Nessuno ha detto niente (Racconti ) La bufera. di Carlo Simoni.

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1 Nessuno ha detto niente (Racconti ) La bufera di Carlo Simoni Si guardano negli occhi. Non s era mai accorto che l asino ha gli occhi così distanti, ai due lati del muso: adesso che ce l ha proprio di fronte vede che sporgono, a sinistra e a destra. Eppure, anche se messi così, lo guardano fisso. Gli occhi, dell asino, nei suoi. Come i suoi in quelli dell asino. Stava passando, a testa bassa, e non si era accorto. E stato l asino a venir giù per il prato, di corsa. Ha raggiunto il filo spinato nel punto dove era arrivato lui in quel momento, che allora ha alzato gli occhi. E l animale ha fatto il suo raglio. Quell urlo appena tentato che poi, nel sentirsi, si perde d animo e finisce in quel resto di suono sconsolato che sembra una rinuncia, come se l asino si fosse una volta di più convinto che non è il caso di continuare, né di riprovare. Ogni raglio di asino sembra l ultimo. L ultimo tentativo, una prova cui ancora una volta non ha saputo resistere ma che non farà più. E stato dopo, che sono rimasti lì a guardarsi negli occhi. Dopo il raglio e dopo che l uomo è salito di un passo sulla proda e tenendosi a un paletto del filo spinato ha raggiunto con la mano la fronte dell asino e ce l ha tenuta un momento. Adesso sono lì uno di fronte all altro. Fermi. Passano almeno due o tre minuti prima che l asino distolga lo sguardo. L uomo sente che ha fatto male. Non doveva insistere, doveva smettere prima lui di guardar fisso negli occhi l asino. Ma è andata così. Gli sale a dargli ancora un carezza. Nota che non è un asino, ma un asina. Le dice anche arrivederci, ad alta voce. Poi riprende a salire, ma sente i tonfi degli zoccoli dell animale che lo seguono: cammina poco dietro di lui, lungo il sentiero che le sue zampe hanno scavato parallelo alla strada, appena di là del filo spinato. L uomo, quando arriva all angolo dove la recinzione finisce, si impone di non girarsi a guardare l asino. Sa che è là che lo guarda andarsene. E una cosa che conosce e che non sopporta. Lui che se ne va e qualcuno che lo guarda andarsene, e il cuore che gli si fa pesante della pena di quell andare. Come se nello stesso tempo fosse anche quello che è rimasto a guardarlo allontanarsi. Cammina a passi lunghi. Ha deciso di andar su fino a Navone, attraverso il bosco. Il tempo è bello, un pomeriggio di fine ottobre giallo e rosso. E poi è venuto da solo questa volta, non con la moglie. Lei è dai suoi parenti. Ma lui ha deciso di venire lo stesso. Si è portato lavoro da fare, ma la borsa l ha lasciata nella macchina. Un romanzo da leggere invece l ha nello zaino, ma ha pensato che sarà una risorsa per la sera. Sarà stanco stasera. Ha quasi due ore da camminare. Va bene così, si dice. Va bene, si ripete ad alta voce. E un sentiero che ha fatto saranno quindici anni fa, però scendendo. Non l ha mai risalito. Lo ricorda ripido, e dissestato. Le pietre che lo selciavano scalzate per interi tratti, a ingombrarlo come il letto di un torrente. Aveva pensato di far la strada, fino a Navone, ma poi, dopo una decina di minuti che aveva lasciato l asino, ha visto alla sua destra quel sentiero e l ha imboccato. Senza star a pensare se gli conveniva, se ne aveva davvero voglia Basta con quello stare a guardarsi dentro per capire che cosa voleva

2 davvero. Tanto non ci trovava niente, dentro. Solo il ricordo di quella volta che aveva voluto far così e così, ma non la volontà di farlo adesso. Perciò, tanto vale. Hanno segnato di fresco il sentiero. Sente di provare un gratitudine esagerata per chi l ha fatto. Come se l avesse fatto apposta per lui, proprio per quel giorno. E la sensazione si conferma nel vedere che quando incontri un segno puoi traguardare subito il successivo. Anche la salita, che è dura, si fa meno faticosa: è un andare da un segno all altro, senza doversi figurare l arrivo, là in cima al monte, dove il sentiero torna sulla strada. Senza dover pensare alla camminata tutta intera, ma solo al tratto che si sta facendo: fra una traccia biancorossa sul tronco di quest albero e l altra che si intravede sulle pietra una ventina di passi più avanti. Cammina guardando le foglie di castagno che coprono il terreno e le pietre. Fra le foglie ci sono molte castagne. Piccole, ma lucide. Sane. Lì nessuno è venuto a raccoglierle. Si china a prenderne una: stasera potrebbe accendere il fuoco e farsene un po : un bicchiere di vino, qualche castagna ma l ha già buttata fra le foglie e i ricci, insieme alle altre che non raccoglierà. E meglio che stiano lì, a sciogliersi piano piano nella terra. Insieme a tutto il resto. Fa passi corti, lenti. Sa che così il fiato gli può bastare. Non dovrà fermarsi col cuore che gli picchia contro lo sterno. Li vede all ultimo momento, quando gli è già quasi contro, perché cammina guardando le foglie sul sentiero. Sono tre o quattro castagni: lunghi. Non alti: lunghi, perché si sono sradicati e stanno sdraiati a tagliare il sentiero. Tronchi grossi, non pianticelle. Eppure sono giù. Li hanno sradicati per portarli via? ma perché non li hanno tagliati allora? e perché sono ancora lì? Li scavalca, appoggiando le mani sui tronchi. Di là il sentiero prosegue. Va in piano adesso, può allungare il passo, salvo quando deve scavalcare altre piante cadute. Dopo un quarto d ora si rende conto di non aver più visto i segni bianchi e rossi. Ha perso il sentiero. Ma non ha visto deviazioni. Prosegue: lo ritroverà. Solo a tratti le piante sono ancora gialle e rosse. Basta che il sentiero curvi di poco e le piante diventano scure: il sole non le illumina più. Si gira a guardare: sta tramontando dietro un monte. Ma appena più avanti dà ancora i colori al bosco. Guarda l orologio: sono tre quarti d ora che cammina. Sono le cinque e dieci. Fra un ora sarà quasi buio, pensa. Ma non lo sa di sicuro: in città non ci si bada. Fa ancora un centinaio di metri: altre piante coricate sul sentiero. Allora torna indietro. Ha sentito la paura di perdersi. L ha sentita arrivare come se fosse lì che covava da un bel po, da ancora prima che lasciasse la strada per prendere il sentiero. Riconosce le prime piante sradicate: quei castagni che ha scavalcato per primi. Deve essere lì che ha sbagliato. Risale un po il pendio e aggira la massa di radici e terra: il segno bianco e rosso è lì poco distante. Riguarda l orologio: in mezz ora dovrebbe farcela ad arrivare alla strada che corre su in alto. C è addirittura un faggio caduto in mezzo al bosco, poco distante dal sentiero: almeno trenta centimetri di diametro il tronco. Si è distratto. Ha camminato a testa bassa per un bel pezzo, perché il sentiero è più in salita di prima. Non vede più il segno: ho sbagliato di nuovo, si dice. Ma va avanti: già si vede a arrancare fuori dal sentiero per arrivare alla strada prima che faccia scuro. Invece eccolo lì di nuovo, che gli dice che non ha sbagliato. Che ha solo paura di sbagliare ma non ha sbagliato. Si ferma a stringere le cinghie dello zaino. E lo vede: in mezzo al sentiero, fermo sulle quattro zampe, che lo guarda fisso. L ingegnere tende l orecchio aspettandosi di sentire un richiamo, o i passi di qualcuno, del padrone del cane. Ma non sente niente. Il cane lupo di una casa dei dintorni, che si è allontanato dietro a qualche odore. Ma ha le zampe troppo lunghe: mai visto un cane così alto, e magro. Grigio poi, con qualche macchia, giallastra nella poca luce che c è in quel punto. Non nero e marrone come i cani lupo. E poi gli occhi: grigi anche quelli, in un muso lungo, affilato. Le orecchie a punta, alte sulla testa. Dure.

3 Gli guarda la pancia: sembra che neanche respiri tanto è fermo. L asino era stato solo il primo allora. Una specie di preannuncio. L animale che doveva incontrare era questo: non che lo pensi davvero, l ingegnere, ma gli sembra che sia così. E come se con l asino fosse stata una prova: anche con quello è stato a guardarsi, ma qui è diverso. Con l asino poteva parlare, e poi sarebbe andato via, sarrebbe andato oltre. Adesso no: questo cane non lo stava aspettando, come sembrava che facesse l asino. Non aveva niente da dirgli. Non c è nessun recinto, ma è come se quello che era fuori fosse il cane. Questo strano cane, che non ha bisogno di nessuno. Che lo guarda da lontano, da molto lontano, sembra, anche se è solo a una decina di metri. Guarda proprio lui. Ma non gli interessa, non è che s aspetti qualcosa da lui. Non l ha deciso. Si è accorto che sta andando avanti quando ha già fatto tre o quattro passi. Verso quegli occhi grigi, distanti. E da quando è uscito di casa che non si sentiva così. Tranquillo. Quel che deve succedere succederà. E andrà bene. In ogni caso. Non c è più da temere che arrivi il buio. Né che il pulsare del cuore diventi dolore. Quel che sta facendo è andare avanti. Avvicinarsi. Non ha un bastone per difendersi. Niente. Lui non è uno che ha paura dei cani. Non è mai stato morsicato. Ma non è questo. E che doveva succedere che lui arrivava lì. E così e basta. Non gli viene di fermarsi o di guardarsi intorno. Se il cane gli salterà alla gola si alzerà meno rumore di quando quegli alberi sono caduti. Ma lo sapeva. S accorge che lo sapeva: il cane, senza smettere di guardarlo, ha fatto un balzo e è scomparso. A lato del sentiero. Nei cespugli. Non lo si sente neanche. E scomparso, non è scappato. Lo sapeva che sarebbe successo così. Non rallenta il passo l ingegnere. Va avanti. Ha il fiato corto, e sente la maglietta bagnata di sudore sotto la camicia, e la giacca, ma va avanti. Quel succeda quel che deve succedere che tanto va bene gli è rimasto dentro. E come se si fosse levato un peso, che portava da parecchi giorni. E come se potesse far a meno di portarlo: adesso. O d ora in poi, magari? Non lo sa, non vuole saperlo. L importante è che adesso non ce l ha più addosso. In alto il bosco sembra finire perché finisce il monte, forse c è la strada. E arrivato che è ancora abbastanza chiaro. E infatti c è qualcun altro. Sente un rumore di camion e una motosega. Proprio lì dove sbuca sull asfalto ci sono due uomini e un ragazzo, uno del paese. Un altro uomo è sul camion e sta andando indietro piano. Gli altri tagliano a pezzi un tronco di faggio, ancora più grosso dell altro che ha visto prima. Intorno ci sono castagni, betulle. Il ragazzo lo riconosce, ma non lo saluta: ti sei messo a fare il boscaiolo? gli chiede l ingegnere. No, portiamo via le piante di lunedì. Lunedì? Sì, lunedì: quando c è stato quel vento Una bufera proprio Non c è stato anche in città? chiede uno degli uomini. Non lo sa: ci pensa ma non ha idea di che tempo facesse in città lunedì. Era in città, questo sì, ma non sa. Ha fatto un disastro, dice ancora l uomo. Mai vista una roba del genere. E neve: neve appena qui sopra. Neve in ottobre: mai vista qui. Una bufera tremenda. Li saluta prima che non ci sia più niente da dire. Sta ancora meglio adesso. Gli è piaciuto parlare con gente di qui, che sa cosa succede o non dovrebbe succedere, in ottobre. Cammina sulla strada, un passo dopo l altro, veloce. Va in discesa adesso. Sta venendo buio. Non ha la pila, ma tanto non passa nessuno: sono già tutti a casa, o all osteria, a quest ora. Ci passerà anche lui, a bere un bicchiere prima di andare a casa e farsi qualcosa per cena. Ripassa davanti al recinto dell asino. Guarda, ma non c è più. Sarà nella baracca in fondo al prato. Forse ci va da solo, quando viene scuro, o ce l avranno chiuso.

4 I fanali del camion illuminano la strada: hanno caricato un po di tronchi e tornano giù. Hanno i finestrini aperti, anche se fa freddo, e lo salutano. Lui risponde con la mano, come se si vedessero tutti i giorni. E ormai vicino al paese. Prende la mulattiera che taglia per il bosco. La stradina è di cemento, la si vede bene anche se non c è quasi più luce. Nell osteria uno lo saluta, gli altri un cenno. Lo conoscono. Sono vent anni che lo vedono a fine settimana, a Natale, in estate. Però è sempre uno di fuori: allora, cosa dicono in città, ingegnere? chiede quello che l ha salutato. Lui sa che non occorre rispondere, basta fare un gesto, come per dire non so, dicono sempre le stesse cose, cose che non contano. La Emma, dietro il banco, lo guarda per sapere cosa vuole bere. Un rosso anch io, dice, guardando i bicchieri degli altri. Hanno ripreso il discorso che stavano facendo: l asino del Michelini, certo! Ma quando? domanda quello che l ha salutato, Stanotte passata. L han trovato colle budelle di fuori. Gli ha mangiato la coscia e poi aveva cominciato lì nella pancia. L avranno spaventato, dice quello più vecchio. Dico anch io: se no andava avanti, perché per venir giù fin lì vuol dire che di fame ne aveva! Ma dove? dice l ingegnere: cos è successo? Un lupo caro mio. Un lupo, che non se ne vedevano da appena dopo la guerra! Si vede che con questa neve non trovava più niente, e allora la fame Va be la fame, ma pecore: quelle se n è sentito che ne sì. Non qui da noi ma l hanno detto alla televisione. Ma un asino Neanche mio nonno che di lupi ne aveva visti anche qui ha mai detto che il lupo prendeva un asino Ma dove? ripete l ingegnere A San Michele, nell altra valle, qui dietro il monte. Un lupo? Sì sì, quello è sicuro. Guardi di stare attento a non venire di qua perché noi siamo pronti: le cartucce del cinghiale le abbiamo pronte e vanno bene anche per lui. E chiudere le bestie nelle stalle, dice piano il vecchio. Dicono che vogliono andare a cercarlo Chi te l ha detto? Mio cugino che va colla sua compagnia a cinghiale. E dopo? sai mica che ti danno una multa che ti mangiano fuori la casa? Bisogna lasciar fare ai forestali Sì, come su dove è andato a stare il Tenini: a uno che stava vicino a lui l orso gli ha ammazzato tre pecore. Bene: ha aspettato tre anni per avere i soldi, e sono in Trentino, che là di soldi ne hanno! No no: farli fuori prima! Eh? cosa dice lei, ingegnere, dico sbagliato? Lui fa un gesto come prima, e si gira: alla televisione stanno dicendo il tempo di domani: ancora brutto. Ma non farà come lunedì, dice lui. Ah, come lunedì mai visto e si mettono a parlare dei danni che ha fatto. Lui può tornare a ascoltare senza dir niente. La Emma gli mette davanti due fette di salame e gli versa ancora un bicchiere di vino. Mi dai due uova, anche se è passato l orario? le chiede lui, e anche un po di formaggio. L osteria fa anche bottega. La Emma gli mette tutto in un sacchetto. Paga, saluta. Fuori si è messo a piovigginare. Non gli viene neanche in mente di aprire la macchina, che è lì davanti, e prendere la borsa colle sue carte. Guarda in alto, verso il bosco. Il monte, sopra il paese, è un ombra nera.

5 Più nera del cielo, più profonda.

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