Articolo 3 CEDU - Proibizione della tortura (di Luigi Prosperi)

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1 Articolo 3 CEDU - Proibizione della tortura (di Luigi Prosperi) Nessuno può essere sottoposto a tortura né a pene o trattamenti inumani o degradanti. 1. Cenni storici: l approccio degli organismi sovranazionali 2. Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura 3. La nozione di tortura e il ruolo interpretativo della Corte 4. La ricerca dei criteri interpretativi 5. L onere probatorio 6. La distinzione tra tortura e trattamenti o pene inumani e degradanti: - la linea di demarcazione tra tortura e trattamenti inumani - la condizione dei soggetti privati della libertà - i trattamenti e le pene degradanti - la pena di morte, grimaldello per l estensione dell ambito di applicazione dell articolo 3 (divieto di espulsione ed estradizione) 7. Gli obblighi positivi a carico degli Stati membri 8. Il reato di tortura nell ordinamento giuridico italiano (click sul titolo per visualizzare il paragrafo) Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -1/1

2 1. Cenni storici: l approccio degli organismi sovranazionali La tortura ha fatto parte per secoli dello strumentario a disposizione dei soggetti deputati alla punizione dei crimini. Da un lato mezzo di ricerca della prova, utilizzato per ottenere confessione, abolito solo tra la seconda metà del 700 e l inizio dell 800 nei maggiori ordinamenti giuridici europei. Dall altro vera e propria punizione legale dei criminali (fino alla fine del 700 le pene corporali erano comminate con frequenza, e tra quelle le esecuzioni pubbliche), avente lo scopo ulteriore di ammonire la generalità dei consociati e così prevenire la commissione dei reati, messa in discussione nel corso del XVIII secolo dagli illuministi in genere e da Cesare Beccaria in particolare, il quale nella seconda metà del 700 scriveva: non vi è libertà ogni qual volta le leggi permettono che, in alcuni eventi, l uomo cessi di esser persona, e diventi cosa 1. Tra la fine del 700 e l inizio dell 800, come si accennava, nella redazione dei Codici penali i legislatori dei Paesi europei più avanzati decidevano infine di abbracciare i principi di gradualità, certezza ed uniformità della pena, e la detenzione come strumento. Con l effetto di spostare la questione del rispetto della dignità dell individuo al momento dell esecuzione della punizione. Nel corso del XX secolo il diritto a non essere sottoposti a tortura o a trattamenti inumani o degradanti è stato universalmente riconosciuto: incluso nelle Costituzioni di molti Paesi, sancito dall articolo 5 della Dichiarazione Universale dei Diritti dell Uomo del e dall articolo 7 del Patto internazionale sui diritti civili e politici del , è oggi considerato parte dello jus cogens. Ciò che non garantisce tuttavia che non vi siano state nel recente passato (e non vi 1 Cesare Beccaria, Dei delitti e delle pene, 1764, Capitolo XXVIII. 2 Nessun individuo potrà essere sottoposto a trattamento o punizioni crudeli, inumani o degradanti. 3 Nessuno può essere sottoposto alla tortura né a punizioni o trattamenti crudeli, disumani o degradanti. In particolare, nessuno può essere sottoposto, senza il suo libero consenso, ad un esperimento medico o scientifico. Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -2/2

3 siano tuttora) delle violazioni generalizzate, o la tolleranza di queste, da parte di organi statali: è fondamentale, rispetto a tali condotte, il ruolo preventivo (ma troppo spesso solo punitivo) delle istanze internazionali. L importanza di questi organismi è spiegata anche dalla loro moltiplicazione: ad oggi, hanno competenza giudiziaria in materia la Corte interamericana dei diritti dell uomo e la Corte europea dei diritti dell uomo (organismi regionali con poteri incisivi rispetto agli ordinamenti nazionali), e competenza politica il Comitato per i diritti civili e politici delle Nazioni Unite, il Comitato delle Nazioni Unite contro la tortura (istituito mediante l articolo 17 della Convenzione internazionale contro la tortura e le altre pene o trattamenti crudeli, inumani e degradanti del 1984) e il Comitato europeo per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani e degradanti (istituito, in seno al Consiglio d Europa, con l articolo 1 della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti del 1987), nonché la Corte Penale Internazionale, rispetto a violazioni massicce (di solito essendo ricompresi la tortura e i trattamenti inumani e degradanti tra i comportamenti posti in essere allo scopo di soppressione di un gruppo etnico o comunque nell ambito di conflitti) Il Comitato europeo per la prevenzione della tortura Con l adozione, il 26 giugno 1987, della Convenzione europea per la prevenzione della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti, sembrerebbe essersi realizzata una duplicazione della tutela in materia, in sede di Consiglio d Europa. 4 Corte Penale Internazionale che si distingue rispetto alle altre istanze perchè innanzi ad essa sono convenuti gli individui personalmente, e non gli Stati contraenti ai quali sia attribuita la responsabilità dei loro comportamenti. Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -3/3

4 In realtà è l articolo 1 della Convenzione in parola a spiegare la finalità dell adozione dell atto (e dell istituzione del Comitato), laddove nella seconda parte si spiega che il Comitato esamina, per mezzo di sopralluoghi, il trattamento delle persone private di libertà allo scopo di rafforzare, se necessario, la loro protezione dalla tortura e dalle pene o trattamenti inumani e degradanti. Un meccanismo con finalità preventiva e che ha per beneficiari coloro i quali siano già stati privati della libertà, e come soggetti passivi del controllo gli Stati contraenti. In sintesi, si è voluto dotare il Consiglio d Europa di un organismo di pressione politica, che abbia lo scopo di prevenire quelle violazioni che, laddove si dovessero ugualmente verificare, sarebbero invocabili dinanzi alla Corte Europea di Strasburgo da parte dei singoli individui. Il Comitato così istituito è composto da esperti indipendenti (uno per Stato contraente) ed ha il compito (o meglio, il diritto) di effettuare visite presso i luoghi in cui siano costrette le persone private della libertà da parte di un autorità pubblica (salvo i luoghi soggetti a costante ed effettivo monitoraggio ad opera del Comitato internazionale della Croce Rossa). Prima di compiere il sopralluogo, il Comitato deve darne avviso allo Stato nel cui territorio si voglia recare, affinché appresti le misure necessarie al corretto svolgimento delle funzioni dell organo sovranazionale. Lo Stato può sollevare obiezioni, dalle quali nasce un procedimento basato sulle consultazioni e volto a raggiungere un accordo che consenta comunque di porre in essere il controllo, nelle forme più appropriate. Al termine dei sopralluoghi, il Comitato redige un rapporto ed eventualmente formula raccomandazioni allo scopo di migliorare le condizioni dei detenuti (o meglio, per proteggerli dalla tortura e dai trattamenti inumani o degradanti). Il rapporto ed ogni altra attività di informazione avente come destinatario lo Stato contraente sono soggetti ad un regime di stretta riservatezza, con l unica eccezione del rapporto annuale trasmesso al Comitato dei Ministri e quindi all Assemblea Parlamentare del Consiglio d Europa, in cui si da conto delle attività svolte, in maniera sintetica e piuttosto generica. Tale riservatezza può essere Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -4/4

5 derogata su espressa richiesta dello Stato, che può chiedere la pubblicazione del rapporto, ovvero qualora lo decida il Comitato stesso, votando a maggioranza qualificata di due terzi dei membri, come sanzione per la mancata collaborazione o il rifiuto da parte delle autorità nazionali di dare seguito alle raccomandazioni espresse: in questo caso, non si addiverrà alla pubblicazione del rapporto ma verrà effettuata una dichiarazione pubblica sulla mancata adozione delle misure prescritte. Il nostro Paese è stato fatto oggetto di 4 visite, rientranti nel programma di ispezioni periodiche: 1992, 1995, 1996 e In ognuna di queste circostanze, il Comitato ha lamentato il rischio di subire maltrattamenti nella fase antecedente ai trasferimenti in carcere, ma soprattutto la condizione dei detenuti all interno di queste ultime strutture, il sovraffollamento delle quali, tale da non permettere alcuna circolazione interna, è stato indicato come maggiore problema da risolvere. In aggiunta, è stata talvolta lamentata una scarsa collaborazione delle autorità. Ciò che ad esempio si evince dal ritardo con cui il nostro Paese ha accordato la possibilità di pubblicare i Rapporti quello del 1996 è stato pubblicato solo nel Quella di ritardare la pubblicazione dei rapporti è una facoltà attribuita agli Stati contraenti, avente natura politica e scopo di mitigare le conseguenze dei rilievi del Comitato, in special modo rispetto all opinione pubblica. Facoltà che può spingersi sino ad un totale diniego, ammesso laddove vi sia una sufficiente collaborazione de facto. Tuttavia in alcuni casi limite si è giunti alla dichiarazione d ufficio, ossia con i 2/3 dei voti favorevoli del Comitato, con cui sono state denunciate le più gravi carenze nella collaborazione delle autorità pubbliche statali, che talora sono arrivate a fornire false informazioni: gli unici due Paesi fatti oggetto di questa procedura, ad oggi, sono la Russia (nel 2001 e nel 2003, con riferimento alla situazione cecena) e, in periodo precedente, la Turchia (nel 1992 e nel 1996). Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -5/5

6 3. La nozione di tortura e il ruolo interpretativo della Corte Se la Convenzione contro la tortura delle Nazioni Unite si apre con una definizione di tortura, in sede di redazione della CEDU (circa 40 anni prima) si scelse una strada diversa, quella dell interpretazione caso per caso. Dal punto di vista politico, sembra utile riportare la dichiarazione di M. Cocks, delegato del Regno Unito all Assemblea Parlamentare del Consiglio d Europa, il quale in sede di lavori preparatori esortava i relatori della Convenzione in questi termini: [L Assemblea Parlamentare] crede che questo divieto debba essere assoluto e che la tortura non possa essere ammessa per alcuno scopo, né per reperire prove, né per salvaguardare la vita ovvero la sicurezza di uno Stato. Scopo nobilissimo, rispetto al quale tuttavia mancavano all epoca le pertinenti misure di attuazione. Soccorre dunque la costante giurisprudenza della Corte di Strasburgo. In una delle prime decisioni in materia, l organismo giurisdizionale circa la portata della norma affermava innanzitutto che la Convenzione proibisce in termini assoluti la tortura e le pene o trattamenti inumani o degradanti, quali che siano i comportamenti della vittima. L articolo 3 non permette limitazioni, in ciò differisce dalla maggior parte delle disposizioni normative della Convenzione e dei Protocolli n. 1 e 4 e, secondo l articolo 15 paragrafo 2, non è soggetto a deroga neppure in caso di pericolo pubblico che minacci la vita della nazione 5. A chiarire la ratio della disposizione, sottolineava più di recente che [l ]articolo 3 non prevede nessuna eccezione e l articolo 15 non consente di derogarvi in tempo di guerra o di altro pericolo nazionale. Tale proibizione assoluta da parte della Convenzione, della tortura e delle pene o trattamenti inumani o degradanti dimostra che l articolo 3 consacra uno dei valori 5 Così per la prima volta la Corte sul caso Irlanda c. Regno Unito, sentenza , Serie A n. 25, paragrafo 163. Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -6/6

7 fondamentali delle società democratiche che formano il Consiglio d Europa. La si rinviene in termini analoghi in altri strumenti internazionali (...); è di solito considerata una norma internazionalmente accettata 6. E in una recente sentenza (peraltro a carico dell Italia), con la quale si copre un terzo decennio di giudizi, si legge: anche nelle circostanze più difficili, quali la lotta al terrorismo o al crimine organizzato, la Convenzione proibisce in termini assoluti la tortura e le pene o i trattamenti inumani o degradanti 7. Tutto quanto premesso, si evince come permanga una grande lacuna, ossia la mancata individuazione delle fattispecie vietate: ruolo della Corte è stato (e continuerà ad essere) quello di colmarla, rinvenendo per mezzo dell esame del caso concreto dei criteri interpretativi applicabili a tutti, sufficientemente elastici da garantire al contempo la vitalità della norma convenzionale e soprattutto il permanere del legame con i valori fondamentali delle società democratiche che formano il Consiglio d Europa, o più semplicemente con il comune sentire. Essendo l elasticità delle definizioni mai come in questo contesto (e come meglio vedremo nel prosieguo dell analisi dell evoluzione della giurisprudenza) funzionale al ruolo stesso della Corte: nell applicazione della disposizione in parola, ha infatti creato la tecnica di tutela c.d. par ricochet, adottando un criterio inclusivo allo scopo di integrare la lettera della Convenzione. 6 Così la Corte sul caso Soering c. Regno Unito, sentenza , Serie A n. 161, par Corte, caso Labita c. Italia, sentenza , Report of Judgements and Decisions 2000-IV, par Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -7/7

8 4. La ricerca dei criteri interpretativi In assenza di definizioni mediante cui circoscrivere i confini tra comportamenti leciti e illeciti e tra le diverse fattispecie vietate, il giudice europeo ha in un primo periodo improntato la sua attività alla ricerca di criteri interpretativi che fossero universalmente applicabili. Detto che non era in contestazione la distinzione, essenzialmente logica, tra trattamento e pena, essendo ristretto l ambito di quest ultima a quelle misure subite da un individuo in esecuzione di una condanna e ricadendo invece nell altro tutti quei comportamenti ascrivibili a soggetti che esplichino una funzione pubblica (di cui diremo meglio più avanti, rispetto alla ripartizione dell onere probatorio), ciò che non trova risposta nella formulazione dell articolo 3 è la questione dell individuazione di una netta e riconoscibile linea di demarcazione tra tortura e pena o trattamento inumano o degradante. La dottrina ha riscontrato, nelle prime decisioni della Corte in materia, un costante riferimento alla c.d. soglia di gravità, operante come criterio valido sia per separare la sfera degli illeciti da quella delle pratiche legali e legittime, sia per distinguere tortura e pena o trattamento inumano o degradante. Al punto che appare più corretto parlare di soglie di gravità, cioè un limite esterno, con funzione di filtro, e quei limiti interni mediante cui distinguere tra loro le condotte vietate. La Corte ha affermato e spesso ribadito che [p]er rientrare nell articolo 3 un trattamento deve raggiungere un minimo di gravità 8. Nello specifico, allo scopo di delimitare le singole fattispecie, sin dai suoi primi interventi la Commissione ha sottolineato innanzitutto che ogni tortura non può non essere anche trattamento inumano e degradante e che ogni trattamento inumano non può non essere anche degradante 9. Ha quindi spiegato che la 8 Corte, caso Irlanda c. Regno Unito, cit., par Così la Commissione nel Rapporto del sul c.d. caso Greco (rapporto nato da un ricorso interstatale presentato congiuntamente dai Paesi scandinavi e dall Olanda), in cui si esaminavano le massicce violazioni dei Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -8/8

9 distinzione tra trattamento inumano o degradante e tortura (...) consegue principalmente da una differenza delle sofferenze inflitte. (...) Se da un lato esistono violenze che, benché condannabili secondo la morale e, in linea generale, anche dal diritto interno degli Stati contraenti, non rientrano tuttavia nell articolo 3 della Convenzione, è evidente, d altra parte, che quest ultimo, distinguendo la <tortura> dai <trattamenti inumani o degradanti> ha voluto con il primo di tali termini marchiare di particolare infamia trattamenti inumani deliberati che provocano sofferenze molto gravi e crudeli 10. Infine, rispetto alla distinzione tra (pena o) trattamento inumano e (pena o) trattamento degradante, ha stabilito da un lato che (...)una misura che scredita una persona nel suo ceto sociale, nella sua situazione o nella sua reputazione, può essere considerata un <trattamento degradante> ai sensi dell articolo 3 solo se raggiunge una certa soglia di gravità 11, e dall altro che [l]a sofferenza causata deve collocarsi ad un livello particolare affinché si possa qualificare come pena <inumana> ai sensi dell articolo Così delimitato l ambito applicativo della norma, tuttavia, ben si comprende come l accertamento del superamento delle soglie di gravità non potesse prescindere dalla contestualizzazione della valutazione, che tenesse conto, insieme alle circostanze oggettive del fatto materiale, anche delle qualità soggettive della vittima: ancora una volta, si evidenzia come la disposizione in questione necessiti di un interpretazione viva, influenzata dall evoluzione politico-sociale e più propriamente da quella del diritto penale. diritti umani commesse nella Grecia del c.d. regime dei Colonnelli (a seguito del rapporto, per sfuggire a ben più gravi conseguenze - nello specifico, la sospensione - il Paese ellenico decideva di uscire spontaneamente dal Consiglio d Europa). 10 Corte, caso Irlanda c. Regno Unito, cit., par Commissione, parere sul caso Asiatici dell Africa Orientale c. Regno Unito, , par Corte, caso Tyrer c. Regno Unito, sentenza , Serie A n. 26, par. 29. Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -9/9

10 Le qualità soggettive, o parametri interni, si riferirebbero alla natura, al contesto e alla modalità di esecuzione e durata del trattamento o della pena, ma anche ad elementi individualizzanti quali effetti fisici e mentali provocati, ovvero età, sesso e stato di salute della vittima. Ciò che ci induce ad escludere l utilizzabilità di tali parametri a fini classificatori (seppur riconoscendo la loro influenza sulle decisioni adottate) è la rielaborazione di un osservazione risalente addirittura all inizio del XVIII secolo: scriveva infatti Christian Thomasius che la tortura non è un valido e sicuro mezzo di accertamento della verità perchè può portare tanto ad una falsa confessione, e quindi alla condanna di un innocente, quanto all assoluzione del colpevole che abbia resistito ai supplizi 13. A contrario, e quasi applicando una legge del contrappasso di dantesca memoria, si perverrebbe alla condanna di uno Stato sulla base dell <impressionabilità> o della <sensibilità> del ricorrente, potendo la stessa condotta essere qualificata trattamento degradante ovvero comportamento legittimo, a seconda delle caratteristiche psico-fisiche della vittima. Altrettanto pericolose sarebbero le conseguenze dell adozione dei c.d. parametri esterni, ossia il principio di proporzionalità che si tradurrebbe in ricerca della mediazione tra i diritti dell individuo e la difesa della società democratica, essendo pertanto giustificate determinate condotte, altrimenti riconosciute illegittime, qualora sia legittimo l obiettivo perseguito. Con l effetto di applicare di fatto, nonostante l esclusione espressa contenuta nell articolo 15 CEDU, una deroga generale all articolo 3. Risultato, questo, che in nessun caso può considerarsi legittimo ai sensi della Convenzione, preferendosi piuttosto un utilizzazione dei parametri esterni ai fini della valutazione sul grado di violazione della disposizione, così come accaduto nel già citato caso Irlanda c. Regno Unito. In quella circostanza, infatti, la Commissione e la Corte venivano chiamate a giudicare sui fatti avvenuti negli anni 70 nel territorio dell Irlanda del Nord (sotto la giurisdizione del Regno Unito), laddove a seguito degli scontri tra 13 Christian Thomasius, De tortura ex foris Christianorum proscribenda, Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -10/10

11 cattolici e protestanti le autorità britanniche avevano deciso di introdurre misure extragiudiziali di detenzione ed internamento, pensate solo come risposta alle violenze dell I.R.A. (Irish Republican Army, considerata una minaccia effettiva alla legge e all ordine ), ma trasformatesi in rimedi generalizzati, se si tiene presente che nel primo giorno di applicazione furono arrestate 452 persone, delle quali ben 350 internate senza alcun controllo da parte di un giudice. Erano stati predisposti, al fine di accogliere gli arrestati, tre centri regionali, nei quali costoro sarebbero stati interrogati nelle 48 ore successive al fermo, prima di addivenire all esame della loro posizione, ovvero alla loro liberazione. Scopo ultimo era quello di ottenere informazioni, e a tal fine la polizia si serviva di metodi di interrogatorio aventi talvolta pesanti conseguenze, anche fisiche, sugli arrestati. Nel 1978 Amnesty International decideva di raccogliere in un rapporto dettagliato le lamentele nei confronti delle forze dell ordine britanniche, sottolineando come l effetto della graduale soppressione dell internamento senza processo (attuata nel 1975) fosse stato un incremento degli interrogatori, e di conseguenza delle presunte violenze. Tra il 1975 e il 1978 i casi denunciati erano più di mille, su poco più di 8 mila interrogatori accertati. A seguito della pubblicazione del rapporto di Amnesty, il Parlamento inglese decideva di creare una commissione d inchiesta, presieduta dal giudice H. C. Bennet, allo scopo di verificare le procedure utilizzate dalla polizia e definire eventuali responsabilità (private o pubbliche). Nel 1979 la commissione presentava il c.d. Rapporto Bennet, nel quale si sottolineava innanzitutto come il ricorso ai normali metodi di detenzione fosse stato escluso dalla particolare situazione politica dell Ulster, caratterizzata dall uso di violenze ad opera di gruppi paramilitari, contro civili e contro le forze dell ordine, e si sottolineava poi che le accuse avevano lo scopo di giustificare le violenze o di ottenere l assoluzione dinanzi alla corte giudicante. Si concludeva quindi affermando che alcuni individui si sarebbero auto-inflitti le ferite, che i casi di accertati maltrattamenti erano isolati e imputabili alla condotta di singoli agenti di polizia, e ribadendo l utilità degli strumenti, che avevano finalmente consentito di combattere il terrorismo (tra il 75% e l 80% delle condanne per Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -11/11

12 reati politici si erano infatti basate quasi esclusivamente su confessioni così ottenute) 14. Ciononostante l Irlanda aveva deciso nel frattempo di inoltrare presso la Commissione Europea di Strasburgo un ricorso interstatale in cui si accusavano le autorità inglesi di violazioni dell articolo 3 CEDU, attuate in particolar modo mediante le c.d. cinque tecniche di privazione sensoriale, consistenti nell incappucciamento, nell obbligo di rimanere in piedi per lunghi periodi di tempo, nell assoggettamento a continuo rumore, nella privazione del sonno e nella negazione di cibo e bevande. La Commissione concludeva il proprio rapporto, presentato il , nel senso che tali comportamenti andassero ricondotti agli atti di tortura ; ebbene, senza dubbio alla base del giudizio con cui la Corte avrebbe in seguito modificato tale valutazione, riconducendo le violazioni nell ambito dei trattamenti inumani, si può oggi riscontrare, accanto all attenzione per i parametri interni (e che analizzeremo nel dettaglio), una sorta di riconoscimento della necessarietà delle misure in esame. Laddove probabilmente oggi un atto della portata del Rapporto Bennet, e in particolare l affermazione secondo cui la gran parte delle condanne fossero basate su confessioni estorte con metodi piuttosto violenti, sarebbero utilizzati come prova a carico dello Stato convenuto, infatti, si evidenzia come in quel particolare momento storico, in cui l emergenza terroristica colpiva anche altri influenti Paesi in seno al Consiglio d Europa, l opinione pubblica e il senso comune lo abbiano utilizzato o comunque letto in funzione di elemento a discarico. Pur sottolineando come il risultato sia stato comunque una pronuncia di condanna, seppure ammorbidita, e come dunque i parametri esterni siano stati utilizzati solo allo scopo di valutare il grado della violazione. Il risultato era dunque una sentenza di carattere soprattutto politico, di condanna ma in forma edulcorata, e che però avrebbe fatto da preludio ad un 14 Per una dettagliata analisi, si rinvia al documento reperibile al seguente indirizzo internet: Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -12/12

13 cambiamento di rotta, che si sarebbe sostanziato innanzitutto nella graduale scomparsa del criterio di soglia di gravità come limite esterno all articolo 3 (mentre fondamentalmente veniva mantenuto in funzione dei limiti interni, linea di demarcazione tra le condotte vietate), e in secondo luogo nel ricorso a presunzioni di ordine probatorio, allo scopo di tutelare in modo finalmente pieno i diritti degli individui nel momento della privazione della libertà, anche ove fosse una situazione temporanea (presunzioni che avrebbero condotto ad una pronuncia di portata ben diversa e più severa, nel caso poc anzi esaminato). 5. L onere probatorio Abbandonato il criterio della soglia di gravità intesa come limite esterno all articolo 3, la Corte necessitava tuttavia di individuare elementi, il più possibile oggettivi, sulla cui base valutare i comportamenti. Al contrario, da lì in avanti i giudizi si sarebbero incentrati sull analisi delle condizioni del ricorrente, sugli effetti delle condotte piuttosto che su queste ultime di per sé. Nel corso degli anni 90, e in particolare nei testi delle sentenze sui casi Tomasi (del 1992), Ribitsch (1995) e Selmouni (1999), si evidenziava una crescente attenzione per le circostanze in cui si sarebbe addivenuti alle presunte violazioni. Nello specifico, riguardando quei casi delle condotte poste in essere in seguito alla privazione della libertà dei ricorrenti, si stabiliva che nei confronti di una persona privata della libertà, l impiego della forza fisica, quando non sia strettamente necessitata dal suo comportamento, viola la dignità umana e costituisce, in linea di principio, una violazione del diritto garantito dall articolo Si propendeva quindi per una maggiore contestualizzazione dei maltrattamenti, poiché valutazione logicamente antecedente alle altre, ritagliate sulla personalità e l individualità della presunta vittima. Operazione che ben si 15 Corte, caso Ribitsch c. Austria, sentenza , Serie A n. 336, par. 38. Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -13/13

14 evince dalla ricostruzione dell iter logico seguito dal giudice nella decisione sul caso Tomasi, laddove prima si rigettava l eccezione del Governo francese, secondo cui non era stato raggiunto il minimum di gravità richiesto dalla precedente giurisprudenza europea, quindi si stabiliva per la prima volta, come effetto della contestualizzazione di cui sopra (che però rimaneva implicita, poiché non vi erano affermazioni dello stesso tenore di quelle sopra riportate, e che risalgono alla sentenza Ribitsch, di 3 anni successiva), che quando un individuo afferma di aver subito nel corso di un fermo sevizie che gli abbiano causato ferite, spetta al Governo fornire una spiegazione completa e sufficiente della loro origine 16. In sostanza, si operava una presunzione di responsabilità a carico dello Stato fondata sulle circostanze in cui gli eventi erano maturati. Presunzione che si innestava su un quadro estremamente complesso dal punto di vista dei ricorrenti: essendo generalmente numerosi i ricorsi fondati su presunte violazioni dell articolo 3, la Corte Europea aveva infatti preso a richiedere una rigorosa dimostrazione della colpevolezza delle autorità statali, con l effetto che molto spesso si addiveniva a dichiarazioni di irricevibilità per manifesta infondatezza. Al contempo, l instaurare un procedimento in una materia simile presenta di per sé difficoltà spesso insormontabili, quali l eventualità che il ricorrente sia unico testimone della violazione, che ben può essere avvenuta in ambienti privati, o comunque chiusi, ad opera di soggetti esercenti un attività legata ad un pubblico potere, e che quindi siano quasi coperti dall autorità pubblica, beneficiando di una presunzione di innocenza più estesa di quella concessa ai normali cittadini (si pensi ad esempio che nel diritto italiano la dichiarazione di un pubblico ufficiale fa fede fino a querela di falso). A tal proposito, spiegava la Commissione che (...) le affermazioni di tortura o di maltrattamenti che costituiscono violazione dell articolo 3 della Convenzione devono essere provate al di là di ogni ragionevole dubbio. Un dubbio ragionevole 16 Così la Corte sul caso Tomasi c. Francia, sentenza , Serie A n. 214/A, parr. da 108 a 111, e in seguito sul caso Ribitsch, cit., par. 34, e in diverse successive sentenze. Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -14/14

15 non è un dubbio fondato su una possibilità meramente teorica od artata per evitare una conclusione sgradevole; è un dubbio le cui ragioni possono essere dedotte dai fatti esposti. (...) Provare le affermazioni di tortura o di maltrattamenti presenta difficoltà per il soggetto. In primo luogo, una vittima o un testimone in grado di supportare la sua storia può esitare a descrivere o a rivelare tutto ciò che sa per timore di rappresaglie contro di lui o la sua famiglia. In secondo luogo, gli atti di tortura o di maltrattamenti commessi da agenti dei servizi di polizia o dell esercito sono compiuti, per quanto possibile, senza testimoni e probabilmente all insaputa dell autorità superiore. In terzo luogo, quando sono formulate affermazioni di tortura o di maltrattamenti, le autorità sia che si tratti del servizio di polizia o dell esercito o dei ministeri interessati hanno inevitabilmente la sensazione di dover difendere una reputazione collettiva, sensazione che sarà tanto più forte quando le autorità non siano a conoscenza delle attività degli agenti contro i quali sono presentate le denunce 17. La Commissione poneva attenzione a quanto appena esposto già nel 1969, nel rapporto sul c.d. caso Greco : come si può agevolmente notare, vi si rinviene una sorta di anticipazione delle presunzioni che saranno utilizzate a distanza di più di 20 anni, se non altro nel senso di anticipazione della ratio alla base di quelle, laddove si sottolineano le difficoltà per le vittime, sia nell inoltrare un ricorso, sia (e tanto più) nel dover dimostrare la veridicità di quanto sostenuto in esso. Il risultato dell evoluzione giurisprudenziale europea è in conclusione un attenuazione del rigore probatorio, quasi bilanciata dall abbandono di altri criteri, e in funzione della ricerca di maggiore contestualizzazione e di minor soggettivizzazione delle indagini: si arriva così a stabilire, in via generalizzata, che l articolo 3 sia applicato ogni qual volta manchi una spiegazione plausibile che collochi la causa delle lesioni (da verificare tramite esami medici) al di fuori del luogo di detenzione. Spetta allo Stato convenuto dimostrare che le lesioni 17 Commissione Europea, caso Greco, cit., par. 26. Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -15/15

16 riscontrate siano pregresse rispetto alla privazione di libertà, o procurate dalla stessa presunta vittima, o giustificate sulla base del comportamento di questa, essendo di per sé la condizione della detenzione e l esistenza di danni fisici indizi sufficientemente precisi, gravi, concordanti per affermare la responsabilità ai sensi della Convenzione. 6. La distinzione tra tortura e trattamenti o pene inumani e degradanti La scelta che abbiamo effettuato, in ordine all abbandono della ricerca a posteriori di un criterio che funga da limite esterno all articolo 3, da spartiacque dunque tra liceità ed illiceità di una condotta, comporta una conseguenza sul piano dell interpretazione delle fattispecie vietate: la necessità di individuare delle sentenze cardine, all interno delle quali rinvenire definizioni vincolanti. Una premessa necessaria: per merito della formulazione piuttosto generica, come si è già detto, la disposizione in parola è tra quelle con maggiore capacità di adattamento ai mutamenti politici, giuridici e sociali; come effetto, il c.d. limite esterno della norma si sposterà in avanti o indietro a seconda del contesto storico di riferimento. - La linea di demarcazione tra tortura e trattamento inumano La nostra rassegna della giurisprudenza della Corte in materia non può che prendere le mosse dal caso Irlanda c. Regno Unito. Avendo già descritto la vicenda in cui il ricorso trovava fondamento (si rinvia al paragrafo 4, pag. 6), ci limitiamo a ricordare che il giudice di Strasburgo, nell emettere la sentenza, rigettava in parte il parere della Commissione, la quale aveva ravvisato nelle condotte contestate gli estremi della tortura. Ci concentreremo invece sull affermazione secondo cui, consistendo il criterio per distinguere la tortura dal trattamento inumano e degradante nella differenza nell intensità della sofferenza inflitta, e quindi rimandando i limiti interni dell articolo 3 alla <soglia Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -16/16

17 di gravità> di cui si è ampiamente detto nei paragrafi precedenti, ne consegue che un trattamento inumano deve consistere almeno [in] un intensa sofferenza fisica e mentale, se non anche in una vera e propria violenza sul corpo della persona 18. Ciò che lo distingue per l appunto dalla tortura, trattamento inumano o degradante che causa sofferenze più intense, qualificate a loro volta come gravi e crudeli. Il caso in parola soprattutto riveste importanza decisiva perché denota una differenza fondamentale nell interpretazione della CEDU rispetto alla Convenzione ONU del 1984, che all articolo 1 definisce la tortura come qualsiasi atto mediante il quale sono intenzionalmente inflitte ad una persona dolore o sofferenze, fisiche o mentali, con l intenzione di ottenere dalla persona stessa o da un terzo una confessione o un informazione, di punirla per un atto che lei o un altra persona ha commesso o è sospettata di aver commesso, di intimorire o costringere la persona o un terzo, o per qualsiasi altro motivo fondato su qualsiasi altra forma di discriminazione, qualora tale dolore o sofferenza siano inflitte da un pubblico ufficiale o da ogni altra persona che agisca a titolo ufficiale, o su sua istigazione, o con il suo consenso espresso o tacito. Ove il giudice di Strasburgo avesse accolto il criterio della finalità per distinguere tra le condotte vietate, non si vede come avrebbe potuto non considerare torture le sofferenze inflitte nell Irlanda del Nord a quegli individui da cui si volevano ottenere informazioni, tenendo presente per di più che secondo il Rapporto Bennet tra il 75 e l 80% delle condanne pronunciate in quel contesto si erano basate su confessioni a loro volta ottenute con i metodi su cui la Corte veniva chiamata a giudicare. Si restringeve quindi il confine della tortura, rigettando l opinione della Commissione, la quale nel parere sul caso Greco, di quasi 10 anni più vecchio, aveva ritenuto che (...) il termine tortura è spesso usato per descrivere un trattamento inumano che ha l obiettivo di ottenere informazioni o confessioni, oppure d infliggere una punizione ed è 18 Corte, caso Irlanda c. Regno Unito, cit., par Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -17/17

18 generalmente una forma aggravata di trattamento inumano o degradante 19. Nella sentenza di condanna del Regno Unito, si stabilisce invece che sebbene le cinque tecniche, combinate insieme, siano dei trattamenti inumani e degradanti, sebbene il loro obiettivo fosse ottenere delle confessioni, informazioni e fare nomi, e sebbene furono usate sistematicamente, esse non causarono sofferenze di particolari intensità e crudeltà da considerarsi tortura 20. Soccorre infine, ai fini dell individuazione della definizione di tortura, la sentenza sul caso Aydin contro Turchia, datata La ricorrente, all epoca dei fatti 17enne, era stata tratta in arresto dalle forze dell ordine assieme alla sua famiglia, quindi tenuta in isolamento per tre giorni, bendata, picchiata, costretta a spogliarsi e infine stuprata. La Commissione, nel suo parere, sottolineava che lo stupro, atto di per sé particolarmente crudele, che colpisce integrità fisica e morale della vittima, risultava in quelle circostanze aggravato perchè commesso da persona dotata di autorità a danno di una maggiormente vulnerabile (detenuta e per di più minorenne) 21. La Corte, accogliendo questa impostazione, ribadiva che l accumulo di atti di violenza fisica e mentale (...) e in particolare la crudeltà dello stupro, cui era stata sottoposta, sono atti di tortura ; quanto allo scopo, la situazione della zona poneva le forze dell ordine nella condizione di dover reperire informazioni, di tal ché le sofferenze inflitte alla ricorrente devono essere considerate come soggiacenti agli stessi obiettivi 22. Quest ultimo rilievo è decisivo, perchè ci permette finalmente di individuare un principio generalmente applicabile: non solo il grado di sofferenza inflitta, ma anche la natura dell atto e lo scopo a cui soggiace conducono a qualificarlo atto di tortura. Un azione di per sé particolarmente crudele può essere tale senza il bisogno di indagare gli altri elementi, i quali piuttosto possono qualificarsi, a fini di semplificazione (e 19 Commissione, caso Greco, cit. 20 Corte, caso Irlanda c. Regno Unito, cit., par Commissione, caso Aydin c. Turchia, parere , paragrafi Corte, caso Aydin c. Turchia, sentenza , par. 86. Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -18/18

19 usando categorie giuridiche più vicine alla scienza giuridica italiana), come <circostanze aggravanti>, esterne alla fattispecie. In conclusione, nessun atto obiettivamente inumano potrà essere qualificato come tortura perchè finalizzato ad esempio ad ottenere una confessione, mentre l indagine sulle circostanze sarà fondamentale in quei casi di condotte che si pongano al confine tra le due fattispecie. Si evince da quanto fin qui osservato che quella di trattamento inumano è una definizione primaria. La Corte ha ad essa attribuito, accanto al valore intrinseco, una funzione per così dire classificatoria: in due coeve sentenze si stabilisce infatti che, da un lato, [l ]articolo 3 della Convenzione (...), distinguendo la <tortura> dai <trattamenti inumani o degradanti> ha voluto con il primo di tali termini marchiare di particolare infamia trattamenti inumani deliberati che provocano sofferenze molto gravi e crudeli 23 ; dall altro, che [l]a sofferenza provocata deve situarsi ad un livello particolare perchè si possa qualificare (...) inumana 24. Come conseguenza prima, si assume quale criterio cui fare affidamento la soglia di gravità, utilizzata in funzione di limite interno tra le fattispecie vietate dalla norma. In aggiunta, si impone (soprattutto nelle sentenze emesse a partire dagli anni 90) un dovere assoluto di rispettare l integrità fisica: ne troviamo un anticipazione in un passaggio che già abbiamo citato, in cui la Corte escludeva che i comportamenti oggetto di valutazione potessero essere ricondotti alla tortura perchè quest ultima è un trattamento inumano deliberato, che causa una sofferenza inumana e crudele 25 ; ebbene, a partire da questa risalente decisione si è via via affermata la convinzione che affinchè si possa ricondurre una condotta alla tortura devono ricorrere circostanze tali da <qualificare> un trattamento inumano: la violenza deve generare sofferenze fisiche particolarmente crudeli, o essere finalizzata ad 23 Corte, caso Irlanda c. Regno Unito, cit., par Corte, caso Tyrer c. Regno Unito, cit., par Corte, caso Irlanda c. Regno Unito, cit., par Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -19/19

20 ottenere una qualche confessione, o ancora essere perpetrata mediante atti per loro natura intollerabili (come lo stupro commesso ai danni di minorenne in stato di custodia 26 ). In assenza di tali elementi caratterizzanti, ogni violenza grave sarà ricondotta ad un trattamento inumano. L accoglimento del metodo della contestualizzazione dei comportamenti da valutare ha infine condotto alla nascita di una sorta di fattispecie autonoma, con riferimento ai comportamenti posti in essere ai danni di soggetti privati della libertà, rispetto ai quali è stato di fatto spostato il confine tra tortura e trattamento o pena inumani e degradanti. - La condizione dei soggetti privati della libertà Ove si riduca il criterio interpretativo alla pedissequa applicazione della norma, la lettera dell articolo 3 CEDU non sarebbe di per sé garanzia di tutela nei confronti di persone detenute. A differenza dell articolo 10, paragrafo 1 del Patto sui diritti civili e politici delle Nazioni Unite del e dell articolo 5, paragrafo 2 della Convenzione Americana sui diritti umani del , infatti, la Convenzione Europea non contiene alcun riferimento specifico. Consapevoli della lacuna normativa, gli organi giurisdizionali del Consiglio d Europa si sono presto dedicati alla individuazione di un criterio interpretativo tale da giustificare un estensione della protezione. In un parere del 1968, la Commissione stabiliva pertanto che la detenzione non priva il detenuto della garanzia dei diritti e delle libertà protetti dalla Convenzione 29. Più specificamente sanciva, un decennio più tardi, che una pena regolarmente inflitta può sollevare un problema rispetto all articolo 3 per il modo in cui è realizzata Corte, caso Aydin c. Turchia, cit. 27 Qualsiasi individuo privato della propria libertà deve essere trattato con umanità e col rispetto della dignità inerente alla persona umana. 28 Nessuno sarà sottoposto a tortura o a pene o trattamenti crudeli, inumani o degradanti. Tutti coloro che siano privati della libertà saranno trattati con il rispetto dovuto alla dignità inerente alla persona umana. 29 Commissione, caso Ilse Koch c. Austria, parere , in Annuaire 5, pag Commissione, caso Kotalla c. Paesi Bassi, parere , D.R. 14, pag Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -20/20

21 Solo a partire dagli anni 90, tuttavia, si rinvengono nelle sentenze delle osservazioni tali da permettere di ricostruire la reale portata delle affermazioni di principio di cui si è in precedenza dato conto. Prima questione concerneva l individuazione del momento a partire dal quale concretamente si possa ritenere un individuo privato della libertà ai sensi dell articolo 3 (e quindi maggiormente tutelato). Attraverso l analisi di tre decisioni emesse nei primi anni 90 si può ricostruire l iter logico seguito dalla Corte, ed indicare dei principi utilizzabili per valutare le singole situazioni soggettive. Primo in ordine cronologico è il già citato caso Tomasi. Il ricorrente, sospettato di aver preso parte ad un attentato terroristico in Corsica, era stato fermato dalla polizia e sottoposto ad interrogatorio. Proprio in quest ultima circostanza avrebbe subito maltrattamenti che andavano da vere e proprie violenze fisiche alle minacce con armi, all assenza prolungata di cibo e all obbligo di rimanere a lungo in piedi, ammanettato e nudo, davanti ad una finestra. Nella sentenza la Corte, qualificando le condotte come trattamenti inumani e degradanti e condannando la Francia ad un sostanzioso risarcimento, sottolineava che le innegabili difficoltà della lotta contro la criminalità, anche in materia di terrorismo, non possono limitare la protezione dovuta all integrità fisica delle persone 31. Come detto, introduceva inoltre delle presunzioni di colpevolezza e invertiva l onere della prova, essendovi dei riscontri in ordine al fatto che lo stato di salute del sig. Tomasi al momento dell arresto fosse buono. Nel caso Klaas invece la ricorrente, cittadina tedesca, lamentava di aver subito maltrattamenti (che le avrebbero causato peraltro uno svenimento) in occasione di un arresto che aveva subito in quanto colpevole di aver causato un incidente automobilistico, guidando in stato di ebbrezza. Secondo la Commissione, rileverebbe il fatto stesso di essere sotto la giurisdizione delle 31 Corte, Tomasi c. Francia, cit, par Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -21/21

22 forze di polizia 32. La Corte, al contrario, operò una distinzione rispetto al caso Tomasi, poiché l uso della forza ben poteva essere stato causato dalla resistenza all arresto, e le violenze in questo caso non sarebbero state sproporzionate 33. Infine nel caso Hurtado contro Svizzera la stessa Commissione si trovava a cambiare orientamento rispetto al parere da ultimo citato: il ricorrente lamentava di aver subito violenze durante l arresto, ma l organo giurisdizionale si limitò a stabilire che vi fosse stata violazione dell articolo 3 solo a causa della mancata sottoposizione del fermato a visite mediche. Testualmente affermava che l assenza di cure mediche adeguate in una simile situazione deve essere qualificata trattamento inumano 34. Ci sentiamo di poter affermare, sulla base dei principi appena presentati, che l arresto si differenzia dalla custodia perchè non esclude a priori il ricorso alla forza, ma piuttosto lo sottopone ad una valutazione sulla proporzionalità rispetto alla situazione (valutazione che sarà ex ante, avente ad oggetto cioè le circostanze nelle quali effettivamente avevano operato la polizia o le altre forze di sicurezza, così come apparivano in quel momento). Qualora un individuo venga sottoposto a pena detentiva (anche solo di natura cautelare o comunque preventiva), invece, lo Stato contraente si assume piena responsabilità per il trattamento a quello riservato, e si pone come garante della incolumità fisica (con l eccezione di quelle offese causate direttamente dal comportamento del detenuto). Diverse sentenze sono state emesse con riferimento alle condizioni della detenzione: tra queste, ve ne sono due, piuttosto recenti, riguardanti il nostro Paese. 32 Commissione, caso Klaas c. Germania, parere , parr Corte, caso Klaas c. Germania, sentenza , Serie A n. 269, parr Commissione, caso Hurtado c. Svizzera, parere , par. 79. Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -22/22

23 Il signor Benedetto Labita, arrestato perchè sospettato di essere membro di un organizzazione mafiosa, nel 1992 veniva trasferito nel carcere di Pianosa per essere sottoposto al regime 41bis, dall articolo della Legge n. 354 del 1975 che lo aveva introdotto nell ordinamento penitenziario. Prima di essere assolto in secondo grado dalla Corte d Appello di Palermo nel dicembre 1995, il ricorrente sarebbe stato vittima di una vasta gamma di violazioni della Convenzione: denunciò infatti condotte contrarie agli articoli 3, 5, 6, 8, nonché all articolo 2 del Protocollo n. 4 e all articolo 3 del Protocollo n. 1. Per quanto qui ci interessa, egli riteneva che le misure d isolamento (notturno e diurno), le violenze, le perquisizioni corporali e le intimidazioni subite (causa di traumi sia psichici che fisici) rappresentassero trattamenti inumani e degradanti ai sensi dell articolo 3. La Commissione aveva peraltro accolto tale conclusione. Con sentenza presa a strettissima maggioranza (9 voti contro 8), la Corte assolveva al contrario l Italia per mancanza di prove inconfutabili circa la gravità dei trattamenti, così accogliendo l opinione del Governo italiano, che da parte sua riconosceva le condotte e al contempo le ridimensionava 35. Identici iter ed esito avrebbe avuto, di lì a poco, il ricorso del sig. Indelicato 36, che come il suo predecessore lamentava di aver subito trattamenti in violazione dell articolo 3 nello stesso carcere di Pianosa, ove era stato detenuto e sottoposto anch egli al regime 41bis fino al settembre 1997, quando era stato prosciolto dalle accuse e rilasciato. Rinviamo un ulteriore approfondimento delle due pronunce per quanto riguarda dei diversi profili dell applicazione dell articolo 3. In una serie di decisioni è stato invece stabilito che una detenzione in condizioni tali da danneggiare la salute dei detenuti costituisce un trattamento inumano e degradante. Con riferimento all isolamento, la Corte ha da un lato affermato che quello totale può distruggere la personalità del detenuto e pertanto costituisce 35 Corte, caso Labita c. Italia, sentenza , Reports of Judgements and Decisions, 2000-IV. 36 Corte, caso Indelicato c. Italia, sentenza Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -23/23

24 trattamento inumano e che non si giustifica con esigenze di sicurezza, e dall altro non ha mai emesso sentenze di condanna in materia 37, essendo in ogni caso legittimo comminare la sanzione in parola nel rispetto di particolari condizioni. In un altro caso (concluso con il rigetto del ricorso) si osservava che deve aversi riguardo alle circostanze (...), incluse la severità della misura, la sua durata, lo scopo perseguito e gli effetti sulla persona 38, e si sottolinea che sicuramente rappresenterebbe un trattamento proibito l isolamento sensoriale del detenuto, che tuttavia in quell occasione non si era verificato. Talvolta si è inoltre fatto riferimento ad un requisito ulteriore, quello della volontà di umiliare l individuo 39. Altro elemento di cui la Corte ha tenuto conto nel valutare le condotte dei soggetti responsabili della custodia dei detenuti è la prontezza con cui questi ultimi, in caso di danni in qualsiasi modo prodotti, siano stati sottoposti a visita medica. Alla base di questo principio si pone l obbligo di garantire l integrità fisica degli individui, tenendo presente tuttavia che si deve intendere nel senso di aggravante, circostanza da valutare insieme alle altre, di modo che deve essere provata la sottoposizione a violenze o a trattamenti proibiti dall articolo 3. A titolo esemplificativo, nel caso Ilhan 40 si è giunti ad una condanna per aver sottoposto il ricorrente ad atti di tortura : la vittima aveva riportato danni di natura permanente, e non era stata prontamente trasferita in una struttura ospedaliera. Senza indagare su un eventuale peggioramento delle sue condizioni psico-fisiche a causa del mancato intervento dei medici per un lasso temporale di almeno 36 ore, il giudice europeo utilizzava l elemento oggettivo del ritardo nel 37 Nel caso Peers c. Grecia, deciso con sentenza del , veniva dichiarata la violazione dell articolo 3 con riferimento alle condizioni della detenzione, ma la Corte espressamente le riconduceva solamente ad un trattamento degradante. 38 Corte, caso Ensslin, Baader e Raspe c. Germania, sentenza Così la Commissione sul caso Mac Feely del 1980, in cui affermava che la causa dell aggravamento delle condizioni psico-fisiche erano gli stessi detenuti, accusati di atti di terrorismo in Irlanda del Nord, e dichiarava la non colpevolezza del Regno Unito. 40 Corte, caso Ilhan c. Turchia, sentenza Unilink - Diritti e libertà Luigi Prosperi -24/24

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