Esperienze e attese delle educatrici e delle insegnanti

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1 Indice del capitolo 1 INTRODUZIONE Le precomprensioni nell azione educativa GLI OBIETTIVI E GLI STRUMENTI DELLA RICERCA I RISULTATI DELLA RICERCA I bambini stranieri all asilo nido e nelle scuole dell infanzia Esperienze e attese delle educatrici e delle insegnanti Una ricerca sul campo nella Regione del Veneto Giuseppina Messetti I BAMBINI STRANIERI NEI SERVIZI EDUCATIVI: Presenza e provenienza I bambini stranieri come risorsa per tutti i bambini I bambini stranieri come risorsa per educatrici e insegnanti I bambini stranieri come problema I GENITORI STRANIERI E LE ISTITUZIONI EDUCATIVE LE EDUCATRICI, LE INSEGNANTI E I GENITORI STRANIERI Le principali difficoltà connesse alle differenze culturali La scarsa partecipazione alla vita della scuola La diffidenza e la sfiducia dei genitori LE PRATICHE DIDATTICHE PER L APPRENDIMENTO DELLA LINGUA ITALIANA La denominazione di cose e azioni L attenzione agli aspetti paraverbali del linguaggio Le mediazioni possibili Il supporto dei libri L ATTEGGIAMENTO NEI CONFRONTI DELLA LINGUA MATERNA LA VALORIZZAZIONE DELLA CULTURA E DELLA LINGUA D ORIGINE NEI SERVIZI DELL INFANZIA LE QUESTIONI APERTE E LE NUOVE DOMANDE DI RICERCA La presenza dei bambini stranieri nei servizi dell infanzia Il rapporto con le famiglie I bisogni formativi NOTE METODOLOGICHE INTRODUZIONE O OBIETTIVO DI QUESTA RICERCA è l esplorazione delle rappresentazioni, delle opinioni e di alcune pratiche di educatrici e insegnanti, operanti nei servizi prescolastici, in merito alla presenza di bambini e famiglie stranieri. Il contesto territoriale in cui è stata svolta l indagine è il Veneto; sono state coinvolte le operatrici dei servizi educativi dell infanzia di otto comuni della regione, individuati tra i più significativi per l elevata presenza di residenti stranieri. Nel più ampio Nord-Est dell Italia, noto per l effervescenza del suo sviluppo economico, il Veneto è andato sempre più rappresentando un area di forte attrazione per uomini e donne migranti, fino a collocarsi ai primi posti tra le regioni italiane per incidenza di residenti stranieri. I dati ufficiali 1 attestano che l immigrazione straniera in Veneto è diventata rilevante nell ultimo decennio e in particolare ha conosciuto una marcata accelerazione dal 2002, anno della grande regolarizzazione. A partire da allora la popolazione straniera regolarmente residente è più che raddoppiata, con un progressivo aumento dell incidenza percentuale sul totale della popolazione che passa da valori appena sotto il 4% nel 2001, all 8,4% nel 2007 a oltre il 9% nel Accenniamo qui brevemente alle principali caratteristiche della popolazione straniera in Veneto, sulla base della fotografia che emerge dal più recente Rapporto sull immigrazione della Regione. 2 Si è molto attenuato il divario tra uomini e donne maschi e femmine sono presenti ormai in uguale proporzione anche se si riscontrano disomogeneità in alcuni gruppi nazionali. Si tratta di una popolazione giovane, sono soprattutto bambini e giovani adulti dai 25 ai 40 anni; 3 più della metà di loro arriva da Paesi europei (soprattutto Stati extra UE), il 24% dall Africa, il 16% dal Continente asiatico e il 4% da quello americano. Tra i Paesi di provenienza prevale la Romania, seguono il Marocco e l Albania; Moldavia, Romania, Ucraina e Bangladesh sono attualmente i Paesi che presentano i livelli di crescita del fenomeno migratorio più elevati. Le città venete con maggiori concentrazioni di cittadini stranieri sono nell ordine Treviso, Verona e Vicenza con percentuali che superano il 10%; a Padova e Venezia, si registrano ritmi di crescita accelerati. Secondo l Istituto nazionale di statistica 4 (Istat) nel 2027 in Veneto, sarà di origine straniera il 18% della popolazione e le proiezioni anticipano che, per le classi di età attorno ai 40 anni, tale percentuale potrebbe arrivare fino al 30%. Si tratta di un dato che parla in modo inequivocabile dell avvento di una società multiculturale e lascia intravedere scenari davvero inediti per una regione, e più in generale per un Paese come l Italia, che sembra ancora non rendersi bene conto della metamorfosi epocale in atto. 5 Come stiamo affrontando questo cambiamento antropologico-culturale? Con quali atteggiamenti, con quali logiche e strategie ospitiamo gli uomini e le donne arrivati da lontano, spinti dal sogno di un futuro migliore? Cosa chiediamo loro? Di adattarsi gradualmente alla nostra cultura? Di mantenere le loro tradizioni purché lonta

2 no dalle nostre? Oppure riteniamo, in una prospettiva più complessa e impegnativa, che le specificità culturali siano un valore da salvaguardare, perché è dall incrocio delle differenze che possono nascere innesti fecondi per tutti? Fino a che punto siamo pronti ad accettare la diversità? Siamo davvero educati all interculturalità? ferenti dalla propria, può avere pesanti effetti sull attività di insegnamento, in termini di induzione di processi di marginalizzazione e di disimpegno. GLI OBIETTIVI E GLI STRUMENTI DELLA RICERCA Le precomprensioni nell azione educativa. Per la scuola italiana il cambiamento è stato rapidissimo e negli ultimi anni le problematiche relative all incremento esponenziale della presenza di alunni stranieri si sono accompagnate alla particolare complessità del nostro tempo e alle trasformazioni del sistema di istruzione. Sappiamo da sempre che le istituzioni educative e scolastiche possono essere la chiave di volta per il successo dell integrazione in quanto luoghi privilegiati d incontro, dove le nuove generazioni possono imparare a vivere insieme 6 attraverso la scoperta e l accettazione reciproca. Nel più ampio ambito delle istituzioni educative, i servizi dell infanzia per la particolare età dei bambini che accolgono possono svolgere un ruolo decisivo nella promozione della capacità di saper stare nella differenza e diventare palestre di vita, dove bambini e adulti di mondi diversi crescono insieme, intrecciando sguardi plurali sui differenti modi essere e di vivere, sui differenti modelli educativi e di cura. Ma esiste un modello prescolastico di integrazione per i bambini di altre culture nel nostro Paese? Come sono considerati i bambini immigrati nel nostro Paese e nelle nostre strutture educative? Come parliamo di loro? Bambini a cui manca qualcosa, bambini con qualcosa in più, bambini diversi? Che cosa pensano le educatrici e gli educatori che si predispongono ad accoglierli? Cosa pensano gli altri genitori? 7 Il problema oggetto della ricerca sorge in un contesto preciso: un percorso di formazione rivolto a educatrici e insegnanti operanti, nell anno scolastico 2009/2010, in otto comuni della Regione del Veneto, individuati tra i più rilevanti per la presenza di immigrati (vedi capitolo 5). Come stanno vivendo il fenomeno migratorio le educatrici e le insegnanti in queste realtà territoriali, dove i nidi e le scuola dell infanzia accolgono un numero sempre crescente di bambini di altre culture? Si è ritenuto che indagare i loro pensieri avesse una duplice utilità: ai fini della ricerca educativa l allargamento dello sguardo su un settore, quello dei servizi prescolastici, ancora poco esplorato, permette di conoscere il punto di vista di chi in essi opera, soggetti raramente coinvolti in ricerche di questo tipo. Nello stesso tempo, sul piano della progettazione formativa, una indagine mirata a conoscere in modo approfondito e contestualizzato i soggetti ai quali si rivolge, consente la messa a punto di percorsi migliorativi. La ricerca si sviluppa a partire da alcune domande che focalizzano il pensiero di educatrici di asilo nido e insegnanti della scuola dell infanzia riguardo alla presenza di bambini e famiglie appartenenti ad altre culture. I nuclei tematici sono stati individuati a partire dalla specificità dei servizi dell infanzia, nei quali le relazioni con le famiglie rivestono un ruolo fondamentale e da alcune tematiche specifiche, quali lo sviluppo del linguaggio e i rapporti tra lingua materna (L1) e lingua italiana (L2). La ricerca, i cui risultati sono esposti e commentati in questa pubblicazione, muove dal presupposto che le educatrici e le insegnanti, rapportandosi ai bambini e alle famiglie provenienti da altre culture, sviluppino rappresentazioni che improntano, in modo latente, i loro atteggiamenti relazionali e che questi abbiano ripercussioni dirette sulle scelte educative e didattiche. 8 Alla formazione di tali rappresentazioni non contribuisce soltanto la pratica educativa: concorrono altri fattori come la preparazione culturale e didattica delle operatrici e il loro atteggiamento verso il fenomeno migratorio più in generale, la composizione del gruppo classe, la progettualità dell istituzione scolastica e, non da ultimo, il contesto sociale di appartenenza. 9 Ci riferiamo più in generale all ambito delle precomprensioni, quei contenuti di pensiero talmente radicati nel contesto culturale, impercettibilmente incorporati nei tessuti mentali da dove tacitamente informano i vissuti cognitivi. 10 Occuparsi dell agire educativo significa anche guardare oltre la dimensione esplicita della pratica, per esplorare quegli aspetti che permeano e guidano in modo latente le attività didattiche e gli stili relazionali degli educatori, talvolta in contrasto con le intenzioni dichiarate e le pratiche più formalizzate. Lo studio delle concezioni e delle teorie implicite degli insegnanti costituisce un campo di indagine attuale e consolidato, che rappresenta uno dei filoni del più vasto e complesso ambito di ricerca volto a esplorare la dimensione tacita o implicita dell insegnamento. L esplicitazione di rappresentazioni e teorie implicite attraverso pratiche riflessive può avere un valore altamente formativo. È infatti fondamentale prendere consapevolezza di come l azione educativa sia fortemente influenzata dagli schemi latenti che orientano la modalità di comprensione dei contesti in cui ci si trova a operare. Quindi l analisi del come ci si rappresenta ciò di cui si parla, in questo caso i bambini di altre culture, diventa parte costitutiva di una pedagogia interculturale intesa come riflessione critica e prospettiva empirica rispetto alla pratica educativa. 11 Recenti ricerche condotte con docenti in formazione iniziale mostrano come non sia facile pensarsi come soggetti culturalmente situati, quindi portatori di visioni parziali e condizionate dal contesto socioculturale di appartenenza. 12 La mancanza di consapevolezza circa le proprie precomprensioni, che portano a svalutare gli studenti provenienti da culture dif- Gli obiettivi della ricerca sono: indagare il punto di vista delle educatrici e delle insegnanti rispetto alla presenza di bambini stranieri nelle loro classi/sezioni; rilevare la percezione che le stesse hanno in merito alle difficoltà o ai problemi che i genitori stranieri incontrano nel rapportarsi con le nostre istituzioni educative; conoscere gli elementi di difficoltà che possono intervenire nel rapporto tra educatrici/insegnanti e genitori stranieri; conoscere le opinioni delle educatrici e delle insegnanti in merito all uso della lingua materna; individuare le strategie didattiche messe in atto per favorire nei bambini stranieri l apprendimento della lingua italiana; rilevare la presenza nelle istituzioni scolastiche di progettualità a sostegno della cultura e della lingua di origine dei bambini. Poiché interesse della ricerca è principalmente quello di comprendere attraverso le parole di educatrici e insegnanti il loro pensiero e le loro pratiche, la metodologia della ricerca è di tipo qualitativo. La ricerca è stata effettuata ricorrendo a due strumenti: un questionario-intervista in una prima fase; un intervista a bassa strutturazione in una fase successiva. Con il questionario-intervista sono stati raccolti dati da un nu

3 22 mero consistente di educatrici e insegnanti; con l intervista sono state approfondite le domande oggetto della ricerca con un numero ristretto di operatrici. Per un approfondimento metodologico della ricerca si vedano le Note metodologiche a pagina 33. I RISULTATI DELLA RICERCA Nella tabella 1 sono riportati i dati essenziali relativi ai comuni della Regione del Veneto in cui la ricerca è stata realizzata, ordinati per ampiezza, con il rispettivo numero di partecipanti previste, di questionari compilati e di interviste realizzate. Tabella 1 COMUNI N partecipanti previste N questionari compilati N interviste realizzate CONEGLIANO (Provincia di Treviso) THIENE (Provincia di Vicenza) CEREA (Provincia di Verona) S. MARTINO BUON ALBERGO (Provincia di Verona) LENDINARA (Provincia di Rovigo) MOTTA DI LIVENZA (Provincia di Treviso) CONSELVE (Provincia di Padova) QUERO e VAS (Provincia di Belluno) Totali I comuni coinvolti nella ricerca sono di medie e piccole dimensioni, sia limitrofi sia distanti dai capoluoghi di provincia. Il più ampio è Conegliano, che con i suoi abitanti rappresenta il paese più popoloso della provincia di Treviso e si trova all estremo margine settentrionale della pianura veneta, ai piedi delle Prealpi trevigiane. Thiene conta quasi abitanti ed è, dopo il capoluogo, il paese più densamente popolato della provincia di Vicenza. Nel territorio veronese, Cerea e San Martino Buon Albergo sono entrambi comuni di medie dimensioni: il primo conta abitanti ed è situato ai confini con la Lombardia, il secondo supera i abitanti e si trova nella periferia di Verona. Di dimensioni più ridotte sono Motta di Livenza, con più di abitanti, nel Trevigiano ai confini con la provincia di Venezia e Conselve in provincia di Padova, con abitanti. Decisamente più piccoli, in provincia di Belluno, Quero raggiunge i abitanti, mentre il vicino Vas arriva agli 860; qui i partecipanti al Progetto sono stati riuniti in un unica sede. Rispetto alla compilazione dei questionari si sono registrate percentuali più alte nelle sedi di Conegliano (100%), Cerea (87,5%) e Thiene (71,5%). Le partecipanti alla ricerca sono tutti di sesso femminile; il questionario è stato compilato da 114 operatrici. Oltre la metà delle intervistate opera nell ambito degli asili nido (54%), la percentuale delle insegnanti di scuola dell infanzia raggiunge il 38%, il restante 8% è rappresentato da persone che lavorano in altri servizi (operatrici comunali, volontarie ecc.). Per quanto riguarda l amministrazione di appartenenza delle strutture educative, prevale quella statale (45%), seguita da quella paritaria (27%) e, a distanza, da quella privata (16,5%). 14 Grafico 1 Istituzione di appartenenza delle educatrici e delle insegnanti partecipanti alla ricerca Asilo nido 8% 38% 54% Scuola dell infanzia Altro I BAMBINI STRANIERI NEI SERVIZI EDUCATIVI Presenza e provenienza. Nelle istituzioni educative degli otto comuni in cui la ricerca è stata effettuata, i figli di genitori migranti costituiscono circa il 25% della popolazione complessiva. Un analisi più dettagliata evidenzia che la multiculturalità è una realtà che interessa soprattutto la scuola dell infanzia, nella quale si registrano concentrazioni anche molto elevate: in alcune sezioni è di origine straniera la metà dei bambini. L elevato valore percentuale registrato, se confrontato con il dato rilevato dal Ministero dell Istruzione, dell Università e della Ricerca (MIUR) 15 a livello regionale nelle scuole dell infanzia (la percentuale in Veneto si attesta al 10,6%), dà conto della capacità attrattiva delle realtà territoriali coinvolte. A seguito dei processi di stabilizzazione delle famiglie migranti, i bambini stranieri che frequentano i servizi prescolastici sono in larga maggioranza nati in Italia. Dall ultimo Rapporto del MIUR risulta che in Veneto il 74,6% degli alunni con cittadinanza non italiana 16 frequentanti le scuole dell infanzia è nato in Italia. 17 Con un termine piuttosto diffuso, essi vengono definiti di seconda generazione. Si riconosce così che essi abbiano esigenze e bisogni educativi differenti rispetto a coloro che, nati all estero, hanno vissuto l esperienza della separazione da uno o entrambi i genitori e che, migrando, hanno dovuto adattarsi ad un ambiente del tutto estraneo. In questa ottica si ritiene che i bambini stranieri nati in Italia, se pur connotati da origini etniche o religiose diverse, quando arrivano al nido o alla scuola dell infanzia si trovino virtualmente in condizioni non così impari rispetto ai coetanei di cittadinanza italiana

4 INFORMAZIONI GENERALI SULLE OPERATRICI PARTECIPANTI ALLA RICERCA Grafico 2 Paesi di provenienza dei bambini stranieri Età L insegnante più giovane ha 19 anni, la meno buisce in un arco di tempo che va da un minimo di Altri Paesi 3% giovane 55. Per quanto riguarda l età si rileva alcuni mesi ad un massimo di 39 anni. Considerando Sud America 5% una distribuzione piuttosto omogenea nei decenni che vanno dai 20 ai 29 anni (25,20%), dai risulta che il 33% (la moda) delle partecipanti ha tale periodo suddiviso in intervalli di cinque anni, ne Subcontinente indiano 9% 30 ai 39 anni (26,95%), dai 40 ai 49 anni un anzianità lavorativa che va da zero a cinque anni. Cina 15% (25,22%). Nell ultima fascia d età, il solo quinquennio Si tratta di un periodo particolare nella carrie- Est Europa 31% compreso tra i 50 e i 55 anni registra la ra lavorativa definito di noviziato nel quale si apprendono Africa 37% e si consolidano sul campo le abilità pro- percentuale più elevata (moda) 19, se considerate le età suddivise in quinquenni, raggungendo fessionali complesse, il ruolo, le norme, i valori, le 0% 5% 10% 15% 20% 25% 30% 35% 40% da solo il 19,13%. routine che costituiscono la pratica professionale. Risulta importante in questo periodo il rapporto con Curriculum formativo Il 64% delle partecipanti si è diplomata presso il Liceo Socio-psicopedagogico o Istituto (o Scuola) Magistrale; possiede un diploma di altro liceo il 9%, il 10% ha frequentato Istituti Tecnici, l 8% Istituti Professionali. Il rimanente 9% ha acquisito titoli di studio ancora diversi. le colleghe più anziane che svolgono funzioni tutoriali e con la loro azione testimoniano modelli di pratiche professionali. Questa istantanea sulle partecipanti fotografa un gruppo giovane dal punto di vista lavorativo, perché la metà delle operatrici lavora nei servizi da meno di dieci anni, mentre l altra metà si distribuisce, con percentuali progressivamente Nelle classi (o sezioni) in cui prestano servizio le partecipanti alla ricerca, il dato relativo alle aree geografiche di provenienza dei bambini stranieri 20 documenta una situazione caratterizzata dalla prevalenza dei Paesi africani dal Nord Africa il 25% e dal Centro Africa il 12% per un valore percentuale complessivo pari al 37% e dall Est europeo che si attesta al 31%. Una presenza non poco consistente di bambini stranieri è di origine cinese (15%), mentre da un altra area asiatica, il Subcontinente indiano (Sri Lanka, India, Bangladesh ), proviene il 9% di loro e infine dal Sud America il 5%. Il 20% del campione è in possesso di una laurea, mentre il 12% al momento della rilevazione dichiara di essere iscritto ad un corso di laurea. I corsi di laurea maggiormente rappresentati appartengono all ambito delle Scienze dell educazione e della formazione. Il dato relativo alla formazione universitaria interessa in modo rilevante le educatrici/insegnanti più giovani. Questo dato, infatti, se incrociato con quello relativo all età, evidenzia che la percentuale delle laureate o laureande si riscontra nel 90% dei casi entro i 34 anni (che rappresentano il 41% del campione). Esperienze professionali Per quanto riguarda il dato relativo all anzianità di decrescenti, nei sei quinquenni successivi ai primi due. Anche il dato relativo alla continuità di servizio prestato nella stessa sede è interessante. Oltre il 18% delle partecipanti si trova nella sede lavorativa attuale dall anno scolastico in corso. Sappiamo che il primo è un anno di inserimento-ambientamento non solo per i bambini, ma anche per le insegnanti che devono conoscere il nuovo ambiente, instaurare relazioni con le nuove colleghe, i nuovi bambini, le nuove famiglie. Il 35% delle partecipanti (la moda) lavora nella sede attuale nel periodo compreso da due a cinque anni, il 20% nel periodo successivo da cinque a dieci anni. Il restante 27% ha una continuità di servizio nella stessa sede da undici Che cosa comporta per un educatrice di asilo nido o un insegnante di scuola dell infanzia la presenza di bambini di altre culture nel proprio gruppo? Come vedono le operatrici che hanno partecipato al Progetto la classe/sezione colorata? Che idea hanno dei bambini stranieri? La prima domanda-stimolo proposta nel questionario-intervista ha esplorato il tema in questa direzione. Alla domanda: Sulla base della sua esperienza, che cosa comporta la presenza di bambini di altre culture nel gruppo classe/sezione?, le partecipanti hanno risposto in modo diversificato: alcune molto sinteticamente, altre con argomentazioni, altre ancora organizzando la risposta con elenchi puntati. Non è stata tuttavia difficile l individuazione delle etichette, perché le unità di significato si sono imposte con evidenza. Dalla lettura e rilettura del materiale ciò che appariva evidente era anche l assunzione di un punto di vista chiaramente situato: da quello dell insegnante a quello dei bambini stranieri, da quello del gruppo dei bambini a quello dei genitori, seppure quest ultimo solo in qualche caso. Nella definizione delle categorie si è pertanto ritenuto importante far emergere l angolatura prospettica dalla quale le operatrici avevano risposto alla nostra sollecitazione. Le categorie in questo modo definite sono risultate dodici. Vengono di seguito elencate catalogandole rispetto al punto di vista assunto nelle risposte. servizio nella professione educativa, esso si distri- a trentatré anni. Come si può evincere dalla tabella 2, le categorie che evidenziano l assunzione del punto di vista dell educatore 24 o insegnante sono numericamente prevalenti: cinque su dodici. Tra di esse una si connota positivamente sti- 25

5 Tabella 2 Categorie delle risposte relative alla domanda: Sulla base della sua esperienza, che cosa comporta la presenza di bambini di altre culture nel gruppo classe/sezione? Tabella 3 Valori percentuali delle risposte date alla domanda: Sulla base della sua esperienza, che cosa comporta la presenza di bambini di altre culture nel gruppo classe/sezione? Dal punto di vista 1. Stimolo per l insegnante Denominazione categoria % delle educatrici 2. Difficoltà per l insegnante: maggiore impegno sul piano didattico o delle insegnanti 3. Difficoltà per l insegnante nella comunicazione verbale con i bambini stranieri 4. Difficoltà per l insegnante nella relazione con i genitori stranieri 5. Difficoltà per l insegnante nella relazione con i bambini stranieri 1. Arricchimento reciproco 20,18% 2. Opportunità per i bambini: confronto con la diversità 15,79% 3. Difficoltà per i bambini stranieri 14,04% 4. Difficoltà per l insegnante: maggiore impegno sul piano didattico 10,53% Dal punto di vista 1. Opportunità per i bambini: confronto con la diversità dei bambini 2. Difficoltà per i bambini stranieri 5. A volte ostacolo, a volte arricchimento 10,53% 6. Difficoltà per l insegnante nella comunicazione verbale con i bambini stranieri 9,65% 7. Stimolo per l insegnante 5,25% Dal punto di vista 1. Arricchimento reciproco per le famiglie dei genitori 2. Difficoltà per i genitori 8. Difficoltà per l insegnante nella relazione con i genitori stranieri 4,39% 9. Difficoltà per l insegnante nella relazione con i bambini stranieri 3,51% 10. Nessun problema 3,50% Non specificato 1. Arricchimento reciproco 2. A volte ostacolo, a volte arricchimento 11. Difficoltà per i genitori 1,75% 12. Arricchimento reciproco per le famiglie 0,88% 3. Nessun problema TOTALE 100% molo per l insegnante le altre quattro descrivono gli ambiti nei quali le operatrici dicono di incontrare delle difficoltà. Dall analisi del materiale emerge che la presenza di bambini di altre culture comporta per l insegnante un maggior impegno sul piano didattico, delle difficoltà sul piano della comunicazione linguistica e su quello della relazione, sia Ricadute della presenza nei servizi di bambini di altre culture con loro sia con i loro genitori. Due categorie raggruppano unità di significato che prendono in considerazione il fenomeno vedendolo dal punto di vista dei bambini: in un ottica positiva l una, in una problematica l altra. In modo speculare: le categorie che descrivono l assunzione del punto di vista dei genitori evidenziano una l arricchimento, l altra le difficoltà. Infine, per 10,5% 3,5% 42% Arricchimento le unità di significato rilevate nelle quali la prospettiva da cui si guarda al fenomeno non viene specificata, sono state istruite tre categorie: arricchimento reciproco, a volte ostacolo, a volte arricchimento e nessun proble- Difficoltà ma, che si può ipotizzare tengano insieme il punto di vista dei diversi attori del processo educativo, in primis bambini e insegnanti. Poiché non si è rilevata una differenza significativa tra le prime risposte e le successive, i dati relativi alla prima domanda sono stati trattati come un unico insieme di risposte. All analisi quantitativa delle frequenze, le singole categorie raggiungono singolarmente i valori percentuali indicati nella tabella seguente. 44% A volte ostacolo, a volte arricchimento Nessun problema 26 Le categorie che ottengono i valori percentuali più alti sono nell ordine arricchimento reciproco (20,18%), opportunità per i bambini: confronto con la diversità (15,79%), difficoltà per i bambini stranieri (14,04%). Con Grafico 3 27

6 valori percentuali superiori al 10%, si attesta sia la categoria che definisce le difficoltà per l insegnante nella direzione di un maggior impegno sul piano didattico, sia quella che, rispetto ai bambini stranieri in classe, ritiene compresenti sia aspetti problematici sia favorevoli a volte ostacolo, a volte arricchimento. Sotto il 10%, con percentuali progressivamente decrescenti si trovano sette delle categorie individuate: Difficoltà per l insegnante nella comunicazione verbale con i bambini stranieri e Stimolo per l insegnante ottengono valori superiori al 5%; Difficoltà per l insegnante nella relazione con i genitori stranieri, Difficoltà per l insegnante nella relazione con i bambini stranieri e Nessun problema sono categorie scarsamente rappresentate, ancora meno le ultime due che riguardano le famiglie Difficoltà per i genitori e Arricchimento reciproco. Il materiale può essere a questo punto analizzato attraverso il raggruppamento di più categorie. I dati stessi così catalogati parlano da soli, suggerendo aggregazioni categoriali (macrocategorie). L idea positiva di arricchimento è contenuta in cinque categorie, elencate in tabella ai numeri 1, 2, 7, 12; l idea problematica è presente in altre sei, connotate da elementi di difficoltà (ai numeri 3, 4, 6, 8, 9, 11). Il grafico 3 illustra la distribuzione percentuale dei dati così raggruppati. bambini risorsa Che cosa emerge dall analisi del primo nucleo tematico? Come vedono le educatrici e le insegnanti intervistate le classi/sezioni plurietniche? Come si può evincere dal grafico 3, l analisi quantitativa fa emergere due approcci al fenomeno nettamente prevalenti e bilanciati: le operatrici interpellate sembrano dividersi e prendere posizione in base a chi vede il bicchiere mezzo pieno e a chi lo vede mezzo vuoto. Si possono riscontrare differenze statisticamente significative? È stato verificato l incidenza di più variabili, quella legata alla tipologia del servizio (nido vs scuola dell infanzia), al numero dei bambini stranieri presenti nella classe/sezione, all età delle operatrici. Le educatrici dell asilo nido sono più propense a vedere la presenza di bambini di altre culture come una opportunità per il gruppo, mentre sono le insegnanti della scuola dell infanzia a ritenere tale presenza uno stimolo per l insegnante. Si tratta di differenze che possono trovare una giustificazione da un lato nella diversa composizione numerica dei gruppi classe/sezione (e questo indipendentemente dalla presenza o meno di bambini stranieri) a vantaggio delle educatrici del nido e dall altro in una progettualità educativa molto più definita e articolata come è quella della scuola dell infanzia. Le due macroaree emerse dall analisi delle affermazioni delle educatrici e insegnanti arricchimento e difficoltà sembrano rivelare due diverse rappresentazioni dei bambini figli di genitori provenienti da altri Paesi, rappresentazioni che potremmo sinteticamente definire come: bambini risorsa e bambini problema.attraverso le interviste è stato possibile entrare di più nel merito dell idea dei bambini stranieri come risorsa e come problema e articolare meglio le rappresentazioni delle educatrici e insegnanti. e nello stesso tempo possono venire in contatto con realtà culturali anche molto differenti dalla loro. Il bambino, afferma un educatrice inizia a capire e a rapportarsi con chi ha usi e costumi diversi dal proprio. Crescendo sarà più tollerante verso il diverso perché lo conosce e lo apprezza. In più di una affermazione la diversità appare connessa a paure da superare, sia da parte dei bambini sia dei loro genitori ed è piuttosto forte l idea che acquisire il concetto di diversità a questa età sia un grosso vantaggio per la loro crescita personale. Anche se ad affiorare qua e là sono i concetti di decentramento e di superamento dell egocentrismo infantile, molto connotati cognitivamente, è possibile cogliere dietro le parole di alcune operatrici l importanza che loro assegnano alla dimensione emotiva dell esperienza: l oggetto della diversità possiede caratteristiche del tutto speciali, è un bambino o una bambina in carne e ossa che esercita una forte attrazione in quanto coetaneo, un proprio pari. Ciò che risulta infatti pregna di valore è la convivenza, spontanea e abbastanza facile per i bambini. Nel tempo dell avvento della società multietnica, la presenza di bambini stranieri in sezione rappresenta un valore aggiunto oggi irrinunciabile, una possibilità maggiore di crescere in un clima sociale che condivide e apprezza ogni diversità. Dall analisi circostanziata dell idea di bambino-risorsa sembra emergere, tuttavia, che nel pensiero delle educatrici e delle insegnanti l arricchimento è pensato prevalentemente nella direzione, e quindi a favore, dei bambini italiani. I bambini stranieri come risorsa per tutti i bambini. Dall analisi e interpretazione del materiale relativo a questa macrocategoria è possibile dire perché i bambini stranieri sono una risorsa e soprattutto per chi. Una sezione o una classe che vede al suo interno la presenza di bambini di altre culture rappresenta sicuramente una situazione che arricchisce tutto il gruppo sezione, comprese noi insegnanti, perché i bambini imparano che l altro, diverso da me, non è qualcosa da rifiutare o da temere, bensì un bambino come loro. È attraverso la relazione con l altro, il confronto e i conflitti che possono nascere, che il bambino scopre realtà diverse dalla propria e impara a rispettarle. Quindi una sezione a tante tinte costituisce innanzitutto e soprattutto una ricchezza per i bambini, che hanno l opportunità di rendersi conto che il colore della pelle ci distingue come il colore degli occhi, il nome..., I bambini stranieri come risorsa per educatrici e insegnanti. Vediamo ora il punto di vista di chi ritiene che i bambini stranieri siano una risorsa per l insegnante. Sebbene questa categoria abbia raggiunto nei questionari un valore percentuale davvero esiguo (5%), ci è sembrato opportuno approfondirla nelle interviste, anche perché è l unica tra le cinque categorie che riguardano le educatrici/insegnanti a connotarsi positivamente. La presenza di bambini stranieri sembra diventare una risorsa se stimola nell insegnante la curiosità di conoscere altre 28 29

7 culture, se viene vissuta come opportunità, come spunto per dar vita ad attività interessanti e stimolanti attingendo da molti punti di vista. Vedere la stessa cosa sotto luci e colori diversi per crescere e far crescere. È la diversità che sembra produrre dissonanza cognitiva porta a rompere schemi rigidi consolidati e a cercare nuove strategie e soluzioni e offrire la possibilità di far circolare e mettere in relazione esperienze e saperi diversi. È la condizione più propizia per misurare veramente il passo su bambine e bambini reali nella progettazione delle attività. Infatti, afferma un insegnante di scuola dell infanzia, ogni bambino ha caratteristiche e problematiche diverse, alle quali ogni insegnante dovrebbe porre particolare attenzione. Queste testimonianze mettono in evidenza la consapevolezza che l educazione e la didattica interculturale non sono da intendersi riferite ad appartenenze culturali diverse dalla nostra. Al contrario, i loro obiettivi prioritari sono lo sviluppo delle potenzialità di ogni bambino e bambina nel rispetto delle differenze di tutti e di ciascuno, in un contesto di pari opportunità. I bambini stranieri richiedono una diversa articolazione del proprio fare scuola, disponibilità, attenzione e apertura verso stili educativi altri, capacità di mettersi in gioco, in relazione. Sollecitano una crescita dal punto di vista professionale (e anche personale) attraverso un ripensamento delle pratiche, degli stili relazionali, del proprio modo di porsi di fronte a ciò che è sconosciuto e diverso. Un educatrice del nido rimarca l importanza della relazione con la famiglia: anche in questa direzione i bambini stranieri sollecitano l urgenza di relazioni sostanziali con i genitori. Infine i bambini stranieri sono una risorsa per i genitori italiani, perché l opportunità di conoscere da vicino persone portatrici di culture altre permette che vengano smussati sentimenti di pregiudizio e diffidenza. Un elemento che emerge dall approfondimento di questo aspetto è il fatto che, secondo alcune insegnanti, i bambini stranieri non sono di per se stessi una risorsa: molto dipende dall atteggiamento e dall azione consapevole e intenzionale dell insegnante. È l insegnante che lo fa vivere in questo senso, se mette tutta la classe nelle condizioni di poter vedere, occorre fare uno sforzo mentale per capire [ ] Noi in classe abbiamo una bambina di colore, è molto cambiato da settembre a oggi il modo in cui i bambini la guardano, è molto più bello adesso. Adesso nei loro disegni usano anche il marron, non solo il rosa per colorare i bambini. L apertura, l accoglienza, l accettazione dipendono in gran parte da come l educatrice o l insegnante stessa si rapporta con i bambini stranieri. La consapevolezza del ruolo fondamentale dell adulto nel favorire il processo di integrazione emerge anche in un altra intervista. Dipende dalla relazione che instauri con loro, è importante che tu non faccia sentire ad un bambino la diversità. Il bambini sono tutti uguali per me, questo è il mio punto di vista e il mio modo di relazionarmi, e loro lo sentono. [ ] Le stesse attenzioni, le stesse richieste, le stesse regole, che non ci siano distinzioni nella classe. La diversità la crea sempre l adulto. Si può aggiungere quanto afferma una collega a proposito dell arricchimento reciproco, realizzabile a patto che vengano sottolineate nella giusta misura le differenze, ma anche le somiglianze che esistono nelle varie culture. Come si caratterizza il punto di vista di coloro (il 42% delle partecipanti) che vedono la presenza dei bambini stranieri nel proprio gruppo come una difficoltà? Quali sono i problemi segnalati dalle educatrici e insegnanti? Di chi sono le difficoltà? È possibile, aggregando le sei categorie che identificano le difficoltà, avere il quadro della distribuzione percentuale delle stesse in relazione ai diversi soggetti coinvolti nel processo educativo. Grafico 4 Distribuzione delle difficoltà percepite in relazione ai soggetti 4% 32% 64% Insegnanti Bambini stranieri Genitori Come si può notare, prevalgono le difficoltà delle educatrici e delle insegnanti, che sommate rappresentano il 64% delle difficoltà segnalate. Rispetto a quelle percepite nei bambini hanno un incidenza percentuale esattamente doppia (32%). Al test della significatività il confronto tra il gruppo delle educatrici del nido e quello delle insegnanti di scuola dell infanzia dà esiti negativi, il che significa che si non si riscontrano tra i due gruppi differenze statisticamente significative. Quali sono i problemi o le difficoltà che le operatrici dicono di incontrare? Quella più consistente (10,53%) 21 risulta essere legata alla richiesta di un maggiore carico di lavoro sul piano didattico. La presenza nel gruppo di bambini diversi culturalmente richiede di mettere in atto strategie di lavoro che non utilizzeresti se non ti trovassi in quelle condizioni, le attività devono quindi essere riadattate, la programmazione rielaborata. È proprio la situazione che richiede una revisione del proprio modo di fare scuola a essere percepita da alcune operatrici come un limite, da altre come una risorsa. Impegno, sforzo, maggiore attenzione, maggiore individualizzazione sono i termini ricorrenti. I bambini di cultura diversa hanno abitudini e modi di interagire diversi perciò devono essere aiutati ad affrontare le loro difficoltà espressive e a integrarsi con gli altri. Ma viene sentita anche la difficoltà che si incontra a livelli più profondi, è faticoso gestire culture diverse andando oltre la propria personale visione del mondo, immedesimarsi in situazioni diverse e alternative. Cambiare il proprio punto di vista affrontando il nuovo con un atteggiamento aperto significa allentare le resistenze difensive e saper stare nell incertezza, a volte difficile da tollerare. Ci vuole tempo e pazienza per adattarsi reciprocamente, dice un insegnante. I bambini stranieri come problema. Un insegnante di scuola dell infanzia, nella cui sezione venti bambini su ventisette sono figli di genitori che provengono da altri Paesi, afferma che nel suo caso ricchezza e stimolo non sono sfruttabili a causa dell elevato numero di bambini. Il problema delle scarse risorse è un problema reale e sentito da più di un operatrice, i pochi finanziamenti non ci permettono di poter contare sui mediatori e di disporre per noi di ore aggiuntive. Perché l integrazione dei bambini stranieri sia davvero possibile e abbia esiti e ripercussioni positive per tutti gli attori (bambini, educatrici e insegnanti, famiglie), molto dipende dalle risorse sulle quali i servizi possono contare. Di fronte ad una realtà altamente complessa e di non facile gestione, quale è quella di sezioni in cui l incidenza di bambini stranieri raggiunge percentuali attorno al 50%, non sorprende quindi che sia la visione problematica a imporsi. Un altro elemento di difficoltà appare connesso alla comunicazione verbale (9,65%), al difficile dialogo tra insegnanti e bambini. Quando nel gruppo sezione sono presenti bambini di altre culture e magari con una scarsa se non assente conoscenza della lingua italiana, il problema fondamentale è sicuramente la comunicazione. Molto spesso è difficoltoso coinvolgerli nelle attività e farli partecipare. Si tratta di un problema che caratterizza la fase iniziale della frequenza scolastica e che presenta caratteristiche diverse al nido rispetto alla scuola dell infanzia: se in quest ultima 30 31

8 infatti è sul piano delle attività scolastiche che si presenta, al nido si rivela molto più problematico per le diverse modalità di cura dei bambini nelle altre culture e in particolare al momento dell inserimento, quando inizia la separazione dal genitore e alle educatrici mancano le parole per farsi capire dai bambini. Le difficoltà sul piano della relazione con i genitori (4,39%) che vengono segnalate in questo contesto si riscontrano al nido, dove è di primaria importanza la collaborazione con loro. Per quanto riguarda le difficoltà che le operatrici incontrano nella relazione con i bambini (3,51%), dalle testimonianze emerge che esse sono attribuite al comportamento di questi ultimi. Molto spesso si tratta di bambini, afferma un insegnante riferendosi ai bambini africani e srilankesi del suo gruppo, che hanno modalità diverse di relazionarsi, sono molto vivaci, con problemi di concentrazione e attenzione. Una collega del nido ritiene che il comportamento difficile sia dovuto alla molta tensione che di solito c è in questi bambini perché si trovano disorientati. ponte che permetta un agevole passaggio di braccia. Se molto rimane di implicito anche quando ci sono le parole, molto rimane di opaco quando a incontrarsi sono mondi lontani che non possono dirsi. È stato indagato il rapporto tra famiglie straniere e i servizi dell infanzia attraverso la percezione che le operatrici hanno delle difficoltà che i genitori affrontano quando si rapportano alle strutture educative. Ci è parso interessante esplorare il loro punto di vista per cogliere, non tanto i problemi reali delle famiglie straniere, quanto la soggettività dell interpretazione e i significati attribuiti da educatrici e insegnanti. La domanda nel questionario-intervista approcciava il tema in questo modo: Secondo lei quali sono i problemi o le difficoltà che incontrano i genitori stranieri nel rapporto con il nido/scuola dell infanzia? L analisi del materiale ha portato all identificazione di cinque categorie (tabella 4): 1. problemi di comunicazione linguistica; 2. problemi legati agli usi e costumi diversi; 3. problemi legati ai diversi metodi educativi e modalità di cura; 4. difficoltà a capire il funzionamento del servizio; 5. difficoltà a conformarsi alle nostre regole. Quali sono dunque le difficoltà dei bambini? Dall analisi del materiale emerge che le difficoltà che le operatrici rilevano (14,04%) riguardano i bambini neo-arrivati e la fase iniziale del loro inserimento nei nostri servizi educativi. Essi si ritrovano in un contesto linguistico del tutto estraneo, sembrano spaesati, non potendo comunicare con i compagni e le insegnanti, non riescono a partecipare alle attività, si stancano, si estraniano e finiscono con l isolarsi, vorrebbero andare a giocare o a guardare i libri da soli. A essere problematico, dunque, è il loro inserimento che, rispetto a quello dei compagni italiani, si dimostra più lungo e difficile, in modo particolare per i figli di genitori cinesi o provenienti dai Paesi africani. Superata questa fase iniziale dell ambientamento linguistico, secondo le operatrici intervistate, non ci sono particolari problemi perché poi i bambini stranieri si integrano con facilità, crescono insieme agli altri. È molto diffusa l idea che i processi di socializzazione spontanei tra bambini siano di per sé positivi. Afferma un educatrice: Non c è nessun tipo di discriminazione tra bambini, anzi all inizio magari alcuni hanno qualche difficoltà perché non conoscono la lingua, però molto rapidamente riescono a entrare in contatto con gli altri bambini e con le insegnanti. Le interviste, tuttavia, consentono un approfondimento di questa tematica, lasciando intravedere alcune problematicità, come in questo stralcio di racconto di un insegnante di scuola dell infanzia che, nel riferire un episodio che ha visto protagonista una bambina africana, conclude dicendo: Poi è bella, ha le sue treccine, i bambini l accettano. C è sempre qualcuno che ha difficoltà a prenderla per mano, ma secondo me siamo noi adulti. Se diamo importanza alla diversità la notano anche loro, ma se i bambini noi li consideriamo tutti uguali, non dovrebbero esserci difficoltà per i compagni italiani. Siamo noi che diamo, a volte, le impronte della diversità. L idea dell integrazione facile andrebbe quindi meglio esplorata anche con ricerche osservative volte a dar conto della specificità e complessità di ogni singolare percorso individuale. Tabella 4 I risposta II risposta Comunicazione linguistica 75,73% 16,39% Usi e costumi diversi 12,62% 44,26% Capire il funzionamento del servizio 6,80% 19,67% Metodi educativi e stili di allevamento diversi 0,00% 11,48% Conformarsi alle nostre regole 4,85% 8,20% Risulta evidente che, nella percezione di educatrici e insegnanti, la maggiore difficoltà che i genitori stranieri incontrano nel rapportarsi alle nostre strutture educative è legata alla lingua. Il problema principale è la lingua, viene ribadito dal 75% delle prime unità di significato. Nel pensiero delle operatrici, le problematiche connesse ai fattori legati alle differenze culturali trovano uno spazio secondariamente rilevante, come si può vedere nella seconda colonna del grafico. Il rapportarsi agli usi e costumi italiani appare come l elemento più problematico delle differenze culturali (44,26%) cui fanno seguito la difficoltà nel capire come funzionano i nostri servizi dell infanzia (19,67%), nel confrontarsi con metodi educativi e stili di allevamento diversi (11,48%) e infine la difficoltà nel conformarsi alle nostre regole (8,20%). Del resto c è chi afferma che le difficoltà di comunicazione linguistica implicano di per sé un incomprensione del funzionamento della scuola. In una intervista un insegnante racconta che nella sua scuola negli anni scorsi si sono verificate vere e proprie problematiche relazionali con alcune famiglie provenienti da Paesi africani, ma anche dall Est Europa per la difficoltà di comunicazione [...] proprio per la lingua perché, non capendo l italiano, è difficile passare informazioni, è difficile fare un colloquio. [ ] Quest anno è molto diverso perché le famiglie con cui lavoriamo comprendono benissimo l italiano, sono famiglie molto positive, non ci sono problemi, sta andando proprio bene, siamo fortunate. I GENITORI STRANIERI E LE ISTITUZIONI EDUCATIVE Nei contesti prescolastici, proprio perché il livello di conoscenza della lingua italiana non costituisce ancora un requisito primario per le attività didattiche, l integrazione dei bambini risulta più facile rispetto agli ordini di scuola successivi. Nei servizi dell infanzia è piuttosto il rapporto con i genitori a rivelarsi come il più problematico e questo per la ancora essenziale dipendenza dei bambini nei confronti degli adulti. I rapporti tra adulti genitori da una parte ed educatrici e insegnanti dall altra sono fondamentali e dalla loro qualità dipende in gran parte il benessere del bambino. Non è mai un gesto facile e indolore affidare alle cure di chi ci è in qualche modo estraneo il proprio piccolo, così come non è semplice accoglierlo e averne cura quando mancano le parole per costruire un 32 33

9 C è da rilevare che la maggior parte delle unità di significato relative alle difficoltà linguistiche espresse nei questionari-intervista si concentrano sui limiti di uno degli aspetti della competenza linguistica, quello della comprensione: non capiscono quello che noi diciamo loro, affermano molte operatrici, specialmente se le comunicazioni sono molto distanti da quelle alle quali erano abituati nel loro Paese di origine. A fronte di un insegnante che asserisce di notare nei genitori stranieri un notevole sforzo per superare la difficoltà di comprensione della nostra lingua, altre sottolineano come tale difficoltà possa invece essere utilizzata in modo opportunistico. Spesso si rifiutano di capire le nostre richieste dando colpa alla lingua. Solo in pochissimi casi si fa riferimento alle difficoltà di espressione linguistica, vale a dire alla difficoltà dei genitori di esprimere il loro pensiero e farsi quindi soggetti della comunicazione e non solo destinatari. sì un insegnante di scuola dell infanzia che mette in relazione molte difficoltà di adattamento ai tempi e agli impegni di lavoro spesso precario, frammentato alla mancanza di una rete di aiuto e supporto alle famiglie. Chi riesce a tener conto delle diverse prospettive, la propria e quella dell altro, afferma: noi facciamo più fatica per la lingua, loro per abitudini diverse dalle nostre, anche le più semplici, come quelle di cura del bambino, e diventa quindi comprensibile l impatto che può comportare l incontro con un diverso investimento sull infanzia quale è il nostro, che significa una diversa idea di bambino, diverse modalità relazionali, differenti metodi educativi e gesti di cura. C è anche chi può meglio identificarsi con loro, avendo vissuto in prima persona un esperienza di migrazione: Sono arrivata in Veneto dalla Calabria nel 91, racconta un insegnante, mi sono rimboccata le maniche quando ho cominciato a insegnare, ho dovuto impegnarmi il doppio rispetto alle colleghe di qua per dimostrare quanto valevo. Quindi riesco a percepire come possono sentirsi loro.... L analisi del materiale relativo a questa domanda ha evidenziato che molte risposte avrebbero presupposto la domanda: Quali sono i problemi che lei incontra nel rapporto con i genitori?, posizionata nel nostro questionariointervista al punto successivo. Questo fatto rivelava una diffusa difficoltà da parte delle operatrici a decentrarsi dal proprio ruolo e a mettersi nei panni dell altro. Anche l esame delle altre categorie sembra confermare questa lettura.viene più volte sottolineato come sia difficile farsi capire: il regolamento della scuola, le attività che svolgiamo, le modalità di partecipazione e collaborazione richieste dalla scuola. I nostri servizi dell infanzia del resto, per i molti genitori provenienti da aree geografiche e culturali molto lontane dalla nostra, rappresentano realtà del tutto nuove o molto differenti da quelle conosciute; diventa quindi difficile per loro capire come funzionano le nostre strutture, adeguarsi e condividere le nostre regole scolastiche. Fanno fatica a capire la valenza educativa dell organizzazione della giornata, dicono le operatrici, l importanza di una frequenza costante, dei colloqui individuali. In alcuni casi vengono espressi giudizi piuttosto negativi sui comportamenti dei genitori: generalmente sono scettici e diffidenti, si rifiutano di partecipare attivamente alle proposte della scuola, nonostante si cerchi in molti modi di metterli a loro agio. Le educatrici dell asilo nido, per la tipologia del servizio, hanno con i genitori rapporti più ravvicinati. La fiducia, quando i bambini sono piccolissimi, è una questione nevralgica. Per questo fidarsi dell educatrice è, secondo una di loro, il problema più importante. Talvolta la paura di non essere compresi e di comprendere quanto viene detto loro, che viene segnalata da una collega, può generare incomprensioni o fraintendimenti. In mancanza di un codice linguistico comune, c è il rischio di dare interpretazioni affrettate, semplificare ciò che può risultare poco chiaro, catalogare gesti e messaggi non verbali in maniera fuorviante e lentamente erigere steccati di diffidenza. Gli stranieri sono senza voce, le donne ancora di più e camminare per vie e uffici e spazi che non ascoltano è come non avere un corpo, negarlo allo sguardo degli altri. 24 Un educatrice asserisce in modo deciso che il problema per i genitori stranieri quando entrano nei nostri servizi educativi è quello di sentirsi accolti e accettati per davvero. Ci sono infatti delle situazioni in cui la qualità dell incontro con le famiglie porta all instaurarsi di profondi rapporti di fiducia, di relazioni ricche di umanità. Sono i genitori migranti a esprimere in misura maggiore la gratitudine alle insegnanti per quello che la scuola fa per i loro figli, a confidare le loro paure per il passaggio al grado successivo temono che i loro figli non ce la facciano ad apprendere del tutto la lingua italiana, sono spaventati dal sistema che diventa più complesso. I genitori stranieri che inseriscono i loro bambini nei nostri servizi educativi assistono a modalità, approcci, abitudini, modelli educativi anche molto diversi da quelli del loro Paese d origine, in molti casi del tutto nuovi. Ma le nostre abitudini per loro sono sempre così condivisibili? Come alcune recenti ricerche 22 evidenziano non sono pochi i dubbi, le perplessità delle mamme immigrate nei confronti dei nostri modelli educativi: scarsità di regole, attenzione a tratti eccessiva nei confronti dei bambini, rapporti insegnante-bambino troppo confidenziali. L osservazione di altri approcci all infanzia e alla cura dei piccoli sollecita domande, evoca ricordi e induce la formazione di preoccupazioni per chi, per la prima volta, vive la sfida della migrazione. Cosa pensano i genitori stranieri di tutto questo? Vogliono che i loro bambini crescano con e come i nostri? Cosa vorrebbero, invece, per i loro figli? Diventa interessante dare loro la parola per capire che cosa, nella prospettiva culturale di chi viene da lontano sia desiderabile, giusto, bello per i bambini e per la loro educazione. Tuttavia sorge il dubbio di essere pronti a farlo, di avere le conoscenze e le competenze necessarie per dare loro la parola. 23 Ma siamo in grado di dare loro la parola? Per poterlo fare occorre farsi da parte, mettere in discussione la propria visione culturalmente etnocentrata. Nelle parole delle operatrici che dicono la fatica dei genitori stranieri a capire il nostro mondo, si ritrova la loro stessa fatica a tener conto del punto di vista dell altro. Un educatrice del nido che riesce a immedesimarsi nella situazione di chi è straniero alle nostre consuetudini capisce che può essere difficile riuscire ad abituarsi a ritmi costanti, orari rigidi da rispettare come quelli dell accoglienza e ritiro del bambino ; co- LE EDUCATRICI, LE INSEGNANTI E I GENITORI STRANIERI Si considerino ora, oltre al presupposto problema della lingua, le difficoltà che incontrano le educatrici e le insegnanti nel rapportarsi con i genitori stranieri. Nel questionario-intervista la domanda è stata formulata nel modo seguente: Oltre al problema della lingua, lei incontra altre difficoltà nel rapporto con i genitori stranieri? Se sì, quali? L intento, nella definizione e formulazione delle domande che intendevano esplorare i rapporti educatrici/insegnanti e famiglie straniere, è stato quello di far sì che le operatrici riferissero il loro punto di vista, adottando ora una prospettiva ora un altra. Si è detto, analizzando il materiale relativo al punto di vista dei genitori, della difficoltà che educatrici e insegnanti incontrano nel decentrarsi dalla propria angolatura prospettica. Molti dei problemi, infatti, là segnalati erano loro, piuttosto che dei genitori. Dalle risposte attribuite a questa domanda sono emerse le otto categorie di seguito elencate

10 1. Nessun problema particolare. 2. Difficoltà connesse alle differenze culturali. 3. Scarsa partecipazione alle attività che la scuola organizza per loro. 4. Scarso interesse per quello che i figli fanno a scuola. 5. Atteggiamento non collaborativo. 6. Diffidenza e sfiducia da parte dei genitori. 7. Mancanza di adesione ai nostri metodi educativi, alla nostra idea di bambino. 8. Scarso tempo a disposizione per consolidare rapporti di fiducia reciproca. difficoltà di comprensione reciproca connesse alle differenze culturali; difficoltà dovute alla scarsa partecipazione dei genitori, allo scarso interesse per le attività che i loro figli fanno a scuola, all atteggiamento non collaborativo; difficoltà relative alla diffidenza e sfiducia e alla mancanza di adesione ai nostri metodi educativi; difficoltà oggettive, legate allo scarso tempo a disposizione per consolidare rapporti di fiducia con i genitori. L analisi quantitativa dei dati mostra che il 25% delle partecipanti alla ricerca afferma di non incontrare difficoltà specifiche nel rapportarsi con le famiglie straniere. Più di una tra loro sostiene che le difficoltà sono le stesse che potrebbero esserci con genitori italiani. Una volta scorporato il dato relativo alla risposta negativa, è stato possibile valutare la distribuzione percentuale dei valori raggiunti nelle sette categorie positive. Tabella 6 Macroaree delle difficoltà delle educatrici e insegnanti nel rapporto con genitori stranieri I risposta II risposta Difficoltà di comprensione reciproca 45,90% 0,00% Scarsa partecipazione alle attività scolastiche 26,23% 72,73% Diffidenza e sfiducia 24,59% 18,18% Scarso tempo per consolidare i rapporti di fiducia 3,28% 9,09% Tabella 5 Difficoltà delle educatrici e insegnanti nel rapporto con i genitori stranieri Categorie emerse I risposta II risposta La tabella mostra che la difficoltà maggiormente percepita è la scarsa partecipazione alle attività scolastiche. Esiste una differenza significativa tra le educatrici del nido e le insegnanti della scuola dell infanzia: sono queste ultime, infatti, a segnalare più marcatamente la scarsa partecipazione dei genitori alle attività che la scuola organizza per loro, la mancanza di adesione ai nostri metodi educativi e a rammaricarsi della mancanza di tempo per approfondire i rapporti con le famiglie. Le educatrici del nido, invece, lamentano maggiormente la difficoltà di comprensione reciproca e l atteggiamento non collaborativo. Si tratta di differenze che possono trovare una spiegazione nella diversità dei due servizi: più scolastico la scuola dell infanzia, meno strutturato didatticamente, ma più focalizzato sui gesti di cura, il nido. Meno facile interpretare le differenza relative all età: la difficoltà di comprensione, inoltre, viene denunciata solo dalle operatrici che hanno più di 40 anni, mentre lo scarso tempo a disposizione solo da coloro che hanno dai 30 ai 40 anni. Difficoltà di comprensione reciproca 45,90% 0,00% Scarsa partecipazione alle attività che la scuola organizza per i genitori 21,31% 27,27% Diffidenza e sfiducia da parte dei genitori 18,03% 9,09% Mancanza di adesione ai nostri metodi educativi 6,56% 9,09% Atteggiamento non collaborativo 3,28% 18,18% Scarso tempo a disposizione per consolidare rapporti di fiducia reciproca 3,28% 9,09% Scarso interesse per quello che i figli fanno a scuola 1,64% 27,27% L analisi delle unità di significato date come prima risposta mostrano che, nel rapporto con i genitori stranieri, i problemi che educatrici e insegnanti sentono come più rilevanti sono attribuiti alle difficoltà di comprensione reciproca (46%). Seguono, in ordine di apprezzabilità, le difficoltà dovute alla scarsa partecipazione dei genitori stranieri alle attività che la scuola organizza per loro (21%), quindi quelle legate alla diffidenza e alla sfiducia da parte dei genitori (18%). Raggiungono qui valori minimi le altre categorie, alcune delle quali diventano però rilevanti nelle unità di significato successive alla prima. Nella seconda colonna, Scarso interesse per quello che i figli fanno a scuola e Scarsa partecipazione alle attività che la scuola organizza per i genitori superano entrambe il 28% e l atteggiamento non collaborativo il 18%. Le principali difficoltà connesse alle differenze culturali. Un aspetto difficile da tollerare sembra essere quello legato ai comportamenti di genere nelle culture diverse dalla nostra. La sottomissione delle donne arabe, che non possono uscire di casa!, per esempio, può risultare incomprensibile ad alcune operatrici, così come la forte imposizione del ruolo maschile negli albanesi. Sono atteggiamenti che vengono riscontrati già nei bambini. Dice un insegnante: Sono aggressivi anche i nostri, per carità, però il maschio marocchino è un po più prepotente. Penso che sia la loro cultura. [ ] Nella loro cultura il maschio è quello che prevale, più della femmina, quindi è anche più aggressivo, vorrebbe sempre primeggiare. [ ] Per cui dico al bambino che vuole sempre essere il primo: Aspetta oppure Vai in fila anche tu. Non è colpa del bambino secondo me, è proprio della cultura che hanno. Risulta difficile anche approvare un diverso modo di interpretare i ruoli genitoriali, per esempio la gestione tutta al maschile dei rapporti con le strutture educative. Sono gli uomini di cultura araba ad accompagnare a scuola i bambini e quindi a 36 Si possono aggregare le categorie nelle seguenti macroaree (l ultima delle quali è residuale): 37

11 mantenere i contatti con le educatrici e insegnanti. Non solo la relazione papà bambino [è importante] ma anche con la mamma! esclama un educatrice. Lo scontro tra i differenti modelli familiari ed educativi (normativo vs affettivo) è un altra delle difficoltà segnalate, se un bambino funziona soltanto con le botte, tanto per capirci, solo con le punizioni è ben diverso che coinvolgerlo, motivarlo!. Il facile ricorso alle punizioni fisiche non è accettabile per noi. Il bambino ha anche bisogno di coccole, e questa è una cosa che magari nella loro cultura non c è, non c è il bacio, la coccola, il sorriso al mattino. Loro hanno altre forme espressive di affetto. In merito alla questione delle differenze culturali, occorre anche dire con le parole di un educatrice che c è la cultura del Paese d origine in senso generale e la cultura familiare: non tutte le famiglie che provengono dallo stesso Paese sono così. Il Marocco, il Senegal, l Albania, come l Italia, si differenziano tra nord e sud, tra città e campagna.... Alcune operatrici, tuttavia, lamentano la loro non sufficiente conoscenza delle abitudini alimentari, delle tradizioni religiose, delle concezioni dell infanzia e dei metodi educativi dei genitori stranieri. Tra i bisogni formativi che l indagine intercetta, infatti, c è quello di una maggiore conoscenza delle altre culture. sono nelle loro case, allora lei mi tira fuori dalla borsetta un Corano proprio piccolino, che non avevo mai visto un libro così piccolo. Commenta la sua sorpresa aggiungendo, perché io che sono cristiana non è che porto la Bibbia nella borsa, no? [ ] Fammi vedere ho detto e ho preso a sfogliarlo. Ma lei mi fa: No guarda bisogna sfogliarlo dalla fine e allora mi ha spiegato che loro leggono da destra a sinistra. Quindi ho imparato anch io alcune cose. La diffidenza e la sfiducia dei genitori. Una non irrilevante percentuale di unità di significato riguarda la diffidenza e la sfiducia che educatrici e insegnanti percepiscono nei loro confronti da parte dei genitori stranieri e la mancanza di adesione ai nostri metodi educativi. Scrivono che a volte sono più diffidenti rispetto ai genitori italiani. Gli atteggiamenti difensivi spesso coprono sentimenti di inadeguatezza, di ansietà di fronte ad un servizio che non si conosce bene, ma dal quale si dipende. Nascondono il timore, la paura di essere giudicati, in modo particolare i marocchini credono che gli italiani, come siamo chiamati noi, non accettino il loro stile di vita. Per la maggior parte delle famiglie migranti, infatti, l inserimento del bambino al nido e alla scuola dell infanzia sono dettati non tanto da una scelta quanto dal bisogno. Essere madri in un Paese lontano da quello di origine non è facile, spesso non c è nessuno a cui affidare i bambini, nessuna donna della propria famiglia con cui parlare della crescita dei figli. La necessità è dunque alla base di una richiesta e di un comportamento che presentano caratteristiche di discontinuità rispetto alla storia familiare e costituiscono un evento di rottura nella modalità fino ad ora praticata nella cura dei piccoli. 25 Nei loro Paesi d origine i servizi educativi rivolti alla prima infanzia sono scarsissimi e con ogni probabilità sconosciuti ai genitori emigrati; quelli prescolastici sono molto diversi dai nostri. Occorre dunque tener conto che l atteggiamento con il quale le famiglie migranti approcciano le nostre strutture educative può essere fortemente contrassegnato da ansie, timori, fantasie di perdita del proprio patrimonio culturale che restano per lo più inespressi. Se gli stili di allevamento e cura dei piccoli che loro conoscono vanno nella direzione del bambino figlio della comunità (familiari, parenti, vicini di casa), nel nostro mondo tutto questo per loro risulta impossibile. E non solo per loro. Nel tempo del declino della comunità, sono i servizi educativi a sostituire le reti familiari e di vicinato, strutture formali che tendono non solo a segregare i bambini per classi di età, ma anche a perimetrale in modo netto e non solo in senso fisico con accessi regolamentati il confine tra lo scolastico e il familiare. Molte delle difficoltà lamentate dalle educatrici e dalle insegnanti possono essere ricondotte al disorientamento delle famiglie che arrivano da Paesi in cui non esistono le strutture educative della prima infanzia e le relazioni maestro-allievo sono regolate da codici comportamentali molto diversi dai nostri attuali. Per i genitori migranti il problema è quello di interagire con visioni del mondo e regole diverse, con valori estranei e questo può sollevare dolorosi sentimenti di spaesamento e di inadeguatezza. Allora molte cose devono essere messe da parte per poter stare qui, molte cose non possono essere pensate. Nella rottura con il mondo che si lascia per migrare e nell urto del contatto con il nuovo mondo 26, facilmente si producono ferite, ferite difficili da curare che il silenzio può coprire e renderle in tal modo invisibili anche a se stessi. Chiusura, indifferenza possono quindi diventare strategie per far fronte al dolore e alla sofferenza. La scarsa partecipazione alla vita della scuola. Abbiamo visto che il problema della scarsa partecipazione dei genitori stranieri alla vita della scuola è forse l aspetto più ostico per le operatrici intervistate. Il brano dell intervista che segue mette bene in evidenza il punto di vista dell educatrice e l articolazione del suo pensiero a tale proposito. I genitori stranieri tendono non tanto a essere isolati dagli altri, ma loro stessi a isolarsi, a vivere un po in un loro mondo. Di solito sono loro che partecipano meno alle attività del nido o alle riunioni. Ecco, sono meno presenti nella vita del nido, nella vita del loro bambino [ ] Mi son fatta l idea che dipende anche da un fattore culturale, probabilmente non sono abituati a essere partecipi della vita scolastica del bambino. Perché noi la stessa comunicazione che facciamo agli altri la facciamo anche a loro, le stesse attenzioni che abbiamo per le altre famiglie le abbiamo anche per loro [ ] Io penso che sia il modo di vedere il rapporto tra genitori e figli, che magari è diverso dal nostro, e sicuramente anche il fatto che non sono integrati nel comune dove abitano, non hanno grosse amicizie, non hanno conoscenze con gli altri genitori. Evidentemente la scarsa partecipazione dei genitori può avere più di una spiegazione: il problema del lavoro è la più frequente: hanno poco tempo, sono poco disponibili a partecipare alla vita del nido. La maggior parte dei genitori sono presi dal lavoro, non hanno tempo. È difficile il rispetto degli orari, di certe regole, per esempio della regola che se il bambino sta male si tiene a casa. Il problema delle diversità culturali, tuttavia, riemerge quando si approfondisce la questione del disinteresse nei confronti delle attività che i loro bambini fanno a scuola. Per cui se i genitori non sono coinvolti dal progetto formativo scolastico è perché in alcune culture non viene attribuita importanza ai rapporti con il nido colloqui, incontri e quindi al mondo del bambino. Viene manifestato sconcerto quando l assenza dei genitori riguarda gli incontri individuali, a volte non si presentano, per cui ti trovi magari davanti a un problema e non hai possibilità di contatto. Però, prosegue l educatrice intervistata, questa non è tanto l esperienza della mia sezione, quanto quello che accade a livello della scuola. Perché nella mia sezione tutto sommato la situazione è abbastanza buona. Dalle interviste emergono, infatti, rapporti con le famiglie migranti connotati positivamente. Un insegnante afferma di riscontrare in loro molta disponibilità: ce ne sono che vorrebbero avvicinarsi a noi, alla nostra cultura, ma anche noi alla loro. Anche noi dobbiamo fare un passo in più nei loro confronti. Per avere la loro collaborazione è fondamentale trovare le parole giuste, avvicinarli nel modo giusto con tatto e sensibilità. E racconta di come è riuscita con una mamma marocchina a parlare dei libri che ci LE PRATICHE DIDATTICHE PER L APPRENDIMENTO DELLA LINGUA ITALIANA 38 Una domanda di ricerca ha esplorato l ambito delle pratiche didattiche relative all inserimento linguistico dei bambini. Le educatrici e le insegnanti nei servizi dell infanzia si avvalgono di specifiche strategie per favorire l ap- 39

12 prendimento della lingua italiana nei bambini stranieri? La tabella 7 illustra le pratiche che le operatrici hanno dichiarato nelle risposte dei questionari-intervista. di spiegazione quasi frontale, perché il bambino deve guardarmi bene il labiale, in modo che io riesca a essere più chiara e vado comunque piano con i bambini, posso andare quasi al rallentatore, proprio perché tutti mi seguano e possano capirmi, anche quelli che non sono stranieri e hanno difficoltà. È interessante sottolineare come sia la ripetuta denominazione sia l attenzione agli aspetti paraverbali del linguaggio siano pratiche che non possono essere considerate specifiche per l insegnamento/apprendimento della lingua italiana come seconda lingua. Alcune educatrici, infatti, lo esplicitano, affermando che la consuetudine di ripetere più volte e lentamente le parole non è un accorgimento riservato solo ai bambini stranieri, ma anche a quelli italiani. Non viene invece esplicitato il riferimento al ruolo decisivo che svolgono le relazioni tra pari nell acquisizione e nello sviluppo della competenza linguistica (sia L1 sia L2), soprattutto nell età della scuola dell infanzia. Il naturale desiderio di comunicare tra bambini, le esperienze di gioco rappresentano una spinta motivazionale importante e un contesto sociale decisivo per lo sviluppo di quella che viene definita la competenza pragmatica del linguaggio. La competenza pragmatica, che è parte della più ampia competenza comunicativa, include principalmente due aspetti: lo sviluppo della capacità di conversare e lo sviluppo della capacità di tener conto del punto di vista dell ascoltatore e dei suoi bisogni comunicativi. 27 Favorire l interazione tra pari in modo pensato e con la consapevolezza dell importanza del curricolo sociale potrebbe essere un ottima strategia per l integrazione non solo linguistica dei bambini stranieri. Ovviamente, per lo sviluppo linguistico, quando i bambini italiani presenti nel gruppo sono una minoranza viene a mancare una risorsa importante, questa volta a svantaggio dei bambini stranieri. Al controllo della significatività, più variabili danno esiti positivi. La denominazione è una pratica prevalentemente usata al nido e dalle operatrici più giovani (età inferiore a 40 anni). Sono ancora le operatrici più giovani a porre un attenzione più rilevante agli aspetti paraverbali e questo avviene in misura maggiore nelle sezioni in cui la presenza di bambini stranieri è inferiore al 20% del totale. La lettura di libri, invece, si riscontra soprattutto nelle situazioni in cui tale percentuale supera il 40%. Sono le insegnanti della scuola dell infanzia con più di 40 anni di età che ricorrono a giochi strutturati ed è solo in questa struttura che si attivano laboratori linguistici. Un fattore che sicuramente può incidere sull apprendimento della lingua italiana è quello della discontinuità nella frequenza scolastica. Il ritorno, a volte per periodi anche lunghi, nel Paese d origine dei genitori rappresenta un ostacolo all apprendimento della nostra lingua. Vi accenna un insegnante intervistata, sottolineando positivamente la capacità dei bambini stranieri di far fronte ai continui cambiamenti. Sono bravi, sono più elastici di noi. A volte vanno giù in Marocco nel periodo di Natale e stanno via anche uno o due mesi, poi ritornano, quindi [devono] ambientarsi di nuovo, anche per quanto riguarda la lingua, quello che hanno imparato rischiano di perderlo. Tabella 7 Pratiche didattiche per favorire l apprendimento della lingua italiana Categorie emerse % Denominare oggetti, immagini, azioni 42% Riservare particolare cura agli aspetti para-verbali del linguaggio 22% Lettura di libri 20% Attività di laboratorio linguistico organizzate a livello di Piano dell Offerta Formativa (POF) 8% Giochi strutturati 4% Tutoring: mediazione di altri bambini 3% Osservazione 1% TOTALE 100% La denominazione di cose e azioni. La pratica che risulta maggiormente indicata (42% dei casi) riguarda la denominazione ripetuta da parte dell educatrice e insegnante degli oggetti, delle immagini, delle azioni concrete in modo che i bambini possano imparare l associazione suono-significato. Le canzoni, i canti mimati e le filastrocche rappresentano pratiche molto diffuse nei contesti prescolastici attraverso le quali, in forma ludica e motoria, vengono consolidati gli apprendimenti linguistici. È evidente come l attenzione sia centrata sugli aspetti della comprensione della lingua, comprensione che sappiamo precedere e influenzare la produzione linguistica successiva. Un po sorprende che a questo secondo aspetto, quello conversazionale, non venga fatto alcun riferimento. Solo un insegnante scrive parlando al plurale e quindi riferendo una pratica pensata e condivisa dalle colleghe che ai bambini stranieri viene riservata un attenzione speciale: [li] ascoltiamo molto, e li stimoliamo a esprimersi con noi e con i compagni. Molto interessanti le osservazioni di un insegnante che ha una lunga esperienza di educazione interculturale. Nel momento in cui in classe c è un bambino straniero metti in atto delle strategie di lavoro che non utilizzeresti se non ti trovassi in quelle condizioni. Usi i giochi in una certa maniera, scegli storie che siano semplici e con immagini accattivanti, tutto cambia: come fai il calendario, l appello, la conta, come batti le mani con cucchiai, maracas [ ] anche per i bambini italiani questo è molto positivo perché si pone molta più attenzione alle strategie di apprendimento e di gioco. Fa sicuramente molto bene anche a loro. Anche dal punto di vista delle pratiche didattiche attivate, quindi, la presenza dei bambini stranieri può rivelarsi un opportunità per i bambini italiani. Le mediazioni possibili. Le interviste hanno offerto un approfondimento interessante della categoria mediazione di altri bambini (circa 9% delle risposte successive alla prima). Un insegnante riferisce di come sia difficile il primo approccio con i bambini cinesi. Allora se c è un bambino cinese che ha una buona padronanza della lingua italiana, possiamo avvalerci di lui o di lei come mediatore linguistico. Si creano delle situazioni che fanno ridere, perché magari noi diciamo una parola e questo per tradurla ne dice cinquanta, oppure noi facciamo un discorso un po complicato, un po complesso e lui in una parola liquida tutto. Non abbiamo un riscontro se il messaggio è arrivato giusto. Non si capisce bene come funzioni, però a volte funziona ed è anche questa una mediazione. Dalle interviste emergono attenzioni più specifiche che, tenendo maggiormente conto degli aspetti affettivi, sono volte a creare dei ponti tra il mondo scolastico e quello familiare: la mediazione della lingua straniera nota ai bambini (se conosciuta dalle operatrici), l uso di semplici frasi o parole nella loro lingua madre. Se parlano anche una L attenzione agli aspetti paraverbali del linguaggio. Il 22% delle risposte mette l accento sull importanza che svolgono gli aspetti paraverbali nella comprensione della lingua e indica gli accorgimenti particolari che le operatrici riservano a tali aspetti: parlare con calma, scandire bene le parole, fare attenzione al tono della voce, accompagnare le parole con i gesti. Con i bambini stranieri, dice un insegnante: Devo mettermi in una relazione 40 41

13 lingua straniera che conosco dice un insegnante, cerco di ripetere la parola, prima in questa lingua e poi in italiano. Un educatrice del nido è solita chiedere ai genitori qualche parola che inizialmente la aiuti ad entrare in contatto col bambino, soprattutto parole che loro usano in famiglia e relative ai bisogni primari. Consigli ai genitori riguardo all uso della lingua in famiglia Il bambino parla con i genitori nella lingua materna? SÌ 42 Il supporto dei libri. Anche i libri possono favorire l apprendimento linguistico (20%). Ciò che viene evidenziato in questo contesto è l importante supporto che essi forniscono attraverso le immagini. La possibilità di denominare oggetti, azioni, contesti, situazioni viene enormemente ampliata dai libri, che riproducono in modo iconico realtà altrimenti non disponibili. Un insegnante di scuola dell infanzia intervistata segnala la difficoltà data dalla carenza di fondi per l acquisto di libri. Le storie e le fiabe di culture diverse le scarichiamo da internet, però non sono supportate da immagini. Per noi questo è un grosso problema perché è indispensabile ricorrere alle immagini per leggere storie, per parlare, per costruire frasi e questo vale sia per i bambini stranieri che per quelli italiani, ne abbiamo molti con difficoltà di linguaggio. [ ] Se non ci sono immagini e le storie sono troppo lunghe, i bambini fanno molta fatica a comprendere. Con le immagini si arriva a loro nella maniera più immediata e poi dall immagine alla drammatizzazione il passo è più semplice. La prima volta il bambino straniero può non accettare di assumere un ruolo, perché non si sente pronto oppure non vive la cosa così serenamente, ma se non è la volta successiva, sarà la terza volta, comunque vedo che tutti i bambini di qualsiasi etnia, cinesi, macedoni e senegalesi, tutti ci vengono dietro. L ATTEGGIAMENTO NEI CONFRONTI DELLA LINGUA MATERNA Per i bambini stranieri la costruzione della propria identità personale è un percorso complesso. Essi si trovano a dover tenere dentro di sé due mondi talvolta anche molto differenti; quello familiare, le cui profonde radici e ramificazioni sono altrove, e quello scolastico nel quale pure essi intrecciano legami e relazioni significative. Il conflitto identitario, che queste generazioni devono affrontare, nasce proprio dalla doppia appartenenza: da un lato alla famiglia che tende a conservare la propria cultura, le proprie usanze e tradizioni religiose, dall altro il nuovo contesto scolastico che richiede di adattarsi, socializzare e apprendere aderendo ai valori del Paese ospitante. Non è facile conciliare messaggi e richieste differenti, a volte contraddittori: il rischio è quello di non sapere bene a chi e a che cosa si appartiene. Perché il bambino possa armonizzare dentro di sé in modo originale i diversi riferimenti culturali è necessaria una doppia autorizzazione 28 da parte della famiglia, che accetta cambiamenti e trasformazioni e da parte della scuola che riconosce, legittima e valorizza i differenti riferimenti culturali. È la legge italiana che disciplina l immigrazione (Legge n. 40 del 1998) a stabilire questo. Recita infatti l articolo 36: La comunità scolastica accoglie le differenze linguistiche e culturali come valore, promuove e favorisce iniziative volte all accoglienza, alla tutela della cultura e della lingua d origine. La lingua è un sistema che dà forma al mondo, un veicolo di interiorizzazione e di espressione di valori e codici culturali; la lingua è simile a un prisma attraverso il quale si vede il mondo, con essa ci si muove nel mondo, comportandosi in un modo o in un altro. 29 Poiché la lingua è un veicolo fondamentale della cultura, abbiamo esplorato le opinioni e le pratiche delle operatrici in merito al riconoscimento e alla valorizzazione del patrimonio linguistico del bambino. Sono solite le educatrici e insegnanti parlare della lingua materna con i genitori? Dare consigli circa il suo uso in famiglia? NO Grafico 5 65% 35% 45% 40% 30% 35% 25% 20% 15% 10% 05% 00% La lingua materna La lingua materna e l italiano L italiano La grande maggioranza delle educatrici e delle insegnanti (65%) che hanno risposto al questionario-intervista risponde negativamente a questa domanda, o perlomeno afferma di entrare nel merito di questo argomento solo raramente. Dagli enunciati che accompagnano le risposte negative, si evince talora una sorta di pudore a entrare nel mondo familiare, come bene illustrano le affermazioni che seguono. Dice un insegnante di scuola dell infanzia: Di solito non do consigli su come i genitori devono comportarsi con i loro figli. Sono comunque del parere che è un bene che i bambini mantengano in casa l uso della loro lingua materna ed un educatrice di nido: Non do consigli, credo sia una cosa troppo intima che non richiede invadenze.alcune affermazioni attestano come il problema della lingua materna non sia ritenuto così importante da parte delle operatrici e al contempo mostrano un implicita svalorizzazione: nelle assemblee, se capita, viene detto di usare la lingua madre senza sentirsi in colpa. D altro canto, se entriamo nel merito delle risposte positive (vedi parte azzurra del grafico 5), scopriamo che i consigli che vengono dati sull uso della lingua nel contesto familiare si ripartiscono in questo modo: per il 45% delle operatrici a favore di entrambe le lingue, il 41% a favore della lingua materna e il 14% a favore dell italiano. Questo dato evidenzia che solo il 15% delle educatrici e insegnanti intervistate manifesta un atteggiamento chiaramente positivo nei confronti della lingua d'origine. Riportiamo alcune affermazioni per esemplificare le diverse posizioni. Scrive un educatrice che cerca di far capire ai genitori che è utile che a casa parlino in italiano con il bambino. È evidente, infatti, la preoccupazione per un adeguato apprendimento della lingua italiana, ai fini dell integrazione a scuola. Magari incoraggio a parlare di più la nostra lingua perché aiuta il bambino a inserirsi nel gruppo. In altri casi emerge l idea che sia opportuno mantenere una separazione tra il mondo scolastico e quello familiare, per cui si consiglia di usare le due lingue a seconda dei due diversi ambiti, rafforzando il bilinguismo. Riteniamo che la possibilità per i genitori migranti di sentire riconosciuta e valorizzata la propria lingua dipenda 43

14 44 molto dagli atteggiamenti e dalle prese di posizione delle educatrici e delle insegnanti. l bambini stranieri nel nostro Paese rischiano di sviluppare quello che viene definito semilinguismo: essi apprendono a scuola la lingua del Paese in cui vivono, lingua socialmente valorizzata, e continuano a parlare in famiglia la loro prima lingua, alla quale la società non attribuisce nessun valore. L apprendimento della seconda lingua avviene così a scapito della prima e in nessuna delle due lingue vengono raggiunte competenze linguistiche complete. 30 Mantenere la lingua materna all interno della propria casa è molto importante anche perché risulta fondamentale per l apprendimento di una seconda lingua. Le interviste evidenziano un diffuso riconoscimento da parte delle operatrici dell importanza per il bambino di conoscere e conservare la lingua materna. C è consapevolezza del fatto che, anche per i genitori, perdere la propria lingua significa perdere la propria origine, la propria identità. La lingua rappresenta la continuità con la propria cultura, con le proprie radici: è un bagaglio importantissimo della loro identità personale e poi comunque a loro serve nei momenti in cui ritornano nel loro Paese. Per di più la lingua madre rappresenta la lingua degli affetti, io dico sempre ai genitori che a casa devono parlare la loro lingua perché non si può dire in italiano ti voglio bene a un bambino, con lo stesso tono che avrebbe nella sua prima lingua. Io lo dico in dialetto te voio ben perché è così che lo sento dentro [ ]. Emerge anche la preoccupazione nei confronti della scelta da parte di alcuni genitori di italianizzare il nome del proprio figlio. Un altra cosa che diciamo ai genitori è che per noi è fondamentale che chiamino i loro figli con i nomi che hanno dato loro nella lingua d origine. I cinesi soprattutto, ma anche gli africani danno ai bambini un nome italiano, per facilitarci. Invece noi ci teniamo che sia riconosciuto il loro nome, nella loro lingua. Un insegnante racconta di come i bambini a scuola siano molto riluttanti a parlare nella loro lingua. Capita qualche volta sentirli parlare tra di loro nel gioco, un gruppetto di tre o quattro provenienti dallo stesso Paese magari dopo che hanno trascorso insieme l ora di attività alternativa (alla religione cattolica). È bello sentirli. A volte intervengo e dico: Ma guarda che siamo in Italia, dobbiamo parlare in italiano. Oppure dico: Fammi imparare qualche parolina [ ] Chiedo non so, come si dice palla. E loro stanno zitti, non dicono niente. Come se la lingua non la sapessero, come se fosse una cosa che non devono fare. E son bambini piccoli [ ]. Davvero in tanti anni non sono mai riuscita a tirar fuori una parola, mai. A me piacerebbe imparare qualche parola per metterli anche a loro agio. [ ] Ho avuto i colloqui individuali poco tempo fa e ho chiesto a una di queste mamme: Ma perché sua figlia non mi insegna? Glielo dica che voglio imparare la vostra lingua. Perché è bello loro sanno l italiano, vorrei sapere anch io qualche parola marocchina. Allora lei mi ha risposto: Glielo dirò. Adesso vediamo perché ho appena parlato di questa cosa. Questa intervista testimonia un atteggiamento molto frequente nei bambini stranieri che, per essere accolti nel nuovo ambiente, si fanno muti nella loro lingua madre con il rischio di perderla definitivamente. LA VALORIZZAZIONE DELLA CULTURA E DELLA LINGUA D ORIGINE NEI SERVIZI DELL INFANZIA L ultima domanda del questionario-intervista era posta per conoscere se e quali iniziative venissero promosse nel nido e nella scuola dell infanzia in favore della cultura e della lingua delle famiglie provenienti da altri Paesi. È sembrato interessante rilevare la dimensione di attenzione alle culture altre in realtà territoriali caratterizzate da una forte presenza di bambini stranieri. La tabella mostra le categorie individuate per l analisi delle risposte e il relativo valore percentuale raggiunto. Tabella 8 Iniziative in atto negli asili nido e nelle scuole dell infanzia per la valorizzazione della cultura e della lingua d origine TIPOLOGIA % Nessuna 66,23% Progetti per conoscere tradizioni, usi e costumi 12,99% Interventi occasionali di mediatori culturali 9,09% Laboratori interculturali di lettura 3,90% Laboratori linguistici 3,90% Scaffali interculturali 2,60% Modulistica in lingue diverse 1,30% Prevale l assenza di iniziative, dichiarata nel 66% dei casi. Laddove sono in atto attività finalizzate alla valorizzazione delle differenze culturali, riguardano progetti volti ad approfondire la conoscenza di aspetti culturali legati alla cucina, agli usi e alle tradizioni di altri Paesi. In alcune realtà scolastiche è una pratica consolidata il coinvolgimento delle famiglie dei bambini, non solo stranieri, per il recupero di storie (anche in dialetto veneto dai nonni), canti, giochi, cibi tradizionali. Un insegnante esprime la sua opinione in merito all iniziativa: il fatto che alcune mamme siano venute nella scuola, ha forse rinforzato anche l autostima dei loro figli, perché ha valorizzato un loro modo di essere, la loro diversità, così come quando noi andiamo a riconoscere che ci sono modi diversi di scrivere, religioni anche differenti e tutte comunque accettabili. [ ] E il fatto che noi ci mettiamo a parlare e che tutti possono parlare di che cosa pensano loro, anche a proposito di Dio come lo chiamano loro, cosa ne pensano e via di seguito anche questo crea una relazione tra di loro e consente anche opinioni diverse, il fatto che il bambino si senta anche sereno nel parlarne, [ ] questo è senz altro positivo. Gli interventi dei mediatori linguistici e culturali appaiono in misura assai ridotta e dalle interviste emerge che la loro presenza è non solo occasionale, ma spesso intempestiva. I laboratori che sono stati attivati in alcune realtà riguardano percorsi linguistici rivolti ai bambini oppure percorsi di lettura a carattere interculturale rivolti ai genitori. Dalle interviste emerge chiaramente che, per attivare e sostenere nel tempo questo genere di iniziative, è fondamentale una progettualità di rete che coinvolga oltre alle istituzioni educative i diversi attori sociali presenti sul territorio. Dalle risposte, oltre che dalle interviste, si evince che le educatrici e le insegnanti dispongono davvero di scarse risorse. Oltre a una richiesta implicita di sostegno nel complesso lavoro di tessitura dei rapporti con le famiglie migranti, il cui presupposto fondamentale è una comunicazione chiara e culturalmente appropriata, si intercetta un bisogno diffuso di formazione, che in più di un caso si fa esplicita domanda. LE QUESTIONI APERTE E LE NUOVE DOMANDE DI RICERCA Queste considerazioni conclusive hanno lo scopo di richiamare solo alcuni dei problemi toccati dalla ricerca che si mostrano fecondi di ulteriori approfondimenti. 45

15 La presenza dei bambini stranieri nei servizi dell infanzia. Le classi/sezioni in cui operano le partecipanti alla ricerca presentano, per quanto riguarda l incidenza di alunni stranieri, concentrazioni disomogenee: complessivamente la percentuale media si attesta su un valore molto alto, attorno al 25%. Per la scuola dell infanzia, nella quale si registrano le percentuali più elevate, si tratta di difficili condizioni di esercizio in alcune realtà rese ancor più problematiche a causa delle scarse risorse disponibili (materiali, umane e professionali). I risultati dell indagine vanno quindi considerati in relazione al particolare contesto di riferimento. fanzia abbiamo a che fare con un età che è assolutamente decisiva per la crescita dei bambini; i processi educativi e di integrazione andrebbero quindi meglio esplorati anche con osservazioni mirate. Sono interessanti le considerazioni delle operatrici che ritengono la presenza dei bambini stranieri una risorsa per l insegnante perché mettono in evidenza come la valorizzazione delle differenze sia in realtà una pratica trasversale che va a vantaggio di tutti i bambini. Tutto cambia in classe quando c è un bambino straniero ; i bambini stranieri possono prepotentemente porre il problema dei limiti di una scuola che fa della parola il perno attorno al quale girano tutte le attività. Ma il codice linguistico non è che uno dei cento linguaggi dei bambini, per cui l ampliamento degli orizzonti didattici e delle nuove opportunità comunicative non può che risultare positivo per tutti i bambini. Rispetto alle rappresentazioni e ai giudizi che educatrici e insegnanti hanno manifestato in merito alla presenza di bambini di altre culture nel proprio gruppo classe/sezione, emerge una visione dicotomica: problematica per circa la metà delle operatrici intervistate (44%), positiva per l altra (quasi) metà (42%). Le maggiori difficoltà rilevate sono a carico delle operatrici che segnalano un maggiore impegno sul piano didattico e ostacoli a livello di comunicazione linguistica con i bambini. Il problema della lingua è del resto la più importante difficoltà che esse percepiscono nei bambini (in modo particolare con i bambini cinesi), connessa alla fase iniziale del loro inserimento. Gli aspetti positivi maggiormente messi in luce sono l arricchimento reciproco derivante dall incontro di culture ed etnie diverse, e in particolare l opportunità per i bambini di crescere confrontandosi fin da piccoli con la diversità. Il rapporto con le famiglie. Abbiamo detto quanto non sia possibile nell infanzia tenere separato il bambino dall adulto. Il rapporto tra gli adulti è pertanto fondamentale nei servizi educativi. Il problema reale e più avvertito dalle operatrici, quello delle difficoltà di comunicazione linguistica, sembra modularsi secondo la prospettiva di un istituzione autocentrata che tende prevalentemente a dire piuttosto che ascoltare. Sono interessanti gli spunti che emergono a proposito delle difficoltà connesse alle diversità culturali. La nostra visione occidentale del mondo, antica e forte di tradizioni, spesso ci impedisce di cogliere i valori profondi insiti nelle altre culture, con il rischio di non vedere quanto silenziosamente hanno da darci. Per cui, per definire nel più ampio contesto la tendenza dei processi di acculturazione in atto, sembra più adeguato il termine assimilazione piuttosto che integrazione culturale. Andrebbe approfondito il problema diffusamente lamentato della scarsa partecipazione alla vita della scuola, attraverso l esplorazione delle diverse concezioni dell infanzia, della scuola e dei metodi educativi. In molte culture extraeuropee, l autorità dell insegnante sull educazione dei figli è indiscussa, pertanto i colloqui con le famiglie e le richieste di partecipazione possono non essere comprese. Per coinvolgere i genitori stranieri sono richieste altre modalità, è necessario che vengano creati contesti meno formali di incontro, occasioni di reciproca comprensione, anche indipendentemente da ciò che i figli fanno a scuola. Emerge da qualche testimonianza che la presenza delle famiglie migranti può dare alle operatrici l opportunità di rivedere anche i rapporti con i genitori italiani, impostandoli su registri nei quali a incontrarsi non sono tanto i ruoli, quanto le persone. È interessante tuttavia segnalare come i problemi dell integrazione dei genitori stranieri offrano lo stimolo per ripensare più in generale ai rapporti tra scuola e famiglia. La grande crisi educativa che attraversa il nostro tempo impegna tutte le istituzioni (di ogni ordine e grado) alla ricerca di nuove e non formali alleanze con le famiglie, oggi indispensabili se si ha a cuore la crescita delle nuove generazioni. Un prerequisito essenziale per risolvere i problemi di comunicazione e comprensione è la presenza nei servizi dei mediatori linguistico-culturali. L indagine registra che anche in questa direzione le risorse sono minime, inadeguate rispetto alla realtà dei contesti in cui le educatrici e le insegnanti si trovano a operare. Potrebbe quindi suonare come utopistica l idea, scaturita dalle riflessioni sugli esiti della ricerca, che la mediazione potesse essere svolta da maestre provenienti da altri contesti culturali, maestre viaggianti da un plesso all altro, da un servizio all altro. Sarebbe un interessante confronto sulle differenze culturali a livello di educatori adulti. Come sono dunque percepiti nei servizi dell infanzia i bambini di altre culture? Potremmo dire come bambini-risorsa o come bambini-problema. Si tratta di una rappresentazione che non si discosta molto da quella rilevata nei contesti della scuola primaria e secondaria, 31 di cui hanno dato conto alcune ricerche condotte negli scorsi anni. Da queste emerge infatti che l alunno straniero soprattutto se di recente immigrazione può essere considerato problematico e suscitatore di ulteriori problemi sia per l insegnante, che si sente chiamato ad un ulteriore sforzo e impegno senza magari avere la preparazione necessaria, sia per la classe nel suo complesso, nel senso che può far perdere tempo e rallentare il programma. Di segno opposto la rappresentazione dei bambini stranieri come ambasciatori di culture altre, testimoni viventi di altri mondi, usi, costumi e tradizioni. Ci siamo chiesti, nell approfondire l analisi della rappresentazione del bambino-risorsa, a vantaggio di chi andasse l arricchimento portato dalla differenza e ci è sembrato di poter rilevare una latente propensione a vedere le cose da un determinato punto di vista. I bambini stranieri sono una risorsa per la classe e gli altri compagni che entrerebbero così in contatto dal vivo con differenti identità culturali. L indagine ha consentito la focalizzazione di ulteriori questioni a proposito dell integrazione dei bambini stranieri. Una riguarda l idea piuttosto diffusa che la loro integrazione avvenga con facilità. È molto vero che i bambini sono naturalmente predisposti ad allacciare relazioni con altri bambini, sono attratti dai loro pari fin da piccolissimi, ma sappiamo bene che questa spinta naturale e spontanea subisce ben presto i condizionamenti degli adulti. Non si può dimenticare che il bambino dipende profondamente dall adulto, dai propri genitori innanzitutto. La dipendenza dalle insegnanti viene sottolineata in più di una intervista: i bambini non sono di per se stessi una risorsa. La possibilità di arricchimento dipende dall azione consapevole e intenzionale dell insegnante. La connotazione positiva o negativa della diversità dipende sempre dall adulto che gestisce il gruppo, dal modo in cui egli sente e vive il rapporto certamente non facile con il diverso, soprattutto quando il diverso è molto diverso. Vigilare su questi aspetti attraverso la consapevolezza di sé e delle proprie precomprensioni è conditio sine qua non perché la scuola diventi davvero un laboratorio privilegiato dell integrazione, altrimenti essa non farà che riprodurre gli stereotipi culturali esistenti che incasellano l altro in una semplificata e anonima diversità. Nei servizi dell in- 46 I bisogni formativi. La ricerca, nel cogliere le difficoltà delle operatrici, intercetta un diffuso bisogno di formazione. Quale formazione? La domanda esplicita va nella direzione di una richiesta di un maggiore approfondimento 47

16 della conoscenza delle altre culture; alcune operatrici mostrano un autentico interesse e curiosità nei confronti di ciò che è lontano da noi. Si tratta di una giusta esigenza che non deve far dimenticare che a essere cruciale è la realtà dell incontro con l altro-diverso nella sua dimensione relazionale. Come lasciamo interrogare i confini delle nostre pratiche di operatrici e operatori quando esse si incontrano con sconosciute concezioni di identità, di relazione, di apprendimento, e più radicalmente di senso dell esistenza? 32 La diversità può rappresentare un problema da evitare piuttosto che una ricchezza. Affinché lo possa diventare, occorre mantenersi aperti a vedere e ascoltare quello che non sappiamo ancora, lasciare che l altro esista nella sua irriducibile alterità: solo da un siffatto confronto la diversità può trasformarsi in differenza. Per poter fare spazio all altro occorre fare un passo indietro, prendere consapevolezza delle nostre griglie mentali, della nostra arroganza e della difficoltà tutta umana di affrontare ciò che ci è estraneo. Riflettere sulle rappresentazioni, sulle precomprensioni diventa quindi un momento irrinunciabile al quale ancorare percorsi di crescita professionale, in modo particolare quando essi si muovono nella direzione dell interculturalità perché si tratta in fondo di trovare uno sguardo diverso non solo sull altro, ma con l altro

17 NOTE 1 Osservatorio Regionale sull Immigrazione, Immigrazione straniera in Veneto: rapporto 2009, Franco Angeli, Milano, Ibidem. 3 L età media è pari a 29 anni, contro i 43/44 della popolazione totale. 4 Ultime previsioni demografiche sul futuro della popolazione. 5 Contrariamente a quanto avvenuto in altri Paesi europei, i processi migratori verso l Italia hanno una storia relativamente recente. 6 Uno dei quattro obiettivi fondamentali dell educazione, secondo il Rapporto all UNESCO della Commissione internazionale sull Educazione per il XXI secolo (Delors J., Nell educazione un tesoro, Armando, Roma, 1997). 7 Bove C., Mantovani S., Alle soglie della consapevolezza, in Favaro G., Mantovani S., Musatti T. (a cura di), Nello stesso Nido. Famiglie e bambini stranieri nei servizi educativi, Franco Angeli, Milano, Kanizsa S., Il lavoro educativo. L importanza della relazione nel processo di insegnamento e apprendimento, Bruno Mondadori, Milano, Bourhis R.Y., Il modello di acculturazione interattiva e gli orientamenti della comunità ospitante nei confronti degli immigrati: una rassegna di studi empirici tr. it. in Brown R., Capozza D., Licciardello O. (a cura di), Immigrazione, acculturazione, modalità di contatto, Franco Angeli, Milano, Mortari L., Ricercare e riflettere. La formazione del docente professionista, Roma, Carocci, Bove C., Mantovani S., Op. cit., Cooper J. E. (2007), Strengthening the Case for Community-Based Learning in Teacher Education, Journal of Teacher Education, 58, 3, pp Il dato si riferisce alle persone previste e non a quelle alle quali è stato consegnato il questionario. 14 Il dato non è stato precisato nell 11,5% dei casi, l 8% dei quali si tratta servizi extrascolastici sul territorio. 15 MIUR, Alunni con cittadinanza non italiana Scuole statali e non statali. Anno scolastico 2007/08, Roma, Sono considerati alunni con cittadinanza non italiana gli studenti, anche se nati in Italia, con entrambi i genitori non italiani. 17 Il dato è pressoché uniforme (dal 71,2 al 75,4%) nel Nord-Est, Nord-Ovest e nel Centro Italia. 18 MIUR, Op. cit., In statistica descrittiva per moda si intende la frequenza assoluta più elevata tra quelle osservate in una determinata distribuzione di frequenze. 20 Il dato non è stato rilevato nel 100% dei casi, ma si ritiene tuttavia indicativo di una tendenza. 21 I dati percentuali riportati qui di seguito si riferiscono all incidenza valoriale raggiunta dalle singole categorie difficoltà sul totale delle categorie individuate. 22 Musatti T., Mayer S., Crescere i figli altrove: l esperienza delle madri immigrate a Roma in Favaro G., Mantovani S., Musatti T. (a cura di), Op. cit., Bove C., Mantovani S., Alle soglie della consapevolezza, in Favaro G., Mantovani S., Musatti T. (a cura di), Op. cit.., Cima R., Abitare le diversità, Carocci, Roma,

18 BIBLIOGRAFIA 25 Favaro G., Cultura d infanzia. Modelli educativi e rappresentazioni a confronto in Favaro G., Mantovani S., Musatti T. (a cura di), Op. cit., Abdelilah-Bauer B., Il bambino bilingue, Raffaello Cortina, Milano, Cima, Op. cit., Bettinelli G., Demetrio D., Insegnanti e rappresentazioni del bambino straniero nella scuola elementare, Scuola 27 Camaioni L. (a cura di), Manuale di psicologia dello sviluppo, il Mulino, Bologna, e città, 8, Demetrio D., Favaro G., Bambini stranieri a scuola. Accoglienza e didattica interculturale nella scuola dell infanzia e Bourhis R.Y., Il modello di acculturazione interattiva e gli orientamenti della comunità ospitante nei confronti degli nella scuola elementare, La Nuova Italia, Firenze, immigrati: una rassegna di studi empirici in Brown R., Capozza D., Licciardello O. (a cura di), Immigrazione, ac- 29 Abdelilah-Bauer B., Il bambino bilingue, Cortina, Milano, culturazione, modalità di contatto, Franco Angeli, Milano, Demetrio, Op. cit., Bove C., Mantovani S., Alle soglie della consapevolezza, in Favaro G., Mantovani S., Musatti T. (a cura di), Nello 31 Cfr. Bettinelli G., Demetrio D., Insegnanti e rappresentazioni del bambino straniero nella scuola elementare stesso Nido. Famiglie e bambini stranieri nei servizi educativi, Franco Angeli, Milano, Scuola e città, 8, 1992; Ciccardi F. (a cura di), Atteggiamenti verso gli alunni extracomunitari. Indagine tra i Capi d Istituto Camaioni L. (a cura di), Manuale di psicologia dello sviluppo, il Mulino, Bologna e docenti della scuola dell obbligo, IRRSAE Lombardia, 1994; Ministero della Pubblica Istruzione, Le trasfor- Ciccardi F. (a cura di), Atteggiamenti verso gli alunni extracomunitari. Indagine tra i Capi d Istituto e docenti della scuo- mazioni della scuola nella società multiculturale, Roma, 2001; Selleri P., Di loro non si sa nulla: storie di immigrazione la dell obbligo, IRRSAE Lombardia, tra scuola ed extrascuola in Psicologia dell educazione e della formazione, vol. 7, Cicognani E., Psicologia sociale e ricerca qualitativa, Carocci, Roma, Cima, Op. cit., 2005 Colombo A., Genovese A., Canevaro A. (a cura di), Educarsi all interculturalità, Erickson, Trento, Ibidem. Consiglio Nazionale Economia Lavoro (CNEL), Le aspettative delle famiglie immigrate nei confronti del sistema scolastico 34 Mortari L., Aver cura della mente, La Nuova Italia, Firenze, italiano, Roma, Mortari L. (a cura di), Dire la pratica, Bruno Mondadori, Milano, Cooper J.E. (2007), Strengthening the Case for Community-Based Learning in Teacher Education, Journal of Teacher 36 Sorzio P., La ricerca qualitativa in educazione, Carocci, Roma, Education, 58, 3, pp Mortari, Op. cit., Damiano E., La nuova alleanza, La Scuola, Brescia, Giuseppina Messetti e Federica De Cordova, del Dipartimento di Filosofia, Pedagogia e Psicologia dell Università Delors J., Nell educazione un tesoro. Rapporto all UNESCO della Commissione Internazionale sull Educazione per il XXI di Verona. secolo, Armando, Roma, Sorzio, Op. cit., 2005; Cicognani E., Psicologia sociale e ricerca qualitativa, Carocci, Roma, Demetrio D., Favaro G., Bambini stranieri a scuola. Accoglienza e didattica interculturale nella scuola dell infanzia e nella scuola elementare, La Nuova Italia, Firenze, Favaro G., Cultura d infanzia. Modelli educativi e rappresentazioni a confronto in Favaro G., Mantovani S., Musatti T. (a cura di), Nello stesso Nido. Famiglie e bambini stranieri nei servizi educativi, Franco Angeli, Milano, Kanizsa S., Il lavoro educativo. L importanza della relazione nel processo di insegnamento e apprendimento, Bruno Mondadori, Milano, Ministero della Pubblica Istruzione, Le trasformazioni della scuola nella società multiculturale, Roma, Ministero Istruzione Università e Ricerca, Alunni con cittadinanza non italiana Scuole statali e non statali, Direzione generale per gli Studi, la Statistica, i Sistemi informativi, Roma, aprile Mortari L. (a cura di), Dire la pratica, Bruno Mondadori, Milano, Mortari L., Ricercare e riflettere. La formazione del docente professionista, Carocci, Roma, Mortari L., Aver cura della vita della mente, La Nuova Italia, Firenze, Musatti T., Mayer S., Crescere i figli altrove: l esperienza delle madri immigrate a Roma in Favaro G., Mantovani S., Musatti T. (a cura di), Nello stesso Nido. Famiglie e bambini stranieri nei servizi educativi, Franco Angeli, Milano, Osservatorio Regionale sull Immigrazione, Immigrazione straniera in Veneto: rapporto 2009, Franco Angeli, Milano, Selleri P., Di loro non si sa nulla: storie di immigrazione tra scuola ed extrascuola, in Psicologia dell educazione e della formazione, vol. 7, n 2, settembre Sorzio P., La ricerca qualitativa in educazione, Carocci, Roma, 2005.

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