MASTER DI II LIVELLO INTERNAZIONALE IN SCIENZE CRIMINOLOGICO-FORENSI

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1 I Facoltà di Medicina Dipartimento di Scienze Psichiatriche e Medicina Psicologica MASTER DI II LIVELLO INTERNAZIONALE IN SCIENZE CRIMINOLOGICO-FORENSI Prof. Vincenzo Mastronardi POLITICHE NAZIONALI E REALTÀ LOCALI NELL ATTIVITÀ DI PREVENZIONE, RECUPERO E REINSERIMENTO SOCIALE DELLE PERSONE SOTTOPOSTE A PROVVEDIMENTI RESTRITTIVI DELL ATTIVITÀ GIUDIZIARIA. Candidata: Dott.ssa Cristina Pagano Relatore Chiar.mo Prof.Vincenzo Mastronardi Correlatore Chiar.ma Prof.ssa Antonella Pomilla Anno accademico

2 A Massimo 2

3 Un ringraziamento speciale al Professor Vincenzo Mastronardi per gli insegnamenti ricevuti e all amica Sofia Muccio per l incoraggiamento ad iniziare questa avventura. Un ringraziamento sincero alla Dottoressa Antonina D Onofrio e agli operatori della C.C. di Lecco e della C.C. di Monza che con disponibilità e cortesia hanno permesso la realizzazione di questo lavoro, ai miei colleghi che mi hanno seguita ed incoraggiata. Un ringraziamento particolare all Assessore Antonio Conrater per l attenzione e la sensibilità dimostrata. 3

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5 I N D I C E PREMESSA...8 CAPITOLO I...10 ASPETTI NORMATIVI Le politiche nazionali di interventi e servizi sociali La riforma dell Ordinamento Penitenziario Le linee guida ministeriali in materia di Inclusione sociale e cenni in materia di immigrazione CAPITOLO II...40 L APPLICAZIONE DELLE NORME E DEI PRINCIPI. LE POLITICHE DELLA REGIONE LOMBARDIA IN MATERIA DI GOVERNO DELLA RETE DEGLI INTERVENTI E DEI SERVIZI ALLA PERSONA IN AMBITO SOCIALE E SOCIO SANITARIO, DI INCLUSIONE SOCIALE E DI IMMIGRAZIONE La legge Regionale 12 marzo 2008, n. 3 Governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e sociosanitario La Legge Regionale 14 febbraio 2005, n.8 Disposizioni per la tutela delle persone ristrette negli istituti penitenziari della Regione Lombardia Esempi di politica innovativa e sperimentale: l agente di rete; la dote dei soggetti deboli, piani di intervento per le progettualità in materia di inclusione sociale L Osservatorio Regionale per l Integrazione e la Multietnicità (ORIM) e la Fondazione ISMU di Milano...56 CAPITOLO III...62 RICERCA SPERIMENTALE SU DI UN CAMPIONE DI DETENUTI ITALIANI E STRANIERI NELLE CASE CIRCONDARIALI DI LECCO E MONZA

6 Introduzione Domande rivolte ai detenuti della Casa Circondariale di Lecco e alle detenute della Casa Circondariale di Monza Interviste/colloqui ai detenuti della Casa Circondariale di Lecco Interviste/colloqui ai detenuti della Casa Circondariale di Monza Interviste agli operatori della Casa Circondariale di Monza Interviste agli operatori della Casa Circondariale di Lecco Commento alla ricerca CONCLUSIONI BIBLIOGRAFIA

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8 PREMESSA L intenzione di approfondire la tematiche della prevenzione e del recupero delle persone sottoposte a provvedimenti restrittivi dell autorità giudiziaria, attraverso percorsi di inclusione sociale, è sorta sia per ragioni di carattere professionale, legate al ruolo di operatrice sociale che da anni svolgo nell ente pubblico, reso più qualificato dalla specializzazione intrapresa nello studio della criminologia, sia per il sempre più frequente dibattito presente nell opinione pubblica circa i compiti che spettano alle istituzioni pubbliche. Mi è sembrato opportuno quindi individuare gli argomenti che sono oggetto di particolare attenzione per valutarne i diversi aspetti alla luce della condizione giuridico sociale riconosciuta nel nostro paese alla persona che delinque. Il lavoro di ricerca che mi accingo a compiere avrà lo scopo di analizzare sia da un punto di vista teorico che pratico la rieducazione in campo penale attraverso percorsi di inclusione sociale messi in atto a livello territoriale, come possibile risposta al bisogno sociale. Oggetto di studio sarà quindi il percorso progettuale finalizzato alla rieducazione delle persone in esecuzione penale, evidenziando gli aspetti che rendono un progetto efficace ed incisivo, cioè capace di radicarsi nel territorio, oltre il muro di cinta del penitenziario dove nasce, in una logica di inclusione sociale e d intesa con le realtà locali. Ritengo doveroso precisare che nello svolgimento del lavoro l analisi giuridica occuperà uno spazio assai ampio, in conseguenza ed in rapporto alle caratteristiche legate alla mia formazione giuridica, anche se gli aspetti criminologici, da un punto di vista dell analisi della criminogenesi e della criminodinamica dell agire criminoso saranno i punti di riferimento dell intera ricerca. Nel Capitolo I analizzerò gli aspetti normativi che fanno da cornice al lavoro di ricerca, partendo dalla legge quadro nazionale del sistema integrato di interventi e servizi sociali per evidenziare gli strumenti che lo Stato adotta per rispondere ai bisogni di più categorie di destinatari (minori, adulti in difficoltà, anziani, disabili, sia italiani che stranieri) affermando i diritti di cittadinanza attraverso un sistema di politiche sociali universalistiche che assicuri i livelli essenziali di assistenza. Nell analisi normativa particolare attenzione sarà riposta alla legge sulla riforma penitenziaria ed alle importanti modifiche in tema di misure alternative alla libertà introdotte dalla legge Gozzini, per arrivare alle recenti Linee guida in materia di inclusione sociale. Un particolare cenno verrà fatto alle principali norme che in Italia regolamentano gli stranieri e alla tendenza del fenomeno migratorio. 8

9 Nel Capitolo II prenderò in considerazione l applicazione delle norme e dei principi della legislazione nazionale alla realtà locale, attraverso un analisi approfondita delle principali leggi che la Regione Lombardia ha adottato in tema di governo della rete degli interventi e dei servizi alla persona in ambito sociale e sociosanitario, di inclusione sociale e di immigrazione. Saranno poi evidenziati gli strumenti operativi che la Regione ha creato come esempi di politica innovativa e sperimentale per rispondere ai bisogni del territorio; si esamineranno quindi il ruolo e le competenze dell Agente di rete, l istituto della Dote dei soggetti deboli e le nuove procedure per la presentazione dei progetti di inclusione sociale. Un approfondimento specifico verrà fatto sull Osservatorio Regionale per l Integrazione e la Multietnicità, lo strumento di cui la Regione Lombardia si è dotata per conoscere, monitorare e sviluppare adeguate politiche migratorie. Nell ultimo Capitolo intendo riportare gli esiti di una ricerca sperimentale che svolgerò, tramite una serie di interviste agli operatori e ai detenuti/detenute delle Case Circondariali di Lecco e di Monza, riguardanti le principali problematiche che andrò rilevando nel corso del lavoro. L intenzione è di verificare da un punto di vista pratico le considerazioni di carattere teorico che saranno formulate nel corso dell analisi delle politiche sociali a livello nazionale e a livello locale e di capire inoltre come concretamente operano i servizi (carcere e territorio) nella scelta dei percorsi e delle progettualità da attuare. 9

10 CAPITOLO I ASPETTI NORMATIVI 1. Le politiche nazionali di interventi e servizi sociali. Le politiche nazionali di interventi e servizi sociali sono contenuti nella Legge 328/2000 intitolata "Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali", è la legge per l'assistenza, finalizzata a promuovere interventi sociali, assistenziali e sociosanitari che garantiscano un aiuto concreto alle persone e alle famiglie in difficoltà. Scopo principale della legge è garantire, oltre la semplice assistenza del singolo, anche il sostegno della persona all interno del proprio nucleo familiare. La qualità della vita, la prevenzione, le pari opportunità, la riduzione e l'eliminazione delle disabilità, del disagio personale e familiare e il diritto alle prestazioni sono gli obiettivi della Legge 328/2000. Per la prima volta, inoltre, viene istituito un fondo nazionale per le politiche e gli interventi sociali, aggregando e ampliando i finanziamenti settoriali esistenti e destinandoli alla programmazione regionale e degli enti. Dal titolo si può osservare che si tratta di una legge quadro, pertanto la relativa applicazione è delegata all'emanazione di decreti da parte del governo, ministeri, e di leggi regionali e rimane in vigore sino a quando le regioni non legiferino autonomamente in materia di politiche sociali. In Lombardia questo avviene, come si analizzerà nel Capitolo II, con la L.R. 3/2008, in gran parte coerente ed ispirata alla L.328/2000. I soggetti destinatari. La legge in esame stabilisce che hanno diritto di usufruire delle prestazioni e dei servizi del sistema integrato di interventi e servizi sociali i cittadini italiani e, nel rispetto degli accordi internazionali, con le modalità e nei limiti definiti dalle leggi regionali, anche i cittadini di Stati appartenenti all Unione europea ed i loro familiari, nonchè gli stranieri, individuati ai sensi dell articolo 41 del testo unico di cui al decreto legislativo 25 luglio 1998, n Ai profughi, agli stranieri ed agli apolidi sono garantite le misure di prima assistenza, di cui all articolo 129, comma 1, lettera h), del decreto legislativo 31 marzo 1998, n

11 La legge 328 intende superare ulteriormente il concetto assistenzialistico dell intervento sociale, nel senso che considera il cittadino non come passivo fruitore, ma come soggetto attivo e in quanto tale portatore di diritti, a cui devono essere destinati interventi mirati alla rimozione di situazioni di disagio psico-sociale e di marginalità. I servizi previsti Il capo III elenca le disposizioni relative alla realizzazione di particolari interventi sociali e più esattamente a favore di persone disabili, anziani non autosufficienti, famiglie. Sono previsti infatti: Progetti individuali per le persone disabili: i comuni, d intesa con le aziende unità sanitarie locali, predispongono, su richiesta dell interessato, un progetto individuale. Il progetto individuale comprende: - la valutazione diagnostico-funzionale; - le prestazioni di cura e di riabilitazione a carico del Servizio sanitario nazionale; - i servizi alla persona a cui provvede il comune in forma diretta o accreditata, con particolare riferimento al recupero e all integrazione sociale; - le misure economiche necessarie per il superamento di condizioni di povertà, emarginazione ed esclusione sociale. Nel progetto individuale sono definiti le potenzialità e gli eventuali sostegni per il nucleo familiare. L interessato indicherà nella tessera sanitaria, con modalità stabilite con decreto del Ministro della sanità, di concerto con il Ministro per la solidarietà sociale, i dati relativi alle condizioni di non autosufficienza o di dipendenza per accedere ai servizi ed alle prestazioni sociali. Sostegno domiciliare per le persone anziane non autosufficienti: il Ministro per la solidarietà sociale, con proprio decreto, emanato di concerto con i Ministri della sanità e per le pari opportunità, determina annualmente la quota da riservare ai servizi a favore delle persone anziane non autosufficienti, per favorirne l autonomia e sostenere il nucleo familiare nell assistenza domiciliare alle persone anziane che ne fanno richiesta. Una quota dei finanziamenti di cui al primo comma è riservata ad investimenti e progetti integrati tra assistenza e sanità, realizzati in rete con azioni e programmi coordinati tra soggetti pubblici e privati, volti a sostenere e a favorire l autonomia delle persone anziane e la loro permanenza nell ambiente familiare secondo gli indirizzi indicati dalla presente legge. Valorizzazione e sostegno delle responsabilità familiari: il sistema integrato di 11

12 interventi e servizi sociali riconosce e sostiene il ruolo peculiare delle famiglie e valorizza i molteplici compiti che le famiglie svolgono sia nei momenti critici e di disagio, sia nello sviluppo della vita quotidiana. Al fine di migliorare la qualità e l efficienza degli interventi, gli operatori coinvolgono e responsabilizzano, inoltre, le persone e le famiglie nell ambito dell organizzazione dei servizi. Nell ambito del sistema integrato di interventi e servizi sociali sono previsti i seguenti servizi: a) l erogazione di assegni di cura e altri interventi a sostegno della maternità e della paternità responsabile, da realizzare in collaborazione con i servizi sanitari e con i servizi socio - educativi della prima infanzia; b) politiche di conciliazione tra il tempo di lavoro e il tempo di cura, promosse anche dagli enti locali ai sensi della legislazione vigente; c) servizi formativi ed informativi di sostegno alla genitorialità, anche attraverso la promozione del mutuo aiuto tra le famiglie; d) prestazioni di aiuto e sostegno domiciliare, anche con benefici di carattere economico, in particolare per le famiglie che assumono compiti di accoglienza, di cura di disabili fisici, psichici e sensoriali e di altre persone in difficoltà, di minori in affidamento, di anziani; e) servizi di sollievo, per affiancare nella responsabilità del lavoro di cura la famiglia, ed in particolare i componenti più impegnati nell accudimento quotidiano delle persone bisognose di cure particolari ovvero per sostituirli nelle stesse responsabilità di cura durante l orario di lavoro; f) servizi per l affido familiare, per sostenere, con qualificati interventi e percorsi formativi, i compiti educativi delle famiglie interessate. Per sostenere le responsabilità individuali e familiari e agevolare l autonomia finanziaria di nuclei monoparentali, di coppie giovani con figli, di gestanti in difficoltà, di famiglie che hanno a carico soggetti non autosufficienti con problemi di grave e temporanea difficoltà economica, di famiglie di recente immigrazione che presentino gravi difficoltà di inserimento sociale, i comuni, in alternativa a contributi assistenziali in denaro, possono concedere prestiti sull onore, consistenti in finanziamenti a tasso zero secondo piani di restituzione concordati con il destinatario del prestito. I comuni possono prevedere, altresì, agevolazioni fiscali e tariffarie rivolte alle famiglie con specifiche responsabilità di cura e deliberare ulteriori riduzioni dell aliquota dell imposta comunale sugli immobili (ICI) per la prima casa, nonché tariffe ridotte per l accesso a più servizi educativi e sociali. 12

13 Titoli per l acquisto di servizi sociali : viene introdotto per la prima volta nel sistema sociale l utilizzo di titoli (buoni sociali e voucher) per l acquisto di prestazioni sociali. La competenza al riguardo è attribuita ai comuni che possono prevedere la concessione, su richiesta dell interessato di titoli validi per l acquisto di servizi sociali dai soggetti accreditati del sistema integrato di interventi e servizi. Spetta alle regioni disciplinare i criteri e le modalità per la concessione dei predetti titoli. Misure di contrasto alla povertà: il sistema integrato di interventi e servizi sociali si realizza mediante politiche e prestazioni coordinate nei diversi settori della vita sociale, integrando servizi alla persona ed al nucleo familiare mediante: - eventuali misure economiche di contrasto della povertà e di sostegno al reddito e ai servizi di accompagnamento, con particolare riferimento alle persone senza fissa dimora; - prestazioni integrate di tipo socio educativo per contrastare dipendenze da droghe, alcol, farmaci, favorendo interventi di natura preventiva, di recupero e di reinserimento sociale. Condizioni di applicabilita della legge. La legge annuncia che per realizzare i servizi sociali in modo unitario e integrato gli enti locali, le Regioni e lo Stato, ognuno nell ambito delle proprie competenze, provvedano alla programmazione degli interventi e delle risorse. Nel farlo è importante che vengano seguiti i principi di coordinamento e di integrazione tra gli interventi sanitari e dell istruzione e le politiche attive del lavoro, ma la legge aggiunge che tale programmazione deve essere fatta coinvolgendo anche il Terzo settore. La legge di riforma dell assistenza ha tra i suoi punti di forza il coinvolgimento di soggetti pubblici e privati nell erogazione dei servizi sociali. Per poter trovare applicazione la legge stabilisce che i privati devono essere prima autorizzati, e poi eventualmente accreditati, a partecipare alla rete dei servizi sociali territoriali. In altre parole, l autorizzazione è indispensabile per qualsiasi soggetto privato che voglia fornire servizi alla persona, anche se non è interessato a entrare nel circuito dell assistenza pubblica; se invece vuole diventare un "fornitore di servizi dell amministrazione pubblica, e quindi far parte del sistema integrato degli interventi e dei servizi sociali, oltre ad essere un ente autorizzato deve anche essere accreditato. Ai Comuni è assegnato il compito di autorizzare e di accreditare i soggetti privati sulla base di un insieme di requisiti stabiliti dalle leggi regionali. Le regioni definiscono tali requisiti raccogliendo, ed eventualmente integrando, i requisiti minimi fissati dallo Stato con decreto ministeriale del ministro della Solidarietà sociale. 13

14 I soggetti erogatori. La programmazione e l organizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali compete agli enti locali, alle regioni ed allo Stato, ai sensi del decreto legislativo 31 marzo 1998, n. 112, e della presente legge. Alle Regioni e ai Comuni spettano alcuni compiti importanti, ma anche lo Stato è chiamato a fare la sua parte: Lo Stato ha il compito di: fissare un Piano sociale nazionale che indichi i livelli uniformi e di base delle prestazioni, stabilire i requisiti che devono avere le comunità-famiglie e i servizi residenziali nonché i profili professionali nel campo sociale ed infine ripartire le risorse del Fondo sociale nazionale e controllare l'andamento della riforma. Le Regioni dovranno programmare e coordinare gli interventi sociali, spingere verso l'integrazione degli interventi sanitari, sociali, formativi e di inserimento lavorativo, stabilire i criteri di accreditamento e vigilare sulle strutture e i servizi sia pubblici che privati, costituire un albo dei soggetti autorizzati a svolgere le funzioni indicate dalla normativa, stabilire la qualità delle prestazioni, determinare i livelli di partecipazione alla spesa da parte degli utenti, finanziare e programmare la formazione degli operatori. In ultima analisi non bisogna dimenticare come questa legge abbia riconosciuto una centralità al ruolo dei Comuni che, per questo motivo, sono gli interlocutori privilegiati, con i quali bisogna tracciare politiche di intervento. I Comuni sono gli organi amministrativi che gestiscono e coordinano le iniziative per realizzare il "sistema locale della rete di servizi sociali". In questo, i Comuni devono coinvolgere e cooperare con le strutture sanitarie, con gli altri enti locali e con le associazioni dei cittadini. Dai Comuni dipende: -la determinazione dei parametri per la valutazione delle condizioni di povertà, di limitato reddito e di incapacità totale o parziale per inabilità fisica e psichica, e le relative condizioni per usufruire delle prestazioni; -l'autorizzazione, l'accreditamento e la vigilanza sui servizi sociali e sulle strutture residenziale e semiresidenziali pubbliche e private; -il garantire il diritto dei cittadini a partecipare al controllo di qualità dei servizi. Le azioni, gli obiettivi e le priorità degli interventi comunali sono definiti nei Piani di Zona. Il piano di zona si configura pertanto ai sensi della legge 328/2000 1, come lo strumento privilegiato per conseguire forme di integrazione fra i vari servizi, mediante l'analisi dei bisogni, la definizione delle priorità e delle risposte, l'integrazione delle 1 Art.19 L.328/

15 risorse istituzionali, sociali e finanziarie, la gestione creativa, flessibile e partecipata dei servizi. I Comuni devono anche realizzare ed adottare la Carta dei servizi sociali che illustra le opportunità sociali disponibili e le modalità per accedervi. I Comuni, Regioni e Stato dovranno, infatti, coinvolgere e responsabilizzare il settore non-profit. I soggetti del Terzo settore 2 sono inseriti tra gli "attori" della legge sia nella programmazione e organizzazione del sistema integrato sia nell erogazione dei servizi. 3 Commento alla legge. Prima dell approvazione della legge n. 328 del 2000, sull'assistenza sociale, il settore era ancora disciplinato dalla legge 17 luglio 1890, n. 6972, e successive modificazioni, cosiddetta "legge Crispi". Il primo processo di politiche sociali innovative si è svolto sulla base di alcuni presupposti e principi di fondo, quali la riorganizzazione del territorio in ambiti territoriali adeguati, la programmazione degli interventi in base alle caratteristiche ed ai bisogni della popolazione, l'integrazione dei servizi sanitari con quelli sociali e la partecipazione attiva nei servizi degli utenti e dei cittadini. In questo contesto, il ruolo dei Comuni è stato sempre più importante: sono i Comuni che realizzano, organizzano e gestiscono i servizi sociali, secondo le indicazioni elaborate a livello regionale. La Carta europea delle autonomie locali, sottoscritta a Strasburgo il 15 ottobre 1985 e tradotta nella legge n. 439/89, rappresenta la base fondamentale per lo sviluppo delle politiche sociali introducendo principi basilari quali la sussidiarietà, cioè la necessità di rispondere ai bisogni delle collettività locali; la cooperazione, intesa come la capacità degli enti locali di associarsi fra loro per la tutela e la promozione dei loro comuni interessi e per la gestione associata dei servizi; l'auto-organizzazione, nel senso di capacità propria nella scelta della struttura amministrativa più idonea allo svolgimento delle funzioni. Tra i principi generali e le finalità indicate dall'articolo 1 della citata legge n. 328 del 2000, meritano una menzione particolare alcuni passaggi che affidano, infatti, in posizione paritaria, agli enti locali, alle regioni ed allo Stato la 2 Art.1 co.4 L.328/2000 elenca gli appartenenti al terzo settore: Gli enti locali, le regioni e lo Stato nell ambito delle rispettive competenze, riconoscono ed agevolano il ruolo degli organismi non lucrativi di utilità sociale, degli organismi della cooperazione, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, delle fondazioni e degli enti di patronato, delle organizzazioni di volontariato, degli enti riconosciuti delle confessioni religiose con le quali lo Stato ha definito patti, accordi o intese operanti nel settore, nella programmazione, nella organizzazione e nella gestione del sistema integrato di interventi e servizi sociali. 3 Art.1 co.5 L.328/

16 programmazione e l'organizzazione dei servizi e degli interventi sociali. Nell'intento di valorizzare al massimo grado il principio di sussidiarietà, le regioni dovranno riconoscere ed agevolare il ruolo di tutti i soggetti sociali, delle associazioni e degli enti di promozione sociale, compreso quello degli enti riconosciuti dalle confessioni religiose, con cui lo Stato ha stipulato intese nell'organizzazione e nella gestione dei servizi sociali. Sempre nel medesimo articolo, al comma 5, viene enunciato un altro importantissimo principio e, cioè, che alla gestione ed all'offerta dei servizi provvedono soggetti pubblici, nonché associazioni ed enti di promozione sociale, fondazioni ed altri organismi privati, in qualità di soggetti attivi nella progettazione, nell'organizzazione e nella gestione dei servizi e degli interventi sociali. La presente proposta di legge intende anche rispondere alle sollecitazioni contenute nella legge 28 agosto 1997, n. 285, recante disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza, nella parte in cui auspica il coinvolgimento degli enti locali, delle istituzioni pubbliche e private per la promozione dei diritti, la qualità della vita, lo sviluppo, la realizzazione individuale e la socializzazione dell'infanzia e dell'adolescenza, privilegiando l'ambiente a loro più confacente, in attuazione dei principi della Convenzione sui diritti del fanciullo, resa esecutiva con legge 27 maggio 1991, n Inoltre la legge in esame prevede e promuove attività socio-assistenziali da parte di associazioni di cittadini, quali le Onlus, le cooperative sociali, le organizzazioni di volontariato, gli enti di promozione sociale e le fondazioni. Questi organismi possono offrire e gestire alcuni servizi, alternativi a quelli degli enti pubblici, rivolti ai cittadini che ne hanno bisogno. Inoltre, rappresentanti di tutte le associazioni concorrono alla programmazione, all'organizzazione e alla gestione del sistema integrato dei servizi sociali insieme con le istituzioni pubbliche. Le regioni devono definire i requisiti necessari dei servizi offerti e devono controllare la qualità del loro operato, anche tramite l'istituzione di registri regionali delle organizzazioni autorizzate all'esercizio dei servizi socio assistenziali. Bisogna evidenziare che non tutte le regioni hanno assunto l impostazione o hanno risposto prontamente agli stimoli della legge 328, ma il suo apporto alla maturazione culturale e alla individuazione di nuovi indirizzi per le politiche sociali è stato essenziale, anche nell accrescere la consapevolezza sul ruolo centrale di tali politiche per la promozione di maggior benessere nelle persone, nelle famiglie, nelle comunità locali. 16

17 Riferimenti normativi e norme collegate. Come previsto dai rispettivi articoli, sono stati emanati alcuni decreti attuativi e sono richiamate altre norme collegate alle presente legge. Si riportano di seguito i principali riferimenti: -Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 17/11/2000 "Integrazione della delega di funzioni al Ministro per la Solidarietà Sociale, on. Livia Turco", (Gazzetta ufficiale n. 281 dell'1/12/2000); -Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri 15/12/2000 recante "riparto tra le Regioni dei finanziamenti destinati al potenziamento dei servizi a favore delle persone che versano in stato di povertà estrema e senza fissa dimora" (Gazzetta Ufficiale n. 69, del 23/03/2001); Piano nazionale degli interventi e dei servizi sociali , a norma dell'art.18, comma 2 della legge 328/2000; -Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri recante " Atto di indirizzo e coordinamento sui sistemi di affidamento dei servizi alla persona previsti dall'art. 5 della legge 328/2000" G.U. 14 agosto 2001, n.188); -Schema di regolamento recante "Requisiti minimi strutturali e organizzativi per l'autorizzazione all'esercizio dei servizi e delle strutture a ciclo residenziale e semiresidenziale" a norma dell'art. 11 della legge 328/2000; -Decreto Legislativo del 04/05/2001 n. 207 "Riordino del sistema delle Istituzioni Pubbliche di Assistenza e Beneficenza, a norma dell'art. 10 della legge n. 328/2000" (Gazzetta Ufficiale n. 126, del 01/06/2001); -Schema di regolamento a norma dell'art. 12 della legge n. 328/2000, Profilo professionale degli assistenti sociali, formazione universitaria ed equiparazione dei titoli di studio; -Decreto Presidente del Consiglio dei Ministri recante "Atto di indirizzo e coordinamento sull'integrazione socio-sanitaria", a norma dell'art. 2, comma 1, lettera n della legge 30 novembre 1998, n.419; -Accordo tra il Ministro della sanità, il Ministro della solidarietà sociale e le Regioni e Province autonome di Trento e Bolzano per la individuazione della figura e del relativo profilo professionale dell'operatore socio-sanitario e per definizione dell'ordinamento didattico dei corsi di formazione, a norma dell'art. 4 del Decreto legislativo n. 281/97; -D.PCM 14 febbraio 2001 Atto di indirizzo e coordinamento in materia di prestazioni sociosanitarie ; -DPCM 29 novembre 2001 Definizione dei livelli essenziali di assistenza ; 17

18 -D.M. 20 aprile 2001 recante Istituzione Commissione tecnica per il sistema informativo dei servizi sociali, a norma dell'art. 21, comma 2, della legge 328/2000; -DPCM 21 febbraio 2001 "Atto costitutivo della Commissione di indagine sulla esclusione sociale" di durata triennale, in attuazione dell'art.27, comma 4, legge 328/2000; -Decreto legislativo 25 luglio 1998, n Testo unico delle disposizioni concernenti la disciplina dell'immigrazione e norme sulla condizione dello straniero; -Decreto legislativo 31 marzo 1998, n Conferimento di funzioni e compiti amministrativi dello Stato alle regioni ed agli enti locali, in attuazione del capo I della legge 15 marzo 1997, n. 59" Delega al Governo per il conferimento di funzioni e compiti alle regioni ed enti locali, per la riforma della Pubblica Amministrazione e per la semplificazione amministrativa; -Legge 17 luglio 1890, n Norme sulle istituzioni pubbliche di assistenza e Beneficenza; -Legge 28 agosto 1997, n. 285 Disposizioni per la promozione di diritti e di opportunità per l'infanzia e l'adolescenza. 18

19 2. La riforma dell Ordinamento Penitenziario In Italia è a partire dalla metà degli anni Settanta che il diritto penale ha subito una svolta in senso rieducativo. Sono due i momenti fondamentali di questa svolta e coincidono con l entrata in vigore di due leggi che hanno riformato l ordinamento penitenziario. La prima legge è del 1975 ed ha riformato l ordinamento in vigore fino a quel tempo, che risaliva agli anni 30. La seconda è una legge del 1986, la cosiddetta legge Gozzini, che ha disciplinato le misure alternative alla detenzione carceraria. La riforma dell Ordinamento Penitenziario, emanata con legge n. 354 del 25 luglio 1975, [ ] pose al centro dell attenzione la specificità della persona detenuta, considerata soggetto partecipante e non più passivo destinatario degli interventi punitivi 4. Già da questa prima citazione è possibile capire a quale tipo di esigenza il legislatore volesse rispondere nel momento in cui si avvertì la necessità di implementare una riforma di tale portata. Il riferimento alla centralità del singolo come soggetto attivo piuttosto che passivo destinatario degli interventi punitivi evidenzia un tentativo di cominciare ad intendere la pena in senso rieducativo. È già durante i lavori della Costituente che si inizia a parlare di pena da intendere in senso rieducativo: il terzo comma dell articolo 27 è a questo proposito estremamente chiaro: le pene non possono consistere in trattamenti contrari al senso di umanità e devono tendere alla rieducazione del condannato. Si arrivò a questo articolo dopo che nel corso dei lavori dell'assemblea si discusse delle condizioni di vita all'interno degli istituti e delle attività che in esse si svolgevano. Nonostante il contenuto della carta costituzionale, il principio rieducativo della pena è stato a lungo accompagnato da scetticismi di natura ideologica e politica 5 che hanno frenato i tentativi di sperimentare nuove modalità, già peraltro utilizzate in altri paesi. Comunque le azioni riformatrici prevalsero su coloro che attribuivano alla pena un esclusiva finalità punitiva e retributiva e cercando di assecondare l articolo 27 della Costituzione, la riforma ha messo al centro della disciplina la figura del detenuto. È questo il cambiamento radicale che si registra con questa riforma: non più centralità del reato, ma centralità del reo, che è visto come una persona in grado di cambiare il suo status mentre sta scontando la pena. 4 Cfr. Di Somma Emilio, La riforma penitenziaria del 1975 e l architettura organizzativa dell Amministrazione Penitenziaria, pubblicato sul n.2,3 della rivista Rassegna penitenziaria e criminologica, 2005, pag.1 5 Cfr. Vassalli Giuliano, Il dibattito sulla rieducazione, pubblicato sul n.3,4 della rivista Rassegna penitenziaria e criminologica,

20 La centralità dell individuo è ben espressa dal primo articolo della legge, il quale afferma che nei confronti dei condannati e degli internati deve essere attuato un trattamento rieducativo che tenda, anche attraverso i contatti con l'ambiente esterno, al reinserimento sociale degli stessi. Il trattamento é attuato secondo un criterio di individualizzazione in rapporto alle specifiche condizioni dei soggetti. Viene subito specificato che la pena deve avere uno scopo rieducativo, che dovrà portare al reinserimento dell individuo che si trova in carcere. Il legislatore prevede inoltre che vi sia un osservazione specifica delle esigenze di ciascun individuo, che sarà sottoposto ad un trattamento conoscitivo in modo da rendere possibile la programmazione di progetti di reinserimento. All articolo 13 si legge infatti che il trattamento penitenziario deve rispondere ai particolari bisogni della personalità di ciascun soggetto. Nei confronti dei condannati e degli internati è predisposta l'osservazione scientifica della personalità per rilevare le carenze fisicopsichiche e le altre cause del disadattamento sociale. L'osservazione é compiuta all'inizio dell'esecuzione e proseguita nel corso di essa. Per ciascun condannato e internato, in base ai risultati della osservazione, sono formulate indicazioni in merito al trattamento rieducativo da effettuare ed é compilato il relativo programma, che è integrato o modificato secondo le esigenze che si prospettano nel corso dell'esecuzione. Anche nell articolo 15 si trovano dei riferimenti alle attività lavorative, educative e culturali messe a disposizione dall istituto. Non solo, ma agli internati è anche garantito il lavoro, visto come strumento in chiave del recupero del condannato, dal momento che permette una responsabilizzazione dello stesso: ai fini del trattamento rieducativo, salvo casi di impossibilità, al condannato e all'internato é assicurato il lavoro. Gli imputati sono ammessi, a loro richiesta, a partecipare ad attività educative, culturali e ricreative e, salvo giustificati motivi o contrarie disposizioni dell'autorità giudiziaria, a svolgere attività lavorativa o di formazione professionale, possibilmente di loro scelta e, comunque, in condizioni adeguate alla loro posizione giuridica. Il riferimento al lavoro è particolarmente importante, dal momento che esso è visto come ciò che può effettivamente offrire una qualche speranza di reinserimento per il detenuto. Quindi si pone come fondamentale la partecipazione del detenuto ad attività che vadano oltre la detenzione, considerata necessaria ma non sufficiente. Viene infatti sottolineata l importanza del lavoro produttivo, e non di un attività lavorativa che sia fine a se stessa. Questo significa inserire il detenuto in contesti lavorativi non estranei al circuito produttivo, ma che debbano competere sul mercato, in modo da responsabilizzare il soggetto e in modo che non percepisca l attività lavorativa come uno sforzo inutile. Ecco come è disciplinata, in base all articolo 20, la questione del lavoro per i detenuti: negli istituti penitenziari devono essere favorite in 20

21 ogni modo la destinazione dei detenuti e degli internati al lavoro e la loro partecipazione a corsi di formazione professionale. A tal fine, possono essere istituite lavorazioni organizzate e gestite direttamente da imprese pubbliche o private e possono essere istituiti corsi di formazione professionale organizzati e svolti da aziende pubbliche, o anche da aziende private convenzionate con la regione. Il lavoro penitenziario non ha carattere afflittivo ed è remunerato. [ ] I detenuti e gli internati che mostrino attitudini artigianali, culturali o artistiche possono essere esonerati dal lavoro ordinario ed essere ammessi ad esercitare per proprio conto, attività artigianali, intellettuali o artistiche. Collegato all art.20 è l art.21 che prevede la possibilità per i detenuti o gli internati di svolgere un lavoro all esterno. Si tratta di una possibilità che viene offerta per espressa autorizzazione del Direttore del carcere a quelle persone che dimostrano di avere capacità di recupero e volontà di ricostruirsi un futuro. Il legislatore ha inoltre previsto alcuni articoli relativi alle caratteristiche delle strutture che devono ospitare i detenuti. La dimensione delle celle, degli edifici, la loro capienza, l organizzazione e la gestione degli spazi sono tutti elementi che contribuiscono a favorire il processo di umanizzazione della pena, in atto attraverso questa riforma. All articolo 5 infatti si legge che gli istituti penitenziari devono essere realizzati in modo tale da accogliere un numero non elevato di detenuti o internati. Gli edifici penitenziari devono essere dotati, oltre che di locali per le esigenze di vita individuale, anche di locali per lo svolgimento di attività in comune. Dunque lo spazio a disposizione di ciascun individuo è visto come fondamentale ai fini del suo recupero: non ci devono essere troppi detenuti all interno degli istituti, le celle non devono contenere un numero elevato di soggetti e devono essere garantiti spazi da poter utilizzare per attività varie. Tutto questo per rendere la pena effettivamente rieducativa, considerando che la privazione della libertà è già di per sé afflittiva. Un altro aspetto particolarmente significativo della legge è l apertura del penitenziario alla comunità esterna, disciplinata in due articoli, il 17 e il 78, i quali appunto prevedono che dall esterno sia possibile entrare in carcere per organizzare attività ed eventi a cui i detenuti siano in grado di partecipare. All articolo 17 si legge che la finalità del reinserimento sociale dei condannati e degli internati deve essere perseguita anche sollecitando ed organizzando la partecipazione di privati e di istituzioni o associazioni pubbliche o private all'azione rieducativa. Sono ammessi a frequentare gli istituti penitenziari con l'autorizzazione e secondo le direttive del magistrato di sorveglianza, su parere favorevole del direttore, tutti coloro che avendo concreto interesse per l'opera di risocializzazione dei detenuti dimostrino di potere utilmente promuovere lo sviluppo dei contatti tra la comunità carceraria e la società libera. Quindi secondo il 21

22 legislatore la riabilitazione del condannato è strettamente connessa con la partecipazione della comunità esterna alle attività del penitenziario. Il carcere cessa in questo modo di essere un luogo separato, in cui i detenuti incontrano solo personale dell istituto. Si concede loro di avere rapporti con attori terzi rispetto anche alla famiglia; il rapporto con questi terzi permetterà ai detenuti di mantenere i contatti con una comunità da cui sono per forza di cose separati. 6 Molto simile al 17 è l articolo 78, dove si afferma che l'amministrazione penitenziaria può, su proposta del magistrato di sorveglianza, autorizzare persone idonee all'assistenza e all'educazione a frequentare gli istituti penitenziari allo scopo di partecipare all'opera rivolta al sostegno morale dei detenuti e degli internati, e al futuro reinserimento nella vita sociale. Gli assistenti volontari possono cooperare nelle attività culturali e ricreative dello istituto sotto la guida del direttore, il quale ne coordina l'azione con quella di tutto il personale addetto al trattamento. Collegato all apertura alla comunità esterna è l argomento della territorialità: si afferma infatti all articolo 42 che i detenuti devono essere assegnati in istituti che siano situati in luoghi il più possibile vicini alla residenza della famiglia del condannato. In questo modo si vorrebbe che il detenuto non venisse lasciato solo in un momento di sofferenza non solo per lui, ma anche per la famiglia. Mantenere i contatti con la famiglia è inoltre importante per avere un punto di riferimento una volta tornati in libertà. Il reinserimento passa anche attraverso il mantenimento di rapporti solidi con la famiglia, in modo che questa possa aiutare il soggetto nel momento dell uscita del carcere e del ritorno alla vita nella comunità. La riforma dell ordinamento ha introdotto inoltre uno strumento che consente ai detenuti di uscire per brevi periodi di tempo: si tratta dei permessi che possono essere concessi o come premi o per gravi accadimenti ai famigliari degli internati. La privazione della libertà è considerata come un afflizione sufficiente e tutto ciò che concerne la durata di tale privazione è progettato in vista della rieducazione del soggetto. I permessi sono disciplinati dagli articoli 30 e 30 ter, e sono di due tipi: nel caso di imminente pericolo di vita di un familiare o di un convivente, ai condannati e agli internati può essere concesso dal magistrato di sorveglianza il permesso di recarsi a visitare, con le cautele previste dal regolamento, l'infermo (art.30); ai condannati che hanno tenuto regolare condotta ai sensi del successivo comma ottavo e che non risultano socialmente pericolosi (inserito con articolo 1 D.L. 1991,n. 152 coordinato con la legge di conversione n. 203 del 1991) il magistrato di sorveglianza, sentito il direttore 6 La ricerca di cui al capitolo terzo della presente tesi è stata realizzata grazie all art.17, in base al quale sono stata autorizzata ad entrare in carcere e svolgere interviste e approfondimenti con i detenuti e gli operatori. 22

23 dell'istituto, può concedere permessi premio di durata non superiore ogni volta a quindici giorni per consentire di coltivare interessi affettivi, culturali o di lavoro. La durata dei permessi non può superare complessivamente quarantacinque giorni in ciascun anno di espiazione (art. 30 ter). Un ulteriore questione legata alla riforma è relativa alla flessibilità della pena, cioè all eventualità per il condannato di vedersi ridotta la pena nel caso in cui dimostri di essere a buon punto nel suo percorso rieducativo. L idea che si cerca di rendere è quella di un condannato che non va dimenticato una volta tale, ma va accompagnato lungo un percorso che possa fare in modo che egli sia in grado, una volta fuori, di tornare a vivere nella comunità, ma di farlo senza violare le regole. La libertà anticipata rappresenta uno degli strumenti che meglio permettono di comprendere questo propendere al futuro, dal momento che dimostra come la pena sia veramente concepita come un percorso lungo il quale il detenuto non è solo, ma è accompagnato da tutta una serie di figure che ne valutano i progressi. È la durata della pena ad essere messa in discussione, non la pena in quanto tale. La novità più significativa introdotta dalla riforma dell ordinamento penitenziario riguarda le misure alternative alla detenzione. Il più importante cambiamento apportato da queste misure si riferisce al non concepire più la detenzione come unica possibilità di sanzione penale. Grazie alle misure alternative, infatti, si instaura la possibilità di scontare la pena fuori dal carcere, in parte o totalmente. Ciò non va considerato come un premio, ma come una vera e propria alternativa alla detenzione. La misura alternativa resta comunque una pena, ma è in grado di offrire delle opportunità in termini di rieducazione che la detenzione non è in grado di garantire. Le misure alternative alla detenzione rappresentano non soltanto uno dei punti qualificanti della riforma, ma soprattutto l unico del quale si possa dire che non rimane interamente prigioniero dell istituzione carceraria, poiché tali misure realizzano, in misura variabile, la sottrazione del soggetto alla segregazione e alle sue regole 7. Le misure alternative hanno quindi segnato un punto di svolta importante circa la percezione della pena in Italia, dando l avvio ad esperienze di tipo rieducativo, prima della riforma del 1975 infatti ogni possibilità di alternativa alla detenzione restava in pratica affidata soprattutto ai provvedimenti di amnistia e di indulto. Le misure alternative sono state oggetto di modifiche da parte di una legge entrata in vigore dieci anni dopo la riforma dell'ordinamento penitenziario, la cosiddetta legge Gozzini. 7 Fassone Elvio, La pena detentiva in Italia dall ottocento alla riforma penitenziaria- Il Mulino 1980, p

24 Il 10 ottobre 1986 entra in vigore la legge numero 663, meglio conosciuta come legge Gozzini, la quale modifica l'ordinamento penitenziario relativamente alla disciplina delle misure alternative. Vengono quindi introdotte nell'ordinamento misure che al di là della detenzione, consentono di scontare la pena all'esterno, in un regime di sicurezza che non è quello carcerario, con l'accompagnamento di figure come quella degli assistenti sociali. Gli elementi innovativi si concretizzano nei seguenti punti: 1) una nuova disciplina delle misure (nonché nell'introduzione di una nuova misura: la detenzione domiciliare); 2) l'introduzione dei permessi-premio; 3) un diverso regime del lavoro dei detenuti; 4) alcune modifiche in tema di misure di sicurezza detentive. Sono stati istituiti, per l amministrazione di tali misure alternative, degli appositi organismi, che la legge del 1975 aveva denominato Centri di servizio sociale per adulti, ma che sono stati trasformati negli Uffici di esecuzione penale esterna (UEPE) nel 2005, con la legge numero 154 del 27 luglio. Tali uffici provvedono a seguire i condannati in misura alternativa, che si trovano perciò nella condizione di scontare la loro pena fuori dal carcere. Ecco quanto dispone l articolo 3 della legge 27 luglio 2005, n. 154: gli uffici: svolgono, su richiesta dell'autorità giudiziaria, le inchieste utili a fornire i dati occorrenti per l'applicazione, la modificazione, la proroga e la revoca delle misure di sicurezza; svolgono le indagini socio-familiari per l'applicazione delle misure alternative alla detenzione ai condannati; propongono all'autorità giudiziaria il programma di trattamento da applicare ai condannati che chiedono di essere ammessi all'affidamento in prova e alla detenzione domiciliare; controllano l'esecuzione dei programmi da parte degli ammessi alle misure alternative, ne riferiscono all'autorità giudiziaria, proponendo eventuali interventi di modificazione o di revoca; su richiesta delle direzioni degli istituti penitenziari, prestano consulenza per favorire il buon esito del trattamento penitenziario. La misura alternativa più ricorrente è l'affidamento in prova al servizio sociale, concessa a chi è stato condannato a pene non superiori ai tre anni o a chi ha un residuo di pena che non superi i tre anni. Tale misura è disciplinata dall'articolo 11 della legge Gozzini, che modificò l'articolo 47 dell'ordinamento penitenziario. La misura dispone che il condannato possa scontare la pena fuori dal carcere, in qualità appunto di affidato in prova al servizio sociale. Tale misura è assegnata sulla base di una osservazione condotta o all'interno oppure all'esterno dell'istituto nel momento in cui il soggetto abbia rispettato le condizioni ritenute opportune per l'ottenimento della misura. La decisione finale spetta comunque sempre al Magistrato di Sorveglianza. La novità principale di tale articolo consiste nel permettere di ottenere la misura direttamente dalla libertà, senza che sia necessario passare dal carcere, se non per un 24

25 periodo di custodia cautelare. Al reo vengono assegnate delle prescrizioni in materia di orari da rispettare nei quali deve soggiornare presso un domicilio prestabilito, divieto di frequentare pregiudicati, divieto di uscire da un determinato ambito territoriale, ecc... Del controllo sul rispetto di tali prescrizioni si occupano le forze dell'ordine e i servizi sociali, secondo le rispettive competenze. Nel caso di mancato rispetto di tali prescrizioni il Magistrato di Sorveglianza competente può procedere alla revoca della misura, che comporta l'ingresso in carcere del soggetto. Con la legge Gozzini viene introdotta la detenzione domiciliare, disciplinata dall'articolo 13, il quale, al primo comma, afferma che la pena della reclusione non superiore a due anni, anche se costituente parte residua di maggior pena, nonché la pena dell'arresto, possono essere espiate, se non vi è stato affidamento in prova al servizio sociale, nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora ovvero in un luogo pubblico di cura o di assistenza quando trattasi di: 1) donna incinta o che allatta la propria prole ovvero madre di prole di età inferiore a tre anni con lei convivente; 2) persona in condizioni di salute particolarmente gravi che richiedono costanti contatti con i presidi sanitari territoriali; 3) persona di età superiore a 65 anni, se inabile anche parzialmente; 4) persona di età minore di 21 anni, per comprovate esigenze di salute, di studio, di lavoro e di famiglia. Sarà quindi possibile per i soggetti che soddisfano queste condizioni non entrare in contatto con il carcere o terminare di scontare la propria pena a casa, in modo da rendere meno problematico il passaggio dalla detenzione alla libertà. Anche in questo caso, nel momento in cui il soggetto dovesse venire meno alle prescrizioni e agli obblighi che gli sono imposti dal Tribunale, si vedrebbe revocata la misura. Si può dire che anche questa è una misura volta alla decarcerizzazione, che si inserisce nella logica di vedere il carcere come estrema ratio di un sistema di pene più ampio, che offre opportunità agli individui che si macchiano di reati non gravi. L'articolo 14 della Gozzini disciplina la misura della semilibertà, misura che consiste nella concessione al condannato e all'internato di trascorrere parte del giorno fuori dell'istituto per partecipare ad attività lavorative, istruttive o comunque utili al reinserimento sociale. I condannati e gli internati ammessi al regime di semilibertà sono assegnati in appositi istituti o apposite sezioni autonome di istituti ordinari e indossano abiti civili. È possibile ottenere tale misura dopo aver espiato metà della condanna in carcere; una novità introdotta dalla Gozzini sta nel fatto che, se un soggetto si vede inflitta una condanna non superiore a sei mesi, egli può scontarla interamente in semilibertà, sempre che non gli sia concesso l'affidamento in prova al servizio sociale. Va inoltre presa in considerazione la liberazione anticipata, che in realtà non si presenta come una misura alternativa, ma che ha contribuito molto a stabilizzare le 25

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