LA DIALISI: NURSING COME PUNTO DI PARTENZA PER IL MIGLIORAMENTO DELLA QUALITA DELLA VITA

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1 UNIVERSITA DEGLI STUDI DI BARI A. MORO FACOLTA DI MEDICINA E CHIRURGIA CORSO DI LAUREA IN INFERMIERISTICA POLO IONICO Coordinatore didattico: Prof. L. Santacroce TESI DI LAUREA LA DIALISI: NURSING COME PUNTO DI PARTENZA PER IL MIGLIORAMENTO DELLA QUALITA DELLA VITA RELATORE Prof. Giovanni PERTOSA CORRELATORE Dr.ssa. Pasqua LIGORIO LAUREANDA Silvia SECLI

2 Anno Accademico 2010/2011 INDICE PREMESSA 7 INTRODUZIONE..8 PARTE PRIMA CAPITOLO 1: Cenni di anatomia e fisiologia del rene 1.1 Cenni di anatomia del rene Cenni di fisiologia del rene. 13 CAPITOLO 2: Insufficienza renale 2.1 Insufficienza renale acuta (IRA) Insufficienza renale cronica (IRC)..17 ~ 2 ~

3 CAPITOLO 3: Trattamento sostitutivo 3.1 Dialisi Emodialisi Dialisi peritoneale Trapianto del rene Tecniche dialitiche Accessi vascolari Fistola artero-venosa Complicanze dell accesso vascolare permanente e precauzioni del paziente Cateterismo venoso centrale a breve e a lungo termine Complicanze tardive del catetere venoso centrale e precauzioni del paziente Seduta emodialitica Principali complicanze durante il trattamento emodialitico Complicanze della dialisi peritoneale Considerazioni conclusive.. 54 ~ 3 ~

4 CAPITOLO 4: La qualità della vita in un paziente in dialisi 4.1 Alimentazione Problemi psicologici del paziente dializzato Aspetti psicologici del paziente emodialitico acuto..., Aspetti psicologici del paziente emodialitico cronico...,, Come migliorare la qualità della vita..77 CAPITOLO 5: Supporto infermieristico al paziente dializzato 5.1 Formazione ed informazione Alterazioni sistemiche l infermiere e la famiglia del dializzato Le aspettative reciproche Metodologie infermieristiche Burn-out in dialisi Consigli al cambiamento PARTE SECONDA ~ 4 ~

5 CAPITOLO 6: Indagine svolta nella Struttura Complessa Nefrologia e Dialisi presso la Struttura Sanitaria SS. Annunziata di Taranto 6.1 Metodologia, strumenti e campione Obiettivi dello studio Elaborazione e discussione dei dati CONCLUSIONI.107 BIBLIOGRAFIA SITOGRAFIA 116 RINGRAZIAMENTI 117 ALLEGATO 1: Questionario somministrato nella Struttura Complessa di Nefrologia e Dialisi dell ospedale SS. Annunziata di Taranto 121 ~ 5 ~

6 PREMESSA Lo studio della mia tesi è stato condotto nella struttura complessa di Dialisi, presso l ospedale SS. Annunziata di Taranto. In questa sede, ho conosciuto i pazienti affetti da insufficienza renale cronica indirizzati, dal medico specialista, verso il trattamento emodialitico, quale terapia sostitutiva. Ho avuto modo di notare che, il paziente richiede specifiche informazioni mediche su tutto ciò che riguarda la propria terapia a cui periodicamente si sottopone. In questo reparto ospedaliero, in particolare, fondamentale importanza assumono gli aspetti psicologici ed in special modo, molto si gioca sul terreno del rapporto umano, sebbene difficoltoso, instaurato tra infermiere e paziente. Le qualità richieste all infermiere sono, oltre che ad un indiscutibile professionalità specialistica di base, accresciuta, dall'aggiornamento accademico permanente, anche, la personale disponibilità all'ascolto, la competente informazione finalizzata a rassicurare il paziente circa l'affidabilità delle cure. In definitiva,l'infermiere si deve misurare anche attraverso il controllo della propria sfera emozionale, garantendo un' approccio terapeutico efficace ed efficiente. Queste, le principali ragioni che mi hanno indotta a far ricadere la scelta sulla dialisi come interessante argomento di più approfonditi ~ 6 ~

7 studi e ricerca finalizzati in conclusione alla realizzazione della presente tesi di laurea. INTRODUZIONE In letteratura risulta che negli ultimi anni i pazienti affetti da nefropatie croniche, traggono sempre più giovamento dal trattamento sostitutivo emodialitico. Infatti, con l introduzione della dialisi, si è riscontrato un aumento della sopravvivenza per molti pazienti affetti da insufficienza renale cronica. Tale trattamento permette, nella quasi totalità dei casi, una ripresa ed un mantenimento delle principali funzioni biologiche pur rimanendo la condizione di insufficienza della funzione renale. I problemi clinici pertanto, col passare del tempo sono migliorati, garantendo un buon livello di sopravvivenza; ma ad oggi, ad essere ancora fonte di studio e discussione, sono la qualità di vita e, le problematiche psico-sociali, sia tra gli operatori sanitari che tra i pazienti e i loro familiari. La persona si trova a dover affrontare diverse prove,prima fra tutte è proprio la sua malattia. Conoscerla, capirne i sintomi e, l eventuale trattamento, porteranno la persona ad intraprendere una nuova strada nella sua vita. La dipendenza dalla macchina, comporta anche sentimenti d inadeguatezza e, difficoltà nelle relazioni interpersonali. Il trattamento emodialitico comporta cambiamenti radicali dal punto di vista psicologico, fisico e nelle abitudini di vita del paziente. ~ 7 ~

8 L accettazione è senz altro,la tappa fondamentale che filtra spesso, attraverso il rapporto che s instaura fra il paziente e l infermiere. Difatti quest ultimo, diventa un punto di riferimento fondamentale per il paziente e, dev esserne consapevole per gestirne al meglio questo rapporto. Durante il tirocinio, ho incontrato spesso, tra le persone emodializzate, pazienti per cui a volte era molto difficile accettare di essere legati, per sopravvivere, ad una macchina e che, di sovente lamentavano quanto fosse difficile continuare a vivere in tal modo. A quel punto, mi sono posta alcune domande: Com è la Qualità di Vita di una persona emodializzata? Che cosa determina il miglioramento della Qualità di Vita dei pazienti dializzati? L assistenza dell infermiere può incidere sulla stessa? Queste domande sono state la guida ed, il principale obiettivo che mi sono posta per l elaborazione della presente tesi, così composto: Nel primo capitolo della tesi sono riportati dei cenni di anatomia e fisiologia del rene e, le cause di insufficienza renale acuta e cronica che, condurranno al trattamento dialitico. Il secondo capitolo, invece presenta i vari trattamenti sostitutivi, preposti in seguito ad insufficienza renale. Il terzo capitolo si occupa del tema centrale della tesi, ovvero definisce la qualità di vita, con le connesse problematiche. Infine l ultimo, il quarto, si occupa della parte sperimentale: viene riportata l indagine effettuata allo scopo di fornire dati utili sulla qualità di vita di un gruppo di 15 pazienti in trattamento emodialitico, presso l ospedale SS. Annunziata di Taranto. ~ 8 ~

9 La rilevanza di questo studio è rappresentata dal fatto che dalla revisione della letteratura non sono emersi studi che riportino la diretta correlazione tra i sistemi di efficienza dialitica e, la percezione del miglioramento della qualità di vita totale nelle persone in emodialisi, il trattamento appropriato considerato un fattore che incide sulla qualità di vita delle persone dializzate. ~ 9 ~

10 PRIMA PARTE CAPITOLO 1: Cenni di anatomia e fisiologia del rene 1.1 Cenni di anatomia del rene Cenni di fisiologia del rene ~ 10 ~

11 1.1 Cenni di anatomia del rene Il nostro apparato urinario è costituito da due reni, i calici renali, la pelvi renale, gli ureteri, la vescica e l uretra. Eccetto i reni, che sono deputati alla formazione dell urina, le altre strutture anatomiche, svolgono la funzione di veicolare l urina all esterno. Topograficamente, i reni sono localizzati nella fossa lombare a destra e a sinistra, rispetto alla colonna vertebrale (il destro è 2-3cm più in basso del sinistro). I reni, presentano la forma di due grossi fagioli, con peso medio di 140gr ciascuno, diametro longitudinale di 11-12cm e uno trasversale di 5-7cm. (fig 1.). L unità morfo-funzionale del rene è rappresentata dal nefrone; Ciascun rene è composto da circa 1 milione di questi, ognuno dei quali è formato dal corpuscolo renale del Malpighi e dal sistema tubulare (tubulo contorto prossimale, ansa di Henle, tubulo contorto distale e tubulo collettore). Il corpuscolo renale presenta il glomerulo ~ 11 ~

12 arterioso e la capsula di Bowman Il processo di formazione dell urina, prevede una serie di passaggi. Il filtrato glomerulare entra nel tubulo contorto prossimale, attraverso la capsula di Bowman; da qui attraversa ansa di Henle e tubulo contorto distale, in cui sono riassorbite ed eliminate sostanze di scarto(non filtrate dal glomerulo)e, raggiunge il dotto collettore. Superato questo processo, il filtrato glomerulare diventa urina e, attraversa le pelvi renale, defluendo nelle vie urinarie. Il processo di formazione dell urina, prevede come prima tappa la filtrazione, fondamentale per il processo di depurazione. Quest ultimo avviene nei glomeruli, secondo gradiente pressorio. Ovvero, filtrazione e pressione idrostatica glomerulare, sono direttamente proporzionate e, all abbassarsi della pressione intraglomerulare, si abbasserà la quantità di filtrato glomerulare prodotto. 1.2 Cenni di fisiologia del rene All arteriola afferente ed efferente, è affidato il compito di mantenere costante la pressione intraglomerulare, al fine che anche cambiamenti marcati della pressione arteriosa sistemica, non andranno a variare in modo significativo, né flusso sanguigno, né filtrazione glomerulare (fig.2). Giornalmente, con la filtrazione, si avranno circa 180 lt di ultrafiltrato, di composizione similare a quella plasmatica. Acqua e soluti, dal sangue dei capillari, filtrano all interno della capsula di Bowman. Da quest ultima, il liquido passa nel tubulo, in cui si modifica la sua composizione chimica si concentra. La pre-urina si modifica durante il passaggio nel tubulo e, sostanze di scarto, tra cui l urea, ammoniaca, creatinina, corpi chetonici, alcuni residui di ~ 12 ~

13 farmaci, alcuni ioni, ormoni e vitamine in eccesso, vengono concentrate ed eliminate. Simultaneamente, si verifica la regolazione del bilancio idrico, attraverso il riassorbimento dell acqua. In un rene funzionante, il volume medio dell urina escreta nelle 24 ore è di circa 1,5 lt; questa quantità varia anche in base alla quantità dei liquidi assunti e, alla loro perdita, tramite respirazione, sudorazione ed eventuale vomito e diarrea. I tubuli, riassorbono l acqua,influenzati dall ormone antidiuretico ADH, il quale rende permeabile all acqua le cellule dei tubuli distali. L aldosterone, invece, è deputato al riassorbimento tubulare del sodio, elevando la concentrazione del sodio ematico, porta al riassorbimento dell acqua,regolando l escrezione del potassio. Invece, l ormone natriuretico atriale, ANH, promuove l eliminazione di sodio con le urine, si antagonizza all aldosterone, portando i renio a riassorbire meno acqua e, quindi a produrre più urina. Citiamo quelle che sono le funzioni fisiologiche del rene: Partecipa alla regolazione dell equilibrio elettrolitico; Partecipa alla regolazione acido-base; Elimina l acqua e prodotti del metabolismo; Produce la formazione dell urina; ~ 13 ~

14 Produce ormoni, come la renina, prostaglandine, eritropoietina e vitamina D, importante nell omeostasi calcica. CAPITOLO 2: Insufficienza renale 2.1 Insufficienza renale acuta (IRA) Insufficienza renale cronica (IRC) 17 ~ 14 ~

15 L insufficienza renale è una sindrome clinico-metabolica che si instaura quando, per cause molteplici, si riduce la capacità dei reni di espletare le loro specifiche funzioni(escretoria ed endocrina). In base alle modalità di comparsa, l insufficienza renale, si suddivide in acuta e cronica. 2.1 Insufficienza renale acuta (IRA) L insufficienza renale acuta è una grave sindrome, caratterizzata da una rapida riduzione della funzione renale, con conseguente ritenzione acuta dei prodotti del catabolismo, normalmente escreti con le urine (fig.3). Comprende una varietà di condizioni cliniche, di diversa patogenesi ed eziologia, associate a progressivo aumento nel sangue di composti azotati e, nella maggior parte dei casi, a riduzione della diuresi a meno cc/die. A seconda delle modalità di comparsa, caratteristiche di decorso e, indirizzo terapeutico, si distinguono tre forme di insufficienza renale acuta: IRA PRE RENALE: in cui la riduzione acuta della funzione renale si verifica per riduzione della perfusione renale, in assenza di significative alterazioni morfologiche delle strutture parenchimali. Questa forma è anche definita funzionale, per ~ 15 ~

16 la reversibilità del quadro dopo la correzione delle cause dell ischemia renale; IRA POST RENALE: in cui la riduzione acuta della funzione renale consegue ad ostruzione del tratto urinario inferiore. Se l ostruzione è completa, in rene unico, obilaterale, si ha anuria completa. Se l ostruzione urinaria, induce alterazioni morfologiche e funzionali renali, di tipo ed entità variabili in rapporto alla causa, sede, grado e durata dell ostruzione stessa; IRA ORGANICA: in cui la riduzione acuta della funzione renale si verifica per la presenza di lesioni renali organiche (glomerulari, interstiziali, vascolari, tubulari). E definita IRA da danno renale intrinseco (o forma renale). 2.2 Insufficienza renale cronica (IRC) L insufficienza renale cronica (IRC) è una condizione che si verifica nel momento in cui vi è la perdita irreversibile della funzione renale. Quest ultima provoca uno stato di intossicazione cronica dell organismo, conosciuta come uremia che, se non curata, porta a morte. Questo stadio finale dell'insufficienza renale si chiama insufficienza renale terminale; la sopravvivenza è possibile solo con la terapia sostitutiva della funzione renale. Le malattie che colpiscono i reni e, che col tempo, possono portare alla IRC, sono molte e di origine diversa. Alcune, colpiscono esclusivamente i reni, altre anche organi diversi, a volte sono già presenti dalla nascita ma, nella maggior parte dei casi, insorgono nel corso della vita. Possiamo classificare, pertanto, le malattie renali, in cinque gruppi: ~ 16 ~

17 Nefropatie glomerulari Nefropatie tubulo interstiziali Nefropatie vascolari Nefropatie ereditarie Nefropatie secondarie Analizzandole brevemente: Le NEFROPATIE GLOMERULARI, conosciute anche come glomerulonefriti, rappresentano ancora oggi la causa più frequente di IRC. Sono malattie in cui viene inizialmente danneggiato il glomerulo che, perde la capacità di filtrare il sangue. Questo danno, solitamente insorge nelle diverse età della vita, come conseguenza di una malattia esclusivamente renale (glomerulonefriti primitive) o, di altre malattie che colpiscono anche altri organi (glomerulonefriti secondarie).nel primo caso, la malattia glomerulare è determinata sostanzialmente da un anomalo funzionamento del sistema immunitario; Nel secondo, le forme più frequenti, sono quelle associate al diabete, gravidanza o, al mieloma multiplo. Le NEFROPATIE TUBULO INTERSTIZIALI, rappresentano la seconda causa di IRC. Queste malattie, sono meglio conosciute come pielonefriti, in quanto la causa più frequente è un infezione cronica delle vie urinarie, favorita soprattutto da un ostacolo al flusso dell urina lungo le vie urinarie. L ostruzione delle vie urinarie è determinate da malattie congenite, come il reflusso vescico ureterale e ostruzione delle vie urinarie. Talvolta, possono manifestarsi anche nel corso della vita come, calcolosi, ipertrofia prostatica, tumori ~ 17 ~

18 dell apparato urinario o di organi vicini o, alterazioni della vescica da lesione del sistema nervoso. Tuttavia, le malattie renali tubulo interstiziali, possono essere anche la conseguenza di disordini metabolici dati, per esempio, da diabete, gotta, presenza elevata nel sangue di calcio e bassi di potassio. Oppure ancora possono manifestarsi in conseguenza di eccessivo abuso di farmaci o, causate da sostanze tossiche come, piombo, litio, radiazioni. Nelle NEFROPATIE VASCOLARI, il danno si localizza a livello dei piccoli vasi arteriosi, che portano il sangue al rene. La forma più frequente di danno renale è in questo caso, quella legata ad un elevata pressione del sangue, ovvero all ipertensione, soprattutto quando quest ultima non è adeguatamente trattata. Le NEFROPATIE EREDITARIE, conosciute anche come malattie renali cistiche, sono generalmente trasmesse dai genitori, presenti dalla nascita e che, nel corso della vita,portano all IRC. La più frequente di questo gruppo è il rene policistico, caratterizzato dalla presenza di un notevole numero di cisti, che sostituiscono i nefroni del tessuto renale. Le NEFROPATIE SECONDARIE, comprendono nefropatie nelle quali, la disfunzione renale insorge secondariamente ad altre patologie. Citando alcuni esempi: Disfunzioni renali dovute ad alterazioni gravi e permanenti del bilancio elettrolitico( ipokalemica); ~ 18 ~

19 Disfunzioni renali in corso di epatopatie (sindrome epatorenale); Disfunzioni renali in corso di endocrinopatie (iperparatiroidismo primario, sindrome di Cushing, feocromocitoma); Disfunzioni renali in corso di malattie dismetaboliche (ossalosi, cistinosi); Nefropatia gravidica; Nefropatia diabetica; Nefropatia secondaria ad amiloidosi, paraproteinemica, o a neoplasie maligne. Un accenno va fatto sul diabetico uremico, il quale è da sempre "più malato" di quello con insufficienza renale non diabetica, ed è costretto, rispetto a quest'ultimo, a sottoporsi alla dialisi più precocemente. Questo si determina perchè il quadro clinico della malattia è reso più complesso dalla contemporanea presenza delle complicanze secondarie a carico degli occhi (retinopatia), dei vasi (macro- e micro-angiopatia), del sistema nervoso (neuropatia autonoma) e del cuore (coronaropatia). La situazione neurologica è spesso complicata da disturbi neurologici di svuotamento vescicale e da infezioni delle vie urinarie. Benché non tutte le nefropatie esitino necessariamente in un'insufficienza renale terminale, la loro conoscenza è importante per la valutazione della prognosi e per l'applicazione di eventuali misure terapeutiche. ~ 19 ~

20 CAPITOLO 3: Trattamento sostitutivo 3.1 Dialisi Emodialisi Dialisi peritoneale Trapianto del rene Tecniche dialitiche Accessi vascolari Fistola artero-venosa Complicanze dell accesso vascolare permanente e precauzioni del paziente,,,,,, Cateterismo venoso centrale a breve e a lungo termine Complicanze tardive del catetere venoso centrale e precauzioni del paziente Seduta emodialitica Principali complicanze durante il trattamento emodialitico Complicanze della dialisi peritoneale ~ 20 ~

21 3.8 Considerazioni conclusive.. 54 Le terapie sostitutive della funzione renale sono attualmente rappresentate da: 1. Dialisi che si divide in: emodialisi o dialisi extracorporea; dialisi peritoneale o dialisi intracorporea; 2.Trapianto renale. È importante sottolineare come, a seconda della situazione clinica, il paziente possa beneficiare dell uno o dell altro di questi trattamenti che tuttavia non devono essere considerati soltanto alternativi ma, in alcuni casi, alternabili in modo da ottenere migliori risultati in termini di qualità di vita e di sopravvivenza. 3.1 LA DIALISI La dialisi può essere definita come un procedimento attraverso il quale, il sangue del paziente viene depurato dalle scorie che i reni non riescono più ad eliminare. L allontanamento di queste sostanze è reso possibile dal passaggio del sangue attraverso una membrana semipermeabile naturale o artificiale che mette a contatto il sangue con una soluzione dializzante. Attraverso i pori di questa membrana le molecole di piccole e medie dimensioni passano facilmente, quelle di grandi dimensioni meno. La membrana che separa il sangue del paziente dalla soluzione di dialisi viene chiamata semipermeabile perché dotata di pori facilmente attraversati da molecole di piccole dimensioni ma non da quelle di dimensioni maggiori. Il trattamento dialitico non è in grado di sostituire tutte le funzioni del rene ma ~ 21 ~

22 assicura al paziente la rimozione delle principali tossine uremiche e il ripristino dell equilibrio idro-elettrolitico e acido-base solitamente compromessi dallo stato uremico. Sia con l emodialisi, sia con la dialisi peritoneale, la rimozione di liquidi e soluti in eccesso nell organismo è regolata dalle stesse leggi e dagli stessi principi: la diffusione, la convezione e l ultrafiltrazione; questi possono essere isolati o combinati a seconda della metodica. Premettendo che entrambi i trattamenti depurativi danno risultati sovrapponibili sia in termini di sopravvivenza, sia di controllo dell uremia, ogni qualvolta si renda necessario vicariare la funzione renale, il problema più importante da affrontare è la scelta della metodica dialitica compatibile con il quadro clinico e più idonea per quel paziente. In altre parole, devono essere attentamente valutati i benefici e le controindicazioni relative o assolute di una e dell altra metodica EMODIALISI L emodialisi, solitamente eseguita in centri ospedalieri da personale esperto, consente depurazioni molto efficaci ma intermittenti, essendo effettuata nella stragrande maggioranza dei casi con sedute trisettimanali, di durata compresa tra le 3-4 ore. I problemi maggiori di questa metodica dialitica sono rappresentati dalle notevoli sollecitazioni emodinamiche a cui i pazienti vengono sottoposti per rimuovere il sovraccarico idrico fra una seduta dialitica e la successiva e, in alcuni casi, dalla difficoltà alla costruzione e al mantenimento di un idoneo accesso vascolare. Tuttavia, la moderna tecnologia, rendendo più affidabile e più duttile questa metodica alle varie esigenze cliniche, ne ha di fatto consentito ~ 22 ~

23 un impiego sempre più esteso tanto da farla diventare trattamento d elezione nei casi d urgenza. Per l esecuzione di un trattamento emodialitico sono necessari: - un accesso vascolare che garantisca elevati flussi di sangue; - una membrana semipermeabile (filtro o dializzatore) che divida il comparto ematico dalla soluzione di dialisi; - un apparecchiatura di controllo e di regolazione del processo emodialitico (monitor di dialisi); - una soluzione dializzante (bagno di dialisi). L emodialisi è quindi una terapia sostitutiva della funzionalità renale. È una tecnica che permette di rimuovere le sostanze tossiche che si accumulano nel sangue, mediante una sorta di lavaggio del sangue fatto con l utilizzo di un filtro esterno posto su una macchina chiamata rene artificiale (fig.4). Il procedimento è finalizzato a sostituire alcune delle funzioni svolte fisiologicamente dal rene, ovvero: rimuovere i liquidi; rimuovere le sostanze tossiche; determinare il riequilibrio elettrolitico. ~ 23 ~

24 Per effettuare il trattamento emodialitico, il sangue viene prelevato attraverso un sistema di pompe da un apparecchio(rene artificiale), lo trasporta ad un filtro dove avvengono gli scambi necessari alla depurazione e, quindi lo restituisce al paziente. La purificazione del sangue nell emodialisi avviene grazie a dei principi fisici, chimici e, meccanici che avvengono a livello del filtro di dialisi dove si incontrano, senza entrare direttamente in contatto, sangue e dialisato. Il punto nevralgico del trattamento dialitico è quindi, il filtro dializzatore (composto da tanti piccoli capillari di membrana semipermeabili, intorno ai quali, con un sistema a doppio comparto, scorre il dialisato). Il dialisato è una soluzione acquosa arricchita dei soluti che è necessario cedere al sangue e, povera di quelli da sottrarre. Per eseguire l emodialisi è indispensabile disporre, quindi, di: L ACCESSO VASCOLARE, attraverso il quale il paziente è collegato al rene artificiale; MONITOR DI DIALISI o, rene artificiale, composto da una serie di pompe indispensabili per prelevare e restituire il sangue al paziente e da una serie di pompe idrauliche che ~ 24 ~

25 servono a creare la soluzione detta BAGNO DI DIALISI (fig.5); Il FILTRO è il luogo in cui avvengono gli scambi. Per consentire un adeguata depurazione,è necessario avere inoltre un adeguato apporto sanguigno. Ma, per avere dei flussi efficaci bisogna disporre di un vaso che abbia un alta portata ed un alta pressione,da cui poter agevolmente prelevare il sangue e, di un vaso di grosso calibro, elevata portata e bassa pressione per il ritorno al paziente di sangue già dializzato. Queste condizioni sono ottenibili attraverso due sistemi diversi: la costruzione chirurgica di una fistola artero-venosa; il posizionamento di un CVC DIALISI PERITONEALE L azione dialitica avviene all interno del paziente, sfruttando una membrana naturale come il peritoneo, che è estremamente vascolarizzata. Con questa metodica, la soluzione dializzante sarà posta nella cavità addominale (fig.6), attraverso apposito catetere, entrando così a contatto con la membrana peritoneale e, con ~ 25 ~

26 l interposizione di essa, con il sangue che irrora questa membrana sierosa; è proprio questo il meccanismo d azione su cui si basa la dialisi peritoneale. Chiaramente, a seconda della situazione clinica, il paziente può beneficiare dell uno o dell altro di questi trattamenti; ad ogni modo, non devono essere soltanto alternativi ma, in taluni casi, alternabili, allo scopo di ottenere migliori risultati in termini di qualità di vita e di sopravvivenza. 3.2 TRAPIANTO DEL RENE Negli ultimi anni un crescente numero di pazienti ha potuto beneficiare di quello che rappresenta attualmente il gold standard del trattamento sostitutivo della funzione renale: il trapianto di rene(fig.7). Condizione necessaria perché un paziente diventi un candidato al trapianto renale da cadavere è che la funzione dei suoi reni sia irrimediabilmente compromessa e quindi, sia già inserito in un programma di emodialisi o di dialisi peritoneale, mentre nel caso il trapianto sia da donatore vivente (familiare), l intervento può essere preventivo. ~ 26 ~

27 La sede di alloggiamento del rene trapiantato è generalmente in fossa iliaca e solitamente in quella destra, al fine di consentire esecuzioni più agevoli delle anastomosi vascolari (in particolare a destra i vasi iliaci sono più superficiali rispetto ai controlaterali) e, per la comoda valutazione clinico strumentale post-trapianto. La buona riuscita del trapianto e la sua lunga durata nel tempo dipendono oltre che dalla compatibilità donatore-ricevente, anche dall efficacia dell immunosoppressione e dalle condizioni cliniche generali del ricevente stesso. Le controindicazioni assolute, quelle cioè che escludono in maniera definitiva il candidato al trapianto, riguardano: pazienti HIV-positivi; pazienti con grave insufficienza respiratoria; pazienti con insufficienza cardiaca di grado severo e resistente al trattamento o con patologia coronarica non suscettibile di rivascolarizzazione efficace; pazienti con epatite cronica attiva o malattia epatica cronica in stadio pre-cirrotico o cirrotico; pazienti con patologie neoplastiche recenti ; pazienti con sindromi mentali organiche, psicosi, ritardo mentale di grado tale da non permettere di comprendere il concetto e la procedura del trapianto. In un elevato numero di pazienti invece, ci sono controindicazioni relative, cioè alterazioni patologiche che possono essere soggette a rivalutazione dopo un opportuno trattamento correttivo di tipo chirurgico o medico- farmacologico. ~ 27 ~

28 Senz altro importante è valutare con attenzione i candidati al trapianto da un punto di vista nutrizionale, in quanto le più grosse controindicazioni insorgono in pazienti con stato di obesità e malnutrizione. 3.3 TECNICHE DIALITICHE: L emodialisi sfrutta, pertanto, i principi fisici basati sull utilizzazione di membrane dette semipermeabili, queste membrane possiedono una permeabilità all acqua limitata e selettiva per i soluti presenti nell acqua. Diffusione: si verifica quando due soluzioni, che contengono soluti in differenti concentrazioni, sono poste a contatto fra di loro per mezzo di una membrana semipermeabile. La caratteristica di questo tipo di membrana è quella di possedere pori microscopici che permettono il passaggio dell acqua e di sostanze a peso molecolare medio-basso in essa sciolte, ma non quello di sostanze a peso più alto. Se quindi poniamo a contatto, tramite una membrana semipermeabile il sangue del paziente con il bagno di dialisi, le sostanze tossiche presenti in elevata concentrazione nel sangue,ma assenti nel liquido, attraverseranno la membrana e saranno eliminate nel bagno stesso. Il bagno di dialisi contiene inoltre altre sostanze ad una concentrazione ben precisa, tali da consentire il riequilibrio di queste sostanze nel sangue. Attraverso le membrane da dialisi si può sottrarre dal paziente quella quantità di liquidi che il rene è ormai incapace di eliminare con le ~ 28 ~

29 urine e, che tende perciò ad accumularsi nell organismo, nel periodo intradialitico. Ultrafiltrazione: si ottiene aumentando la pressione nel compartimento del sangue o diminuendola nel compartimento del liquido di dialisi. Il differenziale di pressione determina un elevato passaggio di liquidi dal sangue al dialisato. L acqua eliminata, determina inoltre un passaggio per trascinamento, delle sostanze in essa disciolte; questo fenomeno fisico è chiamato convenzione. Il sangue così purificato è reintrodotto in circolo. Emodialisi convenzionale (HD): La depurazione si ottiene con la rimozione di soluti sfruttando prevalentemente, il processo di diffusione, la metodica necessita mediamente di un tempo di applicazione di 4 ore per seduta ed è quella con costi più contenuti. Emofiltrazione (HF): il trasporto di massa dei soluti avviene per convenzione e, le molecole medio-grandi, sono depurate più facilmente. Questa metodica comporta la necessità di infondere al paziente grandi quantità di liquidi. In sede precedente, il filtro dialisi(pre-diluizione),o in sede post-filtro(post-diluizione). Emodiafiltrazione (HDF): i due processi, diffusione e convenzione, sono entrambi presenti assicurando i vantaggi di ambedue, le vie di trasferimento di questi soluti in particolare la rimozione delle molecole medie-grandi, avviene analogamente alla HF, utilizzando quantità di liquidi di reinfusione, di molto inferiore. Dialisi peritoneale: è una metodica che, tramite una membrana semipermeabile naturale(peritoneo),permette gli scambi tra sangue e liquido di dialisi. Per la sua esecuzione sono necessari: ~ 29 ~

30 un catetere a permanenza che collega le cavità peritoneale con l esterno; una soluzione dializzante che viene rinnovata a scadenze programmate, dopo essere rimasta per periodi variabili in addome. L ultrafiltrazione lenta, graduale e continua, caratteristica di questa metodica, garantisce: una buona stabilità cardiovascolare; Un prolungato mantenimento della funzione renale residua; un impatto meno rilevante sullo stato anemico tipico del paziente, con IRC testimoniato dal minor ricorso di alte dosi di eritropoietina. Questa tecnica ha inoltre, un minor costo economico rispetto all emodialisi e, consente una maggiore autonomia dal centro ospedaliero,essendo effettuata quasi esclusivamente a domicilio; attribuisce però, al paziente maggiore responsabilità, dovendo egli, quotidianamente gestire se stesso. Nonostante questi vantaggi, non è sempre possibile indirizzare un paziente verso la dialisi peritoneale perché molte possono essere le situazioni che la controindicano, quali: tempi più lunghi di seduta dialitica; un insufficiente capacità depurativa della membrana peritoneale; la presenza di ernie, briglie ed aderenze addominali; la presenza di protesi aortiche; pazienti molto anziani, disabili o con ridotte capacità cognitive. 3.4 ACCESSI VENOSI ~ 30 ~

31 La connessione tra il circuito dialitico e il paziente avviene attraverso i cosiddetti accessi vascolari. È necessario che questi ultimi, siano di facile accesso e che permettano un flusso ematico elevato; infatti un flusso inferiore a 160 ml/minuto non garantisce una depurazione efficace. Solitamente ad una persona sottoposta a dialisi cronica, viene allestito un accesso vascolare permanente detto fistola artero-venosa interna (FAV), in quanto si sviluppa completamente nel corpo umano ed, è costituita da un anastomosi fra un arteria ed una vena. Si parla di FAV esterni se, comunicanti con l ambiente (shunt artero-venosi, cateteri percutanei). Mentre nei pazienti con insufficienza renale acuta (I.R.A.) sono sufficienti accessi vascolari temporanei, in genere oggi eseguiti con il posizionamento di cateteri percutanei endovenosi ad alto flusso(vena succlavia, giugulare, femorale) nei pazienti con insufficienza renale cronica (I.R.C.) la periodicità dei trattamenti, 2-3 sedute settimanali, determina la necessità di accessi vascolari permanenti; così come la minore incidenza delle infezioni degli accessi vascolari interni rispetto agli esterni, rende i primi prioritari nel trattamento emodialitico cronico. Possiamo suddividere pertanto, gli accessi vascolari in due grandi classi: 1) la fistola artero-venosa; 2) i catateri venosi centrali per dialisi FISTOLA ARTERO-VENOSA ~ 31 ~

32 I primi esperimenti sulla dialisi risalgono al 1913 ma, solo trent anni dopo, nel 1943 vi fu un vero e proprio passo avanti nel trattamento dell insufficienza renale acuta, mediante la tecnica dell emodialisi, grazie a Kolff e Kampen. Successivamente, fu introdotta la dialisi extracorporea di mantenimento, la quale permise ai pazienti con insufficienza renale terminale, di prolungare la propria vita, a volte anche per anni. Da subito fu evinto che, un accesso vascolare adeguato, duraturo e non traumatico per i vasi sarebbe stato pertanto, requisito fondamentale per l esecuzione di un efficace trattamento. Durante la seduta dialitica infatti, il flusso di sangue per il filtro dializzante è continuo, con un passaggio globale di un quantitativo che va dai 70 ai 90 litri di sangue per ciascuna seduta; pertanto l accesso vascolare deve avere particolari ctteristiche di flusso e portata. Analizzando questi ultimi nel dettaglio, chiaramente, per rendere dei flussi efficaci per una dialisi, bisogna disporre di un vaso che abbia un alta portata e pressione, da cui poter agevolmente prelevare il sangue e, di un vaso di grosso calibro, ad elevata portata e bassa pressione per il ritorno al paziente di sangue già dializzato. Vasi con tali caratteristiche potrebbero in effetti essere un arteria il primo ed una vena di buone dimensioni il secondo (fig.8). Nel 1959 verrà descritto un catetere a doppio lume e, più tardi con Seldinger inizierà la cateterizzazione dei vasi femorali mediante la tecnica che da lui ~ 32 ~

33 prese il nome. Bisognerà quindi aspettare il 1960,in cui Quinton, Dillard e Scribner di Seattle realizzeranno il primo shunt arterovenoso esterno. Questo consiste di due tubicini di plastica siliconata introdotti il primo, in un arteria dal braccio e, il secondo in una vena vicina. I due tubicini sono sempre collegati tra loro tranne durante la seduta emodialitica: poiché i due tubicini sono sconnessi con manovra sterile, e collegati all apparato di emodialisi. In realtà lo shunt grava di svariati problemi come infezioni, trombosi, ecc.. Ma nel tentativo di trovare un accesso vascolare più sicuro, la vera innovazione avverrà solo nel 1966, con Brescia e Cimino di New York, i quali costruirono la prima fistola artero-venosa sottocutanea (FAV). Si realizza in tal modo, un accesso vascolare definitivo. Non v è dubbio che un accesso vascolare durevole nel tempo sia il dispositivo che meglio assicura un efficace trattamento dialitico cronico. A tal proposito la fistola artero-venosa proposta da Cimino e Brescia rimane a tutt oggi l accesso permanente di prima scelta. Ma, possiamo tuttavia, distinguere le FAV in due gruppi principali: Quelle appunto secondo Cimino-Brescia (fig.8); Le protesi. Le FAV secondo Cimino-Brescia: ~ 33 ~

34 Si tratta di un accesso ottimale per la buona conduzione della seduta dialitica, principalmente perché conserva una buona pervietà a lungo termine e, per una bassa incidenza di complicanze infettive o trombotiche; inoltre la sua localizzazione immediatamente sotto il derma ne permette una facile e ripetuta puntura transcutanea. La FAV, consiste essenzialmente in un anastomosi chirurgica tra un arteria e vena vicine: l alta pressione arteriosa si trasmette alla vena che si dilata, diventando facilmente accessibile e, quindi facile da pungere con un calibro adatto e una portata significativa. È proprio per queste caratteristiche che viene definita vena arterializzata ovvero, vena che ha acquisito le caratteristiche di dimensioni e portata di un arteria. Provvista di un vaso venoso di adeguato calibro, la fistola endogena può essere costruita a livello del polso (fistola distale) o a livello della faccia anteriore del gomito (fistola prossimale). Sfortunatamente esistono condizioni che rendono difficile o addirittura impossibile la costruzione di tale accesso vascolare come, la sclerosi o la trombosi dei vasi venosi (solitamente per venipunture ripetute nel tempo, o l esistenza di vasi venosi sottili, fragili e profondi nel tessuto sottocutaneo). Nei pazienti diabetici, inoltre, si assiste frequentemente ad insuccessi dovuti ad un inadeguato flusso arterioso per l angiosclerosi tipica di questi pazienti. Da preferire infine l arto non dominante sia per facilitare l eventuale auto-venipuntura da parte del paziente, sia per lasciare libero l arto dominante nel corso della seduta dialitica. ~ 34 ~

35 La tecnica chirurgica consiste nel collegamento (anastomosi) di un vaso arterioso donatore ed un vaso venoso adiacente e può essere condotto in modalità: latero (arteria) - laterale (vena): è il tipo tecnicamente più agevole; vena ed arteria sono affiancate longitudinalmente latero (arteria) - terminale (vena): il vaso venoso viene connesso lungo il diametro trasversale all arteria tramite arteriotomia longitudinale termino (arteria) - terminale (vena): i due vasi si affrontano secondo il diametro trasversale del loro lume. La modalità più utilizzata e quella latero-terminale. La creazione della FAV sottocutanea viene programmata in un paziente affetto da insufficienza renale cronica, almeno un mese prima di quando dev essere iniziato il trattamento dialitico; questo periodo di tempo risulta necessario per il completo sviluppo della sua porzione venosa sottocutanea. L intervento prevede, previa anestesia locale, un incisione cutanea a livello della superficie anteriore del polso, che può essere condotta trasversalmente o longitudinalmente. Una volta esposte l arteria radiale e la vena cefalica, si introduce un piccolo catetere nella vena per favorirne la dilatazione; quindi il vaso viene infuso con della soluzione fisiologica per favorirne la pervietà. L estremità terminale della vena viene quindi suturata alla parete laterale dell arteria radiale. Al completamento dell anastomosi si dovrebbe palpare, a livello della vena, il fremito. Per l utilizzazione di tale accesso è necessario un periodo di "maturazione", affinchè ci sia l arterializzazione dei vasi venosi che diventano, in tal modo pungibili periodicamente; tale periodo è ~ 35 ~

36 variabile e dipende principalmente dalle caratteristiche dei vasi utilizzati nell anastomosi. Riguardo le fistole prossimali queste, di solito, vengono costruite qualora vi sia stato un fallimento, precoce o tardivo, dell intervento distale e, tali accessi possono fornire un flusso di 599 ± 163 ml/min. A differenza delle fistole distali, queste ultime, possono essere utilizzate anche a distanza di 48 ore dalla loro costruzione, poiché la portata elevata dei vasi non richiede un periodo di maturazione prima della venipuntura. Le protesi: L uso di innesti vascolari sintetici ha permesso il posizionamento di una fistola artero venosa nella maggior parte dei pazienti le cui vene periferiche non erano adatte alla preparazione di una fistola nativa. Le FAV protesiche consistono nell anastomosi fra un arteria e una vena attraverso l utilizzo di una protesi. Gli innesti sintetici richiedono soltanto 2-3 settimane per la loro endotelizzazione, sufficiente a permettere l incannulamento ripetuto. Le opzioni attualmente impiegate nella routine clinica utilizzano soprattutto: Innesti di safena omologa Etero protesi di origine bovina, trattati con prodotti atti a degradarne le componenti antigeniche Protesi sintetiche in PTFE (politetrafluoretilene) Tuttavia questi innesti sono caratterizzati da percentuali più elevate di infezioni e trombosi rispetto alle fistole native. Inoltre, la sopravvivenza dell accesso è limitata per il continuo danno del materiale dell innesto causato dalle punture ripetute. Le protesi possono essere utilizzate per collegare un arteria ed una vena molto ~ 36 ~

37 distanti tra loro e, si procede alla puntura del vaso originario del paziente. Oppure come neo-vaso quando si dispone di una vena profonda ; in questo caso si punge il lume protesico Complicanze dell accesso vascolare permanente e precauzioni del paziente Consistono principalmente in: Trombosi: sono dovute alla formazione di un trombo piastrinico che occlude il vaso. Infezioni: sono complicanze abbastanza rare nelle FAV, più frequenti nelle protesi. Ischemia: interessano più facilmente i pazienti in cui già preesiste una vasculopatia periferica importante. Si manifesta con comparsa di dolori a riposo, cianasi e riduzione del termotatto alla mano, quando questa viene tenuta in posizione declive; sono però disturbi più evidenti nei pazienti diabetici. Insufficienza cardiaca: si verifica maggiormente in pazienti in cui esistono già delle cardiopatie; la costruzione di una FAV può favorire l insorgenza di complicanze cardiache che vanno dall ipotensione ad uno scompenso cardiaco ad alta gittata. Ematoma: è un travaso e deposito di sangue dei tessuti, in seguito ad una rottura di un vaso. Stenosi: consiste nel restringimento della vena a monte dell anastomosi. Si manifesta con una riduzione del flusso e del trill. Aneurismi e pseudoaneurismi: è una dilatazione della parte venosa della FAV, sostanzialmente dovuta alla tendenza ~ 37 ~

38 costituzionale di un individuo allo sfiancamento delle pareti venose, favorita talvolta anche dalla concentrazione delle venipunture nello stesso punto. Si può verificare un alterazione del flusso ematico e formazione di trombi, creando così,una situazione favorente ad infezioni e flebiti ricorrenti. La bassa sopravvivenza delle fistole endogene è da ricollegarsi principalmente alla precoce chiusura, di solito entro il primo mese dall intervento. Pertanto, per salvaguardare la vita della FAV, è necessario osservare alcune precauzioni e accorgimenti da parte del paziente: La FAV dev essere regolarmente controllata dal paziente con la palpazione e l auscultazione del fruscio; L arto su cui è stata eseguita la fistola non può essere utilizzato per il rilevamento della pressione arteriosa, né eseguire venipunture a scopo diagnostico o terapeutico; Evitare traumatismi o sollevamento pesi con il suddetto arto; Nella puntura della fistola usare molta attenzione e, ricordare di: Praticare accurata disinfezione; Eseguire puntura decisa e rapida; È consentito l uso di laccio emostatico con permanenza però breve; Dopo la rimozione degli aghi, la compressione dev essere ben dosata, in modo da non occludere completamente il vaso; Eseguire adeguata medicazione post-dialisi. Il catetere venoso centrale: Per i pazienti che devono sottoporsi a trattamento emodialitico periodico, viene allestito un accesso vascolare interno permanente. In ~ 38 ~

39 particolari condizioni (pazienti in insufficienza renale acuta o, nei pazienti in trattamento emodialitico, in cui la FAV perde improvvisamente la sua funzionalità), si ricorre al cateterismo venoso temporaneo in vena succlavia, vena femorale o vena giugulare. Questi cateteri solitamente sono lasciati in situ per circa 2-4 settimane e, quindi sostituiti. Per quel che concerne il posizionamento di CVC occorre fare una distinzione tra cateterismo a breve termine e a medio lungo termine, i quali differiscono per le indicazioni, la tipologia dei cateteri utilizzati, il posizionamento e la gestione Cateterismo venoso centrale a breve e a lungo termine Catetere installato in regime d urgenza, può rimanere in situ per un periodo non superiore a 20/ 30 giorni, superato il quale esso costituisce una fonte a rischio elevato d infezione. Particolarmente indicato per: Pazienti con IRA che necessitano di trattamento emodialitico d urgenza; Pazienti con IRC che necessitano di trattamento emodialitico d urgenza ai quali non è stata ancora allestita una FAV, oppure in quei casi in cui la fistola non può ancora essere utilizzata (tempo di maturazione della FAV); Pazienti in emodialisi nei quali insorge una complicanza della FAV che ne compromette momentaneamente l utilizzo; ~ 39 ~

40 Pazienti in trattamento con dialisi peritoneale che necessitano di sottoporsi momentaneamente ad emodialisi; Altre patologie che richiedono una depurazione extracorporea del sangue tramite emodialisi, plasmaferesi, emoperfusione, avvelenamenti o somministrazione di farmaci mal tollerabili dai vasi periferici. Le linee guida DOQI valutano che la permanenza del catetere non tunnellizzato in vena (fig.10), per ridurre al minimo le complicanze infettive o trombotiche, deve essere di circa una settimana o poco più se il paziente è allettato e comunque non superare le 2-3 settimane. La sede d elezione prevalente in questo caso è la vena femorale e solo come seconda sede la vena giugulare interna destra. E consigliabile evitare l accesso tramite la vena succlavia, che quasi sempre porta alla stenosi parziale o totale del vaso. Il catetere venoso centrale tunnellizzato (fig.11) è un catetere privo di limiti di durata eccezion fatta, per le complicanze legate all impianto e alla gestione o il naturale deterioramento. Particolarmente indicato per : Pazienti con IRC nei quali è controindicato l allestimento della FAV per motivi clinici (diabete, patologia vascolare periferica ed età avanzata); Pazienti in trattamento dialitico per i quali non è più possibile l allestimento della FAV (esaurimento del letto vascolare ~ 40 ~

41 accessibile in seguito ad impianto di più accessi vascolari nativi con esito infausto). La tunnellizzazione sottocutanea del tratto extra vascolare del catetere, consiste nel far uscire il catetere dalla cute a distanza dal punto di entrata nel vaso. I vantaggi di questa metodica sono: Riduzione del rischio di contaminazione batterica da microrganismi cutanei; Maggior immobilizzazione del catetere con minor rischio di complicanze tecniche, quali la rottura e lo sfilamento; Minor rischio di embolia gassosa in caso d accidentale fuoriuscita del catetere. Seppur in numero inferiore, esistono anche per questa metodica degli svantaggi, quali l impossibilità di effettuare il cambio del catetere nella stessa sede con la tecnica di Seldinger. Sono state recentemente introdotte in commercio due versioni di cateteri venosi totalmente impiantabili: sono il Life Site e il Dialock. Si tratta di cateteri posti in una tasca sottocutanea in sede sotto clavicolare. Presentano alcuni importanti vantaggi : Non compromette l aspetto estetico, permette le consuete cure igieniche personali e non limita i movimenti dei portatori; Non presenta complicanze dovute alle infezioni dell emergenza cutanea e quelle legate a trazione come la dislocazione e/o la fuoriuscita; Durata più di due anni Complicanze tardive del catetere venoso centrale e precauzioni del paziente ~ 41 ~

42 Le complicanze possono essere precoci, o tardive. Ci soffermeremo su quest ultime in quanto sono quelle che possono interessare quotidianamente i pazienti ed operatori di dialisi. Quelle precoci invece, sono legate al posizionamento, solitamente si manifestano in ambiente protetto, esse sono: emorragia, ematomi, pneumotorace, emotorace, malposizionamento, turbe del ritmo cardiaco, embolia gassosa. 1.Infezione: La presenza di CVC può essere la via di accesso a microrganismi esterni all organismo, con conseguente infezione locale, oppure, più raramente, sistemica. Per prevenire tali infezioni il personale procederà periodicamente alla cura ed alla medicazione del catetere. Molto importante è anche la cura a domicilio del catetere. 2.Rimozione accidentale del catetere: è una complicanza non frequente; se il catetere è tunnellizzato è meno probabile che si sfili, perché è ancorato nel tessuto stesso. Ancorare bene tutto il lume esterno del catetere con una medicazione a piatto o con dei cerotti sulla cute del paziente può evitare la rimozione. 3.Ostruzione del catetere: In seguito alla formazione di un coagulo o ad un tappo di fibrina il catetere si può chiudere. Spesso si riesce a risolvere tale complicanza con degli energici lavaggi, oppure eseguendo un trattamento con urochinasi. Il buon funzionamento del catetere è fondamentale per una dialisi efficace, ed una corretta gestione infermieristica è determinante nel contenere le complicanze. Alcuni suggerimenti per il paziente sono: o Utilizzare se possibile il CVC solo per il trattamento dialitico e non per altre terapie; ~ 42 ~

43 o Preferire una medicazione sull emergenza del catetere non occlusiva, che può rimanere in sede anche una settimana; o Le medicazioni occlusive devono essere sostituite ad ogni seduta dialitica; o Maneggiare il CVC attenendosi alle norme di asepsi; o Cercare di mantenere la medicazione pulita ed asciutta; o Se si esegue la doccia coprire la medicazione con una pellicola trasparente; o Per qualsiasi dubbio chiamare il centro dialisi specie in caso di dolore od arrossamento. 3.5 Seduta emodialitica In questo capitolo viene esaminata tutta la prassi corrente di una singola seduta emodialitica. Quanto riportato di seguito è di solito eseguito in un centro dialisi ospedaliera, dal personale medico e/o infermieristico. E auspicabile comunque che il paziente stesso sia in grado di eseguire alcune manualità, prima, durante e dopo la seduta dialitica, controllando egli stesso alcuni parametri, durante tutto il trattamento. Talvolta, ciò può creare, qualche problema, specie se il paziente, tende a interferire impropriamente, nella conduzione della seduta. Invece il coinvolgimento in alcuni aspetti specifici, consente al paziente di essere un soggetto attivo della propria dialisi, consapevole di tutto quanto avviene intorno a lui. Questo spesso porta a tollerare meglio il grave aspetto psicologico, fisico e sociale, che inevitabilmente comporta il trattamento dialitico. Prima di dare inizio alla seduta è necessario provvedere al rispristino delle condizioni ~ 43 ~

44 igieniche sia del circuito del dialisato sia dell intera unità rene. Quando la macchina sarà pronta, si procede al montaggio delle linee ematiche arteriosa, venosa e del filtro, facendo particolare attenzione affinchè tutte le varie connessioni, siano a perfetta tenuta. Non è dispensabile che le manovre di montaggio del circuito extracorporeo, siano fatte in maniera sterile, pur essendo buona norma, lavarsi precedentemente e accuratamente le mani e indossare una opportuna mascherina, bisogna comunque considerare, che il sangue scorre nel circuito, per cui è indispensabile, non contaminare le estremità delle linee e del filtro. Quando sono rimosse le protesi sterili di queste, sarà buona regola che le estremità nude del circuito, non tocchino nessuno oggetto, né nessuna superficie, ma che si facciano prontamente le opportune connessioni. Si collegherà allo stesso modo, anche il circuito della soluzione idealizzante al filtro. A questo punto, si comincerà a far passare la soluzione dializzante, a concentrazione e temperatura stabilite e controllate con apposita strumentazione specifica per la tipologia di macchina dialitica che si sta operando. La manovra successiva, sarà quella di procedere al riempimento delle linee ematiche e del filtro. A tale scopo, si utilizzerà una sacca di soluzione fisiologica eparinata. Dopo aver fatto passare la soluzione eparinata nel circuito extracorporeo ed aver riempito di questa soluzione l intero circuito. Si procede di solito alla prova di tenuta del filtro; tale prova, consiste nell aumentare la pressione nel settore ematico all interno del circuito extracorporeo e del filtro al raggiungimento approssimativo di 200mmHg, con l applicazione di una pinza stringi-tubo sulla linea venosa. Con queste e con altre necessarie predisposizioni, ~ 44 ~

45 l apparecchiatura sarà approntata per le iniziali procedure di dialisi. A questo punto, si passerà alle operazioni pre-dialitiche sul paziente; queste, consistono nel misurare la pressione arteriosa in clinostatismo e ortostatismo e eventualmente il rilevamento della temperatura corporea, sull apposito letto bilancia. Tali parametri, saranno segnati su un apposita cartella; buona regola sarà, indossare dei guanti non sterili, per evitare di entrare a contatto con il sangue o strumenti sporchi di questo. Quando il paziente è portatore di fistola arterovenosa interna, necessario sarà disinfettare accuratamente il braccio e l inserzione degli aghi, dovrà avvenire con la stessa accuratezza e igiene, usate per un iniezione endovenosa; una volta inserito l ago venoso, sarà lasciato in perfusione lenta, con soluzione fisiologica, saldamente fissato con cerotti; in seguito, si procederà alla puntura arteriosa. Tale successione è indispensabile, poiché, qualora si inserisca per prima, l ago arterioso, sarà probabile che questo non possa essere adeguatamente perfuso con la soluzione fisiologica a caduta, per mantenere la pervietà, a causa dell elevata pressione del sangue. Fatto ciò, si si collegherà la linea arteriosa al rispettivo ago, azionando la pompa del sangue inizialmente a basse velocità con il fine di riempire il circuito ematico con il sangue; una volta che il sangue riempirà il circuito extracorporeo, si farà il bolo iniziale di eparina, lungo la linea arteriosa e/o attivare l eparinizzazione per impedire che il sangue coauguli; una volta che la soluzione fisiologica, sarà in uscita dalla linea venosa, assumerà il colore rosa a seguito dell arrivo del sangue in questo determinato settore del circuito, si fermerà alla pompa del sangue connettendosi alla linea venosa tramite il relativo ago; la pompa del sangue si riaccenderà, ~ 45 ~

46 cosicche inizierà la seduta dialitica vera e propria. La quantità di sangue necessaria al riempimento del filtro è definita priming. Tutto il circuito extracorporeo linea/filtro, contiene solitamente, circa 200/300mml di sangue. 3.6 Principali complicanze durante il trattamento emodialitico Durante la seduta dialitica, si possono verificare variazioni osmotiche ed elettrolitiche che, provocano alterazione dei rapporti intra/extracellulari della concentrazione degli elettroliti e, di alcune sostanze osmotiche attive. Pertanto, non si esclude l affacciarsi di complicanze e d incidenti di percorso; importanza fondamentale riveste senz altro, il ruolo dell infermiere, il quale dev essere sempre pronto nel fronteggiare questi vari inconvenienti, con azioni efficaci e risolutive. Sostanzialmente, le complicanze intradialitiche possono essere legate a: Non fisiologicità del trattamento emodialitico (ipotensione arteriosa; ipertensione arteriosa; ipopotassemia; aritmie cardiache; sindrome da squilibrio ionico; crampi muscolari.); Utilizzo delle apparecchiature di dialisi ed alla presenza di un circuito extracorporeo (emolisi; emorragie; embolia gassosa; rottura del filtro; febbre e brividi; prurito; cefalea; sindrome dell acqua dura). Entrando nel dettaglio: Non fisiologicità del trattamento emodialitico: ~ 46 ~

47 1.Ipotensione arteriosa: Più di frequente è questo l inconveniente che si presenta; si manifesta con sbadigli ripetuti, ansia, pallore, nausea, vomito, tachicardia e sudorazione. Compito dell infermiere, sarà quello di: posizionare il paziente sdraiato a gambe sollevate; infondere fisiologica, glucosata, emagel, controllare la P.A., temperatura e velocità del dialisato; diminuire la temperatura del dialisato; si consiglia ai pazienti di alimentarsi entro la seconda ora di dialisi per evitare crisi ipotensive, dovute al richiamo di sangue dalla periferia all apparato digerente. Chiaramente, se il sintomo persiste, nonostante le succitate manovre effettuate, consultare il medico. 2.Ipertensione arteriosa:sostanzialmente, si genera in presenza di: vasocostrizione ad azione rapida, per aumento dell attività del sistema renina-angiotensina-aldosterone; eccessiva filtrazione di urea e Na, con squilibrio osmotico. L intervento dell infermiere è di impostare la macchina di dialisi con i valori di filtrazione del Sodio e, controllarli più volte durante la seduta dialitica adeguandoli alla singola situazione del paziente. Altro intervento di estrema importanza consiste nel somministrare farmaci per il controllo della pressione, se necessario, ovviamente sotto controllo medico. Chiaramente, è necessario controllare se il paziente sia stato sottoposto ad ultrafiltrazione eccessiva di liquidi. La causa più frequente di ipertensione arteriosa è l eccesso di liquidi, cioè il non portare il paziente al suo vero peso secco. 3. Ipo-potassemia: il paziente uremico in emodialisi, riscontra generalmente, iperkaliemia (extracellulare) ma, carenza di potassio intracellulare), generata da acidosi metabolica. La presenza di ipopotassemia, può essere rilevata tramite l emogasanalisi. Il paziente ~ 47 ~

48 può riferire stanchezza, sensazione di gambe di legno, palpitazioni e bradicardia (con frequenza massima di 50 puls/min, aritmia che può portare all arresto cardiaco). L intervento dell infermiere è basato sulla consultazione del medico e sulla modificazione della concentrazione del potassio nel bagno di dialisi. 4. Aritmie cardiache: Sono presenti durante la seduta dialitica per la variazione ematica degli elettroliti; Prestare molta attenzione se il paziente è in trattamento con digitale, in quanto lo stesso non essendo eliminato in dialisi, tende ad accumularsi causando intossicazione digitalica. Spesso i disturbi del ritmo possono essere eliminati aumentando la concentrazione di potassio nel bagno dialitico; se tale accorgimento sarà inefficace, si passerà alla terapia farmacologica anti-aritmica. 5. Sindrome da squilibrio: le cause che la provocano sono: edema cerebrale prodotto da variazioni osmotiche in emodialisi. Durante la seduta si ha una rapida riduzione di urea; il passaggio della stessa, attraverso la membrana cellulare dall intra all extracellulare è più lento che dal plasma al dialisato. Meno rapido è anche il passaggio di urea dalla barriera emato-encefalica rispetto alla membrana di dialisi. Si ha quindi più alta concentrazione di urea nel comparto intracellulare e liquorale con spostamento di acqua in questi settori. 6. Crampi muscolari: si localizzano generalmente agli arti inferiori, si manifestano con dolore violento della muscolatura. Generalmente sono dovuti al rallentamento della circolazione per aumento di viscosità del sangue, determinando ipossia muscolare. La loro presenza è indice di ultrafiltrazione troppo rapida o di embolia gassosa. Gli interventi che deve effettuare l infermiere per alleviare il ~ 48 ~

49 dolore, consistono nel massaggio della zona interessata dai crampi, o nel decontrarre l arto interessato, è invece sconsigliato l uso del ghiaccio perché causa vasocostrizione e quindi ipossia. Interventi più specifici sono: Nel caso di ultrafiltrazione eccessiva: iperestensione degli arti inferiori,reintegro per endovena dei Sali (Sodio e Cloro) persi in eccesso e reintegro con soluzione fisiologica per diminuire l emoconcentrazione; Nel caso di embolia gassosa: posizionamento del paziente in decubito laterale; somministrare ossigeno terapia e monitorare le funzioni vitali. B. Utilizzo delle apparecchiature di dialisi ed alla presenza di un circuito extracorporeo 1. emolisi: una certa quota di emolisi da trauma nel trattamento dialitico è sempre presente, un emolisi massiva, però è molto rara e può essere causata da una reazione ed eventuale emotrasfusione, al dialisato non adeguato oppure ad una crisi allergica (residui di disinfettante nella macchina, materiale delle linee, ecc ).L infermiere deve occuparsi della disconnessione immediata del paziente senza restituzione di sangue e, chiaramente allertare il medico che, istituirà un trattamento idoneo. 2.Emorragia: nei pazienti in trattamento emodialitico periodico si rileva un aumentata incidenza di sanguinamenti spontanei. I fattori che predispongono a queste complicanze, riguardano: perdita di sangue interna, vera e propria emorragia, legata all eparinizzazione intradialitica (al 90% dei casi) usata per prevenire la coagulazione del circuito extracorporeo; ~ 49 ~

50 l infermiere avviserà il medico, ridurrà il flusso della pompa e, bloccherà il flusso di eparina; perdita di sangue dovuta alla rottura/disconnessione di tubi nel circuito extracorporeo; l infermiere fermerà la pompa sangue, clamperà la linea interessata e la sostituirà; le turbe coagulative legate allo stato uremico. Ne deriva un aumento del rischio emorragico durante il trattamento emodialitico con possibile insorgenza di sanguinamenti spontanei che comprendono: emorragie gastrointestinali; emopericadio; emotorace; ematoma subdurale, ematoma retroperitoneale; emorragie spontanee nelle camere oculari anteriori; meno-metrorragie. È richiesto pertanto, un intervento infermieristico rapido e preciso nell identificare la causa e, nel mettere a punto il giusto intervento d azione. 3.Embolia gassosa: questa è senz altro la complicanza più grave, anche se rara grazie ai preventivi allarmi nella macchina di dialisi. Si verifica quando un grosso quantitativo di aria (generalmente microbolle), entrato nel circuito extracorporeo, rientra con il sangue nel circolo del soggetto e arrivato ai polmoni ostruisce il piccolo circolo, inizialmente a livello capillare; vengono limitati gli scambi gassosi (ossigeno e anidride carbonica). Nei casi più gravi si può arrivare all ostruzione dei grossi vasi del piccolo circolo con conseguenze letali. I sintomi soggettivi iniziali, sono caratterizzati da: tosse stizzosa, ansia, dolore improvviso al petto e dispnea ingravescente. I sintomi cerebrali, si presentano con convulsioni o perdita di conoscenza. Si potrà riscontrare cianosi per ostruzione della ~ 50 ~

51 circolazione nel circolo venoso periferico e, ipotensione e collasso nei casi più gravi. Gli interventi infermieristici sono mirati al: - controllo dell ermeticità delle linee ematiche; - posizionare il paziente sul fianco sinistro con la testa bassa e le gambe sollevate in modo che l aria presente nel circolo ematico esca dall atrio destro. 4.Rottura del filtro: se questa complicanza, si presenta durante la preparazione del filtro o durante la seduta di dialisi. L infermiere deve subito: bloccare la pompa peristaltica della macchina; agire tempestivamente sul filtro, clampando le linee venosa e arteriosa, in prossimità dei loro attacchi al filtro, allo scopo di ridurre al minimo a perdita ematica; predisporre il cambio di un nuovo filtro; durante questa manovra, con l aiuto di un altro infermiere, il paziente sarà disposto in posizione supina con le gambe alzate; controllare la P.A. e la Fq cardiaca. Ripristinati parametri di base e flusso, l emodialisi potrà riprendere l andamento iniziale. 5.Febbre e brividi: la comparsa di febbre preceduta da brividi, durante la seduta dialitica, è generalmente dovuta a contaminazione batterica che può avere origine dal circuito extracorporeo o a livello delle apparecchiature di dialisi e delle condutture che lo riforniscono dell acqua pretrattata. La contaminazione a livello del circuito ematico è dovuta a scarsa sterilizzazione dei suoi componenti, a mancata sterilità nel montaggio o nella connessione al paziente. Lo ~ 51 ~

52 stato febbrile, a volte importante, può accompagnarsi ad ipotensione arteriosa fino ad un quadro di shock. Se la reazione febbrile si manifesta durante la prima ora di dialisi, sarà da attribuirsi a contaminazione del circuito extracorporeo. Se essa si manifesta più tardivamente, l attenzione deve essere richiamata a livello dell apparecchio di dialisi o delle condutture dell acqua pretrattata. La terapia della reazione febbrile da pirogeni si attua con l uso di cortisonici ed antipiretici; l uso di antibiotici deve essere riservato ai casi di sospetta documentata batteriemia. 6. Prurito: è un sintomo frequente e invalidante, soprattutto in fase avanzata e terminale. Può essere insopportabile da incidere pesantemente sulla Q.d.V. ; il prurito è causato in molti casi da un lento accumulo di sostanze tossiche nell organismo. Bisogna ottimizzare la dose dialitica ed il controllo del metabolismo del calcio e del fosforo. In ogni caso in assenza di evidenti fattori scatenanti, i risultati del trattamento sono spesso deludenti. 7. Cefalea: spesso si accompagna ad ipotensione o squilibrio elettrolitico; gli interventi infermieristici e medici consistono nell alleviare i sintomi. 8. Sindrome dell acqua dura: si fa riferimento alla complicanza causata dall inefficiente dissalazione dell acqua di condotta che, conterrà eccessiva quantità di calcio. Subito si avvertirà sensazione di bruciore e calore cutanei, aumento pressorio, bradicardia, cefalea, nausea, vomito e astenia. Nei casi più gravi si riscontra obnubilamento del sensorio e, gravi disturbi del ritmo cardiaco. L infermiere dovrà somministrare una quantità di calcio inferiore alla norma. 3.7 Complicanze della dialisi peritoneale ~ 52 ~

53 Un breve accenno va fatto anche su quelle che sono le complicanze della dialisi peritoneale. Queste ultime sono rappresentate soprattutto da: complicanze infettive(peritonite) ;mal posizionamento del catetere; stravaso del liquido di dialisi attorno al foro di entrata del catetere insorgenza di ernie; edema scrotale; alterazioni muscoloscheletriche. La frequente insorgenza di episodi di peritonite però, rappresenta il maggior fattore limitante della dialisi peritoneale. Ancora oggi la peritonite rappresenta la principale causa di morbilità, mortalità, di interruzione della metodica. Gli agenti eziologici più frequentemente responsabili sono di natura batterica. Rara è la peritonite ad eziologia fungina, peraltro clinicamente più severa della forma batterica. Una forma fungina compare di solito dopo ripetuti episodi di peritonite batterica e, prolungati trattamenti con antibiotici. La diagnosi peritoneale è posta sulla base di dolore addominale, presenza di liquido di drenaggio torbido; conta di leucociti nel liquido di drenaggio superiore a 10/mm Considerazioni conclusive La terapia sostitutiva artificiale dell'abolita funzione renale, mediante emodialisi periodica, negli ultimi 20 anni ha compiuto molti progressi, sia in termini quantitativi che qualitativi. Oggi, sono oltre i pazienti in trattamento emodialitico cronico e, la sopravvivenza può essere superiore a 20 anni. Per i pazienti che iniziano oggi il trattamento dialitico, le aspettative di vita non sono molto dissimili dalla popolazione normale. Il rene rappresenta quindi, il primo organo ~ 53 ~

54 la cui funzione può essere sostituita a lungo termine, ed efficacemente: per la prima volta nella storia della medicina, morte di un organo vitale, quale il rene, non vuole dire morte dell'individuo. Nel corso degli anni, il progredire delle conoscenze mediche e delle possibilità tecnologiche ha modificato la filosofia dell'applicazione clinica della dialisi cronica. Negli anni '60 e nei primi anni '70 la dialisi era finalizzata alla sopravvivenza dei pazienti; dalla seconda metà degli anni '70 e, durante tutti gli anni '80 adeguata considerazione, è stata rivolta, oltre alla sopravvivenza, anche alla riabilitazione dei pazienti in dialisi. Per gli anni '90,la terapia sostitutiva artificiale, ha come ulteriore obiettivo, anche il ripristino di una normale biologa dei pazienti, sia mediante l'impiego di materiali sempre più biocompatibili e, di schemi dialitici che consentano condizioni più fisiologiche di trattamento, sia attraverso la realizzazione di organi bioartificiali che, consentano l'azione combinata della tecnologia e di cellule biologicamente attive. ~ 54 ~

55 CAPITOLO 4: La qualità della vita in un paziente in dialisi 4.1 Alimentazione Problemi psicologici del paziente dializzato Aspetti psicologici del paziente emodialitico acuta Aspetti psicologici del paziente emodialitico cronico Come migliorare la qualità della vita ~ 55 ~

56 Nell emodialisi si utilizza una macchina artificiale per la depurazione del sangue, solitamente si effettua in ospedale e, il paziente è sottoposto al trattamento per circa quattro ore, tre volte la settimana. Pertanto, la dialisi rappresenta una terapia alquanto particolare, richiede molto tempo ed è ripetitiva; proprio quest ultima caratteristica rende la malattia renale una condizione particolare: una vita scandita da ritmi legati al trattamento. La persona in dialisi però, non deve considerarsi ammalata, senza via di scampo; essa vive un importante disagio, ma può recuperare un certo stato di benessere e tornare ad avere le stesse abitudini che aveva prima della malattia. È soprattutto la volontà di sentirsi sani e di cercare di recuperare il possibile stato di salute che aiuta l uomo a reinserirsi nuovamente nel tessuto sociale di appartenenza. Infatti, la dialisi deve divenire un momento del quotidiano della persona e, non essere posta al centro della propria vita. Da ciò si evince di come, per la persona sottoposta a dialisi, sia possibile continuare a lavorare, mantenere le proprie abitudini quotidiane, viaggiare, studiare, le proprie abitudini affettive e sessuali: tutto ciò migliora la condizione psico-fisica della persona in trattamento. La Qualità di Vita (Q.d.V.) dei pazienti è molto legata alla loro funzione nelle attività di relazione quotidiana, alla loro psicologia ed alla capacità di mantenere delle adeguate dimensioni professionali e sociali. In questo ambito, nonostante tutti i progressi tecnologici e medici, esistono ancora notevoli problemi, tanto che una elevata percentuale di pazienti dializzati presentano sintomi psicologici cronici, una alterazione delle attività giornaliere e della funzione sociale ed una riabilitazione professionale incompleta. ~ 56 ~

57 Paris e Ballerini (2003) affermano che : Quando una persona perde la funzione dei propri reni la sua vita cambia: la dialisi è una terapia impegnativa e molte dimensioni della vita quotidiana sono coinvolte. In generale la vita del paziente cronico si svolge in un clima d incertezza e d ansia per il futuro, sul quale pende in continuazione la minaccia dell aggravamento della patologia, delle complicanze e della morte. Sempre Paris e Ballerini riferiscono inoltre che, gli ultimi decenni sono stati caratterizzati da importanti progressi della medicina, dall aumento del numero delle persone che possono continuare a vivere nonostante la presenza di malattie agli organi vitali come il cuore, fegato, rene. Questo allungamento della vita spesso è pagato con menomazioni di diversa gravità e con ricorso di terapie continue e complesse non prive di effetti collaterali, le quali modificano profondamente la vita di tutti i giorni del malato e della famiglia. Secondo la moderna definizione di Labbrozzi del 1994, la Q.d.V. è legata alla salute e, deve includere il punto di vista soggettivo del paziente, gli ambiti fisici, psicologici e sociali. Si è deciso di definire il benessere percepito nei termini di un autopercezione verificata sulla frequenza e l intensità degli stadi provati, riguardando la salute mentale in genere (stress e benessere psicologico), il dolore fisico e la vitalità (energia e affaticamento) (Apolone, Moscone, Ware, 1997). La qualità di vita resta tutt oggi, un concetto complesso, non definibile e misurabile con facilità. Prenderemo in considerazione nell analisi delle variabili che incidono sulla Q.d.V., dei pazienti con malattia renale in dialisi, gli aspetti ~ 57 ~

58 fondamentali rilevati dall indagine conoscitiva del Registro Italiano di Dialisi e Trapianto (2004) svolta nei centri dialisi italiani, sono: L autonomia funzionale-lavorativa: in quanto la presenza di un accesso venoso, i giorni preposti al trattamento e il disagio del paziente, incidono in modo notevole sull inabilità nel settore del lavoro; La situazione psicologica: In circa metà dei pazienti in dialisi è presente una sindrome ansiosa e/o depressiva. La malattia comporta al malato e alla sua famiglia, uno sforzo e ad una tensione continua, difficile da riuscire sempre a sostenere; anche nei malati ben adattati infatti, non bisogna stupirsi se presentano improvvisamente crisi depressive e/o comportamenti aggressivi. La situazione psicologica, può fortemente essere condizionata da una serie di fattori di stress, come la modificazione dell immagine corporea dovuta alla presenza di fistole, alle restrizioni dietetiche e idriche non sempre facili da osservare, alla perdita o il cambiamento del ruolo sociale e le disfunzioni sessuali (2/3 degli uomini in dialisi sono totalmente o parzialmente impotenti); Le relazioni sociale ed interpersonali: è importante per il soggetto dializzato, mantenere inalterate le relazioni sociali. Molti di essi infatti, tendono nella maggior parte dei casi ad isolarsi, ma chiaramente questo incide notevolmente in negativo sulla Q.d.V. Meno frequentemente si svolgono attività esterne alla famiglia, in particolare se richiedono un notevole impegno fisico; ~ 58 ~

59 I disturbi somatici: la gravità della malattia e i sintomi presenti condizionano pesantemente la Q.d.V. delle persone. Il trattamento sostitutivo della funzione renale, nonostante i progressi tecnologici raggiunti negli ultimi anni, non è in grado di funzionare come il rene umano, pertanto alcuni disturbi organici rimangono insoluti generando sintomi fastidiosi. A tal proposito l indagine riferisce la presenza di sintomatologie, come: stanchezza, cefalea, difficoltà alla deambulazione, dolori alle ossa, insonnia, sete intensa e prurito diffuso, legate al trattamento e alla malattia che colpiscono i pazienti dializzati quasi ogni giorno. I punti succitati verranno presi in esame nello strutturare il questionario ai pazienti dializzati, al fine di esaminare quanto questi incidano sulla loro qualità di vita. Per il momento però, ci soffermeremo ad approfondire qui di seguito, gli aspetti di vita del paziente dializzato che, più di tutti comportano un forte peso incisivo nell influenzare la Q.d.V. ovvero: alimentazione e problemi psicologici del paziente dializzato acuto e cronico. 4.1 L ALIMENTAZIONE Soprattutto nella fase iniziale del trattamento dialitico, grande importanza è assegnata all alimentazione, in quanto è essenziale infatti, l adozione di un programma dietetico su misura. Purtroppo, con l inzio della dialisi, il paziente è costretto a cambiare, talvolta,anche drasticamente le sue abitudini alimentari, passando da un regime alimentare povero di proteine e ricco di liquidi (terapia ~ 59 ~

60 conservativa), a delle abitudini alimentari che richiedono una riduzione dei liquidi e ricchi di proteine(terapia sostitutiva). Non vi è dubbio tuttavia che, nonostante i successi della dialisi, i risultati a lungo termine del trattamento dialitico cronico dipendano anche in buona parte da un'alimentazione adeguata. Ne deriva infatti che, l alimentazione errata sia uno dei principali fattori condizionanti per la progressione dell'insufficienza renale cronica e, per l'aspettativa di vita del paziente uremico sia in emodialisi che in dialisi peritoneale. Le possibili conseguenze che un'alimentazione errata può provocare, sono: Peggioramento dell'osteopatia uremica; Influenza negativa sulla riabilitazione, per riduzione dell'efficienza generale e diminuzione della forza muscolare; Rallentamento dei processi di guarigione delle ferite; Alterazioni delle difese contro le infezioni, conseguenti alla riduzione dei fattori del complemento, della transferrina sierica e delle proteine; Stabilizzazione dell'acidosi metabolica; Incremento dell'anemizzazione, conseguente all'insufficienza renale (il deficit di proteine infatti, determina una riduzione della sintesi di emoglobina); Aumentato rischio di complicanze gastro-intestinali. Le cause invece, principali di un'errata alimentazione del paziente in dialisi sono implicabili a: ~ 60 ~

61 Perdita di aminoacidi, peptidi e proteine attraverso l'emodialisi o la dialisi peritoneale; Insufficiente approvvigionamento energetico; Insufficiente reintegrazione delle vitamine perse con la dialisi; Ipercatabolismo conseguente ad un'inadeguata biocompatibilità; Insufficiente apporto proteico, conseguente ad un'inadeguata valutazione da parte del paziente sulla valenza biologica delle proteine; Insufficiente reintegrazione di minerali, di ferro, oligoelementi che vengono persi nel corso della dialisi (ad esempio, perdite di ferro e microemorragie conseguenti ai disturbi uremici della coagulazione e perdite di sangue tecnicamente inevitabili); Intossicazione uremica; Ipercatabolismo secondario e malattie intercorrenti. I cardini essenziali della dieta sono: alto apporto di proteine; controllo nell assunzione dei liquidi; controllo nell assunzione di alcuni sali potassio, calcio, sodio e fosforo). Per quanto riguarda il fabbisogno idrico, energetico e proteico, in prima istanza, il paziente dializzato necessita di un adeguato introito proteico, poichè i metaboliti tossici, prodotti dal catabolismo proteico, sono eliminati attraverso la dialisi. Per sommi capi, l assunzione proteica dei pazienti dializzati adulti, dovrebbe essere pari a gr di proteine per kg del peso corporeo. Durante il trattamento dialitico si eliminano sostanze importanti per la sintesi proteica, a tal proposito, il paziente dovrebbe assumere almeno una volta al giorno proteine ad ~ 61 ~

62 alto valore nutrizionale, fornite per esempio da carne, pesce, selvaggina, pollame, uova o latticini. Nell uremia vi è anche un alterazione del metabolismo energetico, per cui è necessario fornire al paziente dializzato, anche un sufficiente apporto di calorie. Talvolta, un insufficiente introito proteico è spesso la conseguenza di abitudini alimentari errate. A tal fine è importante andare a dosare la transferrinemia, sensibile indicatore del deficit proteico. Nell impostazione della dieta del dializzato, molta attenzione si deve ai seguenti punti: Apporto energetico: Come in tutte le diete, anche in quella del dializzato resta importante anche considerare un adeguato apporto energetico, al fine di evitare il catabolismo proteico. Per il paziente in dialisi è necessario che l apporto energetico però, non sia inferiore a 35 kcal/kg di peso corporeo al giorno. Questo è particolarmente indispensabili in situazioni cataboliche da stress quali infezioni, altre malattie intercorrenti o interventi chirurgici. Se necessario, si può ricorrere ad un integrazione con substrati energetici, somministrati endovena, o all uso di soluzioni dialitiche contenenti glucosio. Nella dieta del dializzato, la percentuale di grassi come fonte di energia dovrebbe ammontare a circa il 35%,quella dei carboidrati a circa il 50%,e quella delle proteine a circa il 10-15%. ~ 62 ~

63 Introito di sodio o di cloruro di sodio: L accumulo di sodio nell intervallo tra due dialisi determina un sensazione del senso di sete e di conseguenza comporta una maggiore assunzione di liquidi, dal cui abuso si potrebbe manifestare ipertensione ed edema. Perciò nei pazienti in dialisi è necessaria una dieta iposodica e/o normosodica. Nella prescrizione di una dieta iposodica deve essere considerata anche la perdita del sodio nel dializzato; pertanto, se si ottiene un adeguata sottrazione di sodio per mezzo del liquido di dialisi, non sarà necessario seguire un dieta rigorosamente iposodica. Ovviamente non si deve utilizzare una dieta altamente ipersonica, in quanto essa causa sete e rende più difficile il controllo del bilancio idrico. In conclusione, l importante è non eccedere col sodio (fig.12, perchè provoca sete e rende più difficile il controllo del bilancio idrico. Introito di potassio: Per la maggior parte dei pazienti dializzati è necessaria la stretta osservanza di una dieta a basso contenuto di potassio(fig.13), perchè un aumentata quantità dello stesso, può comprometterne la vita. I pazienti in dialisi dovrebbero rinunciare a cibi con contenuto di potassio particolarmente elevato, pertanto ridurre assunzione di frutta ~ 63 ~

64 secca, noci, patate e ortaggi devono essere sminuzzati prima della preparazione e poi devono essere ben lavati. Introito di fosforo: L apporto proteico di circa gr/kg di peso corporeo al giorno, per il paziente in dialisi, si accompagna automaticamente ad un maggior introito di fosforo; pertanto, una dieta povera di fosforo (presente soprattutto in latticini e pesce;fig.14 e fig.15) è pressocchè impossibile per il paziente in dialisi. Il fosforo rappresenta un elemento di complessa gestione nel dializzato, la sua eliminazione con il rene artificiale è limitata, anche se migliora utilizzando filtri dotati di superficie estese e di una buona clearance dell elemento e attraverso una durata della dialisi sufficientemente lunga. Un alternativa è rappresentata da un incremento farmacologico del calcio, raccomandato soprattutto nel caso di una contemporanea ipocalcemia. L aumento nel sangue del fosforo e riduzione del calcio si manifesta con prurito, dolori ossei, artrosi, osteodistrofia, fragilità ossea con maggiore rischio di calcificazioni vascolari e parenchimali (tunnel carpale). Assunzione di liquidi: La diminuzione progressiva dell escrezione urinaria dei pazienti uremici terminali dall inizio ~ 64 ~

65 della terapia dialitica, richiede loro maggiore osservazione ad un rigoroso un bilancio idrico e controllato (fig.16). L opera di convincimento dei pazienti dializzati circa la necessità di un approvvigionamento idrico controllato, resta ad oggi uno dei maggiori problemi di routine della dialisi. Poichè le perdite idriche attraverso la cute, la respirazione e la defecazione sono difficilmente calcolabili e, dipendenti da molti fattori e, poichè l entità della diuresi residua è variabile, non c è una regola fissa per determinare la quantità di liquidi da assumere; in generale l assunzione di liquidi permessa ai pazienti dializzati non dovrebbe aumentare il peso corporeo di oltre gr. Ritenzioni idriche di tale entità possono di solito essere eliminate facilmente con la dialisi, e solo raramente sono fonte di problemi clinici nell intervallo fra due dialisi. Un importante suggerimento per il paziente e di porre sempre attenzione al contenuto di acqua nei cibi, per esempio: minestre, salse, brodi, frutta e verdura devono essere incluse nel calcolo dei liquidi. ~ 65 ~

66 Introito di fibre: Le fibre alimentari sono per lo più contenute negli alimenti vegetali (fig.17) non digeribili o parzialmente digeribili dagli enzimi digestivi. Un importante effetto collaterale del trattamento con chelanti del fosforo e altri farmaci che riducono l assorbimento del potassio, nonché come conseguenza della necessità di limitare l introito di liquidi è la stipsi, la quale richiede l uso di lassativi. Un abbondante introito di fibre alimentari, però è di fatto impossibile, o meglio incompatibile con la necessità di osservare una dieta rigorosamente povera di potassio; poiché gli alimenti ricchi di fibre sono: verdure, frutta, frumento e cereali, che contengono appunto molto potassio. Vitamine: Le vitamine idrosolubili (fig.18) vengono perse nel corso della dialisi. E necessaria un integrazione supplementare della vitamina B1, B2, B6. Un integrazione ottimale si ottiene con ~ 66 ~

67 un dosaggio giornaliero di 8 mg di vit. B1; 8 mg di vit.b2 e 10 mg di vit. B 6. Alcool: Pur tenendo conto della necessità di un adeguato bilancio idrico e di eventuali malattie concomitanti, come steatosi e pancreatite, non vi sono controindicazioni all occasionale consumo di alcool (fig.19), senza esagerare. Spezie: Erbe e spezie son per il paziente in dialisi il sale nella minestra ; esse possono bilanciare la perdita di sapore dei pasti causata dalla necessaria limitazione dell assunzione del sale. Ferro: Una notevole carenza di ferro (fig.20) nei pazienti dializzati è, in generale, un evenienza più rara rispetto al passato. Rilevare pertanto, l eventuale carenza attraverso il dosaggio delle ferritina sierica ( se inferiori a 15mg/l indicano sempre mancanza di ferro). Una carenza marziale potrà essere reintegrata con un integrazione per via orale. Zinco: Una carenza di zinco si manifesta con sintomi quale prurito, cure secca e desquamata, disturbi della sensibilità ~ 67 ~

68 gustativa, rallentata guarigione delle ferite e disturbi sessuali. Il contenuto di zinco nell organismo è difficilmente dosabile e l assunzione di Sali di zinco può spesso causare dolori gastrointestinali. In conclusione, gli scopi della dieta nel paziente dializzato sono: 1. Evitare l ipervolemia; 2. Evitare il catabolismo proteico; 3. Evitare l ipercalcemia; 4. Evitare l iperfosforemia; 5. Assicurare un sufficiente introito o una sufficiente integrazione di vitamine e minerali. Fondamentale resta la compilazione di un piano dietetico personalizzato, in quanto attraverso un alimentazione adeguata, si migliora la qualità di vita e si riduce l incidenza delle complicanze. In caso di peggioramento delle condizioni di salute bisogna effettuare non solo il controllo del regime di dialisi (generalmente si rende necessaria un intensificazione della terapia dialitica) ma anche, della situazione metabolica e/o nutritiva. Il personale infermieristico di dialisi, ha il compito, in collaborazione con i medici e dietisti, di promuovere un attività educativa e di counseling rivolta al paziente e, qualora ve ne sia la necessità, ai famigliari ed, in un momento successivo, monitorare la compliance del paziente. Chiaramente, affinchè la dieta possa essere ben accettata, è necessario che ci siano: alternative alimentari possibili, facilmente gestibili; informazioni utili per quanto riguarda i condimenti, l uso di aromi, metodi di cottura; ~ 68 ~

69 schemi alimentari tali da poter consumare la dieta anche fuori casa. 4.2 Problemi psicologici del paziente dializzato La malattia per proprio status, indipendentemente dall entità, ha delle pesanti implicazioni sulle reazioni emotive e psicologiche individuali che potrebbero rivelare effetti anche molto incisivi sul decorso della stessa malattia. Una persona malata, soprattutto in modo cronico, convive allo stesso tempo la duplice realtà opposta e inconciliabile della condizione attuale di malato e, quella passata di sano. Si tratta senz altro di un esperienza sconvolgente e, potenzialmente distruttiva. A tal fine, per trattare in maniera adeguata i malati dializzati, è di fondamentale importanza occuparsi anche dei loro problemi emotivi, psicologici e sociali, tenendo senz altro conto delle difficoltà dei familiari e degli stessi operatori. le innumerevoli rinunce su più fronti e, le alterazioni fisiche, conseguenza della nefropatia (alito uremico, colorito della pelle giallo pallido, ecchimosi, forfora, capelli radi, prurito continuo, osteodistrofia, dolori ossei, presenza dell accesso vascolare, sia esso fistola artero-venosa o catetere venoso centrale), comportano nel paziente un importante modificazione dell immagine di sé nell interazione con l altro, il paziente vive una vera e propria perdita dell IO. Il paziente in trattamento emodialitico è soggetto a molteplici alterazioni fisiologiche e psicologiche; un esempio è dato dalla disfunzione sessuale: circa l 80% dei soggetti malati, riferisce una riduzione della libido, associata ad impotenza; gli uomini manifestano disfunzione erettile e, le donne frigidità. il paziente teme di ridurre la vita di coppia alla sua routine quotidiana, alterata dalla malattia: inutile far presente la costante paura della morte e, del dolore ~ 69 ~

70 generato ai familiari. Col passare del tempo, con l aggravarsi della malattia stessa, si può generare uno stato fortemente depressivo e, rabbia inespressa che potrebbe portare al suicidio. Il paziente si sente completamente solo e perdente, poiché la sofferenza fisica e morale non è mai del tutto comunicabile. le reazioni a questa nuova condizione possono essere diverse, data la diversità dei soggetti. Molto spesso i segnali che identificano un iniziale stato di disagio psicologico, non vengono percepiti, o sono sottovalutati dagli operatori sanitari; il malato tende a svilupparsi ad esso guarendo comportamenti differenti in base al tempo di insorgenza della malattia. I pazienti che per la prima volta si trovano faccia a faccia con questa diagnosi tendono a reagire con comportamenti di smarrimento, paura e diffidenza che spesso sfociano in aggressività con l operatore sanitario, oppure verso la malattia, passività e apatia per ciò che sta accadendo, chiusura in se stessi e scarsa propensione alla comunicazione con l operatore sanitario; oppure si avverte rifiuto notevole di accettare la patologia e il trattamento. Dopo la fase in iniziale, i pazienti tendono a familiarizzare con l ambiente e con gli operatori, prendendo coscienza dei disagi e dei ritmi del trattamento, rassegnandosi o imparando a confrontarsi con la realtà della nuova situazione. Delle volte, reagiscono con un rifiuto categorico alla terapia, alle prescrizioni dietetiche e, quindi non collaborando. Il dializzato potrebbe inoltre subire cambiamenti riguardanti l attività lavorativa e, di conseguenza l aspetto economico a causa delle ripetute sedute di dialisi e, per le eventuali complicanze che possono insorgere durante il trattamento (stanchezza, cefalea, ipotensione). ~ 70 ~

71 Alcuni accettano la loro patologia e tutto ciò che comporta, ma l incapacità di affrontare la nuova situazione li porta a ricercare sostegno e protezione nel personale sanitario, considerato elemento protettivo e rassicurante, con comportamenti regressivi. Quest ultimo nasce dal bisogno di sicurezza che spinge l ammalato a ricercare contatti con il personale sanitario, magari ponendogli sempre le stesse domande, pur restando nell incertezza e, nella preoccupazione per il suo futuro. Chiaramente un ruolo importante di supporto è senza dubbio coperto dalla famiglia, a cui il dializzato crede non riuscire più a provvedervi, considerandosi peso inutile per i propri cari. Le reazioni con cui i familiari fronteggiano questo trattamento sono uguali a quelle dei pazienti. Poiché il personale della dialisi è intensamente coinvolto emozionalmente, dai pazienti (specialmente da quelli che peggiorano gradualmente), alcuni di loro talvolta affrontano questa situazione con il rifiuto di proseguire le necessarie terapie mediche. Questo può portare a vanificare le aspettative del personale medico e impedire il raggiungimento di obiettivi realistici di riabilitazione e, di graduale miglioramento Aspetti psicologici del paziente emodializzato acuto Il paziente che affronta per la prima volta si colora certamente di uno stato d animo caratterizzato da sentimenti come smarrimento, diffidenza e paura ai limiti dell angoscia; le reazioni che però può presentare sono svariate e, vanno da reazioni manifestate sotto forma di aggressività, passività e negazione. L aggressività può presentarsi indifferenziata, mirata contro una persona o contro la malattia. Il paziente è in continuo astio e collera ~ 71 ~

72 senza essere conscio dei reali motivi del suo rancore. Spesso, sono proprio gli operatori sanitari a diventare oggetto di aggressioni verbali, apparentemente immotivate da parte dei pazienti. La passività emerge attraverso il non interesse per ciò che sta accadendo, sono chiusi in se stessi e, non rivolgono alcuna richiesta agli operatori. La negazione in cui il paziente sembra non capire la necessità di sottoporsi all emodialisi, quasi che non abbia l esatta consapevolezza della malattia, rifiuta o dimentica la terapia poiché il riconoscimento della patologia risulta inaccettabile per la propria coscienza. Talvolta, nella fase iniziale, questa negazione assume una sua valenza positiva, in quanto consente al malato di non affrontare subito una situazione troppo ansiogena e dolorosa; in tal caso il rifiuto è una strategia di difesa che serve a guadagnare tempo. Se si prolunga nel tempo tale comportamento, ne rallenta l accettazione della realtà Aspetti psicologici del paziente emodializzato cronico Il paziente con malattia cronica potrebbe vivere la propria condizione come una condanna. Nonostante il conforto e l informazione del personale sanitario, il paziente potrebbe sperimentare una situazione di grande insicurezza : non sa con precisione quale sarà il decorso della malattia, cosa deve accadergli e come accadrà; si trova a dover dividere il proprio spazio assistenziale con altri estranei altrettanto sofferenti e preoccupati, con i quali potrebbe instaurare un rapporto, spesso misto di solidarietà ed egoismo. Pertanto lo stato d animo principale è caratterizzato da depressione e frustrazione, per il loro ~ 72 ~

73 immutabile stato di malato. Alterazioni e limitazioni dovute alla peculiarità della patologia e del trattamento, che si ripercuotono negativamente sulla psiche del soggetto perché: Le attività quotidiane sono limitate dalla frequenza e durata del trattamento; Dipendenza dalla macchina e dagli operatori sanitari; La dieta è difficile da rispettare per le limitazioni che apporta (poca acqua, poca frutta); Riflessi nella sfera sessuale causata dalla caduta della libido; Modificazione estetica del braccio nel quale è stata realizzata la fistola artero-venosa; Paura della morte; Impossibilità o difficoltà a realizzare una vacanza, data la necessità di vicinanza di un centro emodialitico precedentemente prenotato. L emodializzazione riveste per l assistito, sentimenti di odio/amore per quanto permette la vita ma, comunque ne riduce notevolmente la qualità perché subordina la persona a recarsi più volte alla settimana, per molte ore, ad effettuare l emofiltrazione. Spesso, nei pazienti che arrivano alla dialisi, già nelle prime settimane di trattamento si può osservare un miglioramento delle condizioni psicofisiche. In questa fase, i pazienti si adattano molto facilmente alla nuova situazione, il miglioramento della qualità di vita e, le possibilità di nutrirsi con dieta proteica e, meno restrittiva, produce molto spesso, reazioni euforiche. Qualcuno arriva a sviluppare, col tempo, interesse ~ 73 ~

74 verso le tecniche dialitiche, sino a collaborare attivamente agli aspetti organizzativi. Si tende, pertanto a tollerare meglio la nuova situazione; mossi da un paradossale dualismo che confronta ai due poli, da una parte, un forte desiderio di autonomia, dall altra una dipendenza sempre più inseparabile dal personale. Se succede che, durante il trattamento emodialitico, si sono verificate complicanze, date per esempio, da problemi di accesso vascolare, che hanno procurato sofferenze fisiche e comprensibili paure, dopo la fase di stabilizzazione, i malati potrebbero iniziare ad interrogarsi se, per la qualità di vita vissuta, valga davvero la pena viverla. Alcuni, pertanto, reagiscono adottando modelli di adattamento ai conflitti che sono notevolmente variabili da caso a caso. Si possono verificare atteggiamenti di resistenza o pseudo-difesa, in quanto tendono ad opporsi alla terapia, non si attengono alle prescrizioni dietetiche, non rispettano la regolarità delle sedute dialitiche e, in casi estremi, il trattamento viene del tutto rifiutato; ma, rifiutare la malattia e, i rischi ad essa connessi, equivale secondo il malato a sottrarsi alla sofferenza psicologica connessa alla malattia stessa. Altra reazione che possiamo riscontrare consta nell adattamento al proprio ruolo di malato, esigendo dal personale di dialisi e, dal personale di dialisi le dovute attenzioni verso tutti i loro problemi, anche minimi e, possono sviluppare comportamenti talvolta regressivi. Quest ultima espressione, consiste nel ritorno ad uno stato psicologico e comportamentale antecedente vissuto, senza la perdita delle capacità e delle conoscenze acquisite fino a quel momento; è il ritorno a modalità di pensiero, espressione, comportamento e relazione di ~ 74 ~

75 livello inferiore rispetto a quelle normalmente occupate. La frase il malato è ridiventato bambino, rappresenta in modo ottimale la regressione più comunemente attuata dal malato in genere. Solitamente con il trascorrere del tempo, in quasi tutti gli emodializzati si riscontrano stati depressivi più o meno accentuati, provocati anche dalle complicanze che si instaurano nel corso del trattamento. Solo dopo un periodo, variabile da soggetto a soggetto, subentra la rassegnazione e una valutazione realistica della situazione col raggiungimento di una certa stabilità psichica. È opportuno ricordare che molti emodializzati sono candidati al trapianto, trattamento considerato da alcuni come forma di guarigione totale, mentre per altri vissuta come espressione diversa della malattia, in quanto costringe al contatto continuo con la struttura ospedaliera e, ad una terapia farmacologica cronica, volta a prevenire il rigetto. Ad ogni modo, l attesa al trapianto è vissuto con stati d animo diversissimi, da persona a persona: si può avvertire infatti: Senso di speranza nel ritornare ad uno stato di normalità, nel recuperare la libertà di disporre del proprio tempo, di poter rompere il legame di dipendenza con le macchine e le terapie; Senso di paura per qualcosa che non si conosce, nel ricevere l organo di un estraneo, di un cadavere, paura del rigetto che, può sopraggiungere in qualsiasi momento; Senso di ansia intollerabile per l attesa del trapianto, che potrebbe essere talvolta, lunga e vana. Talvolta,questo iniziale stato di euforia, può tramutarsi dopo qualche tempo, per far spazio allo sconforto o viceversa, persistere per coltivare la speranza del trapianto. Chiaramente, anche il pensiero del ~ 75 ~

76 trapianto è vissuto con molte ansie, tra cui la paura di incompatibilità col donatore, o il timore per la salute del congiunto che si offre donatore, o la perenne riconoscenza e gratitudine verso quest ultimo. Non dimentichiamoci del ruolo tra l altro, per nulla marginale che riveste l infermiere nella gestione di questo particolare tipo di paziente; l infermiere infatti, dev essere consapevole che, quando con gli aghi collega il malato alla macchina, in realtà lo collega alla vita!!!. 4.3 Come migliorare la qualità della vita? Le evidenze attuali suggeriscono che per avere un miglioramento significativo della Q.d.V. dei pazienti bisogna trattare precocemente il problema ed eseguire l emodialisi quotidianamente oppure, sono necessarie sedute più lunghe. Inoltre gli studi danno molta importanza alla gestione dell accesso vascolare, all esercizio fisico e all apporto nutrizionale.. Dalla letteratura emergono le Linee Guida del National Kidney Foundation K/DOQI (2001) che forniscono delle indicazioni per migliorare la dialisi e, di riflesso anche la Q.d.V. ; esse associano il livello di funzione renale a complicazioni della malattia renale cronica e stratificano il pericolo per la perdita della funzione renale e lo sviluppo della malattia renale cardiovascolare. Le raccomandazioni includono l identificazione delle persone a maggior pericolo (diabetici, ipertesi, ecc ) rilevando il danno renale con la misurazione del rapporto albumina-creatinina in campioni di urina e stimando il tasso di filtrazione glomerulare della creatinina sierica utilizzando equazioni di predizione. ~ 76 ~

77 Le Linee Guida K/DOQI (2001) si concentrano sulla scelta di alcuni indicatori per la qualità in dialisi presentati nella tabella 1. indicatore valore Pressione Sistolica < 140 mmhg Durata della seduta 4 ore Dose di dialisi (spkt/v) 1,3 Protein Catabolic Rate Normalized 1,2 g/kg/die (NCPR) Emoglobina (Hb) 11 g/dl Calcemia (Ca) 8,4 9,5 mg/dl Ca * P 55 mg2/dl2 Bicarbonatemia (HCO3) 20 mmol/l Potassiemia (K) 3,5-6,0 mmol/l Fosforemia (P) 3,5 5,5 mg/dl Tabella 1. Il confronto dei risultati con quelli consigliati permette di omologare i trattamenti con conseguente maggiore beneficio e sicurezza per il singolo paziente. Le Linee Guida K/DOQI (2001) raccomandano di eseguire un controllo mensile su tutti i pazienti del centro che non raggiungono il target dei vari indicatori, associando anche la verifica dell avvenuta variazione terapeutica. Inoltre richiamano l attenzione, sul fatto che non basta una buona dialisi per migliorare la Q.d.V., ma l operatore deve considerare anche tutti gli aspetti che riguardano il punto di vista soggettivo del paziente. ~ 77 ~

78 Da uno studio osservazionale, si evince inoltre che una precoce presa in carico dell insufficienza renale cronica, riconosce numerosi benefici clinici; un esempio è posto dal riscontro di minor rischio cardiovascolare all inizio del trattamento dialitico quindi, migliora la Q.d.V. e la stessa aspettativa di vita. Lo studio rileva che l elevato numero di soggetti a rischio e la diversità delle patologie, non consentono più il tradizionale approccio nefrologo-paziente che si limitava a constatare i danni cercando di ridurre le conseguenze. La malattia richiede un approccio multidisciplinare integrato ai vari livelli di compromissione degli organi coinvolti. In tal modo il segnale di una patologia d organo che conduce irreversibilmente al declino della funzione, consentirebbe invece di attivare tutte quelle energie e risorse volte a ridurre l impatto della malattia sul paziente, a migliorare la conoscenza della storia naturale della malattia e a razionalizzare le risorse. Nel corso del suo cammino verso la cronicità ogni paziente va incontro a esigenze cliniche diverse che sono comunque parte di un unico processo di cura e che vanno dalla gestione della quotidianità affidata al medico di medicina generale alla gestione di eventi acuti che richiedono interventi clinici ad alta specificità effettuati generalmente in regime di ricovero. Per gestire i diversi livelli assistenziali (territorio, presa in carico precoce e ospedale) è necessaria la sinergia coordinata delle diverse figure professionali. La presa in carico precoce del paziente costituisce il perno su cui si articolano i vari livelli di cura e si avvale di tre strumenti: il primo è l educazione terapeutica che comprende la sensibilizzazione, l informazione, l addestramento, l accettazione e l integrazione della ~ 78 ~

79 malattia nel progetto di vita del paziente. Il secondo è la formazione del team-building o team management nel quale gli operatori sanitari acquisiscono la capacità di costruire e operare in squadra e di coordinare e gestire percorsi di cura. L acquisizione di questi due livelli consente infine la progettazione del disease management cioè di quella metodologia basata su un approccio integrato alla malattia che deve consentire un miglioramento continuo delle prestazioni rese, della Q.d.V. del paziente e dell impiego delle risorse economiche, consentendo una risposta organica alla frammentazione delle cure. La percezione del supporto sociale è stato dimostrato avere un effetto cuscinetto anche sulla depressione e sulla sopravvivenza in pazienti in end-stage renal disease (ESRD) trattati con dialisi (Kimmel, 2000). Pazienti dializzati depressi riferiscono meno contatti sociali con gli altri, percepiscono un minor grado di sostegno sociale e sono meno soddisfatti del supporto che essi ricevono (Elal & Krespi, 1999). Kimmel (2000) suggerisce che due pazienti con caratteristiche cliniche e socio demografiche simili possono avere una percezione differente del loro stato di salute e di come lo stato di malattia interferisce con la loro vita, dato la possibile influenza della depressione e del supporto sociale sulle altre variabili. Queste conclusioni suggeriscono la necessità di valutare il supporto sociale percepito tra i pazienti con malattie croniche come quelle renali. La persona affetta da insufficienza renale cronica terminale ha affrontato l esperienza di un cambiamento radicale della propria vita, per la riduzione dell efficienza fisica, per le restrizioni alimentari, o di altro tipo, necessarie a preservare dal rischio di sintomatologie acute, ~ 79 ~

80 per il legame indissolubile, e assai rigido, con la macchina e il personale sanitario. La sfida per l infermiere, come sempre, è quella di mettere il malato nella condizione di gestire autonomamente la propria diminuzione fisica, rendendola compatibile con la definizione di salute che ben conosciamo. ~ 80 ~

81 CAPITOLO 5: Supporto infermieristico al paziente dializzato 5.1 Formazione ed informazione Alterazioni sistemiche l infermiere e la famiglia del dializzato Le aspettative reciproche Metodologie infermieristiche Burn-out in dialisi Consigli al cambiamento ~ 81 ~

82 Particolare attenzione merita il ruolo che riveste l infermiere, in quanto la qualità della vita del paziente in generale, è un obiettivo primario della nostra professione. Si realizza un intesa-scontro, ossia un rapporto paradossalmente interdipendente, tra infermiere e dializzato, basato su odio-amore allo stesso tempo. L infermiere, da un lato, dovrà avere, quindi, una rilevante competenza tecnico-scientifica e, chiaramente una significativa operatività manuale dall altro, al professionista sanitario è chiesto di svolgere un, non da meno, ruolo dal punto di vista umanitario e relazionale. La relazione infatti, acquisisce tutte le caratteristiche di un rapporto a lungo termine, in cui potrebbe instaurarsi una relazione di familiarità tra i due soggetti; è indispensabile pertanto, per l infermiere mantenere un rapporto di alta professionalità (in quanto col tempo, i pazienti diventano grandi esperti della loro malattia) e di rapporto professionale equilibrato (al fine di poter gestire qualsiasi evenienza con l indispensabile distacco). Riconosciamo nelle norme legislative, quanto appena detto, citando infatti due importanti articoli del Codice Deontologico 2009: L art.12 cita che l infermiere riconosce il valore della ricerca, della sperimentazione clinica e assistenziale per l evoluzione delle conoscenze e per i benefici sull assistito. Secondo l art. 13 L infermiere assume responsabilità in base al proprio livello di competenza e, ricorre se necessario, all intervento o alla consulenza di infermieri esperti o specialisti. Presta consulenza ponendo le proprie conoscenze ed abilità a disposizione della comunità professionale. ~ 82 ~

83 5.1 Formazione ed informazione Rivestire il ruolo di bravo tecnico dell assistenza dialitica, vuol dire anche, saper usare il rene artificiale con perizia, poiché sono importanti le conoscenze di chimica, fisica e meccanica, oltre che di medicina e naturalmente, di infermieristica. Una macchina che funziona bene, ed un operatore sicuro e tecnicamente preparato, in grado di fronteggiare qualsiasi complicanza ed evenienza ( sia del paziente che della macchina stessa), che si presenti durante una seduta dialitica, sono una garanzia per il paziente e soprattutto gli infondono fiducia. Si elimina in tal modo, già una buona percentuale di stress emotivo. Nell assistenza al paziente dializzato, essere solo un buon tecnico, però, sottende la responsabilità di curare e prendere in carico la persona nella sua globalità, assisterla psicologicamente, ascoltandola, informandola, coinvolgendola e, valutando con la stessa i propri bisogni assistenziali. Si crea così, tra l infermiere a l assistito una relazione d aiuto che si costruisce e si modifica giorno per giorno, sulla base del vissuto che i due affrontano da angolazioni diverse tra loro ma finalizzate al raggiungimento di un identico obiettivo. Altro aspetto fondamentale che l infermiere di dialisi non deve trascurare è identificabile nella corretta e precoce informazione che l operatore gli fornisce in modo chiaro, sereno ed ottimistico. L obiettivo è quello di garantirgli una buona conoscenza rispetto ai punti più importanti della propria terapia, per esempio: 1. Terapia emodialitica e sue procedure; ~ 83 ~

84 2. Accorgimenti da adottare per avere un buon funzionamento e conservazione della fistola arterovenosa; 3. Restrizioni alimentari, controllo del fosforo e del potassio; 4. Consumo dei liquidi; 5. Mantenimento di un attività quotidiana valida, vivendo la terapia come in momento della propria vita e non al centro del proprio vissuto e continuare quindi le proprie attività di tutti i giorni: lavoro, vacanze, hobbies, accettazione propria dell immagine corporea, mantenimento delle proprie abitudini sessuali. L attività affettiva e sessuale della persona in dialisi infatti, deve essere continuata, come quella avuta prima dell inizio del trattamento dialitico: ciò aiuta a sentirsi psicologicamente liberi, una donna in dialisi può pensare alla maternità; è sicuramente una possibilità complessa ma non sono pochi i casi descritti in letteratura di gravidanze portate a termine con successo. Data la periodicità e la continuità del trattamento emodialitico, significativo è il rapporto di dipendenza che si viene a creare, sia dalla macchina che dagli operatori. In tale contesto possono verificarsi due situazioni: la dipendenza la quale esprime un bisogno di protezione e di attenzione alle cure; la consapevolezza della dipendenza scatena atteggiamenti di aggressività, rabbia, a causa di sentimenti di impotenza e frustrazione invalidanti che possono ripercuotersi sugli operatori e sui familiari. ~ 84 ~

85 5.2 Alterazioni sistemiche L infermiere non deve mai dimenticare che la nefropatia cronica comporta delle alterazioni in toto nell organismo del paziente, non esiste organo o apparato che non sia coinvolto nel processo degenerativo. Anche mente e psiche, col passare del tempo si deteriorano sino, ad arrivare a forme di demenza. I pazienti dializzati riferiscono infatti che, la cosa difficile d accettare inizialmente è quella di essere colpito da una patologia Cronica Terminale. La parola Terminale sconvolge chiaramente, la persona portandola a pensare alla fine della propria vita. La dialisi lascia il suo segno indelebile: di un qualcosa che consuma da prima il cervello e poi piano, piano il fisico. La dipendenza con la macchina, li fa entrare in un tunnel : è lei che permette di rimanere aggrappati a quel che resta dell esistenza. 5.3 L infermiere e la famiglia del dializzato L apporto della famiglia è un elemento importante che influisce in maniera decisiva sull adattamento al trattamento dialitico a lungo termine. L infermiere si trova così, a dover sostenere, rassicurare, consigliare e, talvolta a supportare la famiglia del paziente; deve chiaramente, saper instaurare con essa un rapporto di collaborazione e di dialogo con i vari componenti del nucleo familiare, individuando all interno,qualora possibile, una figura di supporto, un leader che sappia costruire delle specie di impalcature psicologiche, in grado di sostenere il peso della situazione e, di distribuirlo a ciascuno dei componenti, secondo le proprie possibilità. Molto spesso capita ~ 85 ~

86 proprio che sia la famiglia, la prima a ricordare al paziente la sua malattia ed a trattarlo da ammalato ; tutto ciò provoca nella persona colpita sempre più un sentimento di solitudine, provocandogli un dolore che non riesce e, non vuole dividere con nessuno. La famiglia deve avere un atteggiamento di amore, accoglienza e protezione. Per questo la persona colpita ha in corso da sempre una lotta contro la malattia e contro il suo apparire. Ancora,la famiglia può negare il bisogno di salute del paziente, come meccanismo di difesa in quanto, non pronta a gestire la situazione dolorosa. La stessa, può pretendere che il paziente continui a mantenere le abitudini del passato anche se non ne è più in grado. Molto spesso, si viene anche colpevolizzati di essersi ammalati come se, la malattia fosse qualcosa che si può scegliere o gestire o ancora, viene riconosciuta nella malattia la giusta punizione per una colpa commessa. Tutto ciò comporta il dover mettere in atto dei meccanismi di difesa da parte del paziente che lo spinge a chiudersi sempre più in se stesso, solo nel suo dolore, solo nelle sue difficoltà, solo nella sua solitudine. È questo un campanello d allarme importante, indice della compromissione della relazione interpersonale Partecipante/ Famiglia. Ma affinchè la solitudine del malato non si traduca in angoscia occorre rinunciare a rimuovere il dolore, la malattia, la sofferenza che fanno parte della nostra vita. A tal proposito infatti, il professionista che lavora in un centro dialisi è pertanto, un elemento di vitale importanza per l assistenza completa e competente nei confronti di questi pazienti. Purtroppo però, le limitazioni che la malattia impone al paziente toccano indirettamente, ma non per questo con meno impatto emotivo, anche chi sta vicino al malato. ~ 86 ~

87 5.4 Le aspettative reciproche Il paziente ritiene che sia di estrema importanza avere un colloquio preparatorio riguardante la dialisi (fig.21), il tipo di vita a cui andrà incontro, e le possibili conseguenze di patologie negative che possono essere causate dal prolungarsi della dialisi stessa. Durante il colloquio bisogna discutere anche del trapianto renale per quei pazienti che hanno questa possibilità. Le aspettative possono essere sintetizzate con una buona comunicazione e una seria interazione con lo staff curante; tutto questo comporta l essere accompagnato nell affrontare la malattia e il non trovarsi nella situazione di negatività e di incertezza del futuro. Il paziente, per migliorare la Q.d.V. punta molto sul fattore tempo, dando la massima importanza alla presa in carico precoce del trattamento dialitico. Per l infermiere, invece, ci si può aspettare un certo grado di collaborazione solo nel caso in cui si riesca ad instaurare un rapporto corretto e chiaro tra l organizzazione (a tutti i livelli) e i pazienti. È importante attuare un progetto d inserimento e accoglienza del malato con lo scopo di aiutare lo staff curante ad approcciarsi in modo corretto al paziente e a far fronte in modo sistematico ai suoi effettivi bisogni. I familiari possono essere coinvolti in questo progetto allo stesso modo dei pazienti; infatti se informati bene dall inizio, sul ~ 87 ~

88 percorso di malattia, possono diventare un punto di riferimento e un aiuto per trovare le risposte adatte specialmente per i malati non autosufficienti. Attraverso l utilizzo delle teorie infermieristiche, delle diagnosi, ecc gli infermieri sono più aiutati a capire meglio il percorso affrontato dal paziente nella sua malattia, rispetto alla famiglia stessa del paziente e, ad intervenire di conseguenza. Sarebbe opportuno, rendere un po più sistematico il collegamento con la persona di riferimento, specie per i pazienti che ne hanno necessità. Gli operatori sanitari si stanno rendendo conto che si sta affacciando un capitolo nuovo dell assistenza, dettato da una fase di passaggio tra l assistenza infermieristica, più mirata all aspetto tecnologico, in cui si ha una visione olistica del malato. 5.5 Metodologie infermieristiche La metodologia dell assistenza infermieristica, il processo infermieristico, ci guida al perseguimento dell obiettivo: 1. occorre innanzitutto conoscere il malato, la sua storia, la sua vita quotidiana, com era prima della malattia e com è oggi, come affronta la sua condizione e cosa si aspetta dal futuro, come ha risolto i problemi riguardanti la famiglia, il lavoro, i rapporti sociali; 2. a questo punto si pianificano gli interventi assistenziali, tenendo conto dei problemi da risolvere, delle risorse del malato, delle risorse della struttura sanitaria, umane e materiali. L aspetto qualificante del piano è il suo approccio olistico, giacché considera la persona nella sua multidimensionalità, non si occupa selettivamente della cura del ~ 88 ~

89 corpo e delle funzioni biologiche, non si dedica esclusivamente all esecuzione delle prescrizioni mediche; 3. nella fase di attuazione del piano l infermiere, ha la necessità di mettere alla prova le sue capacità tecniche, anche in questo caso riguardanti non solo le abilità nell esecuzione di manovre manuali o strumentali, ma anche quelle relazionali ed educative; 4. infine l infermiere valuta il raggiungimento degli obiettivi assistenziali, attraverso la comparazione tra risultati attesi e risultati ottenuti. 5.6 Burn-out in dialisi Il paziente riferisce di sentirsi all inferno: è sempre in ospedale, è sempre molto solo ad affrontare il tutto. Esorcizzare la malattia può essere un rimedio tranquillizzante per i sani, per i malati si traduce in una fonte di angoscia ed alienazione. Di fronte a tali stati d animo, è importante che l infermiere impari a gestire il proprio stress per non giungere ad una situazione di burnout, percorso che porta molti operatori ad esaurire l entusiasmo per il proprio lavoro, a ridurre l impegno, fino a diventare apatici e, anche cinici nei confronti dei colleghi e dei pazienti. Gli infermieri diventano quasi una famiglia per questi pazienti, date le innumerevoli sedute di dialisi, perciò essi hanno il compito di fornire un approccio continuativo, unificato e di sostegno ed, essere pronti ad accettare tutta la gamma di reazioni da parte del paziente e,dei suoi cari, proprio perché è in questa situazione che vengono manifestati i bisogni e, si vedono realizzati o meno, le proprie aspettative ed in definitiva le proprie speranze. ~ 89 ~

90 Occorre però, essere distaccati e obiettivi, senza frustrare le speranze e, la fiducia del paziente nell efficacia della terapia e, in un eventuale miglioramento. Pertanto, è molto importante che la persona in dialisi non debba percepire come irreversibile, la malattia. 5.7 I consigli per il cambiamento Secondo il paziente, gli operatori devono lavorare ancora molto su un approccio precoce e sull informazione al malato; visti i margini di tempo degli operatori limitati, si può cercare di ovviare a questo creando una partecipazione diretta con le associazioni e con i loro volontari opportunamente istruiti. Uno dei miglioramenti possibili e attuabili immediatamente consiste nel miglioramento del dialogo, per non correre il rischio di una perdita di fiducia, sia nei confronti degli operatori che della struttura. Per migliorare la Q.d.V. e, avere un controllo maggiore della malattia sarebbe utile programmare almeno una volta l anno, visite specialistiche e accertamenti diagnostici, specialmente per quei pazienti a maggior rischio. Dall intervista viene a galla che non dovrebbe esistere frammentazione tra le varie componenti della dialisi, cioè l operatore non può essere considerato staccato dalla struttura, e cosi anche le associazioni ne devono far parte altrimenti si corre il rischio di far cadere nel vuoto tutti gli sforzi fatti singolarmente. Il paziente suggerisce di incoraggiare azioni che, contribuiscano a creare unità, ed essere di stimolo nell affrontare la malattia. ~ 90 ~

91 Per il paziente, sarebbe idoneo un coinvolgimento della struttura pubblica, anche per quanto riguarda l aspetto economico di queste iniziative che, potrebbe portare ad un aiuto sostanziale anche per le persone con problemi finanziari. L infermiere dovrebbe innanzitutto capire in generale, come può essere definita la Q.d.V. del paziente; anche perché molti infermieri, concentrati maggiormente sul discorso tecnico, non se lo sono mai chiesto. Gli operatori devono individuare delle persone più sensibili, con il compito di approcciarsi in modo individualizzato al paziente e quindi estrapolare e, fare emergere i problemi reali, per poterli affrontare insieme. Anche l accoglienza al malato dovrebbe essere maggiormente mirata ed individualizzata possibile ad ogni singolo paziente, per cercare di instaurare un rapporto di collaborazione, di fiducia e, per cercare di lavorare insieme per migliorare la Q.d.V. degli utenti. ~ 91 ~

92 PARTE SECONDA CAPITOLO 6: Indagine svolta nella Struttura Complessa Nefrologia e Dialisi presso la Struttura Sanitaria SS. Annunziata di Taranto 6.1 Metodologia, strumenti e campione Obiettivi dello studio Elaborazione e discussione dei dati.96 ~ 92 ~

93 Nello svolgimento della tesi, è stata focalizzata l attenzione sulla qualità della vita, usata come misura del risultato, in quanto essa, consente di valutare e collegare i diversi importanti fattori che riguardano la salute dell individuo. La qualità di vita è indice soggettivo, relazionato alla percezione della propria salute fisica e psicologica-emotiva, in base alle interazioni con il proprio contesto ambientale. Quindi, per lo studio sulla qualità della vita, diventa importante raccogliere dal paziente le informazioni, i giudizi e le sensazioni inerenti particolari variabili che, differenziano la Q.d.V. tra un individuo e l altro. Si è pertanto affrontato il tema del vissuto della persona dopo l inizio del trattamento emodialitico, cercando di capire quali sono le modificazioni che intervengono nel modificare la Q.d.V. con l evento della dialisi e, quanto la perpetuosità del rito della terapia può influenzarla. Queste variabili sono elaborate in un questionario che, evidenzia essenzialmente i seguenti punti: Situazione psicologici: facendo riferimento in particolar modo alla modificazione dell immagine corporea per la presenza dell accesso venoso, le restrizioni dietetiche e idriche, la perdita o cambiamento del ruolo sociale, le disfunzioni sessuali; La percezione dello stato di salute della persona; Autonomia funzionale lavorativa; Le relazioni sociali e interpersonali: chiedendo se e come si sono modificate le attività svolte durante il tempo libero dopo l inizio del trattamento e le alterazioni delle relazioni sociali; ~ 93 ~

94 I disturbi somatici : se sono presenti sintomi conseguenti la malattia renale, come stanchezza, cefalea, difficoltà della deambulazione, dolori ossei, insonnia, sete intensa e prurito diffuso e, che incidenza hanno durante la giornata. I progetti futuri; Il rapporto con il personale. Inoltre, per garantire una buona qualità di vita delle persone dializzate, gli operatori sanitari devono porre attenzione ad alcuni dei principali fattori che incidono su di essa: ad esempio il controllo dell anemia, il tipo di dialisi, lo stato nutrizionale, l efficienza dialitica, l età del paziente, le condizioni socio-economiche, gli aspetti psicologici. Diversi studi, ad esempio, hanno dimostrato che la qualità di vita in dialisi è correlata ai livelli di emoglobina ed emotocrito che si rappresentano clinicamente con i sintomi di stanchezza. Anche se la stanchezza potrebbe correlarsi a fattori psicologici quali la depressione, l ansia e la percezione di bassi livelli di vitalità e di energia o a disturbi del sonno. E noto che la famiglia è molto importante perché essa influisce sulla qualità di vita e sulla riduzione della depressione. L aspetto centrale dell esperienza emodialitica è lo stato di dipendenza che il paziente sviluppa nei confronti della macchina, del personale e dei familiari. 6.1 Metodologia, strumenti e campione La raccolta dei dati è stata effettuata attraverso un questionario, condotto in modo anonimo, distribuito direttamente ai pazienti in trattamento emodialitico. Questi ultimi sono stati informati sullo scopo dello studio, ed è stato chiesto loro il consenso ed interesse per ~ 94 ~

95 il tema trattato, ottenendone la loro disponibilità. L intervista scritta è strutturata in 19 domande a risposta multipla. La ricerca è stata condotta presso la struttura complessa di dialisi, nella struttura sanitaria SS. Annunziata di Taranto. Il periodo preso in esame intercorre dalla settimana dal 5 al 10 Settembre 2011; sono stati consegnati 30 questionari, ma solo 15 persone lo hanno compilato; pertanto, per il nostro studio, valuteremo come campione di analisi, questi 15 pazienti: 8 uomini e 7 donne, con un età media di 55 anni, in trattamento dialitico in corso mediamente da oltre 10 anni. Si è scelto il metodo qualitativo, in quanto l oggetto dello studio non è un entità misurabile empiricamente per mezzo di strumenti statistico-descrittivi. 6.2 Obiettivi dello studio L indagine effettuata, si propone di fornire dati utili alla comprensione sulla percezione soggettiva della qualità di vita. In letteratura, sono presenti alcuni studi che indagano sulla relazione tra sistemi di efficienza dialitica e la percezione del miglioramento della qualità di vita nelle persone in emodialisi, ma non ci sono ancora dati certi sull argomento, questa correlazione è, invece, riconosciuta valida da parte degli esperti. La presa in esame degli indicatori dell intervista, permetterà di poter utilizzare i risultati come possibili variabili per la valutazione dell efficacia e dell appropriatezza degli interventi da poter effettuare. 6.3 Elaborazione e discussione dei dati ~ 95 ~

96 Percentuale degli intervistati: maschi-femmine Il campione preso in esame è costituito da 15 persone: 8 uomini, che rappresentano il 53,33%, e 7 donne, il 46,66%. Età espressa in anni /55 55/65 65/75 75/85 per un buon 40%. Per l indagine, sono state considerate quattro fasce d età: dai 45/55; dai 55/65; dai 65/75; dai 75/85. La media dell età più rilevante è di 55/65 1.Da quanti anni è sottoposto a trattamento emodialitico? meno di 5 tra 5 e 10 oltre 10 Il 10.6% del campione preso in esame, è sottoposto a trattamento emodialitico da meno di 5 anni; il 16% lo effettua dai 5 ai 10 anni e la maggior parte di essi, il 73.3% da oltre 10 anni. ~ 96 ~

97 2.Da quanti anni era a conoscenza della sua malattia, prima di iniziare il trattamento emodialitico? Prima di doversi sottoporre al trattamento emodialitico, il 46.6% del nostro campione di studio era a conoscenza della sua malattia da oltre 6 mesi, il 20% tra i tre e sei mesi e il 33% da meno di tre mesi. 3.Quanti giorni la settimana esegue l emodialisi? Il 100% degli intervistati si sottopone al trattamento emodialitico almeno tre volte a settimana, salvo eccezioni. Questo chiaramente comporta ritmi pesanti di vita scanditi con fatica e ripetitività. 4.Come ritiene che sia il suo stato di salute? Analizzando lo stato di salute attuale si osserva che: il 46% di questi pazienti ritiene che il loro stato di salute sia discreto; ~ 97 ~

98 il 40% lo definisce scadente; per il 13.3% lo stato di salute è buono. 5.Come ritiene che sia il suo stato di salute ora, rispetto al periodo precedente l emodialisi? Rispetto allo stato di salute che questi pazienti presentavano nel periodo precedente l inizio del trattamento dialitico, si analizza che: la maggior parte dei pazienti, il 46%, ha notato che la sua salute allo stato attuale è peggiorato; per un 33% è migliorato; per il 20% è quasi simile. La percezione dello stato di salute e di malattia tuttavia, è diversa da uomo ad uomo e molto dipende dalla cultura della persona. 6.Prima di iniziare il trattamento dialitico, dedicava parte del suo tempo libero a cosa? Riguardo la relazione sociale ed interpersonale: i pazienti emodializzati gestivano gran parte ~ 98 ~

99 del loro tempo libero, dedicandolo spesso a passeggiate e svolgendo varie attività all aria aperta come andare in bicicletta o interessarsi al giardinaggio, sebbene comunque un terzo di loro preferiva in ogni caso svolgere attività sedentarie. I rapporti sociali sono mantenuti per il 53% dei pazienti, per i quali la dialisi non comporta nessuna influenza; per il 26% invece, l incidenza è notevole, per il 20% lo è solo un po. 7.Attualmente, svolge attività fisiche? L attività fisica si presenta ridotta per il 33% del campione, ma la maggior parte non la svolgono per nulla. È bene tuttavia, mantenere le abitudini sportive; il personale preposto all assistenza può dare in merito dei consigli sugli sports che sono più indicati. 8.Il trattamento dialitico influisce sul suo lavoro? Solo il 53,5% non è influenzato dal trattamento emodialitico nelle sue attività lavorative, contro un 46,6%. ~ 99 ~

100 Se no, perché? Di questo 53.5%, il 75% risulta in pensione, mentre il restante 25% svolge un attività lavorativa. Lavorare è sicuramente possibile; a chi si sottopone al trattamento dialitico è permesso allontanarsi dal luogo di lavoro, anche se le assenze dal luogo del lavoro per eseguire la dialisi non sono ancora disciplinate con apposita legge. Si può concordare l orario di lavoro con il proprio datore grazie ad accordi sindacali nei luoghi dove è previsto; inoltre, l invalido disoccupato ha diritto di iscriversi nelle liste di collocamento obbligatorio per le categorie protette, previste con legge 482 del 1968, presso il competente Ufficio Provinciale del Lavoro, a condizione che gli sia stata accertata una invalidità superiore al 45%. Se è si, perché? pensionati lavoratori condizioni fisiche orari e giorni disagio accesso venoso Il 46,6% degli utenti che è limitato al lavoro, dichiara di essere impossibilitato per il 57,15% a causa di orari e giorni spesso corrispondenti a quelli del trattamento dialitico, il 28,5% presenta condizioni fisiche limitanti all attività ~ 100 ~

101 lavorativa e solo il 14,28% non effettua attività lavorativa a causa di disagio per l accesso venoso. 9.Per quanto riguarda l alimentazione, segue la dieta indicata? si no una dieta sana. L 80% dei pazienti rispetta un regime nutritivo corretto mentre il 20% dei pazienti non segue 10.Presta attenzione nel limitare l assunzione di acqua? no si L 86,6% degli utenti rispetta regolarmente la limitazione dell assunzione di acqua imposta dal regime dialitico, contro un 13.3% che non ha la stessa accortezza. La situazione psicologica è influenzata dalle restrizioni dietetiche e idriche. Il controllo dei liquidi e degli alimenti da assumere, infatti, viene percepito dal paziente come una delle forme in cui si manifesta la malattia. In risposta la persona assume due tipi di comportamento: a) si rifiuta di seguire le norme igieniche impartitegli, negando così la malattia, ed i suoi rischi; la rimozione, l oblio del male sottrae l interessato alla sua sofferenza. La malattia viene negata o dimenticata, in quanto contenuto indesiderato per la propria coscienza. ~ 101 ~

102 b) segue in maniera troppo rigida ed ossessiva i consigli dati fino al punto di sfiorare la malnutrizione, quasi volesse lanciare una sfida alla malattia. La malattia viene fatta oggetto di compiacimento che consente di dimostrare agli altri il proprio coraggio nella sofferenza, di essere compianti ed ammirati al contempo. Nel comportamento del paziente si leggono meccanismi di autoaggressione verso il proprio corpo. La persona sana non si sofferma a riflettere sul buon funzionamento dei suoi organi, prende coscienza di essi quando non rispondono più pienamente alle funzioni deputate. L uomo non si ammala solo perchè il suo organismo o, parte di esso non funziona più, egli infatti rinuncia al possibile stato di salute quando rinuncia a credere nella vita. È in questo momento che il negativo prende il sopravvento sul positivo, l uomo abbassa la guardia e vi è la consapevolezza della malattia. 11.Il suo stato emotivo (paura della malattia, tristezza), interferisce con le normali attività sociali? Il 26,6 % si sente molto suggestionato dal suo stato emotivo, il 20% solo un po mentre il 53,33% non sente nessun disagio circa il suo stato emotivo. 12.Durante la giornata, accusa dolore fisico? I disturbi somatici si presentano con dolore fisico, avvertito dal 73% dei dializzati, durante la giornata. ~ 102 ~

103 Se è si, in che misura? L entità del dolore è lieve per il 46% di loro. 13.Durante la giornata come si sente di solito? Lo stato d animo avvertito durante la giornata, per il 53% equivale ad un senso di stanchezza, seguito da tristezza e, da agitazione e felicità pari merito. 14.Fate progetti a lungo termine? Il 66.6 % di loro non fa mai progetti a lungo termine, a differenza del 26.6% che raramente ci pensa, o del 6.6 che fortunatamente non ha smesso di riflettere sul proprio futuro. ~ 103 ~

104 15. Organizzate viaggi? L idea di poter viaggiare anche solo per un giorno è possibile solo per un 20%, a differenza dell 80% dei paziente che non programma mai viaggi. Per quanto concerne le vacanze, i viaggi, è possibile continuare a farli, prenotando il periodo interessato presso i centri delle località scelte (per quanto riguarda l emodialisi), invece chi esegue la dialisi peritoneale può mettersi d accordo con la ditta fornitrice di materiale e farselo spedire direttamente sul luogo di vacanza; l importante è assicurarsi che nelle immediate vicinanze ci sia un centro di dialisi a cui rivolgersi in caso di problemi. 16.Durante la seduta dialitica, viene supportato dall infermiere? Il paziente viene supportato dall infermiere durante la seduta emodialitica per l 86% di loro e, la percentuale di pazienti che lamentano, qualche volta, un atteggiamento impaziente nei propri confronti equivale fortunatamente solo ad un 26%, contro un 73%. La qualità del servizio offerto è definito ottimo dal 46% di loro, buono dal 40%, seguito dal 13% che la ritiene discreta. ~ 104 ~

105 17.Gli infermieri hanno presentato atteggiamenti d impazienza e fastidio nei suoi confronti? Fortunatamente, il 73,33% dei pazienti afferma di non essere mai maltrattato dagli infermieri mentre il 26,6% ammette di aver notato in alcune occasioni atteggiamenti di fastidio o di impazienza. 18. Si sente capito e supportato dalla famiglia? molto per niente un po' Il paziente si sente capito e supportato dalle famiglia per il 53,3% dei casi, per il 33,3% dei casi la famiglia lo sostiene poco mentre per il 13,3% il paziente non si sente per niente compreso. 19. Come definisce il servizio offerto? La maggior parte dei pazienti dializzati, ha nei confronti della qualità del servizio dialitico offerto, un giudizio molto positivo. Per il 13.3% invece è discreto. ~ 105 ~

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