Cosa spinge a partire per la missione?
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- Giacinto Damiani
- 8 anni fa
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1 Cosa spinge a partire per la missione? In contrapposizione ad un mondo in cui sembrano prevalere l individualismo e il disinteresse verso i problemi dell altro, sentiamo spesso parlare di giovani interessati a partire per una missione. Partendo dal presupposto che la scelta di partire sia una scelta personale, sarebbe sbagliato, oltre che superficiale, cercare di catalogare le motivazioni di ciascuno secondo giudizi più o meno moralisti. Volendo evitare generalizzazioni che facilmente rischierebbero di sconfinare nel luogo comune, ho cercato dunque di sintetizzare alcune delle motivazioni più ricorrenti, che spesso si mescolano tra loro e portano alla decisione di partire. Uno degli aspetti più affascinanti della missione sta nel visitare posti in genere straordinari dal punto di vista paesaggistico e nell immergersi nella cultura del Paese 1
2 ospitante, condividendo ritmi e difficoltà della popolazione locale, con cui inevitabilmente si stringono relazioni di amicizia e simpatia. In questo caso la missione può essere considerata un alternativa etica alle solite vacanze nei paradisi del divertimento. Un altra ragione molto ricorrente può essere sintetizzata dall espressione staccare la spina : la nostra vita quotidiana è segnata inevitabilmente dall orologio e dal portafoglio. Tutto ha una durata e un costo. Perfino le relazioni interpersonali sono a tempo e a volte vengono misurate in una scala di convenienza. Partire per la missione può essere un occasione per lasciarsi alle spalle la frenesia della vita quotidiana e ricaricarsi di essenzialità : molti giovani, tornando dalla missione, dicono di aver imparato a dare il giusto peso alle cose, distinguendo ciò che nella 2
3 vita è davvero essenziale da ciò che invece è solo uno strumento. Una terza ragione può essere quella di mettersi alla prova. Un esperienza lontano da casa, in una realtà nuova e con persone che non si conoscono, rappresenta per un giovane un elemento di crescita personale molto importante. Certamente si richiede un certo spirito di adattamento per vivere in luoghi in cui anche i più banali servizi (acqua corrente, luce, carta igienica) sono considerati comodità di lusso. Infine, può esserci sicuramente un desiderio di aiutare gli altri, rendersi utili per chi sta peggio di noi. Quando alla televisione vediamo le immagini del cosiddetto terzo mondo, afflitto da guerre, povertà, epidemie e violenze, ci prende naturalmente un senso di rabbia che ci spinge a voler fare qualcosa di concreto. La missione può essere la risposta a questo senso di ingiustizia (anche se, come 3
4 vedremo, non è l unica risposta possibile). Sentire la responsabilità nei confronti di popolazioni lontane che vivono situazioni di povertà ci spinge a metterci al servizio dell altro. Come detto, non bisogna rischiare di generalizzare o banalizzare le motivazioni di chi parte, né tantomeno esprimere giudizi. Nella scelta di partire si confondono tutte queste quattro motivazioni, assieme a molte altre, e in ogni persona prevarrà uno di questi aspetti. Ma queste motivazioni razionali bastano a spiegare la missionarietà? A pensarci bene le difficoltà del partire, lasciando - se pur per un periodo limitato - le comodità e le certezze della vita quotidiana, sono molte. Per cui ci deve essere qualcosa in più, specialmente se pensiamo che ci sono persone che decidono di dedicare un intera vita, e non solo un periodo, alla missione. 4
5 Cos è la missione per la Chiesa? La Chiesa ci aiuta a capire cos è davvero la missionarietà e quali sono le sue radici profonde. La missionarietà non è mossa solo da sentimenti umani e spontanei, ma dall Amore. L Amore è il motore di tutto. Secondo Dante muove il sole e le altre stelle e secondo Giovanni Paolo II è il principio che deve dirigere ogni azione e il fine a cui essa deve tendere. L'Amore, scrive Papa Benedetto XVI nell enciclica del 2009 Caritas in Veritate, è una forza straordinaria, che spinge le persone a impegnarsi con coraggio e generosità nel campo della giustizia e della pace. L Amore, che ha la sua origine direttamente in Dio, porta sempre ad aprirsi agli altri, ad accogliere e a compiere gesti positivi: chi ama non può chiudersi in se stesso, sente il bisogno e il desiderio di trasmettere questo Amore agli altri, vicini e lontani. Pertanto, questa prima semplice constatazione porta a dire che la missionarietà è una risposta all Amore di Gesù, un gesto concreto finalizzato a diffondere, comunicare e trasmettere l Amore. 5
6 L enciclica Redemptoris missio, scritta nel 1990 da Papa Giovanni Paolo II, ci ricorda che la missione non è una vicenda legata a posti lontani o riservata solo ad alcuni: il mandato missionario è dato da Gesù Risorto agli apostoli, e di conseguenza a tutta la Chiesa. In questo senso tutti i Cristiani sono chiamati ad annunciare il Vangelo: portare la buona novella a tutti i popoli e le nazioni. L annuncio non deriva da capacità umane, ma dallo Spirito: «Non è infatti per me un vanto predicare il vangelo; è per me un dovere: guai a me se non predicassi il vangelo!». (1Cor 9,16) La missione dunque non si riduce ad un esperienza limitata nel tempo o confinata ad un luogo specifico: annunciare il Vangelo implica testimoniarlo in maniera credibile nella vita 6
7 di tutti i giorni. La prima forma di missione (ovvero di annuncio del messaggio di Gesù) sta nel vivere da buoni Cristiani in ogni ambito della nostra vita. Il Vangelo ci insegna che ci riconosceranno dall amore: la testimonianza cristiana non si fa a parole ma attraverso gesti concreti di solidarietà verso i poveri e gli ultimi, attraverso l attenzione nei confronti di chi soffre, attraverso l impegno per la pace, la giustizia, i diritti dell'uomo, la promozione umana. La missione comincia dall attenzione verso i più piccoli. Per vivere questa attenzione verso chi soffre sono necessari due atteggiamenti: conoscere e condividere. La conoscenza è l opposto dell indifferenza. Non possiamo restare indifferenti di fronte alle ingiustizie, alle epidemie che affliggono le popolazioni dei Paesi più poveri, alle migliaia di vite che nascono già segnate dalla povertà e dalla sofferenza. Non possiamo restare indifferenti, e la prima 7
8 cosa che possiamo fare è informarci. In momenti di crisi economica, le prime voci di bilancio che vengono tagliate sono quelle destinate alla cooperazione internazionale allo sviluppo. Ma come possiamo pensare di uscire dalla crisi lasciando indietro oltre la metà della popolazione mondiale? Se l opinione pubblica avesse a cuore le sorti dell umanità nel suo insieme, saprebbe anche spingere i potenti ad impegnarsi di più per uno sviluppo che sia di tutti. Gesù, però, ci insegna che conoscere non è sufficiente. Nella parabola del Samaritano, Egli si fa vicino e soffre assieme al sofferente. Senza nulla togliere alle forme più comuni di raccolta fondi a favore delle tante organizzazioni 8
9 che operano a favore di chi soffre, la solidarietà non può ridursi ad un sms inviato stando seduti sul divano. La solidarietà è fatta di relazioni umane, di vicinanza, di impegno costante. Questo è l insegnamento di Madre Teresa di Calcutta, la piccola matita nelle mani di Dio, come lei stessa si definiva, che ha scelto di vivere assieme ai più poveri tra i poveri, i lebbrosi della periferia di Calcutta. Ella ci insegna che la missione richiede la condivisione della condizione dei poveri e degli ultimi. Chi decide di aiutare i più poveri, non può farlo da una stanza d albergo con l acqua corrente e la tv satellitare. Deve accettare di mettersi al servizio, cioè al di sotto degli altri. La povertà francescana, intesa come rinuncia al superfluo, è una prerogativa della vita missionaria. 9
10 Allo stesso modo, chi crede che partire per la missione corrisponda solo ad aiutare gli altri, si sbaglia di grosso. La sensazione più comune fra chi torna da una missione è quella di non essere servito a niente. Infatti, il fine della missione non è tanto la costruzione di ospedali o pozzi, quanto la rigenerazione dei cuori. Chi rientra dalla missione si dice raggiante per aver instaurato relazioni profonde e per aver imparato a vedere con occhi più semplici. La missione non porta solo allo scambio, ma al dono di sé. Questo è il frutto dell Amore. Implica la gratuità e la totalità. Gesù non ha dato il superfluo, ha dato tutto. Cos ì, la missione cambia la persona nel suo insieme: fa scoprire l essenziale e non si esaurisce, neanche quando si ritorna a casa. 10
11 Che relazione esiste tra Missione e Sviluppo? I missionari, date le circostanze dei Paesi in cui operano, si trovano spesso ad aver a che fare col tema dello sviluppo. Come ho già detto, non si può annunciare il Vangelo senza condividere le sofferenze delle persone e, di conseguenza, contribuire al loro benessere. Molto spesso i missionari, animati dallo spirito di servizio e compartecipazione, si trasformano in operai e si danno da fare in prima persona per migliorare le condizioni di vita della popolazione. La Chiesa, d altro canto, è sempre stata attenta allo sviluppo umano come strumento per raggiungere la piena dignità. La definizione oggi più largamente condivisa di sviluppo risale al 1990 quando Amartya Sen, economista indiano e futuro premio Nobel per l economia, contribu ì all elaborazione dell Human Development Report per le Nazioni Unite. Sen definisce lo sviluppo come la libertà sostanziale di scegliere stili di vita alternativi. 11
12 La novità di quella definizione stava nel distinguere lo sviluppo dal semplice aumento del reddito pro capite e dal progresso tecnologico, includendo invece concetti come possibilità di vita e libertà di scelta effettiva delle persone. Questo si traduce nell allargare il concetto di sviluppo a tutti gli aspetti che contribuiscono ad una vita degna: oltre al reddito, la salute, l educazione, l accesso ai servizi, la non discriminazione delle donne o delle minoranze, il rispetto per l abiente e il paesaggio, la tutela dei diritti civili. E interessante notare come già 23 anni prima Papa Paolo VI, nell enciclica Populorum Progressio scritta nel 1967, sottolineava la distinzione tra lo sviluppo e la crescita economica, che sicuramente rappresenta un elemento importante ma non esclusivo dello sviluppo. Per essere sviluppo autentico, scrive Paolo VI, dev'essere integrale, il che vuol dire volto alla promozione di ogni uomo e di tutto l'uomo. 12
13 L espressione concreta di questi principi si traduce attraverso tre doveri delle popolazioni più favorite verso quelle del cosiddetto terzo mondo: dovere di solidarietà, cioè l'aiuto che le nazioni ricche devono prestare ai paesi in via di sviluppo; dovere di giustizia sociale, cioè il ricomponimento in termini più corretti delle relazioni commerciali difettose tra popoli forti e popoli deboli; dovere di carità universale, cioè la promozione di un mondo più umano per tutti, un mondo nel quale tutti abbiano qualcosa da dare e da ricevere, senza che il progresso degli uni costituisca un ostacolo allo sviluppo degli altri. L enciclica Populorum Progressio, pur datata, è considerata uno dei documenti più moderni sul tema dello sviluppo. 13
14 Scritta negli anni dell indipendenza di molti Paesi africani dalle rispettive potenze coloniali europee, rappresenta un attenta ed illuminata riflessione sui temi politici, economici e culturali legati allo sviluppo. Scritta poco dopo la fine del Concilio Vaticano II, mette la chiesa davanti al problema della povertà (intesa come effetto della fame, della miseria, delle malattie endemiche, dell'ignoranza) di Paesi che fino a pochi anni prima erano considerati proprietà privata dei sovrani europei. Proprio Paolo VI riconosce ai missionari un ruolo non solo nell evangelizzazione dei popoli, strettamente legato al mandato missionario della Chiesa, ma anche un ruolo attivo e incessante nella costruzione di centri di assistenza, ospedali, scuole e università, nella formazione delle popolazioni locali, fondamentale per difendersi dall avidità dei nuovi colonizzatori, e nella promozione di istituzioni locali. Possiamo considerare dunque l impegno per lo sviluppo umano una forma di annuncio evangelico, in quanto punta a far emergere la piena dignità umana. Pur nelle contraddizioni insite nella natura umana, le organizzazioni che lavorano per lo sviluppo (agenzie 14
15 internazionali, ONG, associazioni di volontariato), siano esse o meno di chiara ispirazione cristiana, sono attori rilevanti di questo impegno allo sviluppo. Dunque, anche lavorare per un organismo laico può essere considerato una forma di missione, se personalmente annuncio il Vangelo attraverso le mie opere e la mia vita. 15
16 Conclusione La nostra riflessione sulla missionarietà è partita da motivazioni umane molto diffuse e comprensibili. Queste però non bastano a spiegare il desiderio di partire per annunciare Gesù a persone lontane e diverse da noi. Questo desiderio nasce da una risposta all Amore di Gesù. Un Amore che, quando si riceve, non può essere trattenuto per sé ma porta inevitabilmente ad aprirsi agli altri, a diffonderlo e comunicarlo. La forza dell Amore ci spinge anche ad impegnarci al servizio di più piccoli, i poveri e gli ultimi, in ogni parte del mondo. In questo senso siamo tenuti a conoscere le povertà e le ingiustizie del mondo e a farci vicini ad esse. Abbiamo visto come la missionarietà non si esprime obbligatoriamente in Paesi lontani: è uno stile di vita, un atteggiamento di testimonianza che si realizza quotidianamente. È l espressione del mandato di Gesù, che 16
17 invita gli apostoli e tutti noi ad annunciare il Suo Vangelo in tutto il mondo. Non tanto con le parole, ma con l Amore. 17
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