L esperienza del «Training antiviolenza» in un consultorio per uomini di Michela Bonora e Massimo Mery

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1 L esperienza del «Training antiviolenza» in un consultorio per uomini di Michela Bonora e Massimo Mery Storicamente il problema della violenza sulle donne viene riconosciuto a partire dalle lotte del movimento femminista dei primi anni Settanta, sia negli Stati Uniti 1 che in Europa 2 ; da allora si sono sviluppati nei vari Paesi degli interventi specifici per cercare di fronteggiare e contrastare questo fenomeno, con un attenzione rivolta sia alle vittime principalmente donne e minori che agli aggressori. L analisi bibliografica 3 ha dimostrato che, soprattutto nel contesto statunitense dove questi programmi sono nati, sono stati proprio i movimenti femministi ed alcuni Centri antiviolenza ad avere, per primi, l idea di intervenire con gli uomini 4 ; precisamente la questione del «cosa fare» con gli uomini violenti nasce quasi in concomitanza con l emersione del problema della violenza sulle donne e la nascita delle prime case rifugio 5. 1 Edward Gondolf, Evaluating batterer counseling programs: a difficult task showing some effects and implications, in «Aggression and Violent Behavior», n. 9, 2004 p ; John Robert Barner, Michelle M. Carney, Interventions for Intimate Partner Violence: A Historical Review, in «Journal of Family Violence», vol. 26, n. 3, 2011, pp Giuditta Creazzo e Letizia Bianchi (a cura di), Uomini che maltrattano le donne: che fare?, Carocci, Roma, 2009; Isabella Merzagora Betsos, Uomini violenti. I partner abusanti e il loro trattamento, Raffaello Cortina, Milano, 2009; Rec (2002)5 del Consiglio d Europa. 3 Michela Bonora, I programmi per uomini maltrattanti. Quale esperienza in Italia?, Università degli Studi di Trento, Tesi di laurea magistrale, Edward Gondolf, Evaluating batterer counseling programs: a difficult task showing some effects and implications, in «Aggression and Violent Behavior», n. 9, 2004, p Per citare un dato: negli Stati Uniti la prima casa rifugio per donne nasce nel 1964 (Haven House, California); nel 1977, soltanto pochi anni più tardi, nasce a Boston il primo programma volontario per uomini violenti, Emerge. 327

2 Prima di descrivere l esperienza realizzata in Trentino e in Alto Adige appare interessante riportare alcune considerazioni generali sul ruolo dei Centri antiviolenza rispetto allo sviluppo di tali programmi. Molti autori sottolineano come gli interventi in queste due direzioni, verso chi agisce la violenza e verso chi la subisce, si siano sviluppati con riconoscimenti e sfide diverse. Rothman, Butchart, Cerdà 6 affermano che: «Mentre il lavoro di tutela e di sostegno per le vittime di violenza può essere considerato una conquista, l intervento con gli uomini maltrattanti nelle relazioni d intimità ha ricevuto, in paragone, molta meno attenzione da parte degli organismi pubblici, del terzo settore e dagli ambienti accademici» 7. Dobash et al. 8 precisano che: «Molte iniziative si sono giustamente concentrate sull assistenza e l aiuto alle donne che erano state vittime. La fonte del problema, l uomo violento, non è generalmente comparso nei dibattiti politici o nelle risposte pubbliche» 9. Medina 10 a proposito dello sviluppo dei programmi per uomini maltrattanti negli USA, afferma che: «Attiviste femministe e difensori delle vittime si resero conto che dare aiuto alle vittime perché queste poi ritornassero allo stesso ambiente domestico non era la soluzione del problema [...] Inoltre, aiutare la vittima non impediva che il maltrattante potesse continuare a comportarsi in modo violento nelle relazioni con le successive partners». A conferma di questo Barner e Carney 11, in un excursus storico sullo sviluppo dei programmi per uomini violenti negli Stati Uniti, affermano che a partire dalla fine degli anni Settanta le case rifugio per le donne hanno cambiato la loro strategia di aiuto passando da un «intervento d emergenza e primario per le vittime» ad una ricerca attiva di collaborazioni sul territorio con altri servizi per fornire 6 E.F. Rothman, A. Butchart, M. Cerdà, Intervening with perpetrators of intimate partner violence: a global perspective, WHO, Geneva, Ivi, p Russell P. Dobash, R. Emerson Dobash, A research evaluation of British programs for violent men, in «Journal of Social Policy», vol. 28, n. 2, Ivi, pp Juan J. Medina, Violencia contra la mujer en la pareja: investigacion comparada y situación en España, Tirantloblach, Valencia, J.R. Barner, M.M. Carney, Interventions for Intimate Partner Violence: A Historical Review, in «Journal of Family Violence», vol. 26, n. 3,

3 loro migliori opportunità di empowerment all interno della situazione di violenza con l obiettivo della prevenzione della recidiva e lo sviluppo di un approccio di comunità 12. Anche altri autori che si sono occupati dello sviluppo dei programmi nel Nord Europa 13 affermano che: «La protesta politica del movimento femminista ha considerato anche quanto andava fatto per migliorare la condizione delle donne maltrattate [...] grazie ad una maggiore attenzione rivolta alla violenza contro le donne, è aumentata la consapevolezza per cui non è sufficiente offrire sicurezza e protezione alle vittime. Per porre fine alla violenza maschile contro donne e bambini, il maltrattante uomo deve fare qualcosa per il suo problema» 14. Il ruolo promotore delle operatrici dei Centri antiviolenza rispetto allo sviluppo dei programmi per uomini maltrattanti viene riconosciuto anche a livello mondiale. A tal proposito, Rothman, Butchart, Cerdà 15, in una ricerca realizzata per l OMS sui programmi per uomini maltrattanti esistenti nel mondo 16, sottolineano proprio come lo sviluppo di questi interventi rivolti agli uomini sia il risultato di una serie di diversi fattori, tra i quali ha avuto un ruolo preminente l attivazione delle operatrici dei Centri e dei Servizi antiviolenza per donne, dato che per prime si sono interrogate sulla possibilità di intervenire con gli uomini, laddove avevano sperimentato un senso di frustrazione dovuto all incapacità di fermare la violenza da parte del partner o ex partner 17. La ricostruzione delle origini di questi programmi permette di fare alcune considerazioni importanti. Prima di tutto si evidenzia come la presa in carico degli uomini che hanno agito comportamenti violenti appaia come una misura «rivoluzionaria» per il contesto italiano ma, in molti altri paesi, è diventata ormai una prassi 12 Ivi, pp M. Rakil, P. Isdal e I. Rangul Askeland, L uomo è responsabile della violenza. Aiutare gli uomini che usano la violenza contro le partner nelle relazioni di intimità per contrastare il problema, in Giuditta Creazzo e Letizia Bianchi (a cura di), Uomini che maltrattano le donne: che fare?, cit. 14 Ivi, p E.F. Rothman, A. Butchart, M. Cerdà, Intervening with perpetrators of intimate partner violence: a global perspective, WHO, Geneva, Ivi. Si tratta di una ricerca realizzata su 56 programmi per uomini violenti sviluppatisi nel mondo, che ha coinvolto sia Paesi industrializzati (esclusi USA, Canada e Regno Unito) che paesi in via di sviluppo. 17 Ivi, p

4 consolidata, sia essa prevista come alternativa alla pena o come scelta volontaria della singola persona. In secondo luogo possiamo dire che la nascita di questi programmi è il risultato dello sviluppo di un approccio integrato per contrastare la violenza; prova ne è il fatto che l idea di intervenire sugli uomini è nata proprio da parte delle operatrici che si occupavano di donne e che avevano la sensazione di non risolvere veramente il problema. Si tratta certamente di un cambiamento o per meglio dire di un apertura e di un integrazione verso una nuova prospettiva d intervento ma, dal punto di vista di molti autori e di chi scrive, è un passaggio necessario per affrontare il problema. Premesse queste riflessioni, che torneranno utili nell analisi del nostro contesto specifico, possiamo addentrarci nel focus del nostro breve contributo. Il caso italiano, in cui anche la nostra esperienza si inserisce, si contraddistingue per alcune caratteristiche peculiari. Rispetto ad altri paesi infatti, non solo l emersione del fenomeno della violenza è avvenuto in tempi molto più recenti, non solo la cornice normativa risulta frammentaria e le risorse disponibili (fondi, case rifugio, Centri antiviolenza) sono notevolmente inferiori ma, in particolare, l intervento con gli uomini maltrattanti è nato molto recentemente con iniziative sperimentali e «a macchia di leopardo» all interno del panorama nazionale. Il saggio che qui viene presentato vuol essere un contributo rispetto al tema specifico dell intervento con gli uomini che hanno agito comportamenti violenti nei confronti delle partner o ex partner, con l obiettivo di sintetizzare alcune riflessioni personali che ruotano intorno alla sfida del cambiamento inteso sia in un ottica micro, per quanto attiene al comportamento e all atteggiamento della singola persona, sia in un ottica macro, in relazione all organizzazione dei servizi e alla loro reale possibilità di rinnovamento nel modo di guardare e di affrontare un determinato fenomeno sociale. Il saggio è costituito da una prima parte descrittiva frutto di un pensiero condiviso tra gli autori e una seconda parte individuale in cui ciascuno di noi ha sottolineato gli aspetti che l hanno colpito maggiormente nel viaggio di questa stravagante esperienza professionale La stravaganza di questo viaggio è stata nutrita di molteplici aspetti. Non solo la curiosità professionale di imbatterci in un avventura nuova e sperimentale ma anche 330

5 1. Cos è il Training antiviolenza? In termini molto generali i programmi per uomini che hanno agito violenza nei confronti di donne partner o ex partner nascono come intervento specifico per contrastare la violenza sulle donne nelle relazioni affettive. Sono un intervento di trattamento e rieducazione specializzato il cui obiettivo principale è quello di ridurre la possibilità di una recidiva violenta e quindi di offrire maggior sicurezza alle potenziali vittime di nuovi agiti violenti. Questi programmi si basano sulla convinzione che le persone abbiano la capacità di cambiare, e che la violenza sia, nella maggior parte dei casi, un comportamento appreso ovvero una scelta che in quanto tale possa essere modificata. È quindi fondamentale che gli uomini che utilizzano la violenza si rendano responsabili dei comportamenti agiti e delle loro conseguenze e, in un secondo momento, che possano imparare delle modalità di risposte non violente. A partire da questi presupposti teorici abbiamo denominato i nostri gruppi Training antiviolenza per uomini, perché il training richiama l idea di allenamento ad una relazione paritaria, di rispetto e di non violenza o meglio «antiviolenza» perché il nostro punto di partenza è di porre l accento sui «comportamenti violenti» anziché sull «essere violento». Questi percorsi vengono svolti in gruppo, uno dei punti di forza del percorso, perché al suo interno i partecipanti superano più facilmente sentimenti di vergogna e di imbarazzo e raccontano i propri vissuti cercando di rielaborarli alla luce degli strumenti teorici di riferimento dati dai conduttori (trainers). Nel training antiviolenza ogni gruppo è formato da uomini ed è condotto da due professionisti (un uomo e una donna) con una formazione specifica in questo tipo d intervento. Il percorso si svolge in incontri settimanali, della durata di due ore ciascuno, per un ciclo di 28 incontri (6-8 mesi). la sfida di creare uno spazio di confronto e di integrazione tra due persone così diverse per età anagrafica, professionalità (psicologo e assistente sociale), formazione (il dott. Mery si è formato in Austria secondo il programma Change, la dottoressa Bonora si è formata in Spagna al programma Contexto) e ultimo ma non ultima la tanto citata e tanto sostanziale differenza di genere. Michela Bonora è autrice del quarto e del quinto paragrafo; Massimo Mery è autore del secondo e del terzo. 331

6 Prima di iniziare il vero e proprio percorso di gruppo ogni candidato viene valutato in modo individuale attraverso due o tre colloqui di cosiddetta «alleanza terapeutica» e, se considerato idoneo, dovrà necessariamente firmare un «contratto» in cui si impegna a rispettare determinate regole tra cui l impegno personale a fermare fin da subito la violenza e il suo consenso scritto a che venga avviato il cosiddetto «contatto partner» 19. È bene specificare che non rientrano tra gli obiettivi del training né la riconciliazione né la separazione della coppia; il training è un servizio molto diverso dalla mediazione, che, nei casi di violenza, non dovrebbe essere realizzata data la forte disparità di potere tra i partner. I modelli teorici di riferimento del nostro training antiviolenza sono il programma Change (Scozia) e il Programa Contexto (Università di Valencia- Spagna) 20. Gli uomini che partecipano al nostro training antiviolenza hanno la possibilità di: condividere in gruppo la loro esperienza superando meccanismi di difesa e sentimenti di vergogna o imbarazzo sulle proprie vicende; sviluppare maggiore comprensione del proprio comportamento violento anche alla luce della propria storia personale, dei modelli di riferimento, di alcune abitudini di vita o di riferimenti culturali; 19 Il contatto partner è una parte fondamentale del progetto «Training antiviolenza». Consiste del fatto che alcune operatrici dei Centri antiviolenza, delle case delle donne o di strutture di accoglienza per donne prendano contatti telefonici con le donne partner o ex partner dei partecipanti al gruppo, per informarle sul funzionamento del gruppo, monitorare il comportamento dell uomo, offrire una consulenza sui servizi di ascolto e accoglienza per le donne. 20 I «pilastri» di questi modelli sono: la definizione di violenza; l assunzione di responsabilità rispetto ai comportamenti violenti agiti (meccanismi di difesa); il riconoscimento delle emozioni negative, in particolare della rabbia; l apprendimento di tecniche di controllo della rabbia e di strategie per prevenire comportamenti violenti; i rapporti tra uomini e donne nel contesto culturale e multiculturale di riferimento. 332

7 analizzare le caratteristiche del ciclo della violenza e dell emozione della rabbia al fine di riconoscerla e controllarla, evitando le conseguenze più dannose; potenziare le risorse individuali alternative alla violenza. 2. Perché gli uomini agiscono violenza? Alcune valutazioni generali Il progetto «Training antiviolenza» nasce inizialmente all interno dell esperienza decennale del consultorio per uomini della Caritas di Bolzano. Il progetto getta le proprie basi nel 2009 proprio a seguito di una riflessione sulla condizione maschile e sulle tematiche che sono emerse in questi anni anche nelle consulenze psicologiche individuali. Spesso gli uomini che si rivolgevano al nostro consultorio ci chiedevano aiuto per una separazione o per problemi legati all autostima e parlando di questi temi emergevano situazioni di vera e propria violenza. L autostima è evidentemente un tema che non riguarda solo le donne che subiscono violenza, ma è un qualcosa che riguarda anche gli uomini, anche quelli che agiscono comportamenti violenti in quanto spesso, dopo l esplosione di rabbia, provano vergogna e senso di colpa e chiedono scusa a loro modo in quella fase che viene chiamata «luna di miele». Nel nostro lavoro abbiamo evidenziato una certa difficoltà da parte di molti uomini a stare nelle moderne relazioni paritarie per cui, quando si sentono in una situazione di conflitto e sentono di non avere sufficienti strumenti per confrontarsi con la partner, possono arrivare ad utilizzare gli strumenti che hanno nel loro bagaglio ancestrale perché si sentono minacciati da un pericolo esterno o si sentono in pericolo in prima persona, ad esempio quello di essere «abbandonati». In questi anni di lavoro e di ascolto abbiamo capito alcune cose fondamentali: la violenza può essere espressione dell amore scambiato per possesso, ma anche del dolore o della paura. Agli uomini viene insegnato fin da piccoli a negare alcune emozioni e spesso la rabbia è l unico canale che conoscono per esprimere stati d animo negativi. Così la violenza può diventare «una forma di comunicazione delle proprie mancanze» come ci disse una volta un uomo che ha partecipato al nostro gruppo. Ovviamente questa considerazione non è e non può in alcun caso diventare una giustificazione alla violenza, al contrario, il training antiviolenza consiste proprio in un lavoro di gruppo con un obietti- 333

8 vo preciso: fermare la violenza maschile attraverso una riconoscimento e una responsabilizzazione dei comportamenti violenti agiti. Si tratta di una forma di prevenzione che cambia radicalmente il modo di vedere il problema perché per la prima volta coinvolge direttamente il maschile. Nei nostri gruppi chiediamo agli uomini di affrontare i naturali meccanismi di difesa («non è vero, non l ho spinta, l ho solo toccata...», «l ho fatto perché mi ha provocato») e di assumersi in prima persona la responsabilità di ciò che in quel momento o per anni hanno cercato di fare. C è anche da dire che spesso gli uomini non si rendono conto di cosa s intenda per violenza e identificano solo quella fisica trascurando tutti quei meccanismi di controllo e di potere più sottili ma comunque limitanti la libertà altrui, soprattutto la libertà femminile, quella che spesso spaventa e che per molti di loro è una novità da accettare e da riconoscere. Per questo nel nostro lavoro adottiamo un approccio integrato in cui consideriamo anche la variabile di genere, analizzando come il contesto culturale e multiculturale di riferimento e il rapporto tra uomini e donne abbia storicamente influenzato le relazioni di potere tra generi e come questo anche oggi si rifletta nella vita di coppia. Un altra riflessione generale nata dall esperienza e dall incontro con gli uomini che si sono rivolti a noi è che la violenza non sia un comportamento unico, ma uno «spettro ampio» che ci porta a incontrare uomini diversi, con storie diverse e che hanno agito violenze di gravità e intensità diverse, ma il nostro punto fermo è che ogni atto di violenza è un comportamento a rischio che va subito fermato e su cui va aperta una riflessione. Prima avviene l intervento più alti sono i margini di cambiamento. I contatti con le partner realizzati sino ad oggi hanno dato dei buoni risultati; le donne di questi uomini si sentono più sicure e più tranquille. Ora vedremo quali saranno i risultati nel lungo periodo perché inizieremo con il monitoraggio post trattamento (follow up). Spesso nelle serate informative le persone ci chiedono «ma gli uomini cambiano?» e ciò che mi sento dire in modo molto generale è che l antidoto alla violenza è complesso perché il problema è complesso; e perché sia efficace deve passare necessariamente sia per un canale culturale che individuale, coinvolgendo, in modo diverso, donne e uomini con l obiettivo di renderli consapevoli dei reciproci diritti e delle difficoltà che affermare questi diritti comporta, della crisi di ruolo e della necessità di rifondare un patto di genere fondato sul 334

9 rispetto delle differenze e sulla costruzione paritaria e condivisa dei progetti di vita privata. 3. I trainers del gruppo: quella marcia in più del «mix gender» Seguendo le indicazioni del protocollo del progetto Change si è deciso di affidare la conduzione del gruppo ad una coppia uomodonna. Questa scelta è nata anche da una riflessione scaturita all interno del consultorio seguendo alcune considerazioni evidenziate dall esperienza decennale con gli uomini. La peculiarità del consultorio, prima esperienza di tal genere sul territorio nazionale, è sempre stata quella di offrire un luogo ove gli uomini, garantiti dall anonimato e dalla gratuità del Servizio, potessero avere la possibilità di confrontarsi sulle loro problematiche con consulenti uomini (tutti psicoterapeuti con esperienze ventennali). La costruzione di una relazione significativa attraverso un alleanza terapeutica ha permesso agli uomini di sentirsi ascoltati, accettati ed aiutati. Tale presupposto teorico non era però più sufficiente in un contesto di gruppo ove si affrontava una problematica legata a comportamenti violenti che, a nostro parere, non deve avere nessuna giustificazione. Per la nostra esperienza maturata nel consultorio, la possibilità di considerare la condotta violenta come una conseguenza di un comportamento provocatorio da parte della donna era reale e rischiosa. Per questo motivi si rendeva necessario un cambiamento di prospettiva del comportamento violento dell uomo. Il cambiamento era possibile solo ad una condizione: lavorare con una donna. Se i conduttori del gruppo fossero stati entrambi uomini si sarebbe potuta creare la possibilità di instaurare una relazione collusiva con i partecipanti; questo non doveva avvenire! Gli uomini avrebbero cercato da subito un alleanza maschile nel conduttore o, per lo meno, avrebbero messo in atto dinamiche per poter giustificare i loro comportamenti: «dottore lei come uomo mi può capire, anche lei sa come sono fatte le donne e come siano brave a provocare!». La presenza di una donna nel gruppo evita che l uomo cerchi una sponda ove trovare giustificazione alla propria condotta. Inoltre la presenza di una figura femminile favorisce l attivazione di un processo di transfert su cui lavorare nel gruppo. Il training antiviolenza non è un gruppo terapeutico in senso stretto, ma 335

10 un gruppo di apprendimento ove comunque gli stati emotivi dell uomo verso la donna emergono in continuazione. Nel gruppo infatti, emerge spesso la tendenza dell uomo maltrattante ad avanzare richieste e diritti solo in qualità e in nome della sua identità e ruolo maschile. E, come si può immaginare, la presenza di una conduttrice donna all interno di un gruppo di uomini maltrattanti non è così semplice e priva di implicazioni. La trainer infatti, deve possedere alcune caratteristiche come condicio sine qua non per poter sopportare un carico emotivo spesso molto pesante. La conduttrice, a differenza del collega uomo, viene fatta spesso oggetto di attacchi diretti e indiretti, il che richiede una capacità di tollerare la frustrazione molto alta. Rispetto alla nostra esperienza possiamo dire che abbiamo investito molte energie per costruire una relazione fondata sulla reciproca fiducia, dove ognuno sa e deve essere sicuro di poter contare sull altro e deve essere consapevole del proprio apporto e della propria parzialità. Prima e durante il nostro percorso è stato necessario un lavoro di confronto, anche acceso, per arrivare a «mettere insieme le diverse esperienze», mettendo da parte i rispettivi pregiudizi di genere. Attraverso lunghe discussioni, a volte anche accese, e la condivisione di un modello comune di riferimento siamo riusciti a costruire un linguaggio e un pensiero comune, che ci permette di continuare un opera che richiede passione, formazione ma anche un profondo lavoro di conoscenza del sé, delle reciproche rappresentazioni degli universi maschili e femminili e del modo di intessere e di vivere le relazioni di genere. Attualmente dopo due anni di lavoro e di supervisione sul lavoro, possiamo dire di sentirci pronti ad attivare dei percorsi di formazione per operatori e operatrici che lavorano nell ambito della violenza sulle donne e per persone che desiderano svolgere il lavoro di conduzione di nuovi training antiviolenza. 4. La sfida di un cambiamento che parte dai servizi L esperienza positiva realizzata a Bolzano è stato poi attivata anche in Trentino 21, in particolare grazie ad una collaborazione tra il Co- 21 La prima edizione (novembre maggio 2012) è stata promossa dal progetto «Oltre la porta chiusa» che fin dall inizio si era proposto l obiettivo di realizzare 336

11 mune di Rovereto (TN) e due strutture di accoglienza per donne, la Coop. Sociale Punto d Approdo e la Fondazione Famiglia Materna 22. Progettare un simile intervento ha posto fin dall inizio alcuni ostacoli che hanno richiesto energia e motivazione alla messa in discussione e al cambiamento di ciò che possiamo chiamare la «cultura dei servizi». C è da dire che l Italia, oltre ad essere arrivata notevolmente in ritardo rispetto ad altri paesi, sconta anche un vuoto legislativo, visto che ad oggi non esiste una legge specifica contro la violenza sulle donne che preveda, tra le tante misure, la possibilità per gli uomini condannati per queste tipologie di reati di partecipare a specifici programmi rieducativi in misura aggiuntiva o sostituiva della tradizionale pena detentiva 23. Questi elementi di contesto hanno reso e per alcuni aspetti rendono tutt oggi complesso l avvio di questo tipo di intervento. In particolare la sfida maggiore che abbiamo incontrato durante la fase di pre-avvio del training è stata quella di studiare le modalità più efficaci per trovare e coinvolgere gli uomini ad aderire ad una simile proposta. Ciò premesso risultava evidente come il lavoro prezioso e necessario per la promozione di quest azione fosse quello di costruire o consolidare la rete di rapporti, relazioni, contatti con tutti i servizi del territorio che in maniera più o meno diretta possono entrare in contatto con questa problematica, e che possono, ciascuno con i propri strumenti e con la propria metodologia, svolgere un ruolo di fondamentale importanza per far conoscere questo nuovo servizio e promuoverne la concreta fruibilità. Dall avvio del primo training antiviolenza, lavoriamo incessantemente per sensibilizzare i servizi e per invitarli a valutare le singole situazioni e per proporre agli uomini la possibilità di partecipare a un attività rivolta specificamente agli uomini maltrattanti, azione innovativa e sperimentale sia per il territorio provinciale che per quello nazionale. La seconda edizione ha preso avvio nel gennaio 2013, all interno del progetto «Donne sicure in una comunità attiva». 22 La Coop. Soc. Punto d Approdo e la Famiglia Materna sono due realtà di privato sociale che gestiscono delle strutture di accoglienza (case di accoglienza e alloggi in autonomia) per donne sole o con minori che vivono situazioni di fragilità. 23 In Spagna invece, dove mi sono formata, questa legge esiste ed è considerata la legge più avanzata a livello europeo (Ley Organica 1/2004 de medidas de protecciòn contra la violencia de genero). 337

12 questi percorsi. Sino ad oggi siamo riusciti ad attivare delle collaborazioni importanti con il Tribunale dei Minorenni, l UEPE di Trento e alcuni servizi sociali di zona. Nel prossimo futuro ci piacerebbe coinvolgere le forze dell ordine che sono servizi privilegiati rispetto ad altri perché solitamente intervengono nelle situazioni domestiche nei casi in emergenza e perché incontrano direttamente l uomo. Al momento dobbiamo dire che la realizzazione di tali percorsi dipende in modo sostanziale dalla volontà di attori locali sia pubblici che privati, di portare avanti tale iniziativa con un impegno che si traduca nella individuazione di fondi specifici e chiami la rete dei servizi del territorio a nuove consapevolezze. Prima fra tutte quella legata alla necessità di creare gli spazi di confronto che permettano anche al neonato training antiviolenza di essere considerato come un «nodo» di una rete riconosciuto e al quale dare valore. Del resto tutti gli autori che si sono occupati di valutazione dell efficacia rispetto a questi programmi hanno sottolineato come l efficacia dei training antiviolenza sia legata intrinsecamente a quanto questi sono connessi ad un sistema di relazioni e scambi con gli altri servizi. Un servizio per uomini che hanno agito comportamenti violenti non può lavorare bene in condizioni di isolamento; la comunità deve essere unita nel ribadire il messaggio che le responsabilità dei comportamenti violenti sono di chi li agisce e che sia possibile un percorso di riflessione se si garantisce la sicurezza della donna. 5. Un modo diverso di guardare allo stesso problema e cercare la stessa risposta La motivazione principale che mi ha spinto a ricercare un esperienza professionale in questo campo all estero è che, sino a pochissimo tempo fa, l Italia era uno dei paesi europei che non avevano ancora sviluppato alcun intervento specificamente rivolto agli autori di violenza 24. La volontà di conoscere da vicino come funzionassero questi pro- 24 La domanda del «che fare» con chi agisce comportamenti violenti o abusi era nata in me qualche anno prima, durante l esperienza di tirocinio professionale presso l UEPE di Verona e Vicenza, dove ebbi l opportunità di affiancare un assistente sociale supervisore che mi fece riflettere sulle mancanze dei servizi e del sistema rieducativo sia penale che sociale. 338

13 grammi e quali ricadute potessero avere nei confronti delle donne e del fenomeno più in generale, è frutto della convinzione personale che sia riduttivo e anche fuorviante pensare che un ingiustizia così profonda e radicata come quella della violenza sulle donne possa essere contrastata soltanto con la promozione di azioni di assistenza, ascolto e protezione per le vittime. Per risolvere, o almeno per tentare di risolvere il problema era, dal mio punto di vista, quantomeno necessario provare ad interrogarsi sul come e sul cosa fare nei confronti dell autore del problema. Decisi quindi di recarmi in Spagna e lì realizzai il mio percorso di formazione. Al mio rientro iniziai a lavorare come educatrice presso una struttura di accoglienza per donne in cui mi occupavo del pronto intervento nei casi di maltrattamento 25. Questa base professionale è stata per me fondamentale per diversi motivi. In particolare il lavoro nei servizi con uno sguardo attento alla donna mi ha fatto osservare il modo in cui si costruisce la dinamica del maltrattamento, portandomi alla convinzione che i comportamenti violenti possano essere intercettati lungo il loro costruirsi, uno dopo l altro, e che possano essere fermati se anche noi operatori e operatrici accettiamo di mettere in discussione il nostro modo di guardare al fenomeno. Dobbiamo imparare ad ascoltare i racconti non solo soffermandoci sul binomio conflittualità-maltrattamento, non solo valutando il rischio di recidiva e di pericolosità, ma anche guardando e riconoscendo quel singolo episodio che da solo magari non costituisce una situazione di grave pregiudizio ma, che in quella donna e soprattutto in quell uomo, ha già creato un precedente che potrebbe avere un esito diverso se non fermato in tempo. In questo senso la logica del cambiamento applicata all organizzazione dei servizi (sociali, sanitari, non profit...) dovrebbe essere doppia, sia prevedendo la possibilità che gli uomini che agiscono comportamenti violenti possano attraverso un percorso di responsabilizzazione ad hoc imparare ad agire in modo diversi, sia giungendo alla consapevolezza che il cambiamento è tanto più realistico quanto prima si interviene, sin dai primi sintomi della violenza. 25 Fondazione Famiglia Materna (Rovereto) è una struttura di accoglienza per donne sole o con bambini che vivono in situazioni di fragilità. Nel 2010 la struttura ha promosso, in convenzione con la Provincia Autonoma di Trento, un progetto per l accoglienza di donne vittime di violenza in una situazione di emergenza. 339

14 Questo è uno dei motivi fondamentali per cui oggi come operatrice nata a fianco delle donne che subiscono violenza, mi interrogo e mi attivo nei percorsi di rieducazione per gli uomini, tenendo sempre chiaro che l obiettivo principale dell intervento è la messa in sicurezza e la cessazione dei comportamenti violenti. La mia storia professionale è motivo, talvolta, di difficoltà nella gestione dei gruppi o nelle dinamiche che incontro quando ascolto alcune considerazioni tipicamente maschili ma, nello stesso tempo, mi ricorda il senso del mio lavoro rispetto ad un sistema valoriale e culturale che tende a minimizzare e tollerare la violenza sulle donne e che spesso occulta i danni e la reale diffusione del fenomeno. Gli uomini che partecipano ai gruppi sanno quale sia il mio percorso lavorativo e spesso le storie che ho ascoltato mi permettono di riportare nel gruppo quella dimensione concreta di esperienza dal punto di vista delle donne che apre delle riflessioni interessanti sull empatia e sul riconoscimento delle conseguenze della violenza. Bibliografia Barner John Robert, Carney Michelle M., Interventions for Intimate Partner Violence: A Historical Review, in «Journal of Family Violence», vol. 26, n. 3, 2011, pp Bonora Michela, I programmi per uomini maltrattanti. Quale esperienza in Italia?, Università degli Studi di Trento, Tesi di laurea magistrale, Dobash Russell P., Dobash R. Emerson, A research evaluation of British programs for violent men, in «Journal of Social Policy», vol. 28, n. 2, 1999, pp Gondolf Edward, Evaluating batterer counseling programs: a difficult task showing some effects and implications, in «Aggression and Violent Behavior», n. 9, 2004 p Medina Juan J., Violencia contra la mujer en la pareja: investigacion comparada y situación en España, Tirantloblach, Valencia, Rakil Maius, Isdal M.R., Askeland I.R., L uomo è responsabile della violenza. Aiutare gli uomini che usano violenza contro le partner nelle relazioni d intimità per contrastare il problema, in Giuditta Creazzo e Letizia Bianchi (a cura di), Uomini che maltrattano le donne: che fare?, Carocci, Roma, Rothman E.F., Butchart A., Cerdà M., Intervening with perpetrators of intimate partner violence: a global perspective, Geneva, WHO,

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