Nel 95 anniversario della fondazione del Pci

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1 Livorno, 21 gennaio 2016 Nel 95 anniversario della fondazione del Pci Guido Liguori Il XVII Congresso del Partito socialista italiano ebbe inizio il 15 gennaio 1921, a Livorno. Il Partito socialista contava allora iscritti, i votanti in vista del Congresso furono circa Al Congresso gli unitari, cioè coloro che, pur guardando con favore alla Internazionale comunista nata a Mosca nel 1919, non volevano espellere la frazione riformista, si presentarono con voti, i comunisti con quasi e i riformisti con soli circa. La gran parte del Partito socialista era dunque favorevole alla Internazionale comunista. Contrariamente a molte previsioni, però, gli unitari guidati da Serrati non accettarono l aut aut dell Internazionale: espellere i riformisti. Il dibattito andò avanti per diversi giorni. Infine, il 21 gennaio 1921 i comunisti abbandonarono il Teatro Goldoni e si recarono in un altro teatro, il San Marco, per fondare il Partito comunista d Italia, sezione italiana della Terza Internazionale, l Internazionale comunista. Il leader della frazione comunista, Amadeo Bordiga, condusse con la intransigenza che gli era propria la battaglia congressuale. La scelta di dar vita a un partito comunista, potenzialmente maggioritaria, risultò molto minoritaria. Il Comitato Centrale del nuovo partito contava 15 membri, per lo più bordighisti. Solo Gramsci e Terracini vi rappresentavano la corrente dell Ordine Nuovo.

2 2 Gli iscritti al Pcd I nel furono circa : meno della metà dei voti congressuali di Livorno, dunque, si tramutarono in aderenti al nuovo partito. Sia l Internazionale che Gramsci diedero un giudizio molto negativo su come era stata operata la scissione, sul risultato minoritario che il settarismo e la rigidità di Bordiga avevano determinato. Nelle elezioni del 15 maggio 1921 i socialisti passeranno da 156 deputati a 122, il Pcd I ottenne solo 16 seggi. Il proletariato, pur guardando nella maggior parte con favore al Paese dei Soviet, alla Russia bolscevica, non aveva lasciato il vecchio partito per il nuovo nato dalla scissione di Livorno, scissione di cui non aveva compreso le ragioni. Come quasi sempre accade, le masse temono le divisioni e le scissioni, sentono istintivamente che ogni scissione (anche se necessaria) è un indebolimento di cui si avvarrà il nemico di classe. Sono gli anni del montare della reazione fascista. Bordiga tuttavia, al contrario di Gramsci, non vede alcuna differenza tra il fascismo e le altre forze politiche della borghesia; non agisce per dividere il fronte nemico, anzi lo compattò con la sua intransigenza; rifiuta ogni alleanza con le altre componenti dell antifascismo, persino sul piano della resistenza armata contro le squadracce nere, tentata dagli Arditi del popolo. Il suo estremismo lo porterà presto a un conflitto insanabile con il Partito bolscevico e con l Internazionale comunista. Nel 1924 sarà sostituito da Gramsci ai vertici del Partito, più per decisione dell Internazionale (che allora era considerata da tutti i comunisti un vero e proprio partito mondiale unitario) che per decisione di un partito come il Pci, che allora era ancora piccolo, estremista, settario, rispecchiando l impostazione che la forte personalità di Bordiga gli aveva impresso. Dal 1922 a Mosca come delegato italiano presso l Internazionale comunista, Gramsci iniziò una conoscenza più profonda del pensiero di Lenin e del gruppo dirigente bolscevico, del tentativo di edificazione di una inedita società socialista

3 3 negli anni della riscoperta di una certa gradualità (la Nep, la Nuova politica economica), in una situazione interna e internazionale molto difficile. Era una chiara presa d atto del fatto che non si può, in politica, sempre andare all «attacco frontale» come si diceva allora parafrasando il gergo diffusissimo della Prima guerra mondiale, e come Gramsci teorizzerà nei Quaderni. Come Lenin non si era mai stancato di ripetere, bisogna sapersi fermare, consolidare le conquiste, o anche venire a compromessi con il nemico, se i rapporti di forza sono sfavorevoli. Dal 1924 Gramsci inizia un processo di vera e propria rifondazione del Partito comunista d Italia, che culminerà nel Congresso di Lione del In quello stesso anno Gramsci sarà arrestato dal fascismo e di fatto mai più liberato. Negli anni Gramsci da una parte cerca di consolidare la cultura politica del Partito nato a Livorno, curando la formazione dei militanti, tentando di svezzarli dall estremismo bordighista, introducendo il discorso della necessità delle alleanze, anche in considerazione della situazione specifica del Mezzogiorno. Alleanze sociali, in primo luogo. Capacità di collegare operai e contadini. Ma anche alleanze politiche, imperniate su una nuova analisi e un nuovo rapporto con gli intellettuali democratici, anche con chi fra questi non è comunista e milita in altre forze politiche spesso minori, ma antifasciste e capaci di parlare alle masse contadine e piccolo-borghesi. Persino le parti più avanzate del neonato Partito popolare, il partito cattolico a forte base contadina, destano la sua attenzione. Sulla scorta del pensiero di Lenin, fin dal 1924 Gramsci matura la convinzione che in Occidente non si possa fare come in Russia, poiché la società scriveva «nell Europa centrale ed occidentale si complica per tutte queste superstrutture politiche, create dal più grande sviluppo del capitalismo, rende più lenta e più prudente l azione delle masse e domanda quindi al partito rivoluzionario tutta una

4 4 strategia e una tattica ben più complesse e di lunga lena di quelle che furono necessarie ai bolscevichi nel periodo tra il marzo e il novembre 1917». Se il partito di Bordiga era «organo della classe», una organizzazione ristretta ed esterna a essa che, in possesso di una superiore conoscenza della società e della storia, deve soprattutto dedicarsi alla propaganda e all organizzazione in attesa dell ora fatale della rivoluzione; per Gramsci il partito è «parte della classe», ne segue tutte le vicende senza staccarsi da essa, in un rapporto d insegnamento reciproco, di politica che nasce dalle pieghe della società, dalla sua realtà contraddittoria in tutti i sensi. Per fare questo, bisognava conoscere la concreta realtà italiana, non solo il modello astratto del capitalismo. Se il fascismo aveva vinto aveva scritto Gramsci già nel 1923 era perché i comunisti non conoscevano sufficientemente il paese in cui erano chiamati a operare: «Noi non conosciamo l Italia egli dice. Peggio ancora: noi manchiamo degli strumenti adatti per conoscere l Italia». Solo colmando questo deficit di conoscenza della realtà storico-sociale si poteva risalire la china. È quanto Gramsci avrebbe iniziato a fare con le Tesi di Lione, con Alcuni temi della quistione meridionale (rispettivamente inizio e fine del 1926) e poi con i Quaderni del carcere. Nelle Tesi per il congresso di Lione, che Gramsci elaborò soprattutto con Togliatti, si trova la prima analisi in termini marxisti della storia e della società italiane, che derivava dalla necessità di spiegare davvero il fascismo e di voltare pagina rispetto alle vecchie concezioni che ne facevano solo una variante di destra della socialdemocrazia. Le Tesi partivano da una ricostruzione della storia dell Italia unita e da una storia del movimento operaio italiano e proseguivano con una analisi del fascismo.

5 5 Importanza centrale vi aveva la differenza tra Nord e Sud d Italia: la mancata unificazione reale del Paese costituiva il problema nazionale fondamentale e dunque il superamento di tale situazione era individuato come il compito politico prioritario. Di fronte a tanta ricchezza analitica, vi era però ancora una concezione tatticostrumentale delle alleanze politiche e delle fasi intermedie. In una importante relazione al Comitato direttivo del Pcd I, nell agosto successivo, Gramsci riconosceva tuttavia «probabile che il passaggio dal fascismo alla dittatura del proletariato non [fosse] immediato» (come riteneva chi credeva possibile una rivoluzione comunista sul modello dell Ottobre), e poneva il «problema fondamentale» del passaggio «per tutti i paesi capitalistici dalla tattica del fronte unico, inteso in senso generale, a una tattica determinata, che si ponga i problemi concreti della vita nazionale e operi sulla base delle forze popolari così come sono storicamente determinate». Dunque non solo e tanto propaganda ideologia, ma capacità di risolvere o cercare di risolvere i problemi concreti delle classi subalterne e di tutta la società nazionale. La tradizione del comunismo italiano quella principale, che viene da Gramsci ha due assi cartesiani: il realismo e la convinzione che vi sia sempre uno spazio per l iniziativa politica. Il «troppo (e quindi superficiale e meccanico) realismo politico» (son parole di Gramsci) porta a rinunciare alla convinzione che si possa lavorare a cambiare rapporti di forza sfavorevoli. Ma l agire politico che non parta da una attenta ricognizione dei rapporti di forza dati porta a sconfitte catastrofiche. Formulando la sua tesi dei rapporti di forza, Gramsci parla nei Quaderni di tre momenti. Il primo, fondamentale, è quello dei «rapporti di forze sociali strettamente legato alla struttura, obiettivo, indipendente dalla volontà degli uomini». È il rapporto di forza tra le classi, dovuto alla loro composizione. Il terzo momento è quello che Gramsci (chiuso all interno di un carcere fascista)

6 6 chiama il momento «del rapporto delle forze militari». Il secondo momento, quello intermedio e fondamentale, è il momento del rapporto di forze politico, su cui egli maggiormente si sofferma. È in questo momento che risultano decisivi i fattori della coscienza di sé, dell avversario, della situazione concreta in cui ci si trova, della capacità di sviluppare alleanze di classe e politiche, della capacità di calarsi all interno di un determinato contesto nazionale per formulare una proposta che vada nella direzione della risoluzione dei problemi di tutte le classi subalterne. Dai rapporti di forze non si può prescindere. Ma a partire dal campo di forze che essi disegnano, il soggetto rivoluzionario può e deve fare politica, come dirà Togliatti, deve muoversi per conquistare posizioni più favorevoli. Se la strategia dell attacco e dell avanzata a ogni costo aveva prodotto effetti catastrofici nella politica comunista degli anni Venti e Trenta, la guerra di posizione proposta da Gramsci sta a significare che si può sempre agire per conquistare passo dopo passo «trincee e casematte» utili a ulteriori avanzate. La rivoluzione in Occidente, cioè nelle società a capitalismo avanzato, non è più la battaglia di un giorno o di pochi giorni, è un processo di lunga lena. Gramsci riformula in questo modo il concetto di rivoluzione, portandolo all altezza di un tempo in cui le crisi economiche non hanno una immediata ripercussione sulla coscienza delle masse, e dove sono fondamentali anche la proposta di una concezione del mondo (il ragionamento su quale altro mondo sia possibile) e di una organizzazione politica, un partito, in grado di gestire la lunga fase della guerra di posizione. Quando Togliatti torna in Italia, dopo venti anni di esilio, nel marzo 1944, egli sa di dover fare politica in un mondo per molti versi nuovo rispetto a quello di Gramsci. Le vicende del Pci sono state e saranno non univoche, le sue iniziative non sempre giuste, se viste con gli occhi dei posteri.

7 7 Lo stesso Togliatti nel 1961, dando inizio a una nuova stagione della storiografia comunista, senza più remore autocensorie, scriverà in riferimento agli anni 20, ma con una valenza di metodo certo più generale: «La linea giusta venne probabilmente sempre cercata con l animo e con la buona fede del combattente. Ma la soluzione giusta venne trovata soltanto attraverso l esperienza propria, il che vuol dire attraverso esitazioni e dibattiti, nonché commettendo errori, seguendo talora indirizzi non giusti o non rispondenti, in concreto, alle situazioni e ai compiti ad esse adeguati. La storia del nostro movimento diventa cosa vivente e ricca di insegnamenti solo quando ci dice quali cose realmente sono accadute e come sono accadute, ma ciò essa può fare solo se ci espone e fa comprendere questo processo». Questo affermava Togliatti: conoscere la nostra storia, fare i conti con la realtà, anche con le realtà che non ci piacciono, anche con i nostri errori. Le sue coordinate di fondo sono le stesse del suo maestro, le stesse di Gramsci: valutazione dei rapporti di forza e volontà-capacità di fare politica. Ma la leniniana analisi concreta della situazione concreta lo porta a una visione dei rapporti di forza più pessimistica di quella gramsciana. Il nazifascismo sta per essere sconfitto, la Resistenza è un grande patrimonio che fonda la Repubblica e la democrazia in Italia, ma il mondo sta anche per essere inesorabilmente diviso in due. E Togliatti sa che l Italia è destinata a restare nel campo capitalistico. Bisogna tradurre Gramsci nel linguaggio di un epoca già diversa da quella in cui Gramsci ha pensato. Perché ogni epoca è diversa dalle altre e non serve, purtroppo, la semplice imitazione del già fatto e del già detto. Bisogna adattare la strategia della guerra di posizione all Italia del dopoguerra. Nasce così, in questo contesto, la strategia togliattiana della democrazia progressiva. Si accetta pienamente e convintamente la democrazia politica parlamentare

8 8 già rivalutata dal movimento comunista internazionale a fronte della esperienza drammatica del nazifascismo ma si lavora per ampliarla, per sostanziarla di nuovi contenuti. Si mantiene un nesso forte con il campo socialista, uscito vittorioso dal confronto epocale col nazifascismo, ma si propone senza doppiezze una strada molto diversa, in un nesso dialettico di unità/distinzione destinato a evolversi in relazione alla storia reale. Il passaggio fondamentale in questo quadro è la capacità di elaborare e di far accettare alle altre forze antifasciste una proposta di Costituzione programmatica, aperta, molto avanzata. Pur sapendo che la sua realizzazione resta inevitabilmente legata ai rapporti di forza. Una Costituzione che pone vincoli forti alla proprietà privata e mette al centro della scena il lavoro e i lavoratori. Una Costituzione che è stata disattesa, non applicata nei suoi aspetti più rivoluzionari per il prevalere delle forze borghesi e capitalistiche, negli anni della guerra fredda e del predominio statunitense. Ma una Costituzione, quella repubblicana del 1948, che resta un operazione strategica portentosa, la costruzione di una casamatta che ha resistito per decenni, e che oggi, pur devastata, bombardata e in parte ridotta a macerie dall avversario di classe, costituisce una trincea intorno alla quale il movimento democratico, le classi subalterne, i comunisti ancora cercano di resistere alla offensiva neoliberista. Non fu, quella di Togliatti, evidentemente, una direzione politica mi riferisco agli anni che vanno dal 1944 al 1964 esente da errori o contraddizioni. Ma la via italiana al socialismo che egli seppe delineare complessivamente appare senza dubbio nei rapporti di forza dati una operazione strategica di grande spessore. Di essa fece parte a pieno titolo la costruzione del partito nuovo, di un partito comunista di tipo nuovo, di massa, un partito della classe operaia e delle classi subalterne tutte, un partito di tutto il popolo, che era a un tempo pienamente

9 9 protagonista della battaglia politica quotidiana ma anche segno ineliminabile di alterità, riaffermazione costante dell obiettivo di una società non capitalistica. E che aveva anche la capacità di essere insieme luogo di discussioni e dibattiti pure accesi, senza che si mettesse però in dubbio la necessità assoluta della unità come valore fondamentale di una forza comunista un costume di partito a cui varrebbe forse la pena di dedicare qualche riflessione, visti i risultati devastanti degli ultimi decenni segnati da costumi e pratiche diverse. Nell ultima intensa e proficua fase della sua vita, Togliatti dedicò molte energie anche a ripensare la situazione del movimento comunista internazionale, auspicando un rispetto reciproco e la rinuncia al metodo della scomunica. Un modello della unità nella diversità che potrebbe essere utile seguire oggi anche sul piano dei rapporti fra le forze di sinistra esistenti. Nel 1968 l invasione di Praga distrusse la speranza di riformabilità del socialismo autoritario del XX secolo, almeno nella parte più avanzata del gruppo dirigente del Pci. Sappiamo oggi che Enrico Berlinguer fu designato segretario anche in seguito alla invasione di Praga. Egli si era dimostrato negli anni precedenti il più capace tra i dirigenti della nuova generazione di difendere le ragioni del Pci negli incontri con i comunisti sovietici ai massimi livelli. Senza dimenticare che nel 1956 era stato l unico a difendere in Direzione il punto di vista di Di Vittorio, profondamente critico verso l invasione di Budapest. Il modello di socialismo che egli propose e per cui sempre si batté nei quindici anni della sua direzione politica fu profondamente diverso dal socialismo autoritario del XX secolo. Abbandonata nel 1979 la strategia del compromesso storico e intrapresa una coraggiosa autocritica di fatto per come essa era stata portata avanti, Berlinguer lavorò a chiarire meglio questa proposta di una società socialista e democratica (ma

10 10 non socialdemocratica, come tenne sempre a ribadire) che già era stata alla base negli anni precedenti del tentativo dell eurocomunismo. Egli non abbandonò mai la tensione verso una società socialista che sola considerava in grado di dare soluzione ai problemi di fondo del capitalismo. Il nostro essere comunisti non può che partire da questa convinzione, che fu uno degli elementi di fondo che guidò la stessa Rivoluzione dʼottobre e la nascita del Partito comunista in Italia nel Comunismo e libertà, comunismo e democrazia, sono e non possono non essere al centro delle nostre convinzioni. Ovviamente la democrazia politica non esiste solo nella forma che noi abbiamo oggi in Occidente. Anche per la democrazia Berlinguer stesso dichiarò nel 1980 non esiste un unico «modello» che «vada bene per tutti» e che da tutti deve essere necessariamente accettato. Il parlamento può dunque essere ed è uno strumento utile per esercitare la volontà popolare (e occorre oggi cercare di difenderlo, contro le controriforme di questo governo). Ma vi sono anche altri tipi di democrazia. E il parlamento può anche essere affiancato affermò ripetutamente Berlinguer, e teorizzò ancora più estesamente Pietro Ingrao da altri strumenti di partecipazione democratica, più diffusi, più articolati, più radicati, più capaci di favorire la partecipazione. Si tratta oggi di lottare per difendere la democrazia, ma ciò non potrà essere fatto se non si lotta anche per ampliare la democrazia, per superare i limiti di classe che la democrazia oggi palesa più che mai, a partire anche dalla Vecchia Europa, che per tanti anni è stato invece un modello di partecipazione politica. Berlinguer era convinto (lo affermava esplicitamente in una intervista del 1978) che essere coerentemente democratici volesse dire anche essere coerentemente anticapitalistici e riteneva che «proprio per salvare la democrazia, per renderla più ampia, più forte, più ordinata possibile [bisognasse] superare il capitalismo». Ecco da dove viene la nostra ostinazione nel dirci comunisti: lottare per

11 11 difendere la democrazia vuol dire lottare per oltrepassare il capitalismo. Oggi il capitalismo neoliberista dimostra più che mai la propria incompatibilità con la democrazia: svuotandola di senso, sottraendo a essa le decisioni che contano, personificando la politica per farla apparire come qualcosa che riguarda pochi e può essere decisa da pochi. La storia dei comunisti italiani va in direzione opposta, nella direzione della difesa della democrazia e del suo arricchimento. È la storia che viene da Livorno 1921, che ha subito fasi anche molto diverse, che ha conosciuto anche molti errori, ma che noi vogliamo portare avanti perché nei suoi lineamenti di fondo questa democrazia continua a essere in pericolo, e questa società continua a essere ingiusta come quella contro cui si levarono i comunisti nel secolo scorso.

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