IDONEITA AL LAVORO E DISTURBI MENTALI

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1 IDONEITA AL LAVORO E DISTURBI MENTALI Senza la presunzione di affrontare per intero un argomento così complesso, dagli aspetti così vari, ci si limita a prendere in considerazione uno di questi aspetti, ragionando su casi di lavoratori con disturbi mentali per i quali il datore di lavoro ha chiesto un giudizio di idoneità ai sensi dell art.5 della legge 300/70. Sono datori di lavoro che certamente recriminano sulla scarsa produttività del lavoratore, ma che esprimono anche la preoccupazione (la paura talvolta) per i possibili pericoli legati al lavoratore per il quale si chiede il giudizio di idoneità: in effetti, in linea di massima, la richiesta è il tentativo di liberarsi di una situazione che viene percepita come pericolo. Qualche esempio: D.L., facchino d albergo -dice la richiesta di visita- si presenta trasandato, svogliato, mal si rapporta con i clienti e con i colleghi, con atteggiamenti strani e discorsi incomprensibili che suscitano timore. B.R., operaia di mensa, mostra durante l orario di lavoro segni di instabilità psicologica, momenti di assenza dalla realtà, maneggiando oggetti da taglio. F.M., programmatore meccanografico, per gli atteggiamenti degli ultimi tempi, si ha ragione di temere che possa provocare gravi danni alle altre persone presenti in azienda oltre che grave pregiudizio agli archivi delle banche utenti del nostro sistema informativo. R.M., impiegato di banca, ha manifestato nei confronti degli altri componenti dell ufficio stati d animo opposti passando da momenti di calma assoluta a momenti di eccessiva vitalità. La paura o anche il tentativo di trovare una soluzione alla situazione che l azienda non riesce più a gestire: C.S.,commessa, presenta evidente instabilità fisica e psichica; in particolare facciamo presente che la lavoratrice fatica a parlare, a camminare, a salire e scendere le scale ed a relazionare con i colleghi e i clienti del negozio. Allo stato attuale riteniamo che ci sia una situazione ad elevato rischio per la lavoratrice. C.M., addetta magazzino, durante la giornata disturba,interviene a sproposito, sparisce nei corridoi con la scusa del caffè, viene vestita in maniera non conveniente e l igiene personale è nulla; sinceramente non sappiamo più come gestire questa persona che, secondo noi, necessita di una assistenza sia sociale che psicologica che l azienda, ovviamente, non può fornire. 1

2 Naturalmente arrivano dalle aziende richieste anche motivate da ridotta capacità lavorativa, scarsa autonomia, frequenti malattie, il non presentarsi bene, dà un immagine non buona, scarsa adattabilità ai turni (sono alcune delle motivazioni di richiesta ex art.5 ): rispetto a questo non si deve lasciare aperto alcun varco, bisogna azzerare questo equivoco per il quale il datore di lavoro confonde l idoneità al lavoro con un aspettativa di piena efficienza fisica e di massima produttività e questo azzeramento passa per la conferma nei casi citati, dell idoneità lavorativa. In una relazione presentata al Convegno Le idoneità difficili di qualche anno fa, il Direttore del Dipartimento di salute mentale della ASL di Padova, poneva alcune questioni essenziali in merito al tema idoneità lavorativa e disturbi mentali, a partire dalla puntualizzazione dell obiettivo principale da perseguire, quello di realizzare il diritto di un inserimento in un contesto lavorativo adeguato: se rivendichiamo l obiettivo di un lavoro idoneo per le esigenze psicofisiche dei lavoratori in generale è chiaro che ciò va perseguito a maggior ragione per i lavoratori con disturbi mentali, da sempre penalizzati. Diritto e rivendicazione che naturalmente vanno di pari passo con la necessità di salvaguardare la sicurezza di tutti, archivi delle banche compresi. In un documento dell OMS dal titolo Salute mentale e lavoro sono descritti i 5 MITI (così li definisce l OMS ) che riguardano questo problema: Mito 1: i disturbi mentali sono uguali a un ritardo mentale. Mito 2: il miglioramento dei disturbi mentali non è possibile questione importantissima: ricorda a questo proposito lo psichiatra di Padova nella relazione citata che nessun disturbo psichico è stabile e continuo nel tempo; anche nel caso della psicosi questo è assolutamente vero,nessun paziente è sempre malato,tutti i giorni della sua vita. Invece è vero che i disturbi mentali hanno spesso andamento oscillatorio (acuziemiglioramento-compenso-riacutizzazione ). Mito 3: I disturbi mentali (e i lavoratori che sono stati curati per questo) sono caratterizzati dalla tendenza ad abbassare la produttività e la qualità del lavoro. Mito 4: le persone con disturbi mentali in trattamento non possono tollerare situazioni di stress nel lavoro. 2

3 Mito 5: i disturbi mentali (e le persone in trattamento per questi) sono imprevedibili, violenti, pericolosi. Occorre non essere bloccati dalla pervasività di questi pregiudizi e porsi di fronte al paziente non come di fronte a una diagnosi, ma come di fronte a una persona, unica e irrepetibile. Questo vale per tutti i giudizi di idoneità, giudizi che, per essere volti a tutelare l integrità e la salute di una persona e il suo diritto a svolgere un attività lavorativa, non possono che essere individualizzati e cioè devono prendere in considerazione l interezza della persona, comprendendo in un unica valutazione la vita lavorativa, sociale, familiare, le condizioni psicofisiche, le limitazioni funzionali: ancor più con pazienti psichiatrici che ci arrivano spesso in situazioni di scarso compenso o di scompenso vero e proprio. Non bisogna lasciarsi intrappolare dagli stereotipi (i miti che caratterizzano da sempre il disturbo mentale); abbiamo detto che nessun disturbo psichico è stabile e continuo e d altra parte nella maggioranza dei casi si tratta di persone che, pure affetti da patologie psichiche anche gravi sono riuscite a entrare nel mondo del lavoro e lavorano spesso da molti anni. E successo qualcosa che ha rotto un compenso, un equilibrio che va ristabilito. Obiettivo principale deve essere quello di salvare le persone: dico salvare perché la perdita del lavoro segna la fine di ogni speranza di guarigione e di sopravvivenza dignitosa. Almeno potenzialmente attorno al nostro paziente c è una rete che è indispensabile attivare almeno in qualche suo tratto per gestire il percorso che porta a un giudizio definitivo e per monitorare questo giudizio. Punto iniziale della rete è il medico che svolge l istruttoria per arrivare al giudizio di idoneità: abbiamo già detto quali sono le caratteristiche e le finalità che il giudizio deve avere quando riguarda un lavoratore che ha un disturbo mentale. Un punto della rete teoricamente fondamentale è la famiglia, lì si potrebbe ricostruire la storia del paziente, forse capire il perché dello scompenso, sollecitare una presa di contatto con le strutture territoriali tipo CPS con le quali il contatto si è verosimilmente perso dato lo scompenso, li si può monitorare l andamento del paziente: dico un punto teoricamente fondamentale, perché nella nostra esperienza la famiglia il 3

4 più delle volte non c è o se c è ha un ruolo negativo. Un altro punto è il Medico Curante, nella nostra esperienza più presente di quanto ci si aspettasse, in grado di dare informazioni utili sulla storia del paziente, spesso in grado di inquadrare la situazioni familiare, spesso con un rapporto positivo col paziente che si fida di lui, il che è molto utile quando ad esempio bisogna convincerlo a prendere, o il più delle volte riprendere, contatti col CPS, o altro psichiatra. Lo psichiatra, del CPS quasi sempre, o privato, è naturalmente un ulteriore punto della rete, sa la storia clinica, e anche familiare del paziente, un paziente con cui in linea di massima ha perso i contatti, è disposto a riagganciarlo, condivide l obiettivo, il reinserimento al lavoro, fa da sponda al nostro messaggio, bisogna curarsi per poter tornare al lavoro, definisce i tempi e le modalità del rientro. Devo dire che salvo qualche caso di burocrate nascosto dietro il dito di noi ci occupiamo solo dei problemi medici, frase che nasconde il fastidio di assumersi delle responsabilità, in generale abbiamo trovato persone disponibili, interessate, e impegnate in questo obiettivo di recupero del loro paziente. Anche il Medico Competente va attivato: spesso è stato lui a indicare all azienda la strada dell art.5, ed è in grado di fornire elementi utili riferiti al contesto lavorativo, intervenire nel monitoraggio seguendo il rientro del lavoratore in azienda una volta ristabilita una idoneità lavorativa. Quindi una rete da ricucire, da riattivare, con l obiettivo di un reinserimento stabile al lavoro, questione decisiva per il futuro di questi lavoratori, dal punto di vista economico l alternativa al barbonaggio, la sopravvivenza, e dal punto di vista della possibilità di mantenere una socialità, decisiva per la compliance, l equilibrio psichico da mantenere. Vediamo qualche caso. SC è una commessa di una boutique. La richiesta di visita dell Azienda è motivata, l abbiamo letto prima (presenta evidente instabilità fisica e psichica, ). Alla prima visita la lavoratrice, che ha 32 anni, si presenta molto curata nell aspetto, una bella ragazza sostanzialmente amimica, salvo una specie di sorriso stereotipato, risponde con monosillabi, con risposte ripetitive, stereotipe, poco pertinenti, compaiono spesso alterazioni oculomotorie, frequente movimento ondulatorio dagli occhi, e distorsioni della rima orale. Impossibile ottenere di più. Si decide di programmare una seconda visita dopo aver parlato con l Azienda. L atteggiamento dell Azienda, nell incontro avvenuto in ASL è molto positivo, da un lato descrivono una situazione grave in negozio, dove la lavoratrice stà in stato catatonico, si muove con difficoltà, non 4

5 reagisce alla presenza dei clienti, e in più, lascia tracce di urina in vari punti del negozio. Eppure non c è preclusione, la lavoratrice ha lavorato molto proficuamente per 4 anni, l Azienda è disposta ad aspettare. SC viene rivista, la situazione è naturalmente invariata, conferma la perdita di urine che banalizza solo alla sera quando sono stanca ; si decide una non idoneità temporanea (3 mesi). Nella richiesta di art.5 dell Azienda sono allegati dei certificati medici dai quali si può risalire al Medico Curante: è una dr.ssa che mostra di conoscere bene la paziente, ma che rimanda, perché lei sa tutto, alla psichiatra che l ha in cura. La psichiatra sa effettivamente tutto del passato, un po meno del presente: nel passato il padre internato in un istituto, due fratelli affetti da sindrome bipolare, una madre figura supernegativa. Ha preso in cura anche SC senza una diagnosi precisa, pensando tra l altro che potesse essere affetta da una forma organica tipo sindrome frontale, tenuto anche conto della perdita di urina e dalle alterazioni oculomotorie, ma l RMN encefalo è risultata negativa. La tiene in terapia con Depakin, e l ultima volta che l ha vista è sembrata in discrete condizioni, ma però 6 mesi fa! Avvertita della situazione, promette di metterci mano, a costo di menare la madre, evidentemente ostile. Richiama dopo 1 mese dicendo di aver agganciato la paziente, e di aver impostato una nuova terapia, ci saprà dire. In realtà per altri 2 mesi non dice nulla, e alla scadenza la paziente viene rivista. Dire che ci sia stato un miracolo non si può di certo dire, ma certo la situazione è nettamente migliorata, faccia più espressiva, risposte un po rallentate ma coerenti, una discreta capacità critica sul passato, salta fuori perfino che si è lasciata col fidanzato da non tanto tempo, e magari, pensiamo, quello è l episodio che ha rotto l equilibrio. Ha un certificato che dice la paziente gode nell attualità di un sufficiente compenso psichico in assenza di elementi di ansia quali deliri, dispercezioni e anomalie del comportamento. Non emergono nell attualità evidenti controindicazioni alla ripresa dell attività lavorativa (desiderata dalla paziente) nonostante un ineliminabile rischio di disadattamento alle condizioni di stress cronico caratteristico del disturbo di base (psicosi bipolare); nuova terapia con abilify, deniban (antipsicotici) lyrica (disturbi di ansia e dolore neuropatico) minias. Non è un certificato stratosferico però val la pena di tentare. L Azienda è d accordo nel monitorare i comportamenti della paziente e noi ci dichiariamo pronti a re intervenire nel caso di necessità. E passato un anno e mezzo, sembra finita bene. Fattore determinante aver riattivato la rete che aveva perso un po il 5

6 controllo della situazione e che sollecitata ha risposto subito efficacemente e poi un decisivo ruolo positivo dell Azienda. F.M., 38 anni, programmatore meccanografico. Motivazione della richiesta da parte dell Azienda, anomalie comportamentali che fanno temere gravi danni per persone e archivi informatici. Si presenta alla visita in condizioni di agitazione psicomotoria, logorroico, si dichiara convinto che la richiesta dell Azienda è dovuta all intenzione del suo capo di farlo fuori per invidia nei suoi confronti. Tutta la prima parte della conversazione riguarda il lavoro sul quale è evidente un investimento altissimo: il Direttore del Personale peraltro conferma che F.M. è uno dei tecnici più quotati dell Azienda dove lavora da più di 10 anni. Pressoché impossibile deviare la logorrea presso la storia personale e medica del paziente. Gli unici spiragli riguardano il medico di famiglia che sa tutto di me e la presenza di una madre però lontana. Il lavoratore viene riconvocato per la settimana successiva, per un ulteriore colloquio, e nel frattempo si contatta il medico curante che in effetti conosce benissimo F.M. che è affetto da un disturbo bipolare in buon compenso da molti anni, seguito regolarmente dal CPS, ma che abbastanza spesso va da lui per parlare. C è effettivamente una madre, o meglio c era, perché al dottore risulta che da qualche tempo è tornata al paese d origine. Illustrata la situazione si concorda sul fatto che se F.M. si ripresenta da lui userà tutto il suo ascendente per farlo tornare al Centro che contattato conferma che FM ha saltato l ultimo appuntamento e non si vede da mesi. Alla nuova visita il lavoratore presente con un cappello d alpino e un inquietante (il pensiero corre a Leone Trotsky) picozza tra le mani: dice che ha visto i poster nel mio ufficio, poster di montagna, anche a lui piace la montagna, ha fatto il militare come alpino. Arginando il flusso logorroico spiego che così non può tornare a lavorare, lo lascerò tornare al lavoro solo se andrà dal suo medico curante e tornerà a curarsi. Si da un giudizio di non idoneità temporanea 4 mesi in accordo col CPS. F.M. torna effettivamente dal medico curante (con lui chiarirà che ha smesso di curarsi perché dopo un litigio suo madre se ne è andata) e poi al CPS. Dopo 4 mesi F.M. si presenta in discreto compenso ma con uno stato depressivo ancora marcato per cui la non idoneità viene prolungata per 2 mesi al termine dei quali, verificato che il clima aziendale è buono, favorevole a un tranquillo riaccoglimento del lavoratore, si da un giudizio di idoneità con la precisazione di verifica a 6 mesi, verifica che risulta positiva. 6

7 Qui una rete medico curante-cps che c era e funzionava è stata rotta dall evento traumatico dell allontanamento della madre, la molla del lavoro è stata decisiva per recuperare e ricucire questa rete. Il caso di R.M., impiegato di banca per il quale l Azienda chiede la visita di idoneità ex art.5 L.300/70 a seguito di eccessiva vitalità che crea ansia ed apprensione nei colleghi. Assunto da 15 anni come invalido civile per schizofrenia paranoide, il sig. R.M. ha avuto un buon inserimento lavorativo come impiegato di ordine con compiti esecutivi semplici fino a 1 anno fa quando, in seguito al cambio di Direttore, è stato progressivamente esautorato da compiti lavorativi con la motivazione che non ci sono compiti adatti. La progressiva emarginazione ha accentuato una condizione depressiva già esistente e periodicamente monitorata dal CPS di zona; R.M., che vive da solo, ha interrotto l uso di farmaci, il che ha fatto emergere spunti persecutori e quella che l Azienda ha definito eccessiva vitalità. In sede di visita medica si presenta marcatamente depresso, ma lucido, l aspetto prevalente è la paura di essere licenziato, insiste più volte sul fatto che se perdo il lavoro divento un barbone. Tende a interpretare la visita in ASL come parte di un complotto ordito dal nuovo Direttore per licenziarlo. Nel corso di un lungo tentativo di convincimento a un certo punto si alza e se ne va. Si da un giudizio di non idoneità temporanea sperando di riuscire a riagganciarlo. Nei giorni successivi dall Azienda riferiscono della presenza di R.M. confabulante nei dintorni. Poi chiama un RLS impiegata (ci sono anche loro nella rete) che dice di aver parlato al lavoratore che sarebbe disposto a ritornare in ASL ma solo con la presenza della RLS. Si rende così possibile un nuovo tentativo di convincimento che, soprattutto grazie alla impiegata RLS, alla fine va in porto. Il CPS col quale erano stati presi contatti, propone un breve ricovero in CRT per riassestare la terapia dopo di che viene certificato che il sig. R.M. è seguito per depressione atipica accompagnata da interpretabilità periodica, attualmente il quadro clinico è in stato di compenso. Viene quindi espresso un giudizio di idoneità con l indicazione di una verifica dopo 6 mesi e con un giudizio dove vengono resi espliciti i compiti lavorativi. In generale il giudizio di idoneità, in specie quello con limitazioni, va riferito ad una mansione in astratto, ma ai contenuti specifici di quella specifica mansione. Occorre cioè, appena possibile, dire chiaramente cosa può e cosa non può fare il lavoratore, rifugiandosi li meno possibile dietro la genericità di formule 7

8 prestabilite. Ciò è tanto più importante nel caso di disturbi mentali: nel caso specifico si tratta di riempire di contenuti concreti, ben identificati, una generica mansione di impiegato d ordine, la cui indeterminatezza è servita, da alibi, per l emarginazione del lavoratore, causa prima del suo scompenso. Il lavoratore è giudicato idoneo ai seguenti compiti lavorativi: trascrizione e compilazione distinte e moduli, preparazione buste per spedizioni, stampa da pc, fotocopiatura e archiviazione fax, fotocopiatura e archiviazione articoli. Si può anche perdere. S.B., invalidità 100% per disturbo delirante in disturbo di personalità, impiegato di 2 categoria, dopo 4 anni di lavoro senza grossi problemi sviluppa un delirio persecutorio, sostenendo che c è un tentativo di farlo ammalare, usando l impianto di condizionamento, che spara aria fredda sulla sua postazione, e quando si è spostato in un posto diverso, che prima era normale, subito è stato investito dall aria, e così nei vari posti cambiati. È totalmente acritico, accompagnato da una moglie egualmente acritica. Non si riesce a ricostruire una storia. Nel corso di una successiva visita, si accenna con molta cautela, all utilità di incontrare uno psichiatra, per valutare l andamento del problema alla base della sua invalidità. Una settimana dopo, entrando nell ufficio, trovo sulla scrivania la coperta, i guanti, la sciarpa, e il berretto, che usava al lavoro, eravamo in giugno, e la copia della lettera di dimissioni. L.P. è dipendente ASL, da circa 25 anni, con ruolo amministrativo, descritto da sempre come bizzarro, ma senza aver mai dato problemi particolari, da 6 mesi però la situazione è peggiorata, non rispetta minimamente l orario di entrata e uscita, sosta nei corridoi, declamando ad alta voce storie improbabili di vario tipo, ferma la gente che passa interrogando spesso sulla vita privata, troppo privata, ha reagito anche in maniera brusca, quando ripreso dai colleghi, cosa che non aveva mai fatto. Visto una prima volta in sede di art.5, si mostra abbastanza collaborante: dice di una madre morta da circa 1 anno, madre con cui ha sempre vissuto. Dice di avere una cugina, che lo accudisce dopo la morte della madre. Sentita la cugina, che descrive questa madre come un isterica, che ha sempre negato problemi del figlio (che ha sofferto di una cerebropatia 8

9 neonatale con lieve insufficienza mentale) e non lo ha mai voluto far visitare da medici. Pare di capire che la morte della madre, ha slatentizzato una psicosi di innesto su un quadro di insufficienza mentale. In una seconda visita accenno, con molta cautela, alla possibile utilità di un colloquio al CPS, per un sostegno psicologico, dopo la morte della mamma. L.P. si alza bruscamente, va alla finestra, si mette in piedi sul davanzale, e grida ci vada lei dal dottore, al CPS, ha capito, ci vada lei al CPS. Ci vada lei, dottore, al CPS mi sembra un finale appropriato. Eravamo al pianterreno. È stato poi giudicato non idoneo in modo assoluto e permanente dal collegio medico. Milano, 2 Gennaio

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