La Canzone Napoletana dai Cantastorie ad Oggi A cura di Rosaria Secondulfo con la collaborazione di Giovanni Secondulfo

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1 La Canzone Napoletana dai Cantastorie ad Oggi A cura di Rosaria Secondulfo con la collaborazione di Giovanni Secondulfo Informazioni, chiarimenti, discussioni at Contact point giovanni.secondulfo@inwind.it Il Lavoro realizzato vuole avere l'obiettivo di entrare nel vissuto partenopeo attraverso le sue tradizioni, la sua cultura, la sua storia. Non abbiamo certamente l'ambizione di voler essere conclusivi e/o esaustivi, vogliamo solo fornire piccoli strumenti per comprendere la Napoli oleografica di un tempo per avere basilari conoscenze per confrontarla con quella di oggi consapevoli che solo se " Conosci la Storia saprai di te stesso e di quanto parli ". Introduzione...2 1) I primordi della canzone napoletana: i vecchi cantastorie...2 2) La Nascita della Canzone Napoletana...4 3) La canzone Napoletana tra Piave e Zappatore ) Dall'Africa al Secondo Dopoguerra ) La musica Napoletana oggi ) Recensioni...36 Recensione di Pierre Benveniste Des origines au milieu du 19ème siècle L'age d'or ( ) L'entre-deux guerres Les temps modernes (de 1945 à nos jours) Discographie ) Bibliografia

2 Introduzione Le pagine che seguono sono un breve excursus sulla canzone napoletana. Impossibile sarebbe trattare la vastissima produzione, e lontani da ogni pretesa di essere esaustivi, vogliamo avere solo il modesto compito di far leggere qualche verso delle più celebri canzoni della Napoli che fu, ma NON con l'intento di creare nostalgie e rimpianti, ma con l'obiettivo di conoscere la storia, la storia di ognuno di noi. Il nostro lavoro, infatti vuole solo tentare di operare dei confronti, tra ciò che fu e ciò che è, ricordando sempre che " Senza Memoria non c'è Futuro " 1) I primordi della canzone napoletana: i vecchi cantastorie Prima di addentrarci nel vivo della canzone napoletana classica ( nell'accezione di canzone ottocentesca ), ci sembra interessante fondare le radici nella figura dei cantastorie, una sorta di girovaghi cantafavole che leggono e recitano le storie dei cristiani, che si aggirano per le strade di Napoli, dal Molo al Casale ( ci riferiamo all'area compresa fra il Molo Beverello (Porto) ed il Casale di Posillipo ). Le prime testimonianze di questi cantastorie sono relative ai cantambanchi vicini a Federico II che hanno avuto poi un ragguardevole seguito nel 1490 grazie a Matteo Moravo, che pubblica in Napoli un dialogo di Pontani, dove l'autore ripercorre gli usi e i costumi della Napoli quattrocentesca e si lega alla poesia cavalleresca ed alle dominazioni francese e spagnola. Nel racconto, il cantastorie mette in risalto la sua verità e non la Verità, argomentando spesso anche con suggestioni fantastiche come poi farà Ferdinando Russo nella storia sui Rinaldi. "Ecco Rinaldo in Campo! Il Palatino! O palatino 'e Francia cchiu putente! Teneva nu cavallo, Vigliantino ca se magnava pè gramegna a gente [...] Po teneva na spata, Durlindana " In realtà il cavallo di Rinaldo è Boiardo e Durlindana è invece la spada di Orlando. Ciò dimostra che l'autore vuole il trionfo di Rinaldo e nulla più. La figura del cantastorie permane fino all'ultimo trentennio dell'800. In uno studio di Benedetto Croce "I Rinaldi o i Cantastorie di Napoli" si legge che nel 1876 a Napoli ancora girovagavano tre cantastorie: il più autorevole Cosimo Salvatore operante nella zona del Molo, il secondo Rinaldo ricordato da Ferdinando Russo nel "O cantastorie" vagolante per Porta Capuana ed un terzo di cui si ricorda solo che vagabondava nella zona del Carmine (anche qui il Molo è inteso come il Molo Beverello del porto di Napoli, mentre Porta Capuana è la più importante ed antica porta di Napoli, mentre invece il Carmine è un quartiere di Napoli a grossa valenza commerciale con annessa chiesa). La decadenza della figura del cantastorie andrebbe ricercata, secondo Dumas, non nell'invecchiamento dei contenuti ma nella mancanza dei mezzi di sopravvivenza. L'ultima "forma" 2

3 di cantastorie si rintraccia nel "Pazzariello" che attraverso l'uso della musica annuncia l'apertura di una nuova bottega. Una figura nota ai più grazie all'interpretazione di Totò. Accanto a quest'ultimo, infine, vanno ricordati gli ambulanti, che intorno al 1850, diffondevano la canzone napoletana, mediante "copielli" oppure improvvisando intonazioni vocali per incuriosire i passanti con la loro merce. Se dunque queste figure appaiono come le prime forme musicali il termine canzone indica storicamente una villanella settecentesca. La villanella presenta un carattere scherzoso e parodistico. In generale, la villanella popolare è racchiusa in un dialetto a metà tra il parlato ed il cantato tale da essere fruito anche fuori dai confini di Napoli. È il poeta-pittore Salvator Rosa in pieno '600 ad accostare la letteratura al popolo con Michelemma, un canto isolato ma fondamentale per il futuro della canzone napoletana. Nata dopo la rivoluzione di Masaniello Michelemma - ovvero Michela Mia - è una lode ad una fanciulla, Michela appunto, nata in mezzo al mare durante una scorribanda di pirati e gli innamorati per i suoi occhi si uccidono due per volta. È nata mmiez' 'o mare Michelemma, Michelemma Oje na scarola Oje na scarola... Li Turche se ne vanno Michelemma, Michelemma a reposare, a reposare Beate a chi la venc Michelemma, Michelemma e sta figliole e sta figliole. (La poesia ed il linguaggio della canzone Napoletana è universale, in ogni caso verrà operata una sorta di traduzione in lingua al fine di aumentarne la comprensione a chi non conosce la lingua Napoletana : È nata in mezzo al mare / Michela mia, Michela mia / Una Iscarola / Una Iscarola / I Turchi se ne vanno / Michela mia / a riposare, a riposare / Beato chi la vince Michela mia, Michela mia / questa figliola / questa figliola ). Una musica dolce in cui si intravede la futura tarantella, un testo bizzarro che acquista maggior senso sapendo che nelle isole del golfo di Napoli, i nativi di Ischia si chiamano " iscaroli " e quindi scarola equivale a ragazza di Ischia. Questo esempio è singolare per evidenziare il contatto tra l'area aulica, la commedia dialettale e l'opera buffa. Questa produzione a Napoli si sviluppa intorno al XVI secolo partendo da una canzone popolare con carattere rustico, ma raggiunge temi notevoli e colti con G.B. Basile che nel "Cunto de li Cunti" ricorda come l'interpretazione di una villanella fosse stata autorizzata per penitenza, conservando il sapore di un patrimonio folkloristico autenticamente vissuto nel mondo partenopeo e mediterraneo, legandosi alla letteratura boccaccesca per quanto riguarda la ricostruzione di un mondo provinciale e l'impostazione narrativa, mentre la cultura barocca con i suoi concetti e terminologie metaforiche penetra nell'opera con una coloritura letteraria di emblematico valore. La riscoperta oggi della "Gatta Cenerentola", di cui parleremo più avanti, testimonia come il passato letterario storico conservi atteggiamenti che fanno parte dell'immaginario collettivo partenopeo. Se nel '700, poi, l'opera buffa napoletana mette in scena i fatti di vita quotidiana molta sarà l'influenza sulla macchietta di fine ottocento. Del resto il passaggio tra la prima metà dell'ottocento e la seconda metà è notevole, perche si passa dalle riunioni di salotto con le esecuzioni di romanze alle prime canzoni popolari trascritte per pianoforte come Michelemma, Cicerenella. Proprio da questa pratica si svilupperà la matrice popolare che costituirà un aspetto centrale della canzone napoletana. 3

4 2) La Nascita della Canzone Napoletana Trovare un unico filo che lega l'ampia raccolta di componimenti tra 800 e 900 non è facile. Variegata è infatti la produzione della canzone napoletana che ora tocca toni lirici, ora drammatici, ora comici ora storici, pur riconoscendo come tratto comune la poesia e la melodia. In queste canzoni si individuano tre o quattro strofe prefigurate per essere musicate, e pertanto devono contenere una certa metrica, una scansione in strofe. Se dunque vogliamo trovare una data di inizio della canzone napoletana, dobbiamo rifarci ad almeno due filoni di pensiero. Innanzitutto è opportuno ripetere che per canzone napoletana si indica la produzione che si afferma dalla seconda metà dell'800 che contiene una parte di musica vocale con testo in dialetto. L'assunzione del vernacolo come modo di scrivere attraverso Di Giacomo, Ferdinando Russo, Ernesto Murolo, Trilussa, crea un'autonomia di scrittura tale, da rinvenire nello stile elevato tanto una tradizione aristocratica tanto l'elemento popolare ( un paesaggio, il mare... ). Premesso ciò alcuni sostengono che il battesimo della canzone napoletana è rappresentato da voglio bene assaie nel 1839 scritta da Sacco e Campanella "Io te voglio bene assaie e tu nun pienze a me io...te voglio bene e tu nun pienz a me. La notte tutte e dormono e io che buò durmì! Penzanno a Nenna mia Li quarti d'ore sonano a uno a doje a tre... Io te voglio bene assaie e tu nun pienze a me (2 volte)" Te Questo pezzo presentato nella festa di Piedigrotta presenta una notevole forza nel ritornello molto orecchiabile e tale da fare di questo testo uno dei più noti nel mondo. Sulla nascita di questo brano ci sono molti pareri discordi ma tutti convengono nel ritenere che questa canzone sarebbe stata scritta improvvisando una scherzosa risposta nei riguardi di una avvenente signorina e in ogni caso tutte convergono sul carattere estemporaneo del componimento. Secondo questo filone, la piedigrotta canora rappresenta lo scenario di questa produzione non solo legata alla tradizione ma anche all'esperienza della canzone di strada che pure ha avuto un largo successo a Napoli, offrendo anche la possibilità di mostrare l'articolazione territoriale economica della città. Un aspetto quest'ultimo che si evidenzia a partire dal 1880, anno di Funiculì Funiculà, la notissima canzone di Turco e Denza per pubblicizzare la nuova funicolare che portava al Vesuvio, inaugurata il 6 maggio 1880 e che, presentata alla Piedigrotta di quell'anno, indica la seconda data con la quale alcuni ritengono che sia il battesimo della canzone napoletana. Aissera, Nannine me ne sagliette tu saie addo? Addo sto core ngrato chiu dispiette Farme non pò Addo llo fuoco coce, ma si fuie Te lassa sta E nun te corre appriesso, non te stregne 4

5 Sulo a guardà Jammo, jammo ncoppe jammo ja... Jammo, jammo ncoppe jammo ja... Funiculi Funiculà Funiculi Funiculà ncoppe jammo ja Funiculi Funiculà ( Ieri sera, Annina salii / Tu sai dove? / dove questo cuore ingrato fa più dispetti / dove il fuoco scotta ma se ne fugge / ti lascia stare / E non ti corre dietro e non ti stringe / solo a guardarti / Andiamo Andiamo / sopra andiamo / Funiculì Funiculà / sopra andiamo / Funiculì Funiculà ) La festa di Piedigrotta diventa una grande manifestazione per gli autori napoletani; nel 1884 si canta "A frangetta" che Di Giacomo scrive con un non troppo noto Roberto Bracco. "Sentite stu cunto - Ce steve na vota na bella figliola chiamata Teresa ca sulo li trezza purtavo pe dota, na dota... 'e spille - sentite sentì La sera veneva nu bello guaglione chiamava Teresa da vascio a la strada; Terè - le diceva - sto sotto o barcone, acale sti trezze ca voglio saglì. Ora vuie dimannate chisto canto che vò dì, ma si site nnammurate vuie l'avite da capì [...] La frangetta de capille pur' è fatta e vuie sapite ca li core a mille a mille pure e bona a ncatenà Ntunettella, Ntunettè! Frangettella, frangetta! ( Sentite questo racconto C'era una volta / una bella ragazza di nome Teresa / che per dote portava solo le trecce / una dote... di spilli sentite sentite / La sera veniva un bel ragazzo / chiamava Teresa dalla strada / Teresa, le diceva, sono sotto al balcone / abbassa l trecce che voglio salire / ora voi chiederete / questo canto che vuole dire / ma se siete innamorati / voi dovete capire / [...] / La frangetta dei capelli / pure è fatta e voi sapete / che i cuori a mille a mille / pure e buona ad incatenare / Antonietta, Antonietta / frangetta, frangetta ). Sono anni di grande produzione per Di Giacomo: Tra il 1885 e il 1888 appaiono in "Capitan Fracassa" i versi e la musica di Marechiaro, su "Il salotto" Era de Maggio, mentre nel 1888 ancora per la festa di Piedigrotta, con la musica di E. De Leva su "L'Occhialetto" esce la canzone E spingule frangese. Sono componimenti in cui le melodie, ma anche l'immediatezza dei sentimenti emerge in modo viscerale. È il caso di Era de Maggio, musicata da Costa dove tocca il punto più melodioso. 5

6 " E dicevo Core core! Core mio luntane vaie Tu me lasse io conte ll'ore chi sa quante turnarraie! Rispunnev io turnarraggio quanno tornano lle rrose, si stu sciore torna a maggio pure a maggio io stongo cca " Ma Di Giacomo è anche un'artista ricercato legato alla cultura verista. La sua produzione si muove con colori e sfumature, facendo dei suoi scritti, lavori artistici, mescolando un temperamento amoroso con tratti tristi e malinconici come con Marechiaro con la quale si conquista la fama mondiale. "Quanno sponta la luna a Marechiaro pure li pisce nce fanno ll'ammore, se revotene ll'onne de lu mare, pe lo priezza cagneno culore quanno sponta la luna a Marechiaro... A Marechiaro ce sta na fenesta, la passione mia ce tuzzolea, nu carofano addora int'a na testa passa ll'acqua pe sotto e murmulea... A Marechiaro ce sta na fenesta, [...] Scetate Carulì ca ll'area è doce..." ( Quando spunta la luna a Marechiaro / pure i pesci si innamorano / si rivoltano le onde del mare / per l'allegria cambiano colore / Quando spunta la luna a Marechiaro / A Marechiaro c'è una finestra / la mia passione le bussa / un garofano in un vaso / l'acqua passa sotto e parla zitto zitto / A Marechiaro c'è una finestra / [...] / Svegliati Carolina perchè l'aria è dolce ). Anche questa sarebbe una canzone nata per un fatto occasionale. A quanto pare Di Giacomo non sarebbe mai stato a Marechiaro, così come lui stesso lo narra il 6 febbraio 1894 su "Corriere di Napoli" dove racconta che un giorno alcuni amici dell'aquariuum di Dohrn gli proposero un giro sul vaporetto ed approdarono a Marechiaro dove in un'osteria trovo una cameriera Carolina che si attardava a servirli e di qui : " Scetate Carulì ca ll'area è doce " Non a caso abbiamo citato queste due celebri canzoni accostandole a "E spingole Francese", per intendere un periodo d'oro per Di Giacomo. A lui si deve infatti una vasta produzione che va dalla melodia alla macchietta, ma senza entrare in una obsoleta polemica che parla di natura popolare di questa composizione si vuole sottolineare la tradizione letteraria colta, modellata su stereotipi 6

7 popolari. "E spingule frangese" è un garbato dispetto tra un venditore ambulante e una donna compiacente; Un pezzo che trova le sue radici nella tradizione popolare. In origine infatti era un canto tradizionale di Pomigliano D'arco raccolto da Cresette e Imbriani ( Nu juorno mne ne vajo casa casa vajo vennenne spingule francese. / Esce na nenna da dinte na casa: Quante spingule daje pe no tornese? ). " Nu iuorno me ne iette da la casa, ienno vennenno spingole frangese; me chiamme na figliola: - Trase, Trase! Quanta spingole dai pe nu turnese? E io che songo nu poco viziuso subbeto me ammuccaie dint'a sta casa... A chi vo belli spingole frangese! A chi vo belli spingole frangese, a chi vo!... " ( Un giorno me ne andai dalla casa (d'origine) / e andavo vendendo spille francesi (da balia) / mi chiama una ragazza -Entra, Entra! / quante spille mi dai per un tornese (moneta dell'epoca ma anche sinonimo di bacio)? / Ed io che sono un po viziosetto / subito entrai nella casa / chi vuole le belle spille francesi ) Segue l'assalto del giovane alla donna compiacente e al tempo stesso reticente : "Dicette Core mio chist' è 'o paese ca si te prore 'o naso muore acciso - E io rispunnette - Agge pacienze, scuuse a tengo a nnammurate e sta 'o paese... " ( La giovane che non vuole corrispondere dice " Cuore mio questo è un paese che se ci provi muori ammazzato - Io risposi - Scusa io la fidanzata c'è l'ho ed abita al mio paese " ) Se sullo stesso tono è Carcioffola musicata da Di Capua nel 1893, una canzone a doppio senso dove una bella ragazza viene paragonata ad una "carcioffola" (carciofo) secondo un'antica tradizione greca dove si rinvengono paragoni tra il carciofo e le fanciulle in fiore, accomunate per dolcezza, tenerezza, sapore, polpa, primizia di stagione : Oi mamma, mamma, che luna, che luna! mme vene, mme vene... malincunia Core mariteme ampresso mammella mia Mammella mia R dimme a chi vuò C' o ndonderandi ce io piglio e t'o donco [...] ( Mamma che luna / mi viene / una malinconia / Dammi un marito presto / Mamma mia / Mamma mia / dimmi chi vuoi / perchè lo prendo e te lo dò ) Ovviamente non possiamo elencare gli altri 250 testi ne possiamo schematizzare Di Giacomo come autore verista o lirico, anche se nel primo caso l'autore si esprime in certi casi con minuzia di particolari come in Luna nova di Mario Costa La luna nova ncoppa a lu mare stenne na fascia d'argiento fino dint' a la varca nu marinare quase s'addorme è a rezza nzino 7

8 Nun durmi, scetate, oi marena votia sta rezza, penza a vucà! Dorme e suspira stu marinare se sta sunnanno la nnammurata... Zitte e quieto se sta lu mare, pure la luna se nè è ncantata. Luna d'argiente, lass' 'o sunna, vaselo nfronte, nun 'o scetà. ( La luna sopra il mare / stende una fascia d'argento sottile /dentro una barca un marinaio / quasi si addormenta con la rete sulle gambe / Non dormire, svegliati marinaio / Volta la rete pensa a remare. / Dorme e sospira il marinaio / sta sognando la fidanzata / Zitto e calmo sta il mare / pure la luna si è incantata / Luna d'argento lascialo sognare / bacialo in fronte, non svegliarlo ) I particolari si snodano ed emergono con lucidità ed efficacia ed efficacia, utilizzando la luna per dedicare un canto a Napoli (Duorme ma nzuonno lacreme amare tu chiagne Napule ) mentre il tono del doppio tradimento raggiunge una grande ispirazione con Serenata Napoletana (1897). Ah che notte, eh che notte!... Ma pecchè nun t'affacce? Ma pecchè, ma pecchè me ne cacce, Catarì senza manco parlà? Ma ch stranu destino io ce credo e c' spero, Catarì! Nun è overo Tu cuntenta nun si!. Catarì mm' è lassato tutto nzieme stammore è fernuto [...] È a chist ca mo tu vuò bene stai penzanne e scetate ll' aspiette ma chist stasere nun vene e mai chiu venarrà [...] L'aggio visto p' 'e strade cammenà core a core cu n'ata e rerenno parlavene e te ( Ah che notte, che notte / ma perchè non ti affacci / ma perche mi cacci / Caterina senza neanche parlare / ma che strano destino / io ci credo e ci spero / Caterina non è vero / tu non sei contenta / Caterina mi hai lasciato / all'improvviso l'amore è finito / [...] / Questo a cui tu ora vuoi bene / questo a cui sti pensando / sveglia e lo aspetti / questa sera non viene / e mai più verrà / [...] / l'ho visto per strada / passeggiando con un'altra abbracciato / e ridendo parlavano di te ) Ma questa è una piccolissima parte della vastissima produzione di Di Giacomo. Il passaggio fra '800 e '900 vede per la canzone napoletana approdi notevoli e significativi. del 1898 è la canzone più nota in tutto il mondo O Sole Mio. Del grande Libero Bovio Chisto è o paese d'o sole chist è o paese d'o mare chist è o paese addo tutte e parole 8

9 so ddoce e so amare so sempe parole d'ammore. ( Questo è il paese del sole / Questo è il paese del mare / Questo è il paese dove tutte / le parole / sono dolci ed amare / ma sono sempre parole d'amore ) Così come è vastissima la produzione di Salvatore Di Giacomo, e ci scusiamo con il gentile lettore per il poco spazio a lui dedicato in questo nostro breve percorso, altrettanto vasta è la produzione di Vincenzo Russo. La collaborazione con E. Di Capua fa firmare le più belle canzoni degli ultimi anni dell'800, in cui si delinea delle tipologie fisse, la finestra le rose, il desiderio di dormire vicino all'amata ed il sonno che svanisce per l'asssenza dell'innamorata. Sono gli ultimi barlumi del romanticismo che si ritrovano in un'epoca ormai già decadente. Maria Mari Arapete fenesta famm' affaccià a Maria ca stongo mmieza 'a via speruto p'à vede [...] Oi Maria, Marì Quanta suonno c' aggio perso pe te! Famm' addurmi abbracciato nu poco cu te. ( Apriti finestra / Fai affacciare Maria / Che sto in mezzo alla strada col desiderio di vederla / [...] / Maria Maria / quanto sonno ho perso per te / fammi addormentare un poco abbracciato con te ) e nelle non meno note Ì te vurria vasà (1) e Torna Maggio (2) del (1) Ah che bell'aria fresca ch'addore 'e valvarosa e tu durmenno staie Ncopp' a sti fronne 'e rosa. O sole a poco a poco Pe stu ciardino sponte O viento passa e vase stu ricciulillo nfronte Ì te vurria vasà Ma 'o core nun m'o ddice 'e te scetà ì me vurria addurmi Vicino o sciato tujo N' ora pur' 'i. ( Che bell'aria fresca / che odora di valvarosa (fiore) / e tu stai dormendo / sopra queste foglie di rosa / Il sole a poco a poco / nasce in questo giardino / Il vento passa e bacia / questo ricciolo che hai in fronte / Io ti vorrei baciare / ma il cuore non vuole che io ti svegli / Io vorrei addormentarmi vicino al tuo respiro / un'ora pure io ) (2) Rose! che belli rrose torna maggio 9

10 Sentite addore e chiste sciure belle Sentite, comme cantano i aucielle... E vuje durmite ancora... Ih che curaggio Aprite sta fenesta oj bella Fata che ll'aria mo s' è fatta 'mbarzamata; Ma vuje durmite ancora Ih che curaggio Rose che belli rrose Torna Maggio (Rose! Che belle rose / ritorna maggio / Sentite l'odore di questi fiori belli / Sentite come cantano gli uccelli / e voi dormite ancora / Oh che coraggio / Aprite questa finestra bella fata / perchè l'aria si è imbalsamata / Ma voi dormite ancora / Oh che coraggio / Rose che belle rose / ritorna maggio) Questa può apparire solo una carrellata di testi noti, in realtà ci appare superfluo aggiungere parole sui tanti fiumi di testi già scritti intorno a queste celebri canzoni fra otto e novecento. Se con Vincenzo Russo si raggiungono toni aulici, Ferdinando Russo, poeta scugnizzo, vero antagonista di Di Giacomo sente molto più vicino il problema della plebe, rivalutando il dialetto antico come in Scetate un pezzo di grande lirismo. Si duorme o si nun duorme bella mia, siente pe nu mumento chesta voce che te vo bene assaie sta miezz a vie pe te cantà na canzuncella doce! E in Quanno Tramonta o Sole, un inno alla donna amata. [...] Quanno tramonta o sole e tutte e cose fanno pe s'addurmì dint' à nuttata piglia 'o culore 'e na viola nfosa tante te penzo sora e nnammurate. ( se dormi o non dormi bella mia / ascolta per un momento questa voce / che ti vuole bene molto e sta per strada / per cantarti una conzone dolce ) Ma il campo più congeniale a F. Russo è la macchietta interpretata da Maldacea. Ricordiamo solo qualche titolo : A paglietta, Il superuomo, O rusicatore. Macchiettista da tempo per eccellenza è Viviani, che interpreta al Cafè Chantant i panni dello Scopatore (Mannaggia 'a mazza 'e a scopa e quando meie patemo me menaje dint' a scupata), anche se a Viviani si lega alla figura del già ricordato Pazzariello. Battagliò, scapucchiò - Acqua caura e sapò! Chillu povero patrone se fa e cunto e nun se trova [...] Questo era il tipico ritornello della simpatica figura del pazzariello. Molte altre scene di Viviani si ispirarono ai venditori ambulanti, che affermano come canzoni le loro cantilene: 10

11 Acqua zurfegna chi vo vevere! Uh come le tengo anneveta! Chi vo vevere [ Venditore di acqua sulfurea ], Vuje vulisseve 'e cannulicchie? Bell'ostriche d' o Fusaro! Tunninele, Bell'ostriche d' o Fusaro, Tunninele, Cozzeche cozzeche chiene, fattene na bella zuppa, quatt' ate cozzeche! [Venditore di mitili] So bone p'a tosse 'e paparelle quanto so bellelle! [ Veditore di caramelle ] O casatiello ca passa cca nci azzecca o bicchieriello. Si t'accatte o casatiello o può rompere c' o martiello [ Venditore di Casatiello ] Nù ra quatto battilocchio [ Venditore di Frittelle ] Questi sono solo alcuni esempi, per evidenziare il colore di questi ambulanti, che tutto sommato possiamo ancora vivere in qualche mercato rionale quali la Duchesca, 'O Carmine, 'O Buvero. Voci che entrano a pieno titolo nella Rumba di Viviani (Scarola ricce p' a 'nzalata / Fenocchie / O spassatiempo / Quant'è bello 'o battilocchio). Chestà è a rumba d' 'e scugnizze ca s'abballe a tutte pizze... Truve e ddame mpizze mpizze ca te fanno duje carizze pe te fa passa 'e verizze... Strette e mane, vase e frizze... Provo guste e te ce avvizze, cchiu te sfrine e cchiu t'appizze Comm' e tante pire nizze te ne scinne a sghizze a sghizze Fine a quanno nu scapizze Chestà è rumba d' 'e scugnizze! O rilorgio mo capisco, pecchè o cerco e nun 'o trovo steve appiso.. E ghinto ' o frisco c'è rimasto solo 'o chiuvo [... ] ( Questa è la rumba degli scugnizzi / qui si balla in tutti i posti / Trovi subito le dame / che ti fanno due carezze / che ti fanno passare il nervoso / Strette le mani baci e sollazzi / più provi gusto più ti coinvolgi / più ti sfreni più ti accendi / Come tanti.. / te ne scendi piano piano / Fino a quando non cedi / Questa è la rumba degli scugnizzi / L' orologio addesso capisco / perchè lo cerco e non lo trovo / stava appeso... ed è andato al fresco / c'è rimasto solo il chiodo ) Parliamo di testi tipo Voce e Notte : Si sta voce te scete int'a nuttata mentre t'astrigne 'o sposo tuio vicino, statte scetate si vuò sta scetata, In questi anni la festa di Piedigrotta si arricchisce di spettacoli e di esposizioni di prodotti agricoli ed industriali, mentre la produzione canora si arricchisce dei richiami dell'ambiente parigino legato al Cafè Chantant. Appare così quasi inscindibile il rapporto tra canzone e varietà e per snodarsi in una produzione che ora tocca toni melodiosi con De Curtis, Nicolardi, Murolo e ora tocca toni mordaci con Gambardella. 11

12 ma fa vedè ca duorme a suonno chino Nun gghi vicino e llastre pe fa 'a spia, pecchè nun può sbaglia: sta voce è 'a mia, E a stessa voce e quanno tutt 'e dduie scurnuse, nce parlavono c' 'o vvuie. Un pezzo classico reinterpretato prima da Peppino Di Capri, e poi da Arbore, anche se Ernesto De Curtis, attento ed accorto musicista non si fece scappare un'occasione per essere ricordato a quel tempo. Infatti nel settembre del 1902 l'allora capo del governo Giuseppe Zanardelli in viaggio diretto in Basilicata, prima di raggiungere i Sassi di Matera, si fermò per ristorarsi in Sorrento; qui i bisogni della cittadina campana non erano diversi da quelli lucani. Tra l'altro mancava un "ufficio postale" e il gestore dell'albergo dove Zanardelli alloggiava ne prospettò la necessità. In quest'occasione Ernesto De Curtis insieme al fratello Gianbattista opprontò subito il testo Torna a Surriento, non nella versione ufficiale, ma in un canto d'occasione. Due anni dopo per la festa di Piedigrotta il testo fu limato su proposta dell'editore Bideri. Il 31 Marzo 1904, quando venne approvata la legge speciale per la Basilicata, Zanardelli era morto, ma Sorrento aveva il suo ufficio postale e si cantava : Vido 'o mare quant' è bello spira tanto sentimento comme tu a chi tiene mente ca scetate o può sunnà Guarda quà chistu ciardino siente se sti ciure arance nu profumo accussi forte dint'o core se nne va E tu dice io parte addio t'alluntane da stu core dalla terra dell'ammore tiene core e nun turnà ma nun me lassà non dorme stu tormiento Torna a Surriento famme campà Ma in quest'arte melodica rientrano i testi di Murolo come Piscatore e Pusilleco Piscatore e stu mare e Pusilleco ca ogni notte me sente è cantà Piscatore sti parole so lacrime cu Marie ca lontane me stà [...] ma pecchè, ma pecchè me lassate mentre io more stanotte pe te e Pusilleco Addiruso (Posillipo Odoroso) 'Ncopp o capo e Pusilleco addiruso, 12

13 addo stu core se ne ghiuto 'e casa ce sta nu pergolato d'uva rosa e nu barcone cu e mellune appise Ncopp o capo e Pusilleco addiruso! Sopratutto, però in questo contesto non possiamo tralasciare un autore come Caruso, che emigrato in America ( Stati Uniti ) nel 1903 esporta Napoli con un successo straordinario quale Core ingrato Core core 'ngrato te pigliato a vita mia tutte è passato e nun ce pienzo cchiù. e Tu ca nun chiangne Tu ca nun chiangne e chiagnere me fai tu stanotte addo staie voglio a te1 voglio a te chist'uocchie te vonno n'ata vota vedè! Un Caruso recentemente e mirabilmente riscoperto da Lucio Dalla che gli lascia un doveroso omaggio con Caruso Qui dove il mare luccica grida forte il vento davanti al Golfo di Surriento. Un uomo abbraccia una ragazza dopo che aveva pianto poi si schiarisce la voce e ricomincia il canto Te voglio bene assaie ma tanto bene sai Sul fronte del varietà invece non sfigura un'altrettanta produzione che ancor oggi riscuote successo specie in alcune interpretazioni di Marisa Laurito. Ci riferiamo ai molti testi di Gambardella scritti con Capaldo e Caparra come A tazze 'e cafè Ma cu sti mode oje Briggida, tazza 'e cafè parite sotto tenete o zucchero e ncoppa amare site Ma 'i tante ch'aggi avutà e tante ch'aggia girà c'o ddoce e sotta a tazza fino a mmocca m' add' arrivà. e testi come Come facette mammeta Quanno, mammeta t'ha fatta ( 2 volte ) 13

14 vuò sapè comme facette (2 volte ) Pe mpasta 'sti carne bell ( 2 volte ) tutto chello che mettette ( 2 volte ) Ciento rise 'ncappucciate dint'a mortulla (*) ammescate latte e rrose rrose e latte Te facette 'ncoppo o fatto Nun c'è bisogna a zingara p'addivina Cunce Comme facette mammeta o saccio meglio e te. ( * mortulla arnese del fornaio per l'impasto ) Mentre nel 1905 anticipa sui versi di Lily Kangì con Caparro Mo nun sò cchiù Cuncetta, ma sò Lilì Kangì sciatosa prediletta evita voglia dì! Quanno me rebuttaje e che v' pò cantà 'A gente me menaie mazzate in quantità Chi me piglie pe frangese chi me piglie pe spagnola ma so nata 'o Ponte e Mola mette a coppa a chi vogl'ì! Caro Bebe che guarde a ffa? Ì quanno veco a te me sente disturbà la figura della sciantosa falsamente proveniente dalle Folies Bergeres in realta originaria della Pignasecca ( mitico quartiere della Napoli popolare ), che poi riprende con Ninì Tirabusciò Io tengo un nome eccentrico Nini Tirabuscio Oh, Oh oh (2 volte ) Addio mia bella Napoli Mai più ti rivedrò Oh, Oh oh (2 volte ) Perderai Tirabusciò Gambardella apre così una fase di un lungo sodalizio con il poeta sorrentino Aniello Califano realizzando una produzione mordace ed aperta nella quale confluisce il retroterra mondano e culturale di Califano, cresciuto nei "caffe" e la tradizione artigianale di Gambardella, legato ai cosidetti "fischiatori" ovvero i musicisti di strada, che creano e diffondono una musica vicina al sentimento popolare. Da questa collaborazione ventennale sui versi facili e mordaci di Califano, Gambardella si musica Madama Chichierchia Madame Chicherchia 'a cca Madame Chicherchia 'a lla Diente mmocca 'ne tene cchiù 14

15 e vò ancora zuchetezù Madame Chicherchia 'a cca Madame Chicherchia 'a lla Pile ncapo 'nun tene cchiu e vò ancora zuchetezù ( Madama Chichierchia di qua / Madama Chichierchia di là / non ha più denti in bocca / e vuole ancora trastullarsi / Madama Chichierchia di qua / Madama Chichierchia di là / Capelli in testa non ha più / e vuole ancora trastullarsi ) e la meno nota E ragazze 'E ragazze mo stanno in ribasso fann' 'a caccia p'have nu marito... E pè farse passa stu prurito Lloro 'o sanno quant'anna suffrì! [...] dalla lunga unione si ricorda anche Serenata e Surriento e tante altre, anche se il tono scanzonato si avverte in altri testi come Albergo 'e ll'allegria sui versi di G. Irace Sient'a me bellezza mia chistu core ca tu tiene pare l'albergo e ll'allegria, uno vene... e n'ato va!... Emerge da questa breve carrellata una semplicità di espressione di questi artisti che hanno poi lasciato un contributo determinante e differenziato a seconda che si parli di musicisti colti o di artigiani. Se Era de Maggio non trova subito lo stesso successo di certe composizioni l'opera dei cosidetti "fischiatori" svolge un ruolo preponderante per la diffusione della canzone napoletana, non solo in quegli anni, ma anche ai giorni nostri, specie se ricordiamo gli svariati successi di Marisa Laurito con lo spettacolo Novecento Napoletano e di Lina Sastri con lo spettacolo Cuore Mio. 3) La canzone Napoletana tra Piave e Zappatore Gli anni precedenti al primo conflitto mondiale vedono in campo l'opera dei futuristi che a Napoli si raccolgono intorno a Francesco Cangiullo. Con questi l'uso di strumenti quali lo scetavaiasse e il triccabballacche, molto in uso durante la festa di Piedigrotta raggiunge il massimo splendore. Purtroppo questo clamore, come quello della belle Epoque, finisce sotto i cannoni degli attacchi nemici. Ma Napoli continua a cantare e apre l'epoca di un giovane poeta E.A. Mario che trasferito da Napoli a Bergamo, lega il suo nome a successi come Dduie Paravise, Io na chitarra e a Luna, Vipera, ma forse non tutti sanno che La leggenda del Piave reca proprio la firma di E.A. Mario all'anagrafe Giovanni Gaeta. Indietreggio il nemico fino a Trieste; fino a Trento e la vittoria scioldse le ali al vento! fu sacro il patto antico! fra le schiere furon visti resorger Oberdon, Sauro e Battisti.. Infranse al fin l'italico valore l'armi e le forche de l'imperatore 15

16 Ma se sul Piave si canta la " Leggenda " da Zi Teresa si mangia mentre l'orchestrina suona sempre del nostro Santa Lucia luntana, un vero inno degli emigranti Santa Lucia luntana a te quanta malincunia e giro o munno sano per ghi a cercà furtuna, ma quanno sponta a luna luntane a Napoli nun se pò sta [...] Intanto Califano già fà sentire la sua struggente malinconia nel 1914 con O mare e mergellina su musica di Folio Mergellina Mergellina... [...] se parlasse chistu mare quante cose auria canta Scappatelle e nnammurate gelusie tradimente vase e lacreme cucente quanta suonne e giuventù L'anno dopo, sotto l'incalzare della guerra, Califano scrive il suo grande successo O surdato nnammurato, rimasto nel cuore per il motivo molto orecchiabile Staie luntane da stu core e a te volo cù 'o penziero niente voglio e niente spero, ca tenerte sempe affianco a me! Si sicure e chist' ammore, comm' j' so sicure e te Oj vita Oj vita mia Oj core e chist' core si state o primmo ammore o primmo e lurdemo sarrà accussi [...] Ma la tristezza di Aniello riecheggia ancor più in Tiempe Belle del 1916 Tiempe belle e na vota Tiempe belle addo state vuie m' avite lassate ma pecchè nun turnate? Un brano di struggente analisi del suo tempo musicato da Vincenzo Valente. Sarà poi proibito dal fascismo. Ma questi sono sopratutto gli anni di Bovio "... io so napulitano e si nun canto moro.."; un vero poeta che scrive un incredibile numero di canzoni che ancor oggi sono ritenute classici come Reginella (1917) 16

17 Te si fatta 'na vesta scullata 'nu cappiello cu mostre e cu rrose stive mmiezo a tre o quatttro sciantose e parlava francese accussi. Fuie l'atriere ca t'aggio incuntrata Fuie l'atriere a Toledo gnorsì... T'aggio voluto bene a tte Tu me volute bene a me! mo nun nce amammo cchiu ma e vote tu distrattamente pienze a me! ( Ti sei fatta un vestito scollato / Un cappello con nastri e conrose / eri in mezzo ad alcune sciantose / e parlavi francese scorrevolmente / Fu l'altroieri che ti ho incontrato / Fu l'altroieri a via Toledo sissignore / Ti ho voluto bene / tu me ne hai voluto / ma a volte tu / distrattamente pensi a me) e come Signorinella (1931) e Cara Piccina Signorinella pallida, dolce dirimpettaia del 5 piano Cara piccina Son trenta giorni che vi voglio bene Son trenta notti che non dormo più non ve ne addolorate, ma conviene che non mi abitui a darvi il tu. riuscendo ad imporre con queste ultime un nuovo genere in lingua che resterà fino agli anni '50 Intanto in quel clima bellico, Bovio dà manifesta appartenenza alle idee patriottiche, in uno spettacolo al teatro Bellini. Torna Torna Garibaldi Torna, La camicia Rossa Bella e Santa ci proteggerà [...] Se questo rientrava nella retorica del tempo ci appare notevole ricordarla, per evidenziare una figura colta e politicizzata, tale da portare la canzone napoletana fuori dal provincialismo, confondendola con la canzone in lingua italiana. Oltre al contributo apportato alla canzone, importante anzi notevole è quello dovuto all'elaborazione nel primo dopoguerra della sceneggiata, un filone caratterizzato da una vena verista-patetico che ha trovato con Bovio-Cafiero-Fumo una sua alta espressione, riscoperta da Mario Merola nel primo caso e da Nino Taranto nel secondo. La nascita della sceneggiata avviene nel 1919 con la rappresentazione di Surriento gentile di Lucio Murolo, nata dopo la disfatta di Caporetto, quando lo stato impone forti tasse agli spettacoli di varietà per combattere l'improvvisazione. La sceneggiata diventa cosi un testo in tre atti dove il soggetto è sviluppato da un commediografo ed in essa convive canto, recitazione e ballo;sostanzialmente è la messa in scena di una canzone. 17

18 In generale la sceneggiata riprende i temi di Mastriani Tore e Crescenzo, e di Il capo della camorra. Bovio e Bongiovanni già nel 1916 inaugurano il genere con Pupatella, un componimento che tratta di tradimenti e malavita, non rinunciando mai alla teatralità. In generale il brano si struttura in tre parti: un'introduzione strumentale, una strofa quasi recitata, ed una conclusione. Si pensi proprio ad un brano fra i più famosi Zappatore ( Bovio-Albano, 1929) il brano si apre: Felicissima sera a tutti sti signure ncruattate a chesta comitiva accussi allera d'uommene scicche e ffemmene pittate. chesta è na festa 'e ballo Tutte cu e fracchesciasse sti signure.. E 'j ca so sceso a copp' o sciaraballo senza cerca 'o permesso, abballo j 'pure ( Felicissima sera / a tutti questi signori con la cravatta / a questa allegra comitiva / / di uomini eleganti e signore truccate / Questa è una festa di ballo / tutti i signori in frack / ed io che sono sceso dal carretto / senza chiedere permesso ballo anch'io ) La seconda parte cambia tema i contadino si rivolge ad uno dei presenti signore avvocato accusandolo di aver lasciato la casa paterna e di non aver dato notizie per anni: Vossignurie se mette scuorne 'e nuie pur' io me metto scuorne 'e ossignurie ( Sua eccellenza si vergogna di noi / anche io ho vergogna di voi ) La conclusione quasi plateale O pate io songo o pate [...] si zappo a terra chesto te fa onore Addonocchiate e vaseme sti mane ( Il padre io sono il padre / [...] / Se zappo la terra questo deve farti onore / inginocchiati e baciami le mani ) Lo stesso in Guapparia, Bovio riesce a snodare una serie di particolari dei modi di vita tipica di certi vicoli, quartieri prendendo il popolo tra il riscatto e l'accettazione Scetateve guagliune 'e mala vita ca è ntussecosa assaie sta serenata io songo o nnammurate e Margherita ch' è a femmena cchiu bella d'anfrascata. L'aggio purtato 'o capo cuncertino p' 'o sfizio e me fa sentere e cantà m'aggio bevuto nu bicchiere e vino perchè stanotte 'a voglie ntussucà Scetateve guagliune 'e mala vita!! 18

19 ( Svegliatevi ragazzi di malavita / è assai nervosa questa serenata / io sono il fidanzato di Margherita / la donna più bella del pergolato / Le ho portato un capo con un'orchestrina / per farmi sentire cantare / ho bevuto un bicchiere di vino / perche stanotte voglio procurarle un dispiacere / svegliatevi ragazzi della mala ) Segue il tormento per le azioni indegne commesse dalla donna ( per quello che questa donna / mi ha fatto ) e per ciò che lui ha perso in conseguenza pe chello che sta femmena ma fatto ero 'o cchiù guappo 'e vascio a Sanità mo e aggio perso tutta a guapparia ( Ero il più importate della Sanità (quartiere del centro storico napoletano noto per fatti di criminalità) / ora ho perso tutto il fare da guappo ) ed anche qui un finale di grande commozione generale Ma comme chiangne tutto ' cuncertino addo ch'avesse chiagnere sul' io.. ( Ma come piange tutta l'orchestra / laddove dovrei piangere da solo ) Tali composizioni, oggi hanno fatto la fortuna di artisti come Mario Merola, ma è proprio grazie a quest'ultimo che nel 1965 si ebbe la ripresa del genere con un testo intitolato A sciurara, una composizione nella quale viene rappresentata la situazione di una ragazza, di cui si vuole salvare l'onore. È la storia di una venditrice di fiori ( a sciurara ) che si reca a Napoli ogni giorno, qui incontra un uomo sposato e cede alle sue lusinghe. Ma il fratello emigrato in Germania, venuto a sapere della storia ritorna a Napoli e incontra l'uomo e gli ricorda la ragazza Giuvinò, giuvinò t' è piaciute a sciurare [...] e mo dice nun saccio chi è Sai chi è, è chella ca tutte e matine se fermava cca nnanz' 'e cu te. [...] io mo primmo te stenno cca 'n terra e pò roppo te faccio parlà In quest'opera si deve lavare un'onta commessa ai danni di una sorella, nella già citata Pupetella, invece Bovio condanna il comportamento sconveniente di una donna che manda in prigione il marito. Quando questi esce dal carcere, sorprende la moglie che balla la tarantella con un altro uomo e le dice " Viena abballa astrignete a me" e poi le dice O vì l'amico tuoi ca sta tremmanno Pupatè 'o vede ca 'i te scanno ma nun t'aiuto a te!!! 19

20 Questo sopracitato è un classico in cui l'uomo deve commettere un reato per salvare il suo onore. Va detto che questo repertorio drammatico è presente in taluni aspetti già nell'800 con Matilde Serao; L'onorata soggietà conserva un ben radicato controllo del territorio e temi relativi al codice d'onore si rintracciano in scritti di Ferdinando Russo, e Viviani in testi come A zumpata e a Canzone 'e sott' 'o carcere. Ma la sceneggiata non è solo tradimento ed amori - In genere possiamo ritrovare vari Topos come mamme morenti (Mamma addo stai), giovani nullafacenti che conducono una vita dissennata dedita al gioco alle donne di malaffare che provocano malanni alle mamme come Mamme perdoname ( di Cioffi-Pisano 1944 ) dove il giovane ravvedutosi dice: Stu figlio malamente sai che fa? Lassa a cantina e a mala cumpagnie e torna onestamente a faticà Un ulteriore tratto della sceneggiata è il conflitto delle classi sociali che contrappone il " cuore del popolo " e il cinismo dei " signori ", e qui entrano in gioco " i figli ". Cosi in E figlie sempre di Bovio su musiche di Albano (1930) un bambino abbandonato dai suoi legittimi genitori viene accudito da un uomo del popolo ma poi quando i genitori pretenderanno il piccolo dirà : e poi rivolgendosi ai genitori Chi è stu piccirillo È o figlio mio m' 'o so levato a vocca pe ce ho dà [...] Signò e figlie sai che sò sò piezz' 'e core e nun sanno lassa Chesto l' 'e fatto tu ca si signore ma nu pezzente chesto nun 'o fa... [...] Composizione che, Mario Merola, ha riportato alla ribalta negli anni '70 / '80. Tuttavia parallelamente alla sceneggiata, si sviluppa anche un genere comico La Macchietta che pur cogliendo nell'emarginazione il tema principale, lo presenta in modo caricaturale proprio per lasciare il punto patetico. Si pensi infatti a O malandrino di Russo-Valente un classico di Maldacea, dove in principio il malandrino si manifesta in tutta la sua spavalderia. (file dritto... ca te ntacco a faccia) per poi concludere o sputo int' 'a na recchia e buonanotte. Anche Capurro-Buongiovanni in O presidente si cimentano in questo genere delineando quelli che Viviani chiama i guappi di cartone, gli 'nzisti che contrappone a quelli che nel corso della vita si redimono. Sicchè il teatro musicale ora assume toni drammatici con Bovio e la sua collaborazione con Buongiovanni, Valente, Lama ora diventa macchietta con le interpretazioni di Cioffi-Pisano. Se Cioffi si dedica dopo gli anni 20 all'organizzazione di spettacoli musicali e ne prende parte in qualità di direttore d'orchestra, con Pisano-Cioffi si apre il ciclo della macchietta di nuovo stile, e a partire dal 1927 si afferma il binomio Cioffi-Pisano che resta in auge per circa un ventennio, recuperando il tema del Cafe Chantant. Oltre a fornire canzoni per Pasquariello amico di Gill come 20

21 Pezza e Pizza (1936), Donnarumma Tititi-Tititi-Tititi (1935), Salvatore Papaccio I due gemelli creano il lungo repertorio per Nino Taranto che diventa depositario di questa grande tradizione con pezzi come Agata (1937) Io me metto 'o steccadente in bocca pe nun fumà Nun ce veco e nun m'accatte e llente pe sparagnà Vivo sol col mensile d'impiegato comunale spacco a lira spacco 'o soldo spacco pure 'o ricentè spacco e scarpe e nun m'accatto pe te fa fa lusso a tte, e tu invece te lo intendi col 'o padrone di un caffè Agata! tu mi capisci Agata! tu mi tradisci Agata, guarda, stupisci com' è ridotto quest'uomo per te!.. ( Io metto uno stuzzicadenti / in bocca per non fumare / Non ci vedo e non compro / gli occhiali per risparmiare / vivo solo con la paga / dell'impiegato comunale / spacco la lira il soldo / e pure il centesimo / spacco le scarpe e non le / compro, per farti fare lusso / e tu invece te la intendi con / il gestore di un caffe... ) e Dove sta Zaza Zaza! Zaza, Zaza - Zaza com'aggia fa pe te truva? Io senza te nun posso sta! Dove sta Zazà? Uh madonna mia! Come fa Zaza senza Isaia; pare pare Zaza che t' ho perduto ohime! Chi ha trovata Zaza che m'a purtasse a me! Jammela a truvà su facimmo presto Iammelo a truvà con la banda in testa. Uh Zaza! Uh Zaza! Uh Zaza! Tutte quante aimma gridà Zaza Zaza, Isaia sta cca Isaia sta cca, Isaia sta cca Zaza! Zaza! Zaza! Zaza! Diffuse da decine di interpreti e ancor oggi in voga, anzi in proposito vale la pena segnalare il rifacimento di Agata da parte di Nino Ferrer nel Del 1940, simbolo tragicomico degli anni bellici è la macchietta ( sempre della premiata ditta ) Ciccio Formaggio ( Ciccì si fesso ) In questo periodo l'attività di Pisano continua con Cioffi con composizioni quali Fatte fa fa na foto, e con testi più melodiosi come O marenare, N' accordo in fa. Infine in questa carrelata non possiamo tralasciare i nomi di Francesco Fiore ( Quinto piano, Te lasso), di Giuseppe Fiorelli (Serenata Celeste, Simmo e Napule paisa). Ma merita di essere 21

22 ricordato il poeta Mangione Alfonso autore di A casciaforte musicata da Nicola Valente e rilanciata proprio sul finire degli anni trenta. Vaco truvanno 'na casciaforte! E anduvinate pe ne fache? Non tengo titoli nun vivo 'e rendita nun ci ho un vestito ne ncuollo a me! Ma a cascia mi necessita. Pe fforza l'aggia tene Ce haggi a mettere tutte e lettere che mi ha scritto Rosina mia 'nu ritratto formato visita 'd 'a buonanima è Zi Sofia nu cierro 'e capille, (*) nu corno e curallo ed il becco di un pappagallo che noi perdemmo nel ventitrè Sono ricordi che in cassaforte sulo ll'a dinto t'è ppuò astipà... (* una ciocca di capelli ) Questi sono anni molto critici per il varietà. Lo stesso Petrolini, molto legato alla città partenopea, osserva che mentre lo spettacolo cinematografico poteva vivere come spettacolo autonomo il varietà, unito all'operetta ed alla rivista, deve funzionare come avanspettacolo. E Napoli era per Petrolini un paradiso in cui consumava arguti spettacoli da comico, parodista eccentrico e dai cui palchi aveva lanciato accuse al fascismo almeno fino a quando Mussolini non gli espresse la sua ammirazione, I salamini, Gastone ma anche testi di Moliere sono solo pochi titoli che si ascrivono al Nostro. Le ultime aperture al varietà legate al cafe-concerto si ascrivono ad opera di Pasquariello e Gill negli anni '30, il secondo si lega a canzoni tipo Come pioveva e la già ricordata Cara Piccina e Come le Rose. Son tornate a fiorire le rose a le dolci carezze del sol le farfalle si inseguon festose ne l'azzurro con trepido vol. In conclusione variegata appare la produzione di quest'anni tra la guerra ed il primo dopoguerra, ora approda al lirismo di Reginella ora si lega alla criminalita ed all'emarginazione sociale che getta nuove basi con la sceneggiata, i cui canoni restano fino ad oggi, inserendo la canzone classica napoletana nel più vasto contesto nazionale. 4) Dall'Africa al Secondo Dopoguerra Se la Leggenda del Piave era ancora serva nell'animo di tutti gli italiani altre nuove tristezze si abbattevano sugli italiani e se nobile era stata la Leggenda, un po meno appare lo scritto del 1935 di E. A. Mario 22

23 [...] Andremo in Africa sicurie allegri andremo a vincere contro geni negri [...] Tuttavia non può non essere apprezzata la lunga produzione di E. A. Mario come Santa Lucia, Maggio si tu, Io na chitarre e a luna, Funtana all'ombra. Intanto negli anni quaranta è cospicua la produzione di Tito Manlio, con Caro papà e con Me so briacate e sole. Ma sicuramente il nome resta legato a testi come Nu quarto e luna, Anema e core. In quel tempo mentre l'ex EIAR (RAI) bandiva il suo primo concorso per voci nuove si affacciavano alla ribalta voci come Lino Murolo, Barzizza, nel 1946 Roberto Murolo a Capri debutta con 'O Ciucciariello e tira, tira o ciucciariello sta carrettella pensaci tu na femmena busciardo m'ha lassato Un pezzo veramente unico, reso ancor più grande dalla famosa citazione di Toto in "Toto, Peppino e a Malafemmena". Interessanti sono le interpretazioni delle canzoni del secolo precedente come Nardella interprete di Chiove (L. Bovio). Tu staie malate e cante tu stai murenno e cante Sò nove juorne, nove ca chiove... chiove... chiove [...] Chi si? Tu sì 'a Canarie Chi si? Tu si l'ammore ca pure quanno more canta canzone nove... Ggiesù, ma comme chiove! Nel 1945 Vera Nandi ovvero Brigida Cinque che interpreta Monastero 'e Santa Chiara di Barbieri e Galdieri, comunicando commozione e passione. Dimane?... ma vurria partì stasera! Luntano no... nun ce resisto cchiù! Dice che ce rimasto solo o mare che 'o stesso e primma chillu mare blu! Monastero e Santa Chiara Tengo o core scuro scuro... Ma pecchè, pecchè ogni sera penzo a Napule comm' 'e penzo a Napule comm' 'e Funtanelle e Capemonte Chistu core mme se schianta quanno sentò r dì d' 'a gente 23

24 'ca se fatte malamente stu paese... ma pecchè No... Nun è overo No nunce crero e more pe sta smania 'e turnà a Napule Ma ch'aggia fa... mme fa paura 'e 'ce turnà (Domani? ma vorrei partire stasera / Lontano non ci resisto più / Dice che ci è rimasto solo il mare / che è la stesso di prima quel mare blu / Monastero di Santa Chiara / ho il cuore scuro scuro / ma perchè ogni sera / penso a Napoli come è / penso a Napoli come è / Fontanelle di Capodimonte / il cuore mi si rompe / quando sento di dire dalla gente / che questo paese si è perduto / No non è vero io non ci credo / e muoio per la smania di tornare a Napoli / ma che devo fare mi fa paura / di tornarci ) Una canzone questa che farà la fortuna di autori come Giacomo Rondinella. Sul fronte melodico si afferma Vittorio Parisi, l'usignolo della canzone con Dicetincello vuje, una canzone soggetta anche successivamente a sperimentalismi con Alan Sorrenti (1974). e con Passione Dicitincelle che na rosa e maggi assai cchu belle e na jurnate 'e sole, a voglio bene, a voglio bene assaie che na passione cchiu forte e na catena dicitincelle vuje ca nun ma scord'mai Te voglio, te penzo, te chiammo Te veco, te sento, te sonno è n'anno ce pienzo è n'anno [...] Dal 1946 si affaccia anche Maria Paris, conn motivi tipo E stelle e Napule, Jamme ja e tuppe tuppe mariscià, mentre si afferma come poeta l'eclettico Santoro, ex macellaio autore di Catene e Chitarra Appassiunata. Intanto in Galleria, Tagliaferri e Valente, autore il primo di Piscatore e Pusilleco, Nun me scetà, Napule ca se ne va scritta con Murolo, ben si uniscono alla produzione di Valente noto per la collaborazione con Bovio ( Serenata 'a na Femmena, Signorinella, Passione) con Pisano ( N'accordo in fà ) con Fiorelli (Simme e Napule Paisà ). Artisti come Pacifico Vento acquistano fama e successo con testi come Scapricciatiello e Torna [...] Torna sta casa aspetta a te Torna Che smania e te vedè [...] Furio Rondine invece riesce ad imporsi sia sul fronte della macchietta con La pansè con Pisano 24

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