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1 Working Paper L Italia dell im mpresa: nuove strutture, antiche culture Federico Butera WP1 / 2011 È consentita la copia e la distribuzione a scopo divulgativo e didattico, citando la fonte. Sono consentite, inoltre, le citazioni purché accompagnate dall'idoneo riferimento bibliografico. Per ogni ulteriore uso, se ne vieta l' 'utilizzo senza il permesso scritto degli Autori. Fondazione Irso - Piazzaa Giovine Italia Milano Tel Fax it - info@irso..it

2 Federico Butera 1 L Italia dell impresa: nuove strutture, antiche culture 2 1. L Italian Way of Doing Industry Quattro preoccupazioni ricorrono nei discorsi sull industria italiana: l industria italiana è forte nei settori a crescita zero e debole nei settori in forte sviluppo; mancano le grandi industrie; l industria italiana è particolarmente esposta alla concorrenza dei paesi emergenti; l industria italiana sta perdendo competitività. Eppure l industria italiana ha tassi di esportazione che competono con la Germania; crea valore; è innovatrice e competitiva; ha lineamenti comuni e distintivi. Di fronte alla debolezza del sistema Paese e alla demoralizzazione che ne consegue, emerge infatti un vigoroso processo bottom-up basato su una grande vitalità di imprese, organizzazioni e territori di nuova concezione. Da dove nasce la loro forza? Che cosa accomuna casi di successo così diversi tra loro? Vi sono nuovi modelli e principi organizzativi e manageriali? Quanto potranno durare, se il Paese non se ne prenderà cura? Per rispondere a questa domanda occorre capire qual è la locomotiva del sistema produttivo italiano? Dopo Fiat e Italsider degli anni 60, dopo i distretti degli anni 80, dopo il Made in Italy, dopo il 2013 che cosa trainerà una economia da sempre molto variegata, fra grandi, medie, piccole e piccolissime, fra Nord e Sud, fra imprese di successo e imprese che chiudono? La ricerca condotta dalla Fondazione Irso, federata con i centri di ricerca più impegnati nella analisi e interpretazione del sistema italiano di produzione di beni e servizi, si interroga su un possibile what next: il modo italiano di fare impresa. I distretti sono profondamente cambiati e si stanno sviluppando nuove forme di distretti estesi, augmented district, dislarghi (Grandinetti, 2001; Corò, 2005; Bossi, Bricco e Scellato, 2006; De Michelis, 2011; Marini, 2011; Micelli, 2011); le medie imprese sono cresciute in modo sorprendente ottenendo risultati migliori delle piccole e delle grandi e sono per lo più teste di filiere (Varaldo, 2006; Gagliardi, 2008; Marini, 2008; Micelli, 2011) o agenzie strategiche di imprese rete con estensione planetaria (Butera, 1989); nuove forme di cluster e di piattaforme industriali e di agglomerazione governabile di imprese dello stesso dominio produttivo, come l aerospazio, l edilizia, la moda (Porter, 1987; Sinatra, 1992; 2010, Dioguardi, 2010, 2010a; Tronconi, 2011); grandi imprese che decentrano e diventano multinazionali con caratteristiche diverse dalle loro corrispondenti di altri Paesi, come Enel, Finmeccanica, Fiat, Eni (Silva, 2009). Tutte queste diverse forme di impresa partecipano in vario modo al processo di globalizzazione: ingresso di capitale finanziario internazionale, attivazione di reti di produzione e distribuzione che toccano tutti i Paesi, intensa circolazione delle conoscenze formalizzate e non formalizzate, circolazione di manager e professional. E, al tempo stesso, tutte queste diverse forme di imprese mantengono un forte radicamento anche sul territorio italiano da cui traggono risorse umane, risorse culturali, risorse finanziarie e che assicurano quote importanti dei 1 Presidente Fondazione Irso-Istituto di Ricerca Intervento sui Sistemi Organizzativi; ordinario di Scienze dell Organizzazione presso l Università di Milano-Bicocca; direttore della rivista Studi Organizzativi. 2 Relazione presentata al Convegno AICI (Associazione delle imprese di cultura italiane) per i 150 anni dell Unità d Italia Una e plurale. L Italia della cultura, Roma, Settembre

3 loro mercati: Ferrero, che opera in tutto il mondo e ha la sede legale in Lussemburgo, ha il suo radicamento ad Alba; ST è una impresa multinazionale, ma Catania e Agrate Brianza sono essenziali al suo sviluppo; Luxottica e Geox operano come una grande rete produttiva e commerciale estesa in un mondo senza confini, ma hanno la testa in Veneto; sul glocalismo di Fiat sono piene le prime pagine dei giornali. Molti studiosi concordano che vi sono caratteri comuni ai diversi tipi di impresa che hanno avuto successo e potrebbero assicurare un ulteriore progresso. Le caratteristiche delle imprese medie identificate da Gagliardi (2008) sono indicate come esempio per tutte le imprese italiane che operano sui mercati internazionali: specializzazione; innovazione di prodotto; design; strategie di marchio; flessibilità; capacità di personalizzare l offerta. Micelli (2011) individua tre punti di forza dell industria nazionale: una capacità imprenditoriale che ha identificato strade originali di uscita dalla crisi in assenza di processi di pianificazione di tipo top-down; una saldatura originale fra nuovi saperi scientifici e saper fare di tipo artigianale articolati all interno di filiere complesse e flessibili; una particolare abilità nell arricchire il prodotto italiano di valori culturali che il mondo riconosce come particolarmente attuali. De Michelis (2011) vede la forza del sistema industriale in: una combinazione di prodotto e servizio che crea una relazione di intimacy con i propri clienti; un governo delle imprese che coniuga gestione e innovazione (il business design) e fa dell innovazione il carattere distintivo dell identità di impresa; un radicamento nel territorio che non ostacola la proiezione internazionale delle imprese ma anzi li rende sinergici (Genius loci e internazionalizzazione). ll programma di ricerca sulla Italian Way of Doing Industry promosso dalla Fondazione Irso si ispira ad alcuni significativi casi di imprese italiane che sembrano mantenere e rafforzare anche nella crisi la propria competitività e che stanno contribuendo non poco alla tenuta economica e alla proiezione internazionale del nostro Paese. Un primo volume curato da Butera e De Michelis con il titolo L Italia che compete. L Italian Way of Doing Industry, edito da Franco Angeli, va in libreria oggi. Ad esso ha contribuito uno straordinario brain trust costituito da studiosi, imprenditori, uomini di governo che stanno lavorando sulla analisi e l intervento sul sistema italiano di produzione di beni e servizi: fra questi Stefano Micelli, Daniele Marini, Riccardo Varaldo, Francesco Silva, Alessandro Sinatra, Fernando Alberti, Giuseppe Tripoli, Francesco Verbaro, Bruno Lamborghini, Claudio De Albertis, Michele Tronconi, Roberto Maglione, Elena Zambon, Tatiana Rizzante e altri. La ricerca muove da due domande chiave. a. Tutti concordano sul fatto che la speranza di tenuta e sviluppo del sistema Italia è data in gran parte dall economia reale, ossia dal sistema di produzione di beni e servizi, dalla tenuta di alcune Pubbliche Amministrazioni, da mestieri e professioni vecchi e nuovi, dal risparmio delle famiglie. Occorre individuare le caratteristiche eccellenti delle organizzazioni e dei lavori che producono valore economico e sociale nell industria, nei -2-

4 servizi, nella Pubblica Amministrazione. Che caratteristiche distintive hanno queste organizzazioni e come si possono sviluppare? Come promuovere una adeguata scienza e pratica del management e del lavoro che sia riconoscibile, che si irrobustisca, che si diffonda a tutte le organizzazioni e a tutto il territorio nazionale italiano? b. La forza e le debolezze del sistema Italia sono influenzate pesantemente dalla inadeguata qualità dei beni comuni per la competitività e dei servizi, ossia infrastrutture, sistemi educativi, servizi, attrattività dei territori, supporto alle attività produttive, regolazione equa, cultura delle regole e del lavoro, legalità. Che caratteristiche specifiche hanno i beni comuni e i servizi adatti all Italian Way of Doing Industry, e chi e come potrà svilupparli? L ipotesi della ricerca è che stia emergendo una Italian Way of Doing Industry, un modello socio-economico ancora allo stato embrionale che ha caratteristiche diverse sia dalle tradizionali esperienze distrettuali sia dai modelli delle grandi corporation americane. Una estrema varietà di casi di imprese e di sistemi di imprese che rivelano un efficace posizionamento sui mercati di alta gamma, strategie di focalizzazione e di qualità, prodotti/ servizi di design e con componenti artigianali, prodotti ad alto livello di servizio, organizzazioni flessibili in rete fortemente integrate nei territori, energia e anima dell impresa e imprenditori che tengono a creare imprese durevoli, buone relazioni industriali a livello aziendale. Emergono nuovi modelli di relazioni fra reti d impresa a estensione internazionale e territori: non solo i tradizionali campanili, ma agglomerazioni territoriali estese come global city region che competono con altre nel modo (Perulli e Pichierri, 2009). Imprese e territori in rete sembrano convergere su un modello diverso dai castelli industriali, dai distretti, dal piccolo è bello : sembra emergere una Italian Way basata su nuovi estesi crocevia territoriali di reti lunghe vitali e su imprese integrali (Butera, 2011). Chiariremo fra breve il significato di questi concetti. Il modello di analisi adottato ipotizza che la capacità di competere di un impresa o di un sistema di imprese dipende dalla ottimale combinazione di cinque fattori: a. il posizionamento sul mercato; b. le strategie prescelte; c. i modelli di organizzazione e di lavoro adottati; d. l anima dell impresa; e. la qualità dell imprenditore. La ricerca si basa sul seguente schema di analisi delle imprese da cui emergono alcune caratteristiche dell impresa italiana che compete e cresce. -3-

5 Figura 1 Butera, 2011 Illustriamo brevemente i cinque fattori, indicando alcune delle peculiarità del sistema produttivo italiano. 1. Le imprese italiane non hanno una posizione di rilievo in settori diversi dalle 4A, tranne forse in una quinta A, l Accoglienza-Turismo. Ma emergono casi esemplari che possono preludere a ulteriori sviluppi, come nell aerospazio, nelle biotecnologie, nelle nanotecnologie, nella chimico-farmaceutica, nell ICT, nelle energie rinnovabili e altre ancora. Ora si aprono nuove sfide su nuovi mercati mondiali: quella delle tecnologie e dell energia ecocompatibili (green economy) e soprattutto quella dei bisogni primari della stragrande maggioranza dell umanità (cibo, sanità, istruzione, abitazione): molte imprese italiane sono già lì. Un primo fattore di caratterizzazione delle imprese capaci di competere nell Italian Way of Doing Industry riguarda il posizionamento di mercato: ossia la capacità di collocarsi in mercati nuovi in cui la competizione non è alta, in mercati di nicchia, su fasi alte della catena del valore, su nuovi mercati portatori di bisogni primari, attraverso processi di internazionalizzazione socialmente compatibili. 2. Le strategie delle imprese italiane che più hanno avuto successo non sono state quelle di costo (componentistica e materie prime), di leadership sulle nuove tecnologie (Google), di lock-in (Microsoft), ma sono, fra loro combinate, quelle di focalizzazione, di specializzazione, di qualità, di customer orientation e, soprattutto, le strategie di internazionalizzazione (Hax e Wilde, 1999). Le imprese che competono hanno posizionamento da oceano blu, ossia andare prima e meglio degli altri dove si evita il contatto con i giganti. Per usare una metafora essere Davide contro Golia; adottare Judo strategy (Yoffie e Cusumano, 1999). Un secondo fattore di caratterizzazione delle imprese capaci di competere nell Italian Way of Doing Industry riguarda, in sintesi, strategie di competere con i giganti multinazionali non andando sul loro terreno della produzione di massa ma sviluppando la capacità di concepire e realizzare strategie multiple con la prevalenza di focalizzazione, personalizzazione, valore sociale, internazionalizzazione. -4-

6 3. Le imprese italiane che hanno avuto successo hanno svolto una gestione innovativa e appropriata dell organizzazione sviluppata in Italia con molte anticipazioni fin dagli anni 80. Per gran parte di loro l impresa non è stata un castello chiuso ma si è aperta ad una infinità di relazioni e di processi di cooperazione lungo la catena del valore; i territori non sono stati campanili chiusi, ma sono diventati ampie regioni che sostengono le relazioni produttive e sociali delle imprese e da esse sono alimentate. Imprese, istituzioni, città in cui le imprese hanno sviluppato forti interdipendenze entro global city region aperte alle relazioni globali (Perulli e Pichierri, 2009). I nuovi modi di produzione dati dall incrocio fra le reti di impresa e i processi economici e sociali di territori estesi hanno insegnato alle imprese a vivere un modo glocale di produzione (Butera in Perulli e Pichierri, 2009). L impresa di successo immersa in questo nuovo contesto di relazioni produttive e sociali non ha perso la sua individualità, ma si è rafforzata, introducendo nuovi modelli organizzativi che si allontanano drasticamente dalle tradizionali burocrazie industriali ereditate dal fordismo: modelli organici di organizzazione (Burns e Stalker, 1968; Butera, 1984), ossia altamente integrati e flessibili; funzionamenti basati su cooperazione, condivisione di conoscenze, comunicazione, comunità di lavoro (Butera, 2009); organizzazioni centrate su processi (Butera, 1979; De Maio, Bartezzaghi et al., 1982); comunità di pratiche supportate da tecnologie Web 2.0; microstrutture operative flessibili e autoregolate (La Placa, 2011), nuovi modelli di lavoro e di professioni a larga banda (Butera e Di Guardo, 2011), cultura del lavoro delle regole e dei risultati (Abravanel e D Agnese, 2010). Un terzo fattore caratterizzante le imprese capaci di competere nell Italian Way of Doing Industry riguarda la capacità di sviluppare e gestire modelli organizzativi basati su reti organizzative estese originate sul territorio e organizzazioni vitali altamente adattive. 4. Le imprese dell Italian Way of Doing Industry in quasi tutti i casi hanno avuto un anima e un identità, ossia lo scrigno delle competenze, le eredità dinamiche, i valori, la comunità di lavoro. L identità e anima di ciascuna impresa è irripetibile e ha una continua evoluzione che produce l insieme delle capacità dell impresa, la sua cultura, la sua abilità a riconoscere e indirizzare le sue traiettorie di sviluppo, la sua idoneità a gestire il cambiamento e l innovazione. Qui sta forse uno dei segreti più importanti della crescita imprenditoriale dei campioni del Made in Italy. L energia delle imprese italiane è stata spesso la ragione principale del successo, che può essere rilevata e misurata nelle sue componenti chiave, come l energia delle competenze, l energia organizzativa, l energia tecnologica, l energia emozionale (Merli, Gelosa e Fregonese, 2010). Un quarto fattore caratterizzante le imprese capaci di competere nell Italian Way of Doing Industry riguarda l anima e l identità dell impresa cha ha valorizzato le capacità radicate nella storia dell impresa e ha attivato uno scambio con i territori e il contesto globale. 5. La quinta dimensione è la qualità dell imprenditore. La prima funzione dell imprenditore dell Italian Way è stata per lo più quella di essere un azionista interessato a costituire imprese durevoli (built to last) e desideroso di investire nell impresa le risorse generate e le proprie, e di reperire risorse finanziarie esterne per innovare a 360 sui prodotti, sui mercati, sui proc essi, sulle persone, sull organizzazione, sul brand. Non sono mancati lo sviluppo del private equity e l intervento di fondi stranieri: la qualità degli investitori non imprenditori è un requisito fondamentale dell Italian Way. Investimenti fatti con la strategia di sviluppare l impresa e con essa il valore -5-

7 dell investimento hanno sostenuto lo sviluppo italiano e hanno rafforzato l Italian Way, non chiusa ad investimenti e acquisizioni stranieri, come è accaduto ad esempio a Technogym, Bulgari, Cassina, rilanciate da investimenti e acquisizioni. È stato ed è tuttora presente, invece, l investimento o l acquisizione per ricavare valore a breve o, peggio, per smembrare l impresa al fine di liquidarne gli asset, un serio danno per le imprese che di fondi hanno avuto bisogno. La crisi dell industria informatica italiana con il maciullamento di Olivetti e Italtel è un caso negativo ormai di scuola. L attrazione di capitali finanziari e industriali sulla base delle potenzialità di sviluppo delle imprese è una componente essenziale dello sviluppo dell Italian Way. I limiti a questa attrattività spesso non risiedono nel valore delle imprese ma nelle diseconomie esterne: infrastruttura, giustizia, burocrazia, legalità. Possiamo su questo punto formulare una quinta ipotesi di caratterizzazione e di traiettoria dell Italian Way of Doing Industry: lo sviluppo di una imprenditorialità che coniughi capacità di leadership industriale e capacità di attrarre capitali di rischio, suscitando una imprenditorialità e managerialità radicata nell Italian Way of Doing Industry. Il modello che emerge in sintesi è caratterizzato da un sistema di imprese grandi, medie e piccole: che fanno parte di insiemi come piattaforme, cluster, macro-imprese che danno un senso unitario all individualismo e all apparente casualità dello sviluppo delle imprese (Dioguardi, 1983); che sviluppano prodotti e servizi di qualità e ad alto livello di design con una componente artigianale in qualche punto del ciclo; che si internazionalizzano e cercando mercati non coperti; che crescono in base al continuo ascolto della clientela; con forti relazione col territorio; che hanno organizzazioni costituite da strutture organiche e flessibile disposte su reti lunghe e con funzionamenti basati su cooperazione, conoscenza,comunicazione e comunità; con un anima, un energia e un identità fondata sulla valorizzazione del proprio scrigno delle competenze, delle eredità dinamiche, dei valori, la comunità di lavoro; con una imprenditoria taking care prevalentemente industriale e con un buona qualità di relazioni industriali a livello aziendale. Tre modelli costitutivi dell Italian Way ci sembrano essere: piattaforme, macro-imprese e cluster, insiemi di imprese che convergono nello sviluppo dei prodotti, come nell aerospazio o nelle biotecnologie, nell edilizia, nella moda (Dioguardi, 2010; Porter, 1987; Cusumano, 2010; Merli, 2010; Sinatra, 2011; Butera; 2011); sistemi di imprese e territori in rete, che costituiscono numerosi crocevia territoriali di reti lunghe vitali, un modello diverso di distretti perché il territorio è costituito non da municipi, ma da global city region come il Nord e perché le reti industriali e finanziarie sono globali: il caso di Luxottica, Ferrero (Corò, 2005; Grandinetti, 2001; Perulli, 2000; Butera, 2011); imprese integrali, ossia imprese che perseguono in modo integrato elevate performance economiche e sociali, che agiscono concretamente per proteggere e sviluppare l integrità degli stakeholder e dell ambiente fisico, economico e sociale, che -6-

8 ha condotte eticamente integre. A confortare questa idea giungono ora Michael Porter e Mark Kramer che propongono l idea di valore condiviso, dimostrando come le imprese che agiscono perseguendo insieme valore economico e valore sociale avranno successo sul lungo periodo. Riemerge così il modello olivettiano nei casi di Zambon, Loccioni, Cucinelli e molti altri (Collins e Porras, 2004; Lamborghini, 2011; Butera, 2011a). Altre imprese e sistemi di imprese internazionali di successo hanno alcune fra queste caratteristiche: la peculiarità italiana è che queste imprese di successo le posseggono tutte, si assomigliano malgrado le diversità dimensionali e merceologiche e crescono con una traiettoria simile guidata dall ascolto del cliente più che dallo sviluppo della tecnologia; stanno compensando con la loro energia e vitalità il contesto socio-economico sfavorevole del sistema Paese, incorporano e diffondono cultura materiale e simbolica italiana. Le imprese dell Italian Way non crescono in attesa di diventare General Electric, non si sviluppano dai garage con la determinazione di trasformare un prodotto irripetibile in una azienda come Microsoft o Google; non aspettano per crescere che Catania, Treviso, il Veneto o il Nord Italia diventino Silicon Valley o Boston Route Le imprese come culture L impresa contribuisce allo sviluppo economico e sociale del territorio in cui opera, ossia produce economia e società, prosperità economica e benessere sociale, (anche quando non lo sa) L impresa italiana in questo contesto è in molti casi, e sempre più deve diventare, una istituzione (Bassetti): un luogo cioè di produzione materiale e simbolica che elabora competenze, culture, abilità, etica che non servono solo alla singola impresa ma che educano le persone, fertilizzano le comunità, migliorano le istituzioni con cui entrano in contatto. La cultura va vista non solo come quello che una impresa ha, ma come quello che una impresa è. Chi ha sviluppato con grande profondità e vaste suggestioni l idea delle imprese come culture è da decenni Gianfranco Dioguardi. La sua lezione è vitale in questa fase di sforzo per uscire dalla crisi che non è solo finanziaria ed economica, ma anche morale e sociale. È forte l idea che l impresa possa avere un ruolo cruciale non solo perché traina l economia e genera conoscenze attraverso i suoi prodotti e servizi, ma perché sviluppa conoscenze, valori, etica in uno spirito di servizio all Italia, senza prevaricare e pretendere. Una idea forza non solo che emargina le imprese irresponsabili (Gallino) e le pratiche equivoche e illecite di cui si legge sulla stampa, ma che può attivare (e sta attivando) sinergie e intenti virtuosi sia nelle singole imprese, sia nelle associazioni imprenditoriali e sindacali, sia nelle istituzioni. È ad esempio questo il senso del manifesto di Rete Italia e del manifesto della cultura d impresa di Confindustria ( Dioguardi (2011) non rileva solo l impatto che i prodotti, i servizi, le tecnologie, le pratiche, le conoscenze scientifiche e tecniche, le competenze professionali delle persone, l osmosi fra culture e valori professionali e non professionali hanno sulla cultura generale del Paese. Ma va oltre. Egli ricorda che la più grande opera di rappresentazione e promozione della cultura che caratterizzò il 700 fu L enciclopedia di Diderot e D Alambert: essa riuscì a codificare il -7-

9 sapere dell epoca e, fatto essenziale, seppe trasferirlo a una base molto ampia di individui, illuminando così quel secolo. Oggi, continua Dioguardi, l impresa produttiva costituisce senza dubbio l istituzione più significativa e più diffusa. Il suo ambiente interno va sempre più aprendosi, creando relazioni stabili o quasi stabili con altre imprese che costituiscono un piccolo macrocosmo che definiamo come macro-impresa. Data la centralità che occupa nel sistema socioeconomico e tenuto conto della sua importanza, l impresa deve imparare a diventare strumento fondamentale per la conquista della frontiera culturale e deve farlo diffondendo il sapere e stimolando la curiosità per la conoscenza sia nel suo ambiente interno sia nei confronti delle organizzazioni con cui interagisce In pratica, con orgoglio e con tenacia, l impresa deve far suo oggi anche il ruolo di centro motore di cultura, fra l altro esercitando le funzioni che nell illuminismo furono svolte da quella grande impresa che fu l Encyclopédie di Diderot e D Alambert. E ancora, si potrà obiettare che il fine dell impresa è prevalentemente economico. L imprenditore di Schumpeter innovatore di prodotti, processi, mercati è oggi costituito da un imprenditore la cui caratteristica peculiare è anche quella di essere un organizzatore di risorse sulle quali esercita una funzione di governance. Fra di esse va considerata fondamentale quella culturale attraverso l investimento di mezzi monetari il cui ritorno economico presenta certamente caratteristiche meno tangibili ma che è reale se considerato nel tempo. [Per esempio] una impresa che sappia creare un ambiente adatto alla crescita culturale dei propri collaboratori potrà poi contare su un linguaggio e su un modo di ragionare comune aumentando sinergicamente l efficacia e l efficienza. Lo stesso di casi per l interscambio di cultura fra impresa e territorio svelata da Bagnasco e Bacattini. È il superamento dell idea della responsabilità sociale e di impresa che si prende cura delle risorse umane: non un aggiunta, un onere, un comportamento illuminato dell impresa, ma la natura stessa dell impresa come cultura che genera conoscenza e valori per sé e per il Paese. 3. La cultura d impresa In una ricerca di Giuseppe Minoia dell Eurisko risulta che soltanto il 38% della popolazione e il 57% delle imprese hanno sentito parlare della cultura d impresa. Il concetto di cultura d impresa è un concetto molto vasto, che richiede precisazioni e semplificazioni. Il concetto di cultura d impresa rimanda non solo a caratteristiche costitutive dell impresa ma a capacità di agire. Vi sono quattro elementi importanti che andrebbero approfonditi e meglio comunicati. La prima dimensione è quella della produttività e competitività dell impresa. Essa è la capacità organizzativa di fissare obiettivi, di essere competitivi, di realizzare compiti, di assumere rischi. Sono virtù di base del patrimonio identitario dell impresa e di chi ci lavora dentro. Essi non vanno visti come degli elementi da lasciare in secondo piano, ai retrobottega degli uffici e agli stabilimenti lontani dalla vista: è il caso della Toyota o dell Ikea che diventano giganti migliorando ogni giorno le loro capacità operative. Anche perché nella formazione delle nuove generazioni sono forse queste le virtù di base che vanno rafforzate. E sono forse quelle che talvolta mancano nella Pubblica Amministrazione, nella politica, nella scuola. Ilvo Diamanti parlava del laburismo del Nord, ossia il primato assegnato al lavoro, come elemento connotativo diffuso del Nord Italia, una delle ragioni del suo sviluppo. Questo prendersi cura del lavoro è centrale nelle imprese dell Italian Way al Nord, al Centro e al Sud. -8-

10 C è una seconda dimensione positiva ed eroica evocata dal concetto di cultura d impresa: la capacità di innovazione di prodotto e di processo. Essa è la principale dimensione culturale a cui le imprese italiane ammirate nel mondo attribuiscono il proprio successo. Innovare è però cosa facile da dire ma assai difficile da realizzare: forse l idea della ingegnosità e della fatica di portare a termine e diffondere l innovazione è ciò che attribuisce maggior valore a questo aspetto della cultura d impresa. L impresa italiana fa innovazione quando è difficile farla e realizzarla. La terza dimensione del concetto di cultura d impresa è quello dello sviluppo socioculturale attivato dall impresa L impresa, come abbiamo detto nel precedente paragrafo, non può occuparsi solo di conseguire profitti e sviluppare prodotti e servizi, ma deve generare prosperità al suo intorno. Che l impresa sia generatore di prosperità economica e sociale non trova più le obiezioni ideologiche degli anni 60/ 80, ma permangono dubbi diffusi sulla sua effettiva realizzazione in molti casi: lo dite ma non lo fate. L impresa irresponsabile, come la definisce Gallino, è spesso quella che dice di essere socialmente responsabile, di avere bilanci di sostenibilità ma non si comporta come tale, come nel caso di Parmalat. Poi c è una quarta dimensione della cultura d impresa che è spesso socialmente criticata ma che va messa in evidenza: l egoismo economico, che implica opportunismo, aggressività. Quelle sono le dimensioni degli animals spirits dell impresa. Insieme alle dimensioni canoniche ed eroiche vi sono dimensioni dure cattive. È proprio la contemperazione delle dimensioni eroiche (risultati, innovazione, prosperità) che l impresa esprime nel suo agire e può proiettare sull esterno e le dimensioni cattive (egoismo, opportunismo, aggressività), che l impresa attiva nel suo operare e che propone come modello di comportamento ai propri collaboratori, fornitori, stakeholder. Emerge allora il valore principale della migliore cultura d impresa, quella che ha consentito lo sviluppo economico e sociale dall inizio della rivoluzione industriale: la cultura delle regole. Abravanel scrive che alla base del libero mercato e dello sviluppo economico e sociale vi è la rule of law, ossia la legalità e il primato della legge. La legge non è solo quella statuale, ma ogni sistema di norme, accordi, standard, politiche, che definiscono in anticipo sia cosa fare e come fare, sia chi ha l autorità e la responsabilità di farlo. Le regole proteggono i commerci, le imprese, i consumatori, le comunità, i più deboli. La regolamentazione deve essere tale da assicurare la libertà di impresa, di insediamento, di lavoro, di opinioni politiche. Ma questo è estremamente difficile: la iper-regolamentazione uccide le imprese, l assenza o la violazione delle regole fa prevalere le dimensioni egoiste e distruttive dell impresa e lascia lo spazio all impresa irresponsabile, all abuso, alla criminalità. Vi è però una fonte più potente di regolamentazione: quella che proviene dall impresa stessa. La responsabilità sociale dell impresa, scrivono Collins e Porras, è possibile se l impresa oltre ad essere strumento dell imprenditore e arena politica per gli stakeholder è anche un soggetto collettivo dotato di proprie strutture e modi di agire, con una pulsione alla sopravvivenza e allo sviluppo economico e sociale: ossia se è una impresa costruita per durare. A fronte di compliance strategies ossia di rispetto delle norme emergono, in molte imprese costruite per durare e imprese integrali, integrity strategies, vale a dire comportamenti responsabili decisi e realizzati dall impresa, basati sull interesse a contemperare economicità e socialità, pulsioni eroiche e pulsioni cattive. Ecco perché nell Italian Way le regole sono generate insieme dall impresa e dai territori, come nel caso dei distretti: i distretti sono morti, viva i distretti (quelli di nuova concezione). -9-

11 La cultura d impresa, infine, ha molti attori e molti beneficiari: la cultura di impresa è degli imprenditori, dei dirigenti, dei quadri, impiegati, degli operai, dei consumatori. È quindi fondamentale avere una base comune fra diversi portatori di interessi per dialogare, polemizzare, progettare. E soprattutto per sviluppare imprese economicamente eccellenti ed anche socialmente capaci. La cultura d impresa è soprattutto relazione. Il confine di questo sforzo non si chiude all interno dell impresa. Silicon Valley è l unico posto al mondo che non desidera di essere Silicon Valley: ha realizzato una collaborazione virtuosa tra imprese, università, centri di ricerca, governo. Anche se i suoi treni sono i più vecchi del mondo, e anche se ogni imprenditore si sente un cavaliere solitario che dice io sono il più bravo di tutti, non ho bisogno di nessuno con una vista da pioniere del West. Però egli è dentro un potente ecosistema dell innovazione, proteggerlo e svilupparlo è una cosa molto importante. Questo compito tocca alle imprese, tocca ai governi, alla pubblica amministrazione, all università. La cultura d impresa è una capacità dell impresa ma anche un modello di comportamento degli individui: l assunzione del rischio, l orientamento al cliente, l innovazione di processo e di prodotto, l attenzione alla qualità. Questi comportamenti sono basati sul concreto agire organizzativo: l orientamento al risultato, l assunzione dell obiettivo comune, il senso di appartenenza, il lavoro per processi, il gruppo di lavoro, la comunicazione organizzativa, la centralità delle persone. Il modo migliore per diffondere la cultura d impresa è quindi raccontare storie che ne mostrino la concretezza, l ampiezza straordinaria e i percorsi per svilupparla e comunicarla con organizzazione e persone. E farne materia dei libri di testo delle scuole e delle università. Ottenere che i media raccontino l impresa con linguaggi comprensibili a tutti. 4. I luoghi della memoria della cultura d impresa. Il progetto METAPOLIS, la città per progetti 3 Abbiamo descritto i risultati di ricerca sul sistema produttivo italiano e alcune nuove implicazioni per il futuro. Ma la cultura d impresa italiana ha un cuore antico e un ruolo centrale nello sviluppo dei territori e dell Italia intera. Esistono in Italia molti luoghi di memoria della cultura industriale, musei d impresa spesso ben organizzati, ciascuno ricco di documentazioni preziose ma con una capacità di attrazione limitata solo a chi è già interessato alla storia delle imprese. Il loro pubblico di riferimento non si estende ai frequentatori di eventi di cultura e arte, ai giovani, agli studenti, agli immigrati, ai cittadini comuni. Manca un disegno d insieme che rappresenti e sviluppi i principali giacimenti di cultura industriale come componenti del sistema di conoscenza, formazione, entertainment delle macro-regioni italiane, ossia il Nord (Piemonte, Lombardia. Liguria, Veneto, Emilia- Romagna), il Centro (Toscana, Umbria, Marche, Lazio), il Sud, diverse fra loro, e dell intera Italia. Manca un sistema culturale e comunicativo che renda tali giacimenti visibili e fruibili, li indirizzi a target-group ampi come gli studenti delle università, i lavoratori 3 Questo paragrafo riporta i contenuti del progetto Metapolis redatto sotto la direzione di Paolo Perulli e a cui hanno contribuito anche, oltre allo scrivente, molti colleghi fra cui in particolare Giorgio De Michelis e Luca Garavaglia. -10-

12 della conoscenza, i fruitori di programmi transnazionali di formazione, i circuiti di visitatori business, i frequentatori di eventi (come sarà l Expo 2015) e altre. Abbiamo detto che nei sistemi territoriali e nei distretti si sono sperimentate nel tempo comunità di produttori, di inventori e innovatori, di progettisti, e si sono realizzate straordinarie esperienze prototipali di organizzazione sia industriale che territoriale. Edifici, artefatti, insediamenti, idee e progetti, disegni urbanistici sono stati la materia prima di tali esperimenti durante l arco del secolo passato: è possibile mostrare il senso, la trama, la bellezza, l etica di queste materie della conoscenza e dell innovazione, e soprattutto la loro perdurante attualità. Le imprese che hanno lasciato questi segni, queste storie, sono le stesse imprese che oggi formano il sistema produttivo dei territori delle metapoli, aree estese parte delle macro-regioni italiane: per esempio la metapoli Milano-Torino. Ciascuno di questi luoghi, nodi e prototipi ha da fornire lezioni utili per il futuro: non solo alle imprese italiane che stanno crescendo e competendo nella traiettoria di imprese integrali, non solo per i crocevia territoriali delle reti lunghe e le imprese integrali del Nord e del Sud che sviluppano nuove relazioni lavorative, sociali e culturali sul territorio e in uno spazio globale per le piattaforme e le macro-imprese, ma anche per le istituzioni educative che devono riprendere una visione e una conoscenza a 360 dei nuovi sistemi produttivi, e soprattutto per le persone, in particolare giovani. Riconoscere e attivare questo sistema vuol dire anche potenziare i beni comuni per la competitività fra cui, primo di tutti, il capitale umano. La Fondazione Irso ha avviato il progetto METAPOLIS, diretto da Paolo Perulli, che prevede non solo una ricerca ma una programma di azioni per mettere in rete gli attori locali (imprenditoriali e istituzionali) detentori dei singoli beni e portatori di interesse alla loro valorizzazione. METAPOLIS, o meta-città per progetti, ha per oggetto i beni che sono espressione della cultura del lavoro e dell impresa ma che non sono sufficientemente noti, fruiti, correttamente interpretati. Per coglierne il significato e la portata in termini di valorizzazione, di impatto economico, non è sufficiente individuarli individualmente e renderli più fruibili dal pubblico. Occorre preliminarmente affrontare una riflessione sulla scala e sullo scopo del progetto: non singoli siti da riportare alla luce, ma un ambito vasto in cui tali beni assumono davvero significanza e valore, un ambito che diventa esso stesso un bene invisibile, da portare alla luce attraverso un insieme di artefatti e storie. Un ambito che connette imprese, istituzioni, culture del territorio e che rappresenta un enorme patrimonio di conoscenza sui processi produttivi nell industria italiana: le tracce di questa conoscenza sono un bene invisibile, che ha parziale dimora in spazi specifici, che sono però attualmente fruibili solo individualmente e solo da un punto di vista museale: unire questi spazi e rendere visibili le somiglianze, la comune appartenenza a un sostrato sociale ed economico con cui sono indissolubilmente connessi, aumenta non solo la visibilità e la riconoscibilità di questi luoghi, ma li rende anche disponibili ad altre forme d uso e li evidenzia come elementi di ricchezza all interno del territorio in cui sono situati. I prototipi territoriali individuati dovranno rappresentare nuclei di incubazione di una cultura imprenditoriale e di organizzazione che caratterizza la metapoli, la sua comunità e la sua storia, un luogo di sviluppo delle imprese che benefici le imprese, i territori, le istituzioni e soprattutto le persone, come dice Dioguardi. Con la loro capacità di definire incastri tra il sistema sociale e produttivo, i prototipi proposti non rappresentano solo progetti di organizzazione industriale, ma anche modelli per la formazione e per l individuazione, la -11-

13 specificazione e la diffusione di comportamenti sociali in grado di ridurre esclusione e marginalità facendo forza su una moderna etica del lavoro e della comunità. Il primo progetto riguarda la metapoli Torino-Milano che è uno dei luoghi dove più sviluppata è l Italian Way of Doing Industry e dove vi è il più alto addensamento di imprese integrali, dove sono attive le principali piattaforme industriali italiane. Queste peculiarità sono l oggetto delle scoperte delle nostre ricerche sul Nord e sulla Italian Way. Tale macro-regione ospita le articolazioni di alcuni significativi nuclei di cultura industriale e di creatività depositati nel corso del Novecento, le cui eredità dinamiche operano ancora sul presente. Tra essi abbiamo scelto, per l avvio della fase di progettazione strategica, di raccogliere iniziative di valorizzazione del patrimonio della cultura industriale che incidono su territori-simbolo dell industria di METAPOLIS: Ivrea, Biella, Monza-Brianza, Como- Lecco. Per poter rendere visibile questa meta-città per progetti è necessario però un disegno d insieme che definisca a una scala territoriale allargata (il Nord e l Italia) (Perulli e Pichierri, 2009). In questo quadro diviene necessario fare riferimento anche alle esperienze analoghe attualmente in corso in altre realtà europee, aree che negli ultimi anni si sono distinte per la loro capacità di riorganizzarsi per cogliere al meglio le opportunità offerte dalle emergenti economie della conoscenza e della creatività; pensiamo in particolare al sistema territoriale Lille-Turcoing-Mons a cavallo tra Francia e Belgio, alla regione della Ruhr (e in particolare all asse Essen-Dortmund), all asse scozzese Glasgow-Edinburgo, all area metropolitana di Barcellona, al sistema territoriale Copenhagen-Malmo-Lund tra Danimarca e Svezia. Sono tutti esempi nei quali si è assistito ad un processo di riconversione creativa di antiche filiere industriali a partire da una valorizzazione attenta ed intelligente dei beni intangibili della cultura industriale nell ambito di nuove catene del valore. Il progetto tende a rendere visibili non solo imprese e territori in rete, ma anche le arene trans-epistemiche di attori (tecnologi, designer, architetti, urbanisti, addetti alla cultura e ai media, campi creativi, ma anche artigiani) che sono attualmente solo potenziali protagonisti, in quanto collocati in campi culturali disorganizzati. 1. Il campo culturale è composto di attori disconnessi (imprese, scuole, media, istituzioni, manifestazioni, fondazioni, associazioni, produttori di contenuti, di circuiti ecc.) che si addensano localmente soprattutto in ambiti urbani, metropolitani e in città globali, che sono i luoghi sia della produzione che del consumo culturale. 2. Così pure i network creativi (figure di artisti, artigiani-artisti, designer, stylist, progettisti, organizzatori di eventi in settori come moda, design, architettura, musica, performing arts, comunicazione su internet, web design, ecc.) sono espressione di interazioni situate ma essenzialmente spontanee che avvengono in contenitori di eventi, luoghi, festival, locali di ritrovo delle città. 3. Le nuove professioni dei servizi di qualità, anch esse strettamente urbane, sono dominate (a differenza dalle vecchie codificate in ordini professionali) da un lavoro autonomo di seconda generazione, strutturalmente frammentato, disorganizzato e debolmente connesso. Il loro ruolo è cruciale per integrare la meta-città per progetti qui proposta. L attributo disorganizzato non significa esprimere un giudizio di valore negativo su questi campi. La loro debolezza è anche la loro forza, una condizione di permanente autonomia è l altra faccia del rischio di una loro sostanziale anomia. Occorre maneggiare con cautela -12-

14 questi campi disorganizzati, senza pretesa di ricondurli alle forme organizzate conosciute. Essi sono giacimenti di capitale sociale. Attori principali del progetto sarà un insieme di strutture di ricerca e formazione composto dalla Fondazione Irso di Milano e da dipartimenti delle Università della Metapolis (Dipartimento di Architettura e Pianificazione del Politecnico di Milano, Dipartimento di Progettazione Architettonica e Disegno Industriale del Politecnico di Torino, Dipartimento di Informatica Sistemistica e comunicazione dell Università di Milano-Bicocca, Dipartimento di Scienze Sociali dell Università di Torino, Università IULM di Milano), Fondazioni che hanno la cura di alcuni dei prototipi nodi della metapoli (Fondazione Distretto High Tech Milano e Brianza, Fondazione Antonio Ratti, Fondazione Zambon, Fondazione Pistoletto, Fondazione Adriano Olivetti), in connessione con le istituzioni locali interessate (Comuni, Provincie, Regioni) e le associazioni professionali (manager, tecnologi, designer, libere professioni, ecc.). Il disegno del progetto è rivolto a creare un modello metodologico e un prototipo operativo che consenta ulteriori sviluppi di: 1. rappresentazione unitaria dei beni culturali industriali attraverso il censimento delle iniziative di valorizzazione di tali beni e di riconversione creativa di beni, manufatti, artefatti presenti e in progetto nei nodi individuati; 2. creazione di una infrastruttura tecnologica (sistemi di archiviazione elettronica, catalogazione dei beni, sistemi di prenotazione web, editoria elettronica, ecc.) che connetta nodi esistenti e nuovi al fine di assicurare la fruizione allargata dei beni culturali; 3. definizione di un sistema di comunicazione allargata che utilizzi i più moderni strumenti di comunicazione (ubiquitous computing, internet delle cose) e di formazione aperta e interattiva, con il concorso attivo di arene ben individuate appartenenti al campo culturale, ai network creativi e alle professioni della conoscenza; 4. elaborazione di un piano strategico per la valorizzazione integrata dei beni che ne definisca l impatto culturale ed economico, come la formazione di addetti esperti alla loro gestione, l incubazione di nuove attività connesse alla valorizzazione, la definizione di percorsi di innovazione che valorizzino le conoscenze presenti nei sistemi territoriali. -13-

15 BIBLIOGRAFIA Abravanel R. e D Agnese L. (2010), Regole. Perché tutti gli italiani devono sviluppare quelle giuste e rispettarle per rilanciare il Paese, Garzanti, Milano. Bossi G., Bricco P., Scellato G. (2006), I distretti del futuro. Una nuova generazione di sistemi produttivi per l innovazione, Il Sole 24 Ore, Milano. Burns T., Stalker O.M. (1968), The Management of Innovation, Tavistock, London. Butera F. (1979), Lavoro umano e prodotto tecnico: una ricerca alle acciaierie di Terni, Einaudi, Torino. Butera F. (1989), Il castello e la rete. Impresa, Organizzazione e Professioni, FrancoAngeli, Milano. Butera F. (2009), Il cambiamento organizzativo. Analisi e progettazione, Bari, Laterza. Butera F. (2011), La natura dell impresa capace di competere: le cinque dimensioni dell Italian Way of Doing Industry, in Butera F., De Michelis G. (a cura di), L Italia che compete. L Italian Way of Doing Industry, FrancoAngeli, Milano. Butera F. (2011a), Dal taylor-fordismo alle microstrutture produttive flessibili. La gestione del cambiamento del lavoro e dell impresa, in Butera F., De Witt G. (a cura di), Valorizzare il lavoro per rilanciare l impresa. La storia delle isole di produzione alla Olivetti negli anni 70, il Mulino, Bologna. Butera F. e Di Guardo S. (2011), Rappresentare e gestire il lavoro della conoscenza: un approccio per svelare e sviluppare broad profession, Sociologia del Lavoro, in fase di pubblicazione. Collins J.C., Porras J.I. (1994), Built To Last: Successful Habits of Visionary Companies, Harper Business, New York. Corò G. (2005), Dopo il declino. Nuovi percorsi di sviluppo per le economie di piccola impresa, Argomenti, n. 13, Università Ca Foscari, Venezia. Costa G. e Nacamulli R.C.D. (a cura di) (1997), Manuale di organizzazione aziendale, Utet, Torino. Cusumano, M.A. (2010), Staying Power. Six Enduring Principles for Managing Strategy and Innovation in an Uncertain World, Oxford University Press, New York, NY. De Maio A., Bartezzaghi E., Brivio O., Zanarini G. (1982), Informatica e processi decisionali, Franco Angeli, Milano. De Michelis G. (2011), L ipotesi di una Italian Way of Doing Industry, in Butera F., De Michelis G. (a cura di), L Italia che compete. L Italian Way of Doing Industry, FrancoAngeli, Milano. -14-

16 Dioguardi G. (1983) Nuovi modelli organizzativi per l impresa, Etas Libri, Milano. Dioguardi G. (2010), The network enterprise, Springer, New York. Dioguardi G. (2010), Finalizzare l Istituzione «Impresa» anche attraverso interessi culturali: discorso preliminare a un progetto per una «Impresa della cultura», I quaderni di varia cultura, Fondazione Gianfranco Dioguardi, Milano. Gagliardi C. (2008), Fattori competitivi e performance delle medie imprese industriali, in Marini D. (a cura di), Fuori dalla media, Marsilio, Venezia. Grandinetti R. (2001), I distretti industriali e l economia globale, in Diamanti I., Marini D. (a cura di), Nord Est. Rapporto sulla società e l economia, Fondazione Nord Est, Venezia. Hax A.C, Wilde II, D.L., (1999), The Delta Model: Adaptive Management for a Changing World, Mit Sloan Review, January 15. La Placa M. (2011), Gruppi di lavoro autonomi e autoregolati: il governo delle loro performance, tesi per il Dottorato di ricerca (Phd) Qua_si - Projects Quality of Life in the Information Society, Università di Milano Bicocca. Lamborghini B. (2011), Politiche e crescita dal basso, in Butera F., De Michelis G. (a cura di), L Italia che compete. L Italian Way of Doing Industry, FrancoAngeli, Milano. Marini D. (2008), Fuori dalla media, Marsilio, Venezia. Marini D. (2011), La media impresa di fronte alla crisi, in Butera F., De Michelis G. (a cura di), L Italia che compete. L Italian Way of Doing Industry, FrancoAngeli, Milano. Merli G., Gelosa E. e Fregonese M. (2010), Surpetere, Guerini e Associati, Milano. Micelli S. (2011), I nuovi profili delle imprese italiane, in Butera F., De Michelis G. (a cura di), L Italia che compete. L Italian Way of Doing Industry, FrancoAngeli, Milano. Perulli P., Pichierri A. (a cura di) (2009), La crisi italiana nel mondo globale. Economia e società del Nord, Einaudi, Torino. Porter M.E. (1987), Il vantaggio competitivo, Edizioni di Comunità, Milano. Silva F. (con Rondi L.) (2009), Produttività e cambiamento nell industria italiana, il Mulino, Bologna. Sinatra A. (1992), Impresa e sistema competitivo: strategie di innovazione e strategie di consolidamento, Utet, Torino. Sinatra A. (2011), Favorire la metamorfosi del sistema, in Butera F., De Michelis G. (a cura di), L Italia che compete. L Italian Way of Doing Industry, FrancoAngeli, Milano. Tronconi M. (2011), Dalla persistenza alla dynamic legacy: il sistema Moda nella competizione internazionale oltre il settore industriale, in Butera F., De Michelis G. (a cura di), L Italia che compete. L Italian Way of Doing Industry, FrancoAngeli, Milano. -15-

17 Varaldo R. (2006), Il nuovo modello competitivo e aziendale dei distretti industriali, Economia e Politica Industriale, n. 1. Yoffie D.B., and M. A. Cusumano (1999), "Judo Strategy: The Competitive Dynamics of Internet Time", Harvard Business Review, n. 1, pp

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