ORIENTAMENTO QUADERNI

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1 DI ORIENTAMENTO QUADERNI Regione Autonoma Friuli-Venezia Giulia Direzione regionale per le identità linguistiche e i migranti, l istruzione, la cultura, lo sport Servizio per l istruzione e l orientamento Periodico semestrale II semestre - Dicembre 2003 Anno XII - N. 23 ORIENTAMENTO Dalla mente alle relazioni La sfida emergente ORIENTAMENTO E SCUOLA La scuola come organizzazione La formazione per l insegnamento I circoli di formazione degli adulti ORIENTAMENTO E SOCIETÀ Informarsi studiare e lavorare senza confini Tracce e profili di disoccupazione 23 SPAZIO APERTO INFORMA LIBRI

2 Orientamento Orientamento e Scuola Orientamento e Società Spazio Aperto Informa Libri Inserto Allegato IN QUESTO NUMERO EDITORIALE... Dalla mente alle relazioni La sfida emergente... Redazione... K. J. Gergen... La scuola come organizzazione... M. Cornacchia... La formazione per l insegnamento... F. Ometto... I Circoli di formazione degli adulti... G. Iannis... Informarsi, studiare e lavorare senza confini... P. Vattovani, G. Pellegrini.. Tracce e profili di disoccupazione... G. Blasutig... I ragazzi della panchina... A. Zamai, A. Picco, F. Merlo Bullismo in classe e soluzione dei conflitti... L. Francarli... Progetto Gioventù Youth Interaction Wb 1... G. Marino, L. Conte... La qualità nei servizi scolastici... S. Vizin... Inaugurazione dello Sportello Ri.T.M.O.... G. Zoff... C. G. Jung Psicologia analitica... T. Tonchia... Le attività di Ri.T.M.O. L Orientamento in Slovenia

3 Gli articoli di questo numero dei Quaderni di Orientamento sono ritmati da numerose opere fotografiche di colui che viene considerato il più importante fotografo d arte (così un tempo si diceva) del primo Novecento friulano. Nato a Udine nel 1890, Buiatti da giovanissimo apprende i primi segreti della fotografia frequentando lo studio di Pietro Modotti, pioniere e ricercatore di tecniche fotografiche, zio della mitica Tina, fotografa e rivoluzionaria. Dal temperamento ribelle, per fuggire le strettoie della provincia intraprende diversi viaggi attraverso l Europa alla ricerca di nuovi stili e di vivaci ambienti culturali. Nel 1909 si trova a Parigi dove lavora come operatore al Pathé Journal, quindi si trasferisce alla Nordish Film di Copenaghen, ed infine a Monaco. Quest ultimo soggiorno risulta alquanto utile, perché nella capitale bavarese apprende con raffinatezza tutte le principali tecniche della fotografia pittorica, come l uso degli obiettivi d artista (dalla resa morbida), la stampa al bromolio e alla gomma bicromata, il viraggio, le carte al carbone. Sono tutte tecniche che appartengono al filone della fotografia artistica, al quale il fotografo udinese resta fedele per tutta la vita, tanto da essere annoverato dagli storici come il più importante e testardo rappresentante di quella tendenza che alimentò il cosiddetto salonismo fotografico. Rientrato definitivamente a Udine nel 1923, Buiatti apre uno studio in via Cavour per dedicarsi principalmente al ritratto. Partecipa a diverse esposizioni e nel 1924 ottiene il primo premio al Salone internazionale di Londra. Dal 1928 al 1935, forse il periodo più fertile, tiene studio nel palazzo Plateo di via Marinoni, dove esegue ritratti della piccola e media borghesia friulana, oltre a registrare i volti di tutti gli artisti che appartengono all arte friulana d avanguardia (Dino, Mirko, Afro, Filipponi); la sua fama di ritrattista richiamerà poi in Friuli diversi artisti italiani (Carena, Cagli, Guidi). Nei tanti decenni di attività, Buiatti si dedica con particolare attenzione alla fotografia di paesaggio; immagini che gli valgono prestigiosi premi alle mostre internazionali di Varsavia, Roma, Stoccolma. Si tratta di una appassionata indagine sulla natura, che viene colta in momenti romantici, lirici e bucolici. Pubblica su numerose riviste e tiene solidi contatti con il mondo della fotografia friulana (Pignat, Brisighelli, Turrin). Sposta nuovamente lo studio in via Tiberio Deciani, dove lavora per molti anni, trascorre il periodo del secondo dopoguerra e prepara un ampia rassegna di sue opere (paesaggi, ritratti, nudi e nature morte) per il Circolo Artistico Friulano. Negli anni Sessanta, con studio in piazzale Primo Maggio, ai piedi del Castello, si dedica alla ristampa di molte lastre dei decenni precedenti. L ultima sua esposizione, antologica, viene allestita a Udine nel 1978 a cura del Circolo fotografico friulano. Silvio Maria Buiatti conclude la sua lunga vita nel gennaio del Prof. Riccardo Toffoletti Errata corrige Per uno spiacevole refuso negli allegati al N. 22 della rivista la dott. Fiorella Balestrucci è stata presentata erroneamente. Scusandoci con l interessata, si precisa che la dott.ssa Balestrucci opera presso il CRDA - Centro regionale di Documentazione e Analisi sull infanzia e sull adolescenza - Direzione Regionale della Sanità e delle Politiche Sociali.

4 Editoriale La principale sfida del sistema formativo sostiene, nell articolo di apertura, Kenneth J. Gergen, ci induce a concentrare l'attenzione ed a convogliare gli investimenti sul processo di relazione, rinunciando definitivamente a centrare l obiettivo sul singolo studente. Si tratta di un passaggio che dovrebbe essere scontato ma che, in realtà, nel mondo occidentale è assai impegnativo e costringe a superare una concezione sedimentata della teoria e dell'organizzazione. Quando riteniamo che la mente individuale sia la realtà primaria, chiosa Gergen, creiamo un abisso fra l'individuo e gli altri poiché il buon ragionamento non è un momento privato, bensì l'autentica espressione di una rielaborazione interpersonale. Il ruolo e la formazione della scuola, nell'attuale società complessa, dipendono anche dalla sua organizzazione dato che 'i fallimenti nella scuola sono dovuti in grande misura a carenze organizzative e di intesa fra i docenti'. Allora, si chiede Matteo Cornacchia, quali possono essere i rimedi? Superata la logica centralistica e verticistica ed in accordo con l'autonomia scolastica egli, nella sua disamina, suggerisce l'opportunità di soluzioni diversificate, contestuali ed orientate all'apertura e all'integrazione fra sistemi. Franca Ometto scrive che la società della conoscenza esprime un bisogno crescente di formazione e che la formazione degli insegnanti è il nodo cruciale di tale azione. I docenti hanno il compito non solo di creare un clima di classe facilitante, ma soprattutto di organizzare condizioni di apprendimento facilitanti che consentano il raggiungimento degli obiettivi prestabiliti. In Svezia gli Studiecirkel hanno una tradizione centenaria, essendo stati proposti da Oscar Olsson, all inizio del secolo scorso. Il modello non solo non è invecchiato ma continua a far proseliti; infatti, è stato recentemente sperimentato in Toscana per sviluppare attività formative organizzate per piccoli gruppi di cittadini, a partire dalla loro domanda di formazione. La scelta toscana, scrive Giulio Iannis, è stata quella di creare un sistema di educazione permanente che comprende sia l educazione formale (che permette il conseguimento di un titolo o di un attestato professionale), sia l educazione non formale, che implica modalità di apprendimento meno strutturate. I cambiamenti che investono l Unità Europea con l ingresso, a breve, dei nuovi partners impegneranno sempre più i Paesi a confrontare progettualità e metodologie. Piero Vattovani e Graziella Pellegrini presentano un progetto per realizzare, nell ambito del programma INTERREG III A Italia-Slovenia, azioni e iniziative di orientamento scolastico e professionale a dimensione transnazionale. Il mercato del lavoro è, probabilmente, l'ambito socio-economico che ha maggiormente risentito dei cambiamenti strutturali della società e che mostra la maggior cesura rispetto al passato anche recente. Pertanto, l'osservazione del fenomeno della disoccupazione non può affidarsi ai vecchi strumenti ma deve sperimentare nuovi modelli interpretativi. Nel suo intervento che si concentra sull ambito regionale ma che può essere paradigmatico di una realtà più ampia, Gabriele Blasutig rileva che la disoccupazione appare come un fenomeno poco strutturato, 'che appare e scompare, localizzato e mobile nello spazio territoriale e nella geografia sociale, che a volte si manifesta con forza dirompente, oppure in maniera larvata e silente'. Spazio Aperto ospita un intervento di Alessandro Zamai, Andrea Picco e Francesca Merlo nel quale gli autori presentano un progetto di integrazione di un gruppo deviante alla città. L assunzione di una identità secondaria rende difficile qualsiasi progetto di recupero in quanto la persona si vede impotente, incapace di attivare qualsiasi forma di cambiamento. La devianza sarebbe il tentativo estremo di adattarsi a tale fallimento. Dunque, valorizzare la diversità, comprendere la storia personale senza allontanare il deviante, può rappresentare un importante possibilità di integrazione. Il progetto Ragazzi della panchina, che ha già cinque anni di vita propone, attraverso iniziative di diverso respiro, un idea più articolata del mondo della tossicodipendenza e contribuisce attivamente al miglioramento delle condizioni di vita della persona in difficoltà, ma anche di chi gli sta intorno. 23 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 3

5 DALLA MENTE ALLE RELAZIONI LA SFIDA EMERGENTE Kenneth J. Gergen ri, vanno ricercati fondamentalmente quando possono essere utili per gli scopi del singolo. Credere nella supremazia della mente del singolo incoraggia una cultura di solitudine, sfiducia ed antagonismo. E quando l individuo viene prima di tutto, i rapporti interpersonali e la partecipazione alla vita della comunità deteriorano entrambi. Questi dubbi sul punto di vista individualistico fanno da complemento ad un crescente numero di studi che esplorano le basi comuni della conoscenza e della ragione. In questo caso l eredità cartesiana del pensatore solitario è necessaria alla concezione individualistica. Se ci accingessimo ad eliminare dalla mente umana tutti i concetti e le logiche fornite dalla cultura, che cosa resterebbe di significativo? Nell isolamento, potrei pensare ai temi della moralità, della giustizia, o ai costi e ai benefici dei vari corsi d azione senza un corpus di concetti e logiche fornitemi dai rapporti con gli altri? Ragionare bene non è mantenersi fuori dai rapporti interpersonali per un momento privato, ma partecipare pienamente ad essi. Questa modalità di pensiero è ancora diffusa tra gli studenti, rivelando la dipendenza della conoscenza dai comuni e condivisi valori ed intendimenti. Da questo punto di vista, lo scienziato non lavora mai veramente da solo; lui (o lei) viene preparato dalla comunità grazie alla quale avvengono le scoperte tramite l osservazione. Quella che riteniamo la conoscenza non è tanto uno specchio del mondo com è, ma il risultato di un tentativo interpretativo della comunità di realizzare i suoi valori dentro certi contesti. La conoscenza medica dell Occidente, per esempio, non è tanto vera quanto è funzionale in ter- Le riflessioni sull istruzione costituiscono un significativo contrappunto ai movimenti che si muovono velocemente attraverso la cultura, se non addirittura attraverso il mondo. In parte a causa delle profonde trasformazioni tecnologiche del secolo passato, ci siamo messi in contatto con un crescente numero di persone, provenienti da differenti luoghi e per diversi scopi. Dovunque c è una forte necessità di collaborazione, di lavoro di squadra, di rete e negoziazione LA SFIDA EDUCATIVA L idea della quale tratterò è che la principale sfida del sistema educativo del nostro secolo sia quella di sostituire la tradizionale attenzione al singolo studente con investimenti finalizzati al processo di relazione. Che cosa significa questo, sia dal punto di vista teorico che pratico? Prima di tutto consideriamo la nostra tradizionale opinione secondo cui il fine dell istruzione è quello di impartire la conoscenza allo studente, migliorare le sue capacità di ragionamento e giudizio. Una buona istruzione preparerà l individuo a partecipare produttivamente alla società ed a contribuire come cittadino responsabile al processo democratico. Tali teorie sono d altronde fortemente connesse alle nostre pratiche d insegnamento. Rendiamo ogni singolo studente responsabile del proprio lavoro, registriamo i suoi progressi, valutiamo e classifichiamo le sue esecuzioni individuali; i punteggi di ogni singolo studente vengono registrati gerarchicamente, con lo scopo di valorizzare i voti migliori e di correggere le aree carenti. Peraltro, stiamo diventando man mano e spesso dolorosamente, consapevoli del fatto che questa costellazione di teorie e pratiche appartiene ad un giovane di altri tempi. La tradizione sembra meno importante e, nelle condizioni attuali di cambiamenti globali accelerati, pare inadeguata. Facciamo risalire questa tradizione al periodo dell Illuminismo occidentale, che consiste nella celebrazione della mente dell individuo, della capacità di ognuno di pensiero e giudizio autonomo e che forniva un fondamento logico per la liberazione dal controllo assoluto della Chiesa e dello Stato. Nel processo di sviluppo del modernismo occidentale, la celebrazione della mente dell individuo ha proceduto contestualmente alla ricerca della libertà, della giustizia e della democrazia. A questo punto, perché cercare alternative? Non siamo dove dovremmo essere, e non dovrebbe la nostra tradizione essere condivisa globalmente? Per molti la sofferenza inizia con la realizzazione del mondo che creiamo quando celebriamo la mente dell individuo. Quando crediamo che la mente individuale sia la realtà primaria, creiamo un abisso fra l individuo e gli altri. Vediamo noi stessi come individui che vivono all interno dei propri mondi isolati. Io sono qui e tu sei lì. Non potremo mai sapere quello che passa nella mente degli altri, dietro la maschera degli occhi, perciò non potremo fidarci pienamente delle azioni degli altri. Quindi il nostro compito principale è quello di prenderci cura del number one. Secondo questa visione del mondo, i rapporti interpersonali sono artificiali e seconda- QUADERNI DI ORIENTAMENTO 23 4

6 Orientamento Moggio Udinese, 1948 mini di valori e credenze. La medicina occidentale rappresenta prima di tutto il progresso all interno del sistema concettuale condiviso o diffuso dalla cultura occidentale. Allora, la conoscenza scaturisce dalle comunità e non dalle menti individuali dei suoi partecipanti. Le implicazioni di questa nascente coscienza dell istruzione sono profonde. La nostra attenzione prima di tutto si sposta dalla mente dei singoli studenti alle tipologie di rapporti interpersonali dai quali la conoscenza, il sapere possono emergere. Inoltre, ci siamo sensibilizzati alle differenze della comunità ed ai modi in cui la conoscenza in un individuo può essere disfunzionale senza l altro. Cominciamo a chiederci di chi sono le voci presenti in ogni processo che produce conoscenza e di chi sono le voci assenti o silenziose. E siamo attenti ai problemi creati dai campi tradizionali della conoscenza. Le distinte discipline della biologia, della letteratura e dell arte, per esempio, non vengono definite dal modo in cui il mondo è, ma riflettono le diverse tradizioni della comunità. Quando queste comunità cesseranno di comunicare tra loro, o anche con molte delle comunità che compongono la società, il risultato sarà un isolamento doloroso. Dialoghi su argomenti di questo genere stanno anche diventando sempre più di centrale interesse nella sfera educativa. Il lavoro di un leader dell educazione, Jerome Bruner, fornisce un interessante segnalatore del tempo. Negli anni Settanta il lavoro di Bruner contribuì fortemente a stimolare il movimento cognitivo nell istruzione; in esso il tema della ragione del singolo era centrale. Nel suo lavoro più recente, La Cultura dell Istruzione, Bruner indica che la via verso la conoscenza deriva da una sotto-comunità in interazione. Questo cambiamento di sensibilità è altresì evidente in una pletora di recenti pubblicazioni sul significato del dialogo nell educazione, sulla cognizione distribuita socialmente e sulla costituzione sociale delle classi scolastiche. Anche le pagine di Education Canada si sono dimostrate particolarmente sensibili verso questi temi, elaborando per esempio articoli sull istruzione dei diritti di cittadinanza, 23 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 5

7 DALLA MENTE ALLE RELAZIONI LA SFIDA EMERGENTE sul tele-apprendimento, sull apprendistato, sulla politica del curriculum, e altro. Credo che queste riflessioni sull istruzione costituiscano un significativo contrappunto ai movimenti che si muovono velocemente attraverso la cultura, se non addirittura attraverso il mondo. In parte a causa delle profonde trasformazioni tecnologiche del secolo passato, ci siamo messi in contatto con un crescente numero di persone, provenienti da differenti luoghi e per diversi scopi. Dovunque c è una forte necessità di collaborazione, di lavoro di squadra, di rete e negoziazione. Vengono richiesti continui adeguamenti ad un mare di significati e materiali in continuo cambiamento. Nella sfera organizzativa, per esempio, questa fiducia nei rapporti interpersonali si riflette in movimenti da strutture gerarchiche a strutture piane e nella crescente fiducia nelle squadre che funzionano in modo incrociato per decisioni vitali. Il cambiamento verso la costruzione collaborativa è imperniato sul drammatico ondeggiare delle organizzazioni virtuali ed i movimenti volontari internazionali (NGOs). È dalle relazioni interpersonali coordinate che dipendono i movimenti ecumenici, le organizzazioni geo-politiche (come la Comunità Europea) ed i team di ricerca scientifica. La dimensione relazionale nell istruzione è essenziale e le scuole e le università devono essere adeguate alle profonde trasformazioni del mondo. PARLANDO PRATICAMENTE Le discussioni teoriche sui processi relazionali, per i nostri tempi, sono un buon inizio. L ultima questione è se tali discussioni possano fare la differenza in pratica. Dal mio punto di vista esiste già un movimento significativo nel mondo della pedagogia. Si manifesta in svariate forme, e quando le osserviamo nel loro insieme iniziamo a scorgere un modello dal quale potremo trarre nutrimento per il futuro. Lasciatemi parlare di tre domini significativi in una chiave relazionale. Dal monologo al dialogo Esiste una lunga storia riguardante la pedagogia del monologo secondo la quale l insegnante si comporta come un alto prelato e gli studenti come i supplicanti. In termini di dialoghi correnti, forse è La pedagogia dell oppresso di Friere che è servita come maggiore stimolo all innovazione. Istruiti dalla sensibilità critica di Friere alle ideologie ed ai valori portati da ogni forma di conoscenza disciplinare, gli insegnanti a qualsiasi livello hanno messo in dubbio l autorità del monologante ed hanno aperto le classi alla piena partecipazione. La pedagogia critica ora siede accanto ad una varietà di forme meno politicizzate di collaborazione in classe. Per esempio, nella sua opera, Apprendimento collaborativo, Kenneth Bruffee descrive una varietà di esercizi designati ad elevare al massimo grado l espressione e l interscambio dello studente. Le istituzioni come la Sudbury School hanno coinvolto gli studenti in qualsiasi cosa dalla forma del curriculum a decisioni sulla condotta; Patricia Lather sfida i suoi studenti a scrivere in stili molteplici per spettatori e finalità diverse; il novellista Ken Kesey ed i suoi studenti sono andati così lontano da scrivere e pubblicare un romanzo collettivo. L innovazione collaborativa è in fermento ovunque. Dalla razionalità isolata alla razionalità relazionale Per la tradizione individualista esisteva una netta divisione fra il ruolo dell insegnante e quello dello studente. Il primo doveva fornire le migliori informazioni e capacità d osservazione disponibili, mentre il lavoro del secondo era approfondire queste informazioni. L insuccesso dello studente era convenzionalmente attribuito alla mancanza da parte dello studente stesso delle capacità, delle attitudini e delle motivazioni. Nei decenni recenti siamo mano a mano giunti a comprendere che il lavoro effettivo dello studente è il risultato di una collaborazione. Il fulcro centrale della collaborazione risiede certamente fra l insegnante e lo studente. Oggi numeri crescenti dimostrano valido il punto di vista di Lev Vygotsky secondo il quale non c è nulla nella mente che non sia prima nella cultura. Lo specialista della comunicazione William Rawlins sostiene che l istruzione maggiormente efficace nasca da una relazione di amicizia fra insegnante e studente. Inoltre, non è solamente il rapporto dello studente con l insegnante che è importante. Gli allievi e gli insegnanti vengono attratti in modo crescente dai rapporti interpersonali (amicizia, interazioni nei gruppi, antagonismo razziale ed economico), che si evincono dai lavori dello studente. Più ampiamente, molti pedagogisti hanno puntato l attenzione sul più ampio contesto sociale dell istruzione. Comprendiamo in maniera crescente l importanza della povertà, dell etnicità, e della composizione della famiglia, per esempio, nella formazione del lavo- QUADERNI DI ORIENTAMENTO 23 6

8 Orientamento ro dello studente. L attività di un individuo è solo la manifestazione di un ampio network di relazioni. Uno studente non ce la fa mai da solo né fallisce da solo. Dai curricula ai criteri culturali Secondo la tradizione individualista, il lavoro di uno studente viene valutato in base a standard di un programma di studi fisso. La logica ed il contenuto del programma, predisposto in assenza dello studente, stabilisce ciò che conta come conoscenza importante. Con una crescente sensibilità verso il contesto relazionale, iniziamo a vedere i limiti di un programma di studi basato sull individuo e la disciplina. Sempre più vediamo le mura delle classi come barriere artificiali tra il processo educativo e culturale. Le nostre attività nel mondo vengono raramente incasellate in pacchetti disciplinari, né la ragione effettiva è mai slegata da contesti spesso complessi. L istruzione situata è essenziale. È in questa prospettiva che potremmo apprezzare gli sforzi innovativi di molti insegnanti che creano dei legami fra le classi ed il contesto culturale. Per esempio, gli esercizi di valutazione autentica, nei quali gli studenti lavorano insieme per risolvere problemi complessi nell ambiente esterno e comunicano i loro risultati ad un pubblico diverso da quello degli insegnanti, stanno gradualmente trovando una loro maturazione. Più ampiamente visibili sono i programmi universitari nel servizio dell apprendimento; in questo caso l impegno della comunità serve da matrice educativa. Più sottilmente ma persuasivamente, gli educatori spingono i loro studenti ad esplorare il Web mondiale per avere prospettive molteplici su un tema assegnato. Alla Rice University il laboratorio di insegnamento Gardiner Symonds non fornisce leggii o scrivanie per gli insegnanti. Piuttosto troviamo molti computers, sedie girevoli per studenti ed insegnanti, e tre pareti provviste di pannelli sui quali ogni computer può proiettare i suoi contenuti, insieme a materiale video e CD Rom. La classe può lavorare virtualmente e simultaneamente in ogni parte del mondo. IMPEDIMENTI ED INVITI La mia speranza è che si possa individuare tra i frammenti del cambiamento educativo un modello emergente, e che si possa porre questo modello all interno di una più ampia trasformazione culturale. Allo stesso tempo credo che siamo appena arrivati al punto di partenza. Secondo la mia opinione la maggior parte dell attività educativa rimane collocata all interno della tradizione individualista. Tra i più forti impedimenti al cambiamento relazionale ci sono le forti convinzioni sulla valutazione individuale e la responsabilità standardizzata. Per varie ragioni, buone e cattive, gli insegnanti sono vicini ai genitori ed anche agli studenti nel desiderio di sapere dove si colloca l attività di ogni individuo in confronto agli altri. L ideologia individualista è tanto forte quanto penetrante. Gli investimenti nella valutazione individuale si intensificano, comunque, se si pensa che sono collegati agli esami di valutazione standardizzati. Quando vince la visione secondo cui la ragione e la conoscenza sono universali, trascendendo da ogni bisogno e valore della comunità, si arriva alla brutale competizione fra studenti, scuola, regioni e nazioni. Concludo con un aneddoto personale, in parte per sottolineare il bisogno di un impegno dalle salde radici nella sfida relazionale ed in parte per riflettere sulle sue potenzialità. Spinta dalla sfida del relazionismo, ho compiuto un esperimento sostituendo la composizione scritta con il dialogo. In questo caso gli studenti lavorano in piccoli gruppi su un argomento attinente al corso. Ogni studente contribuisce ad una serie di scambi via mail. Il voto si basa sulla qualità del dialogo, se le parole di uno arricchiscono quelle dell altro, informano il gruppo, e portano il dialogo verso nuove direzioni. Secondo la mia esperienza gli studenti amano questo modo di lavorare e ne sperimentano significativi benefici. Inoltre, credo di aver imparato anch io dalla discussione che è nata. Comunque, nonostante io abbia valutato il dialogo nel suo insieme, gli studenti hanno insistito nell avere un voto personale corrispondente al loro personale contributo. Ho esitato, riflettuto ed alla fine ho capitolato ai loro desideri. Forse le innovazioni sono migliori quando portano con sé residui di tradizione. La discussione rimane aperta Kenneth J. Gergen Docente di Psicologia Swarthmore College Pennsylvania (Trad. di Sabrina Perini) 22 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 7

9 LA SCUOLA COME ORGANIZZAZIONE IL PUNTO DI VISTA DELLA PEDAGOGIA Matteo Cornacchia Qual è il modello organizzativo più adeguato alle esigenze dell attuale sistema formativo? Superata definitivamente la logica centralistica e verticistica di derivazione gentiliana, oggi l autonomia scolastica suggerisce l opportunità di soluzioni diversificate, contestuali ed orientate all apertura e all integrazione fra sistemi Nel più recente panorama della ricerca educativa si sta riscontrando, ormai già da qualche anno, un emergente interesse per gli aspetti organizzativi delle agenzie formative e della scuola in particolare. Fino a non molto tempo fa i pedagogisti guardavano ai contesti scolastici dal punto di vista delle finalità educative, dei processi di insegnamento e degli stili di apprendimento. Tutto il resto (dalla gestione delle risorse umane all organizzazione dei tempi e degli spazi) sembrava non interessarli direttamente perché estraneo al dominio pedagogico di loro competenza. Si era dunque venuta a creare una distinzione piuttosto rigida. Da una parte i processi formativi, da sempre considerati come il regno dell affettività, dei carismi personali, della gestione creativa di ciò che accade «qui e adesso» tra insegnanti e alunni e, pertanto, meritevoli di studi empirici. Dall altra tutte quelle sovrastrutture formali che, di fatto, limitando con regole, procedure e controlli l esercizio della libertà d azione degli insegnanti (Romei, 1999), venivano percepite come altra cosa rispetto alla didattica ed al lavoro d aula. Significativo, in proposito, lo sfogo di una maestra raccolto da Romei durante un corso d aggiornamento per insegnanti: «Passo il mio tempo ad occuparmi di organizzazione: la mensa, la biblioteca, la ricreazione, le uscite, le compresenze, e non me ne resta altro per il mio compito principale, che è educare». Singolare, sottolinea lo stesso Romei, non tanto la protesta per il sovraccarico di incombenze, quanto piuttosto la distinzione netta fra il mondo dell organizzazione, che si occupa di cose materiali, e il mondo dell educazione, che evidentemente ne può fare a meno. Il problema della separazione fra il momento educativo e quello organizzativo era già ben noto a Karl Weick, sociologo che ha dedicato buona parte dei suoi studi proprio ai contesti scolastici. Egli, in un celebre articolo pubblicato nella rivista Administrative Science Quarterly nel 1976, descriveva la scuola attraverso questa paradossale metafora: «Immaginate di essere arbitro, allenatore, giocatore o spettatore di una singolare partita di calcio: il campo ha forma circolare, le porte sono più di due e sono sparse disordinatamente lungo i bordi del campo. I partecipanti possono entrare e uscire dal campo a piacere; possono dire ho fatto gol per quanto vogliono, in ogni momento, per quante volte vogliono. Tutta la partita si svolge su un terreno inclinato e viene giocata come se avesse senso. Ora, se sostituiamo nell esempio l arbitro con il preside, gli allenatori con gli insegnanti, i giocatori con gli studenti, gli spettatori con i genitori e il calcio con l attività scolastica, si ottiene una definizione altrettanto singolare delle organizzazioni scolastiche». L intento di Weick non era quello di descrivere la scuola come un organizzazione priva di senso, ma, al contrario, quello di sottolineare la necessità di possedere, anche per la scuola, un modello organizzativo adatto alle finalità educative, didattiche e sociali dei sistemi di istruzione. Questa esigenza nasceva dalla volontà di superare alcuni atteggiamenti spontaneistici ed occasionali con cui, troppo stesso, venivano definiti i processi di insegnamento ed apprendimento e le attività scolastiche in generale. Weick, pertanto, propose di intendere i contesti scolastici come sistemi a legame debole, caratterizzati cioè da un elevato grado di autonomia e indipendenza delle singole componenti (docente, amministrativa, studentesca, ambientale) che costituiscono l organizzazione scolastica. Il mondo della pedagogia ha recepito relativamente tardi questo invito ad aprire la riflessione sulla scuola anche alle istanze organizzative ed alla necessità di conciliarle con quelle educative e didattiche. Le ragioni di tale ritardo possono essere sintetizzate in tre considerazioni principali. Anzitutto è sopravvissuta troppo a lungo la confusione che, nel corso degli anni, si è venuta a creare fra il concetto di organizzazione ed il concetto di azienda. In altri termini per lungo tempo la riluttanza nei confronti di un approccio organizzativo alle istituzioni scolastiche è stato giustificato dal timore di ridurre la scuola alla stregua di un azienda, QUADERNI DI ORIENTAMENTO 23 8

10 Orientamento e scuola identificando erroneamente quest ultima con l organizzazione tout court. Da una parte è certamente vero che l attuale lessico della scuola ha mutuato molti termini dal modello aziendale (basti pensare alla leadership dirigenziale, ai modelli di management scolastico, all importanza attribuita agli stakeholder, o a concetti quali la soddisfazione del cliente, qualità totale, accreditamento e certificazione, ecc.). Ciò ha determinato, almeno inizialmente, un atteggiamento abbastanza prudente da parte della ricerca pedagogica, impegnata soprattutto a precisare il significato che certi modelli assumono una volta adattati alle peculiarità dell organizzazione scolastica, nonché a prendere le distanze da certi eccessi nelle interpretazioni della cultura d azienda (ad esempio, soprattutto negli anni Ottanta, la tendenza a mutuare in maniera acritica strutture e modalità organizzative dal modello razionaleaziendale aveva alimentato l illusione di poter rendere la scuola più efficiente e moderna). D altra parte, tuttavia, va precisato che la necessità di garantire alla scuola una coerente dimensione organizzativa non significa in alcun modo ridurla ad azienda (operazione, quest ultima, operativamente ed ideologicamente non percorribile). La seconda spiegazione sottolinea invece lo stretto legame fra l approccio organizzativo e l attuale contesto di riforma e cambiamento che sta investendo il sistema scolastico. In sostanza, secondo diversi autori, l interesse nei confronti della scuola in quanto organizzazione si sarebbe consolidato solo a partire dalle recenti disposizioni con cui si è avviato il processo di autonomia delle scuole. In particolare il nuovo corso normativo che ha messo a regime l autonomia di gestione degli istituti scolastici ha suggerito una nuova opportunità di lettura dei temi relativi all organizzazione anche nella realtà specifica della gestione dei processi formativi (Alessandrini, 1999). Gli attuali scenari di cambiamento introducono nella scuola italiana prospettive pedagogiche e di organizzazione del lavoro diverse dal passato, per cui la realizzazione del Paesaggio a Lateis, QUADERNI DI ORIENTAMENTO 9

11 LA SCUOLA COME ORGANIZZAZIONE Tramonto a Rutte, 1938 nuovo quadro normativo, divenuto già vincolante per l attività didattica, richiede un attenta riflessione su alcune questioni (anche organizzative) che esso suscita nella sua fase di attuazione (Semeraro, 1999). Le norme sul riconoscimento di specifiche ed autonome unità scolastiche hanno posto le premesse per l avvio di un processo in cui la dimensione giuridica si intreccia con quella culturale e comportamentale e la dimensione pedagogica si fonde con quella organizzativa. I cambiamenti e le innovazioni che caratterizzano la scuola italiana di oggi sono destinati a modificare radicalmente il suo assetto strutturale: «occorrerà ancora del tempo perché emergano tutte le implicazioni che potranno derivare dal passaggio da un sistema centralistico, nel quale gli aspetti burocratici hanno conservato a lungo la loro importanza, a un modello ispirato all autonomia organizzativa e didattica. Tale cambio di scenario trova la sua ragione culturale da un lato nella complessità intrinseca a un diverso quadro delle aspettative della società; dall altro nella definitiva affermazione della prospettiva dell autonomia, caratterizzata da comportamenti professionali del personale della scuola che non trovano alcun riscontro in quelli di epoche precedenti. Procedere nella direzione dell autonomia richiede l acquisizione di nuove consapevolezze e, soprattutto, la capacità di ricercare soluzioni adeguate a bisogni ed esigenze che implicano un investimento culturale e organizzativo nella prospettiva del miglioramento continuo del servizio erogato» 1. La terza spiegazione, infine, ripropone la questione dei compiti della scuola e, in particolare, l annosa controversia fra l educare e l istruire. Tale dicotomia appartiene alla storiografia della lunga durata, nel senso che ha da sempre interessato i pedagogisti ed ha visto confrontarsi, nel corso degli anni, opposti schieramenti a sostegno dell una o dell altra tesi. In Italia, il dibattito sui compiti della scuola ha ripreso vigore nei primi anni Ottanta, ovvero quando si pose il problema di ridefinire la funzione della scuola pubblica in linea con lo sviluppo delle scienze dell educazione e con i nuovi bisogni della società (Desinan, 1998). Dopo gli anni Novanta il quadro concettuale entro il quale si svolgeva il dibattito si è arricchito di nuovi interrogativi e nuovi spunti, consolidando la convinzione che qualsiasi compromesso fra le due alternative sarebbe fuori luogo. In altri termini oggi la questione non si pone più fra due alternative (educare o istruire) che si escludono a vicenda e, soprattutto, non è di esclusiva competenza pedagogica. Il ruolo e la funzione della scuola nell attuale società complessa dipendono anche dalla sua organizzazione, intesa come un fattore chiave dell efficienza complessiva dei processi formativi: «i fallimenti nella scuola sono anche dovuti a carenze organizzative e di intesa fra docenti. Le tesi sostenute da educazionisti e istruttivisti hanno quasi sempre ignorato i problemi organizzativi. Per una organizzazione efficace bisognerebbe anche pensare a nuove QUADERNI DI ORIENTAMENTO 23 10

12 Orientamento e scuola figure nella scuola con una diretta responsabilità organizzativa e didattica e con un ruolo propositivo nelle stesse decisioni collegiali, perché gli insegnanti non possono essere sovraccaricati di compiti» 2. Afronte delle richieste sempre più numerose che oggi vengono avanzate all istituzione scolastica, la capacità di organizzarsi significa ammettere che la scuola non può fare tutto, ma che è necessario scegliere, fissare dei paletti, stabilire delle priorità. Come spiega Romei (2001), non si tratta di una riduzione indebita e squalificante, ma la selezione (magari sofferta, ma competente) è il presupposto e l essenza stessa della costruzione della trama organizzativa finalizzata al tentativo di governo della complessità scolastica. L approccio organizzativo, dunque, si pone come un contributo di metodo (il come ) per affrontare e gestire la complessità della scuola. La pedagogia deve costruire gli orizzonti di senso dell azione scolastica (il cosa, e il perché ); deve certamente indicare gli oggetti rilevanti nel percorso di crescita delle persone, definire i modelli di riferimento e le ipotesi circa le modalità di insegnamento e di apprendimento plausibilmente efficaci (Romei, 2001). A partire da queste considerazioni sullo stato dell arte, rimane da chiedersi quale sia il modello organizzativo più adeguato alle esigenze dell attuale sistema formativo. Superata definitivamente la logica centralistica e verticistica di derivazione gentiliana, oggi l autonomia scolastica suggerisce l opportunità di soluzioni diversificate, contestuali ed orientate all apertura e all integrazione fra sistemi. Ogni singolo istituto, pertanto, potrà adottare il proprio modello organizzativo sulla base delle risorse interne (umane e strumentali), delle esigenze espresse dal territorio e delle caratteristiche dell offerta formativa erogata. Ciò, naturalmente, richiede l acquisizione di specifiche competenze organizzative non solo da parte dei dirigenti scolastici, come inizialmente previsto dal DM 5 agosto 1998, ma per tutto il personale della scuola e soprattutto per i docenti. In tal senso nel prossimo futuro sarà necessario prevedere adeguate integrazioni ai percorsi formativi sia a livello universitario (in particolare per quei corsi che preparano alle professioni educative) sia a livello di scuole di specializzazione (si pensi alla SISS) sia a livello di formazione continua (corsi di aggiornamento per docenti e capi d istituto). NOTE 1) N. Capaldo, L. Rondanini, Gestire e organizzare la scuola dell autonomia, Erickson, Trento 2002, p ) C. Desinan (a cura di), Discutere la scuola, Franco Angeli, Milano 1998, p. 41. BIBLIOGRAFIA Alessandrini G., Formazione e organizzazione nella scuola dell autonomia, Guerini Studio, Milano Barbieri E., La scuola dell autonomia, Giunti, Firenze Butera F. (a cura di), Il libro verde della Pubblica Istruzione, Franco Angeli, Milano Capaldo N., Rondanini L., Gestire e organizzare la scuola dell autonomia, Erikson, Trento Cornacchia M., La comunicazione nelle organizzazioni formative, in C. Desinan (a cura di). Formazione e Comunicazione, Franco Angeli, Milano Desinan C., Discutere la scuola, Franco Angeli, Milano Ferrante M., Zan S., Il fenomeno organizzativo, Carocci, Roma Margiotta U., Riforma del curricolo e formazione dei talenti, Armando, Roma Nuti S., La scuola si valuta, Giunti, Firenze Orsi M., Legami deboli e professionalità collaborativa, in Dirigenti Scuola n. 3, La Scuola, Brescia 2001, pp Romei P., Guarire dal mal di scuola, La Nuova Italia, Milano Romei P., L autonomia delle scuole. Istruzioni realistiche per un uso non banale, Editrice Risa, Roma Semeraro R., La progettazione didattica, Giunti, Firenze Weick K., Le organizzazioni scolastiche come sistemi a legame debole, trad. it., in Zan S., Logiche di azione organizzativa, Il Mulino, Bologna Matteo Cornacchia Dipartimento dell Educazione Università di Trieste 23 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 11

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17 I CIRCOLI DI FORMAZIONE DEGLI ADULTI DALL IDEA SVEDESE ALL ESPERIENZA TOSCANA Giulio Iannis I l circolo favorisce l incontro e l autonomia dei partecipanti: ogni persona deve infatti partecipare attivamente, valorizzare e trasferire i propri saperi all interno del gruppo, ottimizzando i propri tempi di studio e di apprendimento. Gli adulti hanno modo di rientrare in formazione e riattivare quindi il proprio percorso di apprendimento individuale VERSO UN SISTEMA DI EDUCAZIONE PERMANENTE Con il Memorandum on lifelong learning, l Italia è entrata, assieme agli altri paesi europei, nell era della conoscenza e dell apprendimento continuo. Questo significa che i nostri tradizionali modelli di apprendimento, di vita e di lavoro sono destinati ad una rapida trasformazione, in funzione dei nuovi modi di sviluppo e gestione delle interazioni sociali ed economiche. Il buon esito della transizione dalle realtà tradizionali ad un economia e ad una società basate sulla conoscenza deve essere accompagnato da un orientamento generale verso la diffusione dell istruzione e della formazione permanente. La scelta toscana, in questo senso, è stata quella di creare un sistema di educazione permanente che comprende sia l educazione formale, che porta ad un titolo di studio o ad un attestato professionale, sia l educazione non formale, che prevede modalità di apprendimento meno strutturate. In questo ambito, la Regione Toscana ha promosso e sostenuto il modello dei Circoli di Studio, ovvero di attività formative organizzate per piccoli gruppi di cittadini a partire dalla loro domanda di formazione. Il modello toscano di educazione permanente si basa sull idea di una formazione: adeguata alle modalità reali con cui i cittadini adulti apprendono nella vita quotidiana e nel lavoro; attenta alla domanda individuale di sapere; indipendente dalle rigide logiche della formazione basata sull offerta; mirata a promuovere e rafforzare le capacità della popolazione di fruire delle opportunità e dei processi di apprendimento già disponibili nel contesto locale; in grado di integrare percorsi formali e non formali. In questo senso l idea dei Circoli di Studio rappresenta una soluzione ottimale per lo sviluppo di questo modello e per la piena diffusione della formazione permanente verso tutta la popolazione del territorio toscano. Il circolo di studio (Studiecirkel) 1 è una struttura pedagogica, sistematizzata in Svezia da Oscar Olsson all inizio del secolo scorso. In Svezia questo tipo di formazione vanta una tradizione molto importante e positiva, che si è poi diffusa in altri paesi del Nord Europa. Nel 1912 lo Stato svedese iniziò a finanziare dei circoli di studi letterari, mentre dal 1947 i circoli di studio organizzati da associazioni educative beneficiano di sovvenzioni pubbliche per coprire le spese relative agli istruttori, al funzionamento e al materiale didattico. Ancora oggi in Svezia vengono attivati ogni anno circa 320 mila circoli di studio, con una diffusione che raggiunge il 75% della popolazione adulta. I circoli di studio rappresentano una modalità didattica con cui si organizzano molte delle attività formative all interno delle aziende, delle istituzioni, del mondo dell associazionismo. Il circolo, nella tradizione svedese, è un piccolo gruppo di persone che si riuniscono volontariamente per un lungo periodo di tempo al fine di partecipare ad attività organizzate di carattere culturale o pedagogico. Non è sempre necessaria la presenza di un formatore, ruolo che può essere svolto da uno dei partecipanti. L idea del piccolo gruppo è un aspetto molto importante, in quanto, mancando la figura del formatore, è necessario che il gruppo sia ristretto, in modo da organizzare più facilmente e più efficacemente i processi di apprendimento. Poiché non c è la figura ben definita di un formatore, il circolo di studio ha una forte valenza di autonomia e autogestione, tanto che nel processo di costituzione del circolo la prima fase è sempre dedicata alla definizione comune degli obiettivi formativi e delle modalità di lavoro del gruppo. Da una parte vi è la necessità che le persone che partecipano siano in grado di interagire all interno del gruppo, ma al tempo stesso occorre che questa modalità di apprendimento sia supportata da un sistema, da un organizzazione in grado di promuovere, progettare e monitorare tutte le attività del circolo stesso. QUADERNI DI ORIENTAMENTO 23 16

18 Orientamento e scuola 1937 ca. Per garantire continuità, sostegno e metodo, il circolo di studio deve essere dunque integrato in un sistema organizzato che, attraverso azioni di tutoraggio e coordinamento, possa garantire le condizioni migliori per l attivazione di autonomi processi di apprendimento da parte dei partecipanti. In questo senso il modello dei circoli dovrebbe essere in grado di generare, in contesti diversi, un offerta di opportunità educative come risposta diretta alla domanda precedentemente espressa dagli stessi partecipanti. Una tra le prime sperimentazioni toscane del modello dei circoli di studio si è svolta a Chiusi, grazie alla collaborazione tra l Amministrazione Comunale ed il Centro Studi Pluriversum di Siena. La realizzazione dei circoli di studio in un piccolo comune del Sud della Toscana è stata un esperienza molto interessante, poiché ha dimostrato come il modello possa trovare applicazione anche in contesti territoriali di dimensioni limitate, valorizzando le realtà culturali esistenti e svolgendo una funzione di promozione e di moltiplicazione dei saperi già presenti tra la popolazione locale. Il progetto di Chiusi si è sviluppato attraverso le seguenti azioni: coordinamento e monitoraggio del progetto; informazione e promozione; analisi della domanda; formazione dei tutors; incontri di orientamento e preparazione per la costituzione dei Circoli di Studio; realizzazione di 20 Circoli di Studio; diffusione dei risultati. L azione di coordinamento ha garantito la pianificazione e la puntuale organizzazione delle azioni previste, con particolare attenzione 23 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 17

19 I CIRCOLI DI FORMAZIONE DEGLI ADULTI Vecchia stalla, 1940 ca. ai rapporti istituzionali. Le attività di informazione e promozione, svolte in collaborazione con l Informagiovani di Chiusi, hanno rappresentato uno degli aspetti centrali e strategici del progetto in quanto il nuovo modello formativo doveva essere correttamente e adeguatamente presentato ed illustato ai potenziali fruitori delle diverse opportunità di apprendimento. L analisi della domanda è stata realizzata su dati raccolti attraverso un questionario ed una serie di incontri di gruppo con l utenza interessata al progetto. La diffusione del modello è stata garantita in particolare dalla presenza di un gruppo di tutors, formati nell ambito del progetto, attra- verso un percorso formativo di 60 ore. L obiettivo dell azione di formazione dei tutors è stata quello di preparare un gruppo di operatori in grado di promuovere ed accompagnare le attività formative realizzate attraverso i circoli di studio. Alcuni tutors sono persone che già operano nella formazione, altri sono operatori e volontari dell associazionismo locale, motivati a diffondere il modello dei circoli di studio all interno delle organizzazioni del territorio. Centrale rispetto alle dinamiche di sviluppo del progetto è stata anche l azione di orientamento per la costituzione dei circoli: gli adulti interessati a partecipare ai Circoli di Studio hanno potuto accedere ad un percorso di orientamento, finalizzato ad analizzare e definire gli obiettivi formativi individuali. Per ogni persona si presentavano due possibilità: promuovere un circolo di studio su un argomento di proprio interesse o aderire ad un gruppo di studio già avviato su argomenti simili o diversi. In questa fase, attraverso colloqui individuali e di gruppo con i cittadini interssati al progetto, sono stati definiti i temi e le finalità dei circoli che potevano realisticamente essere promossi e finanziati. Gli incontri di orientamento hanno rappresentato una fase molto importante perché non tutte le proposte di circolo hanno potuto trovare una realizzazione e molto spesso le persone, nella scelta di un nuovo tipo di formazione, hanno dimostrato di avere bisogno di riflettere, per cercare di trovare all interno di questa nuova modalità educativa il tipo di circolo e di percorso formativo più adatto alle loro esigenze ed interessi. L eterogeneità del pubblico dei circoli di studio è stata infatti una delle caratteristiche più importanti: sono stati realizzati circoli con persone di età diversa, con occupati e disoccupati, con studenti universitari, anziani e pensionati, iscritti a diverse associazioni e semplici cittadini interessati ad un unico e specifico argomento. La possibilità di inserire all interno di questi percorsi persone con caratteristiche molto diverse è stato un elemento interessante di sperimentazione e sviluppo del modello. A Chiusi sono stati attivati complessivamente venti Circoli di Studio, con il coinvolgimento di 141 partecipanti, di cui 99 donne e 42 uomini. Ad ogni circolo, la cui durata minima è stata di 18 ore, han- QUADERNI DI ORIENTAMENTO 23 18

20 Orientamento e scuola no partecipato in media sette persone. Ogni circolo ha potuto contare sul sostegno di un tutor per 16 ore e di un esperto per un numero di ore variabile (da 4 a 8), in base ai contenuti e alla complessità degli argomenti. I circoli sono stati autogestiti dai partecipanti, attraverso un accordo, patto formativo, definito in collaborazione con i tutors. Prima dell avvio del circolo la definizione di un patto formativo tra i partecipanti è risultata un azione necessaria e fondante, per delineare gli obiettivi comuni del gruppo di studio, in modo da evitare che i circoli si risolvessero in un semplice stare insieme. Ogni circolo si è poi aperto con una fase di negoziazione e definizione di comuni modalità e tempi di studio. Al termine del progetto l Informagiovani di Chiusi ha raccolto la documentazione ed i materiali prodotti attraverso i Circoli, mettendoli a disposizione della cittadinanza. I risultati e gli strumenti elaborati saranno inoltre resi disponibili attraverso il sito Internet al fine di promuovere altre iniziative in questo ambito, stimolando la collaborazione tra istituzioni, associazioni e gruppi locali. I punti di forza di questa esperienza sono stati: il supporto operativo dell Informagiovani, in quanto il modello dei circoli di studio si basa sulla presenza di una sede operativa di supporto alle attività, in grado di far incontrare tra loro le diverse idee e proposte formative; la formazione di tutors, perché l autogestione non è semplice da attivare, senza un efficace azione di orientamento e tutoraggio; il coinvolgimento di associazioni e gruppi locali, in quanto il modello dei circoli di studio deve essere profondamente legato al territorio, al contesto e ai saperi già diffusi tra la popolazione. I punti ancora da sviluppare sono invece: gli strumenti di informazione e diffusione del modello che, se non correttamente compreso, non riesce a svilupparsi in modo efficace e generare quindi processi virtuosi di moltiplicazione del sapere ; l aspetto della promozione dell autogestione implica un attenta riflessione, infatti la difficoltà dei circoli è legata spesso all incapacità del gruppo di valorizzare la libertà di scelta nella progettazione del proprio percorso formativo. Questa sperimentazione toscana ha evidenziato sicuramente molti aspetti positivi di un modello di formazione che si presenta molto flessibile, aperto e socializzante. Il circolo favorisce l incontro e l autonomia dei partecipanti: all interno ogni persona deve infatti partecipare attivamente, mettersi in gioco, confrontarsi con gli altri e condividere nuovi e diversi linguaggi, valorizzare e trasferire i propri saperi all interno del gruppo, ottimizzando i propri tempi di studio e di apprendimento. Per ognuno degli adulti partecipanti il circolo è stato un modo per rientrare in formazione e riattivare quindi il proprio percorso di apprendimento individuale. Per la comunità locale il progetto è servito come stimolo all aggregazione dei cittadini e alla costituzione informale di una collettività di studio, in grado di autopromuovere al proprio interno percorsi di apprendimento, di produzione e di trasmissione del sapere. Il modello dei Circoli di Studio rappresenta sicuramente un esperienza didattica particolarmente adatta alla formazione degli adulti, anche in contesti locali di piccole dimensioni, dove meno ricca è l offerta formativa istituzionale. Nelle parole del fondatore dei circoli, che diceva i circoli servono a tener vivo l impegno e a far crescere la capacità della gente di creare vita e cultura, è riassunto anche il senso di questa prima sperimentazione toscana del modello pedagogico svedese. NOTE 1) La definzione è tratta da un saggio di Arne Carlsen, referente dell Accademia Popolare Nordica, in Federighi P. (a cura di), Glossario dell educazione degli adulti in Europa, Firenze, quaderni Eurydice, n Giulio Iannis Centro Studi Pluriversum Siena 23 QUADERNI DI ORIENTAMENTO 19

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