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1 LAVORO (RAPPORTO) Licenziamento :in genere :(reintegrazione nel posto di lavoro) OBBLIGAZIONI E CONTRATTI Interpretazione del contratto :in genere Riferimenti Normativi CC Art CC Art CC Art CC Art CPC Art. 112 CPC Art. 360 CPC Art. 416 CPC Art. 420 CPC Art. 424 L 15/07/1966 n.604 Art.2 LA CORTE SUPREMA DI CASSAZIONE SEZIONE LAVORO Composta dagli Ill.mi Sigg.ri Magistrati: Dott. Guglielmo SCIARELLI - Presidente - Dott. Attilio CELENTANO - Consigliere - Dott. Guido VIDIRI - Consigliere - Dott. Guglielmo SIMONESCHI - Consigliere - Dott. Grazia CATALDI - Rel. Consigliere - ha pronunciato la seguente SENTENZA sul ricorso proposto da: TAVAGLIONE LUCIANO MATTEO & FLLI SNC, elettivamente domiciliato in ROMA VIA G. B. VICO 31 ST. SCOCCINI, presso lux studio dell'avvocato MARIA SARACINO, rappresentato e difeso dall'avvocato ROSARIO FOLLIERI, giusta delega in atti; - ricorrente - contro VIRGILIO MICHELINA; - intimata - avverso la sentenza n. 183/99 del Tribunale di LUCERA, depositata il 29/03/99 R.G.N. 49/97; udita la relazione della causa svolta nella pubblica udienza del 07/05/02 dal Consigliere Dott. Grazia CATALDI; udito il P. M. in persona del Sostituto Procuratore Generale Dott. Riccardo FUZIO che ha concluso per il rigetto dei primi due motivi del ricorso, accoglimento del terzo e quarto motivo. Svolgimento del processo Il Pretore di Lucera - sezione distaccata di Vico del Gargano, con sentenza depositata il 21 gennaio 1997, dichiarava inefficace il licenziamento intimato

2 oralmente il 4 agosto 1994 alla ricorrente sig. Michelina Virgilio dalla società in nome collettivo Tanaglione Luciano Matteo e fratelli di cui la Virgilio era dipendente. Avverso la decisione di primo grado la società Tanaglione proponeva appello al Tribunale di Lucera che lo rigettava. Il giudice del gravame riteneva che dalla lettera inviata dalla appellante alla lavoratrice in data 9 agosto 1994, che comunicava il licenziamento dal 4 agosto 1994, poteva dedursi il riferimento ad un precedete licenziamento orale; rilevava che era impossibile ipotizzare nel caso de quo un nuovo licenziamento con efficacia retroattiva e che conseguentemente doveva ritenersi pacifica la circostanza che il rapporto fosse stato risolto sin dal 4 agosto 1994, come risultava anche dalla certificazione dell'ufficio del lavoro; escludeva che la ricorrente avesse implicitamente rinunciato a far valere nel corso del giudizio di primo grado l'inesistenza del licenziamento per mancanza della forma scritta, sicché lo stesso rapporto era ancora persistente con obbligo retributivo da parte del datore di lavoro. Osservava, infine, in ordine all'eccezione dell'aliud perceptum sollevata solo in grado di appello, che la questione era tardiva ai sensi degli art. 416 e 437 c.p.c.. Per la cassazione della sentenza del Tribunale la società datrice di lavoro propone ricorso fondandolo su quattro motivi. L'intimata non si è costituita. Motivi della decisione Con il primo motivo di ricorso, denunciando violazione dell'art 360 n. 3 e 5 in relazione all'art. 2 della legge 15 luglio 1966 n. 4, la società ricorrente deduce che il tenore letterale della comunicazione inviata alla lavoratrice il 9 agosto del che recitava testualmente: "Il sottoscritto Luciano Tanaglione... comunica alla Sig. Vs. il licenziamento presso la scrivente dal " -... non consentiva di assegnarle il significato attribuitole dai giudici del merito in quanto "comunicare" non significa né convalidare né confermare bensì significa portare a conoscenza un fatto nuovo non conosciuto al destinatario; tale significato non doveva considerarsi snaturato, tenuto conto anche delle limitate cognizioni giuridiche del mittente, dal riferimento ad una data precedente (corrispondente al giorno in cui era avvenuto l'episodio costituente il motivo di licenziamento) a quella della lettera di licenziamento, fermo restando che l'estinzione del rapporto non poteva che decorrere, nonostante l'indicazione di una data precedente, dalla comunicazione del licenziamento: sicché la lettera non andava considerata convalida di un atto nullo. In ogni caso, osserva la ricorrente, anche a volerla ritenere rinnovativa di una precedente licenziamento nullo, l'impossibilità di convalidare un negozio nullo significa che a tale negozio non si può attribuire validità ex tunc con una successiva conferma che contenga il requisito mancante, ma non significa che essa non produca ex nunc gli effetti voluti dal datore di lavoro. Il motivo è infondato.

3 Il ricorrente pone anzitutto una questione di interpretazione della lettera inviata alla lavoratrice il 9 agosto 1994 contestando che alla stessa possa essere assegnato il significato di lettera di convalida o conferma del precedente licenziamento orale, attribuitole dal Tribunale. Sotto questo profilo la censura è inammissibile. È principio costantemente ribadito da questa corte che, in tema di interpretazione del contratto (o di un atto unilaterale ex art c.c.), il sindacato di legittimità deve essere condotto non sulla ricostruzione della volontà delle parti (o dell'unica parte) - che costituisce un'accertamento di fatto non consentito in sede di legittimità - ma soltanto sull'individuazione dei criteri ermeneutici del processo logico dei quali il giudice del merito si sia avvalso per assolvere i compiti a lui riservati, al fine di riscontrare errore di diritto o vizi del ragionamento, violazioni che nel caso in esame non sono state denunciate. D'altra parte se è vero che la giurisprudenza di questa Corte ha ripetutamente affermato che un licenziamento nullo per vizio di forma può essere rinnovato dal datore di lavoro, con le prescritte formalità omesse nella precedente intimazione, risolvendosi tale rinnovazione nel compimento di un negozio diverso dal precedente ed esulando quindi l'ipotesi di inammissibilità della convalida del negozio nullo (art c.c.), il Tribunale tuttavia, nell'interpretare la volontà del datore di lavoro, ha indicato, con adeguata motivazione priva di vizi logici, le ragioni in base alle quali ha ritenuto che lo scrivente con la lettera del 9 agosto 1994 non intendesse compiere un negozio nuovo e diverso dal precedente, in quanto lo stesso aveva fatto espresso riferimento alla data del trascorso 4 agosto. Con il secondo motivo la società ricorrente denunzia violazione dell'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. in relazione all'art. 112 c.p.c. e censura la sentenza impugnata per aver ritenuto che la lavoratrice non avesse rinunciato in primo grado a far valere l'inesistenza del licenziamento per mancanza della forma scritta: in realtà, osserva la ricorrente, la Virgilio aveva sì prospettato in ricorso che il licenziamento eseguito verbalmente era da considerarsi inesistente, ma aveva, nello stesso ricorso, rassegnato poi le conclusioni chiedendo solo che il licenziamento fosse dichiarato illegittimo e/o nullo e proponendo domande, quale il pagamento dell'indennità di fine rapporto, incompatibili con l'intenzione di far valere un licenziamento inefficace. Osserva inoltre che anche l'attivazione da parte della lavoratrice della procedura conciliativa presso la Commissione dell'ufficio Provinciale del Lavoro, che costituisce condizione di procedibilità soltanto delle azioni promosse per pretesa mancanza di giusta causa o giustificato motivo del recesso, e non attiene i licenziamenti inefficaci, costituiva una conferma della implicita rinunzia della lavoratrice a far valere l'inefficacia del licenziamento. Anche questo motivo è infondato. Nel ricorso introduttivo della causa la lavoratrice ricorrente denunzia l'inesistenza del licenziamento intimatole oralmente e chiede il pagamento delle retribuzioni dal licenziamento orale alla sentenza, conclusioni coerenti con la inefficacia del licenziamento conseguente alla denunciata forma orale, anche se nelle conclusioni il licenziamento non viene definito inefficace, qualificazione del resto che è rimessa al giudice e certo non può essere interpretata come rinunzia a far valere gli effetti derivanti dal denunziato licenziamento orale. Del resto la

4 giurisprudenza, a proposito del licenziamento inefficace (secondo la terminologia dell'art. 2 comma 3 della legge n. 604/66) per la mancata adozione della forma scritta, afferma che la inefficacia dell'atto deve ritenersi conseguenza della sua nullità per vizio della forma scritta ad substanziam (Cass. Sez. Un. 27 luglio 1991 n. 507; Sez. Un. n. 5394/1982): sicché la richiesta di dichiarazione di nullità del licenziamento, formulata dalla ricorrente nelle conclusioni contenute nel ricorso introduttivo non è affatto in contrasto con la premessa in cui aveva denunciato che il licenziamento era avvenuto in forma orale. Né possono ritenersi incompatibili con la volontà di far valere l'inefficacia del licenziamento in relazione alla forma orale il fatto che la lavoratrice abbia formulato una serie di altre conclusioni o che la stessa abbia attivato la procedura conciliativa presso la Commissione dell'ufficio provinciale del lavoro, visto che nel ricorso erano prospettati diversi comportamenti inadempienti del datore di lavoro. Con il terzo motivo, denunziando violazione dell'art. 360 nn. 3 e 5 c.p.c. in relazione alla legge n. 108/90, la società censura la sentenza impugnata per avere il Tribunale condannato il datore di lavoro a pagare tutte le retribuzioni dalla data del licenziamento a quelle della sentenza mentre invece, in caso di licenziamento inefficace e di inapplicabilità della tutela reale, il lavoratore ha diritto al risarcimento dei danni da provare nell'an e nel quantum. Con il quarto motivo la ricorrente denunzia violazione dell'art. 360 n. 3 c.p.c. in relazione all'art. 437 c.p.c. per avere il Tribunale ritenuto tardiva l'eccezione dell'aliud preceptum sollevata dalla società in appello, eccezione invece proponibile per la prima volta anche in sede di gravame, atteso che con essa non vi è ampliamento dell'iniziale oggetto della controversia. I due motivi, che vengono trattati unitariamente in quanto entrambi attinenti al risarcimento dei danni derivanti dall'inefficace licenziamento in regime di stabilità obbligatoria, sono privi di fondamento. Riguardo alle conseguenze che l'inefficacia del licenziamento comporta sugli obblighi del datore di lavoro è il caso di ricordare che, fatta eccezione per il rapporto assistito dal regime di stabilità reale (per il quale dispone l'art. 18 della l. n. 300 del 1970), non vi sono specifiche indicazioni normative per la fattispecie in esame, nella quale l'inosservanza della forma scritta rende improduttivo di effetti il recesso del datore di lavoro. Questo significa che non venendo meno la relazione delle parti, la situazione deve essere valutata tenendo conto dei principi generali in materia di inadempimento quando si è in presenza di un contratto a prestazioni corrispettive. È ormai principio fermo nella giurisprudenza di questa Corte (Cass. Sez. Un. 27 luglio 1999 n. 508; Cass. 21 dicembre 1998 n ; 27 febbraio 1998 n. 2192; 27 giugno 1996 n. 5930) che tenuto conto della natura corrispettiva delle obbligazioni a carico delle parti, nell'ipotesi di licenziamento viziato nella forma, in mancanza delle prestazioni lavorative il lavoratore non può aver diritto alla retribuzione, ma al risarcimento del danno, presumibilmente commisurato alle mancate retribuzioni; ma proprio perché si tratta di risarcimento del danno, il datore non è tenuto al risarcimento nei limiti in cui fornisce la prova dell'aliud perceptum che il lavoratore può aver conseguito svolgendo una qualsivoglia attività lavorativa (Cass. Sez. Un. n. 508/1998).

5 Nel caso di specie il Tribunale ha ritenuto tardiva l'eccezione dell'aliud perceptum sollevata dalla società soltanto in sede di appello. In proposito se è vero che le Sezioni Unite di questa Corte hanno ritenuto - ove il datore di lavoro deduca che il dipendente licenziato ha percepito un altro reddito per effetto di una nuova occupazione - che l'eccezione non è identificabile come oggetto di una specifica disposizione di legge che ne faccia riserva in favore della parte, tuttavia le stesse Sezioni Unite hanno chiarito che è pur sempre necessario che i fatti siano stati allegati ritualmente e siano incontroversi o dimostrati per effetto di mezzi di prova legittimamente disposti, specificando che per poter essere ammesso a dedurre e provare tardivamente circostanze idonee a dimostrare l'aliunde perceptum da parte del lavoratore, il datore di lavoro deve provare altresì di non aver avuto tale conoscenza delle stesse e di avere, una volta conseguita tale conoscenza, formulato le relative deduzioni nell'osservanza del principio, ricavabile dagli artt. 414, 416 e 420 c.p.c., di tempestività di allegazione dei fatti sopravvenuti, all'uopo utilizzando il primo atto utile successivo alla conoscenza dei medesimi (Cass. Sez. Un. 3 febbraio 1999 n. 1099). Nel caso in esame, in cui il potere di allegazione non era stato esercitato col tempestivo deposito della memoria difensiva ex art. 416 c.p.c., soltanto con l'atto di appello è stato dedotto l'aliunde perceptum (senza peraltro indicare prova alcuna); e solo all'udienza di discussione il datore di lavoro ha chiesto di depositare estratto conto assicurativo relativo alla Virgilio rilasciato dall'inps sede di Foggia, senza che risulti la giustificazione del ritardo delle deduzioni e richieste di prove. La decisione del Tribunale di ritenere la questione tardiva deve, pertanto, ritenersi corretta. Il ricorso va quindi essere rigettato. Nulla è dovuto per le spese del presente giudizio in quanto l'intimata non si è costituita. P. Q. M. La Corte rigetta il ricorso. Nulla è dovuto per le spese del giudizio di legittimità. Così deciso in Roma il 7 maggio 2002 DEPOSITATA IN CANCELLERIA IL 16 SET. 2002

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