Istituto Agrario di San Michele all Adige. Corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia

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1 Università degli Studi di Udine Facoltà di Agraria Università degli Studi di Trento Facoltà di Ingegneria Istituto Agrario di San Michele all Adige Corso di Laurea in Viticoltura ed Enologia Tesi di Laurea Sopravvivenza di microrganismi antagonisti dell oidio della vite in condizioni di campo Relatori: Dott.ssa Ilaria Pertot Prof. Ruggero Osler Laureando: Nicola Butterini Correlatore: Dott. Dario Angeli Anno Accademico 2006/2007

2 Indice Abstract/Riassunto pag. 2 Introduzione L oidio della vite pag. 3 La difesa contro l oidio pag. 4 I microrganismi antagonisti dell oidio pag. 6 I funghi filamentosi e lievitiformi pag. 7 Gli acari micofagi pag. 10 I batteri fitopatogeni pag. 11 La sopravvivenza dei batteri nella fillossera pag. 13 Scopo della tesi pag. 15 Materiali e metodi pag. 16 Risultati e discussioni pag. 20 Conclusioni pag. 29 Ringraziamenti pag. 30 Bibliografia citata pag. 31 1

3 Abstract Powdery mildew is one of the most common and aggressive grapevine diseases. The causal agent is a biotrofic fungus Erysiphe necator and it attacks all green plant tissues. The symptoms are easily recognizable because of their dusty appearance on the leaves and berries. The disease is nowadays excellently controlled by chemical products that are effective and cheap. Although these fungicides are efficacious, they may be toxic for animals, floras and humans. To reduce the use of pesticides, alternatives to chemicals for controlling powdery mildew, as mycophagus mites, bacteria, epiphytic yeasts and filamentous fungi, have already been studied. They are effective, but environmental conditions greatly influence their survival. For this reason it is very important to evaluate the survival of microorganisms under real field conditions. This experiment focused on two microorganisms: an epiphytic yeast, coded as Y13, isolated in Israel and a bacteria Pseudomonas sp., coded as B1, isolated in Italy, both potential antagonistic against powdery mildew. The survival was evaluated in two periods of time: May and July. The results underline the good capability of both microorganisms to survive in spring, while in summer only the epiphytic yeast Y13 gave satisfactory results in term of survival. For this reason we hypothesise that the latter could be used as biocontrol agent against E. necator in the future. Riassunto L oidio della vite è una delle malattie più diffuse e aggressive al mondo. L agente causale è un fungo biotrofo Erysiphe necator ed attacca tutte le parti verdi della pianta. I sintomi sono facilmente individuabili sulle foglie e sui grappoli con la comparsa di un efflorescenza biancastra e polverulenta. Attualmente la difesa da questa malattia è ottimamente effettuata mediante l impiego di prodotti chimici di sintesi che risultano efficaci ed economici. Questi fungicidi rilasciano però nell ambiente residui tossici per la flora, la fauna e per lo stesso essere umano. Per limitare al massimo l uso di questi prodotti sono state studiate e sono oggetto di studio nuove tecniche di difesa. Nella lotta biologica vengono usati specialmente microrganismi antagonisti: acari micofagi, lieviti, batteri e funghi filamentosi, che sono efficaci, ma spesso le condizioni climatiche e l ambiente dove vivono incidono pesantemente sulla loro sopravvivenza. Quindi è fondamentale valutare la capacità di sopravvivenza di questi microrganismi nelle reali condizioni di campo. Nella presente tesi è stata valutata la sopravvivenza, in due periodi diversi (maggio e luglio), di due potenziali microrganismi antagonisti dell oidio della vite: un lievito epifita (Y13) isolato in Israele e un batterio Pseudomonas sp. (B1) isolato in Italia. Dai risultati ottenuti si è constatato che entrambi i microrganismi sopravvivono molto bene nel periodo primaverile, mentre in quello estivo solo il lievito epifita (Y13) ha dato risultati soddisfacenti. È lecito perciò ipotizzare che quest ultimo potrà essere in futuro utilizzato nella lotta biologica contro E. necator. 2

4 Introduzione L oidio della vite L oidio della vite, conosciuto anche con il nome di mal bianco, è normalmente presente nei vigneti della penisola italiana, specie nell Italia meridionale. Negli ultimi anni l oidio ha subito un forte incremento anche in provincia di Trento destando, in certe annate, maggior preoccupazione della peronospora, considerata tradizionalmente la malattia più frequente nei vigneti del nord Italia. L agente causale di questa malattia è un fungo ascomicete, Erysiphe necator (Schwein.), parassita obbligato delle Vitaceae ed, al pari della peronospora, è da considerarsi una malattia in grado di causare gravi conseguenze sulle potenzialità produttive e qualitative della vite. Questo patogeno non penetra all interno dei tessuti fogliari, ma resta sulla loro superficie, aderendoci tramite degli oppressori; successivamente il fungo svilupperà gli austori che sono gli organi responsabili dell assorbimento delle sostanze nutritive dalle cellule della pianta che sono necessarie per il completamento del suo sviluppo. I danni diretti od indiretti sono molteplici e sono determinati dalla capacità del patogeno di colpire tutti gli organi verdi della vite. I sintomi più visibili sono sulla foglia e sui grappoli dove si nota la comparsa rispettivamente di efflorescenza polverulenta e spaccatura degli acini (Fig.1, 2). Quest ultima è dovuta alla suberificazione delle cellule colpite che, perdendo elasticità e non riuscendo a sostenere lo sviluppo in volume dell acino, provocano la sua spaccatura e ciò rende il grappolo facilmente attaccabile da altre malattie quali la muffa grigia (Botrytis cinerea). Fig.1 - Muffa bianca sulla superficie fogliare Fig. 2 - Spaccature su acini colpiti da oidio 3

5 Anche nei casi più gravi l oidio non porta mai direttamente a morte la pianta, ma ne riduce fortemente lo sviluppo vegetativo e la capacità sia produttiva che qualitativa. Sotto l aspetto qualitativo, infatti, l azione parassitaria del fungo riduce la fotosintesi e, a causa dell infezione, aumentano la respirazione e la traspirazione; ne consegue un ulteriore depauperamento delle sostanze nutritive. La riduzione dell accumulo di zucchero (causato dal decremento dell attività fotosintetica) si ripercuote direttamente sullo sviluppo della pianta e sull accumulo di riserve energetiche per la stagione successiva. In casi gravi, la presenza della malattia sul grappolo rende impossibile la sua commercializzazione. Nel caso dell uva da vino i grappoli colpiti da oidio hanno una resa in mosto inferiore a quelle sane, con una percentuale di zuccheri più elevata ed una maggiore presenza di acidità volatile che predispone il vino a gravi alterazioni organolettiche (Angeli e Pertot, 2007). La difesa contro l oidio Lo zolfo è il mezzo più economico ed utilizzato in agricoltura sin dalla seconda metà del XIX secolo. La sua azione danneggia diversi aspetti della biologia del fungo: penetra nella cellula fungina grazie alla sua liposolubilità ed agisce danneggiando la membrana cellulare e determinando la fuoriuscita dell acqua. La morte del fungo avviene quindi principalmente per disidratazione. A differenza del rame, lo zolfo non ha limitazioni al suo impiego, anche se le discussioni su una sua futura restrizione sono frequenti a causa di diversi fattori: tossicità nei confronti dell uomo e dell entomofauna utile, fitotossicità nei confronti dei tralci in presenza di temperature elevate, problemi di interferenza sul processo di fermentazione ed infine eccessive concentrazioni che si potrebbero rinvenire nel prodotto finale. Oltre allo zolfo, anche gli Inibitori della Biosintesi degli Steroli (IBS) sono sostanze estremamente efficaci contro l oidio e numerosi altri funghi fitopatogeni. Gli IBS agiscono sul fungo inibendo lo sviluppo del micelio e dei rami conidiofori. Per questi fungicidi esiste il pericolo dell insorgenza di fenomeni di resistenza, perciò è bene utilizzarli non più di tre volte l anno, alternandoli con principi attivi con diversi meccanismi d azione. Per quanto riguarda la difesa biologica contro l oidio, la ricerca si sta spingendo verso l individuazione di prodotti naturali a bassissima tossicità e velocemente degradabili (Pertot et al., 2005). Tra questi vi è un nemico naturale dell oidio: Ampelomyces 4

6 quisqualis Ces., è un fungo deuteromicete appartenente alla famiglia delle Dematiaceae. A differenza di altri antagonisti, come Trichoderma spp., che producono sostanze antimicrobiche, inducono resistenza nella pianta o competono per nutrienti e spazio con il patogeno, A. quisqualis agisce come vero e proprio iperparassita vivendo a spese del fungo patogeno. A. quisqualis invade il citoplasma delle cellule dell oidio causandone una rapida degenerazione. Cresce internamente a ife, conidiofori e giovani cleistoteci dell oidio, distruggendo quindi sia lo stadio sessuato che quello asessuato dell oidio e producendo i suoi corpi fruttiferi (picnidi). La penetrazione è sia enzimatica che meccanica: nel punto di penetrazione si forma una specie di appressorio e sono prodotti enzimi litici. Dopo la penetrazione A. quisqualis continua la sua crescita internamente alle ife dell oidio producendo i suoi picnidi dopo circa 5-8 giorni (Fig.3). A. quisqualis non produce composti fungitossici, ma distrugge lentamente le colonie di oidio, processo che richiede non meno di 5-7 giorni (Jarvis e Slingsby, 1977). Fig. 3 - Cleistoteci di oidio parassitizzati dai conidi di Ampelomyces quisqualis. Se la sporulazione dell oidio è molto intensa difficilmente A. quisqualis è in grado di fermarla completamente. Uno specifico ceppo di A. quisqualis, isolato in Israele, è stato formulato e commercializzato con il nome di AQ10. Attualmente rappresenta l unico fungicida disponibile sul mercato che può essere utilizzato contro l oidio della vite in alternativa allo zolfo. In realtà è auspicabile un impiego integrato di zolfo ed AQ10, poiché il solo micoparassita non garantisce un efficace protezione della vegetazione (Angeli et al., 2006). Questo mezzo di controllo biologico dell oidio presenta una molteplicità di vantaggi rispetto al tradizionale zolfo: è in grado di attaccare i cleistoteci svernanti, è selettivo nei confronti degli ausiliari (fitoseidi), non è fitotossico, non lascia 5

7 residui, non interferisce in alcun modo con i processi di vinificazione ed infine è assolutamente sicuro sia per l operatore agricolo, sia per l ambiente. Una forte limitazione nelle applicazioni di AQ10 nel vigneto è però rappresentata dalla esigenza dell organismo di particolari condizioni climatiche, in particolare non tollera temperature troppo elevate ed esige alta umidità relativa. Per tal motivo il prodotto commerciale deve essere miscelato con un olio estivo o con un coadiuvante per evitare la disidratazione delle spore (Benuzzi e Baldoni, 2000). I microrganismi antagonisti dell oidio I microrganismi antagonisti sono microrganismi presenti in natura che possono contenere la crescita del patogeno, mantenendo la sua presenza al di sotto della soglia di danno economico, sono cioè degli antagonisti che non eliminano totalmente il parassita, ma ne limitano lo sviluppo (Kiss, 2003). A causa dell uso intensivo di fungicidi nella difesa antioidica e della capacità di E. necator di sviluppare resistenze agli antiparassitari risulta importante studiare degli approcci biologici al problema del contenimento di questa malattia. Alcuni microrganismi con azione antagonista (funghi, lieviti e batteri) sono già presenti sul mercato e sono utilizzati con successo anche in viticoltura biologica. Funghi parassiti o antagonisti, tra cui Verticillium lecanii, A. quisqualis, Sporothix flocculosa e Tilletiopsis pallescens, sono stati esaminati per la loro abilità di sopprimere l oidio della vite e altre malattie. Ci sono però degli ostacoli sull uso di questi microrganismi. Infatti, gli agenti sopra indicati devono essere applicati ripetutamente e richiedono condizioni ambientali opposte a quella preferite dall agente causale dell oidio. In particolare essi prediligono alta umidità relativa (> 80%) o superficie bagnata per la loro crescita e riproduzione. Infine, essi sono sensibili agli stessi fungicidi usati per il controllo dell oidio e possono quindi essere uccisi con i normali trattamenti antiparassitari. Attualmente, per il controllo dell oidio della vite, oltre al fungo iperparassita A. quisqualis contenuto nel prodotto AQ10, non esistono altri prodotti di questo tipo disponibili sul mercato. In natura esistono però numerosi microrganismi efficaci nell inibire la germinazione dei conidi e nel ridurre le infezioni di oidio. Contro l oidio essi rappresentano una potenziale alternativa all utilizzo dello zolfo e dei fungicidi di sintesi, non solo in 6

8 agricoltura biologica, ma anche in quella convenzionale. I funghi filamentosi e lievitiformi Il fungo ascomicete Trichoderma harzianum è aggressivo contro diversi patogeni tra cui l oidio della vite (Fig.4). Esso è in grado di utilizzare una grande varietà di nutrienti, vive ovunque (dai tropici all Antartico) e soprattutto è molto resistente alle tossine, sia naturali che artificiali. Specie diverse di Trichoderma vengono anche utilizzate in agricoltura ed in campo industriale per la produzione di proteine, biofertilizzanti e biostimolanti. Questo è possibile perché i propaguli di Trichoderma possono essere prodotti a basso costo ed in grandi quantità, sia in fase liquida (acqua o olio), sia in fase solida (granuli) Fig. 4 Rami conidiofori del fungo Trichoderma harzianum. Questo fungo interagisce non solo con altri microrganismi ma soprattutto con le piante e con i componenti del suolo. Infatti, i Trichoderma spp. hanno la capacità di modificare il metabolismo delle piante e di indurre delle resistenze agli stress biotici ed abiotici, per questo vengono utilizzati anche per migliorare il fitness delle piante e aumentare l abilità di alcune piante nella degradazione di composti tossici (Woo et al., 2006). Vengono inoltre utilizzati per indurre la crescita della pianta, infatti alcune molecole del fungo possono fingersi ormoni e stimolare la crescita, oppure come elicitori di 7

9 resistenze della malattia Trichoderma spp. inducono resistenza sistemica alle malattie producendo molecole che sono percepite dalla pianta come segnali di allerta. L abilità di Trichoderma spp. di attivare sistematicamente meccanismi di resistenza contro funghi patogeni è stato dimostrato in diversi studi scientifici. Questi funghi sono capaci di modificare positivamente la reazione o risposta di più di 10 specie di dicotiledoni e monocotiledoni, incluse graminacee, alle infezioni di funghi (Botritis cinerea, Phytophthora spp., ecc.), batteri (Pseudomonas syringae, ecc.) e anche virus (virus del mosaico su cetriolo). Molti di questi esperimenti dimostrano che la colonizzazione radicale o fogliare di Trichoderma spp., classificati come T. harzianum, T. virens, T. atroviride e T. asperellum, riducono lo sviluppo di sintomi causati da uno o due patogeni differenti applicati separatamente in un sito diverso da quello del fungo di biocontrollo. Recentemente è stato riportato da alcuni autori che ife di Trichoderma penetrano nella corteccia della radice, anche se la colonizzazione è limitata ai primi pochi strati di cellule, probabilmente a causa di una risposta locale del tessuto della pianta. Trichoderma sp. è capace di produrre almeno tre diversi tipi di elicitori: elicitori quali enzimi o peptidi, proteine avr e oligosaccaridi o composti a basso peso molecolare rilasciati dall azione di specifici enzimi di Trichoderma su pareti cellulari di funghi e piante. Il primo tipo di elicitori inducono nella pianta la biosintesi di composti terpenici, fitoalessine e perossidasi. Si pensa che tra gli elicitori di Trichoderma ci siano anche delle proteine che il fungo usa per le sue attività micoparassitiche e antagonistiche, come quelle chitinasiche e glucanasiche. In poche parole, percependo i metaboliti del Trichoderma, la pianta può essere avvisata della battaglia che si sta svolgendo nella rizosfera e quindi può attivare il sistema di difesa prima o immediatamente dopo l attacco. Questo può migliorare l abilità della pianta di riconoscere potenziali patogeni. Un altro iperparassita dell oidio è il fungo lievitiforme Verticillium lecanii. Esso possiede una doppia capacità di azione contro l oidio, ovvero di antibiosi e parassitismo. Infatti le ife di V. lecanii possono penetrare direttamente le spore di E. necator oppure agire tramite un appressorio senza causare una vera e propria penetrazione. Successivamente le spore eventualmente infettate si contraggono e muoiono (Heintz e Blaich, 1990). É stata provata anche una candidatura di V. lecanii nel biocontrollo dell oidio del cetriolo (agente patogeno: Sphaerotheca fulginea) (Verhaar et al., 1997), che ha dato ottimi risultati. Il meccanismo d azione è sempre quello di 8

10 antibiosi e parassitismo: la penetrazione avviene dopo l indebolimento delle cellule patogene per opera di sostanze antifungine (Bélanger e Labbé, 2002). Un altro microrganismo antagonista dell oidio presente nella fillosfera è il lievito naturale Tilletiopsis pallescens. Il suo principale meccanismo d azione è l antibiosi (Urquhart e Punja, 2002) seguita da fenomeni di saprofitismo (Bélanger e Labbé, 2002), visto che le ife di T. pallescens invadono solo le cellule già morte del patogeno (Hoch e Provvidenti, 1979) e fenomeni di micoparassitismo (Hijwegen e Buchenauer, 1984). Esso è stato anche sperimentato per il controllo biologico contro l oidio della rosa (agente causale: Sphaerotheca pannosa) ed ha dato risultati positivi riducendo di circa 97-98% le sporulazioni di oidio in seguito a tre applicazioni di una sospensione di spore fungine (K. Ng e MacDonald, 1997). La capacità di questo lievito di sopprimere efficacemente l oidio è dovuta all azione di enzimi idrolitici ed esteri degli acidi grassi che causano la distruzione delle cellule del patogeno (Hajlaoui et al., 1994; Benyagoub et al., 1996). Un altro fungo lievitiforme antagonista dell oidio è Pseudozyma flocculosa, un deuteromicete con elevata attività antioidica. É stato osservato che esso induce un rapido collasso delle catenelle di conidi del patogeno e la disgregazione della parete cellulare del fungo (Avis e Belanger, 2001). L agente di biocontrollo produce acidi grassi extra-cellulari con proprietà antifungine che causano il rilascio di ioni intracellulari e proteine, distruggendo quindi le proprietà e le funzioni della membrana citoplasmatica (Avis et al., 2000). Può addirittura distruggere il suo ospite in meno di 24 ore e questa sua caratteristica gli consente di essere considerato un ottimo candidato come agente di biocontrollo dell oidio (Hajlaou et al., 1994). Il meccanismo di interazione sembra essere quello di anabiosi e/o di produzione di enzimi idrolitici. Questi composti inibiscono la germinazione e la crescita del fungo patogeno, influenzano l integrità della membrana plasmatica, inducono la fuoriuscita di elettroliti e proteine e infine causano la morte della cellula. Comunque il bersaglio primario dei metaboliti di P. flocculosa sembra essere la membrana plasmatica. Anche il fungo Aureobasidium pullulans (de Bary) ha dimostrato significative attività antagoniste nei confronti di vari patogeni su diversi tipi di colture. Ottimi risultati si sono avuti per esempio contro B. cinerea; è stato, infatti, dimostrato che, se impiegato in frutteti in combinazione con ridotte dosi di benomyl, può essere molto efficace e 9

11 consente il controllo della malattia, allungando la vita della pianta. I meccanismi che giocano un ruolo significativo nell attività di biocontrollo di questo microrganismo sono la competizione per spazio e nutrienti, l anabiosi e l attivazione delle difese naturali dell ospite (Castoria et al., 2000). La presenza di nutrienti esogeni sulla superficie fogliare riduce significativamente l attività antagonista di A. pullulans; questo si può attribuire al fatto che la competizione per i nutrienti sembra giocare un ruolo fondamentale nell attività del microrganismo e quindi l aggiunta di nutrienti può permettere al patogeno di superare gli effetti di antagonismo. A. pullulans non è in grado di produrre sostanze antibiotiche, caratteristica indesiderata negli agenti di biocontrollo perché creano lo sviluppo di resistenze da parte del patogeno e per le imprevedibili conseguenze che possono avere sulla salute dei consumatori. Fino ad ora non sono state notate interazioni fisiche dirette di A. pullulans nell inibizione della malattia (studio su B. cinerea) In conclusione A. pullulans sembra non produrre sostanze antibiotiche e non sembra avere interazioni dirette delle sue cellule con le ife del patogeno. Il meccanismo di inibizione della malattia è appunto la competizione per i nutrienti. Gli acari micofagi Recentemente è stato scoperto un acaro, Orthotydeus lambi (Baker) avente la capacità di inibire efficacemente lo sviluppo dell oidio. O. lambi è una specie comune di acaro tideide; lo si può trovare in molte specie di piante perenni. La famiglia degli afidi al quale appartiene O. lambi si riferisce a quella che si nutre di funghi, polline, e piccoli artropodi. Gli acari tideidi si trovano in numerosi habitat inclusi muschio, foglie, fusto e corteccia. O. lambi utilizza parti dell apparato boccale specializzati nel succhiare nutrienti ed è stato dimostrato che infligge considerevoli danni a E. necator attraverso lesioni arrecate alle ife ed ai conidi del fungo. Uno studio di campo durato diversi anni ha dimostrato che le popolazioni di O. lambi sono fortemente influenzate dalla morfologia fogliare, in particolare dalla presenza e dalla quantità di domatia (depressione sulla foglia nelle vicinanze delle vene principali, parzialmente occluse da tessuto fogliare e peli fogliari) (Norton et al., 2000; Murru, 2007). Le specie con tanta domatia sostengono una popolazione maggiore di O. lambi di quelle che ne sono privi oppure che ne hanno poca (English-Loeb et al., 2007). Si è 10

12 anche dimostrato che la suscettibilità nei confronti della malattia varia molto da varietà a varietà (maggiore presenza in V. vinifera mentre V. labrusca è stata quella meno colpita dalla malattia), sia per le infezioni fogliari che per quelle ai grappoli. Su questi ultimi la malattia, utilizzando O. lambi, si è ridotta addirittura del 92%. Si è inoltre concluso che, sulla specie più suscettibile, ovvero V. vinifera, il fungicida impiegato da solo spesso sopprimeva meno l oidio sui grappoli rispetto al trattamento degli stessi con O. lambi. Va ricordato che lo zolfo è molto tossico per O. lambi. In genere quest ultimo è molto presente nelle zone limitrofe del vigneto, mentre in campo è più raro,; questo è probabilmente dovuto all uso di pesticidi usati comunemente in viticoltura. Insieme allo zolfo anche mancozeb e l insetticida a base di carbaryl sono molto tossici e quindi incompatibili con la popolazione di O. lambi. Un altro limite all impiego dell acaro come agente di difesa biologico in viticoltura è la difficoltà di costituire una sufficiente popolazione iniziale nel vigneto. I batteri fitopatogeni Un batterio patogeno epifita, Pseudomonas syringae, è molto presente nella fillosfera. I patologi hanno descritto oltre 40 specie diverse di P. syringae, tutti aerobi obbligati, gram negativi e quasi tutti producono pigmenti fluorescenti, ciononostante sono stati tutti racchiusi in un unico grande gruppo: P. syringae. Il batterio vive all interno di diverse comunità microbiche sulle foglie di tutte le specie di piante terrestri che crescono in tutti i tipi di condizioni climatiche. La dimensione delle popolazioni di questo batterio è conseguenza di quattro processi: crescita, morte, immigrazione e emigrazione. La varietà di genotipi di questa specie gli permette di sopravvivere in tutte le condizioni possibili. Quindi molto spesso la crescita e l immigrazione superano la morte e la emigrazione. In natura, popolazioni di P. syringae non esistono da sole sulle foglie ma fanno parte di un insieme di altri microrganismi. La moltiplicazione del batterio su foglie sane è indipendente dallo sviluppo della malattia. Ogni batterio patogeno epifita su una foglia ha una limitata e bassa probabilità di causare la malattia. La probabilità di avere la malattia è funzione del numero di batteri patogeni che sono presenti in quel momento sulla foglia (Hirano e Upper, 1990). In conclusione, popolazioni epifitiche di P. syringae sembrano essere importanti nell epidemiologia della malattia causata da questo batterio. P. syringae vive in più di 80 specie di piante. 11

13 Questo tipo di batterio viene descritto in tre termini: patogeno, epifita e nucleo di congelamento. Quest ultimo termine sta ad indicare la capacità del batterio di raccogliere nel suo nucleo acqua super raffreddata per formare ghiaccio. È una caratteristica limitata al solo P. syringae e a poche altre specie di batteri, molti dei quali vivono nella fillosfera, (Hirano e Upper, 2000). Un altro batterio comune in tutti i suoli del mondo è Bacillus subtilis (Fig.5). In natura questo microrganismo compete con altri secernendo all esterno della cellula alcune sostanze contenute nel citoplasma. Si tratta di un meccanismo che si è voluto in modo da proteggere la nicchia ecologica del batterio inibendo lo sviluppo di potenziali competitori, sottraendo loro le fonti nutritive o anche eliminando i competitori direttamente e utilizzandoli come fonte di cibo. Fig. 5 Spore di Bacillus subtilis osservate al microscopio ottico (fonte Il microrganismo può bloccare la germinazione di spore fungine, agire contro il tubo germinativo e la crescita del micelio e inibire l insediamento del patogeno sulla foglia producendo una zona di inibizione che riduce la crescita del patogeno stesso. Oltre alla competizione per le fonti nutritive e per lo spazio, B. subtilis produce anche una serie di lipopeptidi che concorrono al contenimento delle avversità crittogamiche; i lipopeptidi sviluppano un azione sinergica dovuta alla compresenza di diverse sostanze e inibiscono la crescita del tubetto germinativo, del micelio fungino e la moltiplicazione 12

14 delle cellule batteriche. B. subtilis è commercializzato con il nome di Serenade (Intrachem BioItalia). Esso è stato il primo biofungicida ad ampio spettro d azione; svolge unicamente un azione preventiva e può essere applicato sia da solo, sia alternato a fungicidi convenzionali in un programma di difesa integrata ma anche in miscela con fungicidi convenzionali (ad esempio i prodotti rameici). Ha un azione multisito quindi riduce le probabilità di sviluppo di resistenze. La sopravvivenza dei batteri nella fillosfera Il termine fillosfera (filloplano) viene usato per descrivere l ambiente della superficie della foglia. La foglia può essere vista in tre componenti generali: l epidermide (parte più superficiale della foglia con funzione di protezione), il mesofillo (porzione della foglia compresa tra l epidermide superiore e quella inferiore) e una serie di nervature. Ciascuna foglia può essere abitata da insiemi di microrganismi diversi tra cui funghi, batteri, lieviti e batteriofagi. Ogni singola foglia può ospitare da uno a dieci milioni di batteri. In genere i batteri si trovano sulla superficie dell epidermide e negli spazi intercellulari (apoplasti) del mesofillo e non all interno delle cellule della pianta. I batteri patogeni si pensa occupino l apoplasto più frequentemente degli organismi commensali, mentre entrambi occupano la superficie dell epidermide. L ambiente della fillosfera è sottoposto a continui stress ambientali che riguardano temperature, umidità relativa, velocità del vento, radiazioni, piogge ecc., infatti piogge intense possono sconvolgere catastroficamente il sistema. Per esempio, un vasto numero di batteri (10 5 CFU (colony forming unit, unità formanti colonia) / foglia di fagiolo in 15 minuti) può essere rimosso e depositato nel terreno nel giro di pochi minuti, alterando l intero sistema che è perciò in continua evoluzione. Un altro fattore climatico che può causare un decadimento perfino totale delle popolazioni dei microrganismi sono certamente i raggi UV (Stout, 1960; Sundin, 2002; Bailey et al., 2007). Infatti, questi ultimi hanno un forte potere germicida perchè questi raggi vanno a colpire selettivamente le molecole di DNA dei batteri causandone l immediata morte (Ayers et al., 1996). Diversi batteri colonizzano la fillosfera. I tipi specifici e le popolazioni variano a seconda di numerosi di fattori dipendenti direttamente dalla pianta ospite (specie di appartenenza della pianta, fenologia, età) e dall ambiente (area geografica e condizioni meteorologiche all interno della sua area geografica). Una delle caratteristiche delle 13

15 comunità dei batteri che abitano il filloplano è l abbondanza delle loro forme pigmentate. Infatti, la presenza di specie colorate comuni alla fillosfera (Erwinia herbicola, Xantomonas, P. fluorescens, ecc.) fa pensare (non si è ancora raggiunta una conclusione) che la produzione di pigmenti può conferire un vantaggio selettivo ai batteri che colonizzano l ambiente esposto alla radiazione solare durante il giorno. Alcuni batteri patogeni della pianta modificano visibilmente l ambiente della foglia. Tra questi troviamo: P. syringae, X. campestris e Erwinia spp. Alcuni batteri la modificano comportandosi da nuclei di congelamento oppure producendo ormoni della pianta che possono alterare oltre all habitat fogliare anche quello del frutto. Per esempio, specie di E. herbicola, che producono acido indolacetico (auxina), causano ruggine nel frutto su pero. Un altro microrganismo che modifica l habitat della pianta è senz altro P. syringae. La fillosfera è un ambiente molto ostico per i vari batteri perché è ricco di insidie come le già citate condizioni ambientali oppure gli altri microrganismi che possono competere per i nutrienti e per il solo spazio. Lo studio del filloplano è attualmente oggetto di studio per numerosi ricercatori; soltanto una minima parte di questa area è conosciuta e con essa i microrganismi che la colonizzano. Negli ultimi anni sono stati fatti passi da gigante ma se si pensa che in tre diverse specie arboree della foresta atlantica si sono riscontrati da 95 a 671 specie batteriche diverse e tra queste circa il 97% sono a noi sconosciuti allora possiamo anche ipotizzare che la fillosfera sia uno degli habitat con maggiore diversità microbica ( 14

16 Scopo della tesi Attualmente il lavoro di ricerca di nuovi agenti di controllo biologico dell oidio della vite svolto dal SafeCrop Center presso l Istituto Agrario di S. Michele all Adige si è focalizzato sullo sviluppo di due microrganismi. Si tratta di un lievito epifita isolato presso il centro di ricerca israeliano Volcani Center e del batterio appartenente al genere Pseudomonas isolato al SafeCrop Center, indicati rispettivamente con i codici Y13 e B1 in quanto in corso di brevetto. In numerose prove di controllo dell oidio in condizioni controllate di serra essi hanno dimostrato una buona efficacia nel contenimento delle infezioni e perciò sono considerati potenziali agenti di biocontrollo del fungo patogeno E. necator (Angeli e Pertot, 2007). Recentemente, esperienze di laboratorio hanno consentito di ottenere preziose informazioni sulla biologia di questi due microrganismi. I risultati ottenuti in queste prove ci hanno permesso di trarre delle conclusioni teoriche sulla loro sopravvivenza in condizioni di temperature e umidità relative controllate. Lo scopo del presente elaborato è quello di valutare l effettiva sopravvivenza di due potenziali microrganismi antagonisti dell oidio, Y13 e B1, nelle condizioni reali di campo dove temperature, umidità ed altri parametri climatici sono in continua evoluzione e influenzano la presenza di questi microrganismi sulle foglie. In tal modo si dovrebbero ricavare importanti informazioni sulla capacità di sopravvivenza degli stessi microrganismi e quindi conoscere la possibilità di un loro futuro impiego nella lotta contro una delle malattie più diffuse e pericolose della vite. 15

17 Materiali e metodi La presente sperimentazione è stata condotta presso il Centro SafeCrop dell Istituto Agrario di San Michele all Adige tra maggio e luglio Le prove si sono svolte nei due mesi suddetti in un vigneto sperimentale su piante di V. vinifera cv. Schiava allevata a pergola semplice e consistevano nel trattare la superficie fogliare di sei piante di vite con un lievito epifita (Y13) ed altre sei con un batterio Pseudomonas sp. (B1). Sei piante non sono state trattate e sono state utilizzate come testimone. Per ciascuna delle tre tesi confrontate (testimone, Y13 e B1) sono state allestite tre ripetizioni ciascuna composta da due piante. Sia il lievito che il batterio oggetto di sperimentazione sono stati fatti crescere in un brodo di coltura liquido (PDB, Potato Dextrose Broth, Oxoid), costituito da estratto di patata e destrosio (zucchero), a 20 C per 48 ore, tenuti costantemente agitati tramite agitatore meccanico per rendere l omogeneità della soluzione il più efficiente possibile (Fig.6, 7); successivamente i brodi sono stati centrifugati a 4000 giri/minuto per 20 minuti, alla temperatura di 4 C. Quest ultimo procedimento si esegue per rendere possibile la sedimentazione delle cellule di lievito e di batterio e quindi di allontanare il brodo dalle colture. In questo modo otteniamo la separazione dei nostri microrganismi dal resto della soluzione (Fig.8) Fig. 6 - Prelievo delle cellule di lievito Y13 (a sinistra) e inoculo nel brodo di coltura liquido PDB 16

18 Fig. 7 - Agitatore per la crescita di Y13 e B1 Fig. 8 Centrifugazione dei brodi di coltura Non essendo direttamente applicabili sulla superficie fogliare è stato necessario sospendere i microrganismi nello stesso volume di acqua distillata addizionata di uno specifico bagnante (Tween 80; 0,01%, Sigma) in modo che i due microrganismi mantengano la stessa concentrazione che avevano nel brodo dove erano cresciuti ovvero 10 8 cellule/ml. Questa concentrazione è stata misurata con vetrino conta-globuli (camera di Burker). I trattamenti sono stati eseguiti una volta, il venerdì alle ore otto del mattino, utilizzando un irroratrice manuale a spalla. Il prelievo del materiale fogliare per verificare la sopravvivenza dei microrganismi è stato effettuato in 4 tempi diversi: - 2 ore prima del trattamento (T0, -2h) - 2 ore dopo il trattamento (T0, +2h) - 1 giorno dopo (T1) - 3 giorni dopo (T3) - 7 giorni dopo (T7) Per determinare la concentrazione di ciascun microrganismo sulle foglie sono state raccolte per ciascuna delle 3 tesi a confronto 4 foglie per replicazione. All interno di ciascuna replicazione le 4 foglie sono state prelevate dalle due piante centrali (2 per pianta) su posizione mediana dei germogli anch essi posti a metà altezza del cordone. Le foglie raccolte sono state riposte in sacchetti di plastica sterili ed immediatamente portate in laboratorio. Da ciascuna foglia è stato prelevato un dischetto fogliare di 5 cm² di superficie (Fig.9). In seguito ogni dischetto è stato posto in una provetta (Falcon), precedentemente collocata in autoclave per ottenere la sua massima sterilizzazione, contenente 20 ml di acqua distillata e Tween 80 0,01% per Y13 e per il testimone 17

19 mentre per il B1 è stata usata la stessa quantità di acqua distillata e NaCl. Successivamente le Falcon sono state agitate su un apposito apparecchio (vortex) per un minuto a 6000 giri/minuto allo scopo di ottenere la maggiore quantità possibile di microrganismo in soluzione (Fig.10). I dischi fogliari sono stati agitati uno alla volta per evitare un probabile compattamento all interno della Falcon; ogni disco è stato lasciato a riposare per un minuto in soluzione all interno della Falcon prima di essere prelevato e buttato. Tutti questi procedimenti ci hanno permesso di trasportare i microrganismi presenti sulla superficie delle foglie all interno di una soluzione acquosa. Fig.9 - Dischetti fogliari prelevati da foglie trattate Fig Agitazione dei dischetti fogliari La soluzione contenente i microrganismi è stata successivamente distribuita su un terreno di coltura solido in piastre Petri da 90mm. I terreni di coltura preparati mediante sterilizzazione in autoclave a 120 C per 15 minuti erano diversi a seconda delle tesi considerate: - PDA (Potato Dextrosio Agar) per il testimone non trattato - PDA + Cloranfenicolo (250 ppm) per il lievito epifita Y13 - NA (Nutrient Agar) + Benomyl (10 ppm) per il batterio B1 In particolare, al terreno di coltura impiegato per la crescita del lievito abbiamo aggiunto il cloranfenicolo, un antibiotico battericida che agisce sui batteri inibendo la sintesi proteica. Mentre per agevolare la crescita in purezza del batterio abbiamo aggiunto al terreno benomyl, un fungicida selettivo che interferisce con alcune funzioni vitali delle cellule fungine quali la meiosi e il trasporto intracellulare. Queste aggiunte sono state effettuate per ottenere una piastra esente da microrganismi estranei indesiderati quali appunto altri batteri e funghi che avrebbero potuto ostacolare il 18

20 conteggio dei microrganismi di nostro interesse. Per ciascuna piastra Petri sono state preparate quattro soluzioni a quattro differenti concentrazioni: un tal quale non diluito e tre soluzioni diluite rispettivamente 10, 100 e 1000 volte. Da ciascuna diluizione sono stati prelevati 20 μl che sono stati successivamente riposti in gocce sul terreno solido e in seguito distribuiti omogeneamente con una spatola (Fig.11). Fig Dopo il prelievo dalla provetta, il campione viene posto in scatola Petri e spatolato. Tutte le operazioni sono state eseguite sotto cappa sterile per garantire la massima sterilità e quindi il minimo inquinamento. Le piastre sono state sigillate e conservate a temperatura ambiente (20-25 C). Dopo ore sono state contate le colonie di microrganismi cresciute sul nostro terreno solido scegliendo la concentrazione in cui esse erano presenti in un numero compreso tra 6 e 100 (Fig.12). Fig. 12 Conteggio delle colonie di batterio B1 su terreno NA+Benomyl 19

21 Risultati e discussioni Durante le due prove di sopravvivenza dei microrganismi svolte nei mesi di maggio e luglio le concentrazioni nella soluzione impiegata per i trattamenti del lievito Y13 e del batterio B1 erano rispettivamente 1x10 6 e 1x10 7 cellule/ml. Questo dato ci serve per meglio comprendere la dinamica della popolazione e quindi della sopravvivenza di entrambi i potenziali antagonisti dell oidio. I risultati della sopravvivenza dei due microrganismi Y13 e B1 durante la prova svolta nel mese di maggio sono evidenziati nella tabella seguente (Tab.1). Tab.1 Concentrazione di Y13 e B1 espressa come unità formanti colonie per centimetro quadrato di superficie fogliare cfu/cm 2 registrata 2 ore prima del trattamento e 2 ore, 1, 3 e 6 giorni dopo il trattamento durante il mese di maggio Tesi Tempo rispetto al trattamento Cfu/cm 2 Errore standard Y13 2 ore prima 1,30x10 3 6,12x10 2 Y13 2 ore dopo 2,46x10 3 3,31x10 2 Y13 1 g dopo 7,83x x10 2 Y13 3 gg dopo 1,31x10 4 3,10x10 3 Y13 6 gg dopo 1,03x10 4 2,43x10 3 B1 2 ore prima 2,33x10 5 9,28x10 3 B1 2 ore dopo 2,48x10 5 8,60x10 3 B1 1 g dopo 2,35x x10 3 B1 3 gg dopo 2,21x10 5 1,38x10 4 B1 6 gg dopo 2,45x10 5 1,39x10 4 Come si può notare dai dati desunti in tabella, entrambi i microrganismi sono sopravvissuti bene nel corso di tutta la settimana di prova (dal 25 al 30 maggio). 20

22 Innanzitutto osserviamo che con il nostro trattamento abbiamo apportato una buona quantità di cellule batteriche e di lievito, ma non siamo riusciti ad incrementare notevolmente la quantità degli stessi microrganismi già presente sulla superficie fogliare perché distribuiti una settimana prima. Infatti, la differenza delle concentrazioni registrata tra due ore prima (1,30 x 10 3 cfu/cm 2 per Y13 e 2,33 x 10 5 cfu/cm 2 per B1) e due ore dopo i trattamenti (2,46 x 10 3 cfu/cm 2 per Y13 e 2,48 x 10 5 cfu/cm 2 per B1) è minima. Questo significa che la popolazione del trattamento antecedente a quello della prova in esame è sopravvissuta anch essa alle condizioni di campo. Nel corso della settimana che è seguita si nota peraltro che le concentrazioni sulla foglia del lievito epifita sono andate aumentando a dimostrazione di una buona attività di riproduzione dello stesso. In particolare, esso si è riprodotto a partire già dal giorno seguente il trattamento dimostrando un ottima capacità di adattamento alle condizioni di campo fin dal primo momento. Il microrganismo in questione è passato, infatti, da 2,46 x 10 3 cfu/cm 2 a 7,83 x 10 3 cfu/cm 2 ; questo significa che esso ha triplicato la popolazione in meno di 24 ore. Riguardo invece al batterio, esso si è riprodotto in misura molto meno marcata del lievito. La sua concentrazione sulla foglia è risultata buona e costante nel corso di tutta la settimana successiva al trattamento. La seconda prova di sopravvivenza eseguita nel mese di luglio sotto diverse condizioni climatiche ha evidenziato un andamento delle concentrazioni dei due microrganismi molto variabile rispetto alla prova antecedente (Tab.2). Contrariamente a quanto verificatosi nel mese di maggio, le concentrazioni dei due microrganismi hanno subito variazioni più o meno accentuate. In queste condizioni climatiche il lievito epifita Y13 ha dimostrato buone capacità di sopravvivenza mentre il batterio B1 non è riuscito a moltiplicarsi. 21

23 Tab.2 Concentrazione di Y13 e B1 espressa come unità formanti colonie per centimetro quadrato di superficie fogliare cfu/cm 2 registrata 2 ore prima del trattamento e 2 ore, 1, 3 e 6 giorni dopo il trattamento durante il mese di luglio Tesi Tempo rispetto al trattamento Cfu/cm 2 Errore standard Y13 2 ore prima 1,80x10 3 1,45x10 2 Y13 2 ore dopo 2,83x x10 2 Y13 1 g dopo 1,73x x10 2 Y13 3 gg dopo 1,65x x10 2 Y13 6 gg dopo 1,89x x10 2 B1 2 ore prima 1,23x B1 2 ore dopo 7,94x x10 2 B1 1 g dopo 6, B1 3 gg dopo 1,72x B1 6 gg dopo 0 0 Nelle due ore successive al trattamento la concentrazione di Y13 è addirittura più alta rispetto alla precedente prova (2,83 x 10 3 cfu/cm 2 rispetto a 2,46 x 10 3 cfu/cm 2 ) mentre quella di B1 è risultata molto ridotta (7,94 x 10 2 cfu/cm 2 rispetto al 2,48 x 10 5 cfu/cm 2 ). Da subito emerge che l impatto del lievito Y13 con l ambiente è stato di gran lunga migliore se confrontato con quello del batterio B1. Sin dal primo giorno successivo al trattamento si può capire chiaramente la differenza di ambientamento manifestata dai due microrganismi; infatti mentre la concentrazione di Y13 si è ridotta mantenendo però lo stesso ordine di grandezza (2,83 x 10 3 cfu/cm 2 2 ore dopo il trattamento e 1,73 x 10 3 cfu/cm 2 24 ore dopo) B1 ha subito una drastica riduzione passando da 7,94 x

24 cfu/cm 2 a 6,16 cfu/cm 2. Da questo momento in poi la concentrazione di Y13 è rimasta costantemente su valori di 10 3 cfu/cm 2 mentre quella del batterio B1 ha subito delle variazioni passando da 6,16 cfu/cm 2 (1 giorno dopo) a 1,72 x 10 1 cfu/cm 2 (3 giorni dopo) per poi scomparire del tutto con il rilievo del sesto giorno dopo i trattamenti. Si può pertanto affermare che la popolazione batterica ha subito un totale collasso entro sette giorni dal trattamento. Dopo aver misurato le concentrazioni dei microrganismi in campo siamo andati a ricercare i fattori che potrebbero essere coinvolti nelle variazioni delle loro popolazioni. Numerosi studi di ricerca hanno evidenziato la vulnerabilità dei microrganismi epifiti esposti alle condizioni climatiche naturali. Abbiamo perciò analizzato i più importanti parametri climatici registrati dalla stazione meteorologica di S. Michele ovvero temperatura media oraria, umidità relativa, radiazione solare, insolazione e pioggia. Dall analisi dei dati rilevati emerge che alcuni parametri non sono molto diversi nei due periodi di prova considerati e perciò sono stati considerati ininfluenti ai fini dei risultati ottenuti. Dai grafici sotto riportati, per esempio, notiamo che l umidità relativa media nella prima prova era di 75% e nella seconda era di 60% (Fig.13). Anche la quantità di pioggia misurata nei due periodi considerati non è apparsa differente a tal punto da incidere sui risultati ottenuti; pertanto anche la pioggia, come l umidità, rappresenta un parametro che non spiega il collasso del batterio (vedi grafico sotto) maggio luglio UR % ore dal trattamento Fig Umidità relativa espressa come percentuale registrata durante le 145 ore successive ai trattamenti di Y13 e B1 a S.Michele all Adige 23

25 7 6 5 mm ore dal trattamento Fig Pioggia espressa in millimetri registrata durante le 145 ore successive ai trattamenti di Y13 e B1 a S. Michele all Adige nella prova di maggio. Durante la prova di luglio non si sono verificate piogge. Molto più interessanti ai fini della nostra prova sono apparse invece le temperature registrate nei due periodi considerati. Di seguito si riporta il grafico delle temperature dei mesi di maggio e luglio: C ore dal trattamento maggio luglio Fig Evoluzione delle temperature espresse come C registrate durante le 145 ore successive ai trattamenti di Y13 e B1 a S. Michele all Adige 24

26 Dall analisi dei dati ottenuti emerge come il batterio abbia sofferto le alte temperature estive; in particolare temperature superiori a 27 C (vedi grafico) si sono rivelate critiche per la sopravvivenza dello stesso. Durante la prova di luglio, il giorno del trattamento abbiamo registrato ben cinque ore con valori superiori a 27 C, mentre a maggio essi erano soltanto due. Anche il giorno dopo il trattamento a luglio si sono accertate ben nove ore sopra i 27 C ed a maggio le ore erano solamente sei (Tab.3) Tab. 3 Temperature medie orarie registrate a maggio e luglio registrate durante le 48 ore successive ai trattamenti di Y13 e B1 a S. Michele all Adige. In grassetto sono evidenziate le ore in cui la temperatura ha oltrepassato i 27 C. MAGGIO LUGLIO giorno ora T ( C) giorno ora T ( C) 25/05/ ,5 13/07/ ,8 25/05/ ,2 13/07/ ,4 25/05/ ,9 13/07/ ,2 25/05/ ,3 13/07/ ,2 25/05/ ,3 13/07/ ,6 25/05/ /07/ ,4 25/05/ ,8 13/07/ ,2 25/05/ ,6 13/07/ ,4 25/05/ ,2 13/07/ ,5 25/05/ ,7 13/07/ /05/ ,4 13/07/ ,2 25/05/ /07/ ,3 25/05/ ,6 13/07/ ,1 25/05/ ,6 13/07/ ,1 25/05/ ,9 13/07/ ,6 25/05/ ,4 13/07/ ,2 26/05/ ,1 14/07/ ,8 26/05/ ,9 14/07/ /05/ ,7 14/07/ ,6 25

27 26/05/ /07/ ,3 26/05/ ,2 14/07/ ,3 26/05/ ,2 14/07/ ,3 26/05/ ,6 14/07/ /05/ ,4 14/07/ /05/ ,3 14/07/ ,3 26/05/ ,4 14/07/ ,1 26/05/ ,1 14/07/ ,7 26/05/ ,1 14/07/ ,7 26/05/ ,8 14/07/ ,4 26/05/ ,3 14/07/ /05/ ,5 14/07/ ,5 26/05/ ,1 14/07/ /05/ ,6 14/07/ ,1 26/05/ ,6 14/07/ ,7 26/05/ ,1 14/07/ /05/ ,2 14/07/ /05/ ,5 14/07/ ,3 26/05/ ,2 14/07/ ,1 26/05/ ,3 14/07/ /05/ ,9 14/07/ ,9 Durante la prima prova, dal giorno dopo il trattamento in poi le temperature sono diminuite e non hanno più superato la soglia dei 27 C, mentre a luglio esse sono aumentate ed abbiamo raggiunto il picco al quarto giorno dal trattamento, quando si sono registrate ben 13 ore con temperature sopra i 27 C. Nonostante ciò, bisogna considerare che a luglio il collasso del batterio si è verificato già a partire dal giorno del trattamento mentre a maggio esso sopravviveva molto bene (addirittura più del lievito). Per cui la differenza di temperatura registrata nei due periodi considerati pare non sia la causa principale della morte del nostro microrganismo, anche se potrebbe rimanere una concausa assieme a qualche altro 26

28 fattore sconosciuto. Abbiamo perciò provato ad analizzare altri parametri quali la radiazione solare e l insolazione. Entrambe erano molto più elevate a luglio rispetto a maggio (vedi grafico). 3,5 3 2,5 Mj/m2 2 1,5 1 0,5 maggio luglio ore dal trattamento Fig Radiazione solare oraria espressa come Mj/m 2 registrata durante le 145 ore successive ai trattamenti di Y13 e B1 a S. Michele all Adige s ore dal trattamento maggio luglio Fig.17 - Insolazione media oraria espressa come secondi [s] registrata durante le 145 ore successive ai trattamenti di Y13 e B1 a S. Michele all Adige 27

29 Come si può notare dai grafici sopra rappresentati sia la radiazione solare ma soprattutto l insolazione sono state sensibilmente più elevate durante la prova di sopravvivenza di luglio rispetto a quella di maggio. Infatti, nelle ventiquattro ore successive al trattamento dei microrganismi di maggio, allorquando si è verificato il decadimento del batterio, la radiazione solare misurata era mediamente di 19,65 Mj/m 2 mentre a luglio di 27,33 Mj/m 2, una differenza piuttosto limitata. Il giorno dopo il trattamento avevamo invece in media 21,34 e 26,85 Mj/m 2 rispettivamente a maggio e a luglio. A due giorni dal trattamento la differenza è diventata ancora più elevata, 13,49 Mj/m 2 a maggio e 27,81 Mj/m 2 a luglio. Per quanto concerne invece l insolazione la differenza è molto simile a quella della radiazione: s il giorno del trattamento a maggio e s a luglio. Il giorno successivo abbiamo avuto invece s e s rispettivamente per maggio e luglio mentre a due giorni dal trattamento la differenza è diventata ancora più elevata con s a maggio e s a luglio. Da qui emerge gli elevati valori di radiazione ed insolazione possano aver determinato la rapida scomparsa del nostro batterio nei giorni successivi al trattamento. 28

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