RATIFICA DEL TRATTATO DI ROMA E RUOLO DELLA CORTE COSTITUZIONALE

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1 RATIFICA DEL TRATTATO DI ROMA E RUOLO DELLA CORTE COSTITUZIONALE di Elisabetta Catelani (Professore ordinario di Istituzioni di diritto pubblico - Università di Pisa) (10 marzo 2005) 1. Martedì 25 gennaio la Camera dei Deputati ha approvato con 436 voti favorevoli, solo 28 contrari e 5 astenuti, la ratifica del Trattato che istituisce una Costituzione per l'europa. L'ampio favore con cui tale atto è stato accolto consente di prevedere che entro febbraio il Trattato sarà definitivamente ratificato anche dal Senato della Repubblica senza che sorgano problemi di sorta ed anzi, vengano messe da parte quelle poche perplessità che erano state a- vanzate sull'opportunità di seguire la procedura prevista dall'art. 80 Cost., che non consente a tutti i cittadini di esprimersi attraverso un referendum. Si potrebbe pertanto dubitare dell'opportunità di continuare a parlare delle modalità di ratifica del Trattato, visto che, da un lato, la Conferenza dei Capigruppo della Camera dei Deputati, nonostante i disegni di legge costituzionale presentati per introdurre un referendum ad hoc, abbia, con particolare celerità (riunione del 1 dicembre 2004), messo al primo punto dell'ordine del giorno del 2005 la ratifica del Trattato, che l'assemblea, senza una vera discussione sul contenuto e sulle conseguenze che potranno derivare sull'ordinamento italiano, abbia poi prontamente e ad ampia maggioranza, votato favorevolmente, che sia stata lasciata al Senato la sola formalità di un'ulteriore approvazione del testo. In realtà, il dibattito che è stato iniziato in dottrina non può dirsi chiuso dalla scelta fatta dal Parlamento in proposito, perché lascia ancora aperto quell'antico dubbio circa l'idoneità dell'art. 11 Cost. di limitare la sovranità nazionale, ancor più oggi, dinanzi ad un testo costituzionale che non si limita ad incidere fortemente sulle istituzioni comunitarie, ma disciplina per la prima volta a livello comunitario i diritti fondamentali dei cittadini europei. federalismi.it numero 5/2005

2 Dalla scelta sulla procedura da seguire per recepire la Costituzione europea possono infatti derivare conseguenze importanti, sia sul valore da attribuire a tali norme, sia sul rapporto fra l'italia e l'unione Europea, sia, infine, sul ruolo che la Corte costituzionale deve continuare a svolgere come giudice di costituzionalità dell'ordinamento interno. 2. Il tema preliminare a tutti gli altri, oggetto di indagine ormai da tempo da vari punti di vista (storico, politologico e prettamente giuridico), è stato quello attinente alla natura del progetto, ossia se si tratti di un "trattato" o di una "costituzione". Varie sono le motivazioni che inducono a preferire una soluzione o l'altra, ma forse quella che maggiormente risponde al comune sentire è la constatazione della difficoltà di inquadrare il trattato costituzionale europeo all'interno delle categorie classiche, in quanto l'uno (il trattato) risponde al sistema delle relazioni internazionali e l'altra (la Costituzione) è sempre stata studiata all'interno del diritto pubblico statale, che ha come principio cardine la sovranità. Pertanto si tende a indirizzarsi più alla classificazione di questo atto come ad un provvedimento "ibrido", che ha elementi dell'una e dell'altro. In altre parole, non vi sono dubbi che, a differenza della stesura di precedenti Trattati, quello firmato a Roma presenta un contenuto che sicuramente lo differenzia rispetto a tutti gli altri, tanto che, non a caso, contiene in sè entrambi i termini "trattato" e "costituzione", ma non può essere classificato come un atto che sostituisce ad una pluralità di enti originari un nuovo principio di unità politica. E quindi non può essere qualificato Costituzione. Tutto questo perché, probabilmente siamo troppo legati alle categorie classiche che risentono della procedura di nascita degli Stati nazionali, perché ancora continuiamo a pensare tenendo conto dei profili connessi alla sovranità, perché ancora, forse, non risulta chiara la nuova sistemazione dei rapporti fra organi: organi sovranazionali ed organi interni degli Stati che svolgono in parte funzioni simili e si teme molto che la prevalenza dell'uno possa delegittimare l'altro. In definitiva ancora non risulta chiaro fino a che punto operi l'ordinamento sovranazionale e dove vi sia autonomia dei singoli Stati, o comunque fino a che punto le decisioni di quello incidano sui poteri degli altri. Non si vuole in questa sede cercare di sindacare se siano o meno presenti nel contenuto della Costituzione europea un maggior numero di elementi che indirizzano verso la qualificazione in senso costituzionale, o se, invece, permane o prevale la natura di Trattato. Bensì, partendo dalla constatazione che il Trattato contiene in sé elementi di novità indiscutibili che modificano, non solo i poteri degli organi comunitari, ma anche di riflesso, quelli degli Stati membri dell'unione fino ad influire sugli stessi diritti fondamentali dei cittadini, occorre veri- 2

3 ficare se sia necessario, legittimo ed opportuno, il ricorso ad una manifestazione di volontà esplicita da parte del corpo elettorale. Ovviamente, il problema delle modalità di ratifica non può essere nettamente separato dalla comprensione del contenuto dell'atto che deve essere appunto ratificato, ma, non potendosi individuare una strada predeterminata per questo tipo di atto, che abbiamo definito "ibrido", occorre fare riferimento agli strumenti che l'ordinamento costituzionale predispone ed individuare quello che si adatta allo scopo. L'affermazione ricorrente circa la non idoneità ormai dell'art. 11 Cost. per l'adattamento del nostro ordinamento alle scelte comunitarie, potrebbe indurre a ritenere l'opportunità di una modifica costituzionale che intervenga sulle modalità di ratifica di tutti i trattati dell'unione. Ed infatti, nel corso di questa legislatura era stato presentato un progetto di legge costituzionale per la riforma dell'art. 11 della Cost. (C. 2218) che prevedeva l'approvazione a maggioranza assoluta di entrambe le Camere di ogni legge di ratifica dei trattati europei e la possibilità di un intervento popolare diretto, ricalcando sostanzialmente il progetto elaborato dalla Commissione bicamerale per le riforme istituzionali del Tale progetto è stato ritirato nel 2002, ossia quando la Costituzione europea era in corso di redazione definitiva e quindi la sua approvazione risultava prossima. D'altra parte nessuna norma contenuta nel progetto di riforma della II parte della Costituzione, approvato dalla Camera, contiene alcuna norma che preveda la modifica dell'art. 11, mentre si mantiene sostanzialmente inalterato il contenuto dell'art 80 Cost. Nell'imminenza dell'approvazione della Costituzione europea sono stati tuttavia presentati alla Camera tre disegni di legge costituzionale, al fine di chiedere l'intervento anche del corpo elettorale: o attraverso un non ben definito referendum (secondo alcuni di indirizzo, secondo altri confermativo) o con l'approvazione di una legge costituzionale con eventuale introduzione di un referendum obbligatorio, così da consentire anche ai cittadini di essere parte attiva e non meri spettatori del processo costituzionale europeo. 1) Il primo in ordine di tempo risale al 16 ottobre 2003 (C 4394), quando ancora si ipotizzava che la Conferenza intergovernativa di Roma potesse concludere la discussione sul testo di Costituzione europea e si ipotizzava l'indizione di un referendum di indirizzo che si sarebbe dovuto svolgere in tutti i paesi, contemporaneamente alle elezioni europee, così da rafforzare le scelte dei governi con la volontà popolare. Tale proposta di legge escludeva l'applicazione dell'art. 80 Cost. attribuendo in realtà ai cittadini un potere deliberativo e non quindi una funzione consultiva, che avrebbe dovuto essere implicita ad un referendum di indirizzo. 3

4 2) Altra proposta di legge costituzionale, presentata il 4 novembre del 2003 (C. 4457), prevedeva un referendum di tipo confermativo di una delibera adottata dal Parlamento, che poteva tuttavia essere promulgata dopo l'assenso popolare, che acquisiva così una funzione costitutiva. Si trattava quindi di una deroga una tantum all'art. 80 Cost., rimanendo intatto il procedimento per la ratifica di tutti i trattati successivi, anche riguardanti l'unione europea. 3) L'ultima proposta di legge costituzionale è abbastanza recente (2 novembre 2004) e, forse, la più ambigua, in quanto si qualifica il referendum come confermativo, ma non di un voto parlamentare, a cui non si fa mai riferimento né nella norma né nell'atto di presentazione del progetto, ma solo della volontà espressa dal governo. Quindi non solo non si applica l'art. 80 Cost., ma si sottrae del tutto, all'organo direttamente rappresentativo della volontà popolare, la possibilità di un intervento. Tutte e tre le soluzioni prospettate non rispondono sicuramente alle esigenze più generali connesse alla determinazione dei rapporti fra l'italia e l'unione. Esigenze che attengono all'adeguatezza del combinato disposto dagli artt. 11 e 80 Cost. alle successive e sempre più ampie limitazioni della sovranità, esigenze connesse alla necessità di salvaguardare il contenuto ed i principi della nostra Costituzione, esigenze connesse alla tutela dei poteri degli organi costituzionali, primo fra tutti la Corte costituzionale che, non solo si trova a dover "competere" con una Corte di giustizia sempre più forte, ma anche con possibilità di intervento sempre più ampie, grazie al contenuto delle nuove norme. Se mettiamo da parte il problema più generale dell'idoneità dell'art. 11 in ordine alla possibilità di consentire le successive e sempre più ampie limitazioni della sovranità derivanti dal nuovo ordinamento comunitario, e poniamo la nostra attenzione sull'attuale contenuto del Trattato di Roma, occorre risolvere il dubbio preliminare circa l'opportunità o meno di recepire il Trattato con una semplice legge del Parlamento o invece adottarlo con legge Costituzionale. Tutto questo infatti potrebbe essere fatto anche in un momento successivo alla ratifica ex art. 80 Cost., per ulteriormente valorizzare il contenuto di tale Costituzione o, comunque, il problema si potrebbe nuovamente porre dinanzi ad ulteriori modifiche del Trattato. 3. Varie ed articolate sono le motivazioni della dottrina che inducono ad ipotizzare la ratifica del Trattato attraverso una legge costituzionale. Si dice infatti che "la scelta sulla procedura o sulla forma della ratifica" da parte di ciascuno Stato "si rifletterà sulla complessiva legittimazione del trattato costituzionale europeo"; che "la scelta di ratificare i trattati europei con legge ordinaria del Parlamento è ormai assolutamente minoritaria", che "la ratifica ordina- 4

5 ria di un testo che di certo andrà a stravolgere i diritti dei cittadini in essa consacrati" "significa lasciare che i valori della Costituzione nazionale possano essere, se non modificati, quantomeno rimodulati dalle decisioni assunte dalle maggioranze di governo nelle sedi europee" (Marta Cartabia). Se ovviamente non si può non concordare che, da un punto di vista di immagine e di garanzia per i cittadini, un coinvolgimento molto ampio della popolazione incrementi "una maggiore consapevolezza costituzionale europea", non si può neppure non tener conto di altri elementi che inducono invece a ritenere la non opportunità di una ratifica attraverso una legge costituzionale. La prima e più ovvia giustificazione della semplice ratifica ex art. 80, è data dalla continuità storica nella procedura di approvazione dei Trattati comunitari da quello di Roma del 1957, all'atto Unico europeo del 1986, al Trattato di Maastricht del 1992, a quello di Amsterdam del 1997 ed infine a quello di Nizza del Si tratta in tutti questi casi di Trattati che hanno portato a trasformazioni importanti dell'unione europea con conseguenti forti riduzioni della sovranità dei singoli Stati a favore degli organi comunitari ed in tutte queste occasioni non si è ritenuto necessario utilizzare una procedura aggravata, né la Corte costituzionale, che è più volte intervenuta su questioni connesse alla normativa comunitaria e sulla sua possibilità di sindacare attraverso la legge di esecuzione del Trattato il rispetto della Costituzione nell'applicazione del diritto comunitario, ha mai dichiarato l'illegittimità dei Trattati via via approvati, anche se limitativi della sovranità statale, né ha mai affermato la violazione di alcun principio fondamentale dell'ordinamento costituzionale nazionale o dei diritti inalienabili della persona umana. Il motivo tuttavia principale, che induce a ritenere inopportuno un recepimento con legge costituzionale, si desume dal rapporto esistente fra il contenuto del Trattato di Roma ed i poteri della Corte costituzionale. In altre parole vi è il pericolo che un rafforzamento dei principi contenuti nella Costituzione europea con legge costituzionale modificherebbe sostanzialmente il ruolo, il modo di operare, la base normativa di decisione della Corte costituzionale. Il vero nodo, per individuare la procedura più idonea per la ratifica, passa inevitabilmente dal ruolo che si vuole attribuire e/o mantenere alla nostra Corte costituzionale. Si è detto in dottrina che "se l'ordinamento comunitario recasse un vulnus ai principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale italiano, intaccando i cosiddetti controlimiti, neppure una preventiva autorizzazione con legge costituzionale varrebbe a giustificare tale lesione", desumendosi così la possibilità della Corte di sindacare sempre la eventuale violazione da 5

6 parte dell'ordinamento comunitario dei principi fondamentali dell'ordinamento italiano. E questa constatazione è sicuramente vera, nel senso cioè che alla Corte non può essere mai preclusa la possibilità di garantire i principi supremi e quindi sindacare la loro violazione. Ma il problema è forse un altro, in quanto il recepimento con legge costituzionale della Costituzione europea estenderebbe sicuramente il dato normativo di riferimento che la Corte costituzionale dovrebbe utilizzare ed applicare, che dovrebbe essere rappresentato sia dalla nostra Costituzione che da quella europea. Si amplierebbe in altre parole, la normativa parametro che la Corte dovrebbe applicare anche per giudicare la legittimità della normativa interna ed anzi, in caso di incompatibilità o determinazione di un principio in modo diverso fra le due norme, si dovrebbe immaginare una prevalenza della normativa europea rispetto a quella interna. Si attribuirebbe così alla Costituzione europea un valore supercostituzionale, che influirebbe in modo sostanziale sul ruolo e sui poteri di decisione della Corte costituzionale, che dovrebbe inevitabilmente rapportarsi per giudicare il diritto interno non solo con questa nuova normativa, ma anche con le interpretazioni che la Corte di giustizia ha adottato con le proprie pronunce, incidendo così fortemente sull'autonomia della Corte. Il problema principale non è tanto rappresentato quindi dalla violazione dei principi fondamentali dell'ordinamento costituzionale, che sicuramente né il Trattato né, si può presumibilmente ritenere, le leggi e le leggi quadro europee violeranno, quanto dalla sostituzione ai principi costituzionali contenuti nella Costituzione del '48, ed in particolare, alle libertà fondamentali in quella descritte e garantite, quei diversi principi e libertà contenuti nel Trattato di Roma. La Corte costituzionale, i giudici, gli interpreti del diritto in genere si troverebbero nella difficile situazione di dover talvolta scegliere se applicare le norme della Costituzione italiana, ovvero quelle della Costituzione europea che, anche se non incompatibili, sono diverse fra di loro come disciplina. La prevalenza dovrebbe fra l'altro essere a favore della disciplina comunitaria, in quanto contenuta in uno strumento normativo di pari grado (costituzionale), ma a- dottato successivamente e quindi eventualmente anche abrogativo di quello precedente. Si potrebbe a tutto ciò obiettare che il valore prevalente della Costituzione europea è intrinseco all'atto stesso, indipendentemente dallo strumento normativo prescelto per la ratifica, in quanto le limitazioni di sovranità consentite dall'art. 11 Cost. permettono alla normativa ed ai Trattati europei di immettersi nel nostro ordinamento anche in deroga ai principi costituzionali. Tale garanzia è limitata tuttavia all'applicazione e all'interpretazione della normativa comunitaria, ai regolamenti e alle direttive ora e alle leggi e alle leggi quadro europee domani, ma non incide sull'interpretazione da dare all'ordinamento interno. Tanto che, proprio con ri- 6

7 guardo alle libertà fondamentali, è stata inserita una norma di chiusura (art. II-111 del Trattato di Roma), che limita l'applicazione delle norme contenute nella Carta dei diritti alle sole "istituzioni, organi e organismi dell'unione" e "agli Stati membri esclusivamente nell'attuazione del diritto dell'unione", escludendo implicitamente la sostituzione dei principi e delle libertà riconosciute nella Carta a quelli contenuti nelle Costituzioni dei singoli Stati membri. Questa limitazione di efficacia delle norme della Carta dei diritti non potrebbe di fatto produrre effetti se vi fosse un recepimento con legge costituzionale, perché i singoli articoli avrebbero un loro valore costituzionale autonomo, cosicchè il privato cittadino potrebbe in ogni momento invocare il diritto all'applicazione del principio nella formulazione contenuta nella Costituzione europea (a lui più favorevole), piuttosto che in quella italiana. Gli esempi a tale riguardo potrebbero essere molteplici, specialmente là dove la Costituzione italiana non disciplina esplicitamente quel particolare diritto: si pensi alla norma della Carta dei diritti in materia di privacy (art. II-68) che attribuisce rilievo costituzionale all'autorità indipendente garante della tutela e protezione dei dati personali; alle norme in materia di buona amministrazione (art. II-101), che, non garantite direttamente dalla nostra Costituzione, trovano un'esplicita disciplina nella Costituzione europea, così da consentire un'estensione di efficacia anche a livello statale; alle norme in materia di vita familiare (artt. II-67 e II-69) che sostituiscono al concetto di famiglia "come società naturale fondata sul matrimonio" (art. 29 Cost.), quello più generico di vita familiare ed il diritto di sposarsi che può consentire un'estensione anche a relazioni diverse da quella uomo-donna; o, ancora, alla norma che garantisce la parità fra donne e uomini (art. II-83), che è sicuramente più garantista rispetto al combinato disposto dagli artt. 3 e 51 Cost., là dove si consente azioni positive a favore del sesso sottorappresentato senza alcun limite di sorta. In definitiva l'approvazione con legge costituzionale attribuirebbe alla Costituzione europea un'influenza nell'ordinamento interno così elevata da ridurre quel ruolo di interprete della Costituzione che la Corte ha sempre con molta accuratezza e moderazione esercitato. 7

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