Cronache Sindacali. FISTel. odissea nel lavoro. Numero 12 Maggio/Luglio 2011 Anno III

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1 Numero 12 Maggio/Luglio 2011 Anno III 2012 odissea nel lavoro

2 pag. 2 In questo numero Guardiamo con responsabilità al futuro Intervista a Paolo Terrinoni Giovanni Giglio 3 RLa Rai servizio pubblico Una risorsa per l Italia di domani Caterina Zuccaro 4 Lo stress nel mondo lavorativo Claudia Parete 6 Forse non tutti sanno che Stefano Pellegrino 7 Emergenza Call Center Luca Bozzi 8 Pillole di sindacato Storia CISL, le tappe di un lungo cammino Il III Congresso confederale si svolge a Roma al Palazzo dei congressi dell Eur. Vi partecipano 662 delegati, di cui 261 rappresentanti delle Usp e 401 delle federazioni e sindacati di categoria. Gli iscritti alla Cisl sono I lavori sono presieduti da Renato Cappugi. La relazione generale viene illustrata ai congressisti da Bruno Storti, che dal 2 luglio 1958, cioè dal giorno successivo all ingresso di Giulio Pastore al Governo quale ministro per la Cassa del mezzogiorno, ha assunto la carica di segretario generale. Il tema congressuale è: Il sindacato democratico per lo sviluppo della società italiana ed europea. I punti principali affrontati nella relazione sono: l autonomia sindacale, il rapporto sindacato-partito, l unità dei lavoratori, la politica contrattuale. Il Congresso conferma la linea della Cisl di riferire l incremento salariale all incremento della produttività del lavoro; sollecita un maggior snellimento delle procedure della contrattazione, il riordinamento dell assetto zonale salariale e la parità di retribuzione tra uomo e donna. Viene inoltre ribadito il giudizio negativo sull attuazione dell articolo 39 della Costituzione e viene indicata, in linea di principio, l incompatibilità tra responsabilità sindacali e responsabilità politiche e parlamentari. Un particolare momento di emotività e fraternità associativa viene vissuto dai congressisti quando Bruno Storti consegna una medaglia ricordo all ex segretario generale e fondatore della Cisl, Giulio Pastore, che il Congresso con un apposito ordine del giorno, approvato all unanimità, elegge membro a vita del Consiglio Generale della Cisl. Questa la nuova segreteria: Bruno Storti (segretario generale), Dionigi Coppo (segretario generale aggiunto), Giovanni Canini, Paolo Cavezzali, Claudio Cruciani, Luigi Macario, Enrico Parri (segretari confederali). Periodico di informazione sindacale della -Cisl Roma e Lazio Numero 12 Maggio/Giugno/Luglio Anno III Direttore Editoriale: Paolo Terrinoni Vicedirettore Editoriale: Luca Bozzi Direttore Responsabile: Giovanni Giglio Comitato di redazione: Raffaele Gaglioti, Pasquale Legnante, Fabio Massimo Mignozzi, Giuliana Panitti, Loredana Pucci. Hanno collaborato: Claudia Parete, Stefano Pellegrino, Caterina Zuccaro Recapiti: Via Carlo Felice, Roma Tel. 06/ Fax 06/ cronachesindacali@fistelcislromaelazio.it Stampa: Puntografico 89 snc Tipografia - Roma Editore: - Cisl Roma e Lazio Via Carlo Felice, Roma Testata registrata presso il Tribunale di Roma al n. 405/2010 del 7 ottobre 2010 Foto copertina: Il logo Fistel in versione spaziale

3 pag. 3 Cronache Focus Guardiamo con responsabilità al futuro Adesso concentriamo l impegno per il rinnovo del contratto delle telecomunicazioni L a Federazione è in crescita, rispetto al 2009 stiamo ottenendo ottimi risultati sia in termini di rappresentanza all interno delle aziende, sia come percentuale di voti ottenuti. La Fistel Cisl di Roma e del Lazio è una realtà viva e pulsante che ha contribuito in maniera determinante a far riconquistare alla Fistel nazionale la seconda posizione nel panorama sindacale italiano. Si presenta così, con il sorriso sulle labbra ed un grande ottimismo Paolo Terrinoni, segretario generale della Fistel Cisl Roma e Lazio, illustrandoci questi tre anni con dati e situazioni nei quali il sindacato e la federazione romano laziale ha conseguito posizioni di rilievo. Ma entrando più nel merito, segretario Terrinoni, cosa è accaduto? Abbiamo preso in mano una Federazione commissariata con un compito difficilissimo, ridonargli una nuova vitalità e renderla nuovamente parte fondamentale del panorama sindacale locale e nazionale. Anni di intenso lavoro ma che hanno premiato il nostro impegno. I risultati sono arrivati e alle elezioni per gli RSU in Telecom Italia abbiamo raddoppiato i voti e i rappresentanti in azienda. Possiamo dire che in Fistel dopo queste elezioni c è aria di festa. C è aria di chi ha preso un impegno e adesso si deve rimboccare le maniche. Non nego che il risultato ci lusinga, alle elezioni RSU, la Fistel Cisl di Roma e del Lazio ha ottenuto un risultato molto interessante in controtendenza con le altre sigle sindacali che hanno perso consenso con percentuali anche significative. Tutto questo perché la Fistel Cisl di Roma e del Lazio si è calata meglio degli altri nelle necessità dei lavoratori, quindi, a fronte del risultato ottenuto, sentiamo maggiormente la responsabilità del nostro futuro. Un settore, quello delle telecomunicazioni, che vi vede molto impegnati e sul quale traspaiono molte preoccupazioni. Indubbiamente. Soprattutto sul piano industriale che prevede la societarizzazione delle quattro linee del core businnes aziendale. Come federazione romano laziale la nostra è una posizione di assoluta opposizione agli eventuali scenari, cioè di scorporare l unicità di Telecom Italia in 4 società, una per l informatica SSC dove nei prossimi giorni verranno conferiti i restanti 1176 lavoratori di IT, una per la Rete (T.I. OPAC), una per il Customer ( ) in Telecontact Center oppure in una Newco, e l ultima delle aree di Staff (Telecom Italia A.S.), il tutto coordinato da una Telecom Holding. Piano industriale, ma anche il rinnovo del contratto scaduto il 31 dicembre 2011 Siamo in una situazione di stallo. Va respinta l idea di produrre una rottura dell assetto contrattuale, nell idea che relegare il settore dei Customer in un contratto più povero possa consentire risparmi economici alle aziende committenti. Appare incomprensibile, a sette mesi dalla scadenza, che non si sia ancora definito l accordo di rinnovo, lasciando decine di migliaia di lavoratrici e lavoratori senza il doveroso recupero del potere di acquisto delle retribuzioni in un momento in cui la crisi economica richiederebbe nuovo slancio ai consumi interni. Grandi tensioni quindi, che rendono difficile il confronto. In sintesi, cosa c è dietro questo scontro duro e crudo che coinvolge i sindacati e la principale azienda telefonica nazionale. La posizione di Telecom sul riassetto è del tutto inaccettabile e non fa altro che alzare il livello di tensione con il sindacato. Se queste sono le premesse alla discussione sul piano d impresa appare evidente che questa politica miope da parte aziendale mette in serie difficoltà la tenuta di un corretto confronto di Relazioni Industriali a partire dal rinnovo del contratto, creando inevitabilmente un duro scontro con Telecom. Sindacato e lavoratori Telecom sapranno rispondere con durezza e uniti a questi processi basati sul principio del dividi ed impera o a logiche di riorganizzazione che mettono a rischio il futuro dei lavoratori. Se da un lato la riorganizzazione aziendale è condizione fondamentale per la sopravivenza della stessa e conseguentemente a garantire un futuro certo per i dipendenti, è del tutto evidente che sarà necessario realizzarla in piena trasparenza, evitando operazioni clientelari e di bassa gestione del potere. Giovanni Giglio Direttore responsabile

4 pag. 4 Federazione - Informazione/Media La Rai servizio pubblico Una risorsa per l Italia di domani L a RAI, si dice, è lo specchio del Paese. Ma se, invece, fosse vero il contrario, e fosse il Paese ad essere lo specchio della RAI? Nel senso che, nonostante il web vada assumendo un peso sempre maggiore, i media tradizionali, quindi la radio e, soprattutto, la televisione, restano ancora il più potente e influente mezzo di comunicazione culturale e commerciale e di fabbricazione del consenso (sociale ed elettorale). La nascita della televisione commerciale, ha innescato la trasformazione del telespettatore da cittadino a consumatore, destinatario pertanto, di messaggi di promozione di beni di consumo più che di messaggi di contenuto culturale e formativo. La scelta di misurare l audience in termini quantitativi, trascurando completamente l aspetto qualitativo (indice di gradimento), è figlia di questa impostazione. La RAI invece di contrastare i competitori commerciali con un offerta alternativa di alto livello, ha fatto sua, anche per ragioni economiche, questa logica, rincorrendo la concorrenza in una gara al ribasso qualitativo del prodotto trasmesso. Oggi è difficile distinguere il servizio pubblico dalla televisione commerciale. La televisione ha avuto un ruolo primario nella regressione culturale che ha investito la società italiana negli ultimi 25 anni e la RAI ha fatto la sua parte, dando così ragione ai detrattori del servizio pubblico radiotelevisivo, che ne propugnano l abolizione. Eppure, il servizio pubblico radiotelevisivo è una realtà viva e operante in tutte le grandi democrazie, dove è considerato strumento indispensabile per garantire al cittadino un informazione imparziale, una programmazione tesa alla promozione e diffusione della cultura ed alla formazione del cittadino-utente, oltre che alla rappresentanza delle minoranze sociali, culturali e religiose, concorrendo in tal modo all ampliamento della partecipazione democratica ed allo sviluppo economico e culturale del Paese. Obiettivi non necessariamente perseguiti dalla televisione commerciale, il cui fine primario è la produzione di profitti. Tale concetto è stato più volte ribadito anche in sede europea. Ad esempio, nel Protocollo n. 32 sul sistema di radiodiffusione pubblica negli Stati membri allegato al trattato di Amsterdam (1997), si riafferma la legittimità del finanziamento pubblico degli organismi di radiodiffusione, in quanto adempiono alla missione di servizio pubblico conferita, definita e organizzata da ciascuno Stato membro. In tale ottica, il medesimo documento sottolinea l opportunità di una proprietà anch essa pubblica delle concessionarie. Come si vede anche solo da questo, quella della RAI, non è un anomalia, come surrettiziamente si è voluto far credere all opinione pubblica, ma la regola in tutta Europa. La deriva qualitativa imboccata dalla RAI negli ultimi due decenni regala, però, più di una freccia all arco dei suoi detrattori ed impone un profondo ripensamento del modello di governance e delle scelte strategiche e di programmazione dell Azienda cui la legge affida la gestione del servizio pubblico. A ciò va però associata la garanzia di risorse economiche tali da consentire all Azienda di ottemperare agli impegni previsti dal Contratto di Servizio, attingendo il meno possibile agli introiti pubblicitari e comunque mantenendo ben separate ed individuabili le due contabilità. La RAI è un Azienda di diritto privato, ma di proprietà pubblica: attualmente, l azionista di maggioranza (99%) è infatti il Ministero dello Sviluppo Economico. Con lo Stato, essa stipula una Convenzione di durata ventennale, che le attribuisce la gestione esclusiva del servizio pubblico radiotelevisivo. Quella attualmente vigore scade nel La Convenzione viene integrata ogni tre anni da un Contratto di Servizio, attualmente in scadenza, che stabilisce quali compiti deve rispettare l Azienda nel periodo di vigenza. Di fatto, esso costituisce uno dei punti di criticità finanziaria dell Azienda, poiché, in particolare negli ultimi decenni, al moltiplicarsi degli obblighi non è corrisposto una adeguato incremento delle risorse garantite (da canone), per cui le entrate da pubblicità hanno finito per avere un peso sempre maggiore anche in ordine alla realizzazione di programmazione prettamente da servizio pubblico. Prima del 1975, l Azienda era di proprietà dell IRI (allora ente pubblico) e veniva di fatto controllata dal Governo, che, in forma diretta o indiretta, ne nominava il Consiglio di Amministrazione. In seguito alla sentenza della Corte Costituzionale n. 225 del 10 luglio 1974, che affermava la necessità di sottrarre il servizio pubblico al controllo diretto dell Esecutivo, nel 1975 il Parlamento approvò quella che resta l ultima riforma strutturale della governance RAI, accogliendo il suggerimento della Suprema Corte e spostando il potere di controllo sul servizio pubblico radio-televisivo dal Governo al Parlamento, che lo avrebbe esercitato attraverso un apposita Commissione Permanente. A questa era anche demandata l elezione di ben 10 dei 16 membri del CdA (gli altri 6 li designava l assemblea dei soci). Nell applicazione di tale normativa, però, la buona intenzione della Corte finì per aprire la strada all occupazione partitica della RAI, attraverso la cosiddetta lottizzazione. Infatti, in nome di un pluralismo assolutamente malinteso, si operò una vera e propria attribuzione delle reti ai partiti: la prima, e il TG1, alla DC; la seconda, e il TG2 al PSI, all epoca alleati di governo. E siccome bisognava dar voce all opposizione, si inventarono la terza rete e il TG3, attribuendoli al PCI. Una spartizione Governo/ Opposizione che andò perfezionandosi negli anni successivi e che, basandosi anche sul peso elettorale dei vari partiti politici e delle loro componenti interne, finì per diventare pervasiva, investendo tutte le cariche dirigenziali e finanche funzionariali dell Azienda. Spesso anche in barba ad ogni criterio di competenza. E una situazione che nessuno degli interventi legislativi susseguitisi negli anni riguardo alle procedura di nomina degli organismi gestionali della RAI ha mai modificato. Si è guardata bene dal farlo anche l ultima legge di sistema, quella 3 maggio 2004 n. 112, meglio nota come legge Gasparri, che nel suo impianto si spinge fino a prefigurare la privatizzazione della RAI, fissandone addirittura le scadenze temporali. Fortunatamente, le modalità previste sono tali da risultare assolutamente inappetibili per qualunque investitore e dunque restano a tutt oggi inattuate. Pertanto, in attesa della Dismissione della partecipazione dello Stato nella RAI-Radiotelevisione italiana Spa prevista dall art. 21, le procedure di nomina del Consiglio di Amministrazione, del suo Presidente e del Direttore Generale della RAI restano quelle transitorie, previste dall art. 20 comma c. Dei nove membri del CdA proposti all approvazione dell Assemblea dei Soci, due membri vengono designati dall azionista di maggioranza, cioè il Ministero dello Sviluppo Economico, e sette indicati dalla Commissione Parlamentare per l indirizzo e la vigilanza. Tra i due membri di designazione governativa viene scelto il presidente, che deve essere confermato dal parere favorevole dei 2/ 3 della Commissione di Vigilanza, la cui composizione rispecchia in maniera proporzionale quella del Parlamento. Il preponderante condizionamento partitico in tale procedimento appare del tutto evidente e si ripercuote anche nella scelta del Direttore Generale, la cui elezione, che lo Statuto Sociale Rai affida al CdA, soffre dello stesso vizio di origine. Una sorta di domino, una reazione a catena che estende la spartizione a tutti i livelli aziendali appetibili, fino all affidamento degli appalti e ai contratti di collaborazione, molti dei quali spesso i più costosi - l Azienda subisce per input diretto della politica. Va rilevato, inoltre, che il modello di governance aziendale previsto dal citato Statuto Sociale, la cui ultima modifica risale al 2011, oltre che inadeguato rispetto alla necessità di decisioni rapide imposta dalla particolarità del mercato proprio dell Azienda, fa sì che le stesse decisioni e scelte aziendali siano improntate a criteri di opportunità politico-partitica, condizione esiziale per la RAI, in un Paese che a 22 anni dalla Legge Mammì, che legittimava l emittenza radiotelevisiva privata, non ha saputo/voluto risolvere l anomalia di quel gigantesco conflitto d interessi che, negli ultimi vent anni ha visto per ben 4 volte il principale imprenditore radiotelevisivo italiano alla Presidenza del Consiglio dei Ministri. Il necessario rilancio della RAI come servizio pubblico radiotelevisivo, capace di adempiere alla sua missione di educare, intrattenere, formare (senza annoiare!) e di dare veramente voce alle minoranze sociali, culturali

5 pag. 5 Cronache Federazione - Informazione/Media e religiose non può prescindere dal suo affrancamento dal condizionamento della politica, sia nella sua espressione partitica che in quella governativa. Questo implica il superamento della Legge Gasparri e l individuazione di assetti che pur restando pubblici, come raccomandato da diversi documenti europei, le diano completa autonomia di scelte e di gestione. Il che non significa necessariamente sottrarre la nomina del CdA al Parlamento, espressione rappresentativa più alta del Paese, cui, nella sentenza citata, la stessa Corte Costituzionale la demanda. Significa, più semplicemente, fare in modo che, nella scelta dei Consiglieri siano vincolanti quei criteri di riconosciuto prestigio e competenza professionale e di notoria indipendenza di comportamenti e di particolare distinzione in attivita' economiche, scientifiche, giuridiche, della cultura umanistica o della comunicazione sociale che la stessa legge Gasparri prevede (art. 20, comma 4), ma che finora sono stati quasi sempre disattesi dai nominanti. Un primo passo in questa direzione di questa restituzione di autonomia alla Concessioanria del servizio pubblico vogliamo credere che sia il colpo di mano del Presidente del Consiglio Mario Monti, che in una situazione di totale stallo della politica, con un Azienda in profonda crisi, e con un CdA abbondantemente scaduto, ha voluto designare il nuovo Presidente della RAI e, forzando un po lo Statuto, indicarne preventivamente il Direttore Generale. Una mossa che Monti ha dichiarato di voler integrare con una modifica dello Statuto Sociale che, nei limiti imposti dalla legge, accresca in misura significativa i poteri decisionali di Presidente e DG, fin quasi a farne una sorta di amministratore delegato con ampia autonomia anche nella nomina dei dirigenti di prima fascia non editoriali, restando sembrerebbe - la nomina dei dirigenti editoriali nella competenza dell intero Consiglio. Pur riaccentuando, come sostengono i critici, il peso governativo nella RAI, una governance di questo tipo rappresenterebbe uno snellimento notevole dei processi decisionali ed un loro parziale affrancamento dal condizionamento diretto della politica partitica, in attesa della necessaria riforma della legge Gasparri, che l attuale composizione del Parlamento rende di difficile realizzazione. Proprio nella prospettiva di questa riforma, varrà la pena di riflettere sulla opportunità di separare l organismo di controllo e di indirizzo strategico da quello più squisitamente gestionale ed editoriale, funzioni attualmente tutte attribuite al CdA, con singolari sovrapposizioni di ruolo. Non c è da inventare nulla, basta guardare cosa avviene in altri contesti europei e scegliere il modello più efficace. D altra parte, non si può parlare di rilancio della RAI e del ruolo del servizio pubblico nelle sue varie articolazioni, se non si offre alla concessionaria certezza e continuità di adeguate risorse. Attualmente, la RAI si finanzia attraverso tre fonti: il canone, la pubblicità, la vendita di diritti. I ricavi da canone sono pari al 51,8 % del totale, gli introiti pubblicitari superano di poco il 40% e risultano attualmente in calo, la restante quota è coperta dalla vendita dei diritti. Va rilevato, peraltro, che, anche a seguito di campagne d opinione negative paradossalmente sostenute anche a livello politicoistituzionale, il pagamento del canone ordinario viene evaso per oltre il 25%, pari a circa 500 milioni di euro, mentre l evasione di quello speciale ammonta a circa 900 milioni di euro. In tale divario tra introiti attesi e introiti effettivamente riscossi, a fronte di obblighi derivanti dal Contratto di Servizio progressivamente aumentati negli ultimi rinnovi e inadeguatamente compensati da aumenti del canone o altre forme di finanziamento pubblico, sta tutta l attuale crisi economica della RAI. La quale, come prescritto dalla legge Gasparri, in questi anni ha dovuto anche provvedere alla digitalizzazione del sistema di trasmissione, realizzata totalmente a suo carico, cioè senza la corresponsione di alcun contributo da parte dello Stato, come invece è avvenuto in altri Paesi. Ora che la conversione è praticamente completata c è, anche chi in Azienda, propone di vendere gli impianti di trasmissione ovvero la società controllata RAI WAY. L inadeguatezza del Contratto di Servizio rispetto alla copertura dei costi per lo svolgimento del servizio pubblico è stata sottolineata più volte anche dalla Corte dei Conti. Appaiono chiare in questa situazione, anche le ragioni o almeno alcune delle ragioni dello scadimento dei programmi: dovendo ricorrere anche per il prodotto di servizio pubblico alla fonte pubblicitaria, le scelte editoriali vengono sempre più condizionate dagli inserzionisti, più interessati alla quantità dei contatti che alla qualità della programmazione. E il meccanismo perverso che ha finito per rendere il servizio pubblico sempre meno distinguibile dalla televisione commerciale. Rilanciare il servizio pubblico significa quindi anche mettere la società concessionaria nelle condizioni di operare con piena o maggiore - autonomia rispetto a introiti condizionanti. Ciò è possibile rendendo realmente esigibile la riscossione del canone. Anche qui, non c è nulla da inventare, basta guardarsi intorno. Una misura del genere basterebbe a mettere la RAI in sicurezza sul piano economico e le consentirebbe di riorientare le scelte editoriali in senso più qualitativo, restituendo la necessaria specificità alla propria funzione, che non è la rincorsa dell audience fine a se stessa, ma quella di (tornare ad) essere la principale azienda culturale del Paese. Il prodotto però, non è solo questione di soldi. E anche questione di teste. Nella situazione odierna, per una serie di motivazioni più o meno plausibili, cui, di nuovo, non è completamente estraneo il condizionamento partitico, una grande parte del prodotto RAI viene realizzato all esterno, talvolta con il concorso di strutture e personale dell Azienda, talvolta chiavi in mano e con contratti-pacchetto che oltre al programma civetta contengono anche molta paccottiglia. Mentre, di converso, una parte del personale interno resta sottoutilizzata o del tutto inutilizzata. In un ottica di recupero della missione di servizio pubblico, si rende necessario ed urgente anche il recupero e la piena valorizzazione, sia nel comparto ideativo che realizzativo, delle professionalità interne, cui va garantita una formazione permanente, che le metta in condizioni di operare con le nuove tecnologie e nei contesti e nelle modalità multipiattaforma o crossmediali in cui la RAI ormai è ampiamente presente. La piena utilizzazione delle risorse umane interne, che costituisce una delle richieste qualificanti del Sindacato nella trattativa non ancora conclusa per il rinnovo del CNN, non significa il rientro automatico di tutti gli appalti, ma, in un Azienda che lamenta difficoltà economiche, semplicemente la loro riduzione a quelli effettivamente necessari al completamento del sistema produttivo. In tale senso, una RAI forte, autonoma dalle consorterie e consapevole della propria missione potrà esercitare, nei riguardi dell indotto, un ruolo non più di acquirente passivo, ma trainante di standard qualitativi tecnici e culturali di alto livello, generatori di crescita complessiva del comparto multimediale. Caterina Zuccaro

6 pag. 6 Spazio Lo stress nel mondo lavorativo U no dei problemi maggiormente affrontati nel mondo del lavoro è quello dello stress al quale è sottoposto il dipendente e che si ripercuote sia sulla vita personale che professionale, un aspetto sicuramente da non trascurare soprattutto nel contesto storico che stiamo vivendo dove il lavoratore di qualsiasi settore viene spinto dalle aziende a ritmi oltre quelli consentiti solo per conseguire un aumento della produttività senza rispettare il fatto che il contratto di lavoro è a prestazioni corrispettive ovvero adeguatamente remunerato. Il lavoro che dovrebbe essere la nostra massima espressione di creare il proprio sostentamento, andrebbe eseguito in totale libertà e come risultato dovrebbe tradursi in una vera soddisfazione oltre che un percorso di crescita personale. Purtroppo è noia, fatica e dovere e nel contesto attuale viene anche vissuto con grande paura. La paura di perdere il proprio lavoro che spesso nemmeno si ama, il che ci spinge anche ad eseguirlo con grande sforzo. Perché un azienda non si dovrebbe preoccupare anche della salute dei suoi dipendenti e metterli a proprio agio cercando di ridurre lo stress al quale sono sottoposti? Un supporto psicologico sarebbe auspicabile in quanto migliorerebbe le perfomance dei lavoratori e come risultato finale porterebbe ugualmente ad un aumento della produttività senza mettere in primo piano i ricavi, ma invertendo i meccanismi utilizzati fin ora per conseguirli. Alcune aziende si stanno muovendo in questo senso, ovvero ponendo l'attenzione più sulla salute dei dipendenti che sulla produttività. E' di questi giorni la notizia che l'ingegnere della multinazionale Google, il motore di ricerca online, Chade-Meng Tan, organizza dei corsi dal titolo emblematico Search Inside Yourself «Cerca dentro te stesso» se si pensa che Google ha fondato il suo successo con il search fuori di noi e dentro Internet. Questi corsi hanno l obiettivo di insegnare relax, pace, lentezza, ovvero a prendersi i propri tempi, il tutto totalmente contrapposto al contesto in cui viviamo, dove la velocità di reperire informazioni e di raggiungere risultati sembrerebbe basilare, ma proprio questo meccanismo che crea libertà e stress allo stesso tempo, sta invertendo la rotta. L'obiettivo dei corsi è quello di mettere a proprio agio i dipendenti insegnando loro a rilassarsi e distaccarsi dal lavoro, a disidentificarsi dal ruolo professionale che si ricopre fornendo loro una serie di metodi e servizi antistress. Purtroppo la situazione in Italia sembra essere l'opposto, apprendiamo ogni giorno di una serie di casi di persone gravate dai problemi economici che hanno compiuto gesti estremi, per non parlare dei numerosi dipendenti di vari settori che da mesi non percepiscono gli stipendi. A fronte di questa situazione, nemmeno le preponderanti misure di austerità che sono state adottate dal nostro governo riescono a stabilizzare la crisi, infatti, l'organizzazione Internazionale del Lavoro dell Onu, sottolinea che per l Italia tali misure non fanno altro che alimentare ulteriormente il ciclo di recessione e di rinviare eccessivamente l'inizio della ripresa economica ed il risanamento fiscale. La ripresa viene frenata dalla contrazione del consumo privato e tale contrazione è aggravata dal fatto che gli stipendi crescono troppo lentamente rispetto all'inflazione, questo sempre a causa del governo che, per ridurre il deficit pubblico, ha stabilito di aumentare la pressione fiscale in modo eccessivo. Ci chiediamo se tutte le misure anticrisi attuate dai vari governi, siano davvero sufficienti per far fronte a questa situazione di stallo o se deve avvenire una sorta di rivoluzione /non rivoluzione su un piano diverso da quello economico e normativo. Si sta diffondendo la consapevolezza che il disagio che ci troviamo a vivere ha radici diverse e ben più profonde, come ha sintetizzato il cardinal Betori quando parla di "impudente uso delle ricchezze e irresponsabile gestione delle finanze" pertanto la soluzione o la reazione, deve essere cercata in vie alternative da quelle che ci propone il sistema ordinario. Affinché gli esempi che ci pervengono da altre realtà si possano tramutare in utili suggerimenti per iniziare a modificare il contesto lavorativo che siamo costretti a vivere,sarebbe necessario che le aziende si predispongano in questo senso e che i singoli lavoratori non si riducano solo a meri esecutori passivi delle direttive impartite. Ogni lavoro per quanto umile o importante sia deve portare a risvegliare in ogni persona una creatività diversa oltre che una maggior consapevolezza del fatto che capire se stessi viene prima di ogni successo. Claudia Parete Telecontact Il portale della -CISL

7 pag. 7 Cronache Spazio V e la ricordate quella paginetta sulla Settimana Enigmistica che tanto istruiva, raccontava e suggeriva cose quasi sempre ignorate o impensabili? C era pure quell altra, molto interessante, che mi sembra si chiamasse: Strano ma vero, o giù di lì, credo. Ebbene vi scrivo così perché alcuni giorni fa per bocca dei soliti tuttologi, professionisti della parola colta e basta ho sentito dire che il debito pubblico è da imputare allo stile di vita superiore alle autentiche possibilità che gli italiani avrebbero sostenuto a partire dall immediato dopoguerra ad oggi. E mentre ascoltavo di queste verità insegnate(?) e confessate(!) con fare ammiccante, compiacente e persuasivo nel contempo, scorgevo nel Savonarola di turno che pagò ingiustamente con la propria vita, il fio della sua eresia il godimento tipico degli intellettuali a tempo pieno, i quali fanno della parola proferita ed ascoltata ancor prima per se e da se stessi il fine primo ed ultimo di tutte le cose. Il solo motivo per il quale hanno studiato ed appreso nuovi argomenti. Ma veniamo subito alla questione del debito pubblico che tanto mi sta cuore perché padre, cittadino contribuente e membro di questa collettività ricordando che se con gli anni è aumentato vertiginosamente e spesso in modo Forse non tutti sanno che... incontrollato, è pur vero che la colpa di ciò non è da imputare agli italiani perché spendaccioni, goderecci e sconsiderati, ma piuttosto ad una certa classe politica ed il colore di bandiera non esprime il senso di questa mia che pur di assicurarsi il consenso elettorale nell accezione più ampia possibile, sorvolava bonariamente sulla questione, sicura del fatto che i soldi sarebbero comunque arrivati dall estero Gratia et amore Dei o che nella peggiore delle ipotesi, qualcuno avrebbe pagato poi ( e vedi le generazioni future ). Gli italiani erano reduci da una guerra mondiale che provocò milioni di morti e feriti in Europa e nel mondo, sicchè fu proprio allora che taluni politici a braccetto con gli imprenditori, decisero un po sognando e molto di più speculando che sarebbe stato giusto e soprattutto e conveniente, dare alla popolazione le vacanze al mare, la Cinquecento, le abboffate in trattoria la Domenica, scarpe e vestiti alla moda eppoi vetrine sempre piene di merci, in negozi sapientemente illuminati. Si parlò anche di Boom Economico. Le donne ricche villeggiavano d Inverno a Cortina, indossando visoni e chinchilla; mentre i loro mariti, d estate, sguazzavano a Portofino e a Saint Tropez con i loro magnifici Riva. I poveri ed il ceto medio che rappresentavano la stragrande maggioranza della popolazione si recavano in luoghi come Ostia: con spalle bruciate, pastasciuttate in spiaggia, ragazzini chiassosi e madri esasperate e manesche. Più tardi, qualcuno del ceto medio, andava pure a rompersi le gambe, sciando, sul Terminillo ed in posti del genere, tentando di imitare le gesta dell ineguagliabile Toni Sailer. La gente che conobbe le sofferenze e gli orrori della guerra, volle dimenticare cercando oblio e ristoro nei semplici, primari e raggiungibili piaceri della vita. Le stesse persone credettero nelle ideologie, nei partiti, nella fede Religiosa e nel pallone, sperando comunque in un mondo migliore ed umano. I nonni vivevano e morivano non accanto alle badanti, ma in casa dei propri figli sposati i quali, a suon di sacrifici, mandavano i propri bambini a scuola; e commuovendosi nel giorno della prima Comunione dei loro eredi senza lascito, non immaginavano che questi candidi fanciulli, sarebbero un giorno diventati degli inutili laureati o peggio ancora dei dannosi speculatori di borsa. Ed ancora. Che ne sapevano del debito pubblico, gli italiani di quel tempo. Che male faceva, questa italica popolazione, nel lavorare, riprodursi, sperare e cercare di divertirsi per quanto fosse loro consentito. Mangiavano quando e quel che potevano, altrimenti emigravano; acquistavano lo stretto necessario e nella migliore delle ipotesi, sognavano davanti alle vetrine come si diceva allora - perché lo shoopping non esisteva, come pure erano sconosciuti il marketing, il briefing, lo spread e tutte quelle parole straniere che nella migliore delle ipotesi, traducono espressioni dal significato inutile o per il quale dovremmo vergognarci, talvolta. Molte persone senza scrupolo e coscienza, si arricchirono e costruirono le loro carriere in tutti i campi proprio in quel periodo. Fu pure l epopea degli industriali, dei palazzinari dei commendatori, dei cavalieri e di gente che portava i soldi in Svizzera dopo non aver pagato le tasse. Sempre in quell epoca una popolazione ingenua, distratta, male acculturata e forse un po superficiale, riempiva senza saperlo - il proprio basto di debito pubblico. Un debito che non avrebbe voluto accumulare - se lo avesse saputo - per semplice vergogna e per non commettere peccato. Quando i vecchi sentivano che di lì a poco sarebbero morti, si preoccupavano anzitempo di lasciare i soldi per il loro funerale: altro che rate, mutui, finanziarie, mercati e buffonate varie! I soldi risparmiati, si mettevano sotto al mattone o si depositavano presso uffici Postali. Non si davano in pasto alla finanza, perché il denaro, da solo, produceva sicurezza per l avvenire e parziale rimedio contro gli imprevisti: non già altro denaro! Questo dovrebbero dire e scrivere i soliti tuttologi, i saggi di mestiere ed i professionisti della parola colta e basta! Con amicizia. Stefano Pellegrino BT Italia

8 pag. 8 Approfondimento Emergenza Call Center I Call Center sono in una condizione di vera emergenza; la perdurante crisi economica sta rendendo sempre più difficile la situazione e sta evidenziando ancor di più un contesto che invece di porre rimedio alla attuale crisi recessiva, tende ad allontanare la soluzione non riuscendo a porre le condizioni verso una fase che deve essere combattuta con stimoli e regole di crescita e stabilizzazione del mercato. Purtroppo non sono questi i segnali che ci giungono; gare al massimo ribasso e delocalizzazioni sempre più mirate stanno producendo una situazione che può portare tutto il comparto dei call center al collasso. Nel corso degli ultimi anni ed in particolare durante gli ultimi mesi è fortemente diminuita la domanda e si è ridotto il valore delle commesse. Degli oltre attuali posti di lavoro, sono considerati a rischio. Immediata è la necessità di interventi legislativi che pongano rimedio alla concorrenza sleale legata alle gare al massimo ribasso, alla delocalizzazione verso l Albania, la Romania e la Tunisia, e ad una riduzione di una pesante imposizione fiscale. Segnali di attenzione verso il settore, arrivano dalle politiche economiche di altri Paesi Europei; la Francia, attraverso il Governo, ha recentemente invitato le grandi Aziende di telecomunicazioni, a riportare in Patria i Call Center delocalizzati in paesi Africani. Ci sembra una misura di attenzione verso la ricerca di un tamponamento della condizione di continua emorragia di posti di lavoro e di fatturato a livello nazionale. Ci auguriamo che iniziative di questo tipo possano presto essere replicate anche nel nostro Paese, osservando in aggiunta, che la qualità del servizio espressa in Italia è senza dubbio maggiore di quella registrata all estero. Oltre a ciò si è recentemente manifestata, nel corso delle trattative per il rinnovo del CCNL delle Telecomunicazioni, la sciagurata volontà da parte Imprenditoriale, di relegare il settore dei Customer in un contratto più povero che possa consentire risparmi economici alle Aziende committenti. Abbassare ancora il costo del lavoro, in un settore dove si guadagnano in media da 500 a 1000 euro al mese a seconda della tipologia contrattuale, è una prospettiva mortificante ed inopportuna che non riuscirebbe sicuramente ad assicurare sostegno duraturo alle Azienda ed invece porterebbe velocemente i Lavoratori in una condizione umiliante e di incertezza. Ecco perché ci sembrano particolarmente lodevoli le proposte della nostra Segreteria Fistel Nazionale e della Segreteria Cisl Confederale che oltre a mantenere alta l attenzione con una serie di iniziative di contrapposizione, hanno ritenuto necessario chiedere ai Rappresentanti dei Gruppi Parlamentari di Camera e Senato, un incontro che riesca a definire correttamente la situazione e a delineare i possibili rimedi. Anna Maria Furlan e Vito Vitale, con questa richiesta danno speciale risalto ad una situazione diventata ingovernabile e con insopportabili e pericolose derive verso un tracollo generale. E per questo che la prossima discussione Parlamentare sul decreto Sviluppo dovrà necessariamente contenere emendamenti che possano indirizzare la legge e renderla utile ad una diffusa ripresa del lavoro nei Call Center. I customer sono una risorsa dell Italia, hanno contribuito allo sviluppo ed alla crescita del Paese, sono riferimento e fonte di occupazione per larghe fasce di Lavoratrici e Lavoratori che hanno in passato colto l opportunità di un lavoro flessibile che si è nel tempo stabilizzato e regolarizzato. La Fistel ha sostenuto e guidato queste fasi, siamo certi che saprà ancora interpretare i bisogni e le attese di quanti sono impegnati per la crescita e lo sviluppo dei Call Center. Luca Bozzi Vicedirettore editoriale Bonanni: Non vogliamo fare un partito, resto leader Cisl l Paese ha bisogno di un orientamento su quello che c'è da fare ogni giorno, noi l'abbiamo già detto a Todi, non vogliamo fare un partito perchè significherebbe fare un partito uguale a quelli che ci sono già e che o negano l'evidenza o scivolano nel populismo. È quanto ha affermato il segretario della Cisl, Raffaele Bonanni, a margine della manifestazione nazionale Costruiamo gli Stati uniti d'europa, promossa dalle sette sigle del Forum di Todi, Cisl, Acli, Coldiretti, Compagnia delle Opere, Confcooperative, Confartigianato e Movimento Cristiano lavoratori. Rispondendo a Carlo Costalli di Mcl che ha lanciato l'idea di un partito di cattolici come possibile svolta del Forum di Todi e lo stesso Bonanni come possibile leader, il segretario della Cisl ha replicato: Resterò leader del sindacato. Il futuro del Forum - ha anche spiegato - è stimolare le persone a un maggiore impegno e consapevolezza del ruolo che ognuno esercita individualmente e come parte delle organizzazioni sociali. È inutile - ha osservato in vista del prossimo appuntamento del Forum di ottobre - tutta questa agitazione da un appuntamento all'altro, i disastri sono il frutto proprio di questo. Infine all'ipotesi di un Monti bis, ha aggiunto: Monti è l'unica personalità che abbiamo da spendere in Europa poi la politica fa il resto.

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