2012 Enrica Aragona Tutti i diritti riservati

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1 Corto Circuito 1

2 2012 Enrica Aragona Tutti i diritti riservati Edizioni La Gru via S. Caboto, Padova tel P.IVA: info@edizionilagru.com Edizioni La Gru Prima edizione: giugno 2012 ISBN: xx-x Illustrazione in copertina: Nayan 2012 Daniela Barisone 3

3 ENRICA ARAGONA SONO QUELLO CHE VUOI 4

4 PREFAZIONE Solo una donna forte può mettere in scena, con tanta nitidezza, una donna altrettanto forte. Enrica Aragona è così: granitica e volitiva. Ha atteso di pubblicare il proprio romanzo d'esordio fino a quando non ha trovato per esso una sistemazione opportuna, una collana che lo accogliesse inquadrandolo e valorizzandolo come merita. Sono quello che vuoi è un romanzo coinvolgente, intenso, duro. Le vicende della protagonista ci fanno vibrare con lei e per lei, parteggiando per la sua fragilità fino a commuoverci. Attraverso la storia di ossessione comprendiamo, provandolo di riflesso, come forza e debolezza siano facce della stessa medaglia, come il venire a patti con le proprie paure sia parte integrante del cammino di crescita di un individuo. E come a volte, per riscoprire se stessi, sia necessario scendere più in basso di quanto si possa credere. Il romanzo che state sfogliando è frutto di un percorso impegnativo, di evoluzione stilistica e personale. Il risultato finale è l aroma di questa carta: quando arriverete all'ultima pagina, saprete riconoscerlo. È il profumo della vittoria e del talento. Greta Cerretti Cristina Lattaro 6

5 Non illuderti: la passione non ottiene mai perdono. Non ti perdono neanch io, che vivo di passione. (Pier Paolo Pasolini) 7

6 PROLOGO Oggi, 16 settembre 2009, dopo più di un anno e mezzo di silenzio sei tornato a farti sentire. Non hai scelto un giorno qualsiasi, tu non fai mai nulla per caso. La telefonata è stata breve, ma hai trovato comunque il tempo di dettare le tue regole; d altronde sei il mio padrone, e obbedirti è l unica cosa che so fare. Mi vuoi in un abito di seta nera sopra a un paio di autoreggenti da venti denari, con i guanti di raso fino ai gomiti e le scarpe con il tacco a spillo. Naturalmente senza slip, ma questo non hai avuto bisogno di dirlo. Ho imparato. «Come una diva d altri tempi» hai sussurrato con la tua voce bugiarda. O come una puttana, ho pensato, massaggiandomi le mani con quello che restava della tua crema all assenzio. Ho obbedito ancora una volta, come sempre, perché ormai so che farti sentire onnipotente è l unico modo per sconfiggerti. L ho imparato a mie spese, in questi anni, ogni volta in cui ho dovuto rimboccarmi le maniche per ricostruire la vita che ti divertivi a distruggere. Hai detto che dovevi parlarmi, che dovevi dirmi qualcosa d importante; ho esitato a lungo prima di accettare quest appuntamento; so che per te non esiste nulla di veramente importante. 9

7 Forse mi dirai che sei tornato per restare, ma la verità è che tu non te ne sei mai andato veramente. Tu hai sempre vissuto accanto a me. Così ho deciso che affrontarti fosse la cosa più giusta da fare, mi sentivo pronta. C è stata la tua assenza a farmi compagnia, in tutto questo tempo. Ma se mi guardo ora, riflessa nella vetrata del solito ristorante, non vedo più la stessa Laura di tempo fa; l involucro è identico, ma dentro qualcosa è cambiato. Ora davanti a me c è tutta la nostra storia, una pellicola sgranata e ingiallita che scorre in un vecchio cinematografo rumoroso. C è tutto di noi, in questo film: le tue bugie e le mie illusioni, i tuoi sbagli e le mie domande. I tuoi sorrisi a metà e le mie lacrime spezzate in gola. Ci sono anche tutti gli spettatori, che hanno assistito impotenti alla nostra distruzione: gente che si commuove, che ride, che crede, che spera. Vorrei poter dimenticare tutto, rivederti con la mente libera da ogni condizionamento, ma mi sento una minuscola goccia d acqua di fronte a un gigante di sale: non riuscirò mai a sciogliere i nodi che mi legano a te. Ho paura di rimanere di nuovo impigliata nella tua rete, di agonizzare lentamente in attesa che tu decida di liberarmi. Perché tu sei quello che voglio. E nonostante i miei buoni propositi, le mie promesse, i miei giuramenti, sono di nuovo qui, nel parcheggio del Morso della Strega ad aspirare boccate di veleno chiedendomi quale dei tanti Alex mi troverò davanti questa sera. L Alex romantico di Sutri, quello della stanza d albergo che si affacciava nel bosco, con il caminetto acceso e le dita al sapore di cioccolato al latte. Oppure l Alex dominatore, lo stesso di quella bottiglia di spumante da due soldi e le manette che mi aspettavano sul pavimento. O magari l Alex perverso, quello che si divertiva a spalancarmi le gambe 10

8 sulla scrivania dopo avermi strappato gli slip con un tagliacarte. Che si divertiva a violentarmi, che poteva permettersi di fare tutto ciò che voleva, consapevole che io avrei detto sempre e solo sì. Sono quello che vuoi, mi dirai. So che me lo dirai. Io non so cosa voglio, ma so quello che non voglio più. Non voglio più essere il termine di paragone che esalta la tua grandezza, il palcoscenico su cui si muove un egocentrico attore che mette in scena la propria farsa, costruendo e demolendo a suo piacimento desideri e perversioni. Non voglio più essere una comparsa che attraversa veloce la scena e poi, silenziosa com è arrivata, sparisce senza lasciare traccia del suo passaggio. Voglio diventare protagonista, per la prima volta, di questo film che hai scritto per me. Sei sempre stato capace di plasmare la mia mente alle tue necessità, tanto da farmi credere di essere davvero io, tra noi due, quella sbagliata. E ora stai tornando a riprenderti la mia vita per l ennesima volta. E sei convinto che io te lo permetterò. Di nuovo. Ma chissà che stavolta non sia tu a sbagliare, Alex. 11

9 1. La mia seconda vita iniziò nel luglio del A Roma l estate era scoppiata in tutta la sua invadenza, e sembrava molto diversa dalle precedenti: il vento di cambiamento che mi stava attraversando iniziava a mostrare i primi effetti. Avevo trovato il coraggio di dare le dimissioni da un azienda che per sette anni aveva assorbito tutte le mie energie, fisiche e mentali, restituendomi solo un fascio di nervi sul punto di strapparsi. Ero stata assunta appena dopo il diploma; avevo bisogno di mettere qualche soldo da parte per andare a vivere per conto mio. Dopo la morte di mia madre, le cose con mio padre e mio fratello non andavano proprio alla grande. Avevo resistito quasi sette anni in quell ufficio del cazzo, subendo umiliazioni e soprusi di ogni genere in cambio di quei pochi spiccioli sicuri a fine mese, finché non ce la feci più. E, fregandomene per la prima volta della rata del mutuo, mandai a quel paese il Direttore Generale, un ingrigito cinquantenne in sovrappeso con un debole per le more, sbattendogli in faccia la mia lettera di dimissioni e tutto il rancore accumulato in quegli anni. Quel maiale non batté ciglio, limitandosi a ricordarmi che quella defezione mi sarebbe costata cara: più o meno sette stipendi. Mi apprestavo a vivere quell estate nel mio bilocale al piano terra, in compagnia del mio computer portatile e di tante speranze. Senza soldi, ma finalmente libera. 12

10 Non potevo rimanere troppo a lungo senza lavorare; la liquidazione, ridotta a causa del mancato preavviso, era bastata a malapena per pagare le ultime rate dell automobile, proprio come aveva detto il mio caro Direttore. Ma per il mio ventisettesimo compleanno intendevo regalarmi una Laura nuova, decisa a non permettere più a nessuno di calpestarla, umiliarla e farla sentire inutile. Dovevo prendere in mano le redini della mia vita, e iniziai nella maniera più classica possibile: tagliai i capelli cortissimi e li tinsi di viola. Sognavo di farlo da anni, senza averne il coraggio; quel viscido del mio capo non me l avrebbe perdonato. Mi concessi anche un altro vezzo, una piccola lucertola tatuata sulla nuca. Il mio compagno era partito per una vacanza di una settimana in Olanda con i suoi amici; io non lo seguii, preferendo rimanere in città per iniziare a consultare gli annunci di lavoro. Così, mentre Stefano visitava a rotazione tutti i coffee shops di Amsterdam, io mi abbronzavo nel nostro minuscolo giardino nascosto dal rampicante, gironzolando su internet con un portatile wireless alla ricerca di un nuovo lavoro. Una mattina come le altre, mentre chattavo con la mia amica Nadia che provava a spiegarmi l etimologia dei nomi, iniziai a navigare su un sito di annunci di lavoro e notai tre righe che sembravano scritte apposta per me: Azienda leader nel settore della ristorazione cerca segretaria referenziata, contratto semestrale, orario flessibile. Chiamare 349 solo se interessati ed esperti, astenersi perditempo. Composi il numero senza pensarci nemmeno un attimo. Mi rispose una persona dal leggero accento straniero, probabilmente dell est; una voce talmente lieve che per tutta la durata della conversazione pensai fosse una donna. Solo quando mi disse il 13

11 suo nome capii che era un uomo. L uomo che sarebbe diventato il mio padrone. «Alle quindici e trenta, io sono Aleksandar. Mi mandi il curriculum per .» Fu il primo dei suoi ordini e io, ancora inconsapevole, obbedii. Terminata la telefonata, richiamai la finestra in cui stavo chattando con Nadia e le chiesi quale fosse il significato del nome Alessandro. - Colui che protegge. Ma perché me lo chiedi? - Non te lo dico :-) La salutai, spegnendo la sua curiosità insieme al mio computer. Dopo la doccia e un pranzo veloce indossai un completo di lino color sabbia e due gocce di profumo all assenzio, prima di recarmi all appuntamento con colui che protegge; l immagine abbronzata restituita dallo specchietto retrovisore sembrava davvero appartenere a una Laura che non conoscevo ancora, abituata com ero a vedermi sempre pallida per colpa della maledetta anemia che mi trascinavo dietro sin da bambina. Mentre ero ferma a un semaforo, un tizio con un auto sportiva si affiancò alla mia e mi strizzò l occhio, allargandosi in un sorriso piuttosto esplicito. Mi sentii gratificata, e prima di ingranare la marcia e premere sull acceleratore ricambiai con un pizzico di malizia. Mi mancava quell emozione che provavo infilandomi tra i desideri altrui. La convivenza con Stefano si avviava verso il secondo anno, ed ero io a soffrirne maggiormente, proprio non mi riusciva di inquadrarmi nel ruolo della mogliettina premurosa. Ma ero stata io a scegliere quella vita, e cercavo in tutti i modi di farmela andar bene, perché sapevo che era l unico modo per allontanare i fantasmi che troppo spesso tornavano a spaventarmi. 14

12 La mia Fiesta nera mangiava velocemente i chilometri delle strade di Roma, già svuotate dal primo esodo estivo, mentre Jim Morrison cantava che la gente è strana quando sei uno straniero. Adoravo quella canzone, sottofondo ideale per una città orfana dell abituale caos, in cui anche una romana come me poteva sentirsi una turista e osservare con altri occhi i viali deserti, i platani che ondeggiavano indolenti per specchiarsi nel Tevere, l acqua torbida che scorreva placida senza che rombi di motore o clacson impazziti la sovrastassero. Il silenzio mi metteva ancora un po paura, perché mi spingeva a riflettere, a scavare in quella me stessa che non mi piaceva. E come facevo sempre quando rischiavo di legarmi con i miei nodi irrisolti, chiamai Stefano: sentire la sua voce mi tranquillizzava. Lo avvisai che se tutto fosse andato per il verso giusto non sarei rimasta disoccupata ancora a lungo. Ero in anticipo, così decisi di fermarmi a bere un caffè prima di salire alla Biagini & Co., dove mi aspettavano per il colloquio. Il ragazzo dietro al bancone mi servì sfoggiando un largo sorriso e un marcato accento siciliano, riempiendomi di complimenti; mentre affondava lo sguardo nella mia scollatura cercò di scucirmi il numero di telefono. Per tutta risposta, gli mostrai la mano sinistra, facendo roteare la fedina che portavo all anulare, una specie di scudo dietro cui mi nascondevo quando sentivo che le mie difese erano a rischio. «Se dovessi ripensarci, questo è il mio numero» esclamò sorridente, porgendomi un foglietto macchiato di caffè scritto con grafia elementare. «Anto, ma tu il vizio di importunare le clienti non te lo leverai mai, eh?» la voce della donna dietro la cassa, una grassona dai capelli platinati nascosta da un pesante strato di trucco, lo distolse 15

13 dai propositi di caccia grossa. Antonio, dopo avermi rivolto uno sguardo ammiccante, se ne tornò ai suoi cappuccini come se niente fosse. Uscii dal bar e gettai il foglietto nel cestino prima di entrare nel palazzo di fronte, una costruzione che sembrava aver visto tempi migliori, con un vecchio ascensore che funzionava a monete. Salii al terzo piano e suonai alla porta; venne ad aprirmi un tipo che sembrava avere più o meno la mia età. «Lei deve essere Laura» mi disse porgendomi la mano «io sono Aleksandar, entri pure.» Avevo sempre detestato le persone che, presentandosi, abbandonavano la mano molle e lasciva. Eppure fu esattamente ciò che feci io in quel momento: lasciai che Aleksandar mi salutasse senza riuscire in alcun modo a ricambiare la sua stretta. Ero scivolata nei suoi occhi bui, lucidi e taglienti come la lama di un coltello puntata dritta contro di me. Me ne stavo lì incantata, con le labbra che si sforzavano di articolare qualche parola senza riuscire a interpretare gli stimoli del cervello. Guidata da un istinto che non avevo mai provato lasciai cadere lo sguardo tra le sue gambe, prima di scuotermi tra veloci battiti di ciglia e riportare l attenzione sul suo volto ruvido e sfuggente. Temevo di poter dire qualcosa di sbagliato e restai in attesa finché m indicò una poltroncina all interno di una specie di segreteria. «Finisco una telefonata e sono subito da lei» disse prima di dileguarsi. Gli fui grata per quegli istanti di solitudine, ne avevo bisogno per tornare in me. Vidi allontanarsi le sue gambe snelle, coperte da un paio di jeans tenuti su da una catenella di metallo e la t-shirt nera che spariva lentamente, fino a mimetizzarsi con il corridoio buio. 16

14 Mentre aspettavo Aleksandar, mi guardai un po intorno, in quello che a breve sarebbe diventato il mio ufficio. Sulla grande scrivania a due sedute c era un telefono pieno di pulsanti; solo a guardarlo mi faceva venire il mal di testa. Accanto al telefono un notebook dalla scocca argentata e una stampante collegata a un vecchio computer dalla tastiera bianca. Dietro il tavolo si stagliava una distesa di raccoglitori allineati con disciplina sulle mensole: ordini, fatture, bolle di accompagnamento... tutte cose che mi erano piuttosto famigliari. Qualche minuto dopo Aleksandar tornò, trascinando un piccolo climatizzatore portatile. «Mi scusi, non ho pensato che si muore di caldo. Di solito dell accoglienza se ne occupa Beatrice, la ragazza che lavora qui la mattina. Vuole andare in bagno a rinfrescarsi un attimo, prima di iniziare?» I suoi capelli erano talmente corvini da sembrare tinti e, sotto una barba appena accennata s intravedevano due labbra sottili, cornice perfetta per il quadro seducente che la sua voce dipingeva. I lineamenti di Aleksandar raccontavano storie lontane, gli occhi brillavano di una luce misteriosa, occhi da zingaro che si muovevano con rapidità su di me, quasi volessero leggermi dentro. Mi metteva a disagio quello sguardo. «Non si preoccupi, sto benissimo» risposi cercando di nascondere l imbarazzo. Avrei voluto dargli del tu, ma preferii attendere che fosse lui a rompere il ghiaccio. «Vedo che ha lavorato per diversi anni in un azienda d informatica» esclamò senza alzare gli occhi dal mio curriculum. Per quanto s impegnasse, era evidente che fare colloqui non era certo il suo mestiere. 17

15 «In teoria ero stata assunta come segretaria, ma mi sono sempre occupata un po di tutto: centralino, ordini d acquisto, magazzino e ho fatto qualcosa anche nel settore vendite. So fare i documenti di trasporto, la fatturazione e mi arrangio con la prima nota, cose così, ecco. So usare tutti gli applicativi di Office: Excel, posta elettronica, Word, Power Point, oltre a diversi sistemi gestionali per le bolle e le fatture. Sono diplomata in lingue e ho lavorato con fornitori americani, quindi mi arrangio piuttosto bene con l inglese. Insomma, in queste piccole realtà bisogna saper fare un po di tutto, giusto?» Mi resi conto di aver sputato fuori quel monologo tutto d un fiato, mentre Aleksandar teneva lo sguardo fisso sulla mia mano sinistra e sulla fedina che giravo e rigiravo nervosamente. Probabilmente stava pensando di trovarsi di fronte una povera isterica. «Guarda, Laura... Posso darti del tu, vero?» esclamò strofinandosi gli occhi, come chi sta per dire qualcosa di scomodo. «Certo, a patto che io possa chiamarti Alex.» Notai che portava un anello al pollice destro, una fascetta di metallo nero. «Mi chiamano tutti così, Aleksandar è troppo lungo e troppo complicato, specialmente per chi va sempre di corsa, come voi» sorrise, mostrando un incisivo dalla punta scheggiata «in tutta onestà, Laura, credo tu sia fin troppo qualificata per questo lavoro.» Quelle parole mi ghiacciarono: in un istante fui assalita dal terrore di non rivederlo più. Alex mi si era già infilato sottopelle: non c eravamo ancora separati e già mi mancava. Per ragioni che non riuscivo ancora a capire, sentivo che quell uomo in qualche modo mi apparteneva, che quell incontro, avvenuto proprio mentre Stefano era lontano, non poteva essere una coincidenza. 18

16 C era qualcosa nello sguardo torbido di Alex, nel suo volto spigoloso, capace di ridare voce a quella parte di me che credevo di aver messo a tacere per sempre. Per la prima volta da quando avevo incontrato Stefano, sentivo che avrei potuto veramente mettere a repentaglio la vita nuova che mi stavo costruendo, che potevo buttare al vento tutto per essere risucchiata dal mio passato sbagliato, dilaniato tra sudditanza emotiva e voglia di riscatto. Era una sensazione che mi spaventava e mi eccitava allo stesso tempo: tornare a essere schiava delle mie pulsioni da una parte m intrigava, dall altra mi terrorizzava. Il mio continuo bisogno di conferme, che da anni provavo a combattere, era tornato ad affacciarsi prepotente; quelle che Stefano riusciva a darmi con la sua tranquillità, la sua stabilità, il suo essere sempre l uomo giusto al momento giusto, forse non mi bastavano più. «Capisco» risposi «posso almeno sapere di che lavoro si tratta?» «Non mi fraintendere; per noi avere una persona esperta sarebbe l ideale, ma se ti aspetti un lavoro di concetto, temo che rimarrai delusa. Si tratta principalmente di rispondere al telefono, tenere aggiornata l agenda dei venditori e dare una mano a Beatrice con i fornitori.» «Beh, credo di potercela fare» sorrisi. «Fino a oggi si è occupata lei di tutto, ma come puoi ben vedere» si voltò per indicare la parete tappezzata di raccoglitori «Bea ha il suo bel da fare, e lavora solo mezza giornata. Insomma, noi saremmo felici di avere una persona qualificata come te, se per te va bene, ovviamente.» Era anche peggio di quello che pensavo. Nel mio precedente impiego le scartoffie le gestivo io, alla Biagini & Co. mi sarei dovuta accontentare di fare la segretaria a quattro manager rampanti in completo grigio e sopracciglia depilate, magari più 19

17 giovani di me. E se l intuito non m ingannava, probabilmente avrei dovuto fare da segretaria anche a questa Bea, cosa che mi andava ancora meno giù. Ma ottenere quel posto era l unico modo per rivedere Alex. «Non vorrei sembrarti venale, ma per quanto riguarda lo stipendio?» azzardai. «Questo te lo dirà Beatrice, io non sono molto bravo in queste cose. Dovrebbe essere intorno ai mille mensili.» «Sei un commerciale? Lavori qui?» «No.» «Dovevo immaginarlo» gli dissi «non sembri proprio il tipo, in effetti.» Tutti i venditori che avevo conosciuto erano accondiscendenti e gentili al limite dell ipocrisia; Aleksandar invece, nonostante l aspetto informale e il tono di voce calmo, non sembrava a suo agio con le pubbliche relazioni. Di certo non era tipo da sbrodolare complimenti. «La verità» esclamò puntandomi gli occhi addosso «è che l azienda è di mio fratello Mirko. Mi ha chiesto di occuparmi dei colloqui perché è fuori per lavoro. Beatrice non ce la fa a gestire tutto da sola, e hanno bisogno di qualcuno che sappia dove mettere le mani e che possa iniziare subito.» «Potevi dirmelo prima che non eri tu il capo, qui! Avevo un ansia addosso» Pensai di aver scalfito un po il suo guscio di ghiaccio: lo vidi sorridere e decisi di spingermi oltre. «Se posso chiedertelo non sei italiano, vero?» «Sono nato a Podgorica, ma sono in Italia praticamente da sempre. Mio padre era italiano.» «Perdona la mia ignoranza, ma Podgorica dove sarebbe?» 20

18 Alex sorrise, credo fosse abituato a quella domanda. «In Montenegro.» Rimasi in silenzio, rendendomi conto di non sapere assolutamente nulla di quella terra e della sua gente. Chi era dunque, Aleksandar? Uno zingaro, un rom, uno slavo, o peggio ancora, un delinquente? «Vedi, Laura» esclamò, intuendo forse il mio imbarazzo «pochi sanno che oggi nell ex Jugoslavia ci sono degli stati indipendenti. La maggior parte di voi italiani pensa che noi dell est siamo un po tutti della stessa razza. Zingari, giusto? Be, non è proprio così. In Serbia ci sono i serbi, in Slovenia gli sloveni e in Montenegro i montenegrini, come me. Bel colore i tuoi capelli, sai? Molto particolare.» «Grazie» risposi abbassando la testa, sentendo che stavo per avvampare. Quel lavoro mi serviva, ma più di tutto mi serviva rivedere Alex, così provai a giocare tutte le carte a mia disposizione. «Ascolta, visto che ci diamo del tu io ho davvero bisogno di lavorare. Posso dare disponibilità immediata e cominciare anche subito, e siccome ho un po di esperienza, potrei anche aiutare Beatrice con i fornitori. Se tu se voi siete d accordo, naturalmente.» «Devo vedere un altra ragazza alle cinque, ma ho dato un occhiata al curriculum e non mi ha convinto. Ci risentiremo presto, non temere.» Un brivido mi percorse la schiena nell ascoltare quelle ultime parole, che alle mie orecchie suonarono come un monito, quasi una minaccia. Se avessi saputo interpretarle, forse le cose sarebbero andate in modo diverso. O forse no. Forse ero già tornata a essere schiava dei miei fantasmi. 21

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