be splashed by seawater and take the full force of onshore gales; both loss of substrate by erosion and burial by sand accretion are frequent events. Strandlines are colonized by few species just because of the severity of the environment for plant growth. A number of factors contribute to this. First, there is a marked seasonal variation in salinity (Lee & Ignaciuk 1985). Second, the habitat is mobile and unstable being liable to disturbance by wind and tide. Rapid accretion of sand may occur in the vicinity of plants which can lead to burial, and wind or tide erosion can cause up-rooting or damage. Waves action, particularly in oceanic ecosystems, can completely destroy whole communities on beaches, but this may lead to a floating seed population for the recolonization of these or other shores (Lee & Ignaciuk 1985). Third, the porous nature of the substrate and exposure to wind and high insolation may lead to drought. Fourth, the supply of plant nutrients is low except in the immediate vicinity of drifted organic matter, and this restricts the growth of strandline plants (Lee et al. 1983) and may prevent seed production. An important characteristic of strandline plants is the ability of their seeds or fruits to float and to withstand prolonged immersion in sea-water. On many temperate beaches which show marked sand accretion, the sea probably provides the major seed source of annual species. Strandline plant species tend to be sparsely distributed; they appear to be independent of each other and capable of growing alone or in association with any of the others. Communities of high beach may represent the earliest stages of dune succession or, more commonly, they may be destroyed annually by equinoctial tides and winter storms. In this research, the community of this facies is found only in the Mediterranean coastal area. It corresponds to Cluster 0. In the Atlantic system, in fact, this community appears to be quite fluctuating and is not always present. According to Doing (1985) there is some confusion in the literature about the independence of ephemeral tidemark communities, consisting of annual species. Partly this is due to the vulnerability of these communities and to the local history of coastlines. Because of rising sea levels, a retreating coast, not permitting the development of these communities as a well separated zone, is the most common situation. Even where conditions are more favourable, they often occur only in some years, or each year in different places. However, according to Doing (1985) there are apparently two cases in which they are missing for climatological reasons: very cold areas (generally unfavourable for the maintenance of annuals) and areas with hot, dry summers, which create extremely harsh conditions on the beach. In the case of Atlantic dunes, surely the environmental factors (floods and tides) with the climatic ones play an important role in determining the variability of this pioneer zone. As stated before, the typical association of Mediterranean high beaches is Salsolo kali-cakiletum maritimae that is also the dominant community type on Italian coasts (Biondi 2007). The most frequent species of Cluster 0 correspond to characteristic species of this community such as Cakile maritima subsp. maritima and Salsola kali, whose cover values are variable depending on the secondary ecological factors and on the season of the year (Géhu & Biondi 1994). These major species 193

208 Atlantic and Mediterranean coastal dunes were accompanied sometimes by other annual species, above all Chamaesyce peplis (= Euphorbia peplis). Because of the importance of these species, especially of Cakile maritima, it could be interesting to say something about them Characteristic species of upper beach zone Cakile maritima Scop. Cakile maritima is a succulent, annual species that is characteristic of ephemeral strandline communities on sandy shores in many parts of the world (Doing 1985). Annual colonisation, through dispersal by tides and wind, is determined in part by local beach and dune topography. Once established, C. maritima may play a role in trapping blown sand, thus initiating foredune formation and dune succession, especially on prograding coasts. Growth is stimulated by burial with blown sand and plants sometimes form the nuclei of early successional foredunes. Cakile maritima exploits ephemeral sandy habitats and gaps in dune vegetation. It competes poorly with perennial dune grasses, particularly Ammophila arenaria and Elymus farctus. Disturbances such as fire, trampling, excavation or wind erosion, which remove existing vegetation cover, provide opportunities for colonisation by C. maritima. It cannot survive heavy human trampling, such as on tourist beaches. Cakile maritima is tolerant of salt spray and transient seawater inundation. Although beach and dune sand is a meagre source of macronutrients, it shows large growth responses to nitrogen addition and can exploit local nitrogen enrichment associated with mineralisation of organic detritus washed up on the strandline. Its insect- or self-pollinated flowers are self-compatible, but selfing apparently results in comparatively low seed set (Rodman 1974; Thrall et al. 2000). The fruits are 2-segmented: the distal segments are readily detached and can float considerable distances in seawater; the proximal segments tend to shed their seed while attached to the maternal plant. Dispersal can be by water (tides and sea currents) or more locally by wind. Salsola kali L. Salsola kali is an annual that shares its habitat with Cakile maritima. The species is windpollinated. Either the entire plant is dispersed as a tumbleweed, or the persistent winged calyx results in wind dispersal of the attached fruits (Ridley 1930). Fruits have been reported to float in seawater between five and four days, even though in this medium they remain viable for at least 40 days (Ridley 1930). Euphorbia peplis L. Euphorbia peplis (= Chamaesyce peplis) is a type of Euphorbia, native to southern and Western Europe, northern Africa, and southwestern Asia, where it typically grows on coastal sand and shingle. It is a small, prostrate annual plant, the stems growing to cm lengths. 194

209 Parte Biological and chorological analysis Salsolo kali-cakiletum maritimae community is characterized by the presence of therophytes (43%), as is shown in the biological spectrum (Fig. 4.7) of Cluster 0. Also a good percentage of geophytes (ca. 29%) and hemicryptophytes (ca. 18%) was observed because of high frequency of Elymus farctus subsp. farctus and Polygonum maritimum respectively ,2 40 Fig Weighted biological spectrum of the Mediterranean upper beach community. 30 % 20 28,8 17,8 10,2 10 0,0 0 T G H Ch P The weighted chorological spectrum (Fig. 4.8) highlights the dominance of Mediterranean species, Eury- and Steno-Mediterranean that together reach a percentage of about 41%. The high percentage of species with an atlantic distribution is due to the high frequency of Cakile maritima subsp. maritima, the distribution range of which is classified as Mediterranean- Atlantic in the Flora of Italy (Pignatti 1982) , % 15 13,6 16,9 16,9 17,8 Fig Weighted chorological spectrum of the Mediterranean upper beach community. 10 5,9 5 1,7 0 Steno-Medit. Euri-Medit. Eurasiatiche Cosmopolite Esotiche Boreali Atlantiche A fair number of Cosmopolitan (ca. 17%) species, such as Polygonum maritimum (a species characteristic of the Mediterranean coast), and Eurasiatic ones (ca. 17%), such as Salsola kali, were registered. The only exotic species included in the Tyrrhenian high beach relevés (Cluster 0), was the annual nitrophilous Xanthium orientale subsp. italicum (= Xanthium strumarium subsp. italicum). This is an American species of ancient introduction in Europe (probably an archaeophyte according to Poldini et al. 2001) but according to Weber (2003) the 195

210 Atlantic and Mediterranean coastal dunes exact native range is obscure. We have considered this species a dubious exotic; in fact, the subsp. italicum is probably a new entity which has evolved in southern Europe (Piva & Scortegagna 1993). Finally, Tab. 4.1 with percentages of taxonomic families frequencies, shows a high percentage of Poaceae (ca. 21%) followed by Chenopodiaceae (ca. 19%) and Brassicaceae (15%); this is due to high frequencies of Elymus farctus subsp. farctus, Salsola kali, and Cakile maritima subsp. maritima respectively. Families of Mediterranean high beach zone Frequency in plots % Tab Percentage of frequency of taxonomic families in the Mediterranean upper beach zone. Poaceae 25 21,19 Chenopodiaceae 22 18,64 Brassicaceae 18 15,25 Asteraceae 14 11,86 Polygonaceae 12 10,17 Apiaceae 11 9,32 Euphorbiaceae 8 6,78 Cyperaceae 2 1,69 Fabaceae 2 1,69 Aizoaceae 1 0,85 Amaryllidaceae 1 0,85 Convolvulaceae 1 0,85 Portulacaceae 1 0, ,00 Although relevés describing this pioneer community are recorded only for the Lazio coast (Mediterranean area), it is important to remind that along the Atlantic coast and, in particular, Aquitaine coast, when this vegetation zone is present, it is constituted by Beto- Atriplicetum arenariae. The most typical species of this association are Cakile maritima subsp. integrifolia (= maritima), Salsola kali and Atriplex laciniata. In the Southern coast of the Aquitaine region (Tarnos) there is a very interesting area where a good population of Euphorbia peplis (= Chamaesyce peplis) is present; this species is considered a relict of a Thermo-Atlantic community. Now it has nearly disappeared from Atlantic coasts due to increasing trampling by tourists. Also along the Lazio coast the community of the strandline is subjected to anthropic activity (especially trampling, mechanical cleaning..) and marine erosion as well. It grows along the whole coast but with a discontinuous distribution. Therefore, it is very important to conserve this facies and this issue concerns mainly Mediterranean coasts. In fact, the vegetation of the strandline is included in the Habitats Directive (92/43/EEC) as Annual vegetation of drift lines (code 1210) and is defined as formations of annuals or representatives of annuals and perennials, occupying accumulations of drift material and gravel rich in nitrogenous organic matter (Cakiletea maritimae). Habitats Directive (92/43/EEC) is a community legislative instrument in the field of nature conservation that establishes a common framework for the conservation of 196

211 Parte 4 wild animal and plant species and natural habitats of Community importance; it provides for the creation of a network of special areas of conservation, called Natura 2000, to "maintain and restore, at favourable conservation status, natural habitats and species of wild fauna and flora of Community interest" Embryo dune communities ( dune embryonnaire ) Behind the high beach the first dunes are fixed by vegetation, especially Elymus farctus or Ammophila arenaria, where the beach is not flooded. The so-called embryo dunes are built up by sand blown towards the back of the beach. These formations represent the first stages of dune construction and are constituted by a seaward fringe at the foot of the tall dunes. They have an intermediate position between the strand-line communities and the white dune phytocoenoses. The embryodune sand is well aerated, but temperature and air humidity fluctuate strongly. The low sand drifts are distributed more or less isolated from each other over the sandy beach and are subjected to wind activity and frequently to salt spray, and gradually accumulate piles of sand 1 or 2 m high. In this facies, indeed, salt spray is intense and local-scale sand movements cause burial and sand blasting of vegetation. Leaf surface abrasion by sand grains generally causes holes in the leaf surface and in combination with salt spray, the leaf tissue dies off locally, visible as brown dips on the leaf surface (Rozema et al. 1985). Both along Aquitaine (Atlantic) and Lazio (Mediterranean) coasts, low embryo dunes are occupied by a pioneer, perennial and halophilous community dominated by dune-forming plants, in particular Elymus farctus (= Elytrigia juncea). This community shows low vegetation cover and develops on a poor sandy substrate, with low organic matter but high salinity content. In Atlantic and Mediterranean study areas two different associations (Euphorbio paraliae-elytrigetum boreoatlanticae; Echinophoro spinosae-elytrigetum junceae) were recognized (Cluster I and I/A rispectively). These communities differ for the presence of two sub-species of Elymus farctus: subsp. borealiatlanticus (Atlantic coast) and subsp. farctus (Mediterranean coast). Furthermore, the Mediterranean embryodune community is characterized by the remarkable presence of Echinophora spinosa, a species growing on embryo-dunes of most Mediterranean Basin coasts, from Spain to Greece and from Asia Minor to Northern Africa; the Atlantic embryo dune community, on the other hand is characterized by the remarkable presence of Euphorbia paralias. Other typical and omnipresent species of Euphorbio paraliae-elytrigetum boreoatlanticae are Calystegia soldanella and Eryngium maritimum; these are characteristic also of the Mediterranean embryo-dune community (Echinophoro spinosae- Elytrigetum junceae), but, in this case, a higher number of species was registered including Sporobolus virginicus (=pungens), Anthemis maritima, Otanthus maritimus subsp. maritimus and Pancratium maritimum. Even in this case, it is interesting to say something about these species. 197

212 Atlantic and Mediterranean coastal dunes Characteristic species of embryodune zones Elymus farctus (Viv.) Runemark ex Melderis Elymus farctus is a perennial grass with more or less isolated stems (in general 2-4 dm high); it produces horizontal rhizomes of potentially unlimited growth, which are long (up to 1 m) and creeping, but relatively superficial, so that they can easily be uncovered by wind erosion (Pignatti 1993). It is a relatively weak obstacle to the wind, and its capacity to fix the sand is very low, consequently in this facies the dunes remain in an embryonic condition, and are confined to the sea ward-side of major dune systems. If sand accretion is slight development of rhizomes continues indefinitely; elongation of shoots can bring them to the surface in sand up to about 23 cm deep. If, however, burial is very rapid, shoots are killed and rhizome extends vertically rather than laterally until the surface is reached. This zonation may be based on tidal inundation; for this reason Elymus farctus is more tolerant of root salinity than Ammophila arenaria (Sykes & Wilson 1989). Euphorbia paralias L. Euphorbia paralias is a Mediterranean -Atlantic species and has a long taproot and thick and tough leaves. It is characterized by good colonizing capacity, which is especially due to extraordinary rapidity of seedling growth: they can produce roots of cm length in only two weeks. Eryngium maritimum L. Eryngium maritimum grows on sand, but often in more stabilized habitats such as dunes. It has a root system which can reach to 2 metres in depth; as Ammophila, it is able to fix sand dunes. Its leaves are coriaceous and spinous with a thick cuticle that allows it to withstand to drought. Its showy flowers are likely to be insect-pollinated. Eryngium maritimum has a sexual reproduction (by seeds). Although the spiny sepals of the fruit may indicate epizoochorous dispersal (Thellung 1926), they do not adhere efficiently to animal surfaces (Kadereit et al. 2005). The fruits contain a spongy tissue restricted to the commissural ridges of the mericarps and can float in sea water for between two and four days (Ridley 1930), and remain viable for up to 40 days (Ridley 1930; Thellung 1926). Germination is inhibited by sea water (Ridley 1930). Calystegia soldanella (L.) Roem. & Schult. Calystegia soldanella is a psammophic species, native of the Circum-Mediterranean area, but now Cosmopolitan. In fact, it grows on beach sand and other coastal habitats on the west coast and selected areas on the east coast of North America, and across Europe into Asia also reaching New Zealand. It is a perennial vine herb with stout, white, deeply descending, fleshy roots and numerous prostrate branching stems forming dense patches. Barbour & De Jong (1977) reports that Calystegia soldanella seems to survive seawater inundation better than 198

213 Parte 4 many other species. After seawater inundation the aerial parts at least usually die, though the buried rhizome may survive. It is able to withstand a wide interval of salinity and drought; in fact, its leaves are fleshy and can store water. Sporobolus virginicus Kunth Sporobolus virginicus is a pantropical perennial grass, cm tall, with a capacity for fast vegetative spread by stolons. It has a superficial root system and sclerophyllous, nanophyllous leaves. It forms open communities, which are often the first colonizers of young, primary dunes. It is also found in a variety of humid slacks and in more stabilized communities in protected areas behind the foredunes, though much less frequent there. Sporobolus locally forms dense populations with rather continuous cover in somewhat moister places (probably an effect of salty groundwater). It is one of the most widespread pioneer species. Otanthus maritimus (L.) Hoffm. et Link Otanthus maritimus subsp. maritimus is a halo-tolerant species that grows optimally on flat and non-mobile sands and, therefore, where aeolian drifts are absent or not very strong Biological and chorological analysis The weighted life forms spectrum (Fig. 4.9) of Lazio and Aquitaine embryo dune communities shows the dominance in both cases of geophytes (ca.49% and ca.61% respectively) due to high frequency of Elymus farctus and Calystegia soldanella, and also of Ammophila arenaria, especially in the Atlantic area. On Mediterranean embryodune communities we registered a high presence of hemicryptophytes (23%) (such as Echinophora spinosa and Anthemis maritima), while on the Atlantic coast a high percentage of therophytes (17%) was observed due to the presence of Cakile maritima, that is in a more rearward position compared to the Mediterranean area. High percentage of chamaephytes (17%in Atlantic and 16% in Mediterranean coast) is due to elevated frequency of Euphorbia paralias in the Atlantic area, and Medicago marina and Otanthus maritimus subsp. maritimus in the Mediterranean one Fig Weighted biological spectrum of Atlantic and Mediterranean embryodune communities % T G H Ch P Atlantic Mediterranean 199

214 Atlantic and Mediterranean coastal dunes The chorological spectrum (Fig. 4.10) shows a higher percentage of Steno-Mediterranean (35%) in the Lazio embryo dunes community than in the Aquitaine one, where Eury- Mediterranean (ca. 45%), Cosmopolitan (ca. 20%) and Atlantic (16%) species are more dominant. Among the species with Atlantic distribution registered for the Aquitaine coast, we have included also endemics species growing just along the Atlantic coast. In relevés of Atlantic Cluster I, in fact, we found five endemic species: Astragalus baionensis, Galium arenarium, Hieracium eriophorum, Linaria thymifolia and Silene uniflora subsp. thorei. With regard to the alien component, only two exotics were observed in Mediterranean embryo dune relevés: Xanthium orientale subsp. italicum and Carpobrotus acinaciformis (from the Cape Region of South Africa), the most threatening alien species found in Central Italy coastal dunes and especially along the Tyrrhenian coast (Acosta et al. 2007). 50 % Fig Weighted chorological spectrum of Atlantic and Mediterranean embryo-dune communities Steno-Medit. Eury-Medit. Eurasiatic Cosmopolitan Exotic Boreal Atlantic Atlantic Mediterranean Carpobrotus ssp., is generally used for ornamental purposes but now grows in a wide range of foredune communities. It forms very close tussock carpets and often succeeds in excluding any possible competitors. This species can cause widespread changes in plant community structure by forming monospecific stands with no native dune species inside. It can tolerate salt-spray, and grows in severely disturbed dunes. Carpobrotus spp. relys both on clonal reproduction (producing stolons) and on sexual recruitment, producing hundreds of seeds dispersed by birds (Suehs et al. 2004). Only one alien specie was observed on Atlantic embryo dunes: Euphorbia polygonifolia (from North America); it is a annual herb with stems usually prostrate, that is common along the Aquitaine littoral where it seems to be naturalized (Fournier 1961). Finally, Tab 4.2 shows the percentage of frequencies of taxonomic families in embryo dunes communities recognized by Cluster I and I/A; in both coastal communities a high percentage of Poaceae (Elymus farctus) and Apiaceae (Eryngium maritimum) was observed. On Mediterranean embryodune communities we registered a higher frequency of Asteraceae (Otanthus maritimus and Anthemis maritima) than on Atlantic 200

215 Parte 4 ones, where, on the other hand, we observed a high percentage of Convolvulaceae (Calystegia soldanella) and Euphorbiaceae (Euphorbia paralias). Families of Atlantic embryo dune Frequency in plots % Families of Mediterranean embryo dune Frequency in plots % Poaceae 72 26,77 Poaceae 56 23,63 Convolvulaceae 52 19,33 Asteraceae 48 20,25 Euphorbiaceae 47 17,47 Apiaceae 39 16,46 Apiaceae 41 15,24 Fabaceae 21 8,86 Brassicaceae 29 10,78 Amaryllidaceae 20 8,44 Caryophyllaceae 8 2,97 Convolvulaceae 17 7,17 Asteraceae 6 2,23 Cyperaceae 10 4,22 Chenopodiaceae 6 2,23 Brassicaceae 9 3,80 Fabaceae 3 1,12 Euphorbiaceae 5 2,11 Polygonaceae 2 0,74 Plantaginaceae 3 1,27 Cyperaceae 1 0,37 Caryophyllaceae 2 0,84 Rubiaceae 1 0,37 Chenopodiaceae 2 0,84 Scrophulariaceae 1 0,37 Polygonaceae 2 0, Aizoaceae 1 0,42 Dipsacaceae 1 0,42 Rubiaceae 1 0, Tab Percentage of frequency of taxonomic families in Mediterranean and Atlantic embryodune communities. Embryo dune communities are present along both study area: Atlantic (Aquitaine) and Mediterranean (Lazio-Tyrrhenian) coasts. However, they are more threatened on the Lazio coast because of higher levels of urbanizations, human activity and marine erosion. Also embryo dune vegetation is included in the Habitat Directive (92/43/EEC) as Embryonic shifting dunes (code 2110) and is defined as formations of the coast representing the first stages of dune construction, constituted by ripples or raised sand surfaces of the upper beach or by a seaward fringe at the foot of the tall dunes. This Habitat was reported as a community Habitat both for Atlantic and Mediterranean coastal dunes. However this Habitat (2110) includes only Atlantic embryo dunes, since it is comprised in the sub category 21, concerning Sea dunes of the Atlantic, North Sea and Baltic coasts. Therefore, if Atlantic embryo dune communities are securely included in N2000, it isn t the same for Mediterranean ones; no reference to applicability in the Mediterranean area is reported in the Directive and in the Interpretation manual of European Union habitats (2003), although these communities are considered community HABITAT by most countries of the Mediterranean Region, such as Italy, France, Spain and Greece (EEA 2004). This could be an interesting debating point to analyse. 201

216 Atlantic and Mediterranean coastal dunes Mobile dune communities ( dune mobile or dunes blanche ) Behind the embryodunes, in a later stage due to an increase of plant density, dunes become coalescing and create a ridge parallel to the seashore. It is the area of a perennial herb community dominated, both in Atlantic and Mediterranean coastal zonation, by Ammophila arenaria. In subsequent stages of dune formation Ammophila arenaria becomes the dominant species in an association called Ammophiletum. This community develops on a more stabilized sandy substrate. Salinity content and salt spray are usually lower than in the Elymus farctus community. Where Ammophila arenaria develops, the dune becomes higher, and is then physiognomically characterized by high dune grasses. This dune-building plant, therefore, is the key species of the community in terms of geomorphology (Jungerius & Van der Meulen 1997) and in terms of biomass and species richness (Lemauviel & Rozé 2003). This dune is called mobile or white. The vegetation of the white dune depends on continuous supply of fresh sea-sand. The dune grasses, including Ammophila arenaria, are quite capable of growing through the blown-up sand by a well-developed system of rhizomes and roots. The dune itself grows by the continuous sand drift, and becomes an effective wall against storm floods. A front dune ridge formed by A. arenaria usually has few associated species, especially on the more mobile seaward slope (Huiskes 1979). Further inland, the vegetation becomes mixed, though A. arenaria is still dominant on the ridges. Following some authors, therefore, the Ammophiletum is often divided into pure Ammophiletum, in the more heavily-accreting part of the successional stage, and mixed Ammophiletum in the less mobile areas, especially leeward slopes of mobile dunes (Willis et al. 1959). In the pure Ammophiletum, Ammophila arenaria may be almost the only species present; other species may occur in this association but in low frequencies. In the mixed Ammophiletum several species are associated with Ammophila arenaria which is still the dominant species. Along the Aquitaine coast we found the community called Euphorbio paraliae- Ammophiletum arenariae (Cluster II) while along the Tyrrhenian coast we found Echinophoro spinosae Ammophiletum australis (Cluster I/B). They are two similar communities, where other common species in addition to Ammpohila arenaria are the omnipresent, Calystegia soldanella and Eryngium maritimum, though they are more abundant in Atlantic community. Also in this case, like for Elymus farctus, Ammophila presents two different subspecies: along the Mediterranean coast (Lazio) we found subsp. australis (= arundinacea) while along the Atlantic coast (Aquitaine) we found subsp. arenaria. Furthemore, on the Atlantic coast Euphorbia paralias is again dominant on the white dune; the same goes for Echinopora spinosa in the Mediterranean coast, even if with an inferior frequency. Other species with high frequency in Mediterranean relevés of Cluster I/B are Anthemis maritima, Otanthus maritimus subsp. maritimus, Pancratium maritimum and Elymus farctus subsp. farctus. In Atlantic relevés we found: Leontodon taraxacoides, Elymus farctus 202

217 Parte 4 subsp. borealiatlanticus and the endemics Hieracium eriophorum, Galium arenarium and Silene uniflora subsp. thorei Common species in both ecosystems: Ammophila arenaria (L.) Link Because of the importance of Ammophila arenaria in dune building it is interesting to say something about it. Ammophila arenaria is a tall perennial grass with a tussock habitus; it grows most vigorously on the open habitat of mobile and semifixed dunes, where it tolerates extreme exposure and wide diurnal fluctuation of soil temperature, which may change from 10 C at night to over 40 C at midday in summer (Willis et al. 1959). Ammophila is clearly a species with generally high phenotypic plasticity (Gray 1985). It has a long deep-lying horizontal system of rhizomes and robust stems up to 10 to 15 dm; basal leaves and stem are densely tufted and form a strong obstacle to the wind, so that large amounts of sand blown by maritime breeze are constantly being deposited on the dune surface. In this way the dune grows, and the accumulation by wind can continue. This mechanism is responsible for the formation of orogenic dunes, which on the Mediterranean coast reach 5-8 m in height, while on the Atlantic one m. Therefore, Ammophila arenaria is very tolerant of sand mobility. It tolerates burial up to 1 m per year; the clusters of tillers enhance sand deposition, by decreasing wind speed (Willis et al. 1959). The plants react to burial by rapid production of elongated stem internodes. Rhizome and root production by Ammophila arenaria tend to stabilize the mobile sand. The majority of the roots of Ammophila arenaria extend to a depth of c. 1 m (Salisbury 1952), but roots can regularly be found at depths of 2 m (Huiskes 1979) and even at 5 m. It is reported to be salt-sensitive, but capable of tolerating 1% sea salt; on the other hand, Elymus farctus is reported to tolerate 6-7% sea salt. Huiskes (1979) reported that 1,5% sea salt in the soil was almost always lethal for Ammophila, which, for these reasons is unable to survive repeated inundation by sea water and is often absent from very low dunes near the sea, though it may enter the succession very soon afterwards and form an intimate mixture with Elymus in low dunes not far from the shore. Ammohpila arenaria does not occur on soils with a ph lower than 4,5-5 (Huiskes 1979). In mobile dunes ph is fairly constant with depth, but in fixed dunes ph increases down the profile. Clonal spread is far more important than reproduction by seed. Ammophila arenaria often establishes from rhizome fragments on the mobile dunes not far from the coastline, but may also arise from seedlings, especially in more inland dunes. Growth does not stop completely during winter months, but is very slow. The seeds are dispersed mainly by wind action, still covered with lemma and palea. The wind blows the seeds around on the ground together with sand. The hairs surrounding the lemma may also allow some dispersal by animals. As stated above, Ammophila arenaria has a zone of dominance and high flowering in the yellow fore-dune, and occurs inland into the established dune system with decreasing frequency and apparently decreasing individual vigour. In later stages of succession 203

218 Atlantic and Mediterranean coastal dunes Ammophila arenaria ceases to be any important in the composition of vegetation. This decline in vigour which Marshall (1965) named Ammophila problem has attracted the attention of ecologists for at least 100 years. Various authors ascribe the decrease in vigour of Ammophila arenaria in the smifixed dune and fixed dunes to competition with other species for nutrients and water (Salisbuty 1952; Willis et al. 1959). In semifixed and fixed dunes the risk of burial is much less, and other species may then outcompete Ammophila arenaria; this superficially rooted species is responsible for concentrating recycled nutrients in the surface layer of soils. Marshall (1965) ascribes the decline in vigour to the lack of sand accretion in the older parts of the dunes, by which Ammophila arenaria is deprived of the possibility of forming fresh roots on newly-buried internodes; on the other hand, more superficially rooted species may be present. The decline in vigour of Ammophila arenaria in fixed dunes has also been attributed to changes in soil proprieties due to both abiotic and biotic factors (Marshall 1965; Salisbury 1952; Willis et al. 1959). Therefore, most explanations emphasize one or other of the group of factors relating to pedogenesis (poor aeration, mineral content deficiency), to increased interspecific competition (for nutrients and water) or the cessation of sand accretion Biological and chorological analysis The high frequency of Ammophila arenaria and also of Elymus farctus in Atlantic ad Mediterranean mobile dune relevés (Cluster II and Cluster I/B), explains the dominance of geophytes in the weighted biological spectrum (Fig. 4.11) of both communities (ca. 37% in Aquitaine relevés; ca. 47%in Tyrrhenian relevés); these are followed by hemicryptophytes (28,5%) (GaIium arenarium, Hieracium eriophorum) and chamaephytes (ca. 23%) (Euphorbia paralias) in the Atlantic community and hemicryptophytes (51%) (Anthemis maritima, Echinophora spinosa) and therophites (ca. 18%) (Silene canescens, Cutandia maritima) in the Mediterranean one. 50 Fig Weighted biological spectrum of Atlantic and Mediterranean mobile communities % T G H Ch P Atlantic Mediterranean 204

219 Parte 4 The weighted chorological spectrum (Fig. 4.12) shows a higher percentage of Steno- Mediterranean (39%) and Cosmopolitan (12%) species in the Mediterranean mobile dune community than in the Atlantic one, where, on the other hand, we registered a high frequency of Eury-Mediterranean (ca. 39%), Atlantic (28%) and Eurasiatic (7%) species. Also in this case, several atlantic endemisms, which are numerous in mobile dune relevés of Aquitaine coast, were included among the species with atlantic distribution. They are: Hieracium eriophorum, Artemisia campestris subsp. maritima, Galium arenarium and Linaria thymifolia. With regard to the exotic component, we found three alien species in the Mediterranean (Lazio-Tyrrhenian coast) mobile dune community: Carpobrotus acinaciformis and Agave americana (from Mexico), the two most spread invasive aliens along the Tyrrhenian coast, and Arundo donax. Arundo donax L. is an Asiatic grass spreading mainly vegetatively by stem or rhizome fragments which are easily transported by waves. In the Atlantic (Aquitaine coast) mobile dune community two specie were found: Yucca gloriosa and Erigeron canadensis. The former from North America is very casual along the Aquitaine coast, and is present especially on fixed dunes. The latter, Erigeron (=Conyza) canadensis is an annual weed, native of North America and widespread in different European disturbed ecosystems. It is common along the Aquitaine coast but especially on fixed dunes. 40 % Fig Weighted chorological spectrum of Atlantic and Mediterranean mobile communities. 0 Steno-Medit. Eury-Medit. Eurasiatic Cosmopolitan Exotic Boreal Atlantic Atlantic Mediterranean Finally, Tab. 4.3 with percentage values of taxonomic families, highlights the dominance of Poaceae in both mobile dune communities (Cluster II, Cluster I/B), followed by Asteraceae (Leontondon taraxacoides and Hieracium eriophorum for the Atlantic community and Anthemis maritima for the Mediterranean one). On the Atlantic community we registered a high frequency of Euphorbiaceae (Euphorbia paralias), while on the Mediterranean one of Apiaceae (Echinophora spinosae). Along the Aquitaine coast the mobile dune community is very common and continuous with a good state of preservation and it is well-developed; on the other hand, along the coast of Lazio this community is present only in well-preserved areas 205

220 Atlantic and Mediterranean coastal dunes and its development is very discontinuous. This is due to high levels of urbanization, alien invasion and human activities. Families of Atlantic mobile dune Frequency in plots % Families of Mediterranean mobile dune Frequency in plots Poaceae ,04 Poaceae 82 33,06 Asteraceae 74 18,18 Asteraceae 41 16,53 Euphorbiaceae 45 11,06 Apiaceae 25 10,08 Apiaceae 43 10,57 Fabaceae 19 7,66 Convolvulaceae 38 9,34 Amaryllidaceae 15 6,05 Fabaceae 24 5,90 Convolvulaceae 14 5,65 Caryophyllaceae 23 5,65 Rubiaceae 14 5,65 Rubiaceae 23 5,65 Cyperaceae 11 4,44 Scrophulariaceae 12 2,95 Caryophyllaceae 10 4,03 Brassicaceae 5 1,23 Euphorbiaceae 9 3,63 Cyperaceae 4 0,98 Aizoaceae 2 0,81 Campanulaceae 3 0,74 Dipsacaceae 2 0,81 Geraniaceae 2 0,49 Agavaceae 1 0,40 Labiatae 2 0,49 Brassicaceae 1 0,40 Agavaceae 1 0,25 Liliaceae 1 0,40 Chenopodiaceae 1 0,25 Plantaginaceae 1 0,40 Polygonaceae 1 0, Tab Percentage of frequency of taxonomic families in Mediterranean and Atlantic mobile dune communities. % According to Géhu et al. (1984), however, mobile dune communities, in the whole Mediterranean area, but especially in Italy, are not very developed because Ammophila arenaria requires a greater and more constant sand alimentation. This explains also why the embryonic dune community with Elymus farctus is more developed and common along the Mediterranean coast than the white dune community. Also the mobile dune facies is included in the Habitats Directive (92/43/EEC) as Shifting dunes along the shoreline with Ammophila arenaria (white dunes)(code 2120) and is defined as mobile dunes forming the seaward cordon or cordons of dune systems of the coasts. As before, also the mobile dune Habitat was reported for Sea dunes of the Atlantic, North Sea and Baltic coasts ; no reference to applicability in the Mediterranean area is reported in the Habitats Directive and in the Interpretation manual of European Union habitats (2003), although these communities are considered community HABITAT by most countries of the Mediterranean region, such as Italy, France, Spain and Greece (EEA 2004) Transition dune communities ( dune de transition or dune semi-fixée ) The term semi-fixed dune in particular describes a very open dune community with an extremely low biomass compared to the mobile dune and the fixed dune (Lemauviel 2000). 206

221 Parte 4 Where the supply of sand decreases, the mobile (white) dunes lose their vitality. Behind the Ammophileum, the sand supply is inferior, so that over blowing of plants does not occur. The semi-fixed dunes, having generally a lower cover of plants, lower soil organic matter and drier soil, are conventionally considered to be less stable than fixed dune areas. In the transition facies on the Mediterranean coast (Lazio coast) we found two communities Loto cytisoidis-crucianelletum maritimae and Sileno coloratae Ononidetum variegatae. These two communities are very different; in fact, the former is constituted mainly by perennial, especially chamaephytic species, among which the most typical are Crucianella maritima, an exclusively mediterranean species and Lotus cytisoides. The latter, on the other hand, is annual vegetation that includes a lot of theropohyte such as Silene canescens, Vulpia fasciculata (=membranacea), Pseudarlaya pumila, Ononis variegata, Medicago littoralis. This last annual association with different species composition is very common along the Tyrrhenian coast; it develops on transition dunes or in a mosaic pattern with the Ammophila arenaria community; indeed, this annual community tends to be widespread when the Ammophila arenaria community or the Mediterranean macchia has disappeared due to disturbance. Here species should be opportunists ; they in fact, are capable of fast reaction to change and fast recovery from disturbance and occur where drought or some other factor inhibits a full cover of perennials. Most annuals growing on semifixed dunes are winter annuals : they germinate in autumn and flower in spring before their habitat becomes too dry. The Crucianelletum maritimae, on the contrary, is not very common along the Tyrrhenian coast and its structure and floristic composition is highly compromised. The relevés of this chamaephytic association (Cluster II/A) include both several annual species of the abovementioned association and perennial species of the Ammophiletum community, in particular geophytic species (Ammophila, Elymus). In fact, in some parts wind erosion or anthropic activity, can be heavy and the dune relief is chaotic through deep blowouts; the Ammophiletum settles again, so the landscape of this zone looks often like a mosaic of plant communities. Along the Aquitaine littoral only one transition dune association was individuated (Cluster III/A): Festuco juncifoliae-galietum arenarii. It is a perennial community where, as for the Mediterranean case, we found both a high frequency of Ammophila and of species growing mainly in fixed dune communities (Corynephorus canescens, Carex arenaria, Helichrysum stoechas and Jasione crispa subsp. maritima = J. montana). The most typical species of this association are: Festuca juncifolia and, to a lesser degree, the endemic species, Galium arenarium. However, another very important and interesting association that occupies semifixed dunes of the Aquitaine region is the endemic Galio arenarii-hieracietum eriophori. In this research, through cluster analysis, this association was not observed, but greater frequency of two endemic species was registered in cluster II, where mobile dune relevés are included. 207

222 Atlantic and Mediterranean coastal dunes Fig shows the weighted life forms spectrum of transition dune communities of Mediterranean and Atlantic study areas. In the comparison we have considered first the perennial community (Crucianelletum), and then the annual community for the Mediterranean transition dune (Fig a-b). The two weighted spectra are not very different; infact, therophytes always dominate in Mediterranean transition dune communities, whether we consider perennial (a) or annual Mediterranean communities (b). In the Atlantic transition dune community, on the other hand, hemicryptophytes (Festuca juncifolia), and chamaephytes (Helichrysum stoechas, Jasione crispa subsp. maritima) are prevalent. Geophytes are present in both Mediterranean and Atlantic communities due to high frequencies of Ammophila arenaria and Elymus farctus; in the Mediterranean area we found other geophytes as Pancratium maritimum, Cyperus capitatus and Sporobolus virginicus. 50 a 60 b % % T G H Ch P 0 T G H Ch P Atlantic Mediterranean Atlantic Mediterranean Fig Weighted biological spectrum of Atlantic and Mediterranean transition dune communities. a) Comparison between Atlantic community and perennial Mediterranean community (Crucianelletum); b) Comparison between Atlantic community and annual Mediterranean community.. Fig shows the weighted chorological spectrum of transition dune communities of Mediterranean and Atlantic study areas. Also in this case we consider the two Mediterranean transition dune communities for the comparison with the Atlantic one (Fig a-b). Chorological spectra are very similar and show the higher frequency of Steno- Mediterranean and Cosmopolitan species on the Mediterranean transition dune than on the Atlantic one, where, on the other hand, also in this facies, Atlantic and Eurasiatic species prevail. No alien species was registered in the Atlantic transition dune community, whereas two species were observed in the Mediterranean community, once again, Carpobrotus acinaciformis and Xanthium orientale subsp. italicum. Finally, with regard to families, Poaceae, Asteraceae and Fabaceae dominate in both transition dune communities (in this case for the Mediterranean we have considered annual and perennial communities together) (Tab. 4.4); in the Mediterranean we observe also a higher frequency of Caryophyllaceae (Silene sp.), while, in the Atlantic community, we observe a high frequency of Campanulaceae (Jasione crispa subsp. maritima). 208

223 Parte 4 60 a 60 b % 30 % Steno-Medit. Eury-Medit. Eurasiatic Cosmopolitan Exotic Boreal Atlantic 0 Steno-Medit. Eury-Medit. Eurasiatic Cosmopolitan Exotic Boreal Atlantic Atlantic Mediterranean Atlantic Mediterranean Fig Weighted chorological spectrum of Atlantic and Mediterranean transition dune communities. a) Comparison between Atlantic community and perennial Mediterranean community (Crucianelletum); b) Comparison between Atlantic community and annual Mediterranean community. The difference between transition dune communities of both areas (Atlantic and Mediterranean) in addition to the presence of different species and life forms, concerns a different structure as well. On the Tyrrhenian coast we observe above all a back dune colonized by a carpet of annuals, and sometimes a narrow strip of chamaephytic vegetation, namely Crucianelletum. Often this area is called grey dune, but it doesn t correspond to the grey dune of Atlantic coasts, where it occupies a more fixed and stabilized zone. The remarkable presence of annuals makes this facies very different both from the geophytic vegetation of mobile dunes and from the macchia that colonizes the fixed dunes. The transition dune, therefore, is very different from neighbouring communities and represents a gap along the zonation. On the Atlantic coast, on the other hand, we found exclusively perennial vegetation with features both of foredune and fixed dune vegetation. In this case, the transition dune is very similar to neighbouring communities. On the Mediterranean the transition dune is more fragmented and threatened in comparison with the Atlantic one. The chamaephytic vegetation dominated by Crucianella maritima, indeed, is certainty the most rare and vulnerable coastal plant association of the Lazio Region. Already Géhu at al. (1984) noticed a reduced floristic composition of this vegetation with respect to the association of Mediterranean France. Due to human disturbance, especially trampling and alteration of dune morphology, the only Crucianelletum maritimae coenosa remaining in the northern and central Lazio coast are a few isolated clumps. In the southern coast, on the other hand, the association has completely disappeared and has been replaced by ephemeral communities (Maresion nanae) and grasslands with Pycnocomon rutifolium and rare Crucianella maritima individuals. Analogous situations are also seen in other areas of 209

224 Atlantic and Mediterranean coastal dunes Italy; the vegetation of these typologies, therefore, is always more rarely seen and is badly compromised by management of these beaches. Families of Atlantic transition dune Frequency in plots % Families of Mediterranean transition dune Frequency in plots % Poaceae 41 32,54 Poaceae ,87 Asteraceae 25 19,84 Fabaceae 94 18,15 Campanulaceae 13 10,32 Asteraceae 59 11,39 Fabaceae 11 8,73 Caryophyllaceae 45 8,69 Caryophyllaceae 8 6,35 Apiaceae 32 6,18 Apiaceae 7 5,56 Cyperaceae 28 5,41 Rubiaceae 6 4,76 Plantaginaceae 20 3,86 Euphorbiaceae 5 3,97 Amaryllidaceae 19 3,67 Convolvulaceae 5 3,97 Rubiaceae 17 3,28 Plantaginaceae 2 1,59 Dipsacaceae 16 3,09 Scrophulariaceae 1 0,79 Euphorbiaceae 12 2,32 Santalaceae 1 0,79 Convolvulaceae 11 2,12 Cyperaceae 1 0,79 Brassicaceae 10 1, Cupressaceae 3 0,58 Liliaceae 3 0,58 Ranunculaceae 3 0,58 Iridaceae 2 0,39 Oleaceae 2 0,39 Orobanchaceae 2 0,39 Tab Percentage of frequency of taxonomic families in Mediterranean and Atlantic transition dune communities. Aizoaceae 1 0,19 Caprifoliaceae 1 0,19 Cistaceae 1 0,19 Linaceae 1 0,19 Polygonaceae 1 0,19 Scrophulariaceae 1 0, Therefore, it is very important to conserve this facies along Mediterranean coasts. In fact, the chamaephyte vegetation is included in Habitats Directive (92/43/EEC) as Crucianellion maritimae fixed beach dunes (code 2210) and is defined as fixed dunes of the western and central Mediterranean, of the Adriatic, of the Ionian Sea and North Africa with Crucianella maritima, Pancratium maritimum. However, also grass communities of therophytes are included in Habitats Directive as Malcolmietalia dune grasslands (code 2230) and are defined as associations with many small annuals and often abundant ephemeral spring bloom, with Malcolmia lacera, M. ramosissima, Evax astericiflora, E. lusitanica, Anthyllis hamosa, Linaria pedunculata, of deep sands in dry interdunal depressions of the coasts. Semistabilized (or transition) dune communities of the Atlantic are not considered in the Directive, but Favennec (2002) proposed to include, among priority Habitat, the rare and endemic community Galio arenarii-hieracietum eriophori due to its patrimonial importance. 210

225 Parte Fixed dunes communities ( dune fixée ) Dune fixation implies a decrease in aeolian activity and stabilization by vegetation. Rhizome forming plants such as Ammophila arenaria and, only on Atlantic coasts, Festuca juncifolia, which keep up with a certain sand accumulation, play an important part and decaying tussocks of Ammophila arenaria become a substantial source of nitrogen in the early stages of fixed dune development. Therefore, further inland, where the vegetation is spared from the effects of the marine aerosol, the soil gradually becomes more evolved. Here in the Tyrrhenian coast we find Mediterranean macchia, with evergreen species, especially shrubs and trees. Mediterranean macchia communities have higher cover values and are less exposed to the harsh coastal conditions and sheltered from winds. These are more protected from salt spray and have richer, moister soils. Generally it is possible to distinguish two types of macchia: a pioneer macchia that includes, above all, short shrubs (nanophanerophytes), and another, more developed macchia, including mostly trees. In fact, the seaward side of the inner dunes (fixed dunes) is mainly covered by juniper shrub, while, the inland-facing side of these dunes, on the other hand, is progressively dominated by trees such as Phillyrea angustifolia, Rhamnus alaternus subsp. alaternus, Pistacia lentiscus and afterwards Quercus ilex woods. In the northern coast of Lazio and in the southern part of the river Tiber delta where complex dune systems occur, this macchia is particularly well developed (Acosta et al. 2000a). In this research, macchia relevés relating to Cluster III/B, refer to Asparago acutifolii- Juniperetum macrocarpae, the first community type. Very different is the situation along the Atlantic coast. Here, behind the semifixed dune, there is a zone, sometimes very broad, where an herbaceous community develops. This facies is called grey dune (fixed dune). The grey dune is a relatively flat part of the landscape on a well-stabilized soil with high organic matter content and short grasses with high cover values (Lemauviel & Rozé 2003). In landscape-ecological terms grey dunes can be considered as the dry component of the stressed dune landscape (Provoost et al. 2004). In such a landscape, biological dynamics show a certain equilibrium between top down regulating stress factors and bottom up community succession. Dominance of top down regulation, for instance by blowing sand, would lead towards a dynamic landscape dunes with Ammophila arenaria - while dominance of bottom up organization would lead to the development of scrub and woodland (Provoost et al. 2004). Dune grassland succession is initiated by fixation and driven by the complex of soil formation (humus accumulation) and vegetation development. The community of the grey dunes covers the sandy soil surface intensively by rooting the upper soil and causing the formation of a thin humus layer, thus holding the loose dune sand and preparing the seedling bed for the dwarf bushes and pines of the brown dunes. It is interesting to note that for the semifixed dunes the initial dune substrate is not very hospitable for plant growth due to low nutrient content. Moreover, grey dune surface exposed to the sun can heat up to more than 60 ºC and soils can dry out down 211

226 Atlantic and Mediterranean coastal dunes to 20 cm deep. Considering the importance of drought stress on grey dunes, climate is determinative for grey dune development and different vegetation types can be distinguished according to the geographical position. Their composition depends largely on local circumstances; each segment of the European coast is after all characterized by a unique combination of climate, geomorphology, soil and history (Prevoost et al. 2004). Also for grey dunes we can distinguish two different types: the former is called grey dune of previous generation or subcurrent; it represents remains of old (ancient) foredunes developed before reforestation and off shore modelling. These grey dunes are low and exhibit a parabolic shape. The latter type, on the other hand, is called in the gascon term: lettes grises (sometimes lèdes in Gironde). This type is very common along the Aquitaine coast and it is characterized by a flat depression, mainly dry, placed between dunal convexities (bars), where we can observe an outer side covered with sand and an inner (inland) side totally fixed and full of mosses and lichens. Studies and observations of the Aquitaine coast have demonstrated that mosses and lichens build persistent populations on dunes and contribute substantially to the biomass and help to stabilize the dune surface. In fact, by dint of their location on the dune and their relationship with characteristic plants such as Helichrysum stoechas, their mode of development and their sensitivity to dune dynamics, moss and lichen populations may be considered to be biological indicators of the stable or instable character of the dune. They sometimes cover wide areas, but maximum diversity is observed just on grey dunes on the woodland frange. Moreover, the presence of a bryologic-lichenic layer determines, togheter with Helichrysum stoechas, the grey colour of this facies. This colour is also due to soil features; in fact, in this vegetation a thin humus layer in the upper subsoil horizon is formed making it slightly grey. Along the Aquitaine coast the most common species are Helichrysum stoechas, Corynephorus canescens, Jasione crispa subsp. maritima = J. montana, Carex arenaria. Helichrysum stoechas is a flowering plant of the daisy family Asteraceae. It grows on dry, rocky or sandy ground. The stems are woody at the base and can reach 60 cm or more in height. Also short-lived species such as Phleum arenarium, Cerastium sp., which help to stabilize the surface, were found. The community determined by Cluster III/B is related to association Sileno portensis- Helichrysetum stoechadis, sinendemic vegetation growing on dry dune depressions of the Gironde-Lande area. This community is characterized in addition to the above-mentioned species, also by Silene portensis a Spanish- Mediterranean and Atlantic species. It is interesting to say something about these more typical species Characteristic species of Atlantic fixed dune Corynephorus canescens (L.) P. Beauv. Corynephorus canescens is an Atlantic or oceanic/suboceanic species that grows in open sandy places with large temperature fluctuation and a detectable fluctuation in moisture 212

227 Parte 4 tension. This is generally a plant of substrata which are extremely low in mineral nutrient though this is not necessarily true of its behaviour throughout the range of its distribution (Marshall 1967). It grows vigorously where there is up to 10 cm of sand accretion per year and where there are favourable moisture conditions. Establishment cannot take place where accretion, at germination, exceeds 2 cm, and so plants are found less frequently where a large amount of sand is being trapped for example by Ammophila arenaria. The adult plant cannot withstand burial but responds to partial burial by vegetative internode elongation, a response similar to that of A. arenaria (Marshall 1967). Corynephorus can be effectively destroyed by burning as there are no underground parts from which regeneration can take place; in fact, it is a non-clonal species. It is essentially a pioneer species. However, populations are maintained on stable sand for several years on suitably dry, semi-open habitats in the presence of lichens and some annuals species (Marchall 1967). Competition for water takes place in the presence of Carex arenaria. It is a potentially long-lived perennial so long as sand accretion is taking place. It is wind pollinated, probably self-compatible; their caryopses are dispersed by wind and gravity: violent movement of the awn may serve to free the caryopses from the glumes. Carex arenaria L. Another common species of Atlantic fixed dune is Carex arenaria. This species plays an important role in stabilizing the floor of the slack between opposite arms of the parabola. Carex arenaria is a rhizomatous perennial sedge capable of extensive vegetative growth. Like Ammophila arenaria, it can be classed both as a hemicryptophyte and as a geophyte since buds are not only located close to the surface but can remain viable at depths in excess of 100 cm (Noble 1982). When the plant is buried by sand, it produces a vertical series of stepped or tiered lateral rhizomes, each higher than its predecessor. While the long rhizome branches of the juvenile phase grow into the face of a dune, extension growth eventually ceases with loss of apical dominance leading to the production of new lateral rhizomes. It is markedly drought-tolerant in the adult phase and also frost-tolerant (Noble 1982). As with other perennial species of sand dunes (e.g. Ammophila arenaria (Huiskes 1979), Carex arenaria is damaged by trampling by humans in popular holiday areas. Carex is found most often on deep purely sandy soils, but it is also recorded in shingle and at inland sites. It is favoured by fresh deposition of sand, but it is found on mobile sand. More often it seems to be an indicator of past mobility of the sandy topsoil. It is a very variable plant displaying considerable phenotypic plasticity, particularly in height. It grows in areas that are sheltered from wind and salt spray and on soil with low organic matter content and relatively low ph. On fixed dunes the surface ph may be as low as 6, while that at 50 cm depth remains at about 8. Carex tolerates widely different soil condition and wide ph ranges (3-9)(Noble 1982). 213

228 Atlantic and Mediterranean coastal dunes Biological and chorological analysis Comparing life forms (Fig. 4.15) of Mediterranean and Atlantic fixed dune communities, we observe, that phanerophytes (ca. 77%) dominate in Mediterranean fixed dunes where macchia develops, while all other life forms dominate in Atlantic grey dunes, especially emicriptophytes (ca. 30%) such as Corynephorus canescens and chamaephytes (ca. 29%) such as Helichrysum, Jasione crispa, Artemisia campestris subsp. maritima. Compared to Mediterranean fixed dunes, in Atlantic ones we observed also a good frequency of therophytes, mainly winter annuals; perhaps this is an adaptation (strategy) to summer drought (Favennec 2002). The most common and abundant therophyte is Silene portensis Fig Weighted biological spectrum of Atlantic and Mediterranean fixed communities % T G H Ch P Atlantic Mediterranean Also for this facies the weighted chorological spectrum (Fig. 4.16) underlines the higher frequency of Mediterranean species (mainly Steno-Mediterranean, 62%) in the relevés of the Tyrrhenian fixed dune community and, on the other hand, a higher frequency of Atlantics (38%) and Eurasiatics (14%) in the relevés of the Aquitaine fixed dune community. Here, among the species with atlantic distribution there are many endemics of the Atlantic or only Aquitaine region, such as: Dianthus gallicus, Galium arenarium, Hieracium eriophorum, Linaria arenaria, Linaria thymifolia, Solidago virgaurea and Silene thorei % Fig Weighted choro-logical spectrum of Atlantic and Mediterranean fixed communities Steno-Medit. Eury-Medit. Eurasiatic Cosmopolitan Exotic Boreal Atlantic Atlantic Mediterranean 214

229 Parte 4 Within the Aquitaine region, therefore, grey dunes are important for conservation of Red List species since they include many endemic species. This underlines the habitat specificity and the international responsibility for conservation. Two alien species were registered in the Atlantic community: Cuscuta grovi and Oenothera biennis. Both have North American origin; the former is a parasitic plant, the latter is a biennal species that according to Fournier has been introduced in France in It is strongly naturalized and very common along the Aquitaine coast, where also other species of the Oenothera genus are present (as O. rosea). Two aliens species were registreted in the Mediterranean community: Carpoborotus acinaciformis and Erigeron canadensis (= Conyza canadensis). Finally, with regard to taxonomic families (Tab. 4.5), we found a considerable difference between the fixed dune communities of Mediterranean and Atlantic study area; in fact, in Mediterranean relevés Liliaceae, Cupressaceae, Anacardiaceae, Oleaceae and Caprifoliaceae dominate for the presence of typical macchia species, while, in Atlantic relevés, Poaceae, Asteraceae and Caryophyllaceae are more frequent. Families of Atlantic fixed dune Frequency in plots % 215 Families of Mediterranean fixed dune Frequency in plots Poaceae ,41 Liliaceae ,09 Asteraceae ,29 Cupressaceae 67 8,50 Caryophyllaceae 51 10,90 Oleaceae 62 7,87 Campanulaceae 30 6,41 Caprifoliaceae 54 6,85 Convolvulaceae 17 3,63 Anacardiaceae 50 6,35 Cyperaceae 17 3,63 Labiatae 44 5,58 Fabaceae 17 3,63 Rubiaceae 44 5,58 Rubiaceae 16 3,42 Fagaceae 40 5,08 Apiaceae 14 2,99 Rhamnaceae 40 5,08 Pinaceae 10 2,14 Ericaceae 32 4,06 Polygonaceae 10 2,14 Ranunculaceae 29 3,68 Euphorbiaceae 7 1,50 Thymelaceae 29 3,68 Crassulaceae 4 0,85 Cistaceae 28 3,55 Labiatae 4 0,85 Apiaceae 24 3,05 Brassicaceae 3 0,64 Asteraceae 19 2,41 Cistaceae 3 0,64 Araliaceae 18 2,28 Geraniaceae 2 0,43 Fabaceae 17 2,16 Plantaginaceae 2 0,43 Poaceae 16 2,03 Scrophulariaceae 2 0,43 Santalaceae 12 1,52 Agavaceae 1 0,21 Caryophyllaceae 9 1,14 Amaryllidaceae 1 0,21 Geraniaceae 6 0,76 Onagraceae 1 0,21 Cyperaceae 5 0, Gentianaceae 5 0,63 Pinaceae 5 0,63 Myrtaceae 4 0,51 Hypolepidaceae 3 0,38 Primulaceae 3 0,38 Tab Percentage of frequency of taxonomic families in Mediterranean and Atlantic fixed dune communities. Rosaceae 3 0,38 Aizoaceae 2 0,25 Brassicaceae 2 0,25 Dipsacaceae 2 0,25 Lauraceae 1 0,13 Plantaginaceae 1 0,13 Scrophulariaceae 1 0, %

230 Atlantic and Mediterranean coastal dunes Both Tyrrhenian macchia and Aquitaine grey dunes have been affected by human activity. In the former case, this has occurred with a strong urbanization that has concerned the inner area of coastal dune causing, in numerous areas of Lazio coast, the fragmentation or the disappearance of this vegetation type. In the latter case, the reforestation of the 18th century and the mechanic calibration of the period between s have played a prominent role. Atlantic grey dune conservation is of international importance due to the limited range of the characteristic flora and vegetation. Its importance is reflected in the designation as a priority habitat in the EU Habitats Directive. In fact, grey dunes, defined as fixed coastal dunes with herbaceous vegetation (grey dunes) (code 2130) in the CORINE biotope classification, are considered a priority in the Annex I of the EU Habitats Directive. The same goes for pioneer macchia with juniper shrubs that colonize Tyrrhenian fixed dunes; in fact, it too is included in the EU Habitats Directive as Coastal dunes with Juniperus spp. and classified as priority Habitat in the Annex I. This status implies that both grey dunes and Mediterranean macchia deserve special conservation attention. 5.3 TOTAL FLORISTIC COMPARISON BETWEEN MEDITERRANEAN AND ATLANTIC COASTAL DUNES Species richness Through phytosociologic relevés of Mediterranean (Lazio-Central Italy) and Atlantic (Aquitaine - SW France) coastal dune vegetation we registered 140 species for Lazio coastal communities and 67 for Aquitaine ones. Therefore, a higher specific richness was found on Mediterranean coastal dunes. This could be due to the high variability of the Mediterranean coastal landscape compared to the Atlantic one or alternatively to higher human disturbance. Fig shows the trend of species richness in each facies of Mediterranean and Atlantic coastal areas. In particular, we can observe a similarity of trend relatively to the first two facies corresponding to the foredune, with an increase of number species from embryo to mobile dunes; on the other hand, we notice a different trend in transition and fixed dunes. In the Mediterranean area, the transition dunes is the richest facies, while on the Atlantic dune the fixed dune is the richest habitat of the zonation. The occurrence of a high number of species on the Mediterranean transition dune is due to the presence of a rich community of annual grasses, but the decrease of species on the Atlantic transition dune is not clear. In fact, we expected a positive trend in species richness from embryo to fixed dunes, as found in other studies. This can be due to a smaller number of transition dune relevés and to high frequency of Ammophila in inland facies too. 216

231 N species Parte Embryo Mobile Transition Fixed Atlantic Mediterranean Fig Species richness in each facies of Mediterranean and Atlantic coastal area Phytogeographical differences Twenty species are in common between the two areas and generally these are typical species of foredune communities (understood as embryo and mobile dunes) such as Cakile maritima, Calystegia soldanella, Eryngium maritimum, Otanthus maritimus, Pancratium maritimum, and Elymus farctus and Ammophila arenaria that are present with different subspecies. Some of these species have been analysed accurately in various studies in biogeographical and genetic terms, like for example Cakile maritima. Cakile maritima Scop. Cakile maritima is essentially a European species (Fig. 4.18a). At least four subspecies have been recognised in Europe, differing mainly in fruit and leaf shape: ssp. integrifolia (= ssp. maritima); ssp. baltic of the Baltic and south-east Norway; ssp. aegyptiaca of the Mediterranean; and ssp. auxina of the Black Sea (Fl. Eur. 1 edn 2). The ssp. aegyptiaca is extremely variable and doubtfully distinct from ssp. integrifolia (Ball 1964; Rodman 1974; Atl. Fl. Eur.), that, in turn forms a virtual continuum with the other subspecies (Ball 1964). C. maritima ssp. integrifolia (= C. maritima subsp. maritima) is found from arctic Norway (69 N), all the way around the Atlantic, North Sea and Mediterranean coasts of Europe (Davy et al. 2006). It shares part of its distribution in the Mediterranean region and south Portugal with the doubtfully distinct ssp. aegyptiaca (Fl. Eur.). We have considered Cakile maritima to belong to the same sub-species for both coastal systems examined in this study; in fact in the recent Checklist of Italian Flora (Conti et al. 2005) it is reported as Cakile ssp. maritima, the same subspecies of the Atlantic. However the distinction between these subspecies is not very clear and many authors for long time have talked about the presence on Meditrranean coasts of ssp. aegyptiacae and have called the community of upper beach Salsolo-Cakiletum aegyptiacae (Géhu et al. 1984). 217

232 Atlantic and Mediterranean coastal dunes It has been observed that the natural distribution of strandline species of the genus Cakile implies that Cakile maritima Scop. evolved after the Tethys Sea close (Scandone 1975) in Pliocene times (Davy et al. 2006). Cakile was probably one of the first members of re-invasion floras after successive glaciations, and the specialisation of northern forms could be a result of rapid radiation into previously uninhabitable areas (Davy et al. 2006). Analysis of genetic variation has suggested a reconstruction of the glacial and postglacial phylogeography of Cakile maritima (Clausing et al. 2000). Comparison of material from 21 locations around the coast of Europe revealed two clusters, from the Atlantic and Mediterranean, separated by a genetic distance of (Clausing et al. 2000). This pattern may represent recolonisation from distributions separated during the Würm glacial (Davy et al. 2006). In another work, Kadereit et al. (2005) investigated the phylogeography of five flowering plants (Cakile maritima, Eryngium maritimum, Salsola kali, Halimione portulacoides and Crithmum maritimum) widespread along the European coasts across their entire European range. Also in this work it was observed that Cakile maritima contains a distinct Atlantic Ocean/North Sea/Baltic Sea cluster clearly separate from the Mediterranean material. (Fig. 4.18b; Fig. 4.19c). Moreover, a distinct Baltic Sea subcluster was found, and in the western Mediterranean, two species groups can be recognized; a difference was found between Tyrrhenian and Adriatic Italian coasts (Fig. 4.18b; Fig. 4.19c). Cakile maritima presents also a different morphology in different areas of Europe (Fig. 4.18c). A detailed description and interpretation of the morphology of this species are given by Wright (1927). The more or less glaucous leaves tend to be oblong with a deeply serrated outline and tapering towards the base. However, leaf shape is variable, becoming more pinnatifid towards the south and east of Europe (Ball 1964); this cline of increasing leaf dissection may reflect selection for favourable thermal balance, with less transpiration, under higher irradiance during hotter, drier summers. Leaves produced early, or under adverse environmental conditions, tend to remain less pinnatifid. Moreover, considering that fruits or seeds of this species show adaptations to dispersal by sea water, that all can float in sea water and remain viable there, and that its distribution range is essentially continuous, authors (Kadereit et al. 2005) conclude that dispersal of seeds and fruits by sea-water is of overriding importance in shaping the genetic structure of geographical ranges. On a larger scale, it tolerates climates ranging from arctic to Mediterranean, reflecting its latitudinal distribution. Eryngium maritimum and Salsola kali Also for other species the geographical distribution has been studied on the basis of genetic analysis, including Salsola kali, which we found in our Mediterranean coast relevés, and Eryngium maritimum, common to both Mediterranean and Altantic costal relevés. 218

233 Parte 4 a b c Fig a) The European distribution of Cakile maritima s.l.. b) Geographical distribution of samplig localities and clusters of Cakile maritima individuals. Different colours indicate genetically different groups. c) Variation in the leaf shape of Cakile maritima originating from around the coasts of Europe (from Kadereit et al e Davy et al. 2006). Fig shows the geographical distribution of genetically different groups of Eryngium maritimum and Salsola kali individuals carried out by Kadereit et al. (2005) and also a scheme of the genetic distances and percentages of variation among regions for Cakile maritima, Eryngium maritimum and Salsola kali. Both species contained a distinct Atlantic Ocean/North Sea/Baltic Sea cluster clearly separate from the Mediterranean material and contained a distinct Black Sea/Aegean Sea cluster. Salsola kali, unlike Eryngium maritimum, contained also a distinct Adriatic Sea cluster or group of genetically very similar clusters (Fig. 4.19b). 219

234 Atlantic and Mediterranean coastal dunes a b Eryngium maritimum Salsola kali c Fig Genetic differentiation among geographical regions of Eryngium maritimum (a) and Salsola kali (b). Different colours indicate genetically different groups. c) Isolation-by-distance within geographical regions; the percentages of variation partitioned among regions (bold) are indicated between regions, and correlations between geographical and genetic distances below regions. Significance is indicated by *0.05 > P > 0.01, **0.01 > P > 0.001, ***P < (from Kadereit et al. 2005). Elymus farctus and Ammophila arenaria Elymus farctus and Ammophila arenaria are present with two different subspecies in Atlantic and Mediterranean coasts. This last species plays a major role in stabilizing mobile and semifixed dunes in continental Europe and, ad for this reason, it has been introduced, as an exotic, into almost every part of the world (North America, Australia, Africa ), with a serious impact on coastal dune biodiversity (Wiedemann & Pickart 1996). It has a distribution, both natural and human-induced, that lies roughly between 32 and 60 on both sides of the equator. So, it has a continuous distribution from subpolar in the North to full Mediterranean in the South; only a few upper beach species with global distributions share this characteristic (Wiedemann & Pickart 2004). In Europe, with its long history of planting 220

235 Parte 4 the species widely for coastal defence Ammophila arenaria is found on all coastal dune areas of the European temperate zone (Huiskes 1979). It occurs along all European coasts south of latitude 63 N. The ssp arenaria grows along the coasts of the North Sea, the Baltic and the Atlantic as far as central Portugal (Fl. Eu.); the ssp. arundinacea (=subsp. australis),on the other hand, is found from central Portugal southwards, and along the Mediterranean and Black Sea coasts. It has, unlike ssp. arenaria, more rigid and pointed leaves, a longer, narrower and less dense panicle, glumes which barely exceed the lemma and palea, and the hairs surrounding the base of the lemma about half as long the lemma. Its northern-most occurrence seems to be southern Finland at 60 N (Hellemaa 1998) Comparing the whole vegetation zonation Analysing Mediterranean and Atlantic total species, we observed, with regard to taxonomic families (Tab. 4. 6) a high frequency in both study areas of families with wide distribution such as Poaceae, Asteraceae and Apiaceae. However, in Tyrrhenian coast communities we found a higher percentage of Fabaceae compared to the Atlantic where, on the other hand, we notice a higher frequency of Convolvulaceae. In the former case, this is due to good frequency of species of the genus Medicago and Trifolium, and in the latter case, instead, to high occurrence of Calystegia soldanella. The weighted life forms spectrum (Fig. 4.20) of total Atlantic (Aquitaine) and Mediterranean (Lazio) communities species shows a higher frequency of geophytes (33%), hemicryptophytes (25%) and chamaephytes (24%) along the Atlantic coast compared to the Mediterranean one, where there is a higher percentage of phanerophytes (33%) and therophytes (21%). In fact, a drier climate and the presence of a shrubby community, Mediterranean macchia, which grows on fixed dunes, determine this result. Fig shows a different trend of life forms in the two coastal ecosystems. It is interesting to observe the different structure of transition and fixed dunes between Mediterranean and Atlantic coast areas. On the Mediterranean transition dune therophytes dominate, while on the Atlantic one the perennial life forms of hemicriptophytes, chamaephytes and geophytes are more common. In Mediterranean fixed dunes, then, phanerophytes dominate, while in Atlantic we observe a good percentage of hemicriptophytes, chamaephytes, geophytes and also of therophytes (Fig. 4.24). 221

236 Atlantic and Mediterranean coastal dunes Families of Atlantic coastal dune Frequency in plots % Families of Mediterranean coastal dune Frequency in plots % Poaceae ,87 Poaceae ,40 Asteraceae ,82 Asteraceae 181 9,48 Convolvulaceae 112 8,76 Fabaceae 153 8,01 Apiaceae 106 8,29 Apiaceae 131 6,86 Euphorbiaceae 105 8,22 Liliaceae 115 6,02 Caryophyllaceae 90 7,04 Rubiaceae 76 3,98 Fabaceae 57 4,46 Cupressaceae 70 3,67 Campanulaceae 46 3,60 Caryophyllaceae 66 3,46 Rubiaceae 46 3,60 Oleaceae 64 3,35 Brassicaceae 37 2,90 Cyperaceae 56 2,93 Cyperaceae 23 1,80 Caprifoliaceae 55 2,88 Scrophulariaceae 16 1,25 Amaryllidaceae 55 2,88 Polygonaceae 13 1,02 Anacardiaceae 50 2,62 Pinaceae 10 0,78 Labiatae 44 2,30 Chenopodiaceae 7 0,55 Convolvulaceae 43 2,25 Labiatae 6 0,47 Rhamnaceae 40 2,10 Crassulaceae 4 0,31 Fagaceae 40 2,10 Geraniaceae 4 0,31 Brassicaceae 40 2,10 Plantaginaceae 4 0,31 Euphorbiaceae 34 1,78 Cistaceae 3 0,23 Ranunculaceae 32 1,68 Agavaceae 2 0,16 Ericaceae 32 1,68 Amaryllidaceae 1 0,08 Thymelaceae 29 1,52 Onagraceae 1 0,08 Cistaceae 29 1,52 Santalaceae 1 0,08 Plantaginaceae 25 1, Chenopodiaceae 24 1,26 Dipsacaceae 21 1,10 Araliaceae 18 0,94 Polygonaceae 15 0,79 Santalaceae 12 0,63 Aizoaceae 7 0,37 Geraniaceae 6 0,31 Pinaceae 5 0,26 Gentianaceae 5 0,26 Myrtaceae 4 0,21 Rosaceae 3 0,16 Primulaceae 3 0,16 Hypolepidaceae 3 0,16 Scrophulariaceae 2 0,10 Orobanchaceae 2 0,10 Iridaceae 2 0,10 Agavaceae 1 0,05 Portulacaceae 1 0,05 Linaceae 1 0,05 Lauraceae 1 0, Tab Percentage of frequency of taxonomic families in Mediterranean and Atlantic coastal zonation. 222

237 Parte Fig Weighted biological spectrum of Atlantic and Mediterranean coastal zonation species % T G H Ch P Atlantic Mediterranean T G H Ch P Fig Mediterranean biological forms trend along the coastal zonation Embryo Mobile Transition Fixed The weighted chorological spectrum of total species (Fig. 4.23) confirms the results obtained for each community analysed: a higher percentage of Atlantic (ca. 31%) and Eurasiatic (ca. 10%) species along the Aquitaine coast and more Steno-Mediterraneans (50%) along the Tyrrhenian (Lazio) coast % Fig Weighted choro-logical spectrum of Atlantic and Mediterranean coastal zonation species Steno-Medit. Eury-Medit. Eurasiatic Cosmopolitan Exotic Boreal Atlantic Atlantic Mediterranean 223

238 Atlantic and Mediterranean coastal dunes With respect to the alien component we registered five exotics both in the Atlantic coastal area (Cuscuta gronovii, Oenothera biennis, Euphorbia polygonyfolia, Conyza (=Erigeron) canadensis, Yucca gloriosa) and in the Mediterranean one (Agave americana, Carpobrotus acinaciformis, Arundo donax, Conyza (=Erigeron) canadensis, Xanthium orientale subsp. italicum). However, the phytosociological approach probably underestimates the alien component of the flora. For relevés of Aquitaine communities, among the species with atlantic distribution, several endemic species growing along the Atlantic coast are included; they are in total 12 and are indicated in Tab These species, except Galium arenarium, Artemisia campestris subsp. maritima and Festuca vasconensis, are all protected species, at national or regional level. For the Mediterranean study area (Lazio coast) we observed no endemic species in the relevés and no species is included in Red Lists neither at the national nor at the regional level; only five species are reported by the Lazio Regional law (LR. N.61, 19/9/1974) as species to preserve (Tab. 4.7). National French Species Law (28/1/82- Endemic 31/8/85)- Annexe I or II Alyssum arenarium Loisel. (= A. loiseleuri P. Fourn.) x I Astragalus baionensis Loisel. x I Dianthus gallicus Pers. x I Eryngium maritimum L. Chamaesyce peplis (L.) Prokh. (= Euphorbia peplis L.) II Hieracium eriophorum St Amans x I Linaria arenaria DC x Linaria thymifolia (Vahl) DC. x I Otanthus maritimus (L.) Hoffm.et Link Pancratium maritimum L. Silene portensis L. Silene uniflora Roth subsp.. thorei (Duf.) Jalas x Solidago virgaurea L. subsp. macrorhiza (Lange) Nyman Thesium humifusum DC. Ammophila arenaria (L.) Link ssp. australis (Mabille) Laínz Atriplex tatarica L. Imperata cylindrica (L.) P. Beauv. Senecio leucanthemifolius Poir. France Red List (1995) Regional protection in Aquitaine (8/3/2002) Regional Lazio law (L.R. N.61 19/9/1974) Tab Threatened and rare species of Mediterranean and Atlantic coastal dunes Something about rare and endemic Atlantic species Hereafter, we report the European distribution of two atlantic endemic species, Dianthus gallicus and Silene uniflora subsp. thorei, with some information about them, and also the French distribution and information of others rare and preserved species of the Aquitaine area. 224

239 Parte 4 Silene uniflora Roth subsp. thorei (Duf.) Jalas (= Silene thorei Duf.) Silene uniflora Roth subsp. thorei is a endemic species with limited distribution. In France it develops from South of Vendée to Pays Basque (Favennec 1998). It is common in Aquitaine and grows especially on embryo and mobile dune, withstanding a strong sand burial. Its name is related to a botanist of the Lande region, J. Thore ( ). Map from Atl. Fl. Eur. (Tutin et al ). Silene portensis L. Spanish-Mediterranean and Atlantic species, it is distributed from Southern Landes to the Vendee coast, and is very common along the Aquitaine coast and very rare in Charente Maritime. It grows in semifixed and fixed dunes communities. Its name derives from Porto, where it has been observed by Linnaeus (Favennec 1998). Map from Atl. Fl. Eur. (Tutin et al ). 225

240 Atlantic and Mediterranean coastal dunes Hieracium eriophorum St. - Amans Hieracium eriophorum is a hemicryptophyte, endemic of the SW French coast. It has a limited distribution growing from Landes, where it is relatively common, to Gironde and Pyrenees Atlantic. It is typical of semi-fixed dunes, where it characterizes the endemic association, Galio arenarii - Hieracietum eriophori. It is considered Vulnerable (VU) at global and national (France) level. Map from Livre rouge de la flore menacée de France (1995).. Linaria thymifolia (Vahl) DC. Linaria thymifolia is a hemicryptopyte, endemic to the Aquitaine littoral (Favennec 1998), from Atlantic Pyrenees to l ile d Oléron. It is well represented along Landes and Gironde coasts. It grows especially on mobile dunes and is a pioneer in not much vegetated sand dunes. It is considered Rare (R) at global and national (France) level. Map from Livre rouge de la flore menacée de France (1995). 226

241 Parte 4 Solidago virgaurea L. subsp. macrorhiza (Lange) Nyman Hemicryptophyte and French-Spanish (Pays Basque, SW-France) endemic species. It grows especially in semifixed and fixed dune communities. It is considered Rare (R) at world level, and Vulnerable (VU) at national (France) level. Map from Livre Rouge de la flore menacée de France (1995). Dianthus gallicus Per. Dianthus gallicus is an endemic France- Spanish Mediterranean species, very common in the Southern Landes. It grows especially in the semi-fixed and fixed dunes (dune grise). Map from Atl. Fl. Eur. (Tutin et al ). Astragalus baionensis Loisel. Astragalus baionensis is an endemic of the Atlantic French-Spanish coast (Guinochet & Vilmorin ), from Pay Basque to Charente-Maritime and South Finistère. It is well represented in Landes, where it grows especially in mobile and semifixed dunes, in the Galio-Hieracietum community. 227

242 Atlantic and Mediterranean coastal dunes 6. CONCLUSIONS For both Atlantic and Mediterranean coastal dunes, classification and ordination techniques provide a well-defined spatial distribution of plant communities, individuated through the phytosociological method. We have identified four main communities along the sea-inland gradient of the Aquitaine (Atlantic) study area; these correspond to facies developing along the zonation and called: embryo, mobile, transition and fixed dunes. Along the Mediterranean coast of Lazio, we have identified six main communities due to the presence of a strandline (high beach) community (not observed on the Atlantic coast) and of two different typologies of transition dunes communiies, one chamaephytic (Crucianelletum) and the other therophitic (annual plant grasses) community. A clear difference between the two coastal dune systems (Atlantic and Mediterranean) emerged and, this is observed not only at the floristic and chorological level, but also at a structural one. This difference concerns almost exclusively the transition and fixed dune communities compared to foredunes. Here, indeed, many common species were observed; and, also if foredune communities are not the same, they are very similar at a floristic and structural level. In fact, biological spectra are similar for embryo and mobile dunes of the two ecosystems; chorological spectra, on the contrary, are different with a higher presence of species with western distributions (atlantic) along the Atlantic coast than in the Mediterranean one, where Mediterranean species (especially Steno-) dominate. At the phytogeografic level, so, the foredune of Mediterranean and Atlantic coasts are different. Moving toward the inland, the difference between the two coastal systems are more evident and become greatest on fixed dunes, that are occupied, on the one side by shrubby Mediterranean pioneer macchia, and on the other, by an herbaceous perennial community, with a good presence also of therophytes growing on Atlantic grey dunes. The biological spectum and also the chorological spectrum are different; we can say that at the functional and phytogeographical level back-dunes (transition and fixed dunes) are different. We will deal with this functional feature in the following part of this study. The similarity at the floristic and coenologic level of foredune communities, has been found in many previous studies (e.g. Doing 1985) that took into consideration different coastal areas. This similarity could have been determined especially by biogeographical and dispersal events, that have acted as filter leading to current species distribution. Phytogeopraphical studies have examined this aspect, also through genetic analysis, to identify the differences and to reconstruct the distribution of main species common to both coastal ecosystems (e.g. Cakile maritima). Some authors, then, have examined the importance of hydrochory dispersion to explain their continuous distribution along European coasts. Comparing Mediterranean and Atlantic coastal dune communities we found a higher species richness in the Mediterranean than in the Atlantic study area, where, on the other hand, we registered a higher frequency of endemic species that are almost absent along 228

243 Parte 4 Tyrrhenian coastal dunes and generally along all Italian sandy coasts. Here, in fact, endemic species are found exclusively on rocky coasts. The Aquitaine littoral, instead, is rich of endemic species because of its geological history and particular environmental characteristics. These species often are well developed and even form endemic plant associations such as Galio arenarii-hieracietum eriophorii. With regard to alien species, in both Mediterranean and Atlantic communities, few aliens were registered. Phytosociological method, indeed, allows to identify main natural communities and, so, it is generally carried out in well-preserved areas (where there are generally few exotics). The aim of this part of the research is not to analyse alien species distributions in Mediterranean and Atlantic coasts, but to identify the main communities of coastal zonation and their typical species. To analyse alien distribution another method would have been more appropriate, such as random sampling or the homogeneus floristic census. However, we can assert that, also according to what stated above, the Tyrrhenian coast, as most of Mediterranean coasts, is affected by aliens invasion that, sometimes, becomes a threat to native species biodiversity. Among the most invasive species of the Tyrrhenian coast, we mentioned Agave americana and Carpobrotus sp.; the latter has been registered also in each community of the zonation that we have analysed through the phytosociological method. On the Aquitaine coast, on the other hand, we generally observed generally the presence of few invasive exotics. The most frequent, are, also in more preserved areas, Oenothera biennis and Euphorbia poligonifolia, that are considered as naturalized in this area. All Mediterranean andatlantic coastal communities that we analysed are threatened by more or less serious impact. Foredune communities of both areas are subjected above all to trampling, mechanical cleaning and marine erosion. The back-dune, on the other hand, is interested by tramping and other human activities such as urbanisation, tourist impact, forestation Lazio coasts, however, are subjected to a higher level of urbanisation, although there are also coastal nature reserves. Unlike the Atlantic coast, where coastal conservation areas managed by ONF (Office National des Forêts) cover many hectares, including wide pinewoods, along the Mediterranean these conservation areas are smaller and more fragmented by urban centres and industrial and tourist units. Anyway, the fragility of coastal dunes and their plant communities has been recognized by the European Community including, among Community Habitats (Directive 92/43/EEC), almost all coastal communities both in the Mediterranean and in the Atlantic area, although there are still some doubts, as we have mentioned before. Among Community Habitats classified in the Annexe I of the Habitats Directive as priority habitats there are the communities of Atlantic fixed dunes (grey dunes with herbaceous vegetation) and of Mediterranean fixed dunes (Juniper formations code 2250). This status implies that these communities deserve special conservation attention. Therefore it is useful to focus on the ecology of these landscapes and their vegetation and to discuss the contribution of ecological research to conservation strategy, management and monitoring. A careful phytosociological analysis of 229

244 Atlantic and Mediterranean coastal dunes the coastal biotopes allows the recognition of these microhabitats in which plant communities are found, defining them according to their exact floristic composition, along with the variation in ecological factors that characterise their ecological niche. The associations that are found under these conditions are typically stenotope, being characterised by a limited ecological valence. They can therefore be considered to be very good bioindicators, as their distribution reveals the complexity of the sites in which they live and allows the characterisation of these in ecological terms (Biondi & Géhu 1994; Biondi 2007). 230

245 Parte 4 PART B FUNCTIONAL ANALYSIS 231

246 Atlantic and Mediterranean coastal dunes 7. MATERIALS AND METHODS In order to analyse the functional diversity of Mediterranean and Atlantic coastal areas (Lazio and Aquitaine coast respectively), we firstly identity the main Plant Functional Types of coastal dune environments and, in particular, of Mediterranean and Atlantic dunes, examining overall differences and similarities between them. Secondly, we investigate the plant traits specifically of coastal dune species growing in the major facies of zonation (foredune, transition dune and fixed dune) and then compare traits values between the two coastal systems (Mediterranean and Atlantic) and along their respective sea-inland gradients. 7.1 SPECIES AND PLANT TRAITS SELECTION In order to compare on the community level the morphological and functional traits and to identify the main PFTs of Atlantic and Mediterranean coastal dunes, the most common and abundant species (entities) of the communities of each ecosystem were selected, on the basis of previous studies and of published vegetation relevés (used for the described floristiccoenologic analysis), with indications of their position along the coastal zonation (Favennec et al. 1998; Acosta et al. 2003b; Stanisci et al. 2004; Acosta et al. 2005; Forey et al. 2007; Izzi et al. 2007). We selected species that collectively made up at least 80% of the maximum standing live biomass of each community. This threshold should ensure a satisfactory description of community properties in relation to ecosystem processes (Garnier et al. 2004; Garnier et al. 2007; Pakeman & Quested 2007). In this way 95 species were chosen (47 of the Mediterranean and 48 of the Atlantic coast). Among the selected species 10 are common to both ecosystems; these are almost always typical species of the foredunes. Specifically, in several cases the species are the same but they are represented by different subspecies with distributions, respectively more Atlantic in or more Mediterranean (for example Ammophila arenaria, Elymus farctus). For this reason and in order to compare traits of the species common to both ecosystems as well, we preferred to maintain them as separate entities. We then selected fourteen plant traits. The choice of the traits is of great importance (Westoby & Leishman 1997). We therefore selected those characters that are strongly predictive and indicative of the strategies of the species necessary to survive in such harsh and instable environments. For the selection of the morphological-functional traits we considered the following criteria: 1) we chose traits that are available from floras, herbaria or from field observations; we therefore specifically selected soft traits (Hogdson et al. 1999); 2) we chose characters that are linked to the regenerative and life -cycle -stabilizing phases of the plant and to plant responses to harsh environments (Pausas & Lavorel 2003; Grime 2001; Rodgers & Parker 2003), such as coastal dune ecosystems. Selected traits included following 232

247 Parte 4 quantitative or continuous variables: SLA (Specific Leaf Area), LDMC (Leaf Dry Mass Content), canopy height, seed mass and C/N (Carbon/Nitrogen ratio); and following qualitative or categorical variables: life form, growth form, leaf persistence, leaf texture, clonality, pollination system, dispersal mode, flowering phenology and plant lifespan. These traits were assigned to the selected species. Data on traits were obtained partly through direct observation on the field and measurement (all continuous traits) and partly through bibliographic research. Moreover we consulted numerous scientific publications that referred to both morphological and functional traits of the plant species considered in this study. In most cases, we adopted the trait categories suggested by the methodological protocol proposed by Cornelissen et al. (2003). In the case of quantitative variables, each attribute was obtained from measurement of at least 10 replicate samples per species. Only individuals growing on well-conserved coastal areas of both ecosystems were considered. Tab. 4.8 shows the single traits used in the functional analysis and the respective attribute classes. 7.2 DATA ANALYSIS Identification of Plant Functional Types in Mediterranean and Atlantic coastal dunes In an exploratory phase, correlations between the traits were examined using Spearman rank correlation coefficients calculated between continuous (quantitative) traits. The relationships between continuous (quantitative) and discrete (qualitative) traits were assessed by means Kendall s tau b and the association between qualitative traits was determined with the Pearson Chi 2 test-statistic. Next, in order to identify major plant functional types in Mediterranean and Atlantic coastal dunes, we organized the data into a single 12 traits (all traits except C/N and plant lifespan, see Tab. 4.8) x 95 vascular plant taxa matrix. An Ordination and Cluster Analysis was then applied to this matrix. As a first step, an ordination method computes the row scores of the input data table. In a second step, cluster analysis is used on these row scores to obtain groups and provide a dynamic exploration of the clusters on the factor maps. For ordination we applied a Multiple Correspondence Analysis (MCA) (Legendre & Legendre 1998) that is a simple correspondence analysis carried out on an indicator (or design) matrix with cases as rows and categories of variables as columns. This method is particularly appropriate for the synthetic description of the structure of the data. MCA allows the use of both quantitative and qualitative variables and allowed us to explore the relationships between a large set of variables of different nature, as they are all coded into modal variables. 233

248 Categorical traits Continuos traits Atlantic and Mediterranean coastal dunes Traits Categories Canopy height cm M SLA mm2/mg. M C/N * % values ratio M LDMC mg/g. M Seed mass g. M Growth form 5 classes: 1. Short basal; 2. Long-semibasal; - F-O 3. Erect leafy; 4. Cushions, tussocks and dwarf shrubs; 5. Shrubs, trees and climbers. Life form 5 classes: 1. Phanerophyte, 2. Chamephyte, 3. F Hemicryptohyte, 4. Geophyte, 5. Therophyte Vegetative propagation 2 classes: 1. Non-clonal, 2. Clonal F-O (Clonality) Leaf texture 4 classes: 1. Succulents, 2. Malacophyllous F-O 3. Semi-sclerophyllous, 4. Sclerophyllous Leaf persistence 2 classes: 1. Deciduous, 2. Evergreen F-O Plant lifespan* 2 classes: 1. Annual, 2. Biennal-Perennial F Pollination system 2 classes: 1. by wind or no specialised, 2. by F-O insects or birds Dispersal mode 3 classes: 1. Anemochory; 2. Barochory; 3. Zoochory F-O Flowering phenology 4 classes: 1. April and before; 2. May; 3. June; 4. July and after. F-O Tab List of traits and categories for statistical analysis. Traits with asterisk were used only for plant traits analysis and not for Plant Functional Types identification. M= measurement; F: floras; O= observation in field. Then, the MCA scores for every observation (species) were used as the input variables for the subsequent cluster analysis that identifies plants with similar traits (which rapresent our Plant Functional Types for subsequent analyses); namely, an ordiclust was applied. The Euclidean distance was used in order to compute the distance matrix between species. Since the diagram for the first two MCA axes is directly interpretable, we used only these two axes for performing clustering. Classification was carried out using an agglomerate algorithm based on the average linkage algoritm. The number of groups was judged visually based on the resulting dendrogramm. The combination of a correspondence analysis and a cluster analysis is a common way to explore relationships between large numbers of variables and to facilitate interpretation of the results of the correspondence analysis (Lebart 1994). Computations and graphical displays were carried out using the ADE-4 statistical software package (Thioulouse et al. 1997). Through Multiple Correspondence Analysis and Hierarchical Cluster Analysis we: a) identified functional groups of native plants in sand dune environments (Mediterranean and Atlantic study areas); b) analysed the pattern of each trait in the factorial plane and in each functional group. In fact, the location of the variables in a factorial plane composed of the 234

249 Parte 4 two first dimensions was used to interpret the relationship between the variables. The location of each class corresponds to the centre of gravity of the species characterised by this particular class value. Through the comparison of the location of different classes, it is possible to identify relationships between different classes and in this way to analyse the structure of the data. After Plant Functional Types (or functional groups) were defined, we analysed the difference among these Functional Types using the following statistical tests: an ANOVA with post hoc Tukey test for continuous data and a non-parametric Kruskal-Wallis test with post hoc Mann-Whitney test for discrete type traits. Finally, for each Type, we compared plant traits between Atlantic and Mediterranean coastal dunes, using T-tests for continuous (or quantitative) type data, and Mann-Whitney U-tests, for discrete (or categorical) type traits. Analyses were carried out using the statistical package SPSS (SPSS Inc. 2001) Analysis of plant traits along the coastal zonation in Mediterranean and Atlantic coastal dunes Also for plant trait analysis data were organized into a single matrix of 14 traits x 88 vascular plant taxa and a MCA (Multiple correspondence Analysis) was then applied to this matrix (ADE-4 statistical software package, Thioulouse et al. 1997). In this analysis we didn t include the upper beach species of the Mediterranean system; in fact, due to the almost absence of this community on the Atlantic coast, it wasn t possible to compare Mediterranean with Atlantic plant traits of upper beach species. As for PFTs analsysis, all quantitative variables were transformed into categorical classes of equal size (Tab. 4.8) and a Multiple Correspondece Analysis was used to ordinate the samples according to these different categories. In this case through the multivariate analysis we: a) analysed the pattern of coastal communities of both ecosystems in relation to plant traits; b) analysed the pattern of each trait in the factorial plane. In the first case, as we are examining traits at community level ( property according to Violle et al. 2007), each species label was replaced by its position along the vegetation zonation (i.e. fore dune, transition dune or fixed dune). Then, we calculated the mean values and the standard error of the dune communities scores on the first two MCA axes. In order to emphasize the Atlantic and Mediterranean dune position in our factorial plane, we also calculated mean and standard error of these two points. In the second case, to analyse the pattern of each trait, it is true, as for PFT analysis, that the location of each class of variables corresponds to the centre of gravity of the species that are characterised by this particular class value. Through the comparison of the location of different classes (or categories), it is possible to identify relationships among them. We then analysed the difference of traits for each community between Mediterranean and Atlantic coastal dunes. In particular we calculated aggregated trait values (values of each trait) on the basis of vegetation sampling. This aggregated trait value is a quantitative 235

250 Atlantic and Mediterranean coastal dunes translation of the biomass ratio hypothesis (Grime 1998) which asserts that the extent to which the traits of a species affect ecosystem properties is likely to be strongly related to the species contribution to the total biomass of the community, therefore to species relative abundance in a community (Garnier et al. 2004; Quétier et al. 2007). It implies that the instantaneous functioning of ecosystems is determined to a large extent by the trait values of the dominant contributors to the plant biomass (Garnier et al. 2004). We have selected 101 relevés (again among those used for floristic-coenologic analysis), 51 for the Atlantic and 50 for the Mediterranean coastal ecosystem: 20 relevés for each foredune (embryo and mobile dunes) community, 10 for each transition dune community, and finally approximately 20 for each fixed dune community. For each relevé (plot), a community aggregated trait value was calculated using the trait value of each species weighted according to the species relative abundance in the plot. For quantitative traits this was done as follows: where pi is the relative contribution of species i to the community, and trait i is the trait value of species i. For categorical traits, the relative contribution of each particular attribute was calculated as the sum of the relative abundances of species within that attribute. Then, for continuous (quantitative) type data, we used T-tests to identify statistically significant differences in aggregated trait values between each community of the Mediterranean and Atlantic coastal systems; making no assumptions on the normality of the data, non-parametric Mann-Whitney tests were used for categorical type traits. In both analyses position of community along coastal zonation was used as grouping variable. Finally, we also analysed differences in aggregated trait values among communities of species (foredune, transition dune and fixed dune) separately in the two coastal dune systems (Mediterranean and Atlantic). In this case One-way ANOVAs with post hoc Tukey tests and non-parametric Kruskal-Wallis tests with post hoc Mann-Whitney tests were used to test differences in aggregate traits values for continuous and categorical variables respectively. All analyses were carried out, also in this case, using the statistical package SPSS (SPSS Inc. 2001). 236

251 Parte 4 8. RESULTS 8.1 PLANT FUNCTIONAL TYPES OF COASTAL DUNE ENVIRONMENTS Explorative analysis of relationships among the traits In a first explorative phase before the analysis of Plant Functional Types and plant traits, we examined the relationships among the selected traits. Many of the traits investigated are significantly correlated (Tab. 4.9). Growth form and canopy height are the traits that show the most significant correlation: the former is positively and significantly correlated to canopy height, LDMC, leaf persistence and leaf texture; the latter is positively correlated to LDMC, growth form and seed mass; both are negatively related to SLA, and life form. These traits are, in this study, the most integrative traits. On the other hand, some traits are not very correlated with others such as: clonality that is weakly related to growth form; flowering phenology (onset of flowering) that is weakly related to leaf persistence, clonality and life form and, finally, dispersal mode that is weakly correlated to seed mass, canopy height and pollination system. In general, no significant correlations could be found between the traits linked to regenerative/reproductive plant phase and other functional traits; that is, they are not integrative traits. Seed mass Height SLA LDMC Life form Dispersal mode Flowering phenology Clonality Growth form Leaf persistence Plant lifespan Leaf texture Height 0.63 **** SLA ns *** LDMC 0.26 ** 0.43 **** ** Life form * **** 0.21 ** ** Dispersal mode 0.29 *** 0.21 ** ns 0.15 ns * Flowering phenology 0.04 ns 0.05 ns ns * * ns Clonality ns ns -0.8 ns 0.04 ns ns ns 0.26 ** Growth form 0.23 ** 0.62 **** **** 0.39 **** **** 0.17 ns 0.05 ns ns Leaf persistence 0.06 ns 0.31 *** ** 0.27 ** **** ns 0.25 * 0.23 * 0.40 **** Plant lifespan 0.16 ns 0.31 *** ** 0.13 ns **** 0.03 ns 0.39 *** 0.52 **** 0.34 *** 0.65 **** Leaf texture 0.10 ns 0.29 *** ns 0.47 **** * 0.16 ns ns 0.09 ns 0.50 **** 0.29 ** 0.15 ns Pollination mode 0.13 ns ns 0.14 ns *** ** 0.27 ** 0.16 ns ns ns ns 0.21 * **** Tab Correlation coefficients between selected plant traits examined using Spearman rank correlation coefficients calculated between continuous (quantitative) traits. The relationships between continuous (quantitative) and discrete (qualitative) traits were assessed by means Kendall s tau b and the association between qualitative traits was determined with the Pearson Chi2 test-statistic. Significance is indicated by *0.05 >P > 0.01, **0.01 > P > 0.001, ***0.001> P <0.001; **** P < Plant Functional Types in Mediterranean and Atlantic coastal systems MCA (Multiple Correspondence Analysis) (Fig a-b) and Hierarchical Custer Analysis (Fig d) allowed obtaining functional TYPES for the most common vascular plants of the both dune ecosystems: four major TYPES were recognized (Fig. 4.24c-d) with specific combination of variable classes (Fig. 4.25). The four Types are well defined in the OrdiClust graphic (Fig. 4.24c). In fact, this graphic, unlike scatterdiagram b, it is the result of a combination of a cluster and ordination analysis. This function, infact, does cluster analysis 237

252 Atlantic and Mediterranean coastal dunes on ordination scores, providing a dynamic exploration of the clusters on the factor maps. As a first step, as mentioned before, an ordination method computes the row scores of the input data table. In a second step, cluster analysis is used on these row scores to obtain functional groups. In the ordiclust graphic the square with the number indicates the center of dispersion of species that belong to that group; points represent each species. The eigenvalue diagram (Fig a) shows that these first two axes covered 62% of the data structure. a d = 1 b Axis 2 Carex Sporob Ammofra Elymusfra Festucajunc Ammoita Elymusita Festucavasc Cyperu Pancrafra Ephedra Artem Coryne Koele Pancraita d = Cynofra Otanth Crucian Helichfra Cutand Thymus Teucrpol Anthem Plantlanc Polyg Medimar Vulpiaita Echino Linaria Plantare Sals Helichita Calyita Pycnoc Rumex Eryngfra Sedum Mibor Lopho Leont Calyfra Vulpiafra Lotuscyt Centaur Cakifra Hieracium Hypoch Aetheofra Hernia Galium Oenothe Plantacor Phleum Cakiita Eryngita Filago Chamae Aetheoita Polycaita Bromus Cerast Dianth Euphorbiapar Lotuscorn Silecolor Ononisrepen Polycfra Cistussal Seneleuc Jasione Senevul Pseudo Clematis Astrag Sileport Ononisvari Tuberar Euphorbiater Prasi Teesdal Cistusinca Erodium Medilit Axis 1 Asparag Teucrflav Daphne Smil Lonicer Juniper Querile Pistac Philly Rhamnu c Axis 2 (ca. 24%) d = 0.5 d III IV III II I II Axis 1 (ca.39%) I IV Fig Results of Multiple Correspondence Analyses (MCA) and Hierarchical Custer Analisys: a-b) sample ordination in the plane defined by axes 1 and 2 of the MCA with Eigenvalues diagram (a); c) c) ordiclust graphic; d) Dendrogram from Clustering Analysis of species according to their morphological-functional traits. 238

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