Adriana Luciano Roberto Di Monaco Monica Demartini

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1 Le figure professionali nei servizi sociali: competenze, fabbisogni formativi e domande di cambiamento organizzativo. Sperimentazione di un modello di analisi in provincia di Torino Adriana Luciano Roberto Di Monaco Monica Demartini Paper for the Espanet Conference Innovare il welfare. Percorsi di trasformazione in Italia e in Europa Milano, 9 Settembre Ottobre Università di Torino adriana.luciano@unito.it Università di Torino roberto.dimonaco@unito.it COREP mdemartini@corep.it

2 indice. Le professioni sociali in cerca di definizione e di riconoscimento.... Descrivere le professioni per competenze.... Il modello di analisi.... Assistenti sociali: una professione in transizione...6. Educatore: un mestiere uno e trino Gli operatori socio-sanitari si sottovalutano o si sopravvalutano? Competenze e organizzazioni Istruzioni per l uso... Bibliografia... Appendice...

3 . Le professioni sociali in cerca di definizione e di riconoscimento A distanza di più di dieci anni. dall emanazione della Legge quadro per la realizzazione del sistema integrato di interventi e servizi sociali le professioni sociali ancora non hanno ricevuto in Italia una codificazione condivisa. Nel, un documento presentato in un autorevole conferenza promossa dall ANCI e dall UPI ribadiva l urgenza di una regolazione nazionale delle professioni sociali mediante la definizione di una figura unica di educatore professionale per il comparto sanitario, sociale e penitenziario, di un profilo nazionale di educatore della prima infanzia, di animatore sociale, di tecnico dell inserimento lavorativo, di un curriculum di competenze ed esperienze per i ruoli dirigenziali nei servizi e nella rete integrata, di un percorso formativo omogeneo per l assistente familiare e di criteri per la comparazione tra figure professionali regionali e altro ancora. Sempre nel, il comunicato stampa che annunciava un convegno dell Isfol sul tema ribadiva: «Appare indifferibile l'avvio di un processo di confronto finalizzato alla definizione delle professioni sociali di rilievo nazionale, che deve necessariamente coinvolgere in prima istanza i livelli di governo centrale e territoriale ed estendersi alle comunità professionali e alle parti sociali, sulla base dell'articolazione delle competenze tra Stato e Regioni stabilite dalla riforma del Titolo V della Costituzione» E ancora un recente studio dell Isfol (8) richiamava la «mancata implementazione dell art. della legge /». Solo gli assistenti sociali hanno percorso interamente un processo di professionalizzazione. Dalla nascita, a fine Ottocento, delle prime iniziative di carattere filantropico nelle fabbriche che avevano sollecitato la formazione delle assistenti di fabbrica, alla fondazione nel 9 a Milano dell Istituto Italiano di Assistenza Sociale e all istituzione della prima scuola per assistenti sociali di fabbrica, fino all istituzione delle Scuole Universitarie Dirette a Fini Speciali (SDFS) e alla successiva creazione della classe di laurea in Scienze del Servizio Sociale e in Programmazione e gestione delle Politiche e dei Servizi Sociali, la figura dell assistente sociale ha subito una crescente regolazione culminata con il D.P.R. n. 8 del, che ha istituito le sezioni A e B dell albo professionale degli assistenti sociali. Gli educatori compaiono invece soltanto negli anni Cinquanta come operatori ampiamente utilizzati in strutture residenziali (istituti, case di rieducazione, opere pie rivolte alla cura dei poveri e degli emarginati, pensionati giovanili) pur senza alcun riconoscimento giuridico. Con l affermarsi di una politica sociale pubblica, la loro presenza si diffonde nei servizi territoriali, negli uffici e negli assessorati ai servizi sociali e comincia un processo non ancora concluso di professionalizzazione. Viene dapprima istituito un corso triennale post-diploma rilasciato da scuole riconosciute dalle Regioni e, a partire dall anno accademico 99/99, viene attivato presso le Università un corso di laurea in Scienze dell Educazione indirizzo educatore professionale extrascolastico, riconvertito nell anno accademico / in laurea di primo livello, ma questo percorso formativo non ottiene un formale riconoscimento per l accesso alla professione. Le cose si complicano quando, nel 998, il Ministero della Sanità, con decreto n., istituisce la figura e il relativo profilo professionale dell educatore professionale da inserire nei servizi sanitari, stabilendo che siano le Università ad occuparsi della sua formazione attraverso la facoltà di Medicina e Chirurgia in collegamento con le facoltà di Psicologia, Sociologia e Scienze dell Educazione. Da allora regna una situazione di incertezza a cui le Regioni hanno fatto fronte con normative differenziate. E gli educatori sono ben lontani dall aver acquisito uno stato giuridico confrontabile con quello degli assistenti sociali. Solo in alcune regioni e in alcuni tipi di servizi è presente la figura dell animatore sociale, una figura nata in Italia verso la fine degli anni Sessanta dalle esperienze di teatro sociale, di pedagogia attiva, di musica e teatro popolare, realizzate da educatori, teatranti, intellettuali, operatori sociali e volontari, in sintonia con i Conferenza Nazionale Presente e futuro delle professioni sociali per il nuovo Welfare territoriale. Le proposte delle autonomie locali, Roma, Febbraio. Fabrizi L., Raciti P., Ranieri C. (8), Un modello di Osservatorio per il governo del sistema delle professioni sociali e lo sviluppo dei servizi alla persona. Collana Studi Isfol n. 8/: «Tenendo conto delle caratteristiche di relativa indeterminatezza che il quadro istituzionale assume per la mancata implementazione dell art. della legge 8/, l area Politiche sociali e pari opportunità dell Isfol ha messo in atto un azione di ricerca nel corso della quale si è tentato di far emergere osservazioni e rappresentazioni sulle professioni sociali attraverso interviste a un panel di testimoni privilegiati provenienti dal mondo dell'accademia, dal sistema dei servizi territoriali, dalle rappresentanze professionali e da altre istituzioni di ricerca.» (p. ). Si tratta della Scuola Femminile Fascista di Economia Domestica ed Assistenza Sociale di San Gregorio al Celio (98). Alla classe A possono essere iscritti coloro che sono in possesso della laurea specialistica; alla classe B coloro che hanno conseguito la laurea di primo livello. In entrambi i casi l iscrizione è condizionata al superamento dell esame di stato.

4 valori e le speranze dei movimenti di contestazione che in quegli anni andavano sperimentando pratiche antiautoritarie di democrazia partecipativa. Si fondevano in quelle esperienze echi di tradizioni filosofiche orientali, di correnti artistiche libertarie, di istanze femministe di rivalutazione della corporeità, e altro ancora. A metà degli anni Settanta, soprattutto in Italia Settentrionale, l animazione è diventata una pratica diffusa nella scuola dell obbligo, e si presenta come un metodo di fare scuola centrato sulla libertà del bambino e sui suoi bisogni di espressione. L animatore, da intrattenitore giocoliere diventa formatore e consulente degli insegnanti, acquisendo responsabilità sempre maggiori nei processi di socializzazione e di formazione della personalità. Da allora l animazione ha vissuto un costante ridimensionamento e, nonostante il proliferare di corsi di formazione professionale, non ha ottenuto alcun significativo riconoscimento. Diverso il percorso compiuto dagli operatori socio sanitari. Un D.M. del ne ha regolamentato la professione unificando in un unico profilo ADEST (Assistente Domiciliare e dei Servizi Tutelari) e OTA (Operatore Tecnico Addetto all Assistenza), due profili con competenze analoghe ma nati, il primo, in ambito assistenziale e il secondo in ambito sanitario. In verità le esperienze di formazione di questi operatori risalgono a molti anni prima. Alla fine degli anni Settanta le Regioni, in attuazione del D.P.R. 66 del 977 e della L. 8 del 978, avevano infatti istituito corsi gestiti dagli Enti Gestori delle funzioni socio-assistenziali al termine dei quali veniva rilasciato un attestato di qualifica professionale obbligatorio per lo svolgimento della professione. Attualmente, per esercitare la professione, è richiesto un attestato di qualifica di assistente domiciliare e dei servizi tutelari o altra qualifica equivalente, conseguito in esito a corsi specifici riconosciuti dalle Regioni; o un attestato di qualifica di operatore socio sanitario. In un incerto procedere tra l evoluzione delle politiche sociali e delle culture di riferimento, i cambiamenti normativi e la ridefinizione dei livelli di governo, le professioni sociali non hanno certo migliorato la loro posizione nella gerarchia sociale né in termini di reddito, né in termini di prestigio. È aumentata in compenso la complessità del lavoro sociale. Aspettative crescenti da parte di chi vive situazioni di vulnerabilità e di rischio. Risorse decrescenti, sia in termini di risorse finanziarie da erogare in attività assistenziali, sia in termini di risorse umane, di servizi, di progetti realizzabili. Culture professionali sempre più esigenti che chiedono agli operatori di superare logiche assistenziali per aiutare le persone a costruire in autonomia i loro progetti di vita. Professioni impossibili: al lavoro sociale si chiede di rendere esigibili diritti di cittadinanza sempre più sofisticati e complessi in una fase storica in cui l intero edificio del welfare scricchiola, le risorse diminuiscono e gli operatori sociali sono di fatto chiamati a contenere le minacce all ordine sociale che i processi di esclusione portano con sé.. Descrivere le professioni per competenze Ma che cosa fanno concretamente i professionisti del sociale? Come si rappresentano il loro ruolo? Si sentono adeguati alle aspettative dei loro colleghi, dei loro superiori, dei loro utenti? Che modello di welfare incarnano con il loro operare quotidiano? Che esigenze di formazione esprimono? Domande che da anni assillano i responsabili locali delle politiche sociali, le associazioni professionali, le università e i centri di formazione e che diventano cruciali nel momento in cui la forte contrazione della spesa pubblica e le minacce al welfare che questo comporta richiederebbero di far leva, ancor più che in passato sulle competenze degli operatori e sulla loro capacità di salvaguardare la qualità dei servizi riducendone i costi. Come si possono descrivere le professioni sociali per renderle più visibili e valutabili e progressivamente più adeguate a fronteggiare la contraddizione che scaturisce dall aumento della domanda di assistenza e dalla riduzione delle risorse disponibili? Come ben mostra una mole imponente di letteratura e il proliferare di modelli di analisi, descrivere le professioni non è impresa semplice. Si tratta, infatti, di relazioni sociali complesse che prendono forma entro strutture organizzative all interno della quale operano le persone, le classificazioni contrattuali che definiscono mansioni e livelli retributivi, i rapporti contrattuali che legano domanda e offerta di lavoro. Un rilievo importante hanno anche le modalità istituzionalizzate di acquisizione delle conoscenze e delle abilità richieste nei vari contesti di lavoro. A seconda di come sono organizzati il sistema scolastico e quello della formazione professionale, si definiscono il tipo e il livello delle certificazioni scolastiche che vengono richieste per l accesso a determinate posizioni e la distinzione tra formazione scolastica e training on the job. Contano poi nello strutturare socialmente le professioni gli stereotipi culturali in base ai quali certi lavori sono considerati più adatti a donne o a uomini, a persone provenienti da particolari gruppi etnici o a

5 particolari classi di età. È da questa complessità di fattori, che vanno a comporre le caratteristiche delle professioni e dei professionisti che andranno a svolgerle, che scaturiscono le principali difficoltà di descrivere e classificare domanda e offerta di lavoro. Anche la distinzione tra job e skill, che si usa per designare rispettivamente le caratteristiche dei posti di lavoro e delle persone che possono occuparli, appare critica se si pone mente al fatto che i posti, essendo il risultato di una lunga serie di interazioni tra fattori tecnologici, organizzativi, istituzionali e culturali, sono essi stessi fortemente impregnati delle caratteristiche dei lavoratori che nel tempo li hanno a loro volta costruiti. E ormai largamente condiviso che se il livello delle competenze tecnico-professionali che si possono apprendere attraverso un percorso scolastico più o meno lungo, la frequenza a corsi di formazione professionale o un esperienza di lavoro è relativamente facile da accertare, ciò che decide della buona qualità delle prestazioni non sono soltanto le competenze tecniche in senso stretto, ma un insieme di altre caratteristiche di tipo cognitivo e relazionale che costituiscono parte integrante e duratura della personalità degli individui, tanto da poterne predire i comportamenti. Qualcosa che non viene certificato da titoli di studio ma che può essere accertato attraverso complessi processi di selezione, o garantito, per così dire, all interno di rapporti fiduciari. Il fatto che queste competenze siano difficili da definire, da formare e da rilevare, e che siano spesso specifiche a particolari contesti organizzativi e culturali, pone problemi analitici di difficile soluzione. Su questo punto la riflessione teorica e l esperienza di ricerca a livello internazionale hanno raggiunto una sintesi interessante nell elaborazione dell European Qualifications Framework che ha prodotto una definizione operativa del concetto di competenza utile per consentire a livello europeo il reciproco riconoscimento di professioni e qualificazioni. La definizione si articola in tre livelli: quello cognitivo (knowledge), che implica l utilizzo di teorie e concetti, ma anche le conoscenze informali e tacite acquisite attraverso l esperienza; quello funzionale (skill) che riguarda ciò che si deve saper fare quando le conoscenze (competenze cognitive) vengono calate in un contesto professionale dato; quello dei comportamenti lavorativi (competences) che riguarda il comportamento da adottare in un determinato contesto di lavoro. A questi se ne aggiunge un quarto che riguarda la dimensione etica, deontologica del lavoro. Si tratta di un modello relativamente semplice e sufficientemente solido da poter generare un linguaggio condiviso tra persone, imprese e operatori dei servizi per l impiego e della formazione, e da orientare i loro reciproci comportamenti (cercare e offrire lavoro; cercare e offrire formazione). In questa direzione si è mosso anche il Ministero del Lavoro italiano che lo ha adottato per costruire il Thesaurus delle professioni da inserire nella Borsa Nazionale del Lavoro 6.. Il modello di analisi Nel lavoro che segue 7 abbiamo adottato la strategia che ci è sembrata più adeguata a rispondere a quei requisiti di affidabilità e di economicità che un sistema di osservazione delle competenze dovrebbe avere: adottare un modello di analisi delle competenze testato a livello europeo e in grado, dunque, di consentire comparazioni con altre classificazioni e con altre rilevazioni. A questo scopo abbiamo ricostruito i processi di lavoro in cui sono coinvolte le diverse figure professionali (assistenti sociali, educatori e operatori socio-sanitari) per declinare poi un menù di competenze 8 (conoscenze, abilità e comportamenti lavorativi) condivise da professionisti esperti e coordinatori di servizi socio-assistenziali. I processi di lavoro sono stati classificati in processi primari (rivolti direttamente ai destinatari) e processi di servizio (necessari all organizzazione per svolgere i primi). Ciascun processo è stato scomposto in attività che fungono da descrittori del processo al quale fanno riferimento e ad esse sono state riferite le competenze 9. Infine, i menù relativi ai tre gruppi professionali, sono stati tradotti in questionari che sono stati somministrati dapprima ad alcuni testimoni privilegiati individuati all interno dei Consorzi socio- La letteratura sul tema delle competenze è pressoché sterminata. Per una sintesi cfr. Jonathan Winterton J., Delamare Le Deist F., Stringfellow E ; Sociologie du travail,,, -66. Leboterf G., 6 Vedi - portale del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali per l accesso ai servizi per il lavoro erogati sul territorio nazionale 7 In questo articolo vengono sintetizzati i principali risultati di una ricerca condotta per la provincia di Torino tra il e il 9 da un gruppo di lavoro del Laboratorio Frame di Corep, composto da Barbara Basacco, Elisa Casale, Monica Demartini, Roberto Di Monaco e diretto da Adriana Luciano e da un più recente lavoro realizzato da Roberto Di Monaco per la Regione Piemonte nel quadro della ricerca nazionale Occupazione e professioni nell ambito dei servizi sociali. Per maggiori informazioni si veda 8 Il modello usato è quello, già citato, dell European Qualification Framework. 9 Per una descrizione analitica del modello cfr. appendice.

6 assistenziali e delle Comunità Montane per testare la validità dello strumento prima di somministrarlo a circa operatori. Per ogni attività/conoscenza/abilità/comportamento lavorativo indicati nel questionario, gli intervistati sono stati chiamati a indicare se e in che misura li ritenessero parte del loro lavoro quotidiano e se e in che misura le stesse attività/conoscenze/abilità/comportamenti lavorativi dovessero essere sviluppati per migliorare l esercizio delle diverse professioni. La rilevazione prevedeva l utilizzo di una scala compresa tra e. In questo modo è stato possibile ricostruire la rappresentazione che gli operatori hanno del loro ruolo così come esso viene agito nella pratica quotidiana e così come essi pensano che dovrebbe essere svolto per corrispondere a un ideale di eccellenza professionale. Il gap rilevato tra comportamenti agiti e comportamenti attesi identifica uno spazio che può essere colmato da parte dei responsabili della programmazione e della gestione dei servizi con azioni di formazione, interventi organizzativi, valorizzazione dell apprendimento on the job. Le indicazioni emerse possono offrire suggerimenti utili anche all Università e agli enti di formazione professionale che si occupano della formazione in ingresso di questi operatori.. Assistenti sociali: una professione in transizione Circa la metà degli assistenti sociali della provincia di Torino ha risposto al questionario e ha rappresentato nel modo seguente il proprio lavoro: Tav.. gestione della relazione con i tirocinanti valutazione e verifica integrazione/collab. con le risorse territoriali Processi dell'assistente sociale giudizio dell'operatore analisi dei bisogni del territorio progettazione di politiche, interventi e azioni iniziale presa in carico dell'utente microprogettazione degli interventi sugli utenti gestione delle informazioni e delle conoscenze coordinamento ed organizzazione del lavoro gestione e monitoraggio dell'intervento erogazione misure assistenziali giudizio del coordinatore - Si tratta del % degli operatori (assistenti sociali, educatori, operatori socio sanitari) del territorio della provincia di Torino, esclusa la città capoluogo. 6

7 Il profilo atteso, ovvero la rappresentazione di ciò che dovrebbe fare e saper fare un assistente sociale, è omogeneamente articolato su tre dimensioni: la progettazione (analisi dei bisogni e progettazione di politiche); il rapporto diretto con l utenza (presa in carico, microprogettazione, gestione degli interventi, erogazione di sussidi); l organizzazione del servizio (coordinamento, gestione delle informazione, rapporto con enti esterni e tirocinanti, valutazione). Diversa tuttavia la realtà percepita del ruolo effettivamente svolto: mediamente gli assistenti sociali ritengono di svolgere in maniera conforme alle aspettative le attività di relazione con gli utenti, che del loro lavoro costituiscono il nucleo fondante, ma ritengono di essere piuttosto lontani dai valori attesi sia per quanto riguarda le attività di progettazione, sia per quanto riguarda le attività organizzative interne e esterne al servizio. La domanda di assistenza sembrerebbe richiedere un di più di partecipazione all elaborazione di politiche e di progetti a cui non ci si sente sufficientemente preparati o per cui non si ha tempo sufficiente. Non molto distante, anche se più ottimistica, la rappresentazione dei coordinatori. Tav.. Profili di attività e processi lavorativi in cui sono impegnati gli assistenti sociali L analisi fattoriale rivela tuttavia che tra gli assistenti sociali si registrano due polarità nei modelli di comportamento: ci sono assistenti sociali più impegnati nel lavoro con gli utenti e assistenti sociali il cui lavoro è più orientato all esterno e alla dimensione organizzativo-progettuale. Tav.. Posizione degli assistenti sociali degli Enti Gestori della provincia di Torino 7

8 Ciò può dipendere da differenze personali nell esercizio del ruolo, dalla diversa posizione occupata nell organizzazione dei servizi, da fattori istituzionali o, ancora, dalla diversa composizione dell utenza. Certo è che le differenze di specializzazione degli assistenti sociali si colgono bene a livello territoriale tra i vari consorzi: ad esempio, l Ente Gestore e quello (si tratta di codici da noi attribuiti ai diversi Consorzi della provincia di Torino) rappresentano, da questo punto di vista due situazioni estreme. Nel caso del consorzio, il lavoro sul territorio, la progettazione, il lavoro di rete hanno un peso importante nell esercizio del ruolo degli assistenti sociali. Al contrario, nel consorzio, la maggior parte delle attività si svolge presso gli utenti. I casi 8 e 7 rappresentano situazioni in cui le due dimensioni convivono a un alto livello di impegno. Posto che le differenze possano essere determinate sia da decisioni individuali dei singoli professionisti, sia da scelte collettive, queste differenze tra consorzi, mostrano l esistenza di differenti assetti dei servizi che potrebbero diventare oggetto di analisi qualora si volessero fissare, esaminare e confrontare standard di servizio da adattare a bisogni specifici del territorio. E interessante ancora osservare come l esigenza di affinare le proprie competenze in direzione di un maggiore impegno nell analisi dei bisogni del territorio, nella progettazione di politiche e di interventi e nelle attività di coordinamento e organizzazione del lavoro, sia soprattutto avanzata dagli assistenti sociali che sono più impegnati nella gestione dei casi. Per contro, chi è più impegnato in attività di progettazione territoriale vedrebbe bene un maggiore impegno sul versante della gestione dei casi. Le differenze di percezione dell evoluzione del ruolo, quindi, sottolineano un esigenza di convergenza, di completamento, più che di contrapposizione tra due modi di intendere il ruolo radicalmente diversi. Tav.. Assistenti sociali e coordinatori percepiscono un discreto gap di conoscenze in tutte le aree disciplinari che fanno parte del bagaglio conoscitivo della professione. Ma questo gap è particolarmente accentuato per quanto riguarda le conoscenze in materia di progettazione e di valutazione mentre è considerato meno rilevante e meno importante il gap di conoscenze gestionali. 8

9 Tav.. metodologie e tecniche di valutazione gestionali metodologie e tecniche per la gestione delle informazioni metodologie e tecniche per la gestione delle relazioni pedagogiche psicologiche sociologiche giuridiche-normative metodologie e tecniche di progettazione giudizio del coordinatore - Stessi valori si registrano a proposito delle abilità. Con una differenza: le carenze nelle abilità relative alla progettazione e alla valutazione vengono percepite con maggiore intensità dai coordinatori che non dagli assistenti sociali. Tav..6 Abilità dell'assistente sociale giudizio dell'operatore organizzative e gestionali di gestione delle informazioni di progettazione rapporto con il territorio rapporto con l'utente di valutazione rapporto con altri operatori e tirocinanti Conoscenze dell'assistente sociale giudizio dell'operatore giudizio del coordinatore 9

10 L area dei comportamenti lavorativi viene rappresentata invece, come un ambito in cui i valori attesi sono molto vicini a quelli attuali. Con uno scarto di un punto tra comportamenti di assistenza e di servizio, percepiti a un livello alto () e quelli manageriali collocati a un livello più basso (). I coordinatori si rappresentano invece tutte le dimensioni relative ai comportamenti lavorativi in maniera più equilibrata. Tav..7 Comportamenti lavorativi dell'assistente sociale giudizio dell'operatore di efficacia personale cognitivi di realizzazione e operativi manageriali di assistenza e di servizio di influenza giudizio del coordinatore Dopo aver osservato il profilo medio delle competenze degli assistenti sociali, possiamo andare più in profondità nell analisi, seguendo tre interrogativi, molto rilevanti in rapporto al miglioramento organizzativo dei servizi. Il primo riguarda il grado di omogeneità dei profili di competenze emersi e l eventuale presenza di significative differenziazioni tra gli operatori. Il secondo è relativo alla coerenza tra i profili di competenze e le attività prevalenti svolte, che, come abbiamo visto, sono abbastanza differenziate tra operatori e servizi. Il terzo riguarda la domanda di nuove competenze: in che misura cambia la percezione del gap di competenze passando dagli assistenti sociali più impegnati su progetti territoriali a quelli che lavorano maggiormente sui casi? L analisi dei profili di competenza degli assistenti sociali è stata nuovamente realizzata attraverso l analisi fattoriale, che consente di verificare empiricamente quali siano le competenze che, nel loro insieme, concorrono a definire profili ricorrenti. Attraverso l analisi fattoriale, in sostanza, possiamo verificare se determinati tipi di conoscenze, abilità e comportamenti vengono attivati contemporaneamente dagli stessi professionisti e quindi nel loro insieme definiscono profili significativamente stabili e presenti nei servizi. Emergono dall analisi due accentazioni del profilo professionale dell assistente sociale. Il primo è più orientato a una cultura del progetto. Ci riferiamo ai casi di operatori che sottolineano l importanza nel loro lavoro delle conoscenze metodologiche e tecniche di progettazione e valutazione, delle discipline sociali e di ricerca, fondamentali nella lettura dei contesti operativi dei servizi, delle abilità di implementare sul territorio attività di diagnosi e intervento. I comportamenti lavorativi sono stati aggregati in quanto elementi trasversali a tutti i processi e attività. Per la loro declinazione è stata utilizzata la classificazione proposta da L. Spencer e M. Spencer nel Dizionario delle competenze (99). In sintesi le categorie utilizzate sono state: di realizzazione e operativi; di assistenza e di servizio; di influenza; manageriali; cognitivi; di efficacia personale. Per un maggior dettaglio dei contenuti si veda l Appendice.

11 Il secondo profilo è più orientato alla cultura della relazione, che attribuisce maggiore importanza alla qualità della relazione con l utente e alle capacità individuali di trattamento dei diversi aspetti del caso, da quelli normativi a quelli psicologici, a quelli relativi alla gestione del tempo, dei sovraccarichi di lavoro e di rapporto con i soggetti della rete. Anche in questo caso la dimensione progettuale è rilevante, ma soprattutto in riferimento al progetto individuale dell utente. Tav..8 Tav..9 In merito al secondo interrogativo, abbiamo posto in relazione, per ciascun Ente Gestore, il livello di presenza delle due culture professionali. Come si può notare (tav..9), esiste una relazione significativa,

12 anche se non stringente, tra l intensità di presenza di una cultura del progetto e un orientamento del servizio alla gestione di politiche e interventi territoriali, come vi è una relazione altrettanto significativa tra l intensità di una cultura della relazione e l orientamento a lavorare sui casi. In sostanza, i profili di competenza (conoscenze, abilità e comportamenti) mostrano una certa sintonia con la rappresentazione della professione. Dove prevale un idea della professione più orientata al rapporto con l utenza (il modo più consueto di intendere il lavoro dell assistente sociale) le competenze sono più centrate sulla dimensione normativa e relazionale. Dove invece il ruolo sembra evolvere verso la progettazione, il lavoro di rete, le relazioni con il territorio, anche le competenze sono più di tipo progettuale e organizzativo. La tensione verso un evoluzione del ruolo che dovrebbe integrare alla dimensione relazionale quelle progettuali e di rapporto con il territorio appare l elemento più dinamico nella rappresentazione del ruolo da parte degli assistenti sociali e dei loro coordinatori con un conseguente orientamento verso un aumento di competenze proprio in quella direzione. Ma, in generale, sono le persone che avvertono un maggiore squilibrio in una direzione o nell altra (elevata attività sul territorio e bassa sui casi o alta attività sui casi e bassa sul territorio) a percepire maggiormente la necessità di accrescere le loro competenze. C è un legame forte tra l assetto del ruolo agito e la domanda di conoscenze. L impegno in attività progettuali stimola conoscenze multidisciplinari, mentre lavorare sui casi porta a concentrarsi sulla relazione, sia dal punto di vista delle conoscenze normative necessarie, sia per ciò che riguarda i comportamenti. Queste coerenze, però, più che disegnare un traguardo, fanno intravedere delle potenzialità di evoluzione. Restano infatti gli interrogatovi circa i meccanismi più o meno informali che le hanno prodotte e si profila uno spazio per iniziative di potenziamento delle competenze e di miglioramento organizzativo che potrebbero essere intraprese lavorando su questi temi, costruendo coerenze più strutturate e sistematiche tra i processi di evoluzione dei servizi e il rafforzamento delle competenze. Per affrontare il terzo interrogativo e esplorare la relazione tra gap di competenze percepito e profilo prevalente di attività svolta, abbiamo prodotto le medie degli indici che misurano la differenza tra le competenze attuali e quelle che secondo gli operatori sarebbero necessarie per svolgere in modo ottimale l attività, distinguendo i giudizi degli operatori a seconda della loro specializzazione funzionale. Nei grafici seguenti, quindi, la lunghezza delle barre misura il gap percepito di competenze, il bisogno dichiarato di incremento. Tav..

13 Tav.. Tav.. Riguardo all analisi del gap di conoscenze (tav..), possiamo osservare alcune differenze, anche se modeste. Gli assistenti sociali più impegnati sul territorio avvertono maggiormente la necessità di conoscenze pedagogiche e di gestione delle relazioni e delle informazioni delle persone; viceversa gli

14 operatori più impegnati sul territorio riterrebbero importante accrescere le proprie conoscenze nel campo della valutazione (qualità, monitoraggio, ecc.) e delle problematiche gestionali (budgeting). Anche in questo caso, dunque, il gap percepito può essere letto in chiave di riequilibrio e completamento di un ruolo, percepito come unitario, nonostante le significative differenziazioni funzionali e di cultura professionale. Analoga lettura può essere fatta a proposito delle abilità e dei comportamenti. Riguardo alle abilità, gli operatori più impegnati sul territorio vorrebbero crescere nelle capacità di gestire le informazioni, relative ai dossier personali degli utenti e ai servizi erogati, e in quelle organizzative, sostanzialmente riferite all efficacia di gestione degli aspetti organizzativi nell attuazione degli interventi sui casi (ricerca dei posti in comunità, rispetto dei protocolli, utilizzo di metodologie di intervento, gestione delle riunioni). Gli operatori più impegnati nella gestione dei casi, viceversa, sentono maggiormente il bisogno di aumentare le competenze di progettazione, valutazione e di lavoro di gruppo nei contesti di progetto e con i tirocinanti. Riguardo ai comportamenti lavorativi, chi lavora di più sul territorio sente maggiormente l esigenza di migliorare l efficacia dell azione e la relazione con i destinatari (sensibilità interpersonale e orientamento al cliente), mentre chi lavora di più sui casi vorrebbe crescere nelle capacità manageriali, che si riferiscono essenzialmente al ruolo giocato nei gruppi, nelle reti e nei contesti organizzativi complessi (leadership, sviluppo di altri professionisti, cooperazione, capacità di comando).. Educatore: un mestiere uno e trino Anche per gli educatori i processi di lavoro si articolano lungo dimensioni relazionali, di progettazione e rapporto con il territorio e organizzativo-gestionali, ma questi professionisti sembrano percepire meno squilibri tra una dimensione e l altra e ancor meno i loro coordinatori. L unico scostamento significativo tra ciò che si fa e ciò che si riterrebbe adeguato fare riguarda l area della prevenzione e dell animazione. Tav.. gestione della relazione con i tirocinanti valutazione e verifica integrazione/collab. con le risorse territoriali gestione delle informazioni e delle conoscenze coordinamento ed organizzazione gestione del lavoro organizzativa di strutture educative analisi dei bisogni del territorio progettazione di politiche, interventi e azioni iniziale presa in carico dell'utente microprogettazione degli interventi sugli utenti educazione, riabilitazione, cura prevenzione e animazione inserimento lavorativo Processi dell'educatore giudizio dell'operatore giudizio del coordinatore Ne sono stati intervistati circa su poco meno di.

15 Si tratta di attività che dovrebbero essere rivolte a un pubblico più ampio di quello dei diretti destinatari dell assistenza e che ha avuto in passato maggiore spazio nei servizi di educativa territoriale, nelle scuole, nei centri anziani. Negli anni in cui sembrava farsi spazio una figura professionale espressamente dedicata a questo tipo di attività, quella degli animatori, è fiorita una serie di iniziative di educazione alla salute, di teatro sociale, di progettazione partecipata che, evidentemente, è stata in larga parte abbandonata in una fase di crisi. Prova ne sia che, nonostante la figura dell animatore sia compresa tra le professioni sociali in molti documenti di programmazione, non è stato possibile trovarne sul territorio un numero sufficiente da giustificare un analisi specifica del ruolo. Il lavoro educativo di chi opera a contatto con un pubblico destinatario di interventi di politica sociale risente, dunque, di una carenza. Una carenza che, probabilmente, non è tanto una carenza di competenze ma una carenza di tempo e di risorse per attività che potrebbero forse prevenire l insorgere di situazioni di esclusione e di vulnerabilità nella popolazione giovanile ma anche in quella anziana. Nell articolazione dei ruoli che può essere desunta dal peso attribuito alle varie aree di attività emerge, per gli educatori, accanto alla polarità già segnalata per gli assistenti sociali tra lavoro sui casi e lavoro sul territorio, una terza polarità che riguarda le attività che si svolgono presso strutture residenziali (comunità alloggio, residenze protette, centri diurni, Tav..). Per coloro che lavorano prevalentemente presso strutture, le attività di coordinamento organizzativo, di relazione con tirocinanti, di valutazione e di collaborazione con enti esterni, hanno un peso rilevante. Tav.. Il lavoro sui casi, viceversa, può essere svolto prevalentemente attraverso attività di animazione di gruppo, in strutture o sul territorio a livello individuale (presa in carico e gestione di progetti individuali). E in quest ultimo caso che gli educatori avvertono con maggiore intensità l esigenza di dedicarsi anche ad attività legate al territorio e alla prevenzione (Tav..). Per il resto, gli educatori come gli assistenti sociali, avvertono soprattutto l esigenza di arricchire la gamma di attività svolte. Chi gestisce strutture vorrebbe accrescere l impegno sul territorio e la progettazione di politiche; chi si occupa di progetti e interventi riterrebbe utile accrescere le attività di animazione e prevenzione; chi si occupa soprattutto di attività di animazione e prevenzione è interessato ad accrescere l impegno nelle politiche e negli interventi territoriali.

16 Tav.. L innalzamento del livello di scolarità degli educatori, in seguito all introduzione di specifici corsi di laurea e i cospicui investimenti in corsi di riqualificazione sembrano aver dato buoni frutti dal punto di vista dell acquisizione di conoscenze pertinenti. Gli educatori, e ancor più i loro coordinatori, ritengono adeguato il livello di conoscenze in campo psicologico, pedagogico, sociologico, giuridico e progettuale. Soprattutto i coordinatori rilevano deboli carenze conoscitive solo in campo medico-sanitario e nelle metodologie di valutazione. Segnale forse di un processo di professionalizzazione in corso che tende ad accentuare la declinazione sanitaria del ruolo e ad attribuire un peso crescente alla valutazione. In tempi di crisi finanziaria, sempre più emerge una domanda di accountability in grado di giustificare e legittimare la spesa sociale. Nella sfera delle abilità, a fronte di un presidio giudicato del tutto soddisfacente per quelle che riguardano la relazione con gli utenti, con colleghi e tirocinanti e la gestione delle informazioni, emergono lievi discrasie tra ciò che si sa fare e ciò che si dovrebbe saper fare nell area della progettazione, dell organizzazione e delle attività in rapporto con il territorio. Il decreto n. del 998 e la successiva introduzione del corso di laurea interfacoltà hanno sicuramente esercitato un ruolo significativo nell accentuare questa particolare curvatura del ruolo che, altrimenti, sarebbe rimasta circoscritta alle attività rivolte a utenti con disabilità gravi realizzate in strutture sanitarie. 6

17 Tav.. Conoscenze dell'educatore giudizio dell'operatore organizzative e gestionali metodologie e tecniche di valutazione metodologie e tecniche per la gestione delle informazioni pedagogiche psicologiche mediche-sanitarie sociologiche-antropologiche metodologie e tecniche per la gestione delle relazioni metodologie e tecniche di progettazione giuridiche-normative Abilità dell'educatore giudizio dell'operatore giudizio del coordinatore Tav.. di organizzazione di gestione delle informazioni di progettazione rapporto con il territorio rapporto con l'utente di valutazione rapporto con altri operatori e tirocinanti giudizio del coordinatore - 7

18 Ancor più che per gli assistenti sociali, non si segnalano gap significativi nella sfera dei comportamenti a cui gli educatori danno più importanza (livello ) dei loro coordinatori (livello ). Si tratta di un risultato interessante che può dar luogo a diverse letture. La più ovvia, e suffragata da riscontri empirici, è che questa sia l area su cui si è più lavorato in sede di formazione con la diffusione di attività di supervisione che, almeno in alcuni contesti, sono diventate prassi abituale. Di qui un buon riconoscimento del peso che i comportamenti personali hanno nell esercizio di un ruolo che si gioca in gran parte nella relazione e che deve continuamente fronteggiare situazioni problematiche. Ma anche un senso soggettivo di padronanza del ruolo. Si potrebbe, al contrario, ipotizzare che il non rilevare criticità in questa dimensione della competenza professionale risponda a una sottovalutazione. La sfera dei comportamenti è spesso percepita come un dato naturale, che attiene alla struttura profonda della personalità e che, in quanto tale, non è in discussione in ruoli professionali in cui la dimensione vocazionale prevale su altre dimensioni. In questa prospettiva, si considererebbe normale che chi ha scelto di fare l educatore si senta portato per le relazioni di aiuto (assistenza e servizio) e si senta a suo agio (efficacia personale, realizzazione e operatività) in ruoli percepiti prevalentemente come simmetrici. Non a caso, mentre i coordinatori attribuiscono il livello a tutte le dimensioni relative ai comportamenti, a managerialità e influenza gli educatori attribuiscono un punteggio inferiore (livello contro il livello per le altre dimensioni). Tav..6 di efficacia personale Comportamenti lavorativi dell'educatore giudizio dell'operatore -mediadi realizzazione e operativi di assistenza e di servizio cognitivi manageriali di influenza giudizio del coordinatore Entrando più in profondità, con l analisi fattoriale, nell esame dell assetto delle competenze che gli educatori hanno descritto, abbiamo individuato tre componenti principali della competenza. La prima componente, che abbiamo denominato cultura progettuale-gestionale, sintetizza l esercizio di abilità di gestione di progetti e strutture (progettazione, gestione, organizzazione, valutazione, rapporto con il territorio e con l utente). Secondo gli educatori intervistati, essere competenti in questi ambiti implica l attivazione di conoscenze nell area della gestione e della valutazione, oltre che nell area giuridico normativa e in quella della gestione di relazioni e informazioni. 8

19 La seconda componente che emerge dall analisi ha invece il suo baricentro sull importanza attribuita ai comportamenti lavorativi, sia nell area specifica della gestione delle relazioni (comportamenti di realizzazione e operativi, di assistenza e servizio), sia in quella relativa ai comportamenti organizzativi e gestionali. Il fatto che alcuni educatori attribuiscano importanza a tutti i comportamenti previsti dal menù del questionario, mentre altri tendano a sottovalutarne complessivamente il contributo, fa pensare che esistano effettivamente visioni diverse rispetto all importanza dei comportamenti lavorativi e che sarebbe quindi utile una riflessione metodologica sul rilievo che hanno i diversi comportamenti al variare dei ruoli e degli obiettivi organizzativi. Analogamente, possiamo osservare come nella valutazione degli educatori le diverse componenti disciplinari delle conoscenze, ritenute fondamentali per il lavoro, tendano ad essere valutate tutte importanti, da alcuni educatori, e tutte meno importanti, da altri. Anche in questo caso ci si aspetterebbe una aggregazione di giudizi che associasse in modo ancor più marcato il rilievo dato ad alcune conoscenze disciplinari, con quello attribuito ad alcuni comportamenti e ad alcune abilità specifiche, indipendentemente dalle attività svolte in modo prevalente. Invece, alcuni educatori sembrano più portati a valorizzare la conoscenza disciplinare nel suo complesso, altri meno, ma ciò sembra dipendere più dalla sensibilità individuale che dal ruolo svolto. Tav..7 In realtà, analizzando la correlazione tra attività svolte (profili di attività) e principali competenze mobilitate nel lavoro (profili di competenza), si osserva una associazione statistica significativa tra l impegno nella gestione di strutture territoriali e quella che abbiamo definito cultura progettuale-gestionale. Queste attività mobilitano nel modo più marcato le abilità di progettazione, gestione e valutazione. Esiste inoltre una forte associazione tra il lavoro sui casi e l importanza attribuita ai comportamenti lavorativi, nel loro insieme. Anche questa associazione conferma come il lavoro sui casi rinforzi l attenzione per i comportamenti sul lavoro, che sono però rilevanti per tutte le attività, anche se ci si potrebbe aspettare che responsabilità diverse (gestione di strutture, conduzione di progetti territoriali, cura di casi difficili, ecc.) richiedano di far leva su dimensioni diverse dei comportamenti lavorativi (ad esempio, gestione di gruppi, leadership, piuttosto che sensibilità personale e gestione equilibrata di relazioni di cura). 9

20 Tav..8 Come per gli assistenti sociali, un interessante terreno di analisi riguarda ulteriori approfondimenti sul rapporto tra le attività prevalenti su cui si è impegnati e la percezione di specifici gap di conoscenze, abilità e comportamenti. Attraverso i grafici seguenti, i gap dichiarati dagli educatori vengono distinti per i quattro gruppi, caratterizzati in base all attività svolta in maniera prevalente. Tav..9

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