Un qualcosa che assomiglia molto alla felicità, un ibrido tra l assenza del dolore, del vivere, e la sublimazione dell attimo. Diventò un cercarsi e

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1 Anteprima Macchie di Vita di Roberto Giraudo Il Meisino, per noi torinesi è la terra di mezzo, è molto esteso, un parco naturale generato dalla confluenza di due fiumi, il Po e la Stura di Lanzo. Se vieni a camminare su questi ampi sentieri, guardando il fiume, ti sembra di rivivere i luoghi salgariani, i suoi luoghi di vita. Una vita intensa, luttuosa, diversa, completamente diversa dagli eroi dei suoi racconti. Così mi ritrovo sugli stessi passi a mettere assieme ricordi, pezzi, macchie di vita. Raccontare in modo cronologico non è cosa mia. Amo l immagine che arriva ed il ricordo al quale si associa. Come adesso mi compare alla fine dello sguardo, dove inizia ciò che non sono più io, l immagine di Nino. Nino Rienzo, per tutti Il libraio filosofo, una delle figure centrali nella mia vita. Eravamo assolutamente innamorati di due passioni che condividevamo: Lotta Continua e la Juve, non saprei in quale ordine, ma quando andavamo nella sede del movimento, nel giornale principale c era sempre nascosto il numero di Tuttosport della giornata. I cortei, lo stadio, lunghe discussioni attorno a quel nulla che poi ti fa capire quanto si è stupidi da giovani e quanto non ne sei consapevole. Mentre si cercava un senso e una direzione arrivò l eroina già, ricordo la schiavitù che mi liberava da tutte le altre forme di asservimento : era la dipendenza totale. Ho fatto più cose per l eroina di quante non ne abbia mai fatte poi. Negli anni Nino é stata la porta di uscita da quel mondo nebuloso, freddo, ripetitivo, scandito dal rito quotidiano. Lui credeva nella mia capacità di risorgere, altri no. Ogni tanto farò degli excursus su questi altri, non solo gli occhi di chi non mi conosceva, ma anche famigliari. Solo la psicoterapia mi ha fatto rimettere assieme i pezzi di un grande gioco di incastri, che per semplicità chiamerei vita. Qui potrebbe iniziare un lungo percorso a ritroso nel ricordo. Io, Vivì, Nino Vivì la conobbi una sera di Aprile del 76, i primi mesi in cui avevo iniziato a farmi. Passavo le sere in un luogo che chiamavamo largo Tabacchi, al capolinea di un bus che arrivava a quel confine della città. Lei era carne, pensiero, sentimento, passione, molto ambita dai maschietti del gruppo. Quella sera la osservavo volgere lo sguardo più volte verso di me, seduto, fatto, con una sigaretta pendermi dalle labbra. Si staccò dal suo uomo, fece qualche passo aprì la porta della mia Renault e si infilò sorridendo. La guardavo incarnava uno dei miei archetipi femminili, simile a Stefania e Bruna, due ragazze con le quali intrattenevo rapporti ginnici, ludici, ricreativi. Vivì ai miei occhi era il top e quella sera iniziò quello che a tutti accade.

2 Un qualcosa che assomiglia molto alla felicità, un ibrido tra l assenza del dolore, del vivere, e la sublimazione dell attimo. Diventò un cercarsi e volersi a tutti i costi. Lei con me io con lei e l eroina, lei contro l eroina e sola in una battaglia persa. Era un rincorrersi, io mi confidavo con Nino, lei parlava di me con lui. La preoccupazione per gli effetti della sostanza, Vivì non usava eroina; mi amava così come le donne amano quelle figure ideali o ideate da loro stesse. Era un rapporto mischiato a tante altre storie, molto intenso, molto conflittuale, molta polvere bianca a dividerci. Altre donne, altri uomini, c è sempre qualcun altro. Nel quotidiano mi organizzavo a piazzare piccole partite di polverina. Lavoravo, eufemisticamente, con una coppia di fratelli siciliani molto quotati sul mercato. Andavamo settimanalmente ad incontrare una famiglia di slavi in Milano e lì facevamo rifornimento. Io, ufficialmente, ero l assaggiatore e venivo pagato in sostanza. Nel frattempo conobbi Marina altra figura particolare di quel piccolo mondo, ci incastravamo molto bene e andò avanti un pezzo. Il gestire troppi rapporti con l altro sesso è quasi sempre controproducente, ingombrante, faticoso, ma quelli erano momenti con il piede incollato all acceleratore. Poi vennero le nubi. Rimasi per un paio di mesi in carcere alle Nuove. Un ragazzo della narcotici mi aveva buttato in una stanza di un appartamento dove vivevano una madre e due figli con mezzo chilo di ero sul tavolo. Amen. Uscii e senza attendere il processo mi dileguai. Io e Vivì partimmo, decisione presa in un ora, per la Cornovaglia. Sei mesi per rimettermi in sesto. Modello in un art studio a mostrare nudità ad improbabili anziane pittrici, lava piatti la sera e aprire l alba su mercantili russi ad impacchettare pesce congelato. Quest ultima esperienza organizzata da un messicano, clandestinamente, nell epoca in cui esistevano i due blocchi: NATO vs URSS. MI stavo riprendendo, avrei potuto fermarmi, gestire meglio tempo e situazioni. Dopo un anno vivevamo nella depandance di una villa di un medico in Fallmouth. Quest uomo aveva un figlio della mia età negli Emirati Arabi e si era molto affezionato alla mia persona. Gli facevo da factotum, giardiniere, cura parco auto, restauro mobili antichi: un buon vivere leggero.ma con Vivì non funzionava più, quindi tornammo ed io nel caos. Vivevo di corsa, come viaggiassi da una stazione di metrò all altra, scendere, salire, salire,scendere. Un viavai continuo, Amsterdam, Berlino, Stoccarda, Zurigo, i due siculi come invianti, io come gestore. Polvere e soldi, passaggi veloci di pacchetti, locali, stazioni, brutta gente con la faccia sporca, bella gente con tutto il resto sporco. Poi uno stop veloce, Pino, uno dei due fratelli, arrestato. Mi fermai improvvisamente e simultaneamente mi ritrovai con una mole di problemi da gestire, dipendenza al top, danaro niente, agganci tanti ma copertura nessuna. Condividevo una passione col libero del Napoli calcio di quegli anni. Tutti e due avevamo una storia con una direttrice di un negozio nel centro della mia città,

3 questa ragazza aveva due sorelle proprietarie di un grande centro per la cultura musicale. Il marito di una delle due aveva un sedici metri ancorato ad Alassio, con questo mezzo partiva ogni sei mesi per un porticciolo nella provincia di Nador, nord Marocco e tornava con un buon carico di hashish, nascosto in un doppio pavimento nella stiva. Mi sembrava un buon cavallo da far correre e finanziai un viaggio, un carico, le spese e la percentuale. Avevo rimesso in pista tutto, potevo tornare a respirare in quel mare di merda bianca in cui continuavo ad annegare. Nelle settimane successive al business non feci molto. Bastava un pacchetto di sigarette, una siringa, acqua e cucchiaino. Abitavo in una soffitta affacciata sulla piazza del comune, piazza Palazzo di Città, nel cuore della vecchia Torino. Arrivò un mattino una donna con qualche anno in più dei miei, forse trenta, Rita il suo nome. Le aveva suggerito il mio recapito, come rifugio da storie sue non concluse, Alan vecchio amico e compagno di vita vissuta. Mi colpii subito il suo tremore leggero e continuo, occhi cangianti con l esposizione alla luce, simili ai miei. Molto bella, formosa e sola. Tre cose che si accompagnano bene per iniziare qualcosa tra generi diversi. Ci siamo presi sei mesi di carezze, baci, sostanze molte, fare l amore sempre, soldi di notte girando la provincia a vendere o rubare. Quell esplosione forte ed intensa dentro, mi stringeva, cuore, stomaco, basso ventre. Sembravamo una coppia di polipi avvinghiati a quell essenza mista di umori, orgasmi, roba, giochi e risa. Una fuga di violini in un vento di note. Era il nostro film, ma non era così immutevole. Come tutto cambia, cambiò anche quel registro. Sentii Maurizio, un signor anestesista che si ostinava a cercare di portarmi su un pianeta diverso dal mio, un giorno parlare di interferone. Rita sta molto male, ha contratto l epatite C da tempo, adesso il fegato sta andando in cirrosi. Ho avuto donne nella vita, tante, poche, è relativo o in relazione a tutto il proprio agire, ma Rita era un prolungamento di me. Parlammo della questione, continuò a non modificare il suo modo di vivere. Era cosciente del danno e della direzione presa. Come una pietra che rotola passarono i giorni, un Marzo, un Aprile, un Maggio. La mattina di un venerdì rientrai nella nostra tana, avevo trascorso la notte con Sergio ed un signor nessuno a svuotare un magazzino a Cuneo; Rita stava sul bordo del letto accovacciata, la accarezzai, la baciai e posai la testa sul suo ventre era ancora calda, senza battiti il cuore. Finì come una canzone di Guccini. Adesso questo fiume rompe regolarmente gli argini, ogni anno è una piena e qui a Sassi aprono le barratoie della diga, scende tutto quello che arriva dalla montagna, alberi, pietre, rifiuti tanti, melma spessa e scura, nemmeno i grossi grassi ratti di città si salvano. E un divenire di fogna rivolta al cielo, alle narici di chi cammina.

4 Anche le due puttane nere sedute sul bordo del muretto si tappano il naso con fazzoletti di carta. L odore della città nell acqua, porta a galla tutto ciò che non si vede. Andrea Fossero carabinieri o poliziotti non cambiava la trama. Per dare un po di gusto alle personcine per bene, ci fermavano lungo le vie principali di Torino. Con la faccia al muro, a volte con i calzoni calati ci tenevano per il tempo necessario allo spettacolo. Poi ci portavano in questura o altri in via Valfrè. Ti ficcavano in una stanza, ti facevano denudare, entrava uno sbirro e rideva guardandoti il pene. Non ho mai capito se gli piacesse, il mio, o fosse solo violenza psicologica. A volte ti tenevano legato con le manette ad un termosifone, così per passare il tempo. Quando erano su di giri ti mettevano una coperta in testa e giù botte. Naturalmente a noi pesci piccoli era riservato questo servizio. Ho sempre pensato che alcuni di questi individui con manganello e pistola al fianco, abbiamo un tratto sadico della personalità ed un istinto criminale. A volte la vita li porta ad indossare una divisa, altre a delinquere. Questo è il motivo per cui non mi sono mai stupito di molte vicende luttuose, a carico di singoli o gruppi perpetuate da alcune frange di quel mondo che dovrebbe tutelare noi cittadini. Se siamo in difetto ci sono le leggi, non le caserme. Andrea prendeva sempre di petto le questioni, si lamentava di quelli che sono così precisi da mirare sempre diritto al cuore del nulla. E stato uno dei migliori colleghi che abbia avuto. Veniva anche lui da un passato di strada. Non lo nascondeva ne gli pesava. Negli anni a cavallo dei 90 fondammo cooperative sociali, lavorammo assieme in comunità terapeutiche; la Lega Nazionale Antidroga, da cui uscimmo per differenze ideologiche. Poi un consorzio di coop che ancora è attivo in città: Cartesio. Di seguito un ufficio per fornire mezzi atti allo sviluppo di piccole imprese di famiglie di immigrati dei paesi del nord e centro Africa. Spaziavamo in molte direzioni del sociale. Lui aveva avuto un grande maestro, Luigi Ciotti. Io ero cresciuto pensando al lavoro svolto da Francesco Novara, amico di famiglia, psicologo del lavoro vicino ad Adriano Olivetti. Per noi, individui per anni emarginati, scomunicati dalla società, tenuti ai margini come appestati; tutto questo aveva un retrogusto di rivincita. Ci frequentammo sino al 2005, poi non seppi più nulla. Io lavoravo come battitore libero, seguendo casi individuali, due in particolare: il figlio di un accademico e quello di un grande cantante nazionale. Due personcine

5 completamente diverse. Il primo era pericoloso e violento. Un borderline, alcoolizzato, fumato perennemente di purple haze, con ricoveri repentini nel repartino delle Molinette ( uno degli ospedali centrali della città ) gestito da primari amici del padre. Con brevi disintossicazioni tornava per qualche periodo a vivere in comunità per poi tornare a casa, dove lo attendeva una madre non meno disturbata del figlio. Ma il tutto era tenuto under cover, nessuno si permetteva di parlare della vita privata di questa nota famiglia. L altro, il figlio del cantante, era riservato, silenzioso, sufficientemente depresso, con una moglie che lo dirigeva a bacchetta ed uno stuolo di avvocati e promoter che si riempivano le tasche con i proventi delle royalties delle vecchie canzoni paterne. Di più non voglio dire. Mi preme raccontare di Andrea. Nel Maggio di cinque anni fa emerse dallo sfondo la sorella del mio vecchio compagno di viaggio e mi raccontò un altra storia di quelle poco edificanti che continuate a leggere nelle mie righe. Lory, il suo nome, era di otto anni più giovane del fratello, aveva fatto una vita regolare ( ammesso che il termine abbia un senso compiuto ), amava Andrea, cosa non sempre diffusa nei rapporti parentali. Mi raccontò degli ultimi anni di vita di quell uomo ormai per me disperso. Nel 2006 Andrea si ritrovò un mattino con un medico e due barellieri in casa. Confuso si guardò attorno e cercò il volto della compagna. La donna era spaventata, si era trovata in piena notte con un uomo che aveva avuto una crisi epilettica. Cazzo!! Esclamò. Si ritrovava a cinquant anni a rivivere le esperienze che aveva vissuto da bambino, l epilessia. Poi fu ricoverato, solita prassi, solita routine, diagnosi: focus epilettico. Il che voleva dire tutto e nulla. A distanza di tre mesi altra crisi notturna. Ricovero. Cura: fenobarbitale, 0,5 mg. al giorno più benzodiazepina. Nel corso del tempo sarebbero saliti i dosaggi ed aumentati i disagi. Il lavoro andò gradualmente sfumando, con esso la fiducia, l autostima, l indipendenza economica. Poi andò via anche Angela, la sua donna. Nell arco di un anno e mezzo crollò tutto il palazzo della sua vita. La casa vuota e nessun posto dove fuggire. Denaro zero. Rimaneva ore davanti al pc a perdere quel po di tempo che gli era rimasto. I social network per vedere se qualcuno dal passato compariva su quelle pagine. E qualcuno comparve. Fu l inizio di una tragedia annunciata. Stefania era stata un avventura di anni prima, molti anni prima. Ricomparve così all improvviso nello schermo ed iniziarono a scambiare quelle prime battute di un incontro annunciato che li avrebbe portati a riavvicinarsi. Nei primi giorni dell estate Andrea si trasferì nella casa di Stefy. Era una vecchia cascina piemontese, lasciata un po nell abbandono. Entrando in cucina si notava il nero della fuliggine sui muri, alcune ragnatele penzolare dal soffitto e cani e gatti a gironzolare liberi all interno delle mura domestiche. Non era la quotidianità dell abitudine cittadina. Sembrava di essere entrato in una favola noir della mitologia nordica. L odore forte dei gatti chiuse lo stomaco dell uomo che smarrito

6 guardava il pavimento centenario e scontato. Lei era molto contenta del suo arrivo e parve non badare allo sconcerto che il volto di Andrea esprimeva. Come si era ridotta questa donna e perché? Pensava lui. Dopo venti anni ritrovare una persona con la quale c era stato un buon feeling, completamente mutata. Non era solo l aspetto fisico, che aveva lasciato segni superiori al tempo, c erano ragioni e tormenti nella psiche ad aver cambiato la donna. Ansia, depressione ed una sindrome che molti conoscono come terra di frontiera oltre la quale si entra in una psicosi. Un tentativo di suicidio, abuso di farmaci ed alcool, un incedere quotidiano deprimente. Così nelle prime settimane passate a cercare un abitudinarietà nel nuovo modo di vita, Andrea si trovò proiettato in tutto quel marasma e malessere della persona con la quale avrebbe condiviso il tempo. Le giornate trascorse a camminare nei boschi per evitare la sedentarietà e il deprimente luogo. Camminate lunghe a guardare i ricordi del passato. Trovare il coraggio per proseguire, non fermarsi a contemplare un desiderio di morte. Come molte volte accade, l abitudine a vivere anche le condizioni meno attraenti lo portò a sopravvivere in quel contesto. Stefania viveva un altra concezione del tempo, era un continuo andirivieni tra letto, bottiglia, sigaretta. Anni prima, lei, aveva avuto un compagno che gli era morto accanto, causa una forte crisi di asma. Sembrava essersi fermata a girare in una rotonda di traffico. Sempre uguale, ripetitiva, su se stessa. E voleva attenzione, affetto, amore, sesso, tutto quello che Andrea non riusciva a concepire ed attuare. Aveva smarrito tutti i tratti della femminilità. Della donna che condivideva i pomeriggi con lui venti anni prima, a far l amore, a comunicare di tutto e di tutti, a viaggiare, ad esistere, non era rimasto nulla. Una spelonca grigia, un fantasma, ricordi. In questo luogo viveva anche la figlia di Stefy, Colette. Questa fanciulla ventenne riusciva ad assimilare i lati peggiori della depressione materna, passava ore a chattare sul pc sdraiata come un odalisca sul letto. A volte si intratteneva con amici, chiudendosi in camera e praticando del buon sesso orale. Andrea sentiva tutto e sorrideva pensando alle donne che avevano scambiato con lui giochi e divertimenti. In questo Colette era brava. Iniziarono momenti di forte tensione in questa coppia ritrovata e la figlia cercava di mediare, pur non comprendendo il disagio psichico della madre. Stefania aumentò gradualmente l abuso di alcool, cadde dalle scale di pietra che portavano ai piani superiori, una volta, due,tre. Poi venne il ricovero, le terapie, neurolettici e sedativi. Ma in realtà nulla mutò. Si trattava di decidere a quale sorte e tipo di vita si sarebbe arrivati se fosse tutto rimasto così. Ospedale, medici, psichiatri, liti violente. Andrea era regredito, in un anno tutto era peggiorato. Si trattava di prendere una decisione, vivere in quel modo era di una corrosione unica, incessante. Si trattava anche di salvaguardare una giovane donna, Colette, con una vita da percorrere e poca consapevolezza dentro.

7 La prima mossa fu quella di mettere in vendita la vecchia cascina, poi venne il resto. Con il ricavato, la figlia, riuscì a trovare sistemazione in città, iniziando il suo viaggio universitario. Andrea in quei momenti cercò di contattare dentro di se il sentimento di un tempo, l amore provato per la Stefania del ricordo e una grande pena lo assalì. Capì che comunque non ci sarebbero state soluzioni valide ed un futuro da condividere, anche lei lo comprese. Un mattino del Maggio del 2007 i due partirono per una località che entrambi amavano. Il colle del Moncenisio è caratterizzato dalla presenza di una diga artificiale che forma un lago maestoso, con acque ferme in un azzurro trasparente. Altre volte nel lontano passato amavano passare pomeriggi e serate accampati sulle rive. Quella mattina c era una luce forte che illuminava di vita l aria. Andrea sapeva quale sarebbe stato il compito da chiudere. L atmosfera del luogo non lo aiutava, si sentiva in contrasto con la natura. Pranzarono in una baita gestita da un gruppo di francesi. Bevvero e mangiarono molto, Stefania prese dalla borsa un blister di benzodiazepine e ne ingoiò una manciata. Si diressero in auto sul bordo lago che costeggia il bacino ad un altezza di cento metri. Dall alto della collinetta che fa da confine ad una piccola insenatura, passarono a piedi sugli ultimi passi che dividevano il sentiero dallo strapiombo sul lago. Guardarono l acqua per un attimo, pensarono al loro cuore comune, i ricordi, la vita, la decisione ultima. Si lasciarono cadere con le spalle al lago, guardando per un breve ultimo tempo un cielo macchiato da qualche piccola nuvola. Conto sempre i passi quando cammino, costeggio questo mio fiume Eridano, molto più armonico come suono e non Po come oggi esprimiamo. Nel mezzo della corrente l isolone Bertolla, non raggiungibile a piedi, abitata da ghiandaie, albatros, gabbiani, aironi, con qualche approdo di tartarughe. La città offre loro cibo a sufficienza ed essi hanno cambiato la fauna cittadina. Salgari li avrebbe immaginati, più maestosi, grandi, feroci, animali da giungla, sanguinari come gli editori che lo spinsero nelle braccia della follia e annientamento di se. Ultimo limite evocare a se la morte e consumarla. Follia, suicidio, eliminare quelle parti di te che non riesci a curare confondendo te stesso col tuo limite.

8 Un 23 Dicembre di alcuni anni fa scendendo in auto, da Condove verso Torino, sento squillare il cellulare. La voce di una donna, interrotta dall emozione, mi avvisa di un uomo col quale avevo condiviso una parte della mia vita: suicidato, impiccato alla sbarra da ginnastica. Quest uomo apparteneva ad una famiglia ad un tempo a me cara. Riavvolgo il nastro dei ricordi e rivedo nove anni di depressione sul viso di quell uomo. Mal sopportato dalla moglie, digerito malissimo dal suo figliolo star della danza, compreso meglio dall altro figlio, forse l unico essere consapevole in quel contesto. Luca era il suo nome, un omettino piccolo, abitudinario, noioso e saccente, ma amava la sua compagna, lo si percepiva, constatava e annusava. Luciana,la moglie, invece è sempre stata una donna chiusa, a volte arrogante, avara come la di lei madre. Di certo non amava suo marito e la malattia che si era affacciata nel loro menage: la depressione. Impreparati come lo si è sempre in questi casi, chiesero un minimo di comprensione ed aiuto all unica persona che poteva fornirglielo, cioè io. Li inviai da una collega e seguirono la prassi normale in questi casi, colloqui, farmaci, sconforto, lunghi silenzi, rabbia, delusione, incomprensione. La consapevolezza là dove non esiste non si genera automaticamente. Arrivai in quella casa e come in una scena qualsiasi di uno psicodramma gli attori erano ognuno compito nel proprio ruolo. Due poliziotti a terra discutevano sulla velocità della necrosi che stava macchiando, come fa l inchiostro, il collo del fu Luca, vicino ai due il fratello di Luciana, Giulio. Quest ultimo mal sopportava la scena, ossessionato dalla morte, sfuggiva ogni incontro con persone malate, nemmeno la madre aveva assistito negli ultimi mesi della sua vita. Giulio era una persona che incarnava la bassezza d animo, era capace di abbandonare chiunque se solo si fosse trattato di scegliere tra le cose che agli stesso possedeva e la vita di un altro. In tutto il suo esistere non aveva mai aiutato nessuno, nemmeno il figlio Marcello, ferito nella psiche, afflitto da una sindrome maniaco-depressiva. E come tutte le persone con un indole vile, aveva anche lui i suoi piccoli scheletri da conservare. Amava cercare ragazze di minore età sui social e guardare quelle disponibili sui siti pedo pornografici, contattarle e raggiungerle, pagando il dovuto. Un giorno fu un hacker ad incrociare questa sua perversione ed essendo in confidenza, il pirata, me ne parlò diffusamente. Non seppi se invitare l uomo a denunciare il caso, la moglie di Giulio si era appena ripresa da una lunga malattia e stupidamente, come lo si diventa quando non si vuole guardare, amava il suo omuncolo. Nel contempo Luca aveva lasciato la scena nel momento opportuno, nessuno pianse le sue spoglie. Si percepiva solo freddo, silenzio e vuoto. Almeno non vide ciò che accadde dopo la sua morte.

9 Isabella sorella di Luca. Quest uomo sospeso, non solo ad una sbarra di ferro, ma anche nelle coscienze di tutti coloro i quali avevano voltato il viso in altre direzioni, aveva una sorella minore malata di alzheimer: Isabella. La signora, così si presentava, non aveva mai fatto niente nella vita, nel bene e nel male. Si era maritata ad un signor medico star e faticatore che gli aveva regalato una vita agiata, compensandosi in cambio con un parterre di amanti. Madame non si accorgeva di nulla, era impegnata a far visite alle amiche e shopping nella florida Torino degli anni 70. In questo scorrere fluido della mediocrità di quel ceto sociale intervenne, come un ottava nella legge del sette ( cit. Gurdjeff ), Luciana. Dal sistema consolidato del dirigere tutto verso il cuore del nulla, alla consapevolezza degli avvenimenti. Isabella venne informata dalla cognata dei tradimenti subiti e reiterati. Ohibò! Il risveglio, il manto di nebbia si alza appena dagli occhi ed ecco la realtà dei fatti. E come in tutti i pezzi di teatro scritti in fretta, la signora entra in casa con Luciana, aprono la cassaforte del marito, la ripuliscono di cinquanta milioni di vecchie lire, un centinaio in oro e gioielli, escono e si dirigono nell appartamento della famiglia originaria della femmina tradita. Passati quarantuno anni da quei fatti, Isabella si ritrova a vivere in un appartamento di cui riconosce poco o nulla, sola, senza memoria, sudicia, semicosciente, incapace ad alzarsi dal vecchio divano in pelle. La malattia, lenta, si è infilata quotidianamente e sempre di più attiva. Luciana non ha mai amato sua cognata. Vorrebbe ottenere un ricovero presso qualche struttura. Ha bisogno di competenze ed aiuto. Lei e Giulio hanno un fratello più giovane, Andrea, un uomo completamente diverso dal clichè piccolo borghese delle loro vite. Un uomo che è sempre stato tenuto ai margini della famiglia, ma la stessa persona mal considerata e male accetta, conosce molte persone, medici, assistenti sociali e si cavalca l onda. Isabella viene ricoverata, Luciana ha in mano un conto corrente bancario a doppia firma marito-cognata e mancando il primo: les jeux sont faits! Sposta il danaro sul suo di conto corrente per la metà appartenente al povero ex Luca ed amministra il danaro della cognata ricoverata in un centro per anziani con alzheimer. Rimane un particolare. Luciana si chiede Dove saranno finiti oro e gioielli?. Avendo ormai accesso libero all appartamento di Isabella, inizia a perlustrarlo non trovando nulla e cercando probabilmente una cassaforte. Chiede aiuto a Giulio, al quale interesserebbe mettere le mani anche su quei beni; ma si rivela inaffidabile ed incapace. Rimane da chiedere l aiuto del più giovane, Andrea. Lui si è in grado di trovare una cassaforte a muro, aprirla e consegnare gioielli ed oro alla sorella. Il tutto finisce in una cassetta di sicurezza di un agenzia bancaria in città e

10 probabilmente il materiale è ancora lì. Isabella viene affidata, per legge, all amministrazione di uno studio legale che nulla conosce delle operazioni qui narrate e morirà nel Dicembre 2015, stesso mese di Luca. Camminando lungo la sponda destra del fiume, dopo la diga artificiale che produce corrente elettrica per una parte della città, si può percorrere un sentiero che porta da Sassi a San Mauro, un ora di cammino e riflessioni. Mi guardo e cerco di riconoscermi. Continuo ad ondeggiare nei ricordi come il riflesso che mi trasmette la mia figura sul flusso d acqua, uno specchio gelatinoso abitato dalle figure dei romanzi del celebre Emilio. Mi compare sotto il pelo dell acqua la sagoma del buon mastro artigliere bretone Testa di Pietra, eroe del romanzo che chiude il ciclo dei Corsari delle Bermude. Popolare per la sua forza, scaltrezza e mira infallibile, deve partire in missione per raggiungere il lago Champlain e consegnare un messaggio alle truppe del generale Washington ivi accampate. Siamo in piena guerra di indipendenza americana. La missione è di una difficoltà notevole, in pieno inverno ed in territorio ostile, in una zona del paese abitata da indiani che favoriscono le truppe inglesi Uno squillo del cellulare mi riporta nel tempo presente, solite questioni di lavoro, dovrò riprendere in mano quel romanzo mi si stava riavvolgendo dentro. Furio s father. Furio è stato uno dei pazienti più difficili che ho seguito. Ricco, alto, attraente, maledettamente stronzo. Con un disturbo bipolare di personalità, incrociato ad altri quadri. Era invasivo in ogni situazione, ingestibile, prevaricatorio, manipolatore seriale. Aveva una madre, mia collega, carica di sensi di colpa nei confronti del figlio ed un padre star nel mondo dell arte. Furio non viveva in comunità o appartamenti terapeutici, ma in un bell albergo quattro stelle nella periferia sud est torinese. Andavo a svegliarlo a mezzogiorno e lo portavo in lunghe passeggiate o tour automobilistici nei dintorni della città. Non ha mai fatto vita comunitaria perché il suo narcisismo ne risultava ferito. Veniva a volte in Francia in una sede di soggiorno nel cuore di una foresta. Case ad un piano con sottotetto ed un parco giardino variegato. In una sala, ne ricordo l ombra ed il camino, si tenevano i gruppi, ai quali Furio non partecipava. Istigava piuttosto le personalità più fragili a ribellarsi alle indicazioni che di volta in volta la terapia illuminava nei percorsi di vite disagiate. Frequentava con più interesse le camere delle ragazze. Con troppo interesse. Ed accadeva che dovevo riportarmelo di corsa in Italia. Dopo uno di questi veloci ritorni

11 decidemmo di convocare entrambi i genitori per chiarire alcune questioni inerenti il percorso terapeutico del figliolo. Ed ecco il padre: Leo. Dopo quarant anni mi ricompare davanti staccandosi anche lui da quello sfondo teatrale dove tutti siamo relegati prima che la luce ci illumini. Leo, mi porta indietro, indietro, di corsa a cavalcare il tempo a ritroso, a guardare lui e me ed i segni del tempo medesimo. Ma lui non sa chi sono, io so chi è. Un età diversa da quella in gioco. Io ero ragazzo Leo appena più grande. Avevo una dozzina d anni, via Monferrato a Torino era un ensemble di commerci, cultura, locali dove bere e mangiare, un alberghetto ad ore, il grande Sebastiano il nostro figaro di quartiere. E la via era la parte centrale di quella zona, la Gran Madre il cuore dell Oltre Po. Oggi è un quartiere di nuovi ricchi e parvenue. In quei tempi era un mix di potenza, arte, movimento. Il padre di Furio frequentava una galleria d arte improvvisata, dove passava l onda più allegra e creativa di quello squarcio di città. C erano personaggi epocali, ex partigiani come Gino, che un giorno si gettò dal ponte della Gran Madre per salvare una donna quasi sul punto di affogare. Pit, genio della pittura. Il quale abitava una villetta con un vasca immensa nel giardino ed era uso fare il bagno nudo con amici ed amiche. Un giorno arrivarono due carabinieri, allertati dalle solite figurine meschine del teatrino piccolo del vivere piatto, Pit li accolse e nel volgere di qualche minuto si ritrovarono tutti a rinfrescarsi assieme. Mostri sacri come Julian Beck, col quale giocavamo, noi ragazzi, a calcio nella vicina Esperia dove lui montava la sua tenda ed agiva il suo Living Theatre. Pittoresco ed anche qualcosa in più. C era vita e la si toccava. Irregolare, disordinata ricca di emozioni estetiche. Leo possedeva una bicicletta con carrello a traino ed in quel piccolo contenitore aperto uscivano come mazzi di fiori colorati, quadri, statuette ed oggetti d arte. Sembrava un tardo bohemienne. Passava le giornate a girare città e sobborghi, studiando arte e contemporaneità. Frequentava, come si usava al tempo, tutto e tutti ed in una di queste frequentazioni cambiò il suo esistere. Si attraversava il ponte e si apriva la città, il centro. Nelle vie parallele alla principale via Po, un numero considerevole di piccoli artigiani, rigattieri, artisti ed antiquari, rappresentavano il sociale di Leo. Lui, lì, incontrò l antiquario, il mecenate, l omosessuale colto e discreto in una città dove le trasgressioni erano ben protette. Di questa famiglia, come di molte altre alto borghesi taurinensi, esiste ora una fondazione. Nel tempo dei nostri personaggi c era solo la curiosità e la possibilità di avvicinarsi. Così con alcune frequentazioni tra i due nacque la fortuna di Leo, squattrinato rigattiere pedalatore arrivato con bici e carrello alla ricchezza. Alla fama. Abile e preparato portò nella nostra provinciale ex capitale barocca, il meglio dell underground newyorkese. Esplose come fenomeno locale e salì velocemente sulle scale che portano molto in alto. Non doveva più sottoporsi al cattivo gusto di

12 dover andare d accordo con tutti, adesso apparteneva anch egli alle rarità che vanno ai rari. Quarant anni e di fronte un uomo completamente lontano dai clichè della mia memoria; il ricordo ha sfumature e profumi che la realtà perde inevitabilmente. Furio lo deleghiamo ad incontri futuri. Caravanserai Se salvi la vita ad un rom non sei più gagè. Con queste parole venni accolto da un omone di cento chili alto poco meno di un metro e ottanta, irsuto e con occhi carbone scuro, nel campo con sedici roulottes che lui comandava come un vero sovrano. I gagè per i rom sono gli altri per definizione. Quelli che non sono rom, sono gagè. E un termine dispregiativo. Nella loro cultura, la parola, è sinonimo di malvagità. Marcon, il nome di questo capo, aveva un figlio, Tull, che si era perso nei rivoli sporchi della polverina magica. Inconcepibile per quel tipo di gente e la loro cultura. Sei mesi addietro presi Tull da una cella del carcere di Ivrea e lo portai con me in Francia. Al ritorno fui accolto dalla comunità sinti piemontàkeri come fossi, quasi, uno di loro. Il campo sorgeva su un terreno che Marcon aveva acquistato con cinquanta milioni in contanti da un contadino del luogo, che spaventato per l occupazione della sua terra si era rivolto ai carabinieri. Vajre xajèri t volj,de stu toc d tera?! ( quanti soldi vuoi per questo pezzo di terra?! ) Chiese Marcon al barotto spaventato. Stabilita la cifra, comparvero un bel mucchio di bigliettoni da dieci e cinquanta, una montagna di contanti. Ades al è mi ker ( adesso è la mia casa ). Rise l omone mostrando una fila di denti bianchi, piombo, oro. Rimasi nel campo per quindici giorni ospite ad una condizione, rispettare le loro regole. La seconda sera mi divertii molto. Eravamo seduti attorno al fuoco e notavo nessun movimento riferibile la preparazione della cena. Arrivò uno dei loro ragazzi, una specie di sentinella, riferendo che stava per entrare la polizia nel campo. Due auto gazzella si fermarono a pochi metri dalla roulotte più grande e ne scesero un maresciallo e tre appuntati. Concitatamente discuterono con Marcon della sparizione di una quindicina di galline da una cascina sita sulla provinciale 169. Te scjaire de pulets ici? ( vedi dei polli qui?) Chiese l uomo al maresciallo. Il graduato lo mandò a quel paese, riprese la truppa e partirono sgommando, alzando polvere. Tull mi si avvicinò con un ghigno di soddisfazione, chiamò un paio di fratelli, spazzarono via il fuoco e rovesciarono la terra sotto il medesimo, voilà, i polli erano cotti sotto pochi centimetri di terreno scuro. Chapeau! Marcon mi raccontava, nelle lunghe sere passate a bere birra e vino, le storie del suo popolo, quando

13 ancora i nonni si spostavano su carri trainati da cavalli e nessuno li cacciava o perseguitava come oggi è d uso. Erano prevalentemente circensi o artigiani del rame, le loro donne vendevano, specchietti, pettini, centrini, lenzuola ed altri oggetti comuni. Gli uomini erano bravi addestratori di cavalli ed erano rinomati per la loro capacità di risanare equini malati riportandoli ad una splendente forma. In estate cercavano lavoro in campagna, costruivano sedie e cesti in vimini. In autunno andavano a caccia di ricci, uno dei piatti che, a quel tempo, era tra i più apprezzati nella loro cucina. La sera dopo aver mangiato si sedevano attorno al fuoco e c era sempre un uomo o una donna anziani che raccontavano storie. Gli chiesi molto dei loro usi e dei loro costumi e mi sorprese una notte a raccontarmi di come ricordassero i figli morti prematuramente. I morti bambini. Ognuno di questi piccoli mancati all affetto dei genitori, veniva ricordato nel giorno del proprio compleanno con una cerimonia particolare. La famiglia sinti che aveva subito il lutto ed i parenti stretti, si recavano sulla tomba del piccino o della piccina ed apparecchiavano per un lauto pranzo lasciato a dimora sul luogo. La madre della creatura scomparsa cuciva un vestito della taglia che il ragazzo o la ragazza avrebbe indossato nel giorno in cui morì. Adess d na cuntu un a ( adesso te ne racconto una ) La vesta d la spusa! ( il vestito della sposa.) La nonna di Marcon aveva una sorella, Dorina, alla quale era morta una figlia di cinque anni, Irina. La bambina, giocando, era scivolata in un fiume ed annegata nella corrente d acqua. E fiumi di lacrime versò la madre, pazzia, bestemmia, odio, disperazione, impotenza, cupa rassegnazione e poi sonno per rimuovere tutto. Dove si era nascosto Dio?!! Perché aveva lasciato morire una creatura così fragile e giovane. I pensieri della donna erano ossessivi e ripetitivi. Passarono, giorni, settimane e mesi prima che un po di luce tornasse ad illuminarle il viso. Io guardavo Marcon e ne seguivo le espressioni negli occhi, tutti e due sapevamo che era un dolore insopportabile la perdita di un figlio. Per molti anni a seguire, Dorina, passò i compleanni della bambina, mai festeggiati da viva, sulla tomba della sua ciaiori ( bambina in lingua sinti ), col cibo usuale ed il vestitino nuovo. La tradizione di generazioni passate pesava come un incubo sul sonno della donna. In prossimità di quello che sarebbe potuto essere il diciottesimo anniversario di Irina, la madre iniziò a sognare una ragazza dell età che avrebbe dovuto avere la figlia. Mamma, mamma! Dorina sentiva la voce della figlia. Mamma, sono grande, mamma non portarmi vestiti da bambina. Mamma mi voglio sposare! Mamma,mamma ascoltami!!!. La donna si destava portandosi le mani al volto strillando e svegliando il marito, il quale ascoltava la moglie quasi come un medico sta di fronte ad un delirio. Si, pensava Vasile, a diciotto anni le nostre donne vogliono un marito, ma la mia piccola morta non vedrà gli occhi di un uomo. Dove lei è solo il buio nasconde tutto e mia moglie è impazzita. Poi una notte nel sonno

14 Dorina sente la ragazza chiedere Mamma taglia e cuci un vestito da sposa per me, voglio essere sposa! Portalo la notte del 2 sulla strada da Briceni a Ocnita ( Transnistria reg. della Moldavia ), c è un albero di noci maestoso,lì verrà il mio sposo. Verrà a prendermi con una carrozza ed un ufficiale. La donna si svegliò trasalendo e svegliò il marito scuotendolo. L uomo ascoltò il racconto e cercò di consolare la moglie. Lei scese dal letto, si vestì velocemente e così di corsa al mercato, stoffa, filo, bottoni, vai Dorina, vai, fai quello che ti è stato chiesto. Tornando a casa incontrò alcune sue comari, l ascoltavano ammutolite scuotendo la testa e segnandosi il petto, altre dicevano che era solo un sogno e che tutta questa storia l avrebbe solo fatta soffrire di più. Vasile prese la moglie a male parole dicendole che era diventata una pazza, che non si poteva vivere in una dimensione folle. Niente da fare, Dorina costruì pazientemente il vestito da sposa e la sera del 2 si diresse a quello che nel sogno era indicato da Irina come luogo dell incontro con il suo sposo. Vasile dietro a lei cercava, inutilmente, di fermarla, a parole e bloccandole il passo. Dove vuoi andare pazza?! Urlava impotente davanti alla determinazione della moglie. Dorina si mise a correre sul sentiero che da casa l avrebbe condotta sulla strada sterrata che dal confine porta ad Ocnita. Il vestito per la figlia stretto in grembo e gli occhi pieni di pianto, correre, correre, correre. Vasile ad inseguirla. Alle dieci di sera erano giunti in prossimità dell albero di noci. Nessuna luce ad illuminarli. Nebbia, freddo dell autunno inoltrato, nessun movimento di auto, o altro. Carrozze?! Mah! Il marito guardava questa donna con occhi increduli: Dove ci siamo cacciati? Perché questo delirio è diventato realtà? Lei no, dentro di se cercava di immaginare la carrozza. Cosa voleva mai dire, che cosa poteva significare, quale mezzo in quel mondo sperduto sarebbe mai passato? Le dieci e trenta, le undici, quindici a mezzanotte.due fari in lontananza, rombo di un grosso diesel: convoglio militare. Dorina corse nella direzione del veicolo, l autista scartò per non investirla. Togliti pazza!! Esclamò premendo sul freno. Il mezzo e l equipaggio erano di ritorno da una missione in frontiera per stanare trafficanti d armi. Vasile a quel punto prese la moglie per un braccio strattonandola e cercando di trascinarla via dal luogo. Dorina si gettò a terra con il vestito tra le mani, si asciugò le lacrime e cercò di penetrare la nebbia con quegli occhi offuscati e vuoti di ogni speranza. Giunse in lontananza il rumore di un altro veicolo, la donna si lanciò e il tutto si stava ripetendo come pochi minuti prima. Il camion scartò l ostacolo e proseguì veloce. Ora nemmeno il pianto, la bocca spalancata, nella mente la voce di Irina, nel cuore il vuoto. Due fari illuminarono per un terzo tempo la scena, Dorina decise che comunque sarebbe finito tutto quella notte, in ogni caso non ci sarebbe più stata vita. Si gettò sul muso dell autoveicolo volendo terminare la propria esistenza in un lampo, in un agito. L abilità e la capacità di reazione

15 dell autista evitarono il compiersi del dramma. Dal veicolo balzò a terra un tenente e vista la disperazione sul volto della donna ne chiese ragione. Lei ha messo in pericolo la vita del mio equipaggio. La donna guardò questo giovane ufficiale, si gettò ai suoi piedi raccontando convulsamente tutta la sua vita, la sua storia, la figlia, il sogno, il vestito della sposa L uomo la sollevò da terra, la prese delicatamente per le mani, andarono sul retro del camion, il tenente scostò il pesante telone ed in mezzo a due file di sei soldati seduti, giaceva il corpo di un giovane militare ucciso un ora prima in un conflitto a fuoco. Dorina comprese tutto così velocemente che svenne esausta. Il sorriso di Irina l accompagnò sino al risveglio. Il giovane uomo ed il vestito della sposa vennero seppelliti assieme nella tomba adiacente quella di Irina nel piccolo paese di omissis I genitori di lui con Vasile e Dorina diventarono consuoceri. Ci sono storie d amore che non si toccano, né si vivono, così forti ed intense che le si possono solo raccontare. Marcon quella sera mi ha insegnato molto. Guardai le rughe del suo volto e gli occhi penetranti. Lo ringraziai alzandomi. Poi la vita continuò. Roberto Russo, percorso d eccellenza. Roberto, io, l ho conosciuto che non era ingegnere ne scrittore. Era Roberto e basta. Tosto, determinato come pochi, intelligente e curioso. Coraggioso direi più che ogni altra cosa. Frequentava un associazione di Alpignano, usava per comunicare una tabella piatta con lettere e numeri scritti sulla base. Adoperava il mignolo della mano destra ed era un vulcano di comunicazione, con risultati scolastici che gli permettevano di oltrepassare il limite del disagio fisico. Io questo limite del corpo glielo riconoscevo, ma il tutto era più del particolare. Dovessi definire una intelligenza pratica e costruttiva, potrei inequivocabilmente riferirmi a lui. Relazionarsi con Roby voleva anche dire imparare a mettere in pratica la disponibilità cha a volte usiamo solo nel linguaggio e non negli agiti. Comunicare con lui ripagava tutta l attenzione impiegata nell ascoltarlo. La disartria ( disturbo motorio del linguaggio ) gli ha permesso nel corso del tempo di elaborare risposte informatiche a quello che sembrava un limite invalicabile. Quando una persona con questo limite si trova in ambiti comunicativi ne risulta emarginato. Nella formazione

16 scolastica di Roberto è stata la comunicazione il vero faro a cui puntare. Il software da lui elaborato, la risposta ad anni di studio. L ambiente, la scuola, gli amici e prima la famiglia gli hanno dato la possibilità di emergere. Lui comunque ai miei occhi rimane unico. Si è sempre chiesto un qualcosa in più, tra problemi, speranze, successi e fallimenti. Nonostante la mia di formazione come psicoterapeuta e l abitudine ad incontrare diverse forme di disagio, Roberto mi metteva in contatto con la mia capacità di apprendere nuove vie di comunicazione. Mi faceva lavorare sull ascolto dell altro. E una delle cose più difficili da apprendere nella vita. Tutti vogliamo essere ascoltati, tutti abbiamo qualcosa da comunicare, ma nessuno si mette in un ascolto vero dei bisogni di chi abbiamo di fronte. Il confronto con la malattia ha trasformato la medesima in una sorta di forziere da cui trarre idee di trasformazione della realtà. Roberto ha un diploma di laurea in ingegneria informatica, ha prodotto un software, ha scritto un libro Non arrendersi mai-lo voglio ringraziare attraverso questo breve scritto, perché mi ha dato la possibilità di superare le mie disabilità interiori. E stato per me un maestro amico. Mentre cammino a bordo fiume incrocio con gli occhi, i movimenti di piccole e grosse tartarughe, abbandonate nel fiume da genitori abituati a confondere i desideri dei figli con le vite di queste Trachemis. Già il nome scientifico della specie, mi rimanda a luoghi esotici, gli stessi immaginati dall Emilio. E osservando lo spessore grigio verde del fiume mi rimetto nel ricordo di quel tratto di penna ripetuto per una vita intera. Visse in onorata povertà, popolando il mondo di personaggi nati dalla sua inesauribile fantasia, fedeli ad un cavalleresco ideale di lealtà e coraggio. _Corso Casale 205 Torino_ Targa alla memoria. Le donne di Michele. Michele era un quarantenne che viveva in un piccolo appartamento della zona precollinare della città. Aveva avuto un lungo periodo di gloria, insegnando ai suoi allievi le strade che portano alla consapevolezza di sé. La consapevolezza è la religione più semplice e naturale che esista. Non esiste nulla oltre. Non lasciamo che nelle nostre vite tutto accada senza consapevolezza. Questi erano i suoi leitmotive. Il risveglio che porta luce dentro di noi è contagioso, ma lo è anche il sonno. Così quest uomo passò da un attenzione spasmodica alla coscienza, ad un isolamento totale dalla realtà. Si diventa qualsiasi cosa si pensa, sosteneva Buddha. Michele

17 decise che rimanere da solo era la cosa più intensamente cercata e voluta dentro di sé. Aveva imparato costantemente ad osservarsi, perdendo gradualmente la percezione degli altri.

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