IL VIAGGIO CENTO GIORNI A SUD DELL ANIMA

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2 Sandra D Urzo IL VIAGGIO CENTO GIORNI A SUD DELL ANIMA

3 Sotto l equatore. Mi sfuggono molte cose, ma so che il mio viaggio per le terre e i mari del mondo si svolgerà tutto sotto l equatore. Non sono mai stata dal lato che dorme quando io sono sveglia e vive sotto le stelle di un cielo sconosciuto, sepolto al di là della sottile linea orizzontale che invece accompagna e delimita la mia vita da tanti anni. Nel mio piccolo immaginario, questa fetta della terra gode da sempre di un posticino privilegiato, per il solo fatto di chiamarsi il sud del mondo. E settembre, ho appena festeggiato i miei ventott anni, che mi sono risuonati nelle orecchie in modo strano, forse perché ognuno di noi almeno una volta ha pensato all età che avrebbe avuto nel fatidico duemila, e ora che mi sono piovuti addosso una calda sera di settembre mi sento un pò vuota e stordita, a tre mesi e mezzo dalla fine dell anno. Non é stato per una scommessa a carte e neppure per l ossessione di dover collezionare gesta eroiche e memorabili, credo piuttosto che il mio giro del mondo in cento giorni sia nato lentamente da un timido sogno. Oggi lascio un lavoro, la certezza e le persone che amo ma vedrò altri cieli e altri occhi, e dormirò al riparo sotto il tetto di estranei; davanti a me prenderanno forma le mappe geografiche ed i percorsi che sto tessendo con la stessa passione con cui un visionario legge il futuro nelle linee di una grande mano colorata, trasformando le distanze in giorni e notti di continua scoperta.

4 Da : Sandra Oggetto : AFRICA Data : 25 Settembre : 05 : 54 PM E sera, e sono qui con la voglia di raccontare i miei pensieri africani, prima che mi scivolino via. Sto naufragando in Africa Orientale, sto esplorando posti in fondo al mondo arrivandoci piano piano con le mie gambe, altre volte mi fermo a guardare l Africa che ti passa davanti, milioni di aspetti diversi dello stesso posto, in continuo perdersi e ritrovarsi, alla ricerca di immagini che ricorderò a lungo. Coi pensieri e le sensazioni che l Africa ti provoca dentro potrei riempire centinaia di pagine: invece quello che vedo e talmente forte e profondamente diverso che non riesco a mettere insieme neppure due parole. Per ora le pagine dei miei quadernetti sono rimaste bianche e impolverate. Il viaggio e duro, le distanze tra un posto e l altro sono enormi e lungo strade sgangherate e polverose, ma poi arrivano momenti che ripagano della fatica, delle maledizioni che mi manda la mia schiena e del mio viso scrostato dal sole. Ogni mattina mi sveglio eccitata con l idea che qualcosa, di bello o di doloroso, succederà. Mi sento un pò bambina, con gli occhi disorientati e sfocati, travolti da orizzonti troppo grandi e senza punti di riferimento. L Africa, vecchia com è, rende tutti bambini, diceva Hemingway, forse é così, o forse ci sono radici tanto profonde che qui si riesce a trovare una parte di sé che altrimenti rimane addormentata. La vita scorre ovunque, anche nei posti più sperduti dimenticati dalle mappe più dettagliate, nelle città o nelle capanne e non ha il sapore della miseria: la ricchezza qui sta negli sguardi, nei sorrisi dei bambini che inseguono il tuo autobus perché sei l unico diverso, nei baobab grandi come elefanti, nei colori, nella musica, nelle case di paglia e di fango, nei fuochi che si accendono la sera accanto alle capanne. Ieri sono stata in una scuola sperduta dove insegnano due ragazzi che ho conosciuto, che emozione vedere I bambini ballare e cantare in classe per darmi il benvenuto! E com è difficile mostrare le conchiglie che avevo raccolto a chi non ha mai visto il mare, raccontare che l acqua e infinita a chi deve andare a cercarla ogni mattina in fiumiciattoli rinsecchiti, spiegare che l Italia e più lontana del villaggio vicino e non e l America, dire che il mondo e grande e che non siamo che puntini che si muovono su una mappa di chiazze colorate e com è bello ricevere un applauso ad ogni risposta! Ho visto città con dedali di vicoli puzzolenti, minareti che sbucano da angoli nascosti, odori pungenti e gente che va e viene, mangia, trasporta, fatica, dorme, ride, compra e vende in un umanità che vive appiccicata stretta stretta. Donne bellissime nelle loro tuniche colorate che ti vendono noccioline, manghi e noci di cocco magari al suono del rap afro-americano dei loro fratelli oltreoceano.

5 Ho visto il tetto d Africa,il Kilimanjaro che se ne sta li in mezzo a chilometri di terra arida,assediato solo da pazzi furiosi il cui sogno e di piantare una bandierina a seimila metri di altezza Io me ne sono rimasta a guardare gli spazi orizzontali, ho misurato con lo sguardo e con le sensazioni, ho visto come lo misurano gli animali, lo delimitano, lo proteggono: famiglione di elefanti, bufali, giraffe e gazzelle, e poi ancora leoni, sdraiati all ombra della loro preda come se fossero in un documentario di Quark, e poi sabbia, sabbia e ancora sabbia. Non ti puoi immaginare come qui possano vivere i Masai, nomadi della terra spaccata e signori del deserto, che sono riusciti ad addomesticare l ambiente e a trovare un equilibrio che gli permette di allevare greggi e costruire capanne. E buffo, e come se il loro equilibrio fosse fatto di opposti : si vestono con drappi rosso fuoco e si riempiono di gioielli fatti da loro dalla testa ai piedi in un posto che non ha neppure l essenziale, figuriamoci il superfluo. E quando la natura non ti aiuta che si inventano cose bellissime.forse é lo spostarsi continuamente gli permette di rimanere uguali a se stessi in tutti gli angoli di questo paese. E a non fermarsi mai a pensare che la vita, quaggiù, e proprio dura. A volte penso che malgrado tutto questo mi mancano mio padre, mia madre, i miei fratelli, i miei amici, una casa, una doccia calda, un gelato alla frutta, una chiacchierata, una coccola. Non so se arriverò alla fine di questo viaggio, per ora lo vivo al ritmo dilatato delle giornate africane, senza fretta, o come dicono qui, acunamatata. Un abbraccio lungo tre mesi a tutta la mia tribù.

6 IL GRIDO D AFRICA Un giorno intero su un autobus africano fa capire di più che un mese passato in qualche albergo. Nessuno ti sa dire quando partirà, e quindi potrebbe arrivare a destinazione anche tre giorni dopo, perché c è sempre posto per uno in più e non manca mai il tempo per aspettarlo.ieri siamo stati fermi per sette ore perché, siccome pioveva e una delle finestre vicino all autista era completamente rotta, la partenza era stata rinviata per andare a convocare d urgenza - termine molto relativo da questa parti - un falegname che si prestasse a rattoppare alla bell e meglio il vetro mancante con un pezzo di legno; dopo aver accuratamente preso le misure e, con l aiuto di ben due assistenti, averne disegnato la sagoma, il falegname ci ha messo circa due ore per produrre l opera d arte e altre due per montarla con tutto il villaggio che gli stava intorno. In compenso, certo, non c era da annoiarsi; in quell attesa infinita sei parte del gioco, non puoi astrarti in un isolamento da libro o da walk-man e sei costretto a vagare in un limbo con un umanità varia e divertente. Ognuno ha la sua storia da raccontare, il commento pronto e la domanda da fare in una overdose di comunicazione, sotto ogni forma. Sì, perché la comunicazione non é solo quella codificata da grammatiche, da regole ed eccezioni, ma é anche quella mimica colorata degli occhi e del corpo; é un sorriso o una pacca sulla spalla, é una risata contagiosa che ti fa ridere a crepapelle. Mentre io mi davo ad acrobazie linguistiche impastando contemporaneamente quattro o cinque lingue in conversazioni buffissime con gente sorridente, mi sono accorta di una donna seduta vicino a me, in assoluto silenzio, con due bambini in braccio. Non parlava, eppure il suo grido di dolore si elevava al di sopra di tutte le altre voci, muto ma disperato: aveva un viso da madonna nera e due gemellini, tre anni in due, uno sano e l altro molto, molto malato. Uno seduto in braccio, felice e coccolato, l altro per terra, sporco e trasandato. Per la madre ne esisteva solo uno, quello forte e sano, quello che probabilmente ce l avrebbe fatta a conquistarsi un posticino su questa terra, mentre l altro, quei dieci chili di sofferenza senza futuro, rappresentavano sicuramente un ulteriore fardello per chi ha come unico scopo l arrivare a domani: meglio allora difendersi come si può, non affezionarsi e conservare tutta l energia per uno solo. E la quotidianità della morte che qui ti assale, e ci sono contrasti in questo continente che neanche la fantasia può elaborare. La realtà che vedo è straziante e dolce allo stesso tempo, la gente soffre e muore perché questo bellissimo paese è anche l ospedale del mondo e il cimitero dell Europa ricca e indifferente. Qui non si protegge il più debole, qui la malattia non é guaribile, é letale.

7 Mi frullano in testa i dati asettici da censimento dell Unicef, undici milioni di bambini muoiono nel primo anno di vita, centosettanta milioni sono denutriti e uno su dieci é handicappato. Cifre da brivido, ma senza memoria. Ci sono invece immagini, scatti e impressioni che rimangono maledettamente incollati alla pelle, un centoventicinquesimo di secondo che passa all eternità, il grido della bambina del Vietnam o l urlo di Munch. Nessuna immagine mi ha ferito di più di questo destino in carne e ossa; nessun dolore mi é sembrato più ingiusto di imporre ad una madre il sacrificio di uno dei suoi figli, nati dallo stesso embrione, e condannarla a stare lì a vedere la vita di uno dei due finire. Quale volontà cinica e crudele fa giocare insieme la vita e la morte per poi sorteggiare un altra vittima di quest assurda gara? D ora in poi ii viso di quella madonna nera tormenterà le mie notti e si rifletterà ogni giorno nella mia coscienza scossa. Sulla mia fame, la polvere di sedici anni errabondi, e l inquietudine di tutte le strade d Europa e il rumore delle grandi città; e le città battute dalle onde di mille passioni nella mia testa. Il mio cuore é rimasto puro come Il vento dell Est nel mese di marzo L.Senghor

8 PESCATORI Alle cinque del pomeriggio rientrano i pescatori. Tornano tutti insieme, come una compatta flotta che di giorno si è sparpagliata in mille frammenti colorati, affrontando ognuna le mille trappole e insidie che il mare tende a chi si avventura tra le sue onde, e la sera sente simultaneamente il richiamo della costa e la sicurezza della terraferma, lasciandosi alle spalle l immensa solitudine del mare. Li osservo in lontananza, piccoli gusci di noce con una veletta legata ad uno stuzzicadenti, spinti dal vento del tramonto; tutta la spiaggia si anima improvvisamente:accorrete accorrete che tornano i marinai, vecchi e bambini allestiscono velocemente banchetti sui quali distribuire ciò che il mare pescoso ha regalato oggi, mentre le donne iniziano a preparare la cena pestando la manioca. La simbiosi di questi villaggi con il mare è totale, è genesi, è fatica ed è futuro. Io che da sempre subisco il fascino del mare, mi commuovo davanti ai suoi riflessi colorati, ai muri bianchi, confusa tra le stelle che già a quell ora punteggiano di luci il cielo e le onde che rotolano silenziose al mio fianco. E la magia di guardare per ore una superficie che spalanca infinite vie all orizzonte ed è lui, il mare, che mi dà le stesse emozioni dell amore. Gli ultimi giorni li ho trascorsi qui, sulla costa della Tanzania, tra posti che si chiamano Bagamoyo e Pangani, a sentire il polso profondo dell Africa nella polvere di questi villaggi sperduti, lontana dal fragore dei turisti di Zanzibar. Qua e là ci sono resti di antiche colonizzazioni tedesche, che avevano piantato qui le loro radici, edificando sulla pietra la conquista di questa terra d oro e di spezie, ed il dominio sui popoli dalla pelle di ebano e il sorriso di avorio. Polvere di altre epoche sedimenta tra le strade di questi paesini, mentre le fortezze ed i palazzi sulla riva, ormai corrosi dal tempo e dalla natura prepotente, servono soltanto ad orientare lo sguardo dei marinai. Da questi porti sono salpate innumerevoli imbarcazioni di schiavi in rotta per le Americhe; si è contrattato su donne in cambio di sacchi di sale e sete in cambio di zanne di elefanti; lungo queste strade sterrate ha errato Livingstone, già stanco e malridotto, nel suo peregrinare in cerca della sorgente del Nilo o di chissà quali altri misteri del continente nero. Intorno a me c é gente disponibile e gioviale, che obbedisce solo al ritmo di una vita semplice, dettata inesorabilmente dal giorno e dalla notte; bambini che non mi mollano un attimo e vecchietti con la storia scritta sulle rughe che giocano a carte coi loro ultimi anni. Vedo le piroghe in costruzione, ricavate da tronchi d albero tutto d un pezzo, che riposano accanto alle capanne in attesa di essere pronte per il mare: sono impressionanti, lunghe lunghe e scavate con mezzi tutt altro che tecnologici.

9 Mi sono venute in mente le imbarcazioni che da bambina avevo visto tante volte al museo del Congo, vicino a casa mia, e di una in particolare, che misurava ventidue metri, nella quale entravano cinquanta persone, costruita per l arrivo del Re del Belgio in visita nella sua colonia, che ai miei occhi increduli e al mio metro di altezza erano quanto di più smisurato potessi concepire. Stasera ho la stessa sensazione perdendomi nella volta smisurata che il mio sguardo cresciuto abbraccia sotto al cielo stellato. Provo a mangiare qualcosa che sia diverso dal solito piatto di riso e fagioli: qui sulla costa la tradizione culinaria è rimasta tenacemente legata agli antichi scambi di merci tra Africa, India e Medio Oriente, quindi si trovano anche intrugli conditi al curry, riso cotto con il latte delle noci di cocco e condito con banane dolcissime. La base dell alimentazione è costituita da yucca, frutta esotica, derivati vari delle palme e carne di pecora o di gallina. Una notevole varietà rispetto alla dieta monotematica dell interno: dove l acqua scarseggia anche il riso è un lusso, così spesso mi tocca ingurgitare un pappone della famiglia della polenta, non proprio una delicatesse per il palato, bianco e insapore ma un palliativo che sazia la fame; lì dove scarseggia anche il cibo, e un vuoto gonfia i ventri dei bambini, l ugali è senz altro una manna del cielo. Stringo i denti e ingoio senza masticare: la mia fame stasera è violenta perché quella maledetta profilassi antimalarica mi ha spezzato in due negli ultimi giorni, ho l impressione di ingoiare acido invece di pasticche terapeutiche e la lista delle controindicazioni mi ha fatto rabbrividire, prevedendo possibili alterazioni del sistema nervoso, crisi epilettiche e perdita del colore rosso dallo spettro visivo L unico motivo per proseguire questa cura infernale è perché le zanzare, anofele o no, ci si mettono davvero d impegno a torturarmi tutta la notte e a ridurre le ore di veglia ad una battaglia impari tra me, vittima sacrificale, ed uno sciame assassino di insetti. Mi butto sotto zanzariere inevitabilmente bucate, escogito sistemi ingegnosissimi per attirarle fuori dalla stanza, ma proprio non c è verso, sono vaccinate da tempo contro le inutili tattiche dei turisti ingenui. A Bagamoyo tra qualche giorno inizia un festival di danza e di musica africana, che si svolge nell unico edificio collettivo esistente, affrescato coi colori dell arcobaleno e frequentato dalle cinque generazione del paese. Le tradizioni artistiche qui vengono tramandate con passione e orgoglio di padre in figlio o di bocca in bocca; mi sembra di assistere ad un viaggio iniziatico nel mondo della musica africana nel quale si mescolano costumi moderni e antico folclore. Provo a ricordarmi dei nomi di musicisti africani che ascolto in Italia, e con imbarazzo non riesco a metterne insieme neppure dieci: eppure l Africa è grande, il ritmo delle percussioni risuona dal

10 Mediterraneo al Capo di Buona Speranza, Da Bamako a Johannesburg e dal Golfo della Guinea alle isole dell Oceano Indiano. Khaled e Ismail Lo, Yussou Ndour e Cesaria Evora ce la fanno ad attraversare i mari mentre tanti altri suoni di artisti africani nascono e muoiono in queste terre. Malgrado le tradizioni musicali siano profonde, le radio diffondono melodie che non c entrano niente con questo posto, il pasticcio di sonorità che si ascolta in giro, piano piano si inciderà sui ritmi primitivi e strapperà la memoria della gente. Qui non c è nessun Ry Cooder a recuperare vecchietti sdentati e piazzarli sui palchi di mezzo mondo a intonare canzoni cubane; ogni tanto La Repubblica o Panorama distribuisce qualche compilation africana nella speranza di incrementare le vendite, ma i singoli musicisti hanno nomi così impronunciabili, tipo M bady Kouyaté o Mbongeni Ngema, che passano direttamente nell oblìo generale. Forse questo é il problema dell Arte africana in generale, gettata sui mercati e sulle piazze di tutta la terra con l appellativo di arte etnica e svenduta nei ristoranti sotto forma di statuine longilinee e animaletti di legno. L arte indigena, quella spesso chiamata arte povera o primitiva, è un arte senza artista, percepita dal resto del mondo come produzione di opere con una qualità estetica di cui però l artista è solo lo strumento. Perché se la tecnica viene tramandata e gli oggetti scolpiti si assomigliano da secoli, allora evidentemente i nomi di chi li produce sono intercambiabili Mombasa è la città pulsante del Kenya. Ci sono arrivata dopo dieci ore di dala-dala,il pulmino di dieci posti -ufficiali- che è diventato uno dei simboli nazionali del Kenya,una sorta di discoteca ambulante con i decibel così forti che il governo ha dovuto ricorrere ad un singolare provvedimento per diminuirli in tutto il paese, ma che ha pur sempre un ragazzino che sbraita a squarciagola il nome della destinazione per strappare clienti al pulmino davanti a lui. Clacson, ammasso di carne umana, musica, si parte! Finalmente si vedono le luci della città, e il dala-dala si imbarca per attraversare la lingua di mare che si infila tra la terraferma ed il centro di Mombasa. Il traghetto sembra un pezzo di città che sta traslocando, c è gente che compra e vende, mangia, beve e dorme, fatica e aspetta ci sono odori nauseabondi di carne putrefatta, accanto a me le donne servono la zuppa preparata nelle carriole e non mi sembra la misura più igienica del mondo, ma probabilmente qui gli anticorpi hanno braccia e gambe da pugili. Di giorno mi perdo tra i vicoletti di una città che potrebbe perfettamente stare in Medio Oriente o in qualche altro stato islamico, ma alzando lo sguardo mi accorgo che minareti e campanili disegnano con le loro sagome uno skyline armonioso, senza sovrastarsi, così come immagino

11 fossero costruite le città conosciute nei Balcani, dove invece ora restano in piedi solo brandelli di edifici, con in cima una croce o una semiluna sconsacrate. Incuriosita dalle voci bellissime che ho sentito passando davanti ad un edificio che assomigliava più ad una sala concerti che a un luogo di culto, entro in punta dei piedi tra una folla nera nel pieno di una messa gospel: che emozione, tre o quattrocento voci che cantano, pregano e piangono nella sola lingua che la fede unisce, quella della musica. Sembrava di essere in un bolla di sapone che si gonfiava poco a poco con il fiato appassionato di tutti quei fedeli, lievitando lentamente verso le sfere più alte dello spirito. Ho raccolto tutte le mie forze per non piangere, ma le mie braccia si sono confuse tra le altre trecento alzate al cielo in un abbraccio collettivo, unite in quel battesimo che non ho mai avuto e di cui ora forse sentivo il bisogno. Tornata in albergo ancora un po stordita da quell evento, mi sono buttata sul letto con la seria intenzione di dormire dalle sei del pomeriggio fino all indomani, quando mi chiamano dalla reception per dirmi che qualcuno mi stava aspettando nella hall: rispondo che proprio non poteva essere, non ero io quella che cercavano perché avevo scambiato due parole solo con un tassista e con il bigliettaio del museo. E riattacco. Dopo due secondi, risquilla e la voce al telefono mi prega di scendere, c é un signore là sotto cerca proprio una Miss. D Urzo. Credo di aver fatto una faccia inverosimile quando ho visto quel giovane distinto, incrociato un paio di ore prima nella fila per cambiare soldi, con un sorriso a trentasei denti e una limousine parcheggiata davanti all entrata. Non ho ancora capito bene se si sia fatto a tappeto tutti gli alberghi bianchi di Mombasa - alla domanda che mi rivolse di sfuggita nella fila avevo risposto evasivamente che alloggiavo in un edificio bianco, che in una città tutta color calce non era una grande indicazione - oppure se più realisticamente abbia pagato qualcuno per seguirmi: fatto sta che il figlio di uno sceicco dell Oman molto gentilmente mi chiedeva se poteva invitarmi fuori a cena. Quando gli risposi che poteva congedare il suo autista, diligentemente in attesa nella limousine, e che l Oman purtroppo non era contemplato nella mia rotta di viaggio, ha rincarato la dose assicurandomi che il suo animo era molto più nobile e poetico dei suoi pozzi di petrolio: quando stavo sul punto di scoppiare a ridere per tutta quella scena, ma gli occhi di tutto l albergo addosso me lo impedirono, ha iniziato a declamare poesie recitate a memoria nella speranza di toccare il cuore con versi ardenti. Così quel pomeriggio ho rinunciato ad un futuro da donna dello sceicco bianco, alla promessa di vivere in un castello coi rubinetti d oro e le fontane coi cigni all ingresso, tra tappeti di seta e la compagnia delle altre sue mogli.

12 I MASAI Tocca tirarlo forte, per un paio di volte, quel dannato filo di accensione del motore diesel, prima che dia finalmente il rumore sordo al quale le donne Masai accorrono e che risuona fino ai villaggi vicini. Si mettono tutte in fila, munite dei loro bidoncini gialli, come se quel suono atteso con ansia fosse un richiamo più forte delle campane della domenica. Accorrono anche le bestie, istintivamente, fiutando nell aria una fonte di vita, senza la quale si ritroveranno stecchite sulla sabbia nel giro di tre giorni. La pompa che si è azionata grazie al motore estrae l acqua dalla terra. Konina e Nailepu, due giovani donne che ho conosciuto e accompagnato qui, ammirano il pozzo con un misto di incredulità e di timore e, con un gesto tenerissimo rivolto a quella divinità dei tempi moderni, accarezzano il motore con il loro panno tradizionale, lasciando forse anche qualche offerta. Un po più in là si intravedono ancora le carcasse mezze putrefatte delle mandrie dei Masai di questa steppa cruda, a metà tra il Kenya e la Tanzania, e i pochi pastori che si aggirano hanno lo sguardo liquefatto dal caldo e dalla rabbia di aver perso, negli ultimi mesi, centoquarantatre vacche delle centocinquanta che avevano. Si appoggiano ai loro bastoni, e riflettono sul futuro. Un tempo la vita era facile - prova a spiegarmi uno di loro in un inglese masticato appena in un bocca sdentata - era corta e dura ma semplice e onesta. Non lo sarà mai più, aggiunge. I Masai, un tempo rinomata tribù di guerrieri dallo sguardo fiero con le mandrie prospere che si portavano dietro nei loro spostamenti, finora impermeabili ai meccanismi di sviluppo moderni, devono inventarsi un altro modo di sopravvivere. La siccità degli ultimi due anni li obbliga a guardarsi intorno e a lottare tenacemente per la propria identità, adeguando la loro cultura alla rivolta dell ambiente. In questa regione semi arida una stagione delle piogge mancata non è di per sé un dramma, ma quattro stagioni secche consecutive sono una tragedia. Nel mondo dei Masai, uomini e bestiame hanno un legame inscindibile e formano un sistema economico chiuso. Latte, sangue e ogni tanto carne costituiscono il cibo, accanto al mais e ai fagioli che si coltivano qua e là. Vendere una sola vacca sana prima significava non solo mangiare per un mese ma anche comprare qualche pentola e mandare i bambini a scuola; oggi una mucca vale sì e no diecimilalire, neanche il cibo di una settimana. L equazione di base dà un solo risultato: la fame.

13 Alcuni ragazzi italiani che mi hanno ospitato in questa zona e lavorano per organizzazioni che sviluppano reti idriche, mi dicono con rassegnazione che, malgrado gli sforzi, i Masai dovranno rinunciare alla vita nomade e diventare stanziali, mettendosi a coltivare la terra. Ma un Masai che fa l agricoltore è come un leone in gabbia, è una condanna. E come fa un popolo che è nato con la lancia in mano e un lampo negli occhi quando guarda l orizzonte a zappettare la terra spaccata di un orticello di cinque metri quadri? Lo farà, mi rispondono, quando li vedi, quei guerrieri alti con le loro mandrie decimate, camminare per mesi coi piedi straziati per raggiungere Nairobi e pascolare nel traffico impazzito e nella spazzatura, allora capisci che lo farà. Ma il giorno in cui gli uomini torneranno nel Kijiado - la terra di origine - senza l ultima vacca per la sussistenza, le donne Masai staranno raccogliendo i frutti della loro piccola rivoluzione: non si dànno per vinte e una parte dell acqua raccolta in quei bidoncini gialli la piazzano sul dorso di un asino e la portano fino al villaggio dove possono annaffiare le fragili pianticelle di spinaci appena piantate. E questo è il primo passo. Il secondo passo di questa rivolta della sete è quello felpato del cammello. Una delle organizzazioni internazionali ne ha introdotti quaranta e dati in mano alle donne, sperando che ne facciano buon uso. Un cammello si porta sempre dietro il deserto, e quindi soltanto più siccità, fu la prima reazione alla vista di quelle buffe creature, gobbe e sgraziate. Poi i bambini hanno iniziato ad assaggiarne il latte, dal sapore diverso, ma non poi così disgustoso, e le donne videro la loro stoica resistenza al caldo. Tocca trovargli un posto e legarli a quel collo alto alto, ma questo non è un problema. L immagine della forza quasi mistica che irradia il Masai con il suo bestiame è stata così sostituita da quella meno poetica ma più realistica della donna che porta a spasso un cammello. Fino a quando ai Masai toccherà allevare cammelli e coltivare cavolo nessuno lo sa, ma un giorno, sopravissuti a questa dura prova inflitta da madre natura, torneranno ad errare per il mondo africano, con addosso solo un panno rosso e la ritrovata libertà. Da : sandra g. Indirizzo : sandra Oggetto :africa! Data : 2 ottobre :16 :34 PM Bellissima, grazie dei tuoi messaggi pieni di sole e di terra spaccata. ti immagino vagabonda tra sabbia e sorrisi in un continente che scotta chi non vi é preparato. Mi fa piacere saperti in viaggio, goditelo tutto, che sia tutto quello che vuoi, un avventura, un ritrovarsi. Ti abbraccio dal fondo del grigio londinese con un grande sorriso solo per te ps. Ho messo il tuo nome come password al lavoro, così, per avere accesso a tutte queste cazzate che sembrano importanti, riesco a cambiare la distanza focale e accorgermi che i problemi veri sono altrove, non dietro una scrivania, e che il mondo é grande

14 VERITA E BUGIE Sono passate più di tre settimane dal giorno in cui sono arrivata in Africa, ho perso il conto dei chilometri percorsi e del numero esatto degli alberghi, pensioncine e bettole dove ho dormito. Ricordo invece tutti i visi che, per qualche ora o giorno, mi hanno accompagnato per un pezzo di strada o condiviso il sapore di un caffè. Facce allegre, stanche e curiose tutte avvolte dallo stesso colore che ha un viaggio in un continente così profondamente diverso e unite da una grande solidarietà e comunione di spiriti. Lungo la strada si rinnovano taciti accordi, ci si perde e ci si ritrova in continuazione sentendosi fragili e insicuri finchè c è un altro viandante che ti prende per mano e ti porta con lui alla prossima tappa; ma la solitudine che sento è quella che ho scelto io, una liberazione dell anima da vincoli e costrizioni; non è lo sconforto di camminare o di mangiare da sola, ma è un energia che mi riempie, l Africa che ho intorno è il fondale dei miei pensieri, sono i bambini che mi inseguono ovunque e le parole di simpatie che mi regalano. Da sola è l espressione che uso mediamente venti volte al giorno in risposta a chi non capisce dove siano finiti i miei compagni, mariti o loro sostituti, e presto l indagine svolta sul mio volo solitario per le terre e i mari del mondo si ferma difronte ad un grande dubbio, se cioè sia sintomo di follia totale oppure semplicemente un usanza diversa da quella di qui In ogni caso spesso puntualizzano che sono una donna, sono straniera, potenzialmente in pericolo, quindi devo accettare senza obiezioni l aiuto di chi ha la pelle più scura della mia. Mi è difficile a volte spiegare con parole o con gesti che ognuno ha le sue aspirazioni e illusioni per viaggiare, e le mie stanno nella convinzione che il mio lavoro sia fatto soprattutto di confronto, che l architettura non è pura estetica ma è conoscenza dei bisogni della gente, è immergersi e interpretare le esigenze di vita e provare in ogni modo a trovare soluzioni alla miseria umana che ci circonda. Ed è davanti alle realtà più insopportabili che occorre saper ascoltare e assorbire ogni stimolo dei sensi, mescolandosi alla quotidianità. Un giorno, ancora in Kenya, mi sono svegliata sotto un cielo plumbeo e grigio, che si adeguava perfettamente al mio stato d animo, sentendo improvvisamente il bisogno di una casa: avevo voglia di rivedere Angela e Marceau, due ragazzi incontrati a Zanzibar tre settimane prima. Quell isola dell Oceano indiano era stata il mio primo approdo in Africa e per loro una fuga dalla città dove lavoravano, una boccata d aria che gli era costata due giorni di andata e due di ritorno sui sei di vacanza che avevano racimolato. Una follia, ma per quel mare e quel nome esotico, Zanzibar, non si tornava indietro. Avevamo trascorso sull isola, tra spezie e noci di cocco, due giorni interi insieme:

15 abbastanza, su una spiaggia deserta, per costruire un amicizia sincera e franca, malgrado nessuno di noi fosse in grado di dire quando ci saremmo rivisti, in quel groviglio di vite spaesate che formavamo. L ultima sera in spiaggia, con in mano un miscuglio di liquori improvvisato da Marceau che ci fece diventare sentimentali, promisi che ci saremmo rivisti presto. Non li avevo più sentiti da allora, persa nel mio vagabondaggio alle prime armi, ma sapevo che se fossi passata dalle parti di Arusha, in Tanzania, mi avrebbero accolto a braccia aperte. Così ho fatto, lasciandomi alle spalle il Kenya e proseguendo verso la frontiera. Il confine tra Kenya e Tanzania si attraversa in boda-boda, in bicicletta. Che sudata, ragazzi, quattro chilometri di maratona prima che chiudano il passaggio fino all indomani, io su una bici e un ragazzino con il mio zaino in spalla su un altra, a pedalare verso un puntino luminoso all orizzonte. L ultimo autobus che dalla frontiera va fino ad una cittadina chiamata Moshi, in Tanzania, è quello che al calare del sole apre le porte al contrabbando di benzina. Da un lato all altro della frontiera un esercito di donne agguerrite e decise a tutto pur di sfamare la famiglia ha messo su un business per guadagnare duecento lire a viaggio. Se va male, ci fanno scendere e ci sequestrano le taniche, mi dicono; se va proprio male saltiamo tutti in aria, penso io. Scrutando nell oscurità ci sono bidoni pieni dappertutto, sotto i vestiti delle donne, sotto i piedi e sopra le teste Siamo una miccia pronta ad esplodere, ma io vorrei morire per una causa un po più nobile di questa, non essere ricordata come la kamikaze del petrolio, morta tristemente per una monetina gialla. Il viaggio dura due ore lunghissime e la nostra carovana della benzina ha carburante sufficiente per arrivare in Sudafrica, ma ci siamo fermati invece all ombra notturna di una grande montagna. Sollevata ma indolenzita mi sono gettata sul primo ostello incontrato, e mi addormento. Quando mi sono risvegliata col sole in faccia e con gli occhi gonfi di sonno che ancora non riuscivo a mettere a fuoco, ho avuto il sospetto di non essere sola. Dall ottavo piano di uno squallido edificio, avevo davanti a me un gigante bianco, il Kilimanjaro. Il giorno dopo sono finalmente arrivata ad Arusha, una cittadina seduta nella steppa dei Masai, con ha tutta l aria di essere nata ai piedi di un enorme edificio: il bunker delle Nazioni Unite, che ospita il Tribunale Penale Internazionale contro il genocidio in Ruanda, che è un nome troppo lungo da dire cinquanta volte al giorno e, siccome tutto qui ci ruota intorno, si chiama semplicemente l ICTR. Angela, Alex e gli altri ci lavorano da sei mesi e fanno parte di quella stirpe di avvocati in erba che, invece di occuparsi di assicurazioni e divorzi all italiana, hanno deciso che forse la verità qui ha

16 bisogno di loro e che le ingiustizie sono anche altre, sono quelle che per esempio hanno portato al massacro a colpi di machete di quattro milioni di persone in poco tempo, messo a ferro e fuoco interi villaggi e trasformato i fiumi prosciugati in maree umane di un popolo in cammino. Oggi tocca a loro raccogliere le prove della barbarie, contare uno per uno i corpi nelle fosse comuni e descrivere scrupolosamente i teschi impalati lungo le strade dei trionfatori, e portare poi sul banco degli imputati tutti quelli che hanno tinto di sangue la propria arma e, con follia disumana, sgozzato il nemico. In un lavoro macabro e paziente, tessono le fila delle colpe altrui e la ragnatela sarà completata solo il giorno in cui gli accusati saranno dietro alle sbarre a fare i conti col proprio passato. Ed il Ruanda ha un passato talmente orribile che il resto del mondo ha preferito dimenticarsene, tanto se già è difficile piazzare quel puntino nel posto giusto sulla mappa gigantesca dell Africa, nel dubbio se confina con il Camerun o con l Angola o con nessuno dei due, figuriamoci impelagarsi tra quelle tribù di gente senza nome, che se non muore in guerra ha il doppio di possibilità di morire di stenti. Mi sono presentata direttamente al servizio di accoglienza del palazzone U.N., extension 455 please, sperando che nel frattempo Angela non fosse stata spedita a regolare i conti di qualche altro paese disastrato sull altra faccia della terra. In quel momento dovevo senz altro fare una certa compassione, perché la segretaria chiedeva in continuazione se mi servisse un bicchier d acqua o altro e io dovetti risponderle che, malgrado venissi da lontano, non ero una profuga in cammino da cinque giorni e cercavo semplicemente un amica. Non credo di averla convinta finché non è scesa Angela, calata da chissà quale piano di quell immenso edificio, ad abbracciarmi ed infilarmi nei meandri del tribunale. Mezz ora dopo avevo già conosciuto tutto lo staff con cui lavorava, una simpatica torre di Babele che, il giorno in cui si fosse stancata di cause e sentenze, avrebbe potuto inaugurare i primi giochi senza frontiere dell Africa orientale. Alex, un australiano di origine greca, mi ha accompagnato a casa sua e di Angela, una villetta in uno dei quartieri residenziali di Arusha, e con la generosità meravigliosa di chi ti conosce da appena dieci minuti, ti dà le chiavi di casa sua e una stanza tutta tua Il mio bisogno di un tetto abitato era talmente grande e l ospitalità così calorosa che non ho potuto fare a meno di abbracciare Alex stretto stretto. Da quel giorno, il nostro ménage à trois si è rivelato un formidabile equilibrio di personalità e un connubbio così divertente che ne ricordo ogni minuto: gli orari sfasati tra lavoro e gite, le discussioni sulla vita africana e le spaghettate last minute con una tavolata di amici: inoltre fare la spesa con Angela nei mercati locali era un esperienza memorabile, si contrattava su tutto, per necessità o per scherzo, dal cibo fino all aria che respiravamo. Tre cipolle per due, quattro

17 peperoni al prezzo di uno e dieci ingredienti che, con un po di fantasia, potevano vagamente assomigliare ad un piatto del nostro paese. Tanto, tra un australiano, una maltese e uno delle isole Mauritius, sfidavamo chiunque dei presenti ad esprimere giudizi poco rispettosi su quell intruglio italo-africano di nostra creazione. E la nouvelle cuisine globale - cioè quella fusione di sapori così alla moda nei ristoranti di tendenza in tutto il mondo, che mescola senza ritegno curry e mascarpone, zenzero e peperoncino - era in nostro alibi per i più dubbiosi. La casa dove abitavamo era una modesta casetta con giardino fiorito e alberato con specie che confondevano le mie già scarse nozioni di botanica. Come tutte le case dei bianchi e della classe medio-alta africana, era stata fornita accessoriata di domestica e di guardiano notturno, come se facessero parte dell arredo fisso e fossero essenziali quanto l acqua e la luce elettrica. Paulina, la domestica, era una donna giovane ed energica che gesticolava abbondantemente per farsi capire mentre il guardiano aveva la faccia patibolare e gli occhi da cane bastonato, che facevano una pena infinita, e nessuno aveva avuto il coraggio di rifiutargli quelle poche briciole che gli permettevano di sopravvivere; credo che Alex e Angela spendessero la metà del loro stipendio tra le lezioni di inglese di Paulina e le medicine contro la malaria e la tubercolosi per quel disgraziato di cui nessuno sapeva il nome. L ordine di sgombero da quella famiglia idilliaca non sarebbe mai arrivato e sarei potuta rimanere ancora mesi a cullarmi tra quelle mura, ma non so esattamente in quale momento ho sentito nuovamente l inquietudine prevalere sulla sicurezza e il mio sguardo ansioso guardare oltre il giardino. Era segno che dovevo andarmene. Con un nodo in gola e un buco nello stomaco, Alex mi ha accompagnato una mattina afosa all affollatissima stazione degli autobus in partenza verso il sud.

18 NGORO-NGORO Alex aveva pensato proprio a tutto. Con la sua precisione anglosassone e l entusiasmo di chi non va in vacanza da tre anni aveva caricato la nostra vecchia land-rover di tutto quello che gli veniva in mente e che molto, molto lontanamente ci sarebbe potuto essere utile; dovetti ripetergli circa venti volte in quei preparativi frenetici che avevamo affittato quel macchinone solo per due giorni e che dopodomani alle otto di sera doveva stare perfettamente parcheggiato ad Arusha davanti all ufficio della dubbiosa agenzia che ce l aveva affittato. Ma niente da fare, i sedili posteriori ospitavano, credo, tutti lo scibile umano per colmare le mille lacune e domande che potevano sorgere andando ad esplorare quella zona dove si dice l Uomo abbia fatto i suoi primi passi da eretto e dove continuano ad abitare migliaia di specie che camminano, strisciano e saltano: il cratere del Ngoro-Ngoro, che sorge vicino alla Valle del Rift, la spina dorsale a forma di lunghissima crepa che spacca l Africa dagli altipiani del Medioriente fino al Mozambico, trasformandosi di volta in volta da gole profondissime a valli fertili. Ci accompagnavano naturalmente la Teoria dell evoluzione di Darwin, vari volumi dell Enciclopedia Britannica, guide su come riconoscere fauna e flora di tutta l Africa orientale e naturalmente mappe che coprivano le strade dall Egitto allo Zimbabwe, nel caso dovessimo perderci, non si sa mai. Eravamo entrambi eccitati all idea di quella piccola avventura, io per le immagini invecchiate di paesaggi mozzafiato che avevo visto e Alex perché da quel momento non avrebbe più chiuso occhio finché non avesse visto l impronta del primo uomo bipede, calco o copia che fosse. Partimmo all alba, con un mezzo che era a metà tra una biblioteca ambulante (un altra proposta era stata quella di dirottare il nostro viaggio verso i paesini dell entroterra e di organizzare conferenze sull evoluzione ai bambini in piazza..) e un magazzino di vestiti adatti ad ogni stagione. Ottenere quel fuoristrada non proprio ultimo modello era stata comunque un impresa: il giorno prima mi ero presentata - con l ingenuità tutta occidentale di chi pensa che organizzare un safari sia questione di pochi minuti e una discreta manciata di dollari - in un agenzia di Arusha che godeva un pò meno della fama generalizzata di trappole per turisti; il proprietario, coi suoi centoventi chili ben distribuiti, era un omaccione dall aria così mite che non sapevo mai se il suo sorriso beato era affermativo o se non avesse capito un bel niente di tutto quello che gli dicevo, e yes! come risposta a quanto costa? non era esattamente un buon segno. Fatto sta che il mio dubbio si é chiarito molto presto, quando l indomani mattina all ora dell appuntamento, ci siamo ritrovati in tre, io, Alex e il mio zaino. Un ora, due, del nostro uomo nemmeno l ombra. A quel punto Alex mise da parte la sua filosofia zen e, pervaso da un sentimento di profonda rabbia per quello che era successo, tirò giù dal letto l intero staff dell agenzia richiamando a rapporto anche il boss, uscito di corsa dalla messa, quella domenica mattina, dove stava probabilmente espiando i suoi peccati.

19 Poi, senza perdere un minuto la calma da gentleman dell ottocento che lo distingue, ha iniziato un processo sommario con tanto di imputati, di avvocato - lui - e di cliente da risarcire - io -, che ha avuto come risultato una macchina chiavi in mano per l indomani, a un prezzo vantaggioso, senza più ricorsi né appelli. Il mio difficilissimo compito, a quel punto, era quello di convincere un giovane avvocato con un ferreo senso del dovere che i crimini contro l umanità non sarebbero rimasti impuniti se si fosse assentato per due giorni e che il tribunale sarebbe sopravvissuto fino al suo ritorno. Che fatica, ragazzi, vincere una causa contro un avvocato. Osservare per due giorni animali in libertà è un esperienza senz altro emozionante ma credo fermamente che, se in quel momento non avessi avuto quei quaranta libri, che tanto avevo criticato, per colmare la mia ignoranza abissale sul mondo animale e come utile distrazione in quella macchina infuocata, sarei scesa, a mio rischio e pericolo, dopo i primi dieci esemplari di quel regno a quattro zampe. Bufali, elefanti, leoni, giraffe dal passo elegante, gazzelle che zompettavano veloci e altri animali somiglianti a caproni che schizzavano da tutte le parti al nostro passaggio rumoroso. Noi assorbivamo ogni cosa con il nostro sguardo avido e con gli altri quattro sensi, increduli nel vedere davanti a noi quello che ci sembrava l immagine esatta dell Arca di Noé, senza che nulla, a parte le quattro ruote sotto di noi, potessero farci credere di trovarci in un epoca più recente del Pleistocene. Per l immensa gioia di Alex abbiamo assoldato una guida locale che a prima vista ci era parsa piuttosto preparata, per accompagnarci alla Gola di Olduvai a vedere uno strano essere dal cranio oblungo che é stato definito il primo ominide dell Africa orientale risalente a qualcosa come cinque milioni di anni fa; Il poverino non aveva ancora finito le presentazioni che Alex, con la sua vocazione di paleontologo mancato, lo ha assalito di domande che gli covavano dentro sicuramente fin dall infanzia; dopo un serrato dibattito sui massimi sistemi e sull origine della vita, eravamo tutti d accordo nell essere infinitesimali davanti alla Storia e solidali nel sentirci fragili di fronte al mistero che ci circondava. Ogni testa pensante può elaborare teorie sull universo ma l archeologia resta una scienza asettica, non conosce monarchi o popoli, ignora le religioni e le dottrine, non mette in relazione guerre o trattati, ma traccia invece il lento progresso dell Uomo e in ogni epoca la relazione col suo habitat. Homo abilis, erectus, sapiens, ognuno coi suoi oggetti abbozzati, ossa e pietre, impronte e fossili a mostrare ai nostri piccoli occhi come si condensava la vita ,un milione o due milioni di anni fa... Divorati dalla curiosità e dal caldo, siamo scivolati dentro a quell incredibile gola per tutta la giornata e, quando finalmente il sole ci diede tregua fondendosi lentamente nell orizzonte, ci avviammo verso l unico albergo di tutto il parco.

20 Lungo la strada del ritorno ci siamo fermati ad osservare lo strano fenomeno di una duna di sabbia nera a forma di spicchio di luna che da anni si muove sospinta nella direzione che decide il vento: venti metri l anno, disperdendo un pò del suo carico di sabbia a ogni metro percorso; mi sono arrampicata sul suo fianco, mi sono rotolata nella sabbia perdendomi nei miei pensieri insieme a lei e mi ci sono rispecchiata dentro come una sorella che, come me, percorre un pezzetto della crosta terrestre, nella direzione che solo il vento può prevedere. Quando ci credevamo ormai a poca distanza dal nostro rifugio per la notte, la macchina ha improvvisamente iniziato a singhiozzare e tre metri dopo si é definitivamente collassata. Riproviamoci in discesa...riaccendi, frizione, prima, seconda, mammaaaaa! Niente da fare. Sconsolati, Alex da un occhiata al serbatoio di riserva, l unico funzionale che secondo l agenzia conteneva sì e no sessanta litri, e tristemente costata che non solo é completamente vuoto ma che probabilmente non ne conteneva più di quaranta. Bella situazione, a secco in un parco della Tanzania, a due chilometri da un tetto, al buio, con trecento leoni che ci guardavano leccandosi i baffi... La nostra salvezza é arrivata un ora dopo, sotto forma di camion con due simpatici personaggi che non hanno mai riso tanto come quella sera e per tutto il resto del tragitto che ci ha portato fino a casa. "Lei é all orizzonte mi avvicino di due passi lei si allontana di due passi. Cammino per dieci passi e l orizzonte si sposta dieci passi più in là Per quanto cammini non la raggiungerò mai. A che serve l utopia? Serve proprio a questo: a camminare" E.Galeano

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