L ombra perduta delle paure. la sessualità infantile e l arte della fiaba

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1 L ombra perduta delle paure. la sessualità infantile e l arte della fiaba a cura di

2 Consultorio Familiare Distretto Sud A.S.S.n.6 Friuli Occidentale Provveditorato agli Studi di Pordenone Comitato Tecnico Provinciale per l Educazione alla Salute L ombra perduta delle paure. la sessualità infantile e l arte della fiaba a cura di

3 indice VI PRESENTAZIONE Anna Furlan VII PRESENTAZIONE Antonella Venerus IX PREFAZIONE PSICHE ED EROS Renzo Mulato XXV XXXVII a b INTRODUZIONE A UN QUESTIONARIO DIFFICILE PERCHÉ RIGUARDANTE LUOGHI POCO INDAGATI NON CONTAMINATI DAL LOGOS Luigina Perosa PREMESSA AL QUESTIONARIO: INTIMITÀ COME EVENTO, SETTE PERCORSI DELL ANIMA AL FEMMINILE commentati da QUESTIONARIO E RISPOSTE ELABORATE DALLE INSEGNANTI Luigina Perosa IL PERCORSO FORMATIVO: L IMMAGINAZIONE PENSANTE ISBN Proprietà letteraria e artistica riservata. Riproduzione e traduzione anche parziali VIETATE. si ringrazia per aver reso possibile questa pubblicazione: TEND Marketing e Comunicazione Graphic Group - Feltre ed inoltre: Comitato Tecnico per l Educazione alla Salute Provveditorato di Pordenone Banca FRIUL ADRIA di Pordenone A B C D E F PARTE PRIMA L OMBRA PERDUTA DELLE PAURE INTRODUZIONE L OMBRA E L INCONSCIO LA CHIAVE DEL PENSIERO LE CRIPTE DELL IDENTITÀ I FANTASMI DELL ORALITÀ la casa di marzapane e il corpo materno il lupo mannaro LE BOCCHE DELL ORALITÀ bouquet discarica foresta sandwich LE TRAPPOLE DELL ORALITÀ le stanze del claustrum Pelle d Asino

4 g TEORIE SESSUALI INFANTILI essere il proprio padre con la propria madre la pulsione epistemofilica fecondazione orale la bocca dello stomaco si nasce mangiando certe cose la nascita dall ombelico teoria della cloaca confusione zonale INCONTRI CON L OMBRA Chiara Del Fabbro, Paola Fontana, Sonia Benvenuto SENTIERI DI OMBRE E DI LUCE Teresa Tassan Viol LE BOCCHE CHE MANGIANO Mirella Trevisiol, Marilena Quaia L ESPLORAZIONE DEL CORPO Tiziana De Bortoli h i ESITI DELL EDIPO INFANTILE IN PUBERTÀ la sessualità e il triangolo edipico: nascita con rastrello sessualità e genitalità: nascita nel bidone delle immondizie SENTIERI DELLE TEORIE SESSUALI INFANTILI E LORO DESTINI l aspetto di pensiero della teoria della cloaca la cloaca e l uso del contenitore l evacuazione del pensiero e la teoria della cloaca le armi letali e le teorie sessuali infantili in un pensiero sull oralità IL VIAGGIO DEL PENSIERO Gianna Stellino LA MATERIA DELL ORIGINE Adriana Ronchi LE FANTASIE SULLA NASCITA Laura Altan, Ornella Galluzzo LA STORIA IMPOSSIBILE Maria Grazia Russo, Marina Zanzot 50 l EDIPO ALL INCROCIO TRA SESSUALITÀ E IDENTITÀ i volti dell identità sessuata 51 m GLI ENIGMI DELLA SFINGE LE TRE FASI DELLA SESSUALITÀ INFANTILE La conoscenza tra fantasia e realtà ovvero la fase orale L origine erotica della creatività ovvero la fase anale Il piccolo Hans ovvero la fase edipica in una rilettura del saggio di Freud 83 STRUMENTI E METODI Undici tavole di lavoro 103 PARTE SECONDA 105 INTRODUZIONE AL LAVORO DIDATTICO Gianna Stellino 107 L INCONSCIO, IL BOSCO IL MISTERO Laura Altan, Flavia Bidoia, Ornella Galluzzo 115 IL MISTERO Maria Elena Della Pietra 127 LA FIABA DI HANSEL E GRETEL. FINALI DI TIPO DIVERSO Laura Altan, Flavia Bidoia, Ornella Galluzzo

5 Presentazione Presentazione La stampa di questo libro rappresenta l esito finale di un intenso ed impegnativo lavoro che ha trovato modo di concretizzarsi grazie ad una convinta e partecipata collaborazione tra il mondo della Sanità e quello della Scuola. Collaborazione convinta e partecipata al punto da riuscire a superare divergenze, resistenze e difficoltà che inevitabilmente sono emerse nel momento in cui ci si è avviati nella progettazione e nella realizzazione di un percorso formativo inteso a modificare in maniera radicale la situazione esistente, senz altro più agevole sia per gli insegnanti sia per gli operatori sanitari. L impegno comune ha dunque consentito di passare da un contesto caratterizzato da interventi di Educazione Sessuale, validi, ma non strutturati e comunque condotti nelle classi da operatori esterni, alla attuazione di un Corso per Insegnanti delle Scuole Elementari sulla tematica della Sessualità Infantile in grado di fornire ai docenti stessi gli strumenti di conoscenza teorici sulle principali caratteristiche psico - evolutive della prima e della seconda infanzia, unitamente alla acquisizione di una didattica sperimentale finalizzata a favorire una crescita relazionale - affettiva del bambino. Alla base di questa rivoluzione vi è il profondo convincimento che la sessualità non può essere trattata solo come un dato biologico, ma come elemento integrante dello sviluppo dell intera personalità di un bambino. Per raggiungere questo ambizioso obiettivo formativo agli operatori della Scuola e della Sanità non basta certo essere solo bene preparati sotto il profilo tecnico - specialistico, ma diventa necessario anche essere adeguati, vale a dire saper coniugare assieme al sapere anche una profonda motivazione. Ritengo che questo Lavoro, frutto di tanto impegno e partecipazione, sia un esemplare dimostrazione di adeguatezza, che può servire da stimolo, da spunto e da guida per tutti gli insegnanti che sentiranno di doversi impegnare in prima persona per affrontare un argomento tanto delicato, quanto cruciale, nello sviluppo della personalità del bambino. L opportunità di questa presentazione, infine, mi consente di poter rivolgere un sentito complimento agli insegnanti che in questa Fatica hanno saputo dimostrare tutta la loro adeguatezza, oltre a fornirmi la possibilità di esprimere in maniera esplicita tutta la mia stima ed il mio personale ringraziamento alla dott.ssa, che oltre al suo notevole impegno come psicologa e responsabile del Consultorio Familiare del Distretto Sud, è riuscita a dedicare tanto impegno e tenacia, prima nella conduzione del corso e poi nella realizzazione di questa valida pubblicazione. La quotidianità di chi vive oggi in grandi istituzioni in cambiamento si concretizza in un continuo confronto con la complessità. Rendere comunicabile un esperienza presuppone un percorso invisibile ma articolato di azioni, approfondimenti ed elaborazioni successive. Con queste poche righe desidero esprimere, a nome dell Ufficio Studi del Provveditorato e del Comitato Tecnico per l Educazione alla Salute, un sentito apprezzamento a quanti hanno reso possibile l esperienza del corso di formazione La sessualità infantile e l arte della fiaba e questa pubblicazione. Riconoscere al bambino il diritto ad un benessere che si esprime a partire dallo sviluppo armonico della sua personalità, significa attribuire alla sessualità un ruolo essenziale. Approfondire la preparazione specifica dell insegnante su un tema di così grande delicatezza è il motivo all origine del percorso. Le insegnanti coinvolte hanno espresso una notevole sensibilità educativa che accompagnata dalla profonda professionalità della dott.ssa ha reso possibile intessere un dialogo complesso e reciproco tra due culture, due competenze che utilizzano linguaggi e metodi non sempre reciprocamente comprensibili. La sapiente scelta di utilizzare la fiaba, codice che affonda sul mito e tocca in profondità l essere, ha contribuito ad arricchire e facilitare il confronto. Nel farmi partecipe di tutti coloro che hanno contribuito a questo lavoro, auguro che sia un utile strumento di attività e di stimolo per ulteriori espressioni sul tema. Dott.ssa Anna Furlan Direttore del Distretto Sud Azienda per i Servizi Sanitari n.6 Friuli Occidentale Dott.ssa Antonella Venerus Referente per l Ufficio Studi del Provveditorato Comitato Tecnico per l Educazione alla Salute

6 Prefazione a cura di Renzo Mulato Psiche ed Eros La scuola come dimora problematica. 1. Prologo. *Sulla differenza tra spiegare e comprendere. Va detto, in via preliminare, che il lavoro compiuto nel Corso di formazione è ammirevole per una sua peculiare dimensione etica e deontologica. Chi ha avuto la possibilità di osservare da vicino il dipanarsi della ricerca ha avvertito nei docenti la presenza costante del senso del limite e del rispetto per la presenza dell ignoto. Hanno lavorato con allieve ed allievi su un tema complesso, fascinoso, delicato, senza compiere intrusioni e senza soggiacere a quella malattia pedagogica che possiamo denominare epistemofilia. Questo è già un evento, e di notevole rilievo, se si considera che è stato accompagnato dalla parsimonia con cui si sono usate le categorie dedotte dalla psicoanalisi di modello freudiano e dalla psicologia analitica di derivazione junghiana. L ansia della spiegazione è stata rovesciata e si è trasformata in metodo di ricerca. Dobbiamo a Karl Jaspers, nella Psicopatologia generale (1913), una distinzione netta tra due percorsi: lo spiegare ed il comprendere. Con il primo si tende a trovare e trasmettere delle relazioni causali, delle equazioni il cui nesso ci riveli le regole e le leggi del campo di indagine. Le scienze naturali sono all origine di questa tendenza, che si è poi rovesciata sulla società intera: tutto deve essere catalogato, misurato, spiegato e quindi reso pronto all uso, al consumo. Le società odierne sembrano essere dominate da una bronzea legge dell accumulo delle nozioni, oltre che dei mezzi, e la scuola non poteva sfuggire a questo influsso. Avere resistito alla tentazione è un merito e aver scelto la via della comprensione equivale a percorrere una via più tortuosa, dove domina l analogia più che la univocità, ma più adeguata ad avvicinarsi con circospezione al nocciolo oscuro della vita psichica di coloro che ci sono stati affidati. Diciamo avvicinarsi per escludere subito ogni presunzione di poter svelare l ignoto che abita la sfera della sessualità e che va trattato come la dimensione del sacro per un credente. Comprendere, per Karl Jaspers, implica riconoscere che la oggettività dei processi che indaghiamo in questo campo resta sempre incompleta. Comprendere la realtà di un singolo processo equivale sempre ad interpretarlo, quindi ad agire intellettualmente in uno stato di perenne mescolanza tra l indagante e l indagato. * Renzo Mulato Filosofo - Docente di discipline filosofiche presso il C.I.S.P.P. di Venezia, diretto da S. Resnik - Presidente della Associazione Culturale Metamorphosis. IX

7 Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato Da qui la necessità di possedere uno spiccato senso del limite, che introduce nella ricerca una ineliminabile dimensione etica, capace di contenere la pulsione ad andare oltre l orizzonte intravisto, che inevitabilmente si scatena ogniqualvolta un limite si interponga tra il singolo, o il gruppo, e l orizzonte desiderato. *Ignoto, invisibile, indicibile. Il filo conduttore della ricerca non poteva essere più complesso: conduce direttamente nella sfera dell ignoto, in quell area della nostra esistenza, che si ostina a sfuggire alle reti tese dalla razionalità. Ad ogni strato che la ragione illumina, ne corrispondono altri che rendono più profondo l abisso: l atto di sporgersi dentro dà le vertigini. A volte pare di essere nella condizione di quell antico cacciatore che trova tracce numerose di una misteriosa selvaggina. La sente, la intravede, addirittura la vede muoversi, vicino, molto vicino, anche troppo, si direbbe. Ma quando crede di averla afferrata ecco che deve constatare il suo ennesimo scacco. Trascorre tutta la vita in una caccia ostinata e alla fine della esistenza non sa se sia realmente esistita fuori di lui, o se, piuttosto, non sia stato niente altro che una sua eco interiore che si proiettava fuori, nel mondo. Si racconta, a proposito, che i grandi cacciatori si guardino poco allo specchio, mai prima di una battuta, nel timore di intravedere dentro i propri lineamenti una testa di cervo, o lepre, o falco. In questo caso perderebbero ogni capacità di cacciare. Accade poi che l ignoto emerga all improvviso e si sveli come l essenza di una verità che era stata occultata da noi stessi: vicina, ma paradossalmente lontana. È il risultato di una tipo di indagine troncata, mancata, che consegue alla azione dello sguardo abrasivo. Non tutti gli sguardi permettono all occhio di percepire l oggetto che è di fronte. Ve ne sono alcuni che cancellano, piuttosto che svelare l essenza che la ragione insegue con tenacia. Quando si scopre l ignoto che stava accanto a noi ci domandiamo: come mai non ho visto quello che era da sempre davanti ai miei occhi? Dipende dalla intenzione riposta, segreta ed indicibile, di un Io che non vuole o non può ammettere l esistenza di un perturbante che lo assilla, lo tormenta dal di dentro, e che dunque deve essere celato. Troppo grande sarebbe il dolore conseguente al riconoscimento o troppo gravosa la assunzione di responsabilità. Se emerge alla luce del sole, non si può più fingere di ignorarlo. Sigmund Freud gli ha dato il nome di ciò che è familiare, ma non può essere svelato nella immediatezza della esperienza. *Exempla. Attingendo alla esperienza sul campo, in qualità di educatore e formatore, mi sovvengono numerosi ricordi di cecità individuale e collettiva. Immaginate un folto gruppo di studenti, adolescenti di un Liceo Scientifico, accompagnati dai propri docenti, in visita alla città di Vienna. Dopo varie peripezie il gruppo sta davanti alla cattedrale di Santo Stefano, intento a decifrare i vari elementi che compongono la facciata dell edificio. Si accende una discussione sull anno di fondazione della cattedrale, poiché le guide canoniche non paiono concordare sul momento esatto in cui la costruzione avrebbe avuto inizio. Un docente tenta di introdurre un ulteriore dubbio, forse nella speranza di indicare un metodo: tutti possono osservare che il portale è di stile romanico, il resto della facciata è di stile gotico. Fanno eccezione due orologi che testimoniano interventi più recenti. Come si fa a stabilirne l origine con assoluta precisione? Forse è il momento di cambiare radicalmente l ordine ed il senso della quaestio disputata. Momento di sconcerto. Silenzio. Nell interstizio si introduce una terza persona, che si definisce incuriosita dal metodo d indagine e che risulterà essere una guida viennese: conosce quasi tutto della città di Vienna ed è in grado di parlare numerose lingue, ivi compresa quella friulana. Di cui dà prova immediata. Gli studenti vengono invitati ad utilizzare questa opportunità, dovuta ad un incontro fortuito: la guida appare un profondo conoscitore della città, le sue conoscenze vengono da dentro ed è abituato ad incontrare stranieri, a dialogare con chi proviene da altri mondi. L invito è accolto e, dopo che il gioco domanda-risposta si è prolungato, finalmente una allieva chiede: Perché quelle due modanature che salgono su per la facciata non sono sullo stesso asse dei due orologi che le sovrastano?. Tutti aguzzano lo sguardo e riconoscono che i due orologi, collocati in alto sulla facciata, non coincidono con la sommità delle due semicolonne, che a prima vista sembravano far loro da piedistallo: come due lunghi steli che reggano due fiori. La guida viennese sorprende tutti, affermando perentoriamente che i due orologi non hanno nulla a che fare con le modanature: sono stati immessi in epoca successiva. Invita tutti a guardare meglio la sommità delle due nervature: qualcosa c è e potrebbe illuminare circa la antica funzione di ciascuna. Tutti guardano. Scrutano. Intensificano ancora lo sguardo: nulla! Inizia a serpeggiare un certo smarrimento. Non è agevole prender atto della propria incapacità di vedere. Assume le vesti di una menomazione permanente. Infine, mossa da una sorta di compassione, la guida svela l arcano: in cima alle due semicolonne stanno gli organi genitali maschile e femminile. Per indicare, rispettivamente, da quale ingresso gli uomini e le donne dovessero entrare, separatamente, nel duomo. La differenza più evidente tra i sessi, posta in bella evidenza, a significare la separatezza tra gli uomini e le donne nell area del sacro! Una differenza appartenente alla sfera ontica, scelta per significarne altre: sociale, ontologica, teologica. Sublime potere della metonimia! Finalmente tutti vedono : gli occhi di ciascuno si aprono su una realtà antica, che si manifesta nuovamente quando cade il velo molto spesso che la copriva. È un velo che non è posato sugli oggetti, ma radicato nell occhio del vedente: un tenace sipario interiore che si apre a fatica e solo se una guida esterna ne mette in moto i meccanismi. Quello che non doveva esserci, era là. Evidente. Solare. Visibile agli occhi degli uomini e delle donne medioevali, che appaiono del tutto innocenti a paragone dei nostri. Eppure invisibile ai nostri occhi di Europei moderni ed acculturati, forse velati da una sedimentazione lunga secoli e presumibilmente deformati da molte false liberazioni e da un voyeurismo pervasivo. In un lampo ho immaginato che anche Sigmund Freud sia spesso passato di là e si sia allontanato senza vedere alcunché, ma non ne sarei così sicuro. Si può dire, comunque, che quel che risulta essere posto in superficie non è altro che il fondo di un abisso rovesciato. Difficilissimo da essere decifrato, od anche semplicemente intravisto. Altre esperienze si sono ripetute in Italia ed in Spagna, ad esempio con la rana che è collocata in un atrio del Barrìo gotico di Barcellona. Mostro anfibio, la cui duplice funzione rimane invisibile ad un occhio velato dalla routine. Visibile ad un occhio esercitato a seguire tracce nella foresta della esistenza, anche le più lievi. * Esperienze sul campo. Affinché riemergano spezzoni di esistenza celati negli abissi interiori è necessario un lungo X XI

8 Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato lavoro. All origine vi è un processo di rimozione delle contraddizioni, che è di natura ambivalente: assume il significato negativo, quando si tende a respingere lontano proprio ciò di cui si è responsabili; ha anche un significato positivo, quando preserva le esperienze più intime e profonde dalla profanazione e dalla dissacrazione di chi vuol sapere tutto. Vi sono delle sfere della esistenza, come quello della sessualità e della sensualità, che appartengono all indicibile. Proprio mentre vengono indagate vanno difese dagli sguardi intrusivi, nostri ed altrui, tipici dello scientismo contemporaneo e del tentativo di ridurre ogni espressione umana ad elemento di spettacolo. La esperienza vissuta in questo Corso di formazione ha mostrato che è possibile condurre l indagine con un metodo specifico; può anche avvenire una cauta contaminazione tra discipline diverse, l azione didattica, la riflessione. Il gruppo ha attuato un confronto di tipo orizzontale: interno, tra i docenti delle diverse Scuole Elementari, ed esterno, con la presenza di persone non appartenenti al gruppo stesso. A questo si è affiancato un confronto di tipo verticale: in giù con gli allievi ed in su con l acquisizione di elementi teorici mutuati da diverse discipline, la psicoanalisi fra queste, e dal mondo della fiaba che ricollega adulti e bambini alle dimensioni arcaiche della esistenza. Si segnala qui, da un punto di vista metodologico, la importanza di una riflessione che parta dalla lettura semiologica del testo: sia esso costituito dai disegni, dai testi delle favole, dai dialoghi, dalla narrazione di una esperienza particolare. Innanzitutto perché il testo, in quanto tessitura che rappresenta dal vivo il lavoro compiuto, àncora la riflessione alle esperienze sul campo e dunque consente di sfuggire alla trappola dell eccesso di astrazione. In secondo luogo perché consente agli attori di traguardare il proprio lavoro da un altro punto di vista. Senza un punto di vista dialettico si finisce per assomigliare a Polifemo, colui che parla troppo come dice il suo nome- perché possiede una vista monoculare. Ogni riflessione ulteriore non può che confermare la intenzione originaria e nulla può impedire che si precipiti negli automatismi della routine, anche se interrotta qua e là da qualche empito creativo. È là che lo sguardo abrasivo produce lentamente forme pervicaci di cecità. *Se il filosofare abbia un senso. Non solo nella vostra esperienza l importanza di un terzo punto di vista è emersa con forza. Ogni struttura dialogica della ricerca lo esige. Lo mostra la stessa storia del pensiero occidentale. Nella agorà greca, nella sinagoga ebraica, sono lo studio e la discussione collettiva il centro della vita intellettuale, ma anche politica, giuridica e religiosa della città o di un popolo. Nella fase più creativa della cultura medioevale, origine del pensiero europeo moderno, domina la quaestio disputata: autentica sintesi dialogica di teoria e prassi. Il magister regens delle Università, degli Studi e delle infinite Scuole medievali che sorgono ovunque, è obbligato ad affiancare alla lectio vera e propria delle pubbliche discussioni tematiche ed anche delle discussioni in cui è il pubblico a decretare l ordine e la natura delle questioni da discutere: rispettivamente denominate quaestiones disputatae, quaestiones quodlibetales. Tra docente e discente si distende una relazione in cui l orizzonte della discussione, pubblica e non prefissata, instaura un terzo punto di vista che conferisce alla intera indagine la impronta della dialetticità. Che cosa è mai il filosofare se non la introduzione di un terzo punto di vista in una relazione che si vuole per lo più duale? Tra maestro ed allievo, tra docenti, nella interiorità interrogante-si del singolo. A patto che la riflessione e la meditazione introdotte dalla filosofia nascano dal campo della esperienza e non costituiscano un sapere separato, difeso dalle barriere dei linguaggi specialistici e dunque incomunicabile ed infecondo. Nella mia personale elaborazione la riflessione filosofica non produce un sapere in possesso di un piccolo numero di iniziati, cui attingere dopo lunghe e umilianti anticamere e nemmeno l oggetto di una professione specifica. Esiste anche questa forma neosofistica di filosofare, ma è propria delle accademie ed è immediatamente riconoscibile. Osservatene il linguaggio: è oscuro, criptico, dunque escludente e presuntuoso. Se non temessi malintesi la definirei quasi una vocazione. Essa nasce piuttosto da un bisogno del tutto particolare e si manifesta come esigenza esistenziale ed ontologica, che non si dà nella norma: insorge, letteralmente, quando nel corso della vita accade qualcosa che eccede i mezzi di comprensione della realtà che ciascuno di noi possiede. Quando nella nostra professione o nella vita familiare accade qualcosa che implica il significato intero della esistenza, di ciascuno di noi o di chi ci è affidato, allora è necessario rispondere ad una domanda radicale, che ha bisogno di strumenti più solidi e raffinati di quelli di cui si dispone nella norma. Bisogna nominare l indicibile. Urge il reperimento di strumenti e forze che non sono alla mano. È necessario usare un metodo particolarmente rigoroso per affrontare una questione che si presenta come vitale. Si impone una scelta drammatica, i cui effetti superano ogni soglia: quella della norma giuridica, quella delle convenzioni sociali; persino il grado di tollerabilità che usualmente possiamo mettere in campo per affrontare i quotidiani quesiti della vita. Quando ne va dell intero: da qui insorge il bisogno di filosofare, ovvero la necessità di andare alla radice delle aporie che ci hanno investito. Il filosofare si rende necessario ex contingentia et indigentia mundi. Se infine avremo raggiunta una qualche vetta, o modesto colle, da cui traguardare in modo più felice la aporia incontrata, dobbiamo però sapere che il cammino è arduo, problematico, irto di impedimenti. 2. Psiche ed Eros. * Le metamorfosi dello spirito e del corpo. Nella storia della cultura occidentale ed europea, un ostacolo è frapposto da quelle categorie analitiche che in origine erano state costruite quali strumenti adeguati a raccogliere brandelli sparsi di esperienza, utili ad accostare i livelli di realtà in modo sensato. Di seguito, invece di risultare categorie della esistenza, sono divenute strumenti rigidi diretti al dominio sugli aspetti problematici della realtà, pregiudizi, stereotipi. Uno di essi è senz altro il dualismo anima/corpo. In principio polarità dialettica che interpreta le oscillazioni e le diverse funzioni nella vita del singolo, diventa poi polarità antidialettica che conduce al negazionismo, vuoi di una parte, vuoi dell altra. Primato dello spirito sulla materia, dell anima sul corpo, o viceversa? Invece di indulgere ad una sua ricostruzione storica, vi propongo come indicazione metodologica l esercizio continuo del dubbio, poiché i pregiudizi vengono introiettati per tempo ed agiscono più tardi come modelli strutturanti di cui non si è esattamente consapevoli, rafforzati nella loro azione quando forze esterne stimolino una reazione e dagli abissi interiori risuonino corde perturbanti. C è bisogno della loro capacità sedativa? Eccole pronte a deviare, sopire, rimuovere, ingabbiare: insomma ad esorcizzare il pericolo che viene da dentro. Se vi è un insieme che scatena reazioni molteplici questa è la sessualità e la sua compagna più intrigante: la sensualità. XII XIII

9 Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato Superare l ideologia dualistica nella ricerca appare necessario ed in via preliminare va sgombrato il campo da ogni concettualizzazione rigida: ciò che appare sotto forma di impasto pulsionale va mantenuto nella sfera dell enigma, dove il non detto e l indicibile hanno una parte preponderante. E debbono conservala in modo permanente, contro ogni profanazione. Se invece si attuasse la pretesa di definire ogni lato della esistenza, il pensiero si smarrirebbe a causa della eccessiva distanza tra i concetti stessi e poi tra di essi e la realtà magmatica che dovrebbero esprimere. Ce lo ricorda Haegel, nella Introduzione della Enciclopedia delle Scienze Filosofiche in compendio, con fulminea precisione: l intelletto (Verstand) si smarrisce tra la rigida separatezza dei pensieri e precipita nella disperazione di trovare una qualche connessione tra ciò che egli stesso ha prodotto. La prova della impotenza ad esprimere ciò che è latente viene dal paradossale rapporto tra sessualità e comunicazione nell epoca attuale. Ad una manipolazione impietosa dei mezzi di comunicazione, che fruga in tutte le pieghe della vita intima delle persone, squadernandone pretesi segreti e ammiccando con mirabolanti provocazioni, consegue una caduta della forza dell éros e la sua deviazione verso forme varie di perversione. Le forme di violenza sui bambini si moltiplicano, ad esempio, ma hanno padri noti, molto noti. Incredibile destino di una presunta libertà, divenuta licenza e commercio: mostra qui il suo volto gorgonico, speculare al tentativo plurisecolare di comprimere e reprimere ogni manifestazione delle autentiche libertà dell uomo. Che sia la sua ultima maschera? Forse nel nostro lavoro dobbiamo sovvertire il percorso conoscitivo che tradizionalmente prevede un moto ascensionale: dal vissuto, alle fantasie, al concetto, ovvero fino al livello raggiungibile pienamente con la età della ragione. Suggerisco invece di assegnare alle varie tappe un valore crescente a livello gnoseologico, ma contemporaneamente un valore decrescente a livello etico ed estetico, assegnando al vissuto il primato in questo campo. Man mano che si accumulano conoscenze si contragga eticamente ed esteticamente il campo di azione. Vi è una difficoltà di cui dobbiamo tener conto nel lavoro: la nostra cultura ha una antica propensione a procedere in modo dicotomico, per antitesi nette, per coppie di contrari. Dal primo punto di vista, quello gnoseologico, appare chiaro che le coppie di contrari debbano essere usate in costante rapporto dialettico: come strumenti di una dimensione somatopsichica ove nulla è distinto per sempre e tutto ritorna sempre in gioco. Come è possibile usare qui la coppia regina vero/falso, derivata dal principio di non contraddizione? Cosa è vero e cosa è falso, non diciamo nella sessualità, ma nelle fantasie ad essa connesse? Accanto a questa coppia primigenia molte altre ve ne sono: buono/cattivo, giusto/ingiusto definibile/ineffabile, visibile/invisibile, palese/nascosto. È lo strumento (organon per Aristotele) a doversi piegare al vissuto e non viceversa. Salvo che non si preferisca la spiegazione alla comprensione. A volte ci si è chiesti se lo stesso pensiero sia sessuato ed una risposta sembra venire dalla distinzione dei generi dei nomi: il maschile ed il femminile. Anche qui, però, la complessità è in agguato, come ci mostra la presenza del neutro (ne-utrum: né l uno, né l altro) nelle lingue greca e latina ed in molte altre. Molte sono le parole che segnalano una originaria in-differenza. Si rammenti il lavoro di Sigmund Freud sul duplice significato delle parole primordiali. Dal secondo punto di vista, ovvero della necessità di stabilire una soglia etica e canoni estetici contingenti soprattutto al conoscere del docente, ci sembra che si debba procedere con lentezza crescente, fino ad arrestarsi ben prima di varcare la soglia della intimità dell essere. Man mano che si abbandona la sfera concettuale e si scende attraverso le fantasie ai livelli del vissuto, l importanza di un éthos condiviso è essenziale, se non altro per lo jato temporale ed esperienziale che divide l adulto dal bambino. Il primo, rispetto al secondo, è semplicemente smisurato e dunque può consentirsi solo uno sguardo da lontano, attento ma discreto e distante. Sottoposto alla ferrea legge del principio dialettico di proporzionalità. Non si colma uno scarto, che oserei definire ontologico, manipolando i concetti; neppure se desunti da altri saperi. Tanto meno lasciandosi trascinare dalla curiosità intrusiva. Bisogna, all opposto, tenere sempre vigile l attenzione sui diversi livelli di realtà che si incontrano su un terreno così problematico, implicante, avvolgente, perturbante. Familiare. Troppo familiare. Vicino alla vita intima del docente. Dentro di essa. *Meraviglioso e mostruoso. Il tema dell éros riporta alla memoria la favola di AMORE E PSICHE che lo scrittore latino Apuleio ha voluto introdurre nel suo romanzo L Asino d oro, in cui racconta le vicissitudini di chi si accosta ingenuamente alla arte della magia, allora molto in voga. Apuleio coniuga l umor nero presente in gran parte del romanzo con il mondo meraviglioso della fiaba, quasi a voler rappresentare la relazione tra due facce di una unica dimensione. O forse ne ha voluto mostrare la contiguità e la reversibilità. Non a caso nello scrivere ha usato a piene mani l arma dell ironia: strumento affilato e maneggevole, atto a mettere in relazione ciò in apparenza in relazione non è. Ci riferiamo al legame tra il mostruoso ed il meraviglioso, che intesse la vita di ogni essere umano, salvo che non si sia ridotto ad un automa. A me sembra che proprio questa relazione abbia vertebrato il vostro lavoro su la sessualità e la fiaba nei bambini. Che cosa sia mai il monstrum lo suggerisce la molteplice radice della parola. È un deverbale che contiene il verbo latino moneo (ammonisco, avverto, indico ), più il suffisso strum. A sua volta collegato alla parola mens ( carattere, animo, ragione ). Indica dunque l indole, il carattere riposto, la natura più intima delle cose. Per questo gli aspetti mostruosi della realtà non sono altro che la proiezione di ciò che è nascosto e celato nella quotidianità, o coperto dalla abitudine: portato alla luce del sole assume aspetti abnormi di essa, ma non per questo essi sono meno reali. Ancora una volta siamo spinti a comprendere ciò che era là da tempo, ma velato dalla nostra cecità. L emergere del mostruoso alla luce del sole dà espressione al nascosto, ma in forma obliqua, asimmetrica e comunque espressa per cenni da interpretarsi con una particolare ermeneutica, che di solito riserviamo al mondo dei simboli. Il meraviglioso è strettamente connesso al primo, perché indica la reazione che si ha di fronte all emergere del mostruoso: esso desta sorpresa, stupore, trasalimento. Ha la stessa funzione del miraculum nel rapporto religioso col mondo, oltre ad avere la stessa radice, miror. Nella storia del pensiero filosofico e scientifico uno stadio così indefinibile ed imprevedibile della vita e della conoscenza umana ha assunto la dignità di autentico cominciamento del filsofare: thaumàzein per Platone, Aristotele; admiratio per i filosofi medioevali e Tommaso d Aquino. Senza una apertura sul mondo, che si rinnovi di volta in volta, non è possibile intraprendere alcuna ricerca, né si dà un sistema organico di pensiero; né si costruisce un sapere scientifico fondato sulla verifica. In assenza di questa pre-disposizione si solidificano dogmi, si generano pre-giudizi. XIV XV

10 Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato È una questione di particolare rilievo per chi si occupa dell arte di educare nello spazio scolastico. In primo luogo perché la scansione dei tempi e la ripartizioni degli spazi scolastici assegnano ruoli predefiniti, che la istituzione fatica a veder messi in questione dal mostruoso e dal meraviglioso. Comprendo bene la autentica disperazione di quei docenti che vedono la creatività ridotta a routine burocratica, dove tutto deve essere previsto, codificato, in definitiva anestetizzato. Come dare spazio al lato creativo e disciplinarlo senza ucciderlo? Mi piace pensare al modo con cui avete risposto al quesito ed avete fatto emergere un argomento mostrum per la istituzione: attraverso la fiaba. Spesso viene presentato come un modo ingenuo di narrare le vicissitudini della esistenza ma, per fortuna, tutti noi sappiamo molto bene che l innocente e quieto mondo delle fiabe nasconde abissali mostruosità e sublimi meraviglie. In secondo luogo perché il tema della sessualità, ovvero di una primordiale differenza che segna il destino del genere umano, qualunque sia il percorso individuale, assume aspetti nuovi e particolari nelle Istituzioni Scolastiche della nostra epoca. Ci si scontra con una condizione ineliminabile di chi si occupa della educazione dei bambini, a livello di Scuola Primaria. La declinazione al femminile della maggioranza assoluta dei docenti propone un quesito su cui forse non si è riflettuto abbastanza. Tra docente e discente passano infiniti stimoli, domande espresse ed inespresse, indicazioni, esperienze. Di che segno sarà la relazione tra loro se il mondo adulto si presenta sotto il segno della nondifferenza, mentre quello infantile fa esperienza, orizzontalmente, della differenza? Questa si presenta certamente come diversità tra mondo adulto e mondo infantile, ma anche come esperienza della diversità tra maschi e femmine all interno del mondo infantile. Tale differenza non ha echi equivalenti, né referenti, nel rapporto tra docenti ed allieve/allievi. Vi sarà la consapevolezza nei docenti di rappresentare sia la funzione materna, che quella paterna? Quali echi abbia tale condizione monocromatica nel campo della esperienza infantile è nostro compito indagare ed è una felice aporia che discende dal tema guida del vostro lavoro. La felicità, poi, consiste nell aver individuato un ulteriore filone di ricerca. A livello di concettualizzazione non vi sono grandi problemi da risolvere: il maschile ed il femminile sono, ancora, generi perfettamente distinguibili. Un intero apparato linguistico adempie quotidianamente alla propria funzione ed è presente omogeneamente in ogni spazio occupato dai bambini. Il dramma giunge, semmai, quando si dimostra inadeguato a contenere una realtà diveniente e dirompente. La quaestio disputata insorge prepotentemente quando si toccano le fantasie ed il vissuto. La immaginazione e la qualità estetica delle percezioni infantili hanno bisogno di specchiarsi e confrontarsi sempre con la differenza, per acquisire misura e potersi esprimere felicemente, senza effetti devastanti. Nelle condizioni che si sono create nelle istituzioni negli ultimi decenni vi è una omogeneità che può sconfinare nella omologazione, inevitabile in un universo declinato solo al femminile. Naturalmente e specularmene la stessa osservazione vale per un universo esclusivamente al maschile. A me pare che sia necessario un ripensamento, e il vostro lavoro ne fa già parte, visto che avete introdotto come grande mediatrice l arte della fiaba, appartenente alla sfera del simbolico, la cui funzione pontica è a voi ben nota. Se connettiamo questo fenomeno ad un altra grande mutazione, che segna la vita infantile, l atto del riflettere acquista il carattere di assoluta urgenza. Mi riferisco alla questione della percezione e della sensorialità in bambini che vivono in un mondo sempre più artificiale, dove la natura è sempre più rappresentata e non vissuta, il corpo deprivato di esperienze fondamentali. Ci dobbiamo interrogare dunque su che cosa stia avvenendo negli strati più profondi della psiche ed è inevitabile che il dubbio si carichi di ulteriore potenza se assumiamo che éros è essenzialmente corpo. Il corpo non occupa solo uno spazio, non ha solo un peso: è ritmo, danza, strumento musicale, sprigiona energie e le assorbe, è corpo vivo. Se poi il corpo è la maschera visibile dell Inconscio, come Salomon Resnik, ci insegna, il nostro campo di indagine si dilata. Comprende certamente le rappresentazioni che l immaginario e la espressività dei vostri allievi ci regalano, ma investe direttamente la loro concreta e viva corporeità. Le sue cangianti espressioni. Le facce. Le posture. Secondo i grandi mimi europei di questo secolo (Marceau, Fo, Decroux) il corpo proprio di ciascuno ne sa più di quanto ne sappia il suo proprietario. Si pone il problema di quanto noi siamo in grado di comprendere i segnali che vengono emessi da un corpo-bambino, vero monstrum di espressività. Meraviglioso ed inquietante ad un tempo. 3. Il bambino terrifico. * Esser-ci. Colpisce una contraddizione mostruosa dell epoca presente, pervasa da una ansia generale di trasformare ogni evento in spettacolo, in pura rappresentazione scenica dove dominano l enfasi, le affermazioni gridate, la finzione. La esistenza di ogni singolo, nella sua terrena concretezza e nella sua evoluzione, spesso magmatica ed oscura, viene respinta ai margini e fatta riemergere solo se trasformata in notizia adatta a rivitalizzare spettatori catatonici, dai quali risucchiare un briciolo di attenzione. Sorge improvviso il sospetto che sia Dracula il fantasma che presiede all universo della comunicazione nella forma odierna. È noto che il vampiro sostituisce il proprio vuoto risucchiando dalla vittima l energia necessaria a sopravvivere, ma inocula in essa un vuoto che dovrà essere a sua volta riempito. Nel mondo della finzione sembra che non ci sia più tempo, né spazio, per pensare. Esercizio certamente faticoso, come ogni attività creativa, ed anche pericoloso. Soprattutto si riduce il tempo dei pensieri da dedicare ai bambini, salvo che non rientrino nello schema di una seduzione di stampo puramente commerciale. Allora irrompe una imponente stereotipia, ripetitiva, ossessiva: vengono presentati esclusivamente bambini sorridenti, imbozzolati in involucri luccicanti, preconfezionati nel corso di un processo di mercificazione che sembra non aver confini. Che ne è del bambino in carne ed ossa, corpo e psiche, nell habitat familiare e sociale? Che ne è delle sue sensazioni e fantasie primarie? In troppi casi la sua vita oscilla tra la condizione di seduzione e quella di abbandono: a volte coperto di oggetti sostitutivi della presenza corposa paterna e materna, a volte affidato a mani estranee. Non mi riferisco qui alle famiglie che abbandonano di fatto i figli e che riguardano la patologia, desidero solo sottolineare che quella sommariamente indicata è una condizione oggettiva derivata dalla organizzazione del lavoro e del paesaggio urbano odierno: dunque in grado di influire indirettamente sull intero habitat familiare e sociale. Non bisogna mai dimenticare che nella istituzione giungono con esperienze predefinite e con una intera storia sulle spalle. A volte felice, a volte meno: in particolare per ciò che attiene alla ricerca ed alla fatica del pensare. Un modo rozzo ed eccessivamente pragmatico imperversa in ampi strati della società di questa parte del mondo: la scuola è un parcheggio; una volta terminata la sua provvisoria XVI XVII

11 Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato funzione lasci spazio al primato del fare, dell imprendere, del produrre. Ne è prova la scarsa considerazione sociale dell insegnante e dell intellettuale in genere, cui fa da complemento una concezione merceologica della cultura e della stessa ricerca scientifica. La velocità, assieme alla aggressività, è cifra dell epoca attuale e prodotto della legge bronzea dell accumulo, come già sostenevano i Futuristi nel manifesto redatto da Marinetti nel lontano Essa pervade i rapporti sociali ed impedisce soprattutto che i riti familiari e sociali contemplino il momento della pausa, della sedimentazione delle esperienze, del confronto, del dialogo e paradossalmente anche del conflitto. Di conseguenza molti genitori tendono a velare l impatto con il mondo esterno, vissuto come delirante e minaccioso. Nei confronti del quale è bene costruire muri di riparo, intercapedini, dietro cui attestarsi armi in pugno. Salvo poi introdurlo di soppiatto attraverso gli strumenti invasivi della comunicazione massificata, televisione e giochi elettronici in testa, che finiscono per occupare un posto di rilievo perfino nella disposizione degli oggetti familiari in una casa. La distrazione è tale che molti adulti non si rendono conto dell orrore che entra tra le mura domestiche, mescolato a spettacoli e messaggi diretti indistintamente a tutti. Perché, allora, attutire sempre l impatto delle vicissitudini della esistenza? Per compensare forse la frettolosità dei rapporti parentali? Per evitare traumi? Non pare che le favole elaborate nel passato narrassero di un mondo tenero e dolce: sono popolate di genitori che mandano i figli a morire nei boschi, orchi capaci di pasti cannibalici, matrigne che avvelenano le figlie, bambini che bruciano vecchie donne cattive. Dopo, molto dopo, giunge il lieto fine: quasi ad addolcire la ricostruzione veritiera del mondo esterno. Perché non ripristinare invece la narrazione diretta ed a viva voce di esperienze forti, la azione educativa capace di alternare rigore e dolcezza, l esercizio della competizione? Nel senso indicato dall etimo, naturalmente: cum-petere indica l atto di cercare assieme un comune obiettivo. Vi è qualcosa di sfuggente in questa visione del mondo. Ho la percezione che dietro l immagine trasmessa dagli operatori del mercato dell infanzia, che ci presenta lo stereotipo di un esserino imbambolato, si nasconda per molti il fantasma di un bambino terrifico. Mi appare una sorta di esorcismo mediatico che tenta di coprire ossessivamente una realtà che inquieta proprio loro. Ogni bambino è già persona. Qualcuno che ci chiede di essere là. Sempre. Che ci guarda e ci giudica. Segnalo che Pier Paolo Pasolini ha avuto il coraggio di ammettere una verità troppo spesso oscurata: il bambino sfida l adulto con il suo solo venire al mondo. Considerarlo un tassello ed un segmento del gran mercato delle cose e delle idee non muta gli effetti della sua irruzione nel teatro della esistenza. Quando nasce niente è più come prima. Nel prologo del film EDIPO RE vi è una scena che merita di essere qui rammentata. L ambiente rievocato è quello familiare, proprio nel momento in cui viene alla luce un bambino. La madre lo culla ed ha dei presentimenti, ma è felice, balla canta, ama. Il padre, un militare di carriera, è felice di quell evento lieto, ma un giorno si ferma ad osservare il figlio che riposa nella culla. Lo fissa, in silenzio, mentre in sovrimpressione scorrono terribili parole con le quali il padre esprime il suo odio per il figlio: perché con la sua nascita gli ha rubato l amore della donna che riteneva fosse solo sua; è venuto poi a prendere il suo posto nel mondo e così lo ha messo innanzi all abisso della morte. Pasolini ha rievocato la formazione del triangolo edipico ed ha fornito la sua interpretazione del conflitto con il padre, ma ha anche individuato un elemento che accompagna la gioia della nascita di un figlio. In inizio essa sovrasta tutto, se il figlio è desiderato, ma inesorabilmente alla crescita del figlio si accompagna un acuto sentore del tempo che passa e della esistenza che declina. Se la irruzione del figlio genera a sua volta un nuovo rapporto, la coppia parentale forma una famiglia autentica e la fecondità fisica diventa fecondità spirituale, come Platone fa dire a Socrate nel Simposio. Nel caso contrario la rottura è un evento annunciato, come dolorosamente apprendiamo di continuo dalla cronaca e dalla nostra esperienza diretta, soprattutto quando vi sia il rifiuto ad assumersi la responsabilità, e la fatica, di creare un rapporto nuovo, diverso da quello che si era immaginato. La felicità di un rapporto non si impone, si conquista con personale fatica. Ancor più arduo è l esercizio di pensare la morte ed altrettanto difficile tollerare il declino fisico e psichico, dietro il quale essa fa capolino. Tutti loro ricorderanno come impietosamente lo specchio ponga la REGINA CRIMILDE di fronte al proprio inesorabile declino: il rifiuto è istintivo e netto, di conseguenza costei diventerà la matrigna di Biancaneve. Esattamente qui si situa un bivio di tipo parmenideo: bisogna decidere se accettare la strada della finitudine e convivere con il senso del limite, oppure negarla e conseguentemente precipitare in una spirale regolata dal delirio di onnipotenza e dai suoi démoni. Nel primo caso i figli avranno una guida che li accompagna e li addestra in modo da permettere loro, un giorno, di camminare con le proprie gambe. Nel secondo nessun spazio vi sarà per i figli, come ci ricorda la tragedia che precede quella di Edipo. Sono infatti le scelte del padre LAIO a dare origine ad una infinita catena di dolori. Mi ha sempre colpito, a proposito di selezione di miti e favole, il fatto che i testi riguardanti Edipo siano stati conservati e tramandati, mentre sono del tutto scomparsi quelli riguardanti Laio. Esiste solo qualche frammento. Si sa tutto della reazione del figlio, poco o nulla dell azione del padre; come se questa per il mondo adulto appartenesse ad un rimosso che non deve assolutamente riemergere. Nel mondo simbolico, come in quello reale, è importante quello che è presente, ma ancor di più quello che è assente ed invece dovrebbe esserci. Eraclito, il sapiente di Efeso che amava giocare con i bambini sulle scalinate del tempio invece di dedicarsi ad altre occupazioni più serie, afferma che la connessione nascosta è più forte di quella manifesta! *L arte dell ascolto. L azione paterna, quale asse e punto di confronto, sembra affievolirsi non solo nella tradizione letteraria, ma anche nell esercizio concreto dell arte di educare. Non c è tempo, non ci sono gli spazi adeguati ci sentiamo ripetere spesso, e l apparente oggettività della espressione indica che la rinuncia ad esser-ci si maschera sotto forma di realistica presa d atto dello stato delle cose presenti. Che si suppone immodificabile. Allargano le braccia in segno di impotenza, ma coprono malamente la loro resa e la fuga dalle proprie responsabilità. La razionalità viene qui piegata alla esigenza di preparare il terreno alla piena autoassoluzione. La conseguenza è duplice: si priva il bambino e l adolescente di un asse, di un punto di riferimento; d altro canto l adulto perde ogni capacità di comprendere quel che si agita nelle profondità dell essere: diventa incapace di ascoltare i segnali che pur gli vengono inviati. Ascoltare non è un semplice atto che investe la fisicità. È piuttosto un arte che implica la presenza attiva dell adulto nell orizzonte del bambino. L arte di cui parliamo ha bisogno innanzitutto di tempo e di uno spazio accoglienti, che conservino traccia dei segnali che salgono dal basso. È necessario prendere tempo e dunque opporsi al meccanismo sociale che trascina con sé chiunque tenti di interporsi o semplicemente di fermarsi a lato, di trovare una radura ove prender fiato. È urgente farsi XVIII XIX

12 Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato spazio in mezzo alla pletora di oggetti ed impegni che ingombrano l esistenza, di cui parla speso un grande poeta che ci è familiare, Andrea Zanzotto. Con quale scopo fare una fatica quotidiana così dura? Semplicemente per allargare quei piccoli interstizi spazio temporali, che interrompono il flusso della routine, e che sono la premessa per la creazione di un grande spazio, radura o agorà, in cui un lògos prenda forma e sia trasmissibile. Sbrigate le incombenze preliminari non resta che disporsi ad ascoltare, ma subito nuove aporie si affollano dinanzi a noi. Vediamo di individuarle attraverso un breve esercizio filologico. Nella lingua italiana abbiamo un gruppo di verbi che riguardano l ascoltare sia a livello senso percettivo, che a livello conoscitivo più complesso: udire, ascoltare, sentire. Una prima radice è latina (audio) e greca (aìo, aisthànomai): condensa in sé l aspetto senso percettivo e quello della intuizione e della comprensione. Il deverbale aìsthesis genera i sostantivi sensazione, estetica ed il verbo sentire. Una seconda radice risale egualmente al latino (ausculto) ed al greco (acoùo). Inizialmente esprime una maggiore vicinanza alla fisicità, usando metonimicamente l organo di senso, l orecchio (oùs), per cui vale: apprendo attraverso l orecchio. In seguito dà luogo a costruzioni molto interessanti, perché si delineano due disposizioni simmetriche e complementari: una ci fa intravedere colui che percepisce immediatamente e con sicurezza ciò che è prossimo; l altra si riferisce invece ad una capacità percettiva più sottile, riguardante ciò che non è prossimo; quindi percepibile in modo indiretto e distante. Immediatezza della percezione e mediazione intellettiva si mescolano. Vogliamo mostrare che fin dalle origini l arte dell ascolto esclude ogni tipo di passività, anzi qui si postula la necessità di una estrema vigilanza nei confronti dei messaggi che le fonti inviano attraverso l etere. Quella situata fuori di noi, proveniente dal singolo o dal gruppo di coloro che ci sono stati affidati; quella che parla dai nostri abissi interiori; quella che prende forma dalla relazione tra gli uni e gli altri e che viene denominata Eco nel mito di origine cretese di Narciso. La possiamo definire una triangolazione originaria, che sempre si rinnova; uno spazio quadridimensionale, dove chi è investito del compito di educare sia capace di accogliere e trattenere per il tempo necessario tutto ciò che cade nell ambito della esperienza, al fine di distinguere l essenziale dall inessenziale. Compito arduo, complicato dalla plastica abilità del bambino a mimetizzarsi dietro le maschere che indossa di volta in volta, mutuandole da quelle che il mondo adulto prepara per ogni occasione a sé stesso e creandone di nuove. Bisogna correre il rischio di lasciar sedimentare ciò che accade (cade dentro e addosso) in noi. Chi ha avuto il privilegio di poter osservare da vicino il vostro lavoro sa che è stato costellato di lunghe attese, ascolti, aspettative, silenzi. Un pensiero accogliente sta sempre in vigile attesa, come il cacciatore che aspetta il momento giusto per catturare la preda che in un momento a venire passerà proprio là dove egli si è appostato. L immagine è di Platone, ma voi sapete bene che le vostre allieve ed allievi, dietro la apparente semplicità e plasticità, nascondono una personalità polimorfa, complessa, ricca di sfaccettature. Essa si mostra, di quando in quando, a causa di una capacità, che definirei arcaica e imperturbabile, di ricondursi sempre all essenziale, ma anche di celarla in modi impensabili. Di fronte a questa disposizione proteiforme si tratta di essere vigili per poter cogliere il momento giusto (kairòs), che spesso coincide con il momento in cui giocano e si esprimono attraverso i reticoli dell immaginario. 4. La Scuola come dimora problematica. * Del silenzio. La dimensione adeguata perché si stabilisca una relazione significante appare essere il silenzio, più che l esercizio della parola. I corpi e le immagini parlano, dicono molto di più all occhio che scruta ogni dettaglio per cogliere l essenziale: che mai vorrà dirci quell immagine, quella espressione, quel silenzio significativo? La assenza di qualcosa nel dialogo educativo pesa quasi di più che la presenza. È la istituzione scolastica preparata e disposta ad essere anch essa dotata di plasticità? O non saremo anche noi travolti dal primato ossessivo del fare, che permea l epoca attuale? Forse dobbiamo rovesciare la prospettiva e porci nella dimensione del silenzio. Dal punto di vista ontico esso consente che gli echi del mondo infantile giungano in una radura, in uno spazio libero dagli strepiti, per cui ogni parola enfatica si sgonfia: il silenzio è l arma acuminata che ne rivela la cacofonia e l insensatezza. Solo allora si può esercitare l arte della distinzione, come Platone suggerisce nel dialogo de Il Sofista. Il silenzio in sé non è qualcosa di determinato e misurabile, non appartiene all ordine della quantità e questo aggiunge aporie su aporie alla istituzione scolastica. È piuttosto una precondizione perché qualcosa parli, prenda forma, acquisti voce e senso. Da un punto di vista gnoseologico ed ontologico il silenzio consente la nascita del pensiero e la apertura all essere: stadio aurorale dove gli enti acquistano lentamente visibilità e reciproco senso. Un pensiero accogliente, che Aristotele denominava noùs patheticòs, rende permanente quell apertura originaria che ha consentito per una volta lo svelarsi della essenza. Abbiamo già visto che per altre culture essa coincide con la capacità di meravigliarsi (thaumàzein, admiratio). Se tale condizione si dà, allora il pensiero produttivo e creativo (noùs poieticòs) può svolgere la propria funzione ordinatrice. Come sappiamo vi è un rischio, connesso intimamente a questa vera e propria avventura dello spirito. Aprire gli spazi interiori ed aprirsi al mondo importa la assunzione al massimo grado di quella capacità negativa che il poeta inglese Keats riteneva essenziale per affrontare l ignoto. Nell incontro con la Alterità siamo sempre, potenzialmente, di fronte alla emersione di ciò che si agitava negli abissi interiori propri ed altrui e che era stato (con buona ragione?) dimenticato, rimosso. Non tutte le risonanze sono positive e gli echi tollerabili. È difficile rigirare l abisso sul palmo di una mano, come suggerisce un apologo taoista. Lo spazio aperto è una pre-condizione, ma non è ancora divenuto uno spazio etico dello scambio, che è sempre il frutto di un lungo cammino condiviso. Vi è una osservazione di Aristotele negli scritti sulla psiche che trovo pertinente al nostro discorso. Indagando sul rapporto tra sensorialità e fantasia egli rileva che nel sentire vi è comunque trasformazione: qualcosa avviene in noi per mutamento ed il suo nome è alterazione. Ogni apertura comporta una alterazione, in particolare se siamo in presenza di quel campo che voi avete indagato ed agito. * Morari secum. Conoscere nel nostro campo è dunque atto complesso, non soggetto esclusivamente alla verticalità dei processi. C è bisogno di un luogo della connessione dove prevalga la orizzontalità, il dialogo IO, TU. Abbiamo già individuato questo luogo, radura ed agorà, che si identifica dapprima con il silenzio e quindi con lo spazio accogliente perché più lògoi si possano incontrare. Vi si possono distinguere due movimenti: di discesa e di ascesa. XX XXI

13 Psiche ed Eros Renzo Mulato Psiche ed Eros Renzo Mulato Vi è un lavoro di immersione nel campo preso in esame, strato per strato, livello dopo livello, toccando aspetti sempre più ignoti che esigono da noi quella prudenza etica ed estetica che abbiamo già assunto come indispensabile. Le mani si immergono nel magma della esistenza, consapevoli che ne verranno intrise ed alterate. Inevitabili le contraddizioni, prezioso l esercizio del dubbio, elemento essenziale del metodo e premessa all arte di ascoltare. Possiamo condensare questa fase in un verbo di forma riflessiva: interrogarsi. Vi è un secondo lavoro, di tipo ascensionale, che raccoglie, differenzia e seleziona ciò che emerge dal vasto mar dell essere. Una prima e originaria differenziazione e connessione si colloca a livello di creazione del simbolo, che si perfezionerà poi a livello concettuale. Che cosa è il simbolo se non una forma di integrazione tra ciò che si presenta opposto eppur connesso? Il rigore della ricerca e l arte della distinzione riammettono nel pensiero quelle definizioni, che da principio costituivano un impedimento ed una chiusura. Le categorie della esistenza e quelle del pensiero ora corrispondono e costituiscono quel bagaglio teorico che ci consente di pensare anche la realtà più sfuggente. Usiamo la parola teoria nel senso indicato dall etimo: sguardo capace di cogliere la connessione nella sua interezza ed essenza, visione panoramica. Il duplice movimento non è finalizzato tanto ad accumulare conoscenze, quanto a mantenere aperta la nostra mente alla Alterità, che si concretizza per noi in quegli allievi, in quella classe, con cui ora si sta lavorando seguendo la traccia del Corso di Formazione. Per questo è necessario un luogo dove indugiare, fermarsi, studiare, poter contemplare, senza l assillo delle incombenze quotidiane. Non è solo un luogo fisico, quanto uno spazio mentale ed una disposizione dell animo che consente l ascolto di cui abbiamo parlato. Sulla scorta delle Lettere a Lucilio e del pensiero di Seneca lo possiamo definire come quel luogo in cui è possibile morari secum, ovvero poter fermarsi a riflettere, ricordare, progettare. Comprendo come sia difficile accettare una simile prospettiva in un mondo che è segnato dalla velocità ed in una istituzione che aumenta di anno in anno il peso degli adempimenti, soprattutto di tipo formalistico. Lo scetticismo è d obbligo. Né in Italia vi è ancora la istituzione di momenti di pausa e studio come l anno sabbatico, da tempo previsti presso altre istituzioni europee. Eppure la creazione di un luogo altro, dove esercitarsi a traguardare le cose da un altro punto di vista e dove vi sia il primato del riflettere su quello del fare, appare una questione di sopravvivenza: per il singolo, prima ancora che per il gruppo. Che cosa è stato questo Corso, in definitiva? Un laboratorio di idee e indicazioni che è stato reso possibile da un gruppo di esperti e docenti che hanno fatto una scelta coraggiosa con la complicità di due Istituzioni. Esso comunque è di natura itinerante, indispensabile a reggere il peso di un lavoro così difficile come quello sulla sessualità e le fiabe. Se astraiamo per un momento dalle condizioni concrete in cui avete lavorato (presumibilmente irripetibili) appare chiaro che i luoghi, gli strumenti, le strutture usuali sono largamente inadatte allo scopo. Forse anche incapaci di concepirlo: una struttura rigida e fredda può accettare una forza dinamica, anche se nella forma della complementarità? Ne sarebbe devastata. Forze fredde e forze calde vi sono ovunque: non è un mistero che nella Scuola esse si combattano da molto tempo e che questo sia in generale un momento cruciale. Voi avete indicato nei fatti una via d uscita che ha implicazioni teoriche e pratiche. * Dimora. Vi sono numerose implicazioni, a fronte di grandi trasformazioni che riguardano la società nel suo complesso. Una riguarda il tipo di allievi con cui lavoriamo. L infanzia non ha subito trasformazioni sconvolgenti in questi ultimi decenni: i sommovimenti nella storia dell uomo sono lenti ed ancora più quelli della natura e del cosmo. Sono invece cambiate radicalmente le condizioni attorno ad essa: la famiglia, il numero degli figli, l habitat italiano ed europeo. Esaminiamone in breve un aspetto. La maggioranza delle allieve e degli allievi frequenta classi poco numerose, se paragonate a quelle frequentate dai loro padri; ma soprattutto proviene da famiglie mononucleari dove ci sono pochissimi bambini. Ne conseguono numerose solitudini: in casa, per la eccessiva preponderanza di adulti, quando sono presenti; nel borgo, nel quartiere, nel palazzo, per la assenza della vita di gruppo, dove avvenivano le prime forme di iniziazione alla vita. Il luogo privilegiato dove avviene l incontro con altri esseri umani della stessa età ed altezza è la Scuola ed è anche quello dove dimorano per più tempo: dai tre ai diciotto anni. Ne consegue che la Scuola è divenuta una dimora problematica. È investita oggettivamente di funzioni e compiti, desideri ed aspettative, che mai aveva dovuto sopportare. Certamente non è un luogo dove esclusivamente ci si istruisce. Sappiamo che è necessaria una nuova arte di educare: una autentica paidèia, alla cui creazione concorrano molte forze. Non sappiamo ancora in che direzione volgerà il suo destino. Esso dipende molto da quelle forze calde su citate, dalla loro capacità di istituire laboratori dove si coniughino prassi e teoria, dove sia possibile il pensare assieme ed il progettare assieme, prima che ciascuno faccia i conti con la sua specifica realtà. Un luogo a cui tornare ogni volta che lo si ritenga necessario. 5. Epilogo * Un viaggio. La parola che più colpisce nelle vostre pubblicazioni è itinerario, forse perché in sintonia con queste riflessioni. Rappresenta con efficacia il lavoro che avete fatto ed introduce l idea del lungo viaggio che la Istituzione scolastica in Italia deve ancora fare, ma soprattutto individua una grande metafora che ne sottolinea il carattere presente e futuro. Un pensiero itinerante si impone per noi che ci siamo assunti il compito arduo di educare nel tempo presente; tanto più che il suo esercizio è più vicino allo statuto di un arte che a quello di una scienza. Singolare assonanza con l arte di raccontare fiabe e con l uso degli strumenti offerti dalla psicoanalisi, sapere che non ha lo statuto di una vera e propria scienza. D altro canto non si può rispondere con il meccanicismo dei piccoli saperi alle domande radicali che ci vengono spesso rivolte. Con il formalismo delle burocrazie, poi, si può solo sopravvivere a sé stessi in modo grigio ed anonimo. Ogni viaggio comprende il periodo dell andare alla ventura, dove l imprevisto e le prove difficili sono la norma, dove sono necessari una grande preparazione ed un grande rigore. I viaggiatori medioevali, come Marco Polo e Odorico da Pordenone, si preparavano a lungo prima di affrontare gli spazi abitati dal meraviglioso e dal mostruoso. Prevede anche il momento del ritorno, come Odisseo alla sua Itaca, al porto dove si ritrova la identità originaria, e si riassume il ruolo che si era lasciato per un certo tempo, con le difficoltà inerenti alla osservanza del principio etico di responsabilità. Un pensiero itinerante deve, infine, usare più registri. Accanto al pensiero razionale va posto quello simbolico. Il primo assicura la distanza e la XXII XXIII

14 Psiche ed Eros Renzo Mulato misura; il secondo la vicinanza con il vissuto e con lo stato di meraviglia in cui il pensiero nasce. Se un lògos razionale e discorsivo mostra i suoi limiti di fronte all incommensurabile, il secondo consente di superare la contraddizione senza negarla, anzi dando ad essa una qualche espressione. Il bambino e l artista la aggirano attraverso il gioco: la dimensione ludica permette loro di sporgersi dentro l abisso senza precipitarvi; attraverso intuizioni folgoranti attraversano spazi che non sono consentiti ad un pensiero che proceda solo per rigide definizioni. Il loro sguardo obliquo sulle cose getta un ponte tra realtà diverse e lontane come due rive di un fiume. Che cosa è il simbolo se non un ponte tra realtà presente ed assente, una forma di integrazione della diversità? L armonia nascosta di cui parla Eraclito si esprime anche attraverso immagini, simboli. Il luogo privilegiato, dove questa azione pontica si dispiega, è il mito, è la favola. Del resto vi è un eco del mondo più in una forma di narrazione che in un discorso ben fatto. Al pensiero razionale compete la individuazione dei nessi della esistenza, ma per altra via. L uso dei due registri, in modo combinato, è presente nelle favole, che hanno sempre una loro perspicua forma di logicità. Costruiscono una foresta di simboli, ma non a caso. Mi piace concludere, a proposito, con l enigma nascosto nelle prime righe di una favola famosa, nella versione inventata da Perrault: Pollicino. C erano una volta un boscaiolo ed una boscaiola, che avevano sette figli, tutti maschi; il maggiore aveva dieci anni ed il più giovane soltanto sette. È presto spiegato come mai avessero avuto tanti bambini in così poco tempo: erano nati due per volta. a cura di Luigina Perosa «Introduzione a un questionario difficile perché riguardante luoghi poco indagati non contaminati dal logos». Proprio perché donne il percorso ha potuto avere luogo. Un percorso che facendosi si fa, da noi singole donne, con Lorena, nel riconoscimento della parzialità, verso una soggettività, dimora sempre in divenire. Costruendoci quasi nell atto concreto del nostro ricercare. Un passo avanti, due indietro: procedere per retrocedere a cercare, a indagare quei pezzetti di noi che cadono fuori dall ordine simbolico, per riappropriarci di quei segni, di quei frammenti di sensazioni, di quelle rappresentazioni che soli forse potranno condurci ad un nostro sentire, ad un nostro percepire, ad un altra possibile relazione fra noi e il mondo, ad un linguaggio fatto di parole che tutto ciò incorpora. Proprio l accesso a questo sentire e a questo linguaggio, mette in grado di accogliere l aggressività, la rabbia, le ferite affettive, la provocazione, il bisogno potente di cercare un posto nella tua testa, che ha un bambino per sentire che esiste. In tale terra di confine e in tale contaminazione, mi addentro tutti i giorni e forse proprio la mia NOSTALGIA ha saputo diventare un movimento verso il futuro, una passione per una nuova partenza. Questo il corso di formazione mi ha dato e ha dato a chi, come me, cercava. Le risposte al questionario lo attestano; le risposte non pervenutemi, attestano semplicemente la difficoltà e la sofferenza che la passione per la partenza porta con sé. * Perosa Luigina - docente di scuola elementare insegna matematica, storia e musica XXIV XXV

15 Intimità come evento Sette percorsi dell anima al femminile commentati da * Premessa Un insegnante** del 1 corso ha proposto a conclusione del biennio, un questionario da lei elaborato. La formulazione delle domande riprende i temi principali su cui si è basata la formazione ma, non solo. L intenzione era forse quella di dar voce alle intime corde che alcuni argomenti hanno toccato, facendo risuonare o vibrare accordi di pensieri, accenti di emozioni, insaputi accompagnamenti. Sei colleghe hanno risposto. A loro tutte va il mio commento, con gratitudine. Introduzione Per comprendere le domande del questionario, al fine di evitare malintesi teorici, è necessario trasferire alcuni contenuti su cui si è basata la formazione delle insegnanti. Uno degli aspetti principali ha riguardato la funzione della holding e della rêverie nell insegnante. La capacità di sognare, immaginare, dare forma e figura ai nuclei protomentali che il bambino esprime come rappresentazioni interne buie e insondabili, serve a ri-creare il paesaggio psichico dove lo spazio mentale diventa ponte, sponda, articolazione. Rêverie, dunque, come forma di pensiero e condizione per costruire quell unità che è, al tempo stesso, senso ed integrazione del soggetto. L altro aspetto ha riguardato il grado delle proiezioni che il bambino fa sull insegnante e che questa, a sua volta, riflette sul bambino. Il nodo di questa complessa tematica si è concentrato sulla capacità di tollerare il contenuto delle proiezioni. Il prototipo di questa funzione è rappresentato dalla relazione madre-bambino e dalla sua rêverie intesa come possibilità di trasformazione dei contenuti intollerabili in emozioni pensabili. Quando queste capacità ** Perosa Luigina - docente di scuola elementare insegna matematica, storia e musica *, psicologa clinica, conduttrice del corso di formazione XXVII

16 Sette percorsi dell anima al femminile Luigina Perosa Sette percorsi dell anima al femminile Luigina Perosa non sono minate, la mente della madre o dell insegnante svolge il ruolo di levatrice della mente del bambino grazie alla possibilità - secondo il modello proposto da Meltzer - di generare amore/ promuovere speranza/contenere la sofferenza depressiva/pensare. Quando dunque la mente della madre (maestra) è contenitrice, ella consente che il suo bambino (alunno) provi la sofferenza mentale (frustrazione-pena) poiché lei stessa gli fornisce la base per tollerare la pena e trasformare il dolore in immagine (allucinare il seno assente), in pensiero (sostituire l assenza concreta con la presenza simbolica), in parola (la parola mamma è presenza di un assenza). È la nascita al pensiero ed anche la base del processo evolutivo. Attorno a questi due assi concettuali si è svolta principalmente la formazione delle insegnanti. Commento Mi ha colpito, anche se non è strano, che solo sette insegnanti abbiano risposto al questionario proposto dalla loro collega. Sembra che in una fase primitiva del rapporto tra cultura orale e cultura scritta, quest ultima fosse considerata segno che uccide, che porta la rovina, che scrive la morte. L inchiostro, la pece della deltos (tavoletta) era la stregua di un liquido sessuale (i pharmaka delle donne) e quindi pericoloso, simile alle sostanze spalmate sui vestiti da Deianira e da Medea. La scrittura contamina chi la riceve, non chi la porta. Il segno pertanto deve appartenere al dominatore che, solo, può solcare, segnare, iscrivere, arare, seminare quella terra che è il corpo della donna. Sul palcoscenico della tragedia le donne hanno avuto voce solo attraverso la loro maschera indossata da uomini, cioè attraverso la mimesi maschile del femminile. La loro esistenza, tramandata dai testi della tragedia si è condensata, per secoli, nella riproduzione della passività che esse interpretavano come ruolo culturale. Il pensiero femminile dopo tanta storia, sembra ancora, a volte, vivere più nei recessi dell anima che nei luoghi della parola in cui dirsi. La donna, storicamente estromessa dal perimetro della polis, quando vi accede entra nell ordine del discorso assumendo del codice maschile le sue formule: la logica, la razionalità, la concettualità. Le parole che le appartengono appaiono relegate negli spazi dell invisibile, dell empatia, dell emozione, del maternale, trovando in essi la manifestazione per radicarsi come presenza senziente ma, si può dire, anche con assenza di logos. Qual è la difficoltà dell anima femminile a mostrarsi, a manifestarsi ed assumere visibilità? A tradurre cioè in pensiero compiuto di forma, l universo recettivo che la abita? Forse perché il logos è solo maschile? O forse perché esiste un pericolo che la parola in sé trasporta? La natura ama nascondersi - recita un frammento di Eraclito: physis kryptesthai philèi. Se il gesto di coprirsi è gesto femminile di pudore, quello di aprirsi è la nascita. Come Fedra, la luminosa creatura di Afrodite, che sigilla nella sua deltos (tavoletta ma anche triangolo pubico simile a una delta) le scritture più nascoste, così ogni donna chiude in sé l intimità e ne teme la scoperta. Portarla alla luce del sole è il coraggio di chi, come Fedra, non teme la propria rovina anche se nella parola genera il suo segreto. Gesto che apre, gesto di luce che fonda un dire, diverso da quello maschile, che viene dal fuori, dal sociale; l intimità - oscura chora del sentire - che diviene parola è donazione di senso in quanto incontro, non nel nome dell identità, rigido principio maschile, ma nel nome della singolarità, mera femminile capacità di dono che non pretende riconoscimento ma che è felice di portare vita. Non sottrazione, perdita e neanche affermazione di sé, ma evento di un puro darsi, che sorge e si dona agli altri nella visibilità del dirsi, non dell affermazione identitaria, che sempre si erige contro un nemico. È una scelta forte che, come Fedra ci dimostra, può evocare il caos dell inizio ma anche la differenza quale nascita alla propria singolare esistenza. Esplorare, entrare nell arché, comporta un rischio emozionale dovuto ad una componente ontologica originaria: c è un tempo ed uno spazio all origine di ogni cosa, di ogni esperienza, di ogni gruppo, intesa come caos, come disordine che si oppone all ordine. Dal caos originario nasce il cosmo, dal disordine nasce l ordine. Ri-cercare, conoscere, è un modo di trasgredire il velato, d insinuarsi nel celato. Il dubbio, la crisi, sono i frutti di questo cammino. Il dubbio nasce laddove l unità originaria si sdoppia, si divide, s interroga, si scopre ambivalente. È il momento più alto della propria ricerca, è tempo e tensione dell anima che osa uscire dalle frontiere dell interdetto e migrare verso orizzonti di luce. Trovare sé stessi, creare lo spazio per il pensiero, richiede fatica psichica. Bion diceva che bisogna assumere come dato ontologico l esperienza dell angoscia (della nascita-separazioneindividuazione-differenza), quale pre-condizione di ogni sviluppo. L angoscia può essere considerata una delle spinte organizzatrici delle forze psichiche, e la funzione del dolore - come riconosce l antica sapienza: to pathai mathos (Eschilo, Agamennone, 177) - permette al soggetto di sperimentare la propria capacità a crescere. Chi lavora con i bambini ha spesso la sensazione di non sapere, di non riuscire ad offrire aiuto, di essere impotente, di avere difficoltà a recuperare la propria funzione. Martha Harris ci ha lasciato queste sue parole: (chi si occupa di bambini) deve riuscire a tollerare di sentirsi piccolo e al buio perché è così che spesso i bambini si sentono ed è così che il bambino in noi si deve continuare a sentire se si vuole rimanere aperti alle meraviglie e alle avventure del mondo così come ai suoi rischi Chi, inoltre, lavora non solo con bambini ma con correnti di vita confuse, magmatiche, stolide, disturbate, sente una verità profonda ma scomoda: il compimento terapeutico è quello di raggiungere il dolore sottostante tenere lontano il dolore è un modo di tenere lontano il bambino stesso. XXVIII XXIX

17 Sette percorsi dell anima al femminile Luigina Perosa Sette percorsi dell anima al femminile Luigina Perosa stata (mi sono sentita) maggiormente in contatto con i bambini: li ho ascoltati quando evacuavano problemi, sogni, paure, incubi, preoccupazioni, bugie, sfide Li ho veramente ascoltati?, sono stata in grado di cogliere il vero messaggio che mi comunicavano?, ho saputo riconoscere le emozioni che mi trasferivano?, ho trasmesso confusione? Quanti dubbi!! Forse qualche volta sono riuscita a fargli sentire che c è una persona che prende in considerazione i loro grandi problemi ma, a volte, soprattutto alcuni bambini con i loro comportamenti di sfida, hanno scatenato in me sentimenti di rabbia, di rifiuto. Alla fine eccomi in crisi. Questionario e risposte elaborate dalle insegnanti Il corso La sessualità infantile e l arte della fiaba ha dato molto rilievo alla rêverie ( immaginare e pensare il bambino dentro di sé) e alla capacità da parte dell adulto di contenere ciò che nel bambino è irrapresentabile al fine di trasformare il non pensiero in pensiero, l informe in forma. Ritieni che il lavoro di questi due anni ti abbia aiutato ad identificare ed esprimere funzioni di contenimento? In quali situazioni? Per quali aspetti? A. Sicuramente il lavoro di questi due anni ha contribuito in maniera forte a far meglio precisare me e me stessa. L aver meglio identificato le funzioni di contenimento che quotidianamente in classe, e a casa come madre, mi trovo a mettere in atto, ha fatto sì che mi rendessi conto in modo più chiaro e cosciente, di quanto ciò mi sia difficile e di quanto poco io riesca a trasformare ciò che i bambini - e mi riferisco soprattutto a quelli che esprimono un maggior disagio e una maggior sofferenza - mi scaricano addosso. Ora credo di sapere meglio cosa un bambino cerca in me quando mi provoca, esprime la sua aggressività, disturba, è terrorizzato dal caos che ha dentro di sé. Tuttavia, il fatto che riconosco meglio le sue angosciose richieste, non mi porta sempre a rispondere in modo adeguato. È su questo che vorrei lavorare ancora. Credo che la funzione contenitrice che è insita nel mio essere insegnante/madre, sia l aspetto più difficile del mio lavoro e anche quello che maggiormente mi stanca. La mia difficoltà più grossa, non è tanto quella di accogliere le ansie e le sofferenze di un bambino con cui, purtroppo, entro anche troppo facilmente in relazione empatica; la vera difficoltà è emergere entrambi da questo pantano fusional-empatico, per aiutarlo a liberarsi dall incontenibile, per poterlo trasformare in ciò che può contenere-pensare-riconoscere B. Quando ho riletto (e non una, ma diverse volte) il questionario, non avevo dubbi: potevo rispondere alle richieste. Nel momento in cui ho deciso di prendere carta e penna sono andata in crisi (profonda). Ho riflettuto ancora sui significati di rêverie e contenitore : generare amore, promuovere la speranza, contenere la sofferenza, trasformare in pensiero ciò che nel bambino non è pensabile (evitando la confusione), essere contenitore. Ho messo giù gli attrezzi e ho preso a sbrigare altre faccende stavo però pensando a loro, agli alunni: quelli di quest anno e degli anni precedenti. Ho deciso di riprendere la penna. Ci sono state situazioni in cui sono C. Il lavoro di questo corso mi ha aiutato a chiarire alcuni dubbi, o quanto meno mi ha dato qualche risposta rispetto a comportamenti strani e non consueti di alcuni bambini. Ho sentito in alcune situazioni di essere riuscita nella funzione di contenimento ed in particolare con un alunno. Il percorso però non è semplice e non sempre riesco ad autocontrollarmi, ma dopo un anno e mezzo di lavoro, nonostante il mio atteggiamento forte sono riuscita a stabilire con lui un rapporto di fiducia. D. Penso che la funzione di contenimento non possa essere riconosciuta a sé stante la senti, la agisci nella quotidianità e forse non ti accorgi neanche. Personalmente, posso tentare di riconoscerla come situazione di benessere, solo dopo aver agito. E non sempre questo momento ha una valenza affettiva uguale all altra ma, forse, è troppo riduttivo. Non posso così rigidamente schematizzarla perché esistono, a mio parere, livelli diversi di contenimento a seconda della situazione che ti trovi a dover gestire, ai bambini con cui stai relazionando. Mi è difficile riconoscerla, o meglio, descriverla. Non sono sicura che una determinata azione possa essere riconosciuta come funzione di contenimento. Penso di poterla percepire come sensazione, ma penso che mi serva altro tempo per poterla possedere in modo del tutto consapevole. E. Il corso ha rappresentato, per me, un momento di riflessione rispetto al mio ruolo come donna, come madre e come insegnante. Non sempre mi è facile vivere questi ruoli con equilibrio e in modo appagante, perché diversi sono i livelli di coinvolgimento emotivo. Un maggior coinvolgimento emotivo, infatti, mi comporta una maggiore difficoltà nell accogliere e contenere il disagio dell altro, mentre se riesco ad essere al di sopra e al di fuori, separando le situazioni dalle emozioni, mi riesce più facile accogliere il disagio dell altro. Credo che, rispetto alla funzione di contenitore, le cose siano andate così. Ad un certo punto della mia vita ho scoperto a livello più o meno cosciente, di possedere questa funzione e l ho utilizzata nella relazione con me stessa e con gli altri. Questo esercizio l ha fatta crescere in un processo continuo e non concluso, attraverso prove, riprove, traguardi raggiunti, retrocessioni. A mano a mano che s affinava la capacità di contenere me stessa e gli altri, aumentava di pari passo la coscienza del possesso di questa funzione e della sua ricchezza come risorsa. D altro canto mi è anche chiaro che essa non è un bene da tenere solo per sé ma va messo al servizio degli altri per un benessere reciproco. In sintesi, il fatto di essere donna mi garantisce il possesso del contenitore, di essere madre e insegnante quello dell esercizio di questa funzione; il fatto poi che sia in continuo contatto con me stessa e con gli altri, mi garantisce, attraverso una serie di relazioni, la verifica continua della bontà della mia funzione contenitrice. Le emozioni che giornalmente mettono a dura prova il mio ruolo di contenitore sono soprattutto le provocazioni verbali o mimico gestuali, la rabbia, ilrancore Nel XXX XXXI

18 Sette percorsi dell anima al femminile Luigina Perosa Sette percorsi dell anima al femminile Luigina Perosa momento in cui qualcuno trasferisce, su di me, queste emozioni, generalmente sono in grado di distinguerle dalle mie, ma capita, anche, che le confonda con le mie se, in quell istante, sono emotivamente coinvolta. Nel momento in cui accolgo il disagio del bambino sono sicura che troverò il momento adatto in cui restituirgli in maniera accettabile ciò che poco prima era per lui impensabile. Nel momento in cui, invece, confondo e mescolo le sue emozioni con le mie, sarà solo dopo una riflessione postuma e un auto-analisi della situazione e del relativo comportamento, che subentrerà una presa di coscienza di ciò che è avvenuto. Qui, allora, nascono due esigenze: da una parte il desiderio immediato di una riparazione e dall altra un impegno ad affinare quel rifiuto che permetterà di individuare, in futuro, situazioni di questo secondo tipo per poterle, quindi, affrontare, dopo aver sgombrato l animo dalle emozioni. Il primo a trovare vantaggio dall esercizio della funzione contenitrice è senz altro il soggetto che la esercita. Posso affermare di trovare una grossa carica di benessere dentro di me, a mano a mano che questa capacità cresce e s affina; sento di averne bisogno per trovare entusiasmo, gusto di vivere, resistenza e perseveranza nell affrontare tutte le situazioni di vita quotidiana. Inoltre, ho bisogno di conferme positive rispetto a questo ruolo, anche dalle persone con cui entro quotidianamente in relazione. Certamente lo sforzo di far chiarezza dentro di sé per disporsi in atteggiamento di ascolto e di accoglienza dell altro, è costante, faticoso, e viene messo continuamente in discussione ma, ci vuole anche una buona dose di ottimismo per permettere di perseverare nel cammino intrapreso, anche in presenza di sconferme. F. L esperienza di questi due anni mi ha insegnato soprattutto ad essere più attenta e presente nelle situazioni in cui mi è difficile rispondere a dei bisogni che non siano in corrispondenza con i miei. Riconosco facilmente situazioni che anch io ho provato ed empatizzato con l alunno, rivelando comprensione e solidale complicità allorché senta di percepire le sue paure, l insicurezza, il bisogno di essere accolto nel momento critico. Mi accorgo che i bambini, soprattutto i più difficili, sanno trasferire in me i sentimenti che loro stanno provando. So, teoricamente, che questo è funzionale alla loro crescita, ma non riesco a non irritarmi, esplicitando la mia arrabbiatura, quando mi pongono di fronte al sentimento di disistima o di inutilità di ciò che propongo. Ciò avviene in particolare quando mi arriva il messaggio implicito: non mi piaci. Il lavoro fatto in questi anni, mi fa capire che questa disistima di sé, è ciò che muove quel bambino a comportarsi in modo da essere rimproverato, persino castigato, in nome di un gioco che ha appreso e che gli permette, ripetendolo infinite volte, di affermare, per ora, il suo essere in quello spazio e in quel tempo, in rapporto con gli altri. Capisco che la sua richiesta fondamentale è quella di sperimentare di sentirsi amato, ma non so in quali e quanti modi si possa dimostrarglielo e quante siano le volte che possano bastare per rassicurarsi. Penso che sarà lui l attore principale del suo teatro interiore e che molte volte, forse, deluderò le sue aspettative di quel momento. Dovrà riprovare ancora, fino a quando gli basterà. Questa affermazione mi fa toccare il mio limite e la consapevolezza che certi malesseri, hanno la loro ragione di esistere, senza voler ogni volta stabilire i confini tra ciò che è bene e ciò che non è bene sentire. Ho imparato che stanno a bada di qualcos altro che ancora non è in grado di affrontare e che in questo modo, sono salutari. Il lavoro ha reso più complesso il precedente concetto di SALUTE e, soprattutto, ho capito che per ogni individuo, tale concetto, assume delle sfumature diverse, in relazione al suo essere Persona Integrata e perciò, a sua volta Integrante. In questo percorso ho fatto i conti con il desiderio di onnipotenza, ossia di mettere tutte le cose a posto a modo mio, secondo il pensiero logico e razionalizzante di un adulta che vorrebbe far funzionare le cose al meglio possibile, come se bastasse un unica esperienza umana per riprodurre e moltiplicare i successi. Questo sarebbe possibile se ogni persona fosse intercambiabile, mentre ognuno di noi è unico. Ora sono più propensa a pensare che a quella bambina che sono stata e che porto ancora dentro in me, tutto è servito per essere quello che ora sono, e che il tempo di cui ho avuto bisogno è stato tutto giusto per portarmi dove sono, senza accelerazioni o spinte che non provenissero unicamente da decisioni mie. Ho capito che se si vuole, si può far sbocciare un fiore o maturare un frutto prima del suo tempo. Si può mangiare una fragola a gennaio ma, ha lo stesso sapore e profumo di quella maturata al sole di maggio? Potrò far sentire la mia vicinanza senza farla diventare intrusione? Riconoscere questo delicato confine? G. Penso che questo corso mi abbia dato l opportunità di comprendere la natura delle ansie che assalgono i bambini, la confusione e il caos che li pervade di fronte alla paura di essere derisi, criticati, minacciati, rifiutati, sentimenti questi che gli stessi adulti-insegnanti possono provare quando si trovano davanti un gruppo classe con ogni tipo di background, con classi difficili, turbolente, insomma impossibili Di fronte a queste situazioni, ho colto che è necessario capire il significato del comportamento dei bambini, imparare ad osservare ed ascoltare come questi ultimi cerchino di trovare una risposta dall insegnante per poter porre fine a tali angosce, trasferendo tutto nell insegnante sia con messaggi verbali che mimico-gestuali. Questo cammino mi ha reso più ricettiva all ascolto e all osservazione sul comportamento dei bambini, più cosciente di poter essere e diventare il contenitore di sentimenti forti che i bambini possono proiettare dentro di noi. Di fronte ad un bambino difficile che comunica con me per sbarazzarsi di una parte della sua personalità che genera il lui conflitti e angosce, mi rendo conto (solo ora) che solo quando sono in contatto con i suoi sentimenti e se partecipo emotivamente ai suoi stati d ansia posso comprenderlo e rispondere ai suoi bisogni. D altra parte non mi è sempre facile, anzi mi risulta spesso difficile tollerare sentimenti come il panico, la colpa, la disperazione e la depressione. Non mi è stato sempre facile sopportare l esperienza emotiva suscitata in me dai bambini, ma è stata ed è un esperienza interessante perché mi ha permesso e mi permette di riflettere sui sentimenti e sulla natura del mio dolore e mi rende capace di capire meglio me stessa e gli altri; ciò, credo, mi porterà ad una crescita personale e ad una maggiore abilità nel tollerare il dolore emotivo degli altri. Solo comprendendo il significato della comunicazione mi è possibile rispondere ed agire in modo più opportuno nei confronti dei bambini, e solo con queste esperienze significative io e i bambini possiamo sviluppare una maggiore capacità di tolleranza. L essere consapevole che posso/potrei essere usata come contenitore, talvolta mi spaventa perché non sono ancora abbastanza forte per liberarmi dai miei problemi con i quali è già abbastanza difficile lottare per poter prendermi carico dei problemi degli altri senza sentirmi un mero cestino di spazzatura, sentimento questo che impedirebbe al bambino di mettermi di fronte e combattere un conflitto doloroso. Ci vuole un atto di vero coraggio per agire responsabilmente come contenitore e iniziare a compiere un duro lavoro mentale per crescere come persone aperte e pronte all ascolto. La funzione di contenimento, come capacità di tollerare il dolore messo XXXII XXXIII

19 Sette percorsi dell anima al femminile Luigina Perosa Sette percorsi dell anima al femminile Luigina Perosa dentro di noi senza venirne oppressi, di trasmettere al bambino la sensazione che esiste qualcuno capace di contenere questa temuta parte di sé senza andare in pezzi, permette al bambino di interiorizzare un modello di adulto-contenitore capace di contenere questo aspetto di sé, rendendo più accettabile il suo mondo emotivo. È per questo che ritengo che il compito dell insegnante sia anche quello di agire come contenitore temporaneo delle angosce dei bambini nei momenti difficili.. Dobbiamo tutti, perciò, acuire la nostra capacità di osservazione, comprendere il significato dei comportamenti dei bambini, essere più ricettivi, più aperti nei confronti delle comunicazioni emotive degli altri. Questo ci dà modo di rielaborare l esperienza emotiva della nostra fanciullezza, di riflettere sulle esperienze dolorose che i bambini evocano in noi, e coglierne il significato. Compito arduo ma necessario, perché il fine dell educazione consiste nel promuovere personalità capaci di realizzare delle esistenze libere, coscienti, responsabili, sviluppare in loro atteggiamenti di rispetto, di tolleranza, di impegno, realizzare l autonomia personale dei bambini. È in questo obiettivo educativo-formativo che si declina il ruolo della fiaba da noi usata per esorcizzare incubi, paure, inquietudini sepolte nell inconscio per mettere il bambino di fronte alle sue insicurezze, alle sue reali difficoltà della vita, con un linguaggio fantastico, quello della fiaba che è l unico da lui raggiungibile e livello profondo. Un mondo che mi ha fatto rivivere esperienze ed emozioni forti, forse lontane, ma ancora vive in me perché significative e cariche di valore. Trasformare ciò che nel bambino è poco contenibile e rappresentabile, ti ha aiutato a definire meglio il tuo e suo mondo emotivo? C. A volte ci riesco dipende molto anche da come mi sento io in quel preciso momento in cui il fatto accade. Se non sono stanca fisicamente o preoccupata e nervosa per motivi che possono essere i più vari, mi rendo conto di riuscire ad accogliere disagio ed aggressività. Altrimenti, il più delle volte rispondo con altrettanta aggressività, cercando di recuperare poi quando mi sono calmata, so che non è produttivo, ma penso che sia umano. Senti di essere in grado di accogliere, a volte, l aggressività, la rabbia di un bambino? A. Sento di essere, molto spesso, in grado più di accogliere disagio, aggressività, rabbia di un bambino, che di dare a queste emozioni la forma di pensiero. Molte volte restano in me e in lui, uniti in una sofferenza condivisa. Quasi che le parole che uso per colmarle, io stessa per prima le ritenessi non abbastanza o inadeguate per poter calmare o trasformare una sofferenza così grossa. C. Alcuni bambini cercano di attirare l attenzione su di sé perché non si sentono ascoltati nell ambito familiare. L insegnante diventa una persona da sfidare e allo stesso tempo un punto fermo a cui far riferimento. Queste sono le situazioni che mi è più facile individuare e in cui cerco di avere una funzione di trasformazione. Non è semplice comunque staccarsi dalle proprie emozioni e non essere coinvolta emotivamente dal gioco che il bambino ti impone. D. Non penso, ripeto, che possa essere identificabile con una sola azione, ma con un PROCESSO, riconducibile per il bambino, ad un processo di crescita consapevole e trasparente. Non penso che sia così automatica la trasformazione in una forma più completa di pensiero, è sempre un processo in evoluzione, mai fermo e sempre arricchito ogni giorno nella quotidianità di elementi che fanno parte delle due o più persone che entrano in relazione. Tenendo presente il ruolo del contenitore, quali sono le emozioni dei bambini che maggiormente ti richiamano ad una funzione di trasformazione? Ti è facile riconoscere le emozioni che il bambino ti trasferisce distinguendole dalla tue? A. Premetto che non sempre mi è più facile distinguere le mie emozioni da quelle di un bambino, come emerge dalle mie risposte precedenti. Ciò con cui mi trovo più in difficoltà, sono le emozioni, sempre manifestate in modo forte, provocatorio e doloroso, di quei bambini che vivono esperienze di separazione, di perdita, di lontananza. Mi è successo, alcune volte, di piangere con loro. So che un buon contenitore2 quale dovrei essere, non fa così; so che ci dovrebbe essere l esperienza escatologica della trasformazione, ma anch io vivo ancora la stessa angoscia. Anch io in quei momenti, evidentemente, mi rappresento nel mio teatro psichico, le mie separazioni ancora sanguinanti, evidentemente mai trasformate, mai elaborate. Come posso aiutare un bambino? C. Il corso mi ha chiarito alcuni dubbi e mi ha aiutato a relazionare in modo più consapevole con alcuni elementi problematici, soprattutto ad affrontare l anno scorso con la classe V argomenti di tipo sessuale con maggiore serenità. D. Tutte le situazioni di conflitto con sé o con gli altri in cui un bambino si trova quotidianamente a confronto, sono degne di attenzione per una funzione di contenimento da parte nostra o del bambino stesso per sé. Sta a noi vedere quando e come intervenire, pensando all autonomia del bambino o al bisogno dell intervento dell adulto. Non sempre è facile distinguere le proprie emozioni da quelle degli altri, però questo fa parte del gioco. Con questo voglio dire che se vuoi esserci nella relazione devi metterti nell altro attraverso le sue emozioni. Importante è sapersi fermare, osservare e ascoltare. Ti sembra che il corso ti abbia aiutato a ESSERE maggiormente in contatto con te stessa e con i bambini? A. Credo che il corso mi abbia aiutato ad essere maggiormente in contatto con me stessa; me ne rendo conto quando mi pongo il problema di come rispondere a ciò che un bambino mi chiede. Cerco di far chiarezza dentro di me su quelle che sono le mie emozioni e quelle che sono le sue. Per me, più che un lavoro su viaggio del cibo o viaggio del pensiero, come emerge dai lavori di molte colleghe, è stato un viaggio dentro di me, in cui la dott.ssa Fornasir mi ha accompagnata. Si è sempre troppo soli in questi viaggi. Per fortuna questa volta non è stato così. Vorrei che tutte le insegnanti, visto il ruolo che abbiamo quotidianamente, potessero avere la possibilità di riflettere su questi aspetti. XXXIV XXXV

20 Sette percorsi dell anima al femminile Luigina Perosa C. Si più volte e anche con il piacere di ricevere risposte ad interrogativi sui miei comportamenti da bambina e sul mio rapporto con i genitori. D. Un grande merito ha avuto questo corso, mi ha aiutata ad essere maggiormente consapevole delle dinamiche che entrano in gioco nella relazione con gli altri e nell ascolto di me stessa e dell altro Parte Prima a cura di Credi, in questo percorso, di essere riuscita almeno qualche volta, ad esplorare aspetti della tua personalità e a rivisitare luoghi della tua infanzia? Credo proprio che questa esplorazione di aspetti della mia personalità, sia stato l aspetto dominante del lavoro di questi due anni. Indirettamente, spesso mi è successo di rivisitare luoghi della mia infanzia, poiché sempre più mi è chiaro, quanto quella bambina che sono stata giochi ancora nel mio rapporto con i bambini e nelle mie relazioni. Il percorso formativo: l immaginazione pensante * D. Spesso ho lavorato interiormente, confrontandomi con il mio modo di agire, penso che sia l unico modo per essere consapevoli. È stato un bel viaggio e mi piacerebbe esplorare ancora. Metodologia della Formazione Il Progetto del I (a.sc. 1997/1998 e 1998/1999) e II Corso (a.sc.1998/1999) per insegnanti delle scuole elementari sulla tematica della sessualità infantile ha inteso rispondere ad alcuni obiettivi: riconoscere al pensiero infantile la peculiarità della sua competenza percettiva e di giudizio stabilendo, di conseguenza, in modo imprescindibile questo punto come partenza per qualsiasi costruzione teorica; trasmettere strumenti di conoscenza teorici sulle principali caratteristiche psicoevolutive della prima e seconda infanzia formulare una didattica che valorizzi l immaginazione come forma di pensiero, rapportando la creatività alla dimensione comunicativa e di relazione fra i soggetti Inquadramento teorico del Progetto L aspetto della sessualità infantile è stato trattato come parte integrante dello sviluppo dell intera personalità del bambino, in modo da evitare quella separatezza tra corpo e mente che la frammentazione dei vari saperi propone, inducendo una scissione delle componenti relative alla sfera evolutiva. La sessualità, infatti, non può essere considerata un dato biologico poiché non coincide con il corpo ma dovrebbe rappresentare l integrazione della psiche con il soma, dell emozione con il comportamento, della realtà psichica interna con la realtà esterna. Per meglio comprendere i significati di questa ottica d intervento in riferimento ai vari modelli pedagogici, è opportuno illustrare le tendenze che tuttora caratterizzano gli orientamenti in merito alla sessualità. Tendenze relative alla pedagogia sessuale Nell ambito della pedagogia sessuale, la visione biologico meccanicistica appartenente ad alcune scienze quali la biologia, l anatomia, la fisiologia, la medicina, ha creato l equivoco di trattare il corpo come una funzione di apparati. *, psicologa clinica, psicoterapeuta, conduttrice del I e II corso di Formazione su La sessualità infantile e l arte della fiaba XXXVI XXXVII

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